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Autore Discussione: MOVIMENTO 5 STELLE.  (Letto 35505 volte)
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« inserito:: Giugno 04, 2018, 06:17:40 am »

Movimento 5 Stelle, ecco clienti e conti della Casaleggio Associati svelati da Supernova

 Giovanni Bucchi PALAZZI

Che cosa c'è scritto nell'ultimo capitolo del libro scritto dall’ex collaboratore della Casaleggio Associati, Marco Canestrari, e dall’ex capo comunicazione M5S alla Camera, Nicola Biondo
“Se Silvio Berlusconi oggi avesse avuto vent’anni di meno e avesse scelto di ‘scendere in campo’ con un suo partito, probabilmente avrebbe utilizzato lo stesso schema di Grillo e Casaleggio: la rete, le società collegate, le fake news per fare profitti, le consulenze… Ridurre quel sogno di movimento popolare che era il progetto Cinque Stelle in una Forza Italia 2.0 è stato forse uno dei delitti politici più efferati di questi ultimi anni”. Sono le parole con cui termina l’ultimo capitolo pubblicato di “Supernova, come è stato ucciso il Movimento 5 Stelle”, il libro sostenuto da un progetto di crowdfunding online scritto a quattro mani dall’ex collaboratore della Casaleggio Associati Marco Canestrari e dall’ex capo comunicazione M5S alla Camera Nicola Biondo, che a inizio marzo diffonderanno l’intera opera. Al centro dell’ultimo capitolo reso pubblico, i conti dell’azienda (la Casaleggio Associati) e la mappa del suo potere.

GRILLO COME BERLUSCONI
L’avventura politica del Movimento 5 Stelle non è così dissimile da quella di Silvio Berlusconi, secondo gli autori. In entrambi i casi due leader carismatici (l’ex Cav. e Beppe Grillo) si servono di aziende proprie o a loro vicine (nel caso di Grillo l’azienda è dell’amico Gianroberto Casaleggio) per entrare nell’agone politico. Se si confronta il 1994, e allo storytelling berlusconiano che narra di un nuovo movimento fatto di persone normali estranee alla vecchia classe politica ma in realtà costruito negli uffici di Publitalia, concessionaria pubblicitaria della Fininvest, rispetto a quello schema la vera differenza – secondo Canestrari e Biondo – è “la diffusione dei nuovi strumenti di comunicazione, che hanno costi d’accesso infinitamente più bassi, e che quindi non necessitano di investimenti paragonabili a quelli del secolo scorso”. Per il resto, “la strategia seguita da Grillo per scalare il Paese è la stessa, e non ha nulla a che fare con la democrazia diretta e il contrasto ai poteri forti; ne ha molto, invece, con l’economia di relazione e l’abile amministrazione di influenze pazientemente coltivate”. Ma se Berlusconi poteva contare su ben altre risorse, “i bilanci della Casaleggio Associati non evidenziano flussi di denaro particolarmente importanti per un’azienda che occupa tra le otto e le dieci persone”. Il problema, notano gli autori, “semmai è il contrario”, perché la società finirà per “trasferire alcuni costi ad altri soggetti legati al Partito e a garantirsi vitali ricavi”.

QUEI LEGAMI CON EXPEDIA (FINO ALLA RAGGI)
Agli albori dei 5 Stelle c’è una stretta sinergia con Expedia. Il colosso mondiale del turismo online, svela Supernova, “è uno dei clienti più importanti della neonata azienda”. Quando nel 2004 viene fondata, la Casaleggio Associati produce rapporti sull’e-commerce. “Uno in particolare: quello sull’andamento dell’e-commerce in Italia, sponsorizzato da Expedia”. All’epoca, tra il 2004 e il 2009, l’ed di Expedia era l’italiano Adriano Meloni, amico di Casaleggio padre, uno che ha preso parte anche agli incontri di Gaia organizzati dal guru. “Quando se ne va da Expedia, strana coincidenza, si interrompe il rapporto economico con Casaleggio Associati. Oggi è assessore allo sviluppo economico della giunta M5S di Virginia Raggi”.

DI PIETRO? UN CLIENTE DI CASALEGGIO
Non è mai stato un alleato politico dei 5 Stelle, però Antonio Di Pietro è stato un cliente della Casaleggio Associati. E’ Grillo che lo presenta a Casaleggio nel 2005, rivelano Canestrari e Biondo. “Viene aperto il Blog di Antonio Di Pietro, graficamente molto simile a quello di Grillo, che utilizza le stesse strategie di comunicazione online: un post al giorno, scritto da Casaleggio o dal socio Luca Eleuterio e approvato da Di Pietro, e banner per diffondere le campagne del Partito”. Nel 2005 e nel 2006 Casaleggio “organizza la comunicazione elettorale di Italia di Valori, che gli affida infine anche la responsabilità tecnica ed editoriale del sito del Partito”. Sul blog dell’ex pm i credits non sono esposti (a differenza del blog di Grillo che indica chiaramente la Casaleggio Associati), tuttavia “i bilanci di Italia dei Valori rivelano che tra il 2005 e il 2010 vengono spesi per la comunicazione online e le ‘strategie digitali’ non meno di 1.800.000 euro. Soldi pubblici, derivanti dai rimborsi elettorali”. In sostanza, “mentre Idv paga, per i suoi servizi, Casaleggio Associati, Gianroberto Casaleggio, nella veste di dominus del nascente Movimento e ghostwriter di Grillo, tuona proprio contro quello stesso finanziamento pubblico ai partiti”.

DALLE BANCHE E MULTINAZIONALI ALL’EDITORIA
Che dire poi di quel sistema bancario contro il quale Grillo e i suoi lanciano strali dal blog? “Casaleggio Associati più pragmaticamente con le banche collabora”. Si va da “colossi del calibro di CartaSì e Banca Intesa, per conto delle quali l’azienda produce analisi di mercato e campagne d’informazione online” fino a sponsor come Barclaycard, Banca Sella, HiPay e (nel 2016) Poste Italiane. Discorso analogo per le multinazionali “che finanziano i portali di fake news di Casaleggio Associati, tzetze.it, la-cosa.it, lafucina.it”. “Sono fonti di reddito dell’azienda grazie alla pubblicità fornita da aziende come Google (di cui Casaleggio Associati è partner importante, come rivelato un ex dipendente a BuzzFeed.com) e Publy”, mentre “attraverso Amazon, invece, l’azienda vende i propri prodotti editoriali”.
Non c’è comunque soltanto l’e-commerce tra gli asset aziendali dell’azienda che sovraintende i 5 Stelle. Pure l’editoria è un settore che attira, con un primo tentativo di avviare una casa editrice online, l’idea di un portale per aggregare blog sparsi in rete (TzeTze) dando spazio a un’informazione alternativa. Canestrari e Biondo ripercorrono poi la collaborazione con Chiarelettere (“l’accordo prevede che il Blog intervisti e pubblicizzi alcuni titoli dell’editrice e li venda attraverso il proprio negozio online Grillorama, trattenendo una commissione”), i rapporti con il Fatto Quotidiano, il contratto con il gruppo editoriale GEMS, di cui fa parte Chiarelettere, “nel frattempo divenuto editore di Grillo e Casaleggio per alcuni libri, e che prevede la gestione di alcuni portali del gruppo e, in particolare, il blog collettivo voglioscendere.it”, con le firme di Marco Travaglio, Peter Gomez e Pino Corrias, poi trasformato in cadoinpiedi.it. C’è spazio anche per un aneddoto su Giovanni Favia, l’ex consigliere 5 Stelle in Emilia-Romagna cacciato dal Movimento dopo le parole off the records riprese da La7 il quale in realtà – raccontano gli autori – aveva già rotto con Casaleggio per non aver troncato la collaborazione con il Fatto Quotidiano (aveva un blog). Perché avrebbe dovuto chiuderla lì? Per ripicca, perché la testata aveva sviluppato quell’area del sito senza la consulenza della Casaleggio Associati. “Sorte simile – si legge nel capitolo – subiscono Daniele Martinelli, primo capo della comunicazione del Movimento alla Camera, Matteo Ponzano, che gestiva il canale web-tv La Cosa, oltre a uno degli autori di questo libro. Candidati alle parlamentarie del Movimento per le elezioni europee del 2014, vengono esclusi a votazioni aperte da una nota del Blog: ‘non sono ammessi dipendenti o collaboratori attuali o ex della Casaleggio Associati’”.

Da - http://formiche.net/2017/01/m5s-casaleggio-grillo-supernova/
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 04, 2018, 12:32:48 pm »

"Internet deve essere accessibile a tutti, serve alle imprese e alla nostra conoscenza"
Intervista a Davide Casaleggio che ad Agi racconta le strategie che l'Italia dovrebbe adottare per far crescere il mercato del digitale, l'importanza dell'accesso alla rete, e la privacy di Rousseau dove assicura: "Il Garante sarà soddisfatto del nostro lavoro"

Di ARCANGELO ROCIOLA 25 maggio 2018, 11:37
"Internet deve essere accessibile a tutti, serve alle imprese e alla nostra conoscenza"

DAVIDE CASALEGGIO STARTUP DIGITALE ECOMMERCE VENTURE CAPITAL
Nessun accenno alla politica, né al governo. L’unica eccezione è una breve dichiarazione alle telecamere dove dice solo: "Sono molto contento che si sia sbloccata questa situazione e sono sicuro che Giuseppe Conte sarà all’altezza della situazione. Gli faccio un grande augurio di portare avanti il suo compito con serietà e professionalità, che penso abbia". Ma a margine della presentazione del suo rapporto sull'e-commerce in Italia, Davide Casaleggio, 42 anni, amministratore delegato della Casaleggio Associati e titolare dell'associazione proprietaria della piattaforma Rousseau, si lascia avvicinare per qualche minuto e si concede a qualche domanda. Non su questioni politiche, ma solo scenari sul mercato del digitale in Italia che per Casaleggio ha un grande potenziale. E dal suo osservatorio traccia alcune direttrici per farlo esprimere appieno.

Non c'è digitale senza Internet, e nel programma del cambiamento del prossimo governo si parla di Internet gratuito per tutti, è fattibile?

