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Autore Discussione: GOVERNO PRODI...  (Letto 59467 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Dicembre 18, 2007, 03:22:33 pm »

Quel vertice blindato a via XX settembre

Bianca Di Giovanni


Ci hanno pensato per l'intero pomeriggio: fare ricorso al consiglio di Stato o fermarsi qui nella vicenda Speciale? Ne hanno parlato in lunghi vertici tecnici al ministero dell'Economia. Erano presenti sia i consulenti legali di Tommaso Padoa-Schioppa sia quelli della presidenza del consiglio.
Ovvero: gli estensori del provvedimento «bocciato» dal Tar del Lazio per difetto di motivazione.

Il vertice è stato blindatissimo. Altrettanto difficile poter prevedere le mosse, visto che la sentenza del Tar è ancora sconosciuta ai più. Molti esperti si riservano di leggerla in settimana per valutare la portata della decisione. Sta di fatto che sono numerosi quelli che puntano il dito proprio contro i tecnici per la superficialità con cui si è redatto il provvedimento. «Ancora non leggo la sentenza e quindi per me è difficile commentare - dichiara il senatore Gerardo D'Ambrosio - Ma una cosa è certa: è stata seguita una procedura tutta sbagliata. Se si fosse seguita la strada lineare della revoca motivata dal fatto che è venuto a mancare il rapporto di fiducia tra il generale e il governo, non saremmo arrivati a questo punto». Oggi si è nella nebbia. L'unica cosa certa è che Roberto Speciale non potrà essere reintegrato. Insomma, il generale Cosimo D'Arrigo è e resterà il capo della Guardia di Finanza. Il resto è un gran pasticcio, prodotto più dai tecnici che dai politici. Per questo è assurdo chiedere le dimissioni del ministro o del suo vice.

Ma quale sarebbe stata quella strada lineare invocata da D'Ambrosio? E perché non si è seguita? Difficile capirlo, quando si tratta di una vicenda fatta di segreti, sotterfugi, trappole e giochi a nascondino. Sta di fatto che tra Speciale e il viceministro all'Economia Vincenzo Visco fu subito guerra. Fu il primo a contattare il secondo per avere l'ok sui trasferimenti da autorizzare. Gli presentò una lista in cui comparivano tutti meno che gli uomini della Lombardia. Visco chiese chiarimenti, impose che gli spostamenti fossero decisi collegialmente dai vertici dell'arma, e qui scattò la trappola. Si era ancora nell'estate del 2006, a governo appena insediato. Speciale fece trapelare subito sul «Giornale» (della famiglia Berlusconi) che Visco voleva far fuori gli uomini che indagavano su Unipol. Parlò di un confronto durissimo . Vero: questo fu lo scivolone di Visco. Ma non disse tutto il resto, che era semplicemente falso: non erano quelli gli uomini che indagavano su Unipol. Non ci fu nulla da fare: la notizia era passata.

Sorprendentemente in quell'estate di transizione Speciale ( e il Giornale) si fermò. Passarono lunghi mesi di apparente silenzio: in realtà si consumò una battaglia interna molto difficile. La graticola ricominciò con l'avvicinarsi delle elezioni amministrative nella primavera di quest'anno. Ancora giù interviste, dichiarazioni, sempre assumendo che Visco difendesse i vertici ds su Unipol (falso). Qui il governo commette il suo secondo errore. Decide di chiudere in bonis, come si fa tra gentiluomini. La proposta in consiglio dei ministri la fa Beppe Fioroni: offriamo l'incarico alla Corte dei Conti. Procedura usuale per i generali della Guardia di Finanza. Ma Speciale chiude la porta.

A questo punto si poteva ancora seguire quella strada lineare di cui parla D'Ambrosio. Ovvero: emanare un provvedimento di revoca motivato semplicemente con il fatto che non c'è più fiducia. Stop. L'argomento era chiarissimo: il generale spargeva veleni sui giornali dell'opposizione, c'era una lettera del vicecomandante delle Fiamme Gialle che denunciava il fatto di non essere stato consultato per i trasferimenti (cosa richiesta dalle procedure).

Da non dimenticare anche una motivazione politica: le scelte fiscali di questo governo sono diverse da quello precedente. Tanto basta. Una volta revocato Speciale, si sarebbe dovuto emanare un secondo provvedimento per la nomina di D'Arrigo: anche questo basato esclusivamente sul rapporto di fiducia tra governo e generale. Invece, spiazzati dal no di Speciale, gli uffici si mettono in un vicolo cieco. Emettono un solo decreto (non due) che punta a sostituire il comandante della guardia di Finanza. Come se fosse un passaggio amministrativo, giustificato da tutta una serie di atti che Padoa-Schioppa elenca in Senato. Atti gravissimi. Ma così si spalanca la strada all'obiezione del Tar: se gli atti sono gravissimi, non si può offrire la Corte.

In caso contrario, non c'è motivo di sostituzione. Solo la perdita di fiducia può valere per sostituire un generale.

