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Lucio Caracciolo: “Il dramma di una guerra senza senso”

A distanza di vent’anni dall’attacco alle Torri gemelle il direttore di “Limes” sottolinea l’insensatezza della “guerra al terrorismo”. E sull’esercito unico europeo commenta: “Un’idea che non sta in piedi”.

Cinzia Sciuto 9 Settembre 2021

L’11 settembre di venti anni fa molti di noi, scioccati davanti alla tv, hanno pensato “niente sarà più come prima”. Neanche un mese dopo gli Stati Uniti lanciavano la loro offensiva contro il regime dei talebani in Afghanistan, dove si nascondevano alcuni degli esponenti di al-Qaida, l’organizzazione terroristica islamica individuata come responsabile degli attentati alle Torri Gemelle. Venti anni dopo, al governo dell’Afghanistan ci sono di nuovo i talebani. La sensazione che questi vent’anni non siano serviti a nulla è forte. Che cosa abbiamo fatto, o forse è meglio dire: cosa non abbiamo fatto in questi 20 anni in Afghanistan?
Inizierei tornando indietro all’alba di quell’11 settembre 2001, qualche ora prima dell’attentato. In quel momento gli Stati Uniti d’America erano l’unica superpotenza al mondo, senza rivali, convinti di essere sul tetto del mondo. Si sentivano in una condizione di serenità rispetto a possibili aggressioni. Un’ora dopo cambia tutto, ed è uno shock terrificante. Non solo per l’evento in sé, ma soprattutto perché quell’evento ha innescato una sensazione di panico fino ad allora sconosciuta negli Usa: nei giorni successivi, nei mesi successivi gli americani hanno vissuto con la paura quotidiana di nuovi attacchi, magari anche con delle armi chimiche, biologiche o addirittura nucleari. C’era un’atmosfera di tregenda. È stato quello shock, da cui gli americani si sono solo parzialmente ripresi, a condurli a quella che loro chiamano la “war on terror”, la guerra al terrore, al terrorismo. Che è una guerra priva di logica, priva di strategia. Le guerre si fanno per fare la pace in condizioni più vantaggiose di quando le si sono cominciate. Non si può fare una guerra a un metodo bellico come il terrorismo (metodo che, detto per inciso, è utilizzabile da chiunque, compresi gli Stati Uniti, a seconda delle necessità). In realtà la guerra al terrorismo aveva un sottotesto: era in parte pensata e comunque percepita come guerra all’Islam. Tanto è vero che Bush in uno dei suoi primi discorsi parlò addirittura di “crociata”, per poi mordersi la lingua. Questo è un tema che risale fino ai tempi della nascita dell’Islam e che ci porteremo appresso per sempre. Ossia questa idea che la nostra condizione di occidentali sia anche per certi aspetti definita in chiave anti-islamica. Più specificamente, in questi vent’anni gli americani si sono trovati impegnati in campagne prive di senso strategico, prima in Afghanistan poi in Iraq poi in altri interventi – penso per esempio alla Libia, caso particolarmente significativo per noi – in cui hanno perso moltissimi uomini, e hanno ammazzato moltissimi uomini. Prendendo solo il caso afghano, ufficialmente gli americani hanno avuto più di 7mila caduti. Parlo di soldati regolari, perché poi c’erano anche i cosiddetti contractors, le cui cifre non le avremo mai precisamente. Ma il dato sconvolgente è che ci sono stati più di 30.000 caduti per suicidio al rientro: oltre quattro volte di più di coloro che sono morti sul campo. Si tratta di soldati che non riuscivano a trovare un senso per quello che stavano facendo. E questo vale anche per noi italiani che abbiamo avuto 54 morti e più di 700 feriti. È difficile trovare un senso a quello che abbiamo fatto ed è questo il vero dramma di una guerra che a mio avviso continuerà in maniera sottile, subliminale ancora per molto.
Un segnale del fatto che questa guerra non è affatto finita è arrivato il 27 agosto: subito dopo l’attacco all’aeroporto di Kabul da parte di Isis K c’è stata la reazione americana, con un drone che ha ucciso anche diversi bambini. È questo il modo migliore per combattere il terrorismo? Non abbiamo imparato nulla?
Biden ha risposto a quella che lui ha percepito come una richiesta profonda della società americana, la richiesta di vendetta. La stessa che veniva dopo l’11 settembre, in quel caso ancora più profonda naturalmente vista la spettacolarità dell’attacco. Gli americani sono un popolo piuttosto violento ed era impensabile che di fronte a un attacco come quello dell’11 settembre facessero finta di nulla. Certo, razionalmente quello che andava fatto non era certo una guerra, ma rispondere con delle operazioni di intelligence e di polizia internazionale andando a prendere i mandanti e gli esecutori di quella strage, invece di prendersela con gli afghani la cui unica colpa era quella di ospitare sul proprio territorio terroristi di al-Qaida, che in realtà i talebani avrebbero voluto cacciare. I membri di al-Qaida erano in gran parte sauditi e pachistani. Il problema è che gli Stati Uniti ovviamente non potevano fare la guerra