EUROPA.
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Oggi in Svizzera
Care lettrici, cari lettori,
stando a una recente analisi fatta da un gruppo di “fact checker” (gruppo di persone o istituzioni che si occupano di verificare la veridicità di informazioni dichiarazioni), le fake news che circolano in rete non sono prerogativa dei social network. Anzi: la pecora nera è YouTube. Tra i miliardi di filmati presenti sulla piattaforma, è facile trovare molta disinformazione e gli esperti chiedono alla proprietaria Google di intervenire per migliorare la situazione.
Noi vi invitiamo, però, a leggere qui le notizie della giornata. Queste, ve lo possiamo assicurare, non sono false.
Marija Milanovic
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I veicoli ibridi non sono verdi come si pensa: a rivelarlo è uno studio di Impact Living commissionato dal Canton Vallese.
Secondo i dati raccolti dall’impresa che punta ad accelerare la transizione energetica, i veicoli che combinano motore termico tradizionale e motore elettrico con carica tramite presa della corrente sono una “trappola climatica” poiché aumentano le emissioni di gas a effetto serra invece di ridurle.
“Una truffa”: il rapporto non usa mezzi termini per definire questi mezzi di locomozione che, dati alla mano, consumano 230% in più rispetto a quanto pubblicizzato dai produttori. “I veicoli ibridi sono spesso vantati per consumare 1,5-2,5 litri sui 100 chilometri, ma in realtà, nel loro uso quotidiano, ne consumano dai 4 ai 7, come dei motori a diesel”, spiega alla trasmissione romanda “La Matinale” della RTS il fondatore di Impact Living Marc Muller.
Il Governo vallesano, che ha finanziato lo studio di Impact Living, ha ora deciso di sopprimere le sovvenzioni per l’acquisto di veicoli ibridi plug-in. “Non possiamo sostenere dei mezzi che non ci permettono di raggiungere gli obiettivi [climatici] che ci siamo fissati”, spiega il consigliere di Stato vallesano Frédéric Favre.
Lo studio di Impact Living (in francese)
L’articolo su rts.ch (in francese)
Dal nostro sito: “Un'auto su sette venduta in Svizzera è elettrica”
Da - tvsvizzera.it <tvsvizzera@swissinfo.ch> Annulla iscrizione
17:17 (6 ore fa)
a me
Arlecchino:
Keystone / Zoltan Balogh
Il Tribunale amministrativo federale (Taf) bacchetta la Segreteria di Stato della migrazione (Sem) per il respingimento in Croazia di un cittadino afghano maltrattato a più riprese dagli agenti di frontiera di Zagabria.
Per i giudici di San Gallo, che già in novembre avevano accolto un ricorso dell'espatriato, l'agenzia federale non avrebbe tenuto in debito conto dei difetti, evidenziati dai racconti del ricorrente e da molti osservatori indipendenti, della procedura d'asilo applicata nel paese balcanico, che prevede rinvii immediati (push-backs) degli stranieri. Una pratica che non consente di accedere alle norme a tutela dei profughi e sarebbe sistematicamente accompagnata da violenze di varia natura.
Gli abusi riferiti dal cittadino asiatico, che avrebbe subito manganellate, pugni, torture e sequestri da parte degli agenti croati, appaiono credibili al Tribunale e per questo motivo sono di impedimento al suo respingimento.
Inoltre, la corte federale ha sollevato dubbi sulla reale competenza, nel caso concreto, della Croazia (in base al Regolamento di Dublino), in particolare in relazione alle reali date dei tentativi di ingresso nel paese da parte dell'immigrato afghano.
La procedura di ricorso contro una decisione negativa in materia di asilo.
Il regime dell'asilo in Svizzera descritto da swissinfo.ch.
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Keystone / Barbara Gindl
In seguito a una decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo del 2021 Losanna rinuncia a sanzionare i mendicanti sul suo territorio, anche se la legge "resta in vigore".