Pubblicato il: 17.12.07
Modificato il: 17.12.07 alle ore 8.49   
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« Risposta #76 inserito:: Dicembre 19, 2007, 05:33:48 pm »

Dietro le quinte

LA MOZIONE DI SFIDUCIA DEL Polo viene giudicata «incomprensibile»

Il ministro ai suoi: è assurdo

Mio diritto sostituire Speciale

Il titolare del Tesoro ribadisce «massimo rispetto per il Tar».
«Un atto politico la scelta di rimuovere il generale»

 
ROMA — Difficile immaginare una situazione più paradossale, per un ministro che non è nemmeno un politico di mestiere. Il bello è che la mozione di sfiducia individuale dell'opposizione nei confronti di Tommaso Padoa- Schioppa non è arrivata per un cataclisma economico nazionale. O per un tracollo dei conti pubblici. Oppure per un'inchiesta giudiziaria. È arrivata per una sentenza negativa del Tar su un problema procedurale relativo alla rimozione dell'ex capo della Guardia di Finanza. Per questo il ministro dell'Economia la giudica «incomprensibile ». «Che senso ha una mozione di sfiducia individuale verso un ministro il quale non ha fatto altro che esercitare il proprio diritto, quello di sostituire il capo di un corpo militare con il quale si è rotto il rapporto di fiducia?», ha chiesto ai suoi più stretti collaboratori. Rimarcando per giunta di essersi reso responsabile di quell'«atto politico » non per iniziativa individuale, «ma a nome di tutto il governo», dopo il contrasto esploso fra il generale Roberto Speciale e il viceministro Vincenzo Visco.

Chi ieri ha parlato a lungo con lui riferisce di un Padoa-Schioppa per nulla turbato. «Massimo rispetto per le sentenze del Tar», ha ribadito. Senza però mostrarsi indifferente al nuovo possibile terremoto. Non sorprende il fatto che l'opposizione abbia cavalcato la sentenza Speciale, ancora più di quella sul consigliere della Rai Angelo Maria Petroni, come pretesto per tentare una nuova spallata al governo, trasformando una vicenda di pura procedura in una faccenda di merito, con l'argomentazione che l'esecutivo avrebbe illecitamente sostituito un fedele servitore dello Stato. Ma Padoa- Schioppa rivendica la prerogativa politica, da parte di un governo in carica, di scegliere i vertici delle forze armate e il proprio rappresentante nel consiglio di amministrazione di una società controllata come la Rai. Prerogativa che il ministro dell'Economia, come ha detto a giugno nel suo discorso al Senato proprio sul caso Speciale, ritiene l'essenza stessa del gioco democratico.

«La questione è di sostanza, e la sostanza non è la procedura, ma l'atto politico. Un governo ha il sacrosanto diritto di sostituire un comandante della Finanza verso cui è venuto meno il rapporto fiduciario», ripete Padoa- Schioppa. E mai come in questo caso, lascia intendere, la parola «fiducia » è al posto giusto. Sul suo tavolo c'è sempre quel discorso a Palazzo Madama, con il lungo elenco di addebiti mossi al generale: «Opacità dei comportamenti, gestione personalistica e anomala nei trasferimenti, nelle attribuzioni degli incarichi, negli encomi solenni». Ma ci sono anche gli articoli dei giornali che hanno rivelato l'uso «disinvolto» di aerei ed elicotteri di servizio, con tanto di trasporto di spigole in alta montagna. Per non parlare di quanto è successo dopo la rimozione del generale, che non ha certo contribuito a distendere gli animi. Dichiarazioni, interviste, l'annuncio della discesa in politica. Un comportamento che non soltanto al Tesoro viene giudicato poco consono con lo stile richiesto a un generale dell'esercito.

Gli ultimi stracci sono volati lunedì, quando Speciale ha «ordinato » al capo di stato maggiore della Finanza Paolo Poletti di rendere noto a tutti i finanzieri il testo della sua lettera di dimissioni, come se fosse ancora il comandante generale del corpo e non invece, come gli ha replicato per lettera uno sconcertato Padoa-Schioppa, un generale «ausiliario» ancora non «ricollocato in servizio». Non finirà certamente qui. E non soltanto per la mozione di sfiducia verso il ministro. Nessuno ha ancora escluso un ricorso al consiglio di Stato. Ma ci si dovrà pensare molto bene, dopo che il Tesoro ha incassato tre bocciature di fila, in rapida successione, dai magistrati amministrativi. Perché in questa storia una domanda è ancora senza risposta: com'è stato possibile un simile infortunio?

Sergio Rizzo
19 dicembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #77 inserito:: Dicembre 21, 2007, 06:34:23 pm »

Miliziade Caprili: "Il governo ha deluso, ma la verifica lo rilancerà"

Andrea Carugati


«Il governo ha disatteso moltissime delle aspettative di chi l’ha votato, e non solo tra gli elettori della sinistra radicale. Ma io non dò per archiviata l’esperienza di questo governo, anzi credo che la verifica di gennaio debba essere un’occasione per rilanciarlo». Milziade Caprili, vicepresidente del Senato ed esponente di Rifondazione, usa toni particolarmente cauti sul rapporto tra la nascente sinistra arcobaleno e palazzo Chigi. Toni più vicini alla prudenza di Mussi e Diliberto che ai leader del Prc. «Non è un mistero che nel nostro partito ci siano posizioni diverse sull’esperienza del governo. Ma alla fine ha prevalso chi la verifica vuole farla davvero, chi pensa che ci siano le condizioni per andare avanti».



Lei vede il bicchiere mezzo pieno?