all’Arabia Saudita e al Pakistan, due Paesi fondamentali dal punto di vista americano in quell’area, e quindi hanno ripiegato sulla soluzione apparentemente più facile: andare in un paese praticamente inesistente dal punto di vista militare, fare una grande operazione, per poi tornarsene a casa. Invece sono rimasti molto più del previsto e in questo una responsabilità ce l’abbiamo anche noi perché sono stati gli alleati europei a un certo punto, per farsi notare dagli americani e far capire che esistono anche loro, ad andare sul terreno rivoltando quella che a quel punto poteva essere tranquillamente una missione conclusa, in una missione direi coloniale, cioè di redenzione di un popolo per portarlo verso standard occidentali. Quanto di ipocrisia e quanto di buona volontà ci sia stato in questo non lo so, ma certamente è stato uno dei motivi per cui gli americani sono rimasti lì 20 anni.
Dopo il ritorno dei talebani si discute se e quanto siano cambiati: lei come la vede?
Qualcosa in vent’anni ovviamente è cambiato, sono successe molte cose, tra cui il contatto tra l’Afghanistan e il resto del mondo, anche se certo si è trattato di un contatto limitato perché quando parliamo di Afghanistan parliamo essenzialmente di Kabul, mentre il grosso della popolazione sparsa per questo grande Paese vive in condizioni molto peggiori rispetto a chi vive nella capitale. Una delle cose che certamente è cambiata è che il nuovo governo afghano, in cui ci sono clamorosi terroristi come il ministro dell’Interno Sirajuddin Haqqani, è costretto a ostentare un volto più moderato, e forse anche a praticarlo, semplicemente perché ha bisogno degli aiuti internazionali per poter tirare avanti. Quando si passa dalla condizione di guerrigliero terrorista alla condizione di ministro qualcosa cambia per forza.
Adesso che i talebani hanno annunciato anche la presa del Panshir pare non ci sia più nessuna resistenza nel Paese. Possiamo parlare di una situazione interna stabile?
In un Paese che di fatto non esiste e in cui gruppi etnici, culturali e politici si contrappongono da sempre l’uno all’altro è impossibile immaginare una pacificazione totale. L’Afghanistan ha sempre funzionato e continuerà a funzionare con una sorta di sindaco di Kabul che fa il presidente della Repubblica e il capo del governo e i vari signori del territorio, o meglio della guerra, o meglio ancora dell’oppio, che controllano singoli territori e se li contengono. Il problema è se questa competizione fra signori della guerra può essere tenuta sotto un certo livello di violenza oppure no. Attualmente non vedo all’orizzonte una guerra civile come quella che scoppiò dopo il primo avvento dei talebani. Forme di violenza e di guerriglia saranno inevitabili in un Paese così armato come l’Afghanistan (armato dagli americani che gli hanno mollato gran parte degli armamenti), ma non penso che saranno tali da destabilizzare questo molto peculiare ordine che si è venuto a creare.
Vent’anni fa i talebani sono stati attaccati perché in qualche modo protettori di al-Qaida. Oggi in che rapporti stanno con l’organizzazione fondata da Osama bin Laden?
In verità i talebani non sono mai stati in ottimi rapporti con al-Qaida, anche quando andarono al governo per la prima volta nel 1996. La consideravano un pericolo perché, a differenza loro che sono interessati unicamente all’Afghanistan (o meglio ai territori afgani, perché l’Afghanistan non esiste), al-Qaida era ed è interessata al resto del mondo per sovvertirlo. Dobbiamo tenere a mente che non esiste un fondamentalismo islamico tout court. Esistono diversi modi di interpretarlo e questi modi sono tendenzialmente conflittuali visto che il mondo islamico è percorso da una quantità di conflitti, di tensioni quando non di vere e proprie guerre che coinvolgono islamici di una tendenza o di un’altra. Qualcuno legge queste tensioni soprattutto in chiave di contrapposizione fra sunniti e sciiti, ma anche questa è una semplificazione. Insomma l’Islam come soggetto unitario non è mai esistito nemmeno gli esordi, figuriamoci oggi che non è più tempo di califfi.
Se alcune delle frange del fondamentalismo islamico hanno mire universali, quanto è concreta la minaccia per l’Europa e l’Occidente?
