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Autore Discussione: Conte: aiuti Ue su immigrazione e reddito di cittadinanza  (Letto 3741 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Giugno 19, 2018, 05:00:14 pm »

Conte: aiuti Ue su immigrazione e reddito di cittadinanza

Il vertice Il premier: no ad accordi bilaterali o salta Schengen - Da Merkel apertura sull'immigrazione

BERLINO

È nella Cancelleria federale di Berlino che la politica europea, più che altrove, prende forma. E l’incontro – questa volta formale, con tanto di onori militari come da protocollo – tra Angela Merkel e Giuseppe Conte è il primo vero banco di prova della politica europea del governo giallo-verde, più di quanto accaduto venerdì scorso all'Eliseo. Già, perché alla Cancelliera, appena uscita da una quasi crisi di governo ripresa per i capelli proprio sull'immigrazione, il premier italiano è andato a parlare (e iniziare a trattare) di immigrazione ma anche di inclusione sociale, che nella grammatica del nuovo corso significa reddito di cittadinanza.
Ieri si è visto chiaramente come Conte – e il M5S - abbia voluto riprendere in mano l'agenda del governo sulla parte che sta a cuore al movimento, dopo che per giorni era stata di appannaggio pressoché esclusivo di Matteo Salvini. Il tempo stringe, e il consiglio europeo è la prossima settimana, dove si dovrà arrivare ad accordi su temi seri, immigrazione in testa. Merkel pare d'accordo sui temi chiave: rafforzare Frontex e quindi le frontiere esterne, e riconosce che «l'Italia è uno dei paesi che accoglie e ha accolto molti migranti, intendiamo collaborare molto strettamente». Insomma, come Macron – che vedrà oggi – concorda su una maggiore cooperazione e un salto di qualità nelle procedure d’asilo, ma non scende in dettagli. Lo fa Conte, che prima della cena parla molto di più: «Serve un nuovo approccio e l'Italia non deve restare sola, serve una più equa ripartizione». L'agenda è quella di Parigi: riforma del regolamenti di Dublino, creazione di centri Ue di assistenza e identificazione nei paesi di transito, rafforzamento di Frontex. E qui scatta un messaggio alla Merkel, che aveva in qualche modo nei giorni scorsi prefigurato come via d'uscita alla crisi interna con il suo ministro dell'Interno, Horst Seehofer, accordi bilaterali con Italia e Grecia, paesi di primo approdo: per l'emergenza migranti, dice Conte, «servono soluzioni europee, senza innescare dinamiche bilaterali che rischiano di costituire la fine di Schengen». Ma non c'è solo l'immigrazione su tavolo Ue: «In sede di discussione del quadro finanziario faremo pesare la nostra voce per orientare i fondi europei verso misure di sostegno proprio a favore dell'inclusione sociale». E qui il messaggio politico è ancora più chiaro: «Tema cruciale del mio governo è la lotta alla povertà e il reddito di cittadinanza, la riforma dei centri per l'impiego, che si inseriscono in una serie di riforme strutturali». E traccia un quadro drammatico delle difficoltà italiane: «Personalmente non posso come responsabile del governo rimanere indifferente a certi dati: lo scorso anno 2,7 milioni di italiani hanno ricorso a mense per i poveri e pacchi alimentari. La nostra proposta sul reddito di cittadinanza va in questa direzione e l'Europa è essenziale. Dalla Germania possiamo prendere esempio sugli strumenti da utilizzare. Questa povertà alimentare riguarda 445 mila bambini sotto i 15 anni, quasi 200 mila anziani sopra i 65 anni e circa 100 mila persone senza fissa dimora». La Merkel accetta di andare su quel terreno, ma senza esporsi con promesse concrete: «Sappiamo che l'Italia ha problemi con la disoccupazione giovanile, anche su questo è importante collaborare. Possiamo dare dei suggerimenti in base all’esperienza con l'unificazione tedesca. Si sono già incontrati i nostri ministri del Lavoro».La cancelliera si è detta disponibile anche dare un supporto tecnico all’Italia anche sui centri per l’impiego.
Infine i due altri dossier caldi del prossimo summit, la governance dell’euro e l'unione bancaria. L'Italia – assicura Conte - porta avanti l'aspettativa che «l'Unione monetaria venga riformate facendo avanzare la condivisione dei rischi e la convergenza nell'Eurozona, finora non sufficiente. Consideriamo essenziale che gli strumenti non sostituiscano, con un approccio intergovernativo, le funzioni attualmente demandate alla Commissione Ue e alle istituzioni europee».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Carlo Marroni