«Le differenze tra questo governo e quello precedente ci sono e sono sostanziali. Non è vero che non si è fatto niente. Ora ci vuole un salto che ci consenta una “connessione sentimentale” con il nostro popolo, come diceva Gramsci».



Come la vede questa verifica? Non c’è il rischio che ne usciate come da Caserta, con tanti buoni propositi e poi tutto ricomincia come prima?



«Non credo che ci sia la possibilità di vivacchiare: o ne usciamo con un rilancio reale, oppure ognuno andrà per la sua strada».



Come si misura questo rilancio reale?



«Dalle questioni del lavoro: che vuol dire salari, precarietà e sicurezza. Questa è la vera cartina di tornasole. Ci sono altri temi chiave, come i diritti civili, ma la cosa più importante è la questione-lavoro: il fenomeno dell’impoverimento delle famiglie si sta allargando anche al ceto medio. Bisogna concentrare gli sforzi, e anche le risorse, su questo».



Crede che la Sinistra si muoverà compatta nella verifica?



«È noto che ci sono posizioni diverse tra i quattro partiti e anche all’interno di Rifondazione. E tuttavia anche oggi (ieri, ndr) in Senato sulla Finanziaria abbiamo parlato con una sola voce: è un’abitudine ormai consolidata. Non escludo che, alla fine, ci possano essere valutazioni diverse sui risultati raggiunti nella verifica. Ma l’idea di una consultazione larga, che vada oltre gli iscritti dei partiti, può aiutarci».



Pdci e Verdi non sembrano molto convinti di questo referendum...



«La discussione è in corso, io credo che una consultazione dal basso possa essere salutare. Noi faremo una consultazione anche prima, per scegliere i temi della verifica, e poi una successiva. Sarà un’operazione impegnativa, per questo abbiamo deciso di rinviare il congresso».



Secondo lei nel popolo della sinistra prevale la voglia di salvare questo governo o viene considerato morente?



«L’affetto è certamente diminuito perché non sono stati affrontati nodi come la legge 30 e il conflitto d’interessi, e tuttavia pesa ancora moltissimo la paura di un governo di destra. I cinque anni di Berlusconi hanno inciso profondamente sulla sensibilità della gente di sinistra».



Cosa insegna la vicenda del decreto sicurezza?



«Non ho elementi per dire se quell’errore al Senato sia stato studiato, diciamo che è figlio di un accordo pasticciato dell’ultim’ora».



E il nuovo decreto?



«Prima vorrei leggere il testo. Ma se c’è l’impegno del governo per avere tempi certi sul ddl stalking e omofobia non vedo perché non debba passare anche in Senato. Però è inaccettabile che il dissenso plateale della senatrice Binetti passi in secondo piano, mentre quando le critiche arrivano da noi ci danno degli estremisti».

Pubblicato il: 21.12.07
Modificato il: 21.12.07 alle ore 8.16   
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« Risposta #78 inserito:: Dicembre 23, 2007, 11:01:10 pm »

Sircana: «Servono ancora riforme ma ora i risultati si vedono»

Ninni Andriolo


Onorevole Sircana, anche il Times di Londra racconta un’Italia vecchia e depressa. Resoconto ingeneroso o ritratto fedele di ciò che rimane del Belpaese?

«Permette una battuta?».

Prego, ma le ricordo che già il New York Times aveva descritto gli italiani infelici...

«Appunto. Potrei cavarmela con la battuta sulla lobby del Prozac che sta cercando di sfondare sul mercato italiano o con l’ironia della Littizzetto: “belgi e francesi, invece, sai quanto sono allegri...!”».

Deve ammettere che gli spagnoli sorridono più di noi...

«Ma non ci hanno ancora superato. In questo Paese si dà molto spazio alla stampa straniera quando ci dà addosso e poco quando ci esalta e racconta i nostri meriti. Les Echos di due settimane fa esprimeva giudizi lusinghieri sulla nostra economia e sul sistema italiano delle esportazioni e quasi nessuno qui da noi ci ha fatto caso».

Che tipo di Paese siamo, allora, dopo quasi due anni di governo Prodi?

«Non siamo né un Paese triste né depresso. Siamo un popolo troppo spesso tentato dall’autocritica, invece. Vorrei ricordare che vantiamo 60 milioni di commissari tecnici della nazionale. Detto questo è vero quello che ripete spesso il presidente Prodi...».

E cioè?

«Che questo è un Paese che deve tornare a credere nei propri mezzi e ad aver voglia di vincere. E vorrei ricordare che ci sono imprese grandi e medio piccole che stanno vincendo anche sul terreno internazionale. C’è da aggiungere che il nostro è un Paese che ha un tessuto economico e sociale particolare. Un Paese con pochi campioni nazionali e molti campioncini che stanno crescendo...».

Non sarà anche un certo andazzo della politica a deprimere gli italiani? Chiacchiericcio, scontri e pochi fatti concreti. Mentre le riforme marciscono negli archivi delle buone intenzioni.

«Sicuramente c’è bisogno di riforme, in primo luogo di quelle che riguardano la legge elettorale, i regolamenti parlamentari, i poteri del premier e il superamento del bicameralismo perfetto. Detto ciò va sottolineato che la politica ha raggiunto un record di dialettica che fa prevalere la comunicazione della negazione sulle cose positive che pure si fanno. Se dico che oggi è il 23 Dicembre, il mio oppositore deve sostenere che non è vero, perché oggi è il giorno di Natale. Di qui la difficoltà di fare una comunicazione rotonda. Un meccanismo che è entrato anche nel sistema dei media. Tutto questo non permette di far capire alla gente ciò che si fa e ciò che resta da fare. E ingenera dubbi e incertezze».