Le strutture deputate al controllo e alla repressione del terrorismo fanno abbastanza bene il loro mestiere. L’opinione pubblica, finché non viene colpita e impaurita da attentati, tutto sommato anche. Il problema è che ora la questione del terrorismo islamico si connette, anche per iniziativa di certi gruppi politici e culturali, a quella migratoria. Per cui il problema non è più tanto percepito come la paura di un attentato quanto nei termini di “questi ci invadono”, “ci rubano casa”, “vengono a imporre la loro legge a casa nostra” e questo può diventare un motivo serio non tanto di scontro fra “loro” e “noi” quanto di disgregazione del tessuto sociale e istituzionale dentro i nostri paesi. Il presidente Macron parla di separatismo, intendendo il fatto che in Francia esistono dei territori molto importanti e molto vasti – basti pensare alla città di Marsiglia o a certe periferie di Parigi neanche tanto lontane dal centro – che sono di fatto insediamenti di popolazioni mal radicate nel territorio francese che vivono autosegregate, e in parte anche segregate, rispetto al resto della nazione. Di fronte a questo problema Macron ha bisogno di apparire come uomo forte per guadagnare popolarità in un’opinione pubblica che è molto scossa e anche molto “reattiva”. Io temo però che si tratti di una questione che non può essere risolta con un atteggiamento da campagna elettorale o con semplici dichiarazioni, ma solo attraverso una capacità di filtrare e gestire i flussi migratori, che per Paesi in declino demografico sono in parte inevitabili e in parte però superiori al necessario, ma che in ogni caso non possono avvenire in modo caotico e incontrollato. Questa è un’operazione innanzitutto culturale che dovrebbe investire le nostre società fin dalla scuola per poi risalire fino alle strutture di governo, di intelligence e di sicurezza. Perché o ci abituiamo a convivere con questa realtà migratoria e a gestirla per quanto possibile oppure fenomeni di guerra civile a bassa intensità, che sono già individuabili, potrebbero diventare pericolosi. Non tanto in termini di “guerre di religione” quanto piuttosto di sfaldamento delle nostre società.
In un’intervista al Corriere della Sera il sottosegretario ai Servizi Segreti e alla Sicurezza Franco Gabrielli alla domanda se pensa che ci saranno nuove guerre risponde: “Non sono auspicabili perché è vero che la democrazia non si esporta con la forza. Tuttavia negare che i diritti e le libertà si possano difendere anche con la forza significherebbe rinnegare l’aiuto ricevuto dagli eserciti alleati nella guerra di Liberazione da cui è nata la nostra Repubblica”. Le sembra sensato questo richiamo alla guerra di Liberazione dell’Italia dal regime nazifascista?
Penso che sia un modo per dire che non possiamo semplicemente dichiarare la pace eterna, che dobbiamo essere pronti a qualunque situazione, e tanto più deve esserlo un signore che fa il mestiere di Gabrielli. Non si tratta certo di un incitamento ad armarsi e scendere in campo, ma semplicemente di un invito a essere consapevoli del fatto che la pace non è un regalo eterno, ma è qualcosa che deve essere preservato. Il fatto che noi italiani ormai, per fortuna, da almeno tre generazioni siamo emancipati da questo rischio ci induce a pensare che la pace sia un bene eterno o comunque assicurato almeno per le nostre vite e quelle dei nostri figli. Ma non è così, quindi questo richiamo mi pare pertinente.
In questi giorni si parla molto di un esercito europeo unico. Da un lato c’è chi lo ritiene un elemento di forza dell’Europa, dall’altro invece chi pensa che paradossalmente un interlocutore unico sarebbe più subalterno agli Stati Uniti di quanto lo siano i diversi Stati con i propri interessi nazionali. Cosa ne pensa?
Facciamo l’ipotesi che domani il Consiglio europeo decida di formare un esercito unico e quindi mette insieme 27 eserciti. A parte che sarebbe interessante capire in che lingua parlerebbero i soldati fra loro, ma mettiamo che ci sia da fare una guerra contro la Russia. Siamo sicuri che un baltico o un polacco la vivrebbe come un italiano o un tedesco o un francese? Per fare invece un esempio non astratto ma reale, se in Libia fosse andato un esercito europeo avrebbe ricevuto ordini completamente diversi a seconda che fosse stato comandato da un italiano, da un francese o da un danese. Insomma, quella dell’esercito unico è un’ipotesi che non sta in piedi perché manca il soggetto politico. Si possono formare delle bande mercenarie, ma non un esercito vero e proprio se non c’è un potere politico che lo legittima, lo comanda, lo autorizza: se non sei uno Stato non puoi avere un esercito. E attualmente non vedo questa possibilità all’orizzonte. Per definizione questa organizzazione che è l’Unione europea non ha dei limiti, siamo partiti in 6 e, senza neanche capire bene secondo quali criteri, siamo diventati 27: difficile immaginare che una realtà del genere possa darsi una struttura statuale. Un esercito europeo si potrebbe fare dopo aver fatto la terza guerra mondiale e aver stabilito chi comanda in Europa, cosa naturalmente che nessuno auspica. Altrimenti non vedo come si possano spontaneamente tenere insieme culture, interessi, punti di vista, popoli così diversi come quelli europei. Quello che invece è perfettamente possibile è che, preservando la propria quota di sovranità e i propri interessi, alcuni paesi si mettano d’accordo, anche con un certo grado di integrazione fra le rispettive forze armate, per fare delle missioni insieme. Ben sapendo comunque che in ultima analisi la loro capacità operativa, almeno per i prossimi dieci o vent’anni, è strettamente legata alla disponibilità americana a sostenerli.