La precisazione è giunta martedì dal responsabile cittadino della sicurezza Pierre-Antoine Hildbrand in Consiglio comunale, che ha chiarito che la polizia non infligge più multe, per un importo che va dai 50 ai 100 franchi, alle persone che chiedono l'elemosina in strada.
Finora le autorità vodesi hanno sostenuto che la legge cantonale adottata nel 2018 restava in vigore mentre altri cantoni, come Ginevra, hanno congelato norme analoghe. Nel parlamento locale sono comunque pendenti due mozioni della sinistra e della destra che chiedono, rispettivamente, l'abrogazione delle disposizioni cantonali e un'interpretazione meno rigida della sentenza europea.
Per i giudici di Strasburgo, che si erano pronunciati il 19 gennaio dello scorso anno sul caso riguardante una cittadina romena di etnia rom a Ginevra, l'ammenda di 500 franchi e la pena sostitutiva di 5 giorni di carcere per il mancato pagamento della stessa, erano "sproporzionati".
La notizia riportata da 20 minutes.
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Sulla sentenza della CEDU il servizio multimediale di rsi.ch e di swissinfo.ch.
Una panoramica sul divieto di mendicità in Svizzera l'articolo di swissinfo.ch.
La mendicità descritta in una prospettiva di più ampio respiro dal Dizionario storico della Svizzera (DSS).
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Regolamentazione del commercio di legno
Dal 1° gennaio 2022 sarà proibito immettere sul mercato svizzero legname di provenienza illegale e i prodotti da esso derivati. La nuova ordinanza sul commercio di legno (OCoL) entra in vigore contestualmente alla modifica della legge sulla protezione dell’ambiente (LPAmb). Per tutti gli operatori del mercato, l’ordinanza prevede l’adempimento di un obbligo di diligenza nonché l’attenuazione dei rischi connessi al legname di provenienza illegale.
Il prelievo e il commercio di legno di provenienza illegale rappresentano un problema globale che ha ricadute negative sull’ambiente, l’economia e la società. Per contrastare tale fenomeno, molti Governi hanno emanato regolamenti relativi all’immissione sul mercato di legno e prodotti derivati, ad esempio: il Lacey Act negli Stati Uniti, l’Illegal Logging Prohibition Bill in Australia o lo European Timber Regulation (EUTR) nell’UE. Tutti i regolamenti stabiliscono che i prodotti siano verificati con la dovuta diligenza prima di essere immessi sul mercato.
Lotta al prelievo e al commercio di legno di provenienza illegale
Il Consiglio federale fissa l’entrata in vigore al 1° gennaio 2022 della modifica della legge sulla protezione dell’ambiente (LPAmb), la quale prevede il divieto di mettere in commercio legno e prodotti da esso derivati di provenienza illegale. La modifica di legge è stata approvata dal Parlamento nel 2019 e costituisce la base legale per la nuova ordinanza sul commercio di legno (OCoL), che entrerà contestualmente in vigore. Con l’OCoL, il Consiglio federale, su mandato del Parlamento, istituisce una normativa equivalente al regolamento dell’Unione europea (UE; EUTR 995/2010). Lo scopo è, da un lato, impedire che in Svizzera siano immessi sul mercato legno e prodotti da esso derivati provenienti da prelievo o commercio illegali. La lotta contro il prelievo e il commercio illegali ridurrà la deforestazione, ma anche la perdita di biodiversità, il che rappresenta un contributo alla lotta contro il cambiamento climatico. Dall’altro lato, in questo modo si eliminano gli ostacoli al commercio tra la Svizzera e l’UE.
Gli operatori del mercato sono tenuti alla dovuta diligenza
L’aspetto centrale dell’ordinanza è l’obbligo di diligenza per chi commercializza per la prima volta legno e prodotti da esso derivati, i cosiddetti operatori, i quali devono poter dimostrare di aver valutato sistematicamente i rischi e, ove presenti, di averli ridotti a un livello trascurabile. A tal fine, devono allestire, applicare e aggiornare regolarmente un sistema di dovuta diligenza.