"Credo che Internet debba essere accessibile a tutti, è un bene fondamentale, come l'acqua. Senza Internet non potremo sviluppare né la nostra conoscenza personale, né le nostre imprese. E legato al tema del diritto di accesso per tutti a Internet ci sono molti temi, come quello della cittadinanza digitale, su cui lavoreremo nei prossimi giorni. Certo è che bisogna capire come dare a tutti accesso alla rete".

A proposito di Internet e imprese, l'Italia non è riuscita in questi anni ad aumentare i propri investimenti in startup e in innovazione. Cosa andrebbe fatto?

"L'Italia ha grandi potenzialità ma per far crescere il mercato dell'innovazione credo dovremmo partire da un coordinamento nazionale che razionalizzi i vari investimenti fatti a livello locale, spesso fatti da finanziarie regionali e fondazioni bancarie. Il modello che dovremmo valutare è quello francese, che ha portato Parigi sul tetto d'Europa per investimenti in startup. Sono sicuro che anche l'Italia può fare lo stesso. L'e-commerce, come racconta il nostro rapporto, oggi vale 35 miliardi di euro, ma il mercato dell'innovazione e del digitale non ha ancora espresso il suo potenziale. Per farlo, secondo noi, serve una strategia nazionale in cui si coinvolgano le grandi aziende italiane con programmi di open innovation (ovvero accordi tra grani aziende e nuove società digitali, ndr) e corporate venture capital (cioè investimenti diretti nel capitale di imprese innovative, ndr), in maniera tale da favorire il mercato degli investimenti, e poi quello delle exit".
È una tesi piuttosto dibattuta da anni, ma finora non si è riusciti a farlo.

"Credo che la strada passi da una riorganizzazione dei finanziamenti fatti a livello regionale dalle finanziarie, sarebbe un primo passo per sviluppare questo mercato. Oggi ci sono molte finanziarie che investo piccole somme in molte startup. E spesso si tratta di investimenti a cui non seguono altri investimenti più cospicui, magari fatti da privati, quelli che poi davvero permettono alle neo imprese innovative di crescere. A queste imprese dopo un po' manca liquidità e servono investimenti da diversi milioni di euro per continuare a sviluppare le loro tecnologie dopo le fasi iniziali della loro vita d'impresa".

Cosa fare quindi?

"Cercare di fare in Italia quello che è riuscita a fare la Francia con l'istituzione della Bpifrance (la banca pubblica di investimento francese, ndr). Loro soffrivano dello stesso problema italiano e, proprio attraverso una razionalizzazione delle finanziarie regionali, sono riusciti a creare un percorso di sviluppo delle aziende. Il pubblico investe nelle fase iniziali, ma in modo più cospicuo e strutturato, così si porta il privato a investire nelle fasi successive della vita aziendale. Un'altra soluzione potrebbe venire dal coinvolgimento delle fondazioni bancarie. Oggi le fondazioni bancarie spendono ogni anno circa 800 milioni di euro a livello locare. Mi chiedo, perché non trasformare questa spesa in investimenti veri in startup, magari anche a livello locale, così da generare nuovi capitali per le stesse fondazioni? Serve un cambio culturale nel Paese sui temi dell'innovazione".

Durante la presentazione del rapporto sull'ecommerce ha detto che un ruolo fondamentale lo hanno i media. Cosa intendeva?

"Non voglio certo dire ai media quello che devono fare, ma per fare in modo che in Italia si parli di startup e innovazione bisogna creare dibattito, e anche i media possono fare la loro parte".

Torniamo brevemente sul governo. Paolo Savona è stato indicato come ministro dell'Economia, se dovesse diventarlo sarebbe il primo ministro al Tesoro con una buona conoscenza della tecnologia blockchain e dell'intelligenza artificiale. Secondo lei da queste tecnologie potrebbero arrivare delle soluzioni innovative nell'azione di governo? 

"Non parlo di quello che potrebbe fare il governo, ma è un fatto che la blockchain non è qualcosa che riguarda il futuro prossimo, ma è già attuale, già servirebbe alle imprese italiane nella gestione dei contratti e delle reazioni tra imprese in maniera trasparente. Pensi a quanto ne potrebbero giovare le piccole e medie imprese, di cui il tessuto produttivo italiano è pieno".

È entrata in vigore la Gdpr, il nuovo regolamento sulla privacy online dei cittadini. Rousseau è pronto?

"Abbiamo lavorato molto sulla sicurezza della nostra piattaforma e degli iscritti, sono sicuro che anche il garante della privacy sarà soddisfatto di quello che abbiamo fatto".
@arcangelorociola


Da - https://www.agi.it/economia/casaleggio_startup_internet_ecommerce-3947535/news/2018-05-25/
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 09, 2018, 12:53:44 pm »


Di Maio alle imprese: “Ricetta per crescita è lasciarle in pace. Via lo spesometro, siete onesti fino a prova contraria”

Semplificazione: è la parola scelta dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico nel suo discorso all'assemblea di Confcommercio. C'è "c'è troppa certificazione da compilare" per accedere agli incentivi e anche al codice degli appalti "dobbiamo togliere qualcosa" perché "è diventato così complicato che terrorizza". Sul fronte della lotta all'evasione fiducia agli imprenditori: "Invertiremo l'onere della prova". Ai lavoratori "va garantito un salario minimo"

Di F. Q. | 7 giugno 2018

 “La ricetta per fare decollare le imprese che creano lavoro, sviluppo, nuove tecnologie nella loro crescita è lasciarle in pace “. Sono le parole scelte da Luigi Di Maio per illustrare all’assemblea di Confcommercio il manifesto del governo Conte per gli imprenditori.
“La mia grande preghiera al Parlamento, che si avvia a partire con i suoi lavori presumibilmente entro la prossima settimana, è non bombardate i cittadini di leggi, semmai alleggeriteli. Ce ne sono fin troppe”, ha detto il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico riecheggiando una delle grandi battaglie condotta negli scorsi anni dalla Lega alleata di governo, quella per la semplificazione. Alla quale il governo Berlusconi IV dedicò persino un ministero guidato dal leghista Roberto Calderoli dal 2008 al 2011.

“C’è una questione importante che riguarda l’innovazione – ha argomentato Di Maio – il programma Industria 4.0 va sempre di più semplificato nel suo accesso”. “Dobbiamo prenderci qualche rischio per fare ripartire il paese” a partire “dall’eccessiva burocratizzazione. Bisogna agevolare e semplificare” le modalità “per accedere anche ad altri programmi, al fondo garanzia, a tutto il sistema degli incentivi, per esempio gli sgravi sull’energia per le imprese. Tante persone hanno i requisiti poi mollano perché c’è troppa certificazione da compilare”.

(Di Manolo Lanaro)
Un problema che riguarda anche il codice degli appalti. “Dovremo lavorare tantissimo sulle infrastrutture e chi sta raccontando l’idea che questo sia il Governo del no alle infrastrutture sbaglia – premette Di Maio – vengo da un’area di questo Paese dove abbiamo bisogno di infrastrutture, di investimenti e conosco bene anche il valore dell’effetto moltiplicatore degli investimenti nelle infrastrutture. L’unica cosa però è che quando si fanno investimenti e si stanziano i soldi si deve creare lavoro. E per farlo non abbiamo bisogno di nuove leggi se mai abbiamo bisogno di togliere qualcosa dal codice degli appalti che è diventato così complicato che terrorizza”.

Da un lato la lotta alla burocrazia, dall’altra la fiducia nei confronti degli imprenditori: “Aboliremo tutti gli strumenti come lo spesometro e il redditometro – ha annunciato il vicepremier – e inseriremo l’inversione dell’onere della prova. Perché siete tutti onesti ed è onere dello Stato provare il contrario “, ha affermato Di Maio strappando un sonoro applauso alla platea e sottolineando che strumenti come lo spesometro hanno “reso schiavi quelli che producono valore”. “Noi – ha aggiunto – incroceremo tutti i dati della P.A.” per dimostrare l’evasione.

“Avete la mia parola qui a Confcommercio che l’Iva non aumenterà e le clausole di salvaguardia saranno disinnescate”, ha annunciato Di Maio, ribadendo che il governo saprà tenere testa a Bruxelles: “Ci teniamo alla tenuta dei conti”, ma “se vogliamo bene all’Italia, e noi le vogliamo bene, se vogliamo portare avanti progetti economici dobbiamo contrattare con Europa le condizioni che l’Italia non può più sostenere, dicendo anche dei no. Non bisogna andare in Europa con la clava a minacciare, ma spiegando che l’Italia pretende di essere rispettata e trattata come gli altri”.

Il ministro ha quindi illustrato i progetti dell’esecutivo per i lavoratori: “Per tutta la generazione fuori dalla contrattazione nazionale va garantito almeno un salario minimo, almeno fino a che non si arriva alla contrattazione”. “Il lavoro nobilita l’uomo fino a che ti dà la soddisfazione di arrivare a fine mese” e invece siamo in un momento in cui “si cerca di lavorare pur guadagnando zero “.

Il Partito Democratico ribadisce le critiche già espresse in Parlamento quando, chiedendo la fiducia alle Camere, il premier Conte aveva annunciato l’abolizione di spesometro e redditometro: “Peccato che siano già stati eliminati dal precedente governo”, afferma Alessia Rotta, vicepresidente vicaria dei deputati del Pd. “Dov’era Di Maio quando è stata approvata la legge di Bilancio 2018 che ha previsto l’eliminazione dello spesometro a partire dal 1° gennaio 2019? Anche gli studi di settore sono già stati mandati in soffitta e il redditometro di fatto non esiste più da tempo”.

Il centrodestra accoglie con favore le parole del vicepremier: “Prendiamo atto che Di Maio sta già modificando il contratto di governo – dichiara Anna Maria Bernini, capogruppo di Forza Italia al Senato – lasciare piena libertà di impresa salvo i controlli successivi, invertire l’onere della prova sui contenziosi fiscali, realizzare le infrastrutture riformando l’illeggibile Codice degli appalti, che sta bloccando l’attività edilizia e più in generale quella delle imprese, sono proposte di schietta marca Forza Italia e centrodestra”.