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180619&startpage=1&displaypages=2
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 30, 2018, 04:53:42 pm »

Il professore non torna a mani vuote

I toni duri della vigilia facevano temere un rottura, sconosciuta nei palazzi europei, dove tutto si ricompone sempre.

Giuseppe Conte porta a casa un accordo sui migranti che nulla concede all'emergenza nazionale.


Carlo Marroni

L’accordo però fissa principi inediti e soprattutto apre un varco alla politica interna del governo Lega-M5S nell’approccio ai nuovi arrivi dall’Africa. La differenza la fanno i dettagli e, alla sua prima vera prova in un summit a 28, il professore non torna a casa a mani vuote. Il percorso che ha portato alla firma delle conclusioni è stato accidentato, fatto di bilaterali apparentemente molto positivi, di pre-vertici burrascosi e improduttivi, di un enorme lavoro degli sherpa. La minaccia di un veto se si fosse superata la “linea rossa”, rappresentata da un finora assente impegno comune sul tema degli sbarchi (“movimenti primari” in burocratese) è stata una tattica negoziale, ma in linea con l’approccio dell’esecutivo giallo-verde, che proprio nell’Europa della tecnocrazia vuole affermare lo scarto dal passato. Cosa è accaduto davvero all’ultimo piano dell’Europa Building nelle quattordici ore di negoziato, di cui otto sui migranti? La narrazione ha dato a Emmanuel Macron il merito di aver cercato e trovato un punto di caduta con Conte. In realtà è stata Angela Merkel a tirate le fila, assicurando a Conte un impegno all’inizio del vertice, in 40 minuti di faccia a faccia. Tanto che, saputo dell’incontro, anche il presidente francese lo ha sollecitato, ma non si è svolto. In gioco c’è il destino di milioni di persone in fuga da continenti in guerra e allo stremo, ma alla fine sono i leader che fanno e disfano, e questi hanno visto la strada da percorrere. La signora Merkel aveva bisogno di un accordo da portare ai bavaresi della Csu, e Macron non poteva permettersi una frattura in questa fase in cui rivendica per il sé il ruolo di Grande Riformatore. Ma entrambi non volevano concedere all’alleato della sponda Sud spazio che le rispettive politiche interne avrebbero condannato. Si arriva così alla “condivisione volontaria” che non è neppure un impegno. E lo stesso vale per la riforma di Dublino. Ma tant’è. Alla fine Macron ricorda che nulla cambia (Conte risponde per le rime, e tutto forse ricomincia da capo) e la signora Merkel annuncia che ha raggiunto accordi bilaterali con Spagna e Grecia sui migranti, due paesi mediterranei: tra Berlino e Madrid c’è un legame ventennale, e con Atene ha gioco facile andare ad accordi dopo il doloroso programma di aggiustamento economico.
Cosa significa per Conte e per il governo tutto questo? L’accordo riconosce alcuni principi, ma l’Italia risulta un po' più isolata e alla quale oggettivamente mancano solidi punti di riferimento. Questo vertice ha messo in luce come l’esecutivo “del cambiamento” si sia dovuto misurare con dinamiche abbastanza diverse da quelle della politica interna, anche se sono le opinioni pubbliche nazionali a dettare le agende sui temi sensibili e oramai anche in quelli meno attraenti, come l'unione bancaria. Lo si è visto con i fallimenti bancari e le regole sul “common backstop”. Ma questo è un rischio difficile da calcolare: fare la voce grossa con giganti va bene per farsi rispettare quando serve, ma in questi contesti espone a reazioni che poggiano sulle stesse dinamiche di consenso interno. Così è stato con il professore non torna a mani vuote
I toni duri della vigilia facevano temere un rottura, sconosciuta nei palazzi europei, dove tutto si ricompone sempre. Giuseppe Conte porta a casa un accordo sui migranti che nulla concede all’emergenza nazionale. Continua a pagina 2