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Da - https://www.micromega.net/11-settembre-2001-terrorismo-intervista-lucio-caracciolo/

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Buongiorno! Sono David Carretta e questa è Europa Ore 7 di venerdì 22 ottobre,
realizzato con Paola Peduzzi e Micol Flammini, grazie a una partnership con il Parlamento europeo.

In quello che probabilmente è il suo ultimo Consiglio europeo, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, è riuscita ad evitare una resa dei conti sullo stato di diritto con la Polonia, frenando l'azione della Commissione di Ursula von der Leyen nonostante la richiesta esplicita del premier olandese, Mark Rutte, di non dare il via libera al piano di Recovery di Varsavia. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha tratto la conclusione che "il dialogo politico deve continuare per trovare soluzioni", ha spiegato una fonte dell'Ue. Anche se una maggioranza di leader ha espresso sostegno alla Commissione, dal Vertice non è arrivato un mandato esplicito a von der Leyen per aprire procedure di infrazioni, attivare il meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto, aggiornare la procedura dell'articolo 7 del trattato o bloccare i fondi del Recovery fund per la Polonia. In fondo è stata una delle molte caratteristiche dei sedici anni di regno di Merkel sull'Ue: “Kick the can down the road”. Rinviare all'infinito un problema, anche se è un problema esistenziale come lo Stato di diritto.

Il dibattito tra i capi di stato e di governo sulla sentenza del Tribunale costituzionale polacco che ha dichiarato incostituzionali due articoli del trattato è durato un paio d'ore. Il primo a prendere la parola è stato il premier polacco, Mateusz Morawiecki, che ha sostanzialmente ribadito quanto detto martedì al Parlamento europeo: la Polonia rispetta lo stato di diritto, la Corte di giustizia dell'Ue è uscita dalle sue competenze, c'è un attacco contro Varsavia per ragioni politiche. Morawiecki ha trovato solo due alleati: il premier ungherese, Viktor Orbán, e quello sloveno, Janez Jansa.

