I politici in Italia hanno fallito, per riparare ai loro danni occorrono ...

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Arlecchino:
Il PD è Renzi! Le coalizioni che da 20 anni ci prendono in giro lasciamole ai vecchi tromboni.

Da ulivista mi spiace che Prodi per la terza volta si sia lasciato intrappolare dai furbetti delle cadreghe.

Visto il trappolone che hanno preparato a Renzi adesso deve andare avanti duro ma con un Progetto-Paese.

Da "non ancora renziano" dico "avanti insieme" tra noi senza "loro" ... mi sta' bene.

Ciaooo
Da FB del 27/06/2017

Arlecchino:
Un patto di governo per le riforme

 Di Sergio Fabbrini

C’è una grande rimozione nella politica italiana: il referendum del 4 dicembre scorso. Nessuno ne parla. Né si parla della crisi istituzionale in cui l’Italia continua a vivere. Se nelle grandi democrazie europee ci si domanda, quando arrivano le elezioni, chi sarà il probabile vincitore, in Italia invece già sappiamo che, alle prossime elezioni, non ci saranno vincitori. In quelle democrazie il problema è capire chi governerà. In Italia, il problema è capire se ci sarà un governo. Si tratta di un’incertezza drammatica per i nostri partner europei, oltre che per i mercati, anche se noi l’abbiamo rimossa. È necessario alzare il tappeto e vedere cosa c’è sotto.

I sostenitori del No hanno ottenuto (forse) più di quello che miravano a ottenere. Hanno fermato un progetto di riforma che avrebbe messo in discussione molte rendite di posizione all’interno del sistema politico, con l’aggiunta di aver riportato all’indietro gli equilibri interni a quest’ultimo. Massimo D’Alema e Gaetano Quagliariello avevano promesso che, subito dopo la vittoria del No, si sarebbe potuto realizzare una “vera” riforma costituzionale in sei mesi. Di quella riforma non c’è notizia, mentre giungono notizie sullo smembramento proporzionalista del nostro sistema dei partiti. Dietro la critica ai difetti dell’uno o dell’altro comma, dell’uno o dell’altro articolo, dell’uno o dell’altro emendamento della nostra costituzione, si era nascosto un desiderio diffuso a ritornare alla repubblica dei partiti senza partiti.

Trasformando il referendum in un giudizio su Matteo Renzi, e il riformismo del suo governo, è stato possibile mobilitare con successo gli istinti conservatori della società italiana. Il cambiamento fa sempre paura. Ma quella paura diventa terrore in una società ossificata in piccoli e grandi privilegi come la nostra. Così il No ci ha riportato al vecchio proporzionalismo politico invece che ad una nuova riforma.

I sostenitori del Si hanno perso (forse) più di quanto avevano immaginato. Hanno cercato di fare un passo in avanti, per ritrovarsi a farne due all'indietro. L'intelligente azione del governo Renzi nel condurre il progetto di riforma attraverso il Parlamento ha finito per essere cancellata dalla non altrettanta intelligente mobilitazione per fare approvare quel progetto dagli elettori. Non solo si è personalizzato un referendum di natura costituzionale che avrebbe dovuto mantenere una connotazione sistemica, ma si è usato il referendum per segnare una cesura con il passato dei tentativi di riforma non riusciti. Un referendum sulla costituzione non è l'equivalente (ad esempio) di quello sulla scala mobile: nel secondo è stata inevitabile la divisione tra forze politiche, nel primo quella divisione avrebbe dovuto essere evitata. I sostenitori del Si, e Matteo Renzi e Maria Elena Boschi in particolare, non sono riusciti a trasmettere il senso sistemico del progetto di riforma. A far capire ai cittadini, cioè, che quel progetto di riforma era il risultato di un lungo percorso, portava a compimento gli sforzi e le idee di tanti protagonisti politici, si connotava per il suo carattere sistemico e non già partigiano. Il voltafaccia di Silvio Berlusconi ha fatto il resto. Comunque siano andate le cose, non possiamo però rassegnarci allo statu quo, con il rischio di essere governati in futuro da una Troika. Lo statu quo è incompatibile con l'interdipendenza economica e monetaria in cui siamo inseriti. E soprattutto con l'enorme debito pubblico che ci obera. La questione delle riforme è destinata a rientrare nella nostra agenda nazionale. Per questo motivo è opportuno derivare alcuni insegnamenti dall'esperienza del 4 dicembre. Ne propongo tre.