Carlo Marroni
Continua da pagina 1
L’accordo però fissa principi inediti e soprattutto apre un varco alla politica interna del governo Lega-M5S nell’approccio ai nuovi arrivi dall’Africa. La differenza la fanno i dettagli e, alla sua prima vera prova in un summit a 28, il professore non torna a casa a mani vuote. Il percorso che ha portato alla firma delle conclusioni è stato accidentato, fatto di bilaterali apparentemente molto positivi, di pre-vertici burrascosi e improduttivi, di un enorme lavoro degli sherpa. La minaccia di un veto se si fosse superata la “linea rossa”, rappresentata da un finora assente impegno comune sul tema degli sbarchi (“movimenti primari” in burocratese) è stata una tattica negoziale, ma in linea con l’approccio dell’esecutivo giallo-verde, che proprio nell’Europa della tecnocrazia vuole affermare lo scarto dal passato. Cosa è accaduto davvero all’ultimo piano dell’Europa Building nelle quattordici ore di negoziato, di cui otto sui migranti?
La narrazione ha dato a Emmanuel Macron il merito di aver cercato e trovato un punto di caduta con Conte. In realtà è stata Angela Merkel a tirate le fila, assicurando a Conte un impegno all’inizio del vertice, in 40 minuti di faccia a faccia. Tanto che, saputo dell’incontro, anche il presidente francese lo ha sollecitato, ma non si è svolto. In gioco c’è il destino di milioni di persone in fuga da continenti in guerra e allo stremo, ma alla fine sono i leader che fanno e disfano, e questi hanno visto la strada da percorrere. La signora Merkel aveva bisogno di un accordo da portare ai bavaresi della Csu, e Macron non poteva permettersi una frattura in questa fase in cui rivendica per il sé il ruolo di Grande Riformatore. Ma entrambi non volevano concedere all’alleato della sponda Sud spazio che le rispettive politiche interne avrebbero condannato. Si arriva così alla “condivisione volontaria” che non è neppure un impegno. E lo stesso vale per la riforma di Dublino. Ma tant’è. Alla fine Macron ricorda che nulla cambia (Conte risponde per le rime, e tutto forse ricomincia da capo) e la signora Merkel annuncia che ha raggiunto accordi bilaterali con Spagna e Grecia sui migranti, due paesi mediterranei: tra Berlino e Madrid c’è un legame ventennale, e con Atene ha gioco facile andare ad accordi dopo il doloroso programma di aggiustamento economico.
Cosa significa per Conte e per il governo tutto questo? L’accordo riconosce alcuni principi, ma l’Italia risulta un po' più isolata e alla quale oggettivamente mancano solidi punti di riferimento. Questo vertice ha messo in luce come l’esecutivo “del cambiamento” si sia dovuto misurare con dinamiche abbastanza diverse da quelle della politica interna, anche se sono le opinioni pubbliche nazionali a dettare le agende sui temi sensibili e oramai anche in quelli meno attraenti, come l'unione bancaria. Lo si è visto con i fallimenti bancari e le regole sul “common backstop”. Ma questo è un rischio difficile da calcolare: fare la voce grossa con giganti va bene per farsi rispettare quando serve, ma in questi contesti espone a reazioni che poggiano sulle stesse dinamiche di consenso interno. Così è stato con Macron, che per andare incontro al pensiero dominante della rive gauche si è messo alla testa della difesa mediatica dei diritti dei migranti sul caso Acquarius, senza per questo accogliere la nave in un porto francese o tantomeno cambiare la legge che ha dato una stretta proprio all’accoglienza. Un banco di prova per il governo Conte sarà la presidenza di turno austriaca: Salvini guarda al cancelliere Kurz come un modello di intransigenza con cui fare un asse (insieme al bavarese Seehofer) ma nelle stanze europee sono pronti a scommettere che il giovane leader austriaco cambierà molto i suoi toni. Forse è l’occasione per il governo per ridisegnare una politica di alleanze a più largo spettro, iniziando proprio da Bruxelles.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Carlo Marroni Macron, che per andare incontro al pensiero dominante della rive gauche si è messo alla testa della difesa mediatica dei diritti dei migranti sul caso Acquarius, senza per questo accogliere la nave in un porto francese o tantomeno cambiare la legge che ha dato una stretta proprio all’accoglienza. Un banco di prova per il governo Conte sarà la presidenza di turno austriaca: Salvini guarda al cancelliere Kurz come un modello di intransigenza con cui fare un asse (insieme al bavarese Seehofer) ma nelle stanze europee sono pronti a scommettere che il giovane leader austriaco cambierà molto i suoi toni. Forse è l’occasione per il governo per ridisegnare una politica di alleanze a più largo spettro, iniziando proprio da Bruxelles.