"La Polonia è il migliore paese in Europa", ha detto Orbán, secondo il quale "non c'è alcuna necessità di avere sanzioni. E' ridicolo". Jansa si è lamentato della magistratura nel suo paese, accusandola di essere politicizzata e ostile al suo governo. L'intervento di von der Leyen è stato breve. Morawiecki, la presidente della Commissione ha ribadito quel che aveva detto al Parlamento europeo: la sentenza del Tribunale costituzionale polacco è senza precedenti e l'esecutivo comunitario sta valutando le varie opzioni per rispondere. Durante il dibattito "il più duro è stato Mark Rutte", ci ha spiegato un'altra fonte dell'Ue. Ma le critiche del premier olandese sono state frenate da Merkel che, con Emmanuel Macron e Mario Draghi, ha sostenuto la linea del dialogo.

"Dobbiamo essere duri", ha spiegato Rutte. "L'indipendenza della giustizia polacca è la questione chiave che dobbiamo discutere e risolvere". Per il premier olandese, l'indipendenza della giustizia "ha a che fare con le fondamenta della nostra democrazia in questa parte del mondo. Non è negoziabile".

È "difficile immaginare come un grande quantità di denaro del Recovery fund possa essere reso disponibile alla Polonia fino a quando questo non è risolto", ha spiegato Rutte, chiedendo anche al Consiglio europeo di giocare il suo ruolo, per esempio continuando a lavorare sull'articolo 7 del trattato. "Spero che nel frattempo la Polonia prenda le misure necessarie per salvaguardare l'indipendenza della giustizia", ha spiegato Rutte.

Una decina di leader hanno detto di condividere la riflessione di Rutte, ma senza esporsi elencando le misure da adottare contro la Polonia. “La mia prima domanda al mio collega polacco è: dove vuoi arrivare? Che futuro vedi in Europa?”, ha detto il premier belga Alexander De Croo: “Se si vuole far parte di un club e approfittare dei suoi vantaggi, bisogna rispettarne le regole”. Il primo ministro irlandese, Michael Martin, ha denunciato “uno schiaffo in faccia” agli altri stati membri da parte della Polonia.
 
A parte Orbán e Jansa, nella discussione Merkel è stata la più cauta sulla Polonia. “Lo stato di diritto è una parte chiave dell'Ue, ma dobbiamo trovare possibilità per ritornare a essere uniti, perché una cascata di dispute legali davanti alla Corte europea di giustizia non è la soluzione”, ha spiegato la cancelliera in pubblico. Per Merkel, “un buon posto per discutere” di Stato di diritto, competenze nazionali, unione sempre più stretta e il modo di concepire l'Ue è “la Conferenza sul futuro dell'Europa”.

Dentro al Consiglio europeo, Merkel ha spiegato che c'è il rischio di arrivare a una rottura con i paesi dell'est con “conseguenze irreversibili”, ci ha raccontato la nostra seconda fonte. Macron e Draghi hanno espresso sostegno alla Commissione ma – secondo altri diplomatici – si sono schierati nel campo dei reticenti alla linea dura sulla Polonia. Risultato: von der Leyen potrebbe decidere di rinviare l'attivazione del meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto.

A proposito di Polonia, ieri il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione dopo il dibattito in plenaria di martedì con Morawiecki. I deputati europei hanno definito il tribunale costituzionale illegittimo e inadatto a interpretare la Costituzione, perché per le interferenze del governo è diventato "uno strumento per legalizzare le attività illegali delle autorità".

Il Parlamento ha chiesto di bloccare i fondi comunitari ai governi che minano in modo flagrante, mirato e sistematico i valori dell'Ue e di proteggere il popolo polacco che rimane pro-europeo per la stragrande maggioranza. Secondo i deputati, la Commissione deve astenersi dall'approvare il piano di Recovery della Polonia. La risoluzione è stata approvata 502 voti favorevoli, 153 contrari e 16 astensioni.

Lega e Fratelli d'Italia hanno votato contro, prendendo le difese del PiS polacco. In un editoriale il Foglio spiega che il voto di Lega e Fratelli d'Italia è contro gli interessi dell'Italia e mostra la pavidità dei partiti anti-europeisti che hanno smesso di promuovere le “exit” ma si nascondono dietro al nazionalismo giuridico polacco.