I commercianti, i quali acquistano o vendono legname già immesso sul mercato, devono documentare da quali fornitori hanno acquistato il legno o i prodotti da esso derivati e a quali acquirenti li hanno rivenduti. Questa tracciabilità deve consentire di identificare gli operatori.
Anche i proprietari di bosco, che raccolgono legno nei boschi svizzeri, sono soggetti a questa normativa. Essi possono presumere che l’autorizzazione di utilizzazione prevista dalla legislazione forestale, di competenza dei Cantoni, ed eventuali altri documenti approvati per l’utilizzazione (ad es. un piano aziendale) contengano le informazioni necessarie. Di conseguenza sono tenuti a conservare queste informazioni attestanti la «raccolta legale». La valutazione e l’attenuazione del rischio sono di regola soddisfatte con le attestazioni summenzionate.
L’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) è responsabile del controllo degli operatori e dei commercianti, mentre i Cantoni sono responsabili del controllo dei proprietari di bosco.
In cosa consiste la dovuta diligenza
Chi per la prima volta immette sul mercato svizzero legno o prodotti da esso derivati, è tenuto a garantire che il legname sia stato raccolto e commercializzato legalmente. Per dimostrarlo, gli operatori del mercato allestiscono un sistema di dovuta diligenza, preferibilmente da subito. Qui di seguito sono riportati gli elementi necessari per l’allestimento.
Obbligo di diligenza
Esecuzione e controllo
L’esecuzione spetta in gran parte all’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM), il quale si concentra soprattutto sulle aziende che importano volumi elevati di legname da Paesi a rischio, mentre i Cantoni si occupano del legname raccolto nei boschi svizzeri.
Esecuzione e controllo
Domande frequenti (FAQ)
Cosa comporta la nuova normativa e chi è interessato? Qui sono riportate le risposte alle domande più importanti.
Domande frequenti (FAQ)
Newsletter «Commercio legale di legname in Svizzera»
L’UFAM informa gli operatori, i commercianti e altri soggetti interessati in merito a progressi, pubblicazioni ed eventi rilevanti sul regolamento per il legno.
Iscrizione
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Obbligo di dichiarazione per il legno e i prodotti del legno in Svizzera
In Svizzera, l’obbligo di dichiarazione per il legno e i prodotti del legno è in vigore dal 2010 (RS 944.021). La relativa ordinanza obbliga i venditori di legno e prodotti del legno a fornire ai consumatori informazioni trasparenti sulla specie e sull’origine del legno (Paese di produzione del legname).
Ufficio federale del consumo (UFDC): Dichiarazione del legno
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Ulteriori informazioni
12.05.2021
Il Consiglio federale approva ordinanze nel settore ambientale
07.12.2018
Lotta al disboscamento illegale: il Consiglio federale propone una modifica di legge
Legge federale sulla protezione dell’ambiente
Seleziona la versione dal 01.01.2022
Legge federale sulla protezione dell’ambiente (Legge sulla protezione dell’ambiente, LPAmb) - Modifica del 27 settembre 2019 (PDF)
Progetto della Commissione di redazione per il voto finale
Messaggio concernente la modifica della legge federale sulla protezione dell'ambiente
(Divieto di mettere in commercio legname ottenuto illegalmente)
Ordinanza sulla messa in commercio del legno e dei prodotti da esso derivati
(Ordinanza sul commercio di legno, OCoL)
Commento concernente l’ordinanza sulla commercializzazione del legno e dei pro-dotti da esso derivati (Ordinanza sul com-mercio di legno, OCoL) (PDF, 730 kB, 12.05.2021)
Ufficio federale del consumo (UFDC): Dichiarazione del legno
European Union EU: Timber Regulation
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Carlo Angelo Tosi e Lino Gabriel Del Sarto hanno condiviso un post.
Gianmarco Volpe
Mille anni che sta lì
Dice: bisogna capire le ragioni dell’altra parte. E capiamole, allora, ma sul serio. Dice: questa guerra non è iniziata adesso. Sì, ma manco nel 2014. Né nel 2008. E nemmeno nel 1991. Se volete fare sul serio, io ci sto.