Primo. Le riforme costituzionali hanno successo solamente quando sono riforme di tutti (o dei maggiori partiti) e non già di alcuni di essi. Se vengono percepite come riforme del governo, chi sta all'opposizione non ha interesse a sostenerle. Paradossalmente, la logica maggioritaria con cui si è formato l'attuale Parlamento (seppure dando vita a maggioranze spurie nelle due camere di quest'ultimo) ha aiutato il processo riformatore nelle camere ma non nell'elettorato. Le riforme sono più facilmente realizzabili quando sono invece promosse da governi di grande coalizione, spesso espressione di legislativi proporzionali. Il vizio (del sistema proporzionale con cui andremo a votare la prossima primavera) potrebbe dunque generare la virtù (di un progetto riformatore condiviso), a condizione che ci sia la possibilità di dare vita ad un governo di grande coalizione tra i maggiori partiti che li legittimi reciprocamente. Secondo. La riforma costituzionale deve essere tenuta separata dalla riforma elettorale. La prima riguarda la struttura delle istituzioni governative, la seconda influenza direttamente la composizione e il funzionamento del sistema di partito. Seppure per ragioni comprensibili, fu un errore approvare l'Italicum prima della riforma costituzionale. La riforma elettorale fa entrare in fibrillazione i partiti perché altera i loro calcoli per fare eleggere i propri membri in Parlamento. Una fibrillazione che inevitabilmente si scarica sulla riforma costituzionale. Peraltro, un sistema elettorale si può cambiare a maggioranza assoluta del legislativo, mentre un sistema costituzionale richiede la maggioranza qualificata di quest'ultimo. La nuova legislatura dovrebbe riprendere in mano il progetto di riforma costituzionale e solamente dopo aver portato a compimento quest'ultima porsi il problema della riforma elettorale.

Terzo. La riforma costituzionale deve avere chiaro la priorità del Paese: la stabilità al governo. E' bene non distogliersi da questo obiettivo, aggiungendone altri come la riduzione dei costi della politica o del numero dei parlamentari. Se così è, allora vi sono due obiettivi su cui costruire un patto per un governo di coalizione tra i maggiori partiti. Assegnare solamente alla Camera dei deputati il compito di dare o togliere la fiducia al governo (e ciò a prescindere dalla futura composizione e dai futuri compiti del Senato) e introdurre il voto di sfiducia costruttiva nei confronti del governo in carica (contro il quale si può votare solamente a condizione di sostituirlo con un altro governo). In condizioni favorevoli, questi due obiettivi potrebbero essere raggiunti con maggioranze qualificate dell'una e dell'altra camera, rendendo così non-necessario il ricorso al referendum popolare. Solamente dopo aver raggiunto questi obiettivi, ci si potrà porre anche il problema della riforma dei rapporti tra stato e regioni o della rappresentanza delle regioni a livello nazionale o dell'eventuale rafforzamento del ruolo del presidente della Repubblica. Occorre procedere con gradualità. Abbiamo visto che mettere troppa carne al fuoco finisce per bruciarla.

Insomma, se gli individui che rimuovono i loro problemi non hanno un futuro, ciò vale ancora di più per le democrazie. L'Italia deve affrontare e risolvere la sua sfida istituzionale. Ne va della sua autonomia decisionale nel contesto intergovernativo che oggi connota l'integrazione economica e monetaria. Il ritorno al proporzionale ha molti vizi, ma potrebbe implicare una grande virtù. Quella di tenere separati, a sinistra e a destra, chi è a favore e chi è contro la riforma. Consentendo ai favorevoli di dare poi vita ad un patto di governo per le riforme, chiaro, limitato e vincolante. Le coalizioni pre-elettorali, che in condizioni ordinarie servono a razionalizzare la competizione elettorale, nelle nostre condizioni straordinarie ostacolerebbero invece la riforma. Chissà, la talpa riformatrice potrebbe aver deciso di usare le conseguenze del No per fare avanzare (alcuni) obiettivi del Si.

© Riproduzione riservata

    Sergio Fabbrini. Sergio Fabbrini è professore di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Luiss, direttore della Luiss School of Government ed editorialista del Sole 24 Ore. ...