Più di quattro ore di negoziati al Vertice sull'energia - Ci sono volute più di quattro ore di discussioni e un altro paio di negoziati per arrivare ad un accordo sulle conclusioni del Consiglio europeo sull'aumento del prezzo dell'energia. Andrej Babis, il primo ministro uscente della Repubblica ceca, ha insistito su una richiesta di introdurre delle misure per limitare il prezzo delle quote di emissioni nell'ambito del sistema Ets. Il pretesto? L'accusa lanciata dalla Spagna di speculatori che fanno salire il prezzo del carbonio. In realtà la Commissione ha già spiegato che non ci sono prove di speculazione sul mercato degli Ets. Il Consiglio europeo ha dato il suo avallo alla proposta della Commissione di affidare uno studio all'Esma e deciso di tornare sulla questione a dicembre.

Orbán accusa Timmermans di voler uccidere la classe media - Il tema degli Ets è comunque caldissimo, in particolare dopo la proposta della Commissione nel pacchetto “Fit for 55” di allargare il sistema a famiglie e consumatori introducendo quote di emissioni per riscaldamento domestico e trasporti su strada. Il premier ungherese, Viktor Orbán, ha lanciato un attacco frontale contro il vicepresidente responsabile del Green deal, Frans Timmermans. “Ciò che propongono Timmermans e altri ucciderà la classe media in Europa. E la chiave per la democrazia europea è la classe media”, ha detto Orbán: “Utopie e fantasie ci uccidono”. Secondo il premier ungherese “includere le auto, il traffico su strada e gli appartamenti nel sistema Ets” significa mettere “le famiglie in ginocchio. Non fatelo”.

Al Vertice Draghi sotto pressione sui movimenti secondari dei migranti - Il Consiglio europeo oggi dibatterà di migrazione e digitale. Nei piani di Charles Michel, il dibattito sui migranti dovrebbe essere consensuale: i leader erano stati invitati a concentrarsi sull'uso dei migranti da parte del presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenka, contro l'Ue e sulla dimensione esterna con la richiesta alla Commissione di concretizzare (finanziariamente) i piani di azione per i paesi di origine e transito. Ma, come spieghiamo sul Foglio, potrebbe esserci una sorpresa sgradevole per l'Italia: Paesi Bassi, Austria, Danimarca, Svezia e forse Germania vogliono mettere pressione su Mario Draghi di fermare i movimenti secondari.

Il Parlamento congela i fondi di Frontex - Il Parlamento europeo ha chiesto di congelare una parte del bilancio di Frontex per il 2022 a causa del presunto coinvolgimento dell'agenzia dei guardia-frontiera dell'Ue in respingimenti e altre violazioni dei diritti fondamentali. La raccomandazione di concedere il discarico (la procedura di verifica dei deputati sulle spese del bilancio dell'Ue) a Frontex per la gestione del bilancio 2019 è stata approvata con 558 voti favorevoli, 82 contrari e 46 astensioni. Nel testo della risoluzione di accompagnamento, i deputati riconoscono gli sforzi in corso di Frontex per porre rimedio ad alcune carenze, ma chiedono che parte del bilancio del 2022 sia congelato e reso disponibile solo quando l'agenzia avrà soddisfatto una serie di condizioni specifiche. Tra queste, l'assunzione dei restanti 20 osservatori dei diritti fondamentali e di tre vice-direttori esecutivi, la creazione di un meccanismo per la segnalazione di incidenti gravi alle frontiere esterne dell'Ue e un sistema di monitoraggio dei diritti fondamentali pienamente funzionante. Durante l’adozione della posizione sul bilancio dell'Ue per il 2022, i deputati hanno messo in riserva 90 milioni di euro (il 12 per cento degli oltre 750 milioni allocati all'agenzia) del budget di Frontex per il prossimo anno.

Nel 2022 il Parlamento vuole un bilancio focalizzato sulla ripresa - Il Parlamento europeo ieri ha votato la sua posizione per i negoziati con i governi sul bilancio dell'Ue del 2022. I deputati hanno annullato la maggior parte dei tagli effettuati dal Consiglio (1,43 miliardi di euro in totale), riportando il progetto di bilancio al livello originariamente proposto dalla Commissione (172,5 miliardi di pagamenti e 171,8 miliardi di impegni). I deputati hanno proposto di aumentare i finanziamenti per diversi programmi e politiche legati alla ripresa post-pandemia. Tra questi, il programma di ricerca Horizon Europe (+305 milioni rispetto alla proposta della Commissione), la Connecting Europe Facility (+207 milioni), e il programma LIFE per l'ambiente e l'azione per il clima (+171 milioni). Il voto di ieri dà il via a tre settimane di negoziati di "conciliazione" con il Consiglio, con l'obiettivo di raggiungere un accordo per il bilancio del prossimo anno.