E quindi partiamo da Pietro il Grande.
A cavallo tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, è il primo zar a fare del concetto di profondità strategica il principio di base della politica di difesa della Russia. L’impero, al tempo, è già sterminato e praticamente indifendibile, perché non ha barriere naturali a protezione dei suoi centri nevralgici. L’invasione da Occidente non è un pericolo ipotetico: meno di un secolo prima, dopo la morte di Ivan il Terribile e il periodo dei torbidi, i polacchi erano entrati a Mosca e vi avevano regnato un paio d’anni.
L’intuizione dello zar è di mettere quanto più terra possibile tra il Cremlino e i suoi nemici. L’impero inizia ad allargarsi verso il Baltico, verso il Mar Nero, verso il Caucaso, verso l’Asia centrale. È Pietro il Grande a portare la frontiera fino al Mare d’Azov e fino al fiume Dnipro in Ucraina. La profondità strategica, con l’aiuto del generale inverno, consente alla Russia di salvarsi dall’offensiva di Napoleone nel 1812 e da quella di Adolf Hitler nel 1941. Resta infatti concetto centrale della politica di sicurezza anche per l’Unione sovietica, che non a caso due anni prima dell’operazione Barbarossa scendeva a patti con la Germania nazista per spartirsi il territorio della Polonia; e che non a caso, durante gli anni della Guerra fredda, non esita a inviare i carri armati a Budapest e a Praga per assicurare la tenuta del Patto di Varsavia.
Il problema per Mosca è che, quando incorpori nuovi territori, incorpori anche nuove nazionalità. I sovietici, fin dai primi anni, tentano di sedare le spinte centrifughe nazionaliste con rudi esperimenti di ingegneria demografica e disegnando confini per così dire fantasiosi, che ancora oggi non mancano di alimentare conflitti in tutta l’area post-sovietica. Ma per tenere insieme il baraccone serve una salda ortodossia ideologica, una forza militare schiacciante e la promessa di un miglioramento delle condizioni di vita di tutte le popolazioni dell’Unione. L’Urss collassa nel 1991 per effetto del venir meno di tutti e tre questi elementi, dando vita a una costellazione di Stati indipendenti che, nella gran parte dei casi, immaginano di costruire il proprio futuro sul modello politico ed economico proposto dall’Occidente, quello uscito vincitore dalla Guerra fredda.
Quando Vladimir Putin definisce il crollo dell’Unione sovietica “la più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo” non lo fa perché è un nostalgico del socialismo reale, ma perché è consapevole che nel 1991 Mosca ha perso la sua profondità strategica. Già la Russia di Boris Eltsin tenta di chiudere i cancelli dando vita alla Comunità degli Stati indipendenti (Csi), che però non riesce mai a dotare di una politica estera e di difesa comune. I buoi sono già scappati e Eltsin non ha la forza politica ed economica per andare a recuperarli. Nel 1997 Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldova danno persino vita a un’organizzazione regionale parallela che si chiama Guam, dalla quale la Russia è esclusa. È questo il periodo del grande allargamento dello spazio Nato, che – temo vada sempre ricordato – non è una potenza, ma un’alleanza militare alla quale si aderisce volontariamente. Sul rapporto Nato-Russia non mi dilungo, perché l’ho già fatto il 26 febbraio qui su Facebook.
Quando arriva al potere, nel Duemila, Putin incarna il senso di umiliazione e d’insofferenza che la sua generazione – una generazione cresciuta nell’epoca della dottrina brezneviana, nel mito dell’espansionismo sovietico e i cui padri avevano resistito a Stalingrado e liberato Berlino – che la sua generazione, dicevo, vive nelle macerie fumanti dell’impero. È un uomo del Novecento, sì, ma è soprattutto un leader russo e come un leader russo disegna la sua politica estera. Mette subito in chiaro che il disegno strategico che persegue punta dritto a mettere in discussione l’ordine mondiale emerso dalla Guerra fredda, a ridisegnare i confini dell’Europa. Lo fa piallando al suolo la capitale dell’ultima delle repubbliche separatiste, la Cecenia, e utilizzando ogni strumento a disposizione per richiamare all’ordine gli Stati indipendenti della galassia post-sovietica.