Non c’è anche un limite nel governo? Prodi sostiene che i fatti faranno giustizia dei pregiudizi. Un giorno, magari, i fatti diranno la loro, nel frattempo si sedimentano orientamenti che li annebbiano...

«Prendiamo l’esempio di Alitalia. Il governo dovrà analizzare i documenti e assumere una decisione definitiva, ma c’è già chi è certo che la vicenda andrà a finire in un certo modo. È la fretta di trarre conclusioni che ci fa seminare illusioni che alimentano attese. E la comunicazione del governo deve fare sforzi titanici per recuperare. Va ricordato, in generale, che qualunque proposta del Consiglio dei ministri deve poi passare al vaglio delle Camere che possono confermarla o modificarla. Se si dà per fatta quando esce da Palazzo Chigi, e poi cambia in corso d’opera, è perché le regole di una democrazia parlamentare vanno rispettate».

Colpa del sistema istituzionale, quindi?

«In realtà c’è troppa fretta di trasformare in qualcosa di definitivo ciò che è ancora in corso di definizione. Sempre a proposito di Alitalia, penso che anche il governo inglese si concederebbe il tempo fisiologico che si sta prendendo il nostro per ponderare e assumere una decisione definitiva».

Deve ammettere che con questo andazzo la comunicazione dell’opposizione ha buon gioco e passa prima nel Paese: «La Finanziaria è da buttare, Prodi andrà presto a casa...».

«Passa prima, ma lascia profonde cicatrici e danneggia un Paese che deve recuperare sicurezza e certezza di sé».

Se ne esce sperando, con Prodi, che il tempo sarà galantuomo? La Finanziaria prevede sgravi sull’Ici, detrazioni sui mutui, tagli ai costi della politica... Avete confezionato una strategia per far conoscere agli italiani ciò che è stato deciso?

«In questa direzione lavoriamo noi e lavorano i ministeri interessati. Ma la merce più preziosa che abbiamo da vendere è la pazienza. E questo governo, dopo un anno e mezzo, comincia a essere considerato per le cose positive che sta facendo. Viviamo in un mondo impaziente, c’è bisogno di pazienza per far comprendere i risultati che già si avvertono e saranno sempre più evidenti in futuro».

Un futuro che Berlusconi non vede davanti al governo Prodi. La spallata di novembre non c’è stata, lui però la ripropone a gennaio...

«La sua è la sindrome del giocatore seriale: gioca gli stessi tre numeri al Lotto convinto che prima o poi usciranno. Probabilmente nell’aprile del 2011, con la conclusione naturale di questa legislatura, Berlusconi magari c’azzeccherà sulla fine del governo Prodi...».

Saranno «i fatti» del Professore a vincere la partita sugli annunci del Cavaliere?

«Per noi non vale le logica della gara dove c’è chi vince e c’è chi perde. Noi dobbiamo continuare a fare ciò che stiamo facendo per il bene del Paese».

A dispetto di una maggioranza litigiosa che moltiplica gli annunci di suicidio politico?

«Bisogna ricordare che le elezioni ci sono state, l’indicazione di un governo c’è stata e che tutti abbiamo approvato un programma comune. Dire “qui siamo e qui restiamo” significa affermare che rimaniamo ancorati alla promessa fatta agli italiani e alla garanzia di mantenerla».

Sarà questa la filosofia della verifica di gennaio?

«Sono i nostri compiti per le vacanze di fine anno ed è prematuro rispondere appena chiusa la scuola. La verifica da compiere è se siamo ancora d’accordo sulle 280 pagine del programma e sugli obiettivi che queste prevedevano, e che sono stati in gran parte raggiunti o messi in cantiere. C’è ancora molto da fare, ma vorrei ricordare che abbiamo condiviso un programma di legislatura».

Prodi annuncia il miglioramento dei salari. Come troverete la quadra tra Giordano che mette al centro l’emergenza sociale e Dini che vigila sui conti dello Stato?

«Non c’è nessuno che vuole la bancarotta dello Stato. Il recupero dell’evasione fiscale ci consentirà margini importanti per una politica che favorisca, dopo i pensionati più poveri e gli incapienti, una redistribuzione che, partendo dal basso, migliori i salari».

E Dini, Bordon o Fisichella che considerano chiusa la fase politica di questo governo?

«Siamo convinti della razionalità di ciò che stiamo facendo e, se non prevarrà il calcolo politico, la perseveranza di Prodi verrà ancora premiata».

Lei è il portavoce del governo, quale consiglio dà con maggiore frequenza a Prodi?

«Io ormai prendo solo consigli da Prodi e quello che mi dà più spesso è un’incitazione alla calma e all’ottimismo. E devo ammettere che i fatti, se pur faticosamente, gli danno ragione».


Pubblicato il: 23.12.07
Modificato il: 23.12.07 alle ore 15.04   
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« Risposta #79 inserito:: Dicembre 24, 2007, 10:56:07 am »

2007-12-23 21:03

FISCO, VELTRONI INCORAGGIA PREMIER.

SINDACATI:ORA FATTI


Archiviata la Finanziaria e incassato il via libera al pacchetto welfare, il premier Romano Prodi ha pronta l'agenda 2008: quattro punti con al centro il recupero del potere d'acquisto dei salari dei lavoratori, attraverso interventi fiscali, quali bonus, detrazioni e la riduzione dell'Irpef, che il vice ministro dell'Economia Vincenzo Visco, reputa essere il "tema del 2008". "Il recupero dell'evasione fiscale - spiega il portavoce del Governo, Silvio Sircana - ci consentirà margini importanti per una politica che favorisca una redistribuzione che, partendo dal basso, migliori i salari".

Il piano del premier viene accolto in modo cauto dai sindacati, che non si accontentano della politica degli annunci e chiedono l'apertura di un tavolo di confronto.

Mentre il segretario del Pd, Walter Veltroni, esprime "un giudizio positivo" sulla proposta. "Il 2008 deve essere l'anno della crescita dell'economa e di quella dei salari", sostiene il leader dei Democratici, spiegando che per "i redditi si possono usare strumenti immediatamente efficaci e comprensibili a tutti, come un forte aumento delle detrazioni per le spese di produzione del reddito da lavoro dipendente". "Dopo tanti proclami sulla necessità di aumentare le retribuzioni del lavoro dipendente, arriva l'annuncio che il Governo sta articolando una proposta", commenta il segretario confederale della Cgil, Marigia Maulucci. "Ci auguriamo che non si tratti solo di un annuncio e speriamo che il Governo rammenti che sul rafforzamento di salari e stipendi, Cgil, Cisl e Uil, hanno approvato una piattaforma densa di proposte specifiche, l'hanno inviata all'esecutivo e sono in attesa di una convocazione formale di un tavolo di confronto". Dello stesso tono il commento del segretario confederale della Cisl, Pierpaolo Baretta: "Ben venga il piano del governo ma è necessario che al più presto queste dichiarazioni si traducano in un piano operativo attraverso la convocazione di un tavolo". Per Baretta, la strada migliore da seguire è quella di un confronto "di merito che riduce i rischi di un approccio solo politico".

Valutazioni positive sul piano del Governo anche dalla Uil. Il segretario confederale Domenico Proietti "apprezza la volontà annunciata, però riteniamo che si debba entrare nel merito. E' fondamentale intervenire prima sul lavoro dipendente attraverso un aumento delle detrazioni e una detassazione degli aumenti contrattuali. Questo è l'intervento che ci aspettiamo in via prioritaria. Poi possiamo cominciare a parlare più in generale di riforma Irpef". Per Cgil, Cisl e Uil il ridare potere d'acquisto ai salari, come previsto dal piano Prodi, è un tema connesso alla riforma dei contratti che, per il ministro del Lavoro Cesare Damiano, è la strada maestra per centrare questo obiettivo. Per il ministro sarebbe opportuno passare a una cadenza triennale sia per la parte normativa sia per quella economica. Sarebbe inoltre importante "prevedere un'inflazione programmata vicina a quella reale" e "potenziare la contrattazione decentrata". Sul piano fiscale, gli interventi che, secondo Damiano, il Governo può fare sono "sulle aliquote, oppure sulla specifica detrazione da lavoro o anche la restituzione del drenaggio fiscale", senza dimenticare l'adeguamento delle pensioni. 

da ansa.it
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« Risposta #80 inserito:: Dicembre 25, 2007, 06:59:09 pm »

Si sfila anche Pallaro. Violante a Dini: guarda i risultati

Marcella Ciarnelli


Anche il senatore argentino Luigi Pallaro prende le distanze dal governo che pure, finora, ha contribuito a tenere in piedi. Peraltro divertendosi «un sacco» a fare «l´ago della bilancia». Ma ora ci vuole un cambiamento. «A Palazzo Chigi sarebbe bene che tornasse Berlusconi» dice in un´intervista a Libero. «Io e lui abbiamo un´ottima amicizia, siamo in sintonia. Ma partiamo da un principio: a me non ha mai fatto nessuna offerta» precisa il senatore, il cui nome ricorre tra quelli che sarebbero stati "corteggiati" dal Cavaliere nel tentativo, non riuscito, di dare la spallata al governo Prodi.

La posizione presa da Pallaro si va ad aggiungere a quella di Lamberto Dini che ancora una volta, sul Corriere della Sera, ha provveduto a spiegare il perché della sua decisione di non appoggiare più Prodi da ora in poi. «Può un governo senza una maggioranza in Senato, attraversato da conflitti e visioni opposte non solo in materia di politica economica e sociale, reggere alle sfide che stanno di fronte al Paese? La risposta mia e dei Liberaldemocratici non può che essere negativa». Quindi bisogna cambiare. «Solo un esecutivo di larghe intese, che nasca anche sulla base di un contributo delle componenti migliori del mondo intellettuale, economico e sociale, coinvolte nello sforzo di risanamento del Paese può rispondere alle vere sfide che ha di fronte».

Un governo di transizione, dunque. Questa la soluzione Dini. Luciano Violante, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, invita Dini a guardare agli obbiettivi raggiunti. «Più si guarda ad essi, più si consolida la coalizione. È su questo terreno che bisogna operare per rilanciare la maggioranza, perché non si può ridurre tutto ad una mera questione di numeri». Per il ministro Clemente Mastella «non c´è spazio per l´ipotesi di un esecutivo di larghe intese. Si può modificare la legge elettorale, anche questo Parlamento può farlo, e si va al voto a primavera inoltrata. Questo sarebbe l´unico dato di correttezza, l´unico percorso lineare». L´ipotesi di un governo istituzionale non piace al segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto. Ed un altro no alla proposta Dini arriva dal capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Bonelli: «O si finisce la legislatura con Prodi o si va al voto». Mentre Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione al Senato, invita il leader dei liberaldemocratici ad «uscire dall´ambiguità» e a dire con chiarezza «se vuole verificare la possibilità di ricontrattare un programma comune o se invece va solo in cerca di scuse». Contro i professionisti dello «smarcamento» si è dichiarato Franco Monaco. Dall´altra parte grande interesse per la proposta è stato espresso da Sandro Bondi, coordinatore di Forza Italia, ma non dal leghista Roberto Calderoli che è per le elezioni prima dell´estate. Governo istituzionale sì per l´Udc Cesa in modo da poter fare le riforme, poi voto.

La questione è politica oltre che di numeri. A dare una mano al governo Prodi, su quest´ultimo punto, potrebbe arrivare la decisione della Giunta per le elezioni del Senato che assegnando gli otto seggi in discussione, farebbe aumentare il numero dei senatori pro governo. Ma bisognerà aspettare la fine di gennaio.

Pubblicato il: 24.12.07
Modificato il: 24.12.07 alle ore 15.17   
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« Risposta #81 inserito:: Dicembre 27, 2007, 11:08:34 am »

Nel 2008 doppia sfida: sostenere i salari e proseguire sul fronte del risanamento

Finanziaria, scontro Visco-Fmi

Alcuni analisti del Fondo: «Italia poco coraggiosa». Poi la smentita.

Il viceministro: «Il risanamento va avanti»

 
ROMA - L'Italia mostra attualmente «poco coraggio» sul fronte della spesa pubblica, e nel prossimo anno il nostro Paese dovrà affrontare una doppia sfida: sostenere i salari, e, nel contempo, proseguire sul fronte del risanamento sfruttando anche la «buona ripresa in atto». Sarebbero queste, secondo quanto appreso da alcune agenzie di stampa, le prime valutazioni sulla manovra economica da parte di alcuni analisti del Fondo monetario internazionale. Valutazioni smentite poi seccamente da una nota del Fondo stesso, che rimanda i giudizi ufficiali sulla manovra italiana a fine gennaio 2008, quando una «missione del Fondo Monetario Internazionale visiterà l’Italia per le regolari consultazioni relative all’articolo 4, e diffonderà le sue analisi e le sue raccomandazioni sulla visita subito dopo la sua conclusione».

LA REPLICA - In merito alle ufficiose osservazioni di tecnici dell'Fmi tuttavia ( «Sarebbe servito più coraggio per affrontare le sfide che l'Italia ha davanti nel 2008») non si è fatta attendere la secca replica di Visco: «I rilievi del Fondo monetario internazionale mi sembrano già sentiti: un po' rituali - ha detto il viceministro all'Economia, sottolineando che «il risanamento continua. Lo si vede e lo si continuerà a vedere dai conti. Noi stiamo realizzando gli obiettivi concordati, il processo di risanamento andrà avanti, i dati per come li vediamo noi, e per come li vedono tutti, sono buoni», ha aggiunto Visco. Secondo l'Fmi, l'Italia corre il rischio di non centrare l'obiettivo di riduzione di spesa fissato per il 2008. Anche la riforma del welfare, secondo gli ispettori di Washington, non è strutturale. «I risultati sono gli stessi della riforma fatta dal precedente governo - ha aggiunto Visco - questi rilievi rappresentano un punto di vista, già sentito. Vedremo».

ISPETTORI A ROMA - I rilievi del Fmi vengono espressi a poco meno di un mese dall'annunciato arrivo in Italia della missione degli ispettori dell'organizzazione. Solitamente fissata in agenda negli ultimi mesi dell'anno, la visita della delegazione è stata fatta slittare e rinviata al prossimo 24 gennaio. In concomitanza della presentazione del rapporto, il Fondo nella bozza dell'article IV aveva già detto la sua in merito alla Finanziaria definendola «ben impostata per portare il deficit di bilancio sotto il 3% del Pil, grazie soprattutto a entrate superiori al previsto nel 2006». Il Fondo aveva comunque allora riconosciuto che «la situazione politica è difficile: la maggioranza del governo è sottile e alcuni partner della coalizione fanno resistenza alle riforme di mercato». Non era mancato neppure il riferimento alla spesa e sull'esigenza di un consolidamento fiscale basato proprio su tale voce: «la Finanziaria - si leggeva nel rapporto - si fonda eccessivamente su maggiori entrate», mentre servono «più moderni processi di bilancio; un'azione decisiva per spingere la competitività interna; una seconda ondata di riforme del lavoro; e un miglioramento dei mercati finanziari».


26 dicembre 2007(ultima modifica: 27 dicembre 2007)

da corriere.it
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« Risposta #82 inserito:: Dicembre 27, 2007, 09:58:41 pm »

Al centro salari e potere d’acquisto, riforma della P.A e poi ricerca e opere pubbliche

Un anno di governo, il resoconto di Prodi

«L'Italia si è rimessa a camminare. Nel 2008 calo delle tasse per i lavoratori».

Piccoli partiti: «Vanno salvati»

 
ROMA - Romano Prodi traccia le linee dell'anno che sta finendo e tira un sospiro di sollievo. In tanti avevano pronosticato che non sarebbe arrivato a mangiare il panettone ma lui è ancora lì, in sella a Palazzo Chigi. Anche se non molto saldo, visti gli attacchi massicci non solo dell'opposizione ma anche degli alleati (vedi Dini) e con il fiato sul collo dell'incognita della verifica chiesta dai compagni di viaggio a gennaio. Ma il premier, com'è sua consuetudine, non molla e guarda avanti. «L'Italia è un Paese che si è rimesso a camminare e che è uscito dalle emergenze. Lo dicono tutti i numeri. la crescita si attesta da due anni attorno al 2% e il debito sta calando costantemente. Chiuderemo l'anno col un deficit molto più basso del previsto: sotto il 2%, cifra inferiore a tutte le previsioni», così ha esordito nel presentare il resoconto delle attività di Governo per il 2007.
«Ma le cifre non sono il solo problema, esiste anche una crisi legata alla mancanza di fiducia, che impedisce di camminare spediti. E' fondamentale essere rientrati sotto i parametri che chiedeva l'Europa. un risultato che ci permette di pensare a politiche di programmazione più efficaci. Eppure questo dato non ha cambiato le difficoltà di molte famiglie. Ma la messa in ordine delle nostre casse ci permetterà a fine legislatura di scendere sotto il 100% nel rapporto deficit/Pil , e questo permetterà di liberare risorse per le famiglie, per l'ambiente e per la sicurezza».

CRIMINALITA'- «Il 2007 è stato anche l'anno della rimonta contro la mafia. Ma è importante non abbassare la guardia. Comunque il clima è cambiato e in Sicilia molti cittadini hanno trovato la forza di rialzare la testa. Lo Stato non si fermerà nella lotta alla mafia e alla camorra».

LAVORO - Il tasso di disoccupazione in Italia è il più basso «da 25 anni, nettamente sotto la media europea» ha detto Prodi. Secondo il premier, però, ancora nel Sud «un lavoro pulito e onesto resta per molti un sogno».Prodi ha ricordato la lotta l lavoro nero e l'abolizione dello scalone. Un accenno anche alla sicurezza sul lavoro, definita una grande emergenza nazionale. «Le camere hanno approvato un disegno per questo problema: ora gli strumenti devono diventare operativi e ognuno dovrà prendersi le proprie responsabilità».

WELFARE- «Siamo un Paese che invecchia. le famiglie vanno aiutate. La Finanziaria ha stanziato 800 milioni per le famiglie, che comprende investimenti per gli asili ma anche per gli anziani non autosufficienti».

REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO- «Il 2007 è stato anche l'anno del tesoretto». «L'extra gettito è stato usato per aumentare le pensioni e per l'extra.-bonus di 150 euro, che non è una panacea ma è un primo segnale per la redistribuzione del reddito, un problema che va urgentemente affrontato».


POLITICA ESTERA - Il Premier, dopo aver ricordato i riconoscimenti ricevuti dall'estero le politiche internazionali dell'Italia ha invitato a «uno sguardo meno concentrati su se stessi».

LA CASTA - «Il 2007 è stato l'anno dell'antipolitica e della "casta", ma la moralizzazione è stata una priorità del mio Governo molto prima delle inchieste giornalistiche e nella finanziaria, non a caso, è stato annunciato un solido, pacchetto per dare efficienza alla macchina della politica»

PROGRAMMI PER IL 2008 - «Dovrà essere l'anno in cui proiettiamo l'Italia nel futuro» ha detto Prodi:. «Ho ben chiare quali sono le politiche e le azioni da adottare. Grazie alla straordinaria azione contro l'evasione fiscale pensiamo che non meno di 20-21 miliardi di euro siano rientrati e questa proseguirà anche nel prossimo anno. Ma la vera sfida è l'efficienza della pubblica amministrazione, che va fatta marciare più speditamente, va resa più snella, più leggera e meno costosa»

ENTI PREVIDENZIALI - «Vogliamo riformare profondamente gli enti previdenziali, a partire da gennaio.Questo comporterà un risparmio di qualche miliardo di euro. Sempre dal 2008 diminuiremo ancora il numero eccessivo di adempimenti burocratici. L'anno prossimo sarà possibile fare una sola comunicazione obbligatoria per il lavoro e lo stesso per le imprese».

INFORMATIZZAZIONE -Il Premier ha insistito molto anche sulla progressiva informatizzazione dei servizi e della burocrazia, con riferimenti anche alle attività giudiziarie.

AMBIENTE- «Doteremo di pannelli solari tutti gli edifici pubblici, tranne quelli di valore storico, a partire dalle scuole. Sarà obbligatorio anche adottare lampade a basso consumo energetico. dal 2011 saranno in vendita in Italia solo lampadine a ridotto consumo energetico. Risparmi ci saranno anche sullo spreco di carta».

CRESCITA - «Bisogna ridare fiato alla ricerca, per cui stiamo studiando le modalità di finanziamento per rinnovare le dotazioni dei laboratori scientifici delle scuole e poi bisognerà accelerare i tempi per l'assunzione dei 3mila ricercatori in attesa».

SALARI - «In Italia c'è un problema di reddito per i lavoratori i cui salari hanno perso molto potere d'acquisto, al punto che anche lo sviluppo del paese ne risente negativamente. Bisogna agire prontamente, ma prima è necessario che cresca anche la redditività e che siano ridotte le imposte sui salari medio-bassi».

GOVERNO CADE CON VOTO SFIDUCIA, NON CON ALTRI STRUMENTI - Sollecitato da un giornalista sulle recenti dichiarazioni di Dini, secondo il quale il governo non ha più i numeri per andare avanti. Prodi ha risposto: «Un governo si abbatte con un voto di sfiducia, non ci sono altri strumenti, non con le dichiarazioni o le interviste».

PICCOLI PARTITI - «Sono convinto che il lavoro che si sta facendo e si farà nei prossimi mesi sarà anche uno strumento per una ricomposizione e un ricompattamento delle forze politiche. Quello che io voglio è che evidentemente non vi sia una messa fuori gioco dei partiti minori. Questo non è nelle mie intenzioni e mi batterò affinché questo non avvenga».

RAPPORTI CON GLI USA- «Rispetto alla politica italiana sull'Iraq non c'è necessità di alcun cambiamento» e da questo punto di vista non dovrebbero esserci modifiche nell'approccio con gli Stati Uniti impegnati nella campagna presidenziale» ha specificato il presidente del Consiglio durante la conferenza stampa seguita alla presentazione del resoconto i fine anno, aggiungendo che «quanto avevo da dire l'ho già detto a Bush» e la decisione di ritirarsi è stata presa «in lealtà e serenità» e quindi «non ci sono stati problemi» e «ho anche avuto il riconoscimento da parte di Bush che mi ha detto che si sarebbe meravigliato se ci fossimo comportati diversamente». Questo approccio non risente di eventuali cambi di scenari politici negli Usa, dove è ipotizzabile una vittoria alle presidenziali per un candidato del partito democratico: «Noi non sosteniamo candidati ma linee politiche -ha detto Prodi- questo magari porterà a linee più vicine a quelle dei democratici, ma noi non sosteniamo candidati in Paesi stranieri».

KOSOVO - Romano Prodi ha assicurato che in Kosovo «l'Italia farà la sua parte». «Non ci tireremo certamente indietro» rispetto alla missione civile e di ricostruzione dello Stato decisa dall'Ue, ha affermato il presidente del Consiglio nel corso della conferenza stampa di fine anno. È una missione «indispensabile» a fronte di uno scenario «complicato» per l'impossibilità di trovare una soluzione concordata tra serbi e albanesi»..

VERTICI ENI, ENEL E POSTE- Sulle nomine dei vertici di Eni, Enel e Poste, Prodi ha specificato che queste imprese sono state «aiutate dal Governo che ne ha garantito l'indipendenza» e ha assicurato che non ci saranno problemi nell'identificazione delle persone da mettere a i vertici delle imprese, tenendo presente le regole del mercato e del contesto internazionale.

ALITALIA - Sul nodo Alitalia Prodi ha chiarito che la decisione sarà presa entro la metà di gennaio. «La procedura è stata di grandissima trasparenza» ha detto Prodi. A Prodi è stato chiesto se fra i criteri di scelta del governo nel selezionare il partner per Alitalia si terrà conto anche delle proteste di politici e sindacalisti, delle rivolte o del criterio della nazionalità. Il presidente del Consiglio ha risposto che nessuno di questi sarà un criterio di scelta, perchè il criterio sarà «la capacità del partner di integrare Alitalia nel sistema mondiale».

PRIVATIZZAZIONI - «Sono rimaste poche aziende da privatizzare. Andremo avanti con le privatizzazioni, ma in armonia con quanto avviene nel resto d'Europa. Troppe volte ho visto il mercato italiano aperto all'estero, ma non viceversa, quindi non accetto lezioni da chi non è aperto quanto noi al mercato. Non voglio che l'Italia diventi soltanto un soggetto appetibile all'acquisto da parte di imprese straniere».

LEGGE ELETTORALE - «La legge elettorale non è tema del governo ma va fatta dal Parlamento con una grandissima maggioranza. Non voglio cambiarla perchè poi sia cambiata con il cambio del Governo». «Io ho sempre pensato che la legge elettorale debba dare stabilità e alternanza. Mi sembra che l'inizio del dialogo sia stato ottimo, ma siamo solo all'inizio, anche perchè la legge elettorale deve andare di pari passo con le riforme delle attività parlamentari».

VERIFICA DI GOVERNO - Rispondendo a una domanda specifica su una ventilata verifica di Governo a gennaio Prodi ha ribadito: «Il governo funziona, non ci sarà una verifica».

TASSAZIONE RENDITE FINANZIARIE - La tassazione delle rendite finanziarie resta nell'agenda del governo. «Il governo ci sta lavorando» ha detto Prodi. «E rimangono nel programma di governo che è un programma quinquennale e sono passati solo 18 mesi».

MUTUI SUBPRIME - «In Italia sui mutui subprime n Italia non dovremmo avere conseguenze». Ci «Ci potrebbero essere conseguenze , speriamo limitate, sulla crescita a causa dell'impatto di questo fenomeno sugli Stati Uniti. Non credo però che ci sarà un'ondata a catena che porterà a una crisi generale perchè i Paesi