Il ministro riscuote persino il plauso di Vincenzo De Luca: “Sul nuovo codice degli appalti Luigi Di Maio ripropone le stesse osservazioni critiche che ho fatto da solo, già da due anni”, ha detto il presidente della Regione Campania – leggo anche della paura dei dirigenti pubblici chiamati a firmare atti. Bene: su entrambe le questioni, mi aspetto modifiche rapide e conseguenti”.

Da - https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/07/di-maio-alle-imprese-ricetta-per-crescita-e-lasciarle-in-pace-via-lo-spesometro-siete-onesti-fino-a-prova-contraria/4410577/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2018-06-07
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« Risposta #3 inserito:: Giugno 17, 2018, 08:57:35 pm »

Vitalizi e Sud, le mosse del M5S per arginare l’egemonia di Salvini al governo

Di Riccardo Ferrazza 12 giugno 2018

«I nostri voti sono andati verso la Lega: chiudo il comitato e vado a dormire». L’analisi del voto di Enrico Lupardini, candidato del Movimento 5 Stelle nel municipio VIII di Roma (Garbatella), dove i pentastellati hanno raccolto appena il 13%, è brutale. Partire da un quartiere storicamente “rosso” della Capitale - in cui a pesare sulla scelta degli elettori c’era anche il giudizio sul primo biennio di Virginia Raggi al Campidoglio - per valutare il risultato delle elezioni comunali di domenica può apparire fuorviante.

Tuttavia in quello sfogo del mancato mini-sindaco c’è la frustrazione del movimento che, a dieci giorni dalla nascita del governo giallo-verde guidato da un presidente del Consiglio proveniente dall’ambiente pentastellato, si trova già costretto rincorrere e a dover impostare una “fase due” per evitare di ritrovarsi schiacciato dalla corazzata leghista alle europee del prossimo anno. Nell’ «alleanza competitiva» in cui i due contraenti hanno un elettorato in parte sovrapponibile, Matteo Salvini ha dimostrato finora maggiore abilità, assegnandosi di fatto la leadership dell’esecutivo, pur partendo dal 17,4% delle politiche rispetto al 32,7% di M5S. Come si è visto sul “caso Aquarius”: il segretario del Carroccio ha sfruttato la situazione e - a urne aperte - ha annunciato la chiusura dei porti per impedire l’approdo dei 629 migranti, misura che per competenza spetta al dicastero delle Infrastrutture, guidato Danilo Toninelli del Movimento 5 Stelle.

Comunali: la Lega traina il centrodestra, M5S in frenata anche a Roma. Brescia al centrosinistra
Il ministro pentastellato è rientrato nella partita solo successivamente con una nota congiunta con il Viminale ma ormai la paternità della vicenda era già stata assegnata. Ed è tutta di marca leghista. È vero che i cinque stelle devono fare i conti con l’ala movimentista, capeggiata dal presidente della Camera Roberto Fico, che vive con enorme disagio la vicenda dei migranti ma colpisce che proprio Di Maio un anno fa, nel pieno della polemica sulle ong accusate di essere “taxi del mare”, propose proprio questo: «Chiudere i porti italiani agli sbarchi dalle navi di chi non rispetta le regole».

Emergenza Aquarius, migranti a Valencia anche su navi italiane
Per la ripartenza che imprima un nuovo equilibrio nell’esecutivo e blocchi l’egemonia leghista, il Movimento 5 Stelle punterà da subito su uno dei suoi temi più forti e a rapida presa “propagandistica”: il taglio dei vitalizi. «La delibera è già pronta ed è sul tavolo del presidente della Camera dei deputati Roberto Fico» ha assicurato alcuni giorni fa il capo politico pentastellato. Prima, però, andrà integrato l’ufficio di presidenza che ha perso due membri promossi ministri (Riccardo Fraccaro e Lorenzo Fontana). La convocazione è per mercoledì: in quell’occasione si vedrà se i pentastellati riusciranno a imprimere un’accelerazione e controbilanciare la visibilità maggiore dell’alleato leghista.

Di Maio, con il doppio incarico di ministro Lavoro e Sviluppo economico, al pari di Salvini, può contare su un’ampia visibilità. Sulla riforma economica “manifesto” dei pentastellati, il reddito di cittadinanza, il governo Conte ha però imposto tempi lunghi: prima si dovrà intervenire sui centri per l’impiego, ha spiegato il presidente del Consiglio nel suo discorso in Parlamento. Il vicepremier dovrà parlare direttamente all’elettorato che il 4 marzo più si è dimostrato sensibile alla novità pentastellata e che nel voto di domenica ha mostrato disaffezione: quello meridionale. Nelle città del sud, ha calcolato l’Istituto Cattaneo, i voti per il Movimento 5 Stelle sono passati dal 48,1% del 4 marzo al 15,1% di domenica. Un calo di 33 punti. «Sono un cittadino del Sud e non ho dimenticato quello che ha fatto la Lega e non mi sono seduto a quel tavolo a cuore leggero» disse Di Maio in un comizio a Napoli a pochi giorni dalla formazione del governo. I suoi elettori si aspettano ora qualcosa in più.

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-06-11/vitalizi-e-sud-mosse-m5s-arginare-l-egemonia-salvini-governo-160013.shtml?uuid=AEosbA4E
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« Risposta #4 inserito:: Giugno 20, 2018, 05:27:52 pm »

Dossier | n. 177 articoli Elezioni 2018-Ultime notizie, interviste e video

Ascesa e caduta di David Borrelli, da fedelissimo di Casaleggio a “fuoriuscito”

Di Manuela Perrone
13 febbraio 2018

Come si può passare nel giro di un anno da fedelissimo di David Casaleggio a spina nel fianco del M5S, al punto da dire addio al gruppo all’Europarlamento per entrare in quello dei non iscritti? L’ascesa e la caduta di David Borrelli - classe 1971, imprenditore trevigiano nel settore informatico e grillino della prima ora - raccontano di quanto fragili siano gli equilibri nel Movimento Cinque Stelle, ma anche di quanto la “rimborsopoli” degli ultimi giorni si stia trasformando in una resa dei conti interna che riapre vecchie ferite e ne genera di nuove.

Borrelli lascia nel silenzio (da Bruxelles i suoi colleghi sostengono che abbia spento il telefono). Per lui parla una nota stringata della capo delegazione M5S in Europa, Laura Agea: «Questa mattina l’eurodeputato David Borrelli ha ufficializzato il suo ingresso nel gruppo dei non iscritti. Borrelli ha comunicato alla delegazione italiana del MoVimento 5 Stelle che la sua è stata una scelta sofferta ma obbligata da motivi di salute. Prendiamo atto che Borrelli non fa più parte del MoVimento 5 Stelle».

RESTITUZIONI  13 febbraio 2018
Caso rimborsi, per M5S buco da oltre un milione. Altri nomi nel mirino
Qui c’è la prima stranezza, formale: i «motivi di salute» gli fanno lasciare il M5S ma non il seggio di eurodeputato? Ma sono tante altre le cose che non tornano. Borrelli è (ma sarebbe meglio a questo punto usare l’imperfetto “era”) uno dei tre soci dell’Associazione Rousseau, insieme a Casaleggio jr e al consigliere comunale a Bologna Massimo Bugani. Proprio quest’ultimo, oggi, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano, ha usato parole durissime contro i furbetti dei rimborsi: «Cacceremo a calci chi ha fatto finta di versare e non ha versato». Alla domanda se anche Borrelli sia incappato in irregolarità, dal M5S Europa rispondono di non sapere. Ma confermano che «le verifiche stanno procedendo a tappeto anche sugli eurodeputati», che a differenza dei parlamentari non hanno l’obbligo di rendicontare le spese.

A STRASBURGO  11 gennaio 2017
M5s, due eurodeputati lasciano il gruppo. Grillo: «Chi va via paghi 250mila euro»
Gli ultimi 13 mesi, per Borrelli, non sono stati facili. La parabola discendente è cominciata a gennaio 2017, quando era ancora co-capogruppo degli euroscettici Efdd insieme al leader Ukip Nigel Farage. Fu lui a ricevere da Casaleggio jr l’incarico di trattare con i liberali di Alde per il passaggio dei pentastellati tra le braccia dei super-europeisti. Un tentativo di giravolta funzionale alla lunga marcia di accreditamento del M5S presso le cancellerie europee che però fallì miseramente e costò al Movimento polemiche, faide e la perdita dei due eurodeputati Marco Affronte e Marco Zanni. Ma Borrelli, protetto dai vertici, restò saldamente in sella, seppur molto più defilato rispetto al passato.

A ottobre scorso è tornato nuovamente agli onori delle cronache per un caso di “parentopoli”: la sua compagna, Maria Angela Riva, era entrata in sordina, da qualche mese, nello staff di Isabella Adinolfi, un’altra eurodeputata M5S della commissione Cultura. Lui si è difeso: «Maria Angela ha la sua vita, le sue competenze e il suo lavoro. Lei fa il suo, io faccio il mio». Ma dentro il Movimento erano in molti a storcere il naso.

IL CASO RESTITUZIONI  13 febbraio 2018
Altri due deputati M5S irregolari: Della Valle e Cozzolino. Di Maio: «Per noi regole sacre»
L’ultimo scivolone, assai sgradito a Milano, risale al 4 gennaio scorso. Contattato dal Foglio, che ha scovato lo statuto dell’Associazione Rousseau provando come a Davide Casaleggio sia intestato il controllo assoluto della piattaforma che è il cuore digitale della democrazia diretta targata M5S, ha risposto così: «Vorrei evitare di parlare dell’Associazione Rousseau, non so nulla di più di quello che è pubblico. Io non so nulla, sono in quell’associazione perché Beppe mi ha chiesto di esserci, ma è come se non ci fossi. Tutti e tre gli incarichi sono intestati a Davide Casaleggio, bisogna chiedere a lui. La prego di non farmi comparire, non voglio parlare di nulla». Un figurante che adesso esce di scena. A sorpresa, e in pieno terremoto.