L’Ucraina, per ragioni strategiche, è il Paese verso cui, più d’ogni altro, si concentrano le attenzioni e le preoccupazioni di Putin. La sua esistenza è accettabile solo come Paese satellite della Russia: dista 600 chilometri da Mosca, dai Carpazi alla capitale russa è aperta pianura, e a Sebastopoli, nella Crimea ucraina, c’è la principale base navale russa sul Mar Nero. Nel 2004, quando si avvicinano le elezioni, il candidato filoccidentale alla presidenza, Viktor Yushchenko, viene avvelenato con la diossina, sopravvive ma ne porterà i segni sul volto per tutto il resto della sua vita. Tra il 2006 e il 2009, con lo stesso Yuschenko al potere, Gazprom interrompe ogni anno le forniture di gas in pieno inverno. Non sorprende che nel 2010 vada al potere un leader ben disposto verso Mosca, Viktor Yanukovic, il quale però tenta un gioco pericoloso di equilibrismo: tratta l’Accordo di associazione con l’Unione europea, poi si tira indietro quando arrivano cospicui assegni dalla Russia. Il resto è storia recente: la protesta dell’Euromaidan, gli spari sulla folla, le infiltrazioni di estrema destra, Yanukovic che viene esautorato dal parlamento e scappa dal Paese, l’annessione della Crimea, il conflitto a bassa intensità nel Donbas.
Non bisogna perdere di vista il quadro più ampio. L’invasione dell’Ucraina è un piano pronto da tempo: non è una reazione, non è una risposta, non è una rappresaglia. Putin ritiene fondamentale colpire per primo e colpire duro, come teorizza scavando nell’aneddotica della sua infanzia a Leningrado e ricordando di quando andava a caccia di topi e uno di questi, stretto all’angolo, approfittò di un’esitazione del piccolo Vladimir per saltargli addosso e trovare una via di fuga. Il 12 luglio 2021 il leader russo pubblica un lungo articolo che s’intitola “Sull’unità storica tra russi e ucraini” (lo linko nei commenti): ha già deciso d’invadere l’Ucraina.
Perché proprio ora? Per quattro ragioni fondamentali. La prima è che nel 2021 i prezzi di gas e petrolio sono raddoppiati in maniera inattesa, e garantiscono alla Russia un flusso di cassa extra per finanziare l’avventura militare. La seconda è che la guerra in Siria è ormai finita e Mosca può permettersi di aprire un nuovo fronte. La terza è che, nell’analisi del Cremlino, il blocco occidentale è diviso: gli Stati Uniti, debilitati dalla disastrosa transizione Trump-Biden, guardano quasi solo al Pacifico, e l’Europa è l’Europa, per di più in convalescenza da uno dei più gravi shock finanziari della sua storia. La quarta è che Putin è convinto di trovare sponda in Cina e di potersi quindi permettere di rompere con l’Occidente: Xi Jinping ha bisogno oggi più che mai del gas e del petrolio russo per accelerare la crescita economica, e avrà bisogno in futuro di un alleato che gli copra le spalle quando toccherà a lui invadere Taiwan.
Alcuni punti importanti:
• Putin non vuole la neutralità dell’Ucraina: in tal caso il conflitto si sarebbe già concluso, o più probabilmente non sarebbe mai iniziato. Putin vuole terra: l’Ucraina intera o, se dovrà accontentarsi, la sua metà fino al fiume Dnipro.
• Non si fermerà fino a quando non sarà in grado di portare a casa un risultato in grado di consolidare il suo potere e il suo consenso interno, inevitabilmente intaccato dal crollo delle condizioni di vita dei russi provocato dalle sanzioni. È ingenuo pensare che possa sedersi ora al tavolo dei negoziati.