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« Risposta #2 inserito:: Agosto 25, 2018, 05:16:55 pm »

Trump ha davvero promesso a Conte di comprare il debito pubblico italiano?

Una parte del colloquio tra i due presidenti avrebbe avuto questa ipotesi come oggetto.

L'indiscrezione del Corriere confermata da tre alti esponenti istituzionali

24 agosto 2018, 12:45

Trump ha davvero promesso a Conte di comprare il debito pubblico italiano?
Trump avrebbe offerto a Conte la possibilità che siano gli Usa a finanziare il debito pubblico italiano. È quanto ha scritto oggi il Corriere della Sera citando "tre esponenti istituzionali italiani al massimo livello", che avrebbero confidato al quotidiano parte della conversazione avuta tra il presidente americano e il premier italiano in occasione della visita che il secondo ha fatto a Washington tre settimane fa. La notizia ha fatto rapidamente il giro dei siti delle più autorevoli testate internazionali, compresa l'agenzia Reuters, che conferma a sua volta l'indiscrezione, e il Financial Times. Scrive Federico Fubini:

"Donald Trump, racconta il presidente del Consiglio, avrebbe offerto all’Italia un aiuto dagli Stati Uniti per il finanziamento del debito pubblico nel prossimo anno (nel 2019 il Tesoro di Roma deve collocare sul mercato titoli per circa 400 miliardi di euro, di cui 260 a medio-lungo termine). Che questa sia l’indicazione del presidente degli Stati Uniti a Conte lo riportano tre esponenti istituzionali italiani al massimo livello. Conte però non sembra aver spiegato in cosa consista esattamente l’offerta americana e se essa abbia alcuna possibilità di concretizzarsi".

L’amministrazione di Washington però, fa notare l'articolo, "non ha un proprio fondo sovrano e non ha un potere coordinamento su fondi o banche del settore privato". Il tema non è stato oggetto di discussione finora alla Casa Bianca ma "il presidente tuttavia sembra aver davvero segnalato a Conte questa disponibilità ad aiutare il governo sul debito pubblico".

"Non è chiaro soprattutto se, in contropartita alle sue vaghe promesse, l’inquilino della Casa Bianca stia cercando di rompere il fronte europeo nella guerra commerciale che minaccia contro la Germania".

Puntando sul fatto che un'ipotetica uscita dall'Euro, con il supporto finanziario americano, potrebbe essere meno traumatica per l'Italia. L'offerta di Trump inoltre farebbe il paio con la fine del programma di acquisto di titoli di stato da parte dell'Unione europea (Quantitative easing) previsto per il prossimo dicembre 2018.

Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it

Da - https://www.agi.it/economia/trump_conte_debito_pubblico-4305160/news/2018-08-24/
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« Risposta #3 inserito:: Settembre 17, 2018, 12:19:11 pm »

MILLEPROROGHE

Sul bando periferie incontro Conte-Anci e ostruzionismo Pd

A Napoli «commissariato» il Comune: stop di Corte conti alle spese non obbligatorie

ROMA
Il Milleproroghe chiude il passaggio in commissione alla Camera senza ritocchi allo stop del bando periferie. Ma la questione si riapre oggi in Aula e a Palazzo Chigi, dove in serata è previsto un confronto fra il premier Giuseppe Conte e i sindaci, che con il presidente dell’Anci Antonio Decaro si dicono pronti a «interrompere i rapporti istituzionali» con il governo se non ci saranno novità. In Aula arriverà anche la versione riveduta e corretta del «salva-Napoli», mentre ieri la Corte dei conti ha commissariato di fatto il Comune vietando tutte le spese non obbligatorie nella procedura che senza correttivi in 60 giorni porterebbe al dissesto. La stessa decisione era stata presa a fine luglio per Catania, ma il nuovo «salva-Napoli» riscritto alla Camera aprirebbe un ombrello anche lì.
Sulle periferie, per ridiscutere la regola inserita al Senato che sospende fino al 2020 i 1.625 interventi in 326 Comuni previsti dai 96 bandi bloccati, i sindaci saliranno le scale di Palazzo Chigi alle 19.30. Arriveranno quindi dopo una giornata in cui l’Aula della Camera sarà bloccata dall’ostruzionismo del Pd (che però al Senato aveva votato per errore l’emendamento notturno). Tutti gli 82 deputati del gruppo, compreso l’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che da Via XX Settembre aveva avviato insieme a Renzi prima e Gentiloni poi il meccanismo del bando periferie, sono iscritti a parlare, e avranno ciascuno fino a 30 minuti a disposizione. Senza novità, Montecitorio sarebbe dunque impegnato in un dibattito fiume che allungherebbe i tempi dell’esame prima del terzo e definitivo via libera della Camera.
Dal governo, il viceministro all’Economia Laura Castelli ha aperto a meccanismi di garanzia che evitino la sospensione per gli interventi arrivati alla fase esecutiva. Ma per farlo serve un’integrazione alla norma. E la legge di bilancio arriverebbe troppo tardi, anche perché a quel punto sarebbero già partiti i ricorsi al Tar annunciati dai sindaci la scorsa settimana.
Proprio l’incontro con il premier Conte, quindi, potrebbe rivelarsi decisivo su un problema che si è incendiato sul piano politico ma ha soprattutto un forte rilievo pratico. Il nodo è sempre quello, dolente, degli investimenti pubblici. Il bando periferie ha avviato una serie di convenzioni per far partire interventi di riqualificazione urbana per 1,6 miliardi (2,8 con i cofinanziamenti privati secondo l’Anci), con un meccanismo viziato però dalla mancata previsione dell’«intesa» con le Autonomie (sentenza 74/2018 della Consulta). Al Senato, un emendamento della Lega ha deciso di sospendere tutto fino al 2020, liberando un miliardo in quattro anni (140 milioni per il 2018) utili a coprire lo sblocco generalizzato degli «avanzi», cioè dei risparmi che i Comuni con i conti in ordine devono utilizzare liberamente come chiede sempre la Consulta.
Questo scambio fra lo stop ai fondi statali per le città e la “liberazione” degli investimenti (con fondi propri) nei Comuni con i bilanci più solidi crea però un intrico tecnico difficile da sbrogliare, anche perché per il cambio di rotta imporrebbe ai Comuni di riscrivere la programmazione finanziaria e dei lavori. Con tempi lunghi.

gianni.trovati@ilsole24ore.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gianni Trovati

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180911&startpage=1&displaypages=2
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« Risposta #4 inserito:: Settembre 23, 2018, 05:03:49 pm »