Ma c’è un’altra vicenda che potrebbe avere avuto il ruolo decisivo nella fuoriuscita di Borrelli: la notizia della settimana scorsa che l’amministrazione dell’Efdd ha contestato i rimborsi chiesti da Cristina Belotti, capo della comunicazione del Movimento a Bruxelles e Strasburgo, per alcune missioni legate alla campagna elettorale di Luigi Di Maio in Italia. Secondo Marco Canestrari, ex dipendente della Casaleggio Associati e autore con Nicola Biondo del libro “Supernova: così è stato ucciso il Movimento 5 Stelle”, con “rimborsopoli” Borrelli non c’entra: «Paga l’essersi schierato con Beppe nella lotta di potere in atto nel M5S». Canestrari ha twittato un post di Borrelli datato 24 ottobre 2017 in cui l’europarlamentare criticava la gestione attuale, sostenendo che «in questi ultimi anni anziché parlare alle persone abbiamo parlato a noi stessi e tra noi. Litigandoci la presenza di uno o l’altro come fosse un trofeo da esporre. Ha ragione Beppe Grillo, come sempre, abbiamo sbagliato qualcosa. Non è troppo tardi».

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-02-13/ascesa-e-caduta-david-borrelli-fedelissimo-casaleggio-fuoriuscito-164350.shtml?uuid=AE6U4RzD
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« Risposta #5 inserito:: Giugno 20, 2018, 05:29:08 pm »

L’ASSOCIAZIONE DI DAVIDE CASALEGGIO

Ecco i numeri di Rousseau, la cassaforte M5S che paga anche le spese legali del Movimento

Di Manuela Perrone
20 giugno 2018

L’“operazione trasparenza” lanciata ieri dal M5S è cominciata con la pubblicazione sul blog delle Stelle del rendiconto 2017 dell’Associazione Rousseau presieduta da Davide Casaleggio e della lista dei donatori (identificati con le sole iniziali) con l’elenco di quanto donato. Non è una grande novità: il rendiconto 2016 e l’elenco dei donatori erano già da tempo disponibili in chiaro sul sito della piattaforma. L’unica innovazione è stata quella di trasmetterli anche alla Camera, anticipando quello che i Cinque Stelle vorrebbero diventasse un obbligo per tutte le fondazioni e le associazioni che gravitano nell’orbita dei partiti. I documenti sono stati inviati alla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza di Montecitorio, come “segnale” anche alle altre forze politiche.

LA PIATTAFORMA M5S 
02 agosto 2017
Casaleggio a Roma “apre” Rousseau. Obiettivo un milione di iscritti
Che cosa ci dice il rendiconto 2017? Intanto è il bilancio del primo anno completo di Rousseau, che è nata l’8 aprile 2016 all’Istituto Auxologico di Milano, dove Gianroberto Casaleggio era ricoverato e dove sarebbe morto qualche giorno dopo. L’atto costitutivo, rivelato dal Foglio lo scorso gennaio, consegna ai due fondatori (Gianroberto e suo figlio Davide) le funzioni di presidente, tesoriere e amministratore unico. È dunque oggi solo Davide che rappresenta l’associazione e la controlla. Ed è soltanto lui che può decidere sull’ammissione di nuovi soci. Con Casaleggio jr ci sono Pietro Dettori, ex dipendente della Casaleggio Associati oggi nello staff M5S di Palazzo Chigi, Massimo Bugani, numero del Movimento in Emilia Romagna ed Enrica Sabatini, subentrata dopo l’addio di David Borrelli.

INTERVISTA ALLO «STRATEGA» M5S 
6 aprile 2018
Casaleggio: «Lega e Pd? Destra e sinistra non esistono più»
Se il rendiconto 2016 si era chiuso con un avanzo di gestione (e un patrimonio netto) pari a 79.676 euro, il rendiconto 2017 presenta invece un disavanzo di gestione di 135.062 euro e un patrimonio netto negativo di 55.386 euro. Qui c’è il primo aspetto interessante. I ricavi ammontano a 357mila euro (principalmente grazie a una pioggia di microdonazioni: in media 53 euro, sono soltanto 40 quelle superiori ai mille euro), i costi a 493mila euro. «Hanno contribuito significativamente ai costi - spiega l’Associazione nel post - le spese dedicate alla sicurezza investiti per la tutela degli iscritti sulla piattaforma e gli accantonamenti precauzionali per le spese legali relative alle cause in corso pari a 89mila euro». Di questi 31mila euro si riferiscono a pagamenti da effettuare a stretto giro, gli altri per future eventuali cause.


NON SI FERMANO I GUAI GIUDIZIARI  12 gennaio 2017
M5S, Grillo di nuovo in tribunale: la vecchia associazione fa causa alla nuova
L’informazione è preziosa: chiarisce che le spese per i contenziosi che riguardano il M5S vengono pagate dall’Associazione Rousseau. La strada dovrebbe essere quella della «delegazione di pagamento» dall’Associazione MoVimento 5 Stelle all’Associazione Rousseau, che va approvata dall’assemblea. La domanda è: perché Rousseau si assume i costi delle cause relative alle espulsioni di associati del M5S, avvenute anche prima della creazione dell’associazione? Nello statuto c’è la risposta: Rousseau si occupa di supportare il M5S e i suoi esponenti «nello svolgimento delle loro attività, ivi compreso le attività amministrative, normative, giuridiche e fiscali».

Nel regolamento del M5S, pubblicato a dicembre 2017 insieme al nuovo statuto, è scritto però che ogni eletto alla Camera e al Senato deve versare un contributo di 300 euro mensili «destinato al mantenimento delle piattaforme tecnologiche che supportano l’attività dei gruppi e dei singoli parlamentari». Si tratta di 4 milioni di euro in cinque anni: le prime somme hanno cominciato a entrare nelle casse dell’Associazione Rousseau da quando si è insediata la XVIII legislatura. E dunque, ovvero stando al regolamento, quelle somme dovrebbero servire in futuro soltanto a mantenere la piattaforma online.

Rousseau e il Movimento sono in ogni caso legate a doppio filo. E, nonostante Casaleggio si ostini a ritagliarsi soltanto un ruolo di «tecnico», appare sempre più come il tesoriere di fatto del Movimento, visto che la sua Associazione si occupa anche delle spese legali del M5S e della movimentazione delle ingenti somme pagate dai parlamentari. Altri dettagli: nel 2017 Rousseau ha impiegato 4 persone part time, 2 full time, uno stagista e un collaboratore coordinato e continuativo. Pochi se si pensa alla mole di dati e attività che ruotano intorno alla piattaforma (che conta più di 140mila iscritti), che durante lo scorso anno ha dovuto fronteggiare diversi attacchi hacker e ha dovuto provvedere ai rilievi del Garante della privacy, che le sono costati una sanzione di 32mila euro.

Spicca il dato di 137mila euro di debiti commerciali per fatture di fornitori già emesse o che devono essere emesse. I debiti in generale aumentano: sono 165mila euro, oltre il 20% in più dell’anno prima. In crescita però anche i crediti sia per la cessione di beni e servizi e soprattutto per non meglio precisati «crediti diversi correnti» da 18.664 euro su cui neanche la nota integrativa al rendiconto fornisce ulteriori dettagli.

L’INCHIESTA SULLO STADIO DELLA ROMA  15 giugno 2018
Fondazioni, le nuove casseforti della politica senza trasparenza
Rousseau chiede ora che presentino il loro bilancio alla Camera anche le altre fondazioni e associazioni. Come la Fondazione Eyu del Pd (che ha ricevuto 123mila euro dal costruttore Luca Parnasi, arrestato nell’ambito dell’inchiesta sullo stadio della Roma), presentino il loro bilancio alla Camera. Il tesoriere del Pd Francesco Bonifazi ha rivendicato la «gestione scrupolosa e trasparente delle casse del partito» ma si è detto disponibile «ad aprire un tavolo concreto in cui scrivere una legge che sancisca, in modo definitivo, i principi di trasparenza cui dovranno soggiacere tutti i partiti politici e i soggetti ad essi in qualsiasi modo correlati».

La sfida è aperta. Anche alla Lega. Alla Onlus di area leghista “Più Voci”, per dire, Parnasi ha donato 200mila euro. Ma c’è anche chi, come Marco Canestrari (ex dipendente della Casaleggio Associati e autore con Nicola Biondo del libro-inchiesta sul M5S “Supernova”) chiede proprio al Movimento uno sforzo in più: quello di rendere trasparenti anche la lista dei soci e la rete di relazioni dell’Associazione Gianroberto Casaleggio, presieduta sempre da Davide. Era una cena di raccolta fondi per questa associazione quella a cui il superconsulente M5S Luca Lanzalone, finito ai domiciliari sempre per l’inchiesta sullo stadio, aveva partecipato la sera prima dell’arresto.

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-06-19/ecco-numeri-rousseau-cassaforte-m5s-che-paga-anche-spese-legali-movimento-185326.shtml?rlabs=1
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« Risposta #6 inserito:: Giugno 28, 2018, 05:11:09 pm »

Perché M5S non è un partito né conservatore né progressista

 Benedetto Ippolito PALAZZI

 L'analisi di Benedetto Ippolito, storico della filosofia

Il fenomeno politico più interessante dei nostri tempi, e certamente meno comprensibile sul piano politologico, è il M5S. La sua comparsa storica è stata la meteora elettorale con cui si è affermato alle politiche del 2013, e con cui ha dominato lo spazio pubblico e i risultati alle ultime amministrative di quest’anno, dopo la battuta di arresto delle Europee. La sua presenza elettorale e la portata del consenso che raccoglie sono ormai un dato di partenza per ogni analisi prospettica sul futuro politico italiano.

All’inizio, quando ancora esisteva un duopolio tra centrodestra e centrosinistra, lo stato di cose ha costretto i grillini fuori da ogni possibile collocazione. Un movimento anti sistema che, più e meglio di ogni altro, contestava il tutto della politica ufficiale, fino al limite di apparire come episodio, e ce ne sono stati tanti nella storia repubblicana, puramente protestatario. Adesso le cose sono cambiate. Il centrodestra vive da anni una crisi politica ed elettorale, e il M5S di fatto è diventato il polo accentratore di consenso nazionale più importante di alternativa al Pd.