• La Russia non vincerà mai questa guerra. L’ha già persa sul piano mediatico, rischia di perderla persino sul piano militare (il blitzkrieg è già fallito, la guerra casa per casa avvantaggia gli ucraini e il tempo gioca contro gli occupanti) e la perderà certamente sul piano politico (se anche dovesse prender Kiev, a che costo potrà controllarla?).
• La nostra capacità d’incidere sugli eventi è limitata, benché distorta dalla nostra tendenza a sentirci il centro del mondo. Dobbiamo invece abituarci a un pianeta che sempre più gira indipendentemente dalla nostra volontà e dalle nostre responsabilità. Vedete: un secolo fa l’Europa rappresentava il 30 per cento della popolazione della Terra, oggi tra il 7 e l’8 per cento. Nel 1975, quando nacque, il G7 raccoglieva l’80 per cento della ricchezza mondiale, oggi non arriva al 50. Ci sono nuovi protagonisti, nuovi scenari, nuovi centri gravitazionali. È un pensiero arrogante quello che ci porta a credere che tutto dipenda da noi, dalle nostre scelte o dalle nostre inazioni.
• Ci sono anche nuovi e vecchi imperialismi, e bisognerebbe imparare a riconoscerli prima che ci piovano le bombe in sala da pranzo. Anche se mi rendo conto che esiste una parte di questo Paese - in quel territorio oscuro nel quale s’intrecciano destra e sinistra e nel quale la necessità di posizionarsi contro il Pensiero Unico®️ sovrasta quella di cercare la verità e di abbracciare la complessità delle cose, ma anche di provare una naturale compassione per le vittime e per gli oppressi – che sarebbe disposto ad appoggiare qualunque despota, anche il più sanguinario, purché fieramente anti-occidentale.
Putin non è pazzo, piuttosto è il prodotto paranoico di una cultura paranoica. Ma è sempre stato questo. Sta invecchiando, e questo lo porta ad affrettare delle scelte che in altri tempi avrebbe ponderato più a lungo. È solo, e quindi non ha nessuno intorno che lo avverta che sta facendo una cazzata. Ma la traiettoria che lo porta a invadere l’Ucraina è la stessa lungo la quale si è mossa la sua intera carriera politica. È sempre stato tutto lì, davanti ai nostri occhi. Solo che non l’abbiamo voluto vedere. Putin oggi vuol terminare un lavoro iniziato quasi vent’anni fa. O, se vogliamo, mezzo millennio fa.
Carlo Angelo Tosi
IS17peuttri al6mo0sloure 14:3ec4 ·
OGGI E' IL MOMENTO DI BATTERE SUL CHIODO
E' paradossale che esistano mentalità così arcaiche (l’articolo lo racconta) e non è la sola quella di Putin. Il Mondo sta viaggiando verso gli anni 3000, se mai ci arriverà. Non ci arriverà se si continua a percorrere la “striscia rossa”, come l'ho definita a conclusioni dei miei studi storici. La "La Lunga Linea Rossa di Sangue". Eppure, ci sono stati saggi, uomini e non dei che hanno indicato l'ipotesi alternativa. La verità è più semplice di tutte le palle. C'è un unico Paradiso, è "qui, ora e adesso" come ha scritto un mio caro amico e teologo. Spetta a noi realizzarlo e per farlo dobbiamo smetterla di seguire la strada sbagliata. Nulla è impossibile per l'umanità, anche l'abbandono delle armi e la messa al bando delle guerre, delle nazioni e di tutte le sconcezze e oscenità di cui continuiamo a cibare il potere. Dobbiamo smetterla di farci opprimere dalla mancanza di una visione superiore dei peggiori. Spetta a ognuno di noi ribellarsi, come ha fatto Marina Ovsyannikova e molti come lei. Dobbiamo smetterla di farci turlupinare da chi pretende di guidare l'umanità. Noi tutti possiamo viaggiare verso un futuro migliore di quello che ci raccontano. Dobbiamo volerlo con tutte le forze.
Da fb del 16 marzo 2022
PS: loro pensieri e ricordi in cui io non entro.
Arlecchino:
Macron, Francia sia pronta ad una guerra di alta intensità
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