Il Parlamento chiede un accordo sugli investimenti con Taiwan - Il Parlamento europeo ieri ha chiesto alla Commissione e agli stati membri di lanciare i negoziati per un accordo bilaterale sugli investimenti con Taiwan, provocando una dura reazione da parte della Cina. In una risoluzione approvata con 580 voti favorevoli, 26 contrari e 66 astensioni, i deputati hanno definito Taiwan come un partner chiave dell'Ue e un alleato democratico nell'Indo-pacifico ed espresso le loro preoccupazioni per le pressioni militari della Cina sull'isola. Il Parlamento europeo vuole relazioni più strette con Taiwan, anche se guidate dalla politica “Una Cina”. Ma per rafforzare la cooperazione, i deputati ritengono urgente lanciare una valutazione di impatto e una consultazione pubblica per un accordo sugli investimenti. I deputati hanno sottolineato l'importanza delle relazioni commerciali tra Ue e Taiwan, incluso su tecnologie come il 5G, la sanità pubblica e le forniture di semiconduttori. Il Parlamento europeo ha chiesto ai governi di fare di più per proteggere la democrazia di Taiwan dalla belligeranza militare cinese. Un'altra proposta che fa infuriare Pechino è quella di cambiare il nome dell'ufficio economico e commerciale europeo a Taiwan in “Ufficio dell'Unione europea a Taiwan”.

La Cina condanna il Parlamento su Taiwan - Pechino ha condannato la risoluzione adottata ieri dal Parlamento europeo voluta a rafforzare i legami con Taiwan, lanciando un avvertimento di “non sottovalutare la determinazione” della Cina di difendere le questioni legate alla propria sovranità. “La risoluzione (…) viola gravemente le norme fondamentali delle relazioni internazionali, il principio di “Una Cina” e gli impegni assunti da Bruxelles sulla questione di Taiwan”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin: “il suo impatto è negativo”.

La Conferenza sul futuro dell'Europa si riunisce in plenaria - A partire da oggi si riunisce a Strasburgo la plenaria della Conferenza sul futuro dell'Europa per discutere delle relazioni dei panel di cittadini che si sono tenuti nelle scorse settimane. Con la plenaria della Conferenza si insedieranno gli 80 rappresentanti dei panel europei selezionati tra un gruppo di 800 cittadini riunitisi a Strasburgo a settembre e ottobre. Inoltre, per la prima volta la plenaria discuterà dei contributi dei cittadini provenienti dalle diverse componenti della Conferenza, mentre proseguono le deliberazioni, gli eventi e il dibattito online.

Gli insegnanti italiani con i salari più bassi dell'Europa occidentale - Gli stipendi di ingresso lordi degli insegnanti in Italia sono i più bassi dell'Europa occidentale dopo Grecia e Portogallo, secondo un rapporto pubblicato ieri dalla rete Eurydice della Commissione europea. Il rapporto mostra che i redditi degli insegnanti variano in modo considerevole da un paese all'altro dell'Ue, in generale in funzione del loro livello del costo della vita. Le differenze riguardano non solo i salari di partenza, ma anche la loro evoluzione durante la carriera.

Eurostat certifica deficit e debito del 2020 - Nel 2020 il deficit pubblico dell’area euro e dell'Ue è salito rispettivamente al 7,2 e del 6,9 per cento del pil, secondo la seconda notifica dei dati provvisori per il 2020 pubblicata ieri da Eurostat. Il debito pubblico è salito al 97,3 per cento del pil per l'area euro e al 90,1 per cento dell'Ue. I livelli più alti di deficit sono stati registrati in Spagna (-11,0 per cento), Grecia (-10,1), Malta (-9,7) e Italia (-9,6). I livelli più bassi sono stati registrati in Danimarca (-0,2) e Svezia (-2,8). La ratio più alta di debito sul pil è stata registrata in Grecia (206.3 per cento), Italia (155,6), Portogallo (135,2) e Spagna (120,0). Anche Francia e Belgio hanno un debito considerevolmente superiore al 100 per cento del Pil rispettivamente con il 115,0 per cento e il 112,8 per cento. I livelli più bassi di debito sono stati registrati in Estonia (19,0 per cento) Bulgaria (24,7), Lussemburgo (24,8) e Repubblica ceca (39,7). Complessivamente 13 stati membri dell’Ue hanno un debito più alto del valore di riferimento del 60 per cento previsto dal Patto di stabilità e crescita. Nel 2020 la spesa pubblica nell'area euro è stata del 53,8 per cento del Pil, mentre le entrate sono state pari al 46,6 per cento del pil.