A scanso di equivoci, con ciò non si vuol dire che il centrodestra non abbia un futuro, anzi, ma che l’efficacia del progetto di Stefano Parisi sia proprio quello di rendere possibile un tripolarismo, davanti all’ineluttabile destino contrario di una sola alternativa a due PD-M5S. Da qui nasce l’esigenza di comprendere meglio non tanto ciò che è adesso ma cosa possa o potrebbe diventare il M5S come forza maggioritaria e di Governo contrapposta, per necessità di cose, al centrosinistra.

Su questo tema sono intervenuto qualche giorno fa su Formiche.net con un articolo che inaspettatamente ha generato un ricco, interessante e talvolta persino aspro dibattito su Facebook. In quella riflessione ho cercato di inquadrare il M5S nello scenario possibile di una interpretazione filosofica delle distinzioni tradizionali tra destra e sinistra che nel bene e nel male esistono ancora in tutti gli Stati democratici del mondo.

Sulla legittimità dell’antitesi, molto criticata ragionevolmente da alcuni lettori, rimando a studi classici e nuovi sul tema, emersi a partire dal noto libro di Norberto Bobbio” Destra e sinistra” per arrivare, passando per gli scritti di Marco Revelli, all’ultimo importante saggio di Carlo Galli” Perché ancora destra e sinistra “.

Rifacendomi ad Augusto Del Noce, nonché a Renzo De Felice, sono convinto che il M5S, badate bene non “sia”, ma “abbia delle analogie” con quei movimenti politici di ieri e di oggi che appartengono alla complessa galassia del ‘radicalismo di destra’.

Prima precisazione: radicalismo di destra non è sinonimo di estrema destra. Alla seconda appartengono tutti quei movimenti che sono ‘ultra conservatori’, come il Fronte Nazionale o la Lega; alla prima invece partiti e movimenti che non si collocano per nulla nel centrodestra o nella destra estrema, ma che, in virtù di un certo metodo diretto e antagonistico e in nome di una totale contrapposizione al centrosinistra tradizionale, interpretano una lettura estrema della democrazia come espressione rousseauviana di totale critica morale del potere, luogo di corruzione e causa di ogni male. Nicola Genga ha spiegato molto bene questo in un recente libro dedicato al Fronte Nazionale, un partito appunto di estrema destra e non un semplice radicalismo politico anti sinistra come è forse, e dico forse, il grillismo.

Ringraziando pertanto i tanti interventi che sono stati scritti, specialmente quelli critici e non offensivi, cioè la maggior parte, profitto per aggiungere qualche chiarimento utile alla mia tesi, invitando ad intervenire ancora. La democrazia per me è questo: discutere apertamente e duramente sulle idee senza personalismi.

Ho citato Del Noce non a caso. Egli infatti, a mio avviso, ci dà alcuni suggerimenti preziosi.
La distinzione tra destra e sinistra deriva dalla Rivoluzione Francese e ha avuto tante declinazioni diverse, specialmente durante e dopo i totalitarismi del XX secolo. Oggi, finite le ideologie, continua e ritorna la distinzione originaria ben espressa da Carlo Marx nelle sue “Tesi su Feuerbach “: chi è di sinistra ritiene che l’azione riformatrice o rivoluzionaria degli uomini sia il fondamento della politica, mentre chi è di destra pensa che la realtà, la continuità storica, la natura di una società siano un dato di partenza permanente che precede in modo immanente l’azione umana, dandogli significato e limite politico.

In questo quadro il M5S è sicuramente un movimento di sinistra rispetto, ad esempio, alla Lega: quest’ultima ha la realtà locale e nazionale da difendere, mentre il M5S s’interessa alla partecipazione volontaria del popolo e dei cittadini al cambiamento dell’establishment.
Del Noce notava infatti che il radicalismo di destra ha dei caratteri che sono associabili alla sinistra, vale a dire l’accettazione del primato della partecipazione attiva dei cittadini, senza però, al contrario della sinistra, indirizzarla materialmente a finalità ideologiche e politiche prestabilite: uguaglianza, giustizia economica, europeismo, umanitarismo, eccetera.

Bene. Questo è il senso della mia tesi. Il M5S non è un movimento conservatore, quindi non appartiene alla destra popolare e nazionale, e non è certo progressista perché manca di quella cultura razionalista e illuminista della governance istituzionale che anima sia il riformismo di Renzi e sia il massimalismo classico della minoranza di sinistra del Pd.
A mio avviso si tratta di una lettura di destra radicale della visione attivistica della volontà generale di Rousseau, una visione interessante ed originale confermata ed espressa da una negazione plastica e risoluta verso tutto e tutti, nonché dalle continue auto epurazioni e da un certo culto del capo, tanto presente quanto avvolto nel mistero imponderabile.

Le riforme volute dai Cinquestelle non sono mosse da una meta finale e sono antagoniste ad ogni realtà sottratta al gioco democratico. Il successo elettorale e il suo destino spaziale sono tuttavia inseparabili e difficilmente compatibili tra loro. Quando si sono presi i voti bisogna governare e fare politica. Ecco allora che lì deve emergere con chi si sta e con chi non si sta, chi è il tuo alleato e chi il tuo concorrente. E qualora il M5S dovesse arrivare contro la destra e la sinistra a governare da solo, chi rimane come minoranza darà all’azione grillina l’inevitabile collocazione, svelandoci se si tratta di un radicalismo di destra o di sinistra. Se ciò non avverrà vorrà dire soltanto che la sua battaglia è persa e il suo ruolo non più significativo dal punto di vista elettorale.

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« Risposta #7 inserito:: Giugno 30, 2018, 04:56:41 pm »

Perché M5S non è un partito né conservatore né progressista

 Benedetto Ippolito PALAZZI

 L'analisi di Benedetto Ippolito, storico della filosofia

Il fenomeno politico più interessante dei nostri tempi, e certamente meno comprensibile sul piano politologico, è il M5S. La sua comparsa storica è stata la meteora elettorale con cui si è affermato alle politiche del 2013, e con cui ha dominato lo spazio pubblico e i risultati alle ultime amministrative di quest’anno, dopo la battuta di arresto delle Europee. La sua presenza elettorale e la portata del consenso che raccoglie sono ormai un dato di partenza per ogni analisi prospettica sul futuro politico italiano.

All’inizio, quando ancora esisteva un duopolio tra centrodestra e centrosinistra, lo stato di cose ha costretto i grillini fuori da ogni possibile collocazione. Un movimento anti sistema che, più e meglio di ogni altro, contestava il tutto della politica ufficiale, fino al limite di apparire come episodio, e ce ne sono stati tanti nella storia repubblicana, puramente protestatario. Adesso le cose sono cambiate. Il centrodestra vive da anni una crisi politica ed elettorale, e il M5S di fatto è diventato il polo accentratore di consenso nazionale più importante di alternativa al Pd.

A scanso di equivoci, con ciò non si vuol dire che il centrodestra non abbia un futuro, anzi, ma che l’efficacia del progetto di Stefano Parisi sia proprio quello di rendere possibile un tripolarismo, davanti all’ineluttabile destino contrario di una sola alternativa a due PD-M5S. Da qui nasce l’esigenza di comprendere meglio non tanto ciò che è adesso ma cosa possa o potrebbe diventare il M5S come forza maggioritaria e di Governo contrapposta, per necessità di cose, al centrosinistra.

Su questo tema sono intervenuto qualche giorno fa su Formiche.net con un articolo che inaspettatamente ha generato un ricco, interessante e talvolta persino aspro dibattito su Facebook. In quella riflessione ho cercato di inquadrare il M5S nello scenario possibile di una interpretazione filosofica delle distinzioni tradizionali tra destra e sinistra che nel bene e nel male esistono ancora in tutti gli Stati democratici del mondo.

Sulla legittimità dell’antitesi, molto criticata ragionevolmente da alcuni lettori, rimando a studi classici e nuovi sul tema, emersi a partire dal noto libro di Norberto Bobbio” Destra e sinistra” per arrivare, passando per gli scritti di Marco Revelli, all’ultimo importante saggio di Carlo Galli” Perché ancora destra e sinistra “.

Rifacendomi ad Augusto Del Noce, nonché a Renzo De Felice, sono convinto che il M5S, badate bene non “sia”, ma “abbia delle analogie” con quei movimenti politici di ieri e di oggi che appartengono alla complessa galassia del ‘radicalismo di destra’.

Prima precisazione: radicalismo di destra non è sinonimo di estrema destra. Alla seconda appartengono tutti quei movimenti che sono ‘ultra conservatori’, come il Fronte Nazionale o la Lega; alla prima invece partiti e movimenti che non si collocano per nulla nel centrodestra o nella destra estrema, ma che, in virtù di un certo metodo diretto e antagonistico e in nome di una totale contrapposizione al centrosinistra tradizionale, interpretano una lettura estrema della democrazia come espressione rousseauviana di totale critica morale del potere, luogo di corruzione e causa di ogni male. Nicola Genga ha spiegato molto bene questo in un recente libro dedicato al Fronte Nazionale, un partito appunto di estrema destra e non un semplice radicalismo politico anti sinistra come è forse, e dico forse, il grillismo.

Ringraziando pertanto i tanti interventi che sono stati scritti, specialmente quelli critici e non offensivi, cioè la maggior parte, profitto per aggiungere qualche chiarimento utile alla mia tesi, invitando ad intervenire ancora. La democrazia per me è questo: discutere apertamente e duramente sulle idee senza personalismi.

Ho citato Del Noce non a caso. Egli infatti, a mio avviso, ci dà alcuni suggerimenti preziosi.
La distinzione tra destra e sinistra deriva dalla Rivoluzione Francese e ha avuto tante declinazioni diverse, specialmente durante e dopo i totalitarismi del XX secolo. Oggi, finite le ideologie, continua e ritorna la distinzione originaria ben espressa da Carlo Marx nelle sue “Tesi su Feuerbach “: chi è di sinistra ritiene che l’azione riformatrice o rivoluzionaria degli uomini sia il fondamento della politica, mentre chi è di destra pensa che la realtà, la continuità storica, la natura di una società siano un dato di partenza permanente che precede in modo immanente l’azione umana, dandogli significato e limite politico.