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-07-22/un-patto-governo-le-riforme-231143.shtml?rlabs=1

Arlecchino:
In Italia occorre liberarsi dalle schermaglie della politica per entrare nella convinzione che l'Italia è una Azienda che la politica ha "sgarrupato" da decenni.

L'Italia è una Azienda disastrata e l'unica soluzione possibile in tempi brevi è affidarsi alla dittatura dell'aziendalismo che dovrà recuperare i tanti problemi irrisolti, occupandosi seriamente degli interessi "legati all'Azienda-Italia" e ai suoi abitanti.

I politici in Italia hanno fallito, per riparare ai loro danni occorrono metodiche "aziendaliste" dove i Progetti sono i binari seguendo i quali si arriva agli obiettivi raggiunti che faranno ottenere il benessere del Paese.

Il Polo Democratico potrebbe essere la prima Azione Aziendalista da presentare agli elettori di CentroSinistra ... chi vi aderisce deve cambiare modo di ragionare (o cambiamo le teste pensionandole), abbandonare le diatribe narcisistiche e lavorare per ottenere risultati concreti e proiettati nel futuro.

ggiannig

Arlecchino:
Riflessioni di un opinionista, “non ancora renziano”, e di suoi conoscenti della stessa area di pensiero socio-politico:

POSSIAMO NOI, oggi in Italia, permetterci il lusso di rinunciare alla gestione di un CentroSinistra retto da Renzi e Gentiloni, per soddisfare l’anti-renzismo dilagante (per ragioni diversissime) in tutti gli altri settori della politica Italiana?

Noi pensiamo di NO!

Sarebbe un “gettare tra i rifiuti” una differenza sostanziale, rispetto alle passate gestioni di governo, senza dare la possibilità, ai diversificatori, di completare un lavoro avviato e di proseguire, facendoli diventare benefici, i dati positivi ottenuti! Imponendo loro di correggere le insufficienze dimostrate e ritardi cui sono stati costretti anche dalle azioni, perpetrate da una opposizione (anche interna al PD) di pessima qualità.

La stessa opposizione anti-renziana che pretenderebbe di ottenere il potere di comando (sia a sinistra, sia a destra) della totalità del Paese-Italia, non con un impegno legato a un Programma di sviluppo nazionale di benessere per tutti gli Italiani (almeno negli intenti), ma farfugliando critiche per protesta, minime intenzioni e vuoti lanci propagandistici (5Stelle), oppure ripetendo vetusti e passati riferimenti a realtà di inizio secolo che oggi sono sparite (Sinistra storica), o peggio ancora dichiarare cinicamente: “uniamoci per vincere le elezioni poi vedremo” (Berlusconi e soci).

Noi pensiamo che, da Italiani “normali”, si possa “pretendere” che il vertice attuale di Governo e il Partito PD renziano, debbano continuare a svolgere, con una migliore qualità nel servizio all’Italia, l’opportunità che è accaduto loro, in modo insolito, di cogliere. Convincendoci di svolgere, la suddetta responsabilità, presentendosi alle elezioni con un Progetto Paese quinquennale che, se approvato dagli elettori, si dovranno attivare per realizzare attraverso priorità sostanziali e strutturali verificabili (per obiettivi raggiunti) dagli Italiani.

ggiannig

Arlecchino:
Una Elite Aziendalista, per realizzare un Progetto Nazionale di Risorgimento Moderno.

Si a -L'Evoluzione Nonviolenta.

SI a - Un Progetto Italia, indipendente dai Partiti e dai loro Leader, ma da loro sostenuto e pensato come Opera da Realizzare in 5 anni (io l'ho proposto chiamandolo Polo Democratico).

NO a - Rivoluzioni di ogni tipo che creano solo vittime e danni.

Quindi non sperare in un ideale o in una utopia, ma un Progetto Condiviso concreto, visibile e palpabile, da far approvare agli elettori delle prossime elezioni politiche e da realizzare.
Un Progetto che deve vivere nel realizzarsi con chi ci sta e se ne prende l'impegno.

Un Progetto "Fuori dai Partiti", ma che coinvolge e impegna la parte migliore delle loro Intelligenze.

Una Elite “aziendalista”?
Se realizza il Progetto condiviso … ben venga.

Una Elite Aziendalista, per realizzare un Progetto Nazionale di Risorgimento Moderno.

ggiannig 

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