La riforma Irpef slitta al 2020, ora decontribuzione per i neoassunti

Verso la manovra. Lega e M5S chiedono 8 miliardi a testa per mantenere le promesse elettorali. Per le imprese anche superammortamento e super-Ires
Una manovra che prova a guardare alle imprese, concentrando le risorse su pochi, specifici interventi. Almeno questa è l’intenzione del governo. Sulla base degli ultimi dossier il grosso dell’intervento per le famiglie, a partire dalla riforma dell’Irpef, verrebbe rimandato al 2020. A confermarlo è l’esito delle ultime riunioni, anche politiche che, complice la frenata della produzione industriale e le difficoltà patite dal mercato del lavoro, hanno fatto tornare in pista gli sgravi sulle assunzioni stabili. Al ministero del Lavoro sta prendendo corpo l’idea di far scattare in tutto il Paese, non solo al Sud, un incentivo per far aumentare i contratti a tempo indeterminato, comprese le conversioni dei rapporti a termine.
A far scattare l’allarme sono state le ultime rilevazioni di Inps e Istat. A giugno si è verificato il primo saldo negativo dei rapporti fissi (-6.790 contratti) e a luglio sono stati registrati 44mila occupati stabili in meno sul mese (-122mila sull’anno). L’intervento che si sta immaginando scatterebbe dal 2019 con un costo iniziale di circa un miliardo. Il prossimo anno si esaurisce il bonus Sud targato Renzi-Gentiloni (uno sgravio di 8.060 euro per 12 mesi finanziato con i fondi Ue), resterebbe quindi in vigore solo la decontribuzione “light” per gli under 35 prorogata dal decreto dignità. La misura allo studio a via Veneto è collocata all’interno dell’operazione taglio del cuneo, la cui portata dipende dalle risorse che saranno effettivamente disponibili al momento della stesura definitiva dalla manovra autunnale. L’opzione degli sgravi per le assunzioni stabili non sembra comunque essere sgradita al ministero dell’Economia.
In attesa di capire se esistono i margini anche per un taglio del costo di del lavoro di 5-10 punti almeno per le imprese 4.0 , il Governo sta già lavorando ad altri interventi: dal rifinanziamento di oltre 100 milioni per la Cigs nelle aree di crisi industriale complessa alla proroga per tutto il 2019 dell’iper e del superammortamento fiscale. Ma anche in questo caso la matassa non è ancora sbrogliata. Il ministro e vicepremier Luigi Di Maio vorrebbe muoversi sulla falsariga del piano Impresa 4.0, concepito dal precedente esecutivo, senza sostituirlo con la super-Ires, l’imposta ridotta al 15% per gli utili reinvestiti in azienda, su cui è in pressing la Lega. E questo è uno dei possibili punti di saldatura con il capitolo fiscale all’esame del Mef.
La manovra, che al momento oscilla (come anticipato dal Sole 24 Ore) tra i 25 e i 30 miliardi, dovrebbe assorbire l’avvio della Flat tax “differenziata” per imprese e professionisti con ricavi fino a 100mila euro (5%per le start up, 15% per ricavi fino a 65mila euro e 20% fino a 100mila euro di fatturato) e, appunto, la super-Ires. Tra i nodi da sciogliere resta quello del taglio di un punto di Irpef per il primo scaglione (dal 23 al 22%) che potrebbe essere accantonato per lasciare spazio a un intervento più ambizioso nel 2020, gradito all’Economia. Molto dipenderà dalla collocazione dell’asticella del deficit. M5S e Lega contano di utilizzare 8 miliardi a testa (16 in tutto portando il deficit 2019 almeno al 2,1%) per iniziare a mantenere le promesse elettorali. Ne servono però altri 12,4 per lo stop alle clausole Iva e tra i 2 e i 3 miliardi per le cosiddette spese indifferibili. Con tagli limitati a 3-4 miliardi e una potatura molto soft delle tax expenditures appare difficile trovare la quadratura del cerchio, con il Mef intenzionato mantenere il deficit sotto l’1,7%. Intanto ieri la Camera ha approvato il decreto milleproroghe. Il testo, su cui il governo Conte ha ottenuto giovedì la prima fiducia, torna al Senato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Marco Rogari
Claudio Tucci

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180915&startpage=1&displaypages=2
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