In questo quadro il M5S è sicuramente un movimento di sinistra rispetto, ad esempio, alla Lega: quest’ultima ha la realtà locale e nazionale da difendere, mentre il M5S s’interessa alla partecipazione volontaria del popolo e dei cittadini al cambiamento dell’establishment.
Del Noce notava infatti che il radicalismo di destra ha dei caratteri che sono associabili alla sinistra, vale a dire l’accettazione del primato della partecipazione attiva dei cittadini, senza però, al contrario della sinistra, indirizzarla materialmente a finalità ideologiche e politiche prestabilite: uguaglianza, giustizia economica, europeismo, umanitarismo, eccetera.

Bene. Questo è il senso della mia tesi. Il M5S non è un movimento conservatore, quindi non appartiene alla destra popolare e nazionale, e non è certo progressista perché manca di quella cultura razionalista e illuminista della governance istituzionale che anima sia il riformismo di Renzi e sia il massimalismo classico della minoranza di sinistra del Pd.
A mio avviso si tratta di una lettura di destra radicale della visione attivistica della volontà generale di Rousseau, una visione interessante ed originale confermata ed espressa da una negazione plastica e risoluta verso tutto e tutti, nonché dalle continue auto epurazioni e da un certo culto del capo, tanto presente quanto avvolto nel mistero imponderabile.

Le riforme volute dai Cinquestelle non sono mosse da una meta finale e sono antagoniste ad ogni realtà sottratta al gioco democratico. Il successo elettorale e il suo destino spaziale sono tuttavia inseparabili e difficilmente compatibili tra loro. Quando si sono presi i voti bisogna governare e fare politica. Ecco allora che lì deve emergere con chi si sta e con chi non si sta, chi è il tuo alleato e chi il tuo concorrente. E qualora il M5S dovesse arrivare contro la destra e la sinistra a governare da solo, chi rimane come minoranza darà all’azione grillina l’inevitabile collocazione, svelandoci se si tratta di un radicalismo di destra o di sinistra. Se ciò non avverrà vorrà dire soltanto che la sua battaglia è persa e il suo ruolo non più significativo dal punto di vista elettorale.

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« Risposta #8 inserito:: Luglio 04, 2018, 05:36:08 pm »

Davide Casaleggio: “È arrivato il momento di far uscire le utopie dai cassetti, l’Italia torni a innovare”

Al Forum dell’Economia Digitale, il presidente di Casaleggio Associati e Fondazione Rousseau ricorda la lezione di Adriano Olivetti

Pubblicato il 03/07/2018 - Ultima modifica il 03/07/2018 alle ore 22:39

BRUNO RUFFILLI
MILANO

QUESTO CONTENUTO È CONFORME AL SCOPRI DI CHE SI TRATTA

L’intervento di Davide Casaleggio, nel cartellone del Forum dell’Economia Digitale compare tra un discorso di Matteo Flora sulla brand reputation e l’intervento del direttore di Repubblica Mario Calabresi.
Il presidente di Casaleggio Associati e Fondazione Rousseau comincia citando Adriano Olivetti, e rallegrandosi del premio “all’imprenditore visionario di Ivrea”, che in realtà è un premio alla città, appena dichiarata patrimonio mondiale dell’Unesco. 

Le slide non funzionano, ma Casaleggio va avanti: “Il tema dell’innovazione è molto importante, non è stato affrontato negli ultimi anni e oggi tutti gli investimenti sono ai minimi storici, di recente abbiamo fatto uno studio e in Italia si investono 200 milioni di euro all’anno, in Francia 20 volte tanto, in Gran Bretagna 40 volte tanto. Dobbiamo iniziare a metterci in pari con i nostri partner europei”.

Le grandi aziende innovano, dice, e ricorda esempi storici di grandi nomi sorpassati dal cambiamento: Blockbuster cancellata da Netflix, Toys R Us fallita per colpa di Amazon, ma pure Uber, “la più grande compagnia di taxi al mondo senza avere nemmeno un taxi”, o Airbnb, che “ha una capitalizzazione di mercato superiore a quella di Hilton non avendo nemmeno una stanza”. Una narrativa dell’innovazione piuttosto frequente in incontri dove si parla di digitale e cambiamento. Più originale l’analisi di aziende come Amazon, Booking, Zalando, spiegate come “piattaforme di innovazione” che portano al grande pubblico i vantaggi delle nuove tecnologie. Anche Spotify “è un veicolo che distribuisce musica di altri. il loro successo è riuscire a posizionarsi nella relazione col pubblico”. La piattaforma di streaming musicale è nata in Svezia, da cui vengono molte altre aziende innovative, e c’è un perché: “Noi destiniamo solo l’1,34% del Pil a ricerca e sviluppo, una percentuale pari alla metà della Germania e quasi un terzo della Svezia”.

Casaleggio passa poi all’intelligenza artificiale, un tema toccato da molti dei 30 interventi di questa edizione. “Lo scorso anno valeva 18 miliardi di dollari, avrà un impatto sul mercato tra i 14 e 33 triliardi di dollari entro il 2025. Così le economie avanzate aumenteranno la propria crescita grazie all’intelligenza artificiale. L’impatto sulla produttività in Italia sarà del 12 %, in altri paesi avanzati arriverà però al 40%. Chi investe in ricerca e sviluppo riesce a cavalcare l’innovazione, gli altri vengono dietro”. Senza parlare di bot e machine learning, però, basta sottolineare che in Italia l’ecommerce è cresciuto moltissimo negli ultimi anni, e oggi vale 35 miliardi di euro, ma nel nostro Paese “le categorie meno rappresentate sono quelle dell’italianità: alimentari, moda, salute e bellezza”. 

 
Ci sono, dunque, ampi margini di miglioramento, ma esistono anche esempi lodevoli di adattamento: “Le Poste italiane hanno perso oltre la metà delle spedizioni di lettere, oggi calano ancora del 4% all’anno. Qualunque azienda con numeri del genere avrebbe qualche preoccupazione. E infatti nel nuovo piano industriale le Poste si sono focalizzate sui pacchi, che cresceranno del 6% all’anno, grazie soprattutto all’e-commerce, il che ha suggerito di allungare l’orario delle consegne e lavorare anche nei weekend. E poi ci sono le assicurazioni, con decine di migliaia di sinistri l’anno gestiti direttamente dall’app”. 

L’intervento di Casaleggio si conclude com’è iniziato, con un ricordo di Olivetti: “Utopia - diceva - è la maniera più comoda di liquidare ciò che non si ha voglia, tempo o capacità di fare”. Come prevedibile, nessun accenno alla politica, non una parola su Governo e tanto meno sulla piattaforma Rousseau o gli altri affari di Casaleggio Associati su internet, dove pure è una delle agenzie più potenti d’Italia. Ma un auspicio: “È arrivato il momento di far uscire le nostre utopie dai cassetti, con la tecnologia e l’intelligenza artificiale. La mia utopia è vedere l’Italia che finalmente diventa innovatrice, sulla strada di Olivetti”. 

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« Risposta #9 inserito:: Luglio 04, 2018, 05:44:47 pm »

POLITICA
04 LUGLIO 2018 Il Sole 24 Ore

L’ANALISI

Paolo Pombeni
Decreto dignità, mediazione che produce un pasticcio

La politica non può vivere di sola immagine, per non dire di propaganda. È quanto emerge una volta di più dagli ultimi avvenimenti legati al varo del primo decreto del governo Conte. Detto subito che a dispetto di tutte le novità ci si muove nell’ottica consueta dei decreti in cui si affastellano interventi di tipo diverso, appare sin troppo evidente la rincorsa a segnare il territorio da parte di Di Maio dopo che Salvini ha abbondantemente colonizzato il suo.
Se il leader della Lega si è buttato a fidelizzarsi i sentimenti di un elettorato che viene definito di destra, Di Maio punta a quelli di un elettorato che viene ipotizzato come di sinistra. In realtà i due termini sono poco appropriati, perché si tratta piuttosto di due qualunquismi che fanno leva su due diverse percezioni dell’insicurezza. Da parte leghista quella dipendente dall’impatto percepito delle instabilità sociali legate all’immigrazione e al degrado delle relazioni con conseguente sviluppo della microcriminalità. Da parte pentastellata quella che è legata alla percezione di una crisi economica che tocca la disponibilità e certezza dei posti di lavoro, sia sul versante della fine dell’impiego stabile sia su quello del timore che le imprese lascino l’Italia riducendo ulteriormente le possibilità di lavoro. Una analisi approfondita di tutti questi fenomeni richiederebbe interventi ben strutturati, frutto di una conoscenza appropriata non solo dei “titoli” dei vari problemi, ma delle complesse tecnicalità, non solo finanziarie, con cui si devono fare i conti. In un’ottica che ormai si è proiettata per tutti verso la scadenza delle elezioni europee, non c’è spazio per queste finezze e ci si accontenta dell’effetto annuncio, che significa presenza sui media e sui social. Tuttavia si dovrebbe tenere conto che i vari problemi sono facilmente componibili. Una parte almeno dell’elettorato leghista, che è basato nel Nord delle industrie e dell’artigianato, non guarda certo con benevolenza ad interventi come quelli proposti dal decreto Di Maio che sono rozzamente modellati su preconcetti di un sindacalismo che ha fatto il suo tempo. Così una parte almeno dell’elettorato dei Cinque Stelle non si scalda per la prospettiva di stare trent’anni al governo con chi vorrebbe mettersi in Europa a capo di una specie di Lega transnazionale dei populisti. Aspettarsi però una rapida crisi della coalizione giallo-verde può essere prematuro. Certo non manca una concorrenza fra le sue componenti come ha platealmente sottolineato l’assenza dal Consiglio dei ministri del vicepremier Salvini impegnato ad assistere al Palio di Siena o come hanno mostrato, con un certo gioco delle parti, alcune affermazioni del presidente Fico. Tuttavia quella concorrenza non può spingersi oltre un certo limite. Modificare significativamente il decreto durante l’iter parlamentare di convalida comporterebbe mettere in crisi la maggioranza attuale: visti i rapporti numerici fra Lega e Cinque Stelle i primi dovrebbero ricorrere al sostegno di FI ed i secondi risponderebbero probabilmente cercando una stampella a sinistra (LeU ha già fatto aperture in tal senso). Significherebbe però far saltare il governo ed è una prospettiva che al momento non conviene né a Salvini né a Di Maio. Siccome il gioco è quello degli annunci e delle parole, è più che probabile che troveranno quelle opportune per mascherare degli aggiustamenti che facciano comunque apparire tutti vincitori. Anche se sono escamotage che non risolvono nessun problema.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Paolo Pombeni

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180704&startpage=1&displaypages=2
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« Risposta #10 inserito:: Luglio 04, 2018, 05:57:42 pm »

Perché M5S non è un partito né conservatore né progressista

 Benedetto Ippolito PALAZZI

 L'analisi di Benedetto Ippolito, storico della filosofia

Il fenomeno politico più interessante dei nostri tempi, e certamente meno comprensibile sul piano politologico, è il M5S. La sua comparsa storica è stata la meteora elettorale con cui si è affermato alle politiche del 2013, e con cui ha dominato lo spazio pubblico e i risultati alle ultime amministrative di quest’anno, dopo la battuta di arresto delle Europee. La sua presenza elettorale e la portata del consenso che raccoglie sono ormai un dato di partenza per ogni analisi prospettica sul futuro politico italiano.

All’inizio, quando ancora esisteva un duopolio tra centrodestra e centrosinistra, lo stato di cose ha costretto i grillini fuori da ogni possibile collocazione. Un movimento anti sistema che, più e meglio di ogni altro, contestava il tutto della politica ufficiale, fino al limite di apparire come episodio, e ce ne sono stati tanti nella storia repubblicana, puramente protestatario. Adesso le cose sono cambiate. Il centrodestra vive da anni una crisi politica ed elettorale, e il M5S di fatto è diventato il polo accentratore di consenso nazionale più importante di alternativa al Pd.

A scanso di equivoci, con ciò non si vuol dire che il centrodestra non abbia un futuro, anzi, ma che l’efficacia del progetto di Stefano Parisi sia proprio quello di rendere possibile un tripolarismo, davanti all’ineluttabile destino contrario di una sola alternativa a due PD-M5S. Da qui nasce l’esigenza di comprendere meglio non tanto ciò che è adesso ma cosa possa o potrebbe diventare il M5S come forza maggioritaria e di Governo contrapposta, per necessità di cose, al centrosinistra.

Su questo tema sono intervenuto qualche giorno fa su Formiche.net con un articolo che inaspettatamente ha generato un ricco, interessante e talvolta persino aspro dibattito su Facebook. In quella riflessione ho cercato di inquadrare il M5S nello scenario possibile di una interpretazione filosofica delle distinzioni tradizionali tra destra e sinistra che nel bene e nel male esistono ancora in tutti gli Stati democratici del mondo.

Sulla legittimità dell’antitesi, molto criticata ragionevolmente da alcuni lettori, rimando a studi classici e nuovi sul tema, emersi a partire dal noto libro di Norberto Bobbio” Destra e sinistra” per arrivare, passando per gli scritti di Marco Revelli, all’ultimo importante saggio di Carlo Galli” Perché ancora destra e sinistra “.

Rifacendomi ad Augusto Del Noce, nonché a Renzo De Felice, sono convinto che il M5S, badate bene non “sia”, ma “abbia delle analogie” con quei movimenti politici di ieri e di oggi che appartengono alla complessa galassia del ‘radicalismo di destra’.

Prima precisazione: radicalismo di destra non è sinonimo di estrema destra. Alla seconda appartengono tutti quei movimenti che sono ‘ultra conservatori’, come il Fronte Nazionale o la Lega; alla prima invece partiti e movimenti che non si collocano per nulla nel centrodestra o nella destra estrema, ma che, in virtù di un certo metodo diretto e antagonistico e in nome di una totale contrapposizione al centrosinistra tradizionale, interpretano una lettura estrema della democrazia come espressione rousseauviana di totale critica morale del potere, luogo di corruzione e causa di ogni male. Nicola Genga ha spiegato molto bene questo in un recente libro dedicato al Fronte Nazionale, un partito appunto di estrema destra e non un semplice radicalismo politico anti sinistra come è forse, e dico forse, il grillismo.

Ringraziando pertanto i tanti interventi che sono stati scritti, specialmente quelli critici e non offensivi, cioè la maggior parte, profitto per aggiungere qualche chiarimento utile alla mia tesi, invitando ad intervenire ancora. La democrazia per me è questo: discutere apertamente e duramente sulle idee senza personalismi.

Ho citato Del Noce non a caso. Egli infatti, a mio avviso, ci dà alcuni suggerimenti preziosi.
La distinzione tra destra e sinistra deriva dalla Rivoluzione Francese e ha avuto tante declinazioni diverse, specialmente durante e dopo i totalitarismi del XX secolo. Oggi, finite le ideologie, continua e ritorna la distinzione originaria ben espressa da Carlo Marx nelle sue “Tesi su Feuerbach “: chi è di sinistra ritiene che l’azione riformatrice o rivoluzionaria degli uomini sia il fondamento della politica, mentre chi è di destra pensa che la realtà, la continuità storica, la natura di una società siano un dato di partenza permanente che precede in modo immanente l’azione umana, dandogli significato e limite politico.

In questo quadro il M5S è sicuramente un movimento di sinistra rispetto, ad esempio, alla Lega: quest’ultima ha la realtà locale e nazionale da difendere, mentre il M5S s’interessa alla partecipazione volontaria del popolo e dei cittadini al cambiamento dell’establishment.
Del Noce notava infatti che il radicalismo di destra ha dei caratteri che sono associabili alla sinistra, vale a dire l’accettazione del primato della partecipazione attiva dei cittadini, senza però, al contrario della sinistra, indirizzarla materialmente a finalità ideologiche e politiche prestabilite: uguaglianza, giustizia economica, europeismo, umanitarismo, eccetera.

Bene. Questo è il senso della mia tesi. Il M5S non è un movimento conservatore, quindi non appartiene alla destra popolare e nazionale, e non è certo progressista perché manca di quella cultura razionalista e illuminista della governance istituzionale che anima sia il riformismo di Renzi e sia il massimalismo classico della minoranza di sinistra del Pd.
A mio avviso si tratta di una lettura di destra radicale della visione attivistica della volontà generale di Rousseau, una visione interessante ed originale confermata ed espressa da una negazione plastica e risoluta verso tutto e tutti, nonché dalle continue auto epurazioni e da un certo culto del capo, tanto presente quanto avvolto nel mistero imponderabile.

Le riforme volute dai Cinquestelle non sono mosse da una meta finale e sono antagoniste ad ogni realtà sottratta al gioco democratico. Il successo elettorale e il suo destino spaziale sono tuttavia inseparabili e difficilmente compatibili tra loro. Quando si sono presi i voti bisogna governare e fare politica. Ecco allora che lì deve emergere con chi si sta e con chi non si sta, chi è il tuo alleato e chi il tuo concorrente. E qualora il M5S dovesse arrivare contro la destra e la sinistra a governare da solo, chi rimane come minoranza darà all’azione grillina l’inevitabile collocazione, svelandoci se si tratta di un radicalismo di destra o di sinistra. Se ciò non avverrà vorrà dire soltanto che la sua battaglia è persa e il suo ruolo non più significativo dal punto di vista elettorale.

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« Risposta #11 inserito:: Luglio 06, 2018, 04:11:16 pm »

Confindustria Verona

Manca una strategia di fondo
«I nostri associati sono preoccupati: è una riforma fatta guardando avanti, ma nello specchio retrovisore, smontando quanto fatto in passato».

Michele Bauli, presidente di Confindustria Verona, fa sua una battuta che molti imprenditori del territorio stanno ripetendo in questi giorni. «Noi abbiamo bisogno di più lavoro, aggravarne il costo non aiuta a creare nuovi posti, è una questione di fondamentali - prosegue -.

Il Jobs act aveva una strategia di fondo di gestione del mercato che questo decreto non ha».
Il territorio veronese viene da 19 trimestri di crescita consecutiva, il tasso di disoccupazione è sceso al 6%. «Dispiace vedere che ora si rischia di tornare indietro» conclude Bauli.

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180705&startpage=1&displaypages=2
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« Risposta #12 inserito:: Luglio 08, 2018, 04:59:55 pm »

ANALISI
Il valore dell’informazione

Il Parlamento Ue ha deciso di rinviare la discussione sulla direttiva copyright, forse decretandone la fine. È una vittoria della libertà di informazione?
I punti qualificanti del testo, su cui vi è stata una spaccatura in aula e nell'opinione pubblica, sono due.
In primo luogo le piattaforme che condividono contenuti o link avrebbero dovuto garantire una remunerazione agli editori.
Inoltre, avrebbero anche dovuto installare meccanismi volti a evitare che gli utenti commettano violazioni del diritto d’autore, diffondendo opere protette, siano esse un libro, una canzone o un articolo come questo.

Continua a pagina 3
Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani

Continua da pagina 1
E proprio la questione del costo dell’informazione ci pare centrale. I punti sopra indicati sembrerebbero tentare la conciliazione di interessi imprenditoriali contrapposti: quelli dei motori di ricerca e dei social network, che fanno capo a imprese con mezzi e un raggio d’azione globali, e quelli degli editori nazionali, oggi destinati a una lotta per la sopravvivenza. Un simile bilanciamento, stando ad alcuni critici, avverrebbe “a spese” degli utenti, che si vedrebbero privati di contenuti o gravati (direttamente o indirettamente) di costi per poterli ottenere.
Questa lettura sembra miope e figlia di una visione ingenua della rete, come miniera dove chiunque possa estrarre qualunque cosa gratuitamente. In realtà la direttiva avrebbe forse avuto un diverso e auspicabile effetto: tutelare una filiera produttiva che garantisce la possibilità di mantenere un'informazione professionale, che ha bisogno di tempo e risorse.
Dunque, a Strasburgo la libertà di informazione ieri ha vinto? Se per essa intendiamo persino la facoltà di diffondere qualunque cosa prodotta da altri allora ogni ostacolo alla approvazione della direttiva è un’ottima notizia. Salvo, poi, dover constatare come pochissimi si arricchiscano grazie al lavoro di moltissimi altri.
Ma se si pensa che per garantire la libertà di informazione la democrazia abbia bisogno di una stampa libera e autorevole, i media devono avere la possibilità di essere economicamente indipendenti. E ciò è possibile solo se, seguendo le regole del libero mercato, le notizie di qualità sono pagate, soprattutto da chi le sfrutta nell’ambito di un’attività economica assai remunerativa. Inoltre, ma non ci sembra secondario, le informazioni accurate sono frutto di un lavoro intellettuale e in base a un principio antico, ma che deve valere anche per la rete, il lavoro va remunerato.
In altre parole, se la stampa è il cane da guardia della democrazia, questo cane deve essere ben addestrato e ben nutrito per controllare e se necessario mordere il potere. Tanti chihuahua possono abbaiare per ore ma non fanno paura a nessuno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani

da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180706&startpage=1&displaypages=2
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« Risposta #13 inserito:: Luglio 08, 2018, 05:02:12 pm »

Di Maio: tra le novità in Aula anche sgravi sul lavoro stabile

Il decreto del governo.

Riflessione sul periodo transitorio per «differire», almeno per un breve periodo, l’entrata in vigore delle nuove norme - Testo atteso alla Camera per martedì

ROMA
Su somministrazione e giochi sarà battaglia in Parlamento. Si aprirà invece una riflessione sul periodo transitorio, per differire, almeno per un breve periodo, l’entrata in vigore delle nuove norme; e probabilmente, si discuterà di come rendere più conveniente il lavoro stabile in vista della legge di Bilancio. Anche se il vice premier e ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, ieri ha detto: «Possiamo farlo anche nel Decreto Dignità durante il dibattito parlamentare».
Il decreto d’estate su cui fino a ieri è proseguito il confronto, tecnico e politico, tra le due anime del Governo, è atteso alla Camera per martedì prossimo, giorno della sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Data che comunque attende conferma in vista dell’attesa firma del Capo dello Stato. Sarà un esame “lampo” considerato che, calendario alla mano, il Parlamento avrà a disposizione non più di trenta giorni, in luogo dei canoni 60 giorni, per convertire in legge il Dl. La pausa di Ferragosto al momento sarebbe calendarizzata dal 10 al 27 agosto (data in cui dovrebbero riprendere i lavori delle Commissioni).
Il giro di vite sulla somministrazione a termine, con la prevista estensione della disciplina più stringente sui rapporti a tempo determinato al contratto che lega agenzia del lavoro e lavoratore, fa discutere. La norma, da quanto si apprende, resterà così come è scritta nel provvedimento. Ma Lega e M5S ascolteranno parlamentari e parti sociali per apportare possibili miglioramenti. Anche la Cisl, ieri, dopo le critiche di imprese e agenzie, ha preso posizione sull’argomento chiedendo al governo di «tirare via tutto la somministrazione dal decreto dignità». Sul periodo transitorio, anche, è aperto un confronto: al momento, il dl si applicherebbe ai rapporti temporanei in corso, seppur limitatamente a proroghe e rinnovi. «Una possibile soluzione sarebbe quella di differire l’entrata in vigore delle nuove regole alla data di conversione - sottolinea Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro all’università «La Sapienza» di Roma -. In questo modo, si potrà sistemare il testo ed evitare, nel mese di luglio, problemi seri per le aziende».
In Parlamento, quasi sicuramente, si tornerà a parlare di voucher, come chiede la Lega. Il ministro Di Maio non chiude: «Se ne deve discutere - ha detto ieri -. Incontrerò i settori del turismo e dell’agricoltura. Tuttavia non voglio che si torni agli abusi del passato». L’altro fronte “caldo” sarà il gioco, dove il divieto assoluto e immediato della pubblicità e quello di sponsorizzazione in vigore dal 1° gennaio 2019, sara accompagnato con tutta probabilità da un aumento dello 0,5% del prelievo erariale unico (Preu) su Awp e Vlt (più note come slot). Sulla pubblicità tra le modifiche in arrivo potrebbe esserci un rafforzamento della gestione contingentata delle fasce orarie, una limitazione della pubblicità tabellare (affissioni stradali) come prevedono regioni e comuni, mentre per gli operatori di gioco online con concessione dei Monopoli l’obbligo di effettuare comunicazioni con banner o video su siti web (fruiti attraverso personal computer o attraverso dispositivi mobili) con strumenti in grado di selezionare di l’audience.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Marco Mobili
Claudio Tucci

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180707&startpage=1&displaypages=2
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« Risposta #14 inserito:: Luglio 16, 2018, 10:42:55 am »

Di Maio: «Non ratificheremo il Ceta»
L’annuncio. Il vicepremier detta la linea e minaccia: «Saranno rimossi i funzionari che difendono l’intesa»

Le reazioni.
Confindustria: «Alitalia il trattato conviene»
Coldiretti: «È un pessimo accordo per l’alimentare»


È fuoco incrociato sul Ceta, il trattato di libero scambio tra Ue e Canada entrato in vigore il 21 settembre scorso e tutt’ora in fase di ratifica da parte dei Paesi Ue. La miccia è stata accesa ieri mattina dal presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, che nel corso dell’assemblea dell’associazione ha duramente attaccato l’intesa, colpevole, a suo giudizio, di non tutelare i prodotti italiani. «Avevamo fin dall’inizio denunciato l’accordo di libero scambio tra Ue e Canada – ha detto Moncalvo - come un pessimo accordo per l’alimentare di qualità made in Italy. I nostri sospetti sono ora confortati dai dati. Nel primo trimestre 2018, l’export di Grana Padano e Parmigiano reggiano, due delle eccellenze che dovevano essere tutelate dal Ceta, è calato in valore del 10%. Numeri che fugano ogni dubbio, quell’intesa non è positiva per il food made in Italy e va respinta».

Richiesta recepita immediatamente dal vicepremier, Luigi Di Maio: «A breve – ha detto nel suo intervento all’assemblea di Coldiretti- l’accordo Ceta giungerà in Parlamento e la maggioranza non lo ratificherà. Siamo pronti a difendere gli interessi del Paese. Anzi dirò di più. Se, come mi è stato riportato, qualche funzionario italiano che opera nelle ambasciate all’estero o negli uffici Ice dovesse sostenere il Ceta o comunque tenere una linea contraria a quella del Governo, sarà rimosso». Sulla stessa linea il ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio. «Il Ceta – ha detto – tutela solo 43 marchi Dop e Igp sui quasi 300 riconosciuti. Un aspetto per me inaccettabile perché sono il ministro di tutta l’agricoltura italiana e non solo di una parte».

Ma le perplessità di parte, non della totalità, del mondo agricolo non sono condivise dal resto dell’economia italiana. «Non ratificare il Ceta sarebbe un grave errore – ha commentato ieri il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia – all’Italia il trattato conviene perché siamo un Paese ad alta vocazione all’export e attraverso l’export creiamo ricchezza. Dobbiamo chiederci solo se con questo accordo l’Italia esporta di più, e quindi è nell’interesse nazionale, oppure no. Ma la valutazione dei dati va fatta in una logica di Paese e non di singola categoria». E i numeri dell’export italiano verso il Canada nei primi cinque mesi di entrata in vigore del Ceta (ottobre 2017-febbraio 2018) parlano chiaro: +8% i macchinari; +15% l’agroalimentare; +15% i mezzi di trasporto (fonte Ice Toronto). In media una crescita del 12,8 per cento.

«Non ho seguito il dossier – ha riconosciuto il ministro dell’Economia Giovanni Tria –. In linea di principio è sempre bene avere degli accordi commerciali. La mia opinione personale è che il libero commercio, che si estende anche attraverso queste intese, è sempre una buona cosa. Però bisogna vedere come si fanno questi accordi. Non conosco i contenuti e i particolari e, in genere, il diavolo sta nei dettagli».

Qualche dettaglio in più sull’impatto sull’agroalimentare lo ha fornito il presidente del Consorzio del Parmigiano reggiano, Nicola Bertinelli (presidente anche di Coldiretti Parma). «Se dovessimo valutare un prima e un dopo Ceta – ha detto – dovremmo concludere che oggi quei 43 marchi riconosciuti (che sono solo una piccola parte dei marchi Dop e Igp italiani), sono in una condizione migliore di prima, quando non avevano tutela. Il problema è che il Ceta è diventato un modello per accordi successivi, come quello con il Giappone, Paese nel quale i prodotti italiani godevano di condizioni più favorevoli e che ora subiranno un trattamento peggiore».

Il Ceta inoltre riconosce all’Italia un incremento in 5 anni della quota di formaggi esportati a dazio zero da 13.500 a 32mila tonnellate. Un successo che però nasconde anche dei problemi. «In realtà – spiega infatti Bertinelli – quel plafond è stato distribuito dal Governo di Ottawa non agli importatori tradizionali, ma a un numero elevato di operatori tra i quali ci sono anche piccoli negozianti. Soggetti non attrezzati a garantire una distribuzione efficace e che spesso stanno svendendo il prodotto per fare cassa oppure stanno subappaltando le licenze a terzi operatori generando un’ulteriore pressione al ribasso». E forse da qui il calo del 10% del fatturato. «Il punto – conclude il presidente del Consorzio – è che non basta siglare un accordo, ma occorre vigilare su come viene applicato. E su questo l’Italia sconta un deficit di rappresentatività sui tavoli internazionali al quale bisogna velocemente porre rimedio».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Giorgio dell’Orefice

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180714&startpage=1&displaypages=2

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