La fiducia dei consumatori in calo - L'indice della fiducia dei consumatori a ottobre ha registrato un calo di 0,8 punti nella zona euro collocandosi a quota -4,8, secondo la stima flash pubblicata ieri dalla Commissione. Nell'Ue a 27, l'indice della fiducia dei consumatori è sceso di 0,9 punti a quota -6,1. Per entrambe le aree l'indice rimane vicino o al di sopra dei suoi livelli pre pandemia e della media di lungo periodo.


Accade oggi in Europa
•   Consiglio europeo
•   Conferenza sul futuro dell'Europa: plenaria a Strasburgo (fino a sabato)
•   Commissione: la commissaria Ferreira a Roma interviene alla "Centesimus Annus Pro Pontifice International Conference"
•   Eurostat: statistiche sulle finanze pubbliche nel secondo trimestre del 2021; dati su debito e deficit nel secondo trimestre del 2021; conti annuali di famiglie e imprese non finanziarie nel 2020; dati su Ricerca e Sviluppo nel 2019
•   Nato: riunione dei ministri della Difesa

da Il Foglio

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Arlecchino:
Merkel a Putin: "Disumana e inaccettabile strumentalizzazione dei migranti"

La cancelliera tedesca ha telefonato al presidente russo chiedendo un suo intervento sulla Bielorussia, vista l'altissima tensione al confine polacco dove migliaia di persone stanno tentando di entrare e sono fronteggiare dall'esercito di Varsavia

aggiornato alle 13:3810 novembre 2021
 
AGI - Angela Merkel ha avuto un colloquio telefonico con Vladimir Putin. Lo riferisce su Twitter il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert: "La cancelliera ha telefonato con il presidente Putin per discutere della situazione al confine bielorusso-polacco". A detta del portavoce, Merkel "ha sottolineato che la strumentalizzazione dei migranti attraverso il regime bielorusso è disumano e inaccettabile e ha pregato il presidente Putin di intervenire" su questa situazione.
Il presidente russo ha invitato la cancelliera tedesca a stabilire un dialogo diretto con Minsk sulla crisi migratoria ai confini con la Polonia e la Lituania. Come riferisce il Cremlino in una nota, riportando i contenuti del colloquio telefonico tra i due leader, "il presidente della Federazione russa ha proposto di avviare una discussione nei contatti diretti dei rappresentanti degli Stati membri dell'Ue con Minsk".
Putin e Merkel hanno deciso di continuare i contatti su questo argomento, ha aggiunto il Cremlino, sottolineando che l'iniziativa della telefonata è avvenuta da parte tedesca. La cancelliera aveva chiesto al presidente russo di esercitare la sua influenza sul leader bielorusso, Aleksandr Lukashenko, denunciando una "strumentalizzazione" inaccettabile dei migranti.
Da - https://www.agi.it/estero/news/2021-11-10/telefonata-merkel-putin-inaccettabile-disumana-strumentalizzazione-dei-migranti-14503591/

Arlecchino:
L’identità del Popolo Palestinese, che non ha ancora raggiunto la volontà di pace, deve essere ricordata!

Con l’auspicio che si ritrovi riconosciuta e capace di farsi rispettare e rispettare, nella serenità della Pace.

ggiannig

Arlecchino:
L'ex consigliere di Trump e Obama: "L'Italia è il bersaglio della Russia"

Posta in arrivo

Arlecchino Euristico <ggianni41@hotmail.it>
dom 28 nov 2021, 15:00
a me

Fiona Hill: "Putin non usa solo gli agenti segreti o i ransomware per influenzare la politica italiana. In alcuni partiti manca consapevolezza" -

https://www.agi.it/estero/news/2021-10-30/ex-consigliere-trump-e-obama-italia-bersaglio-di-russia-14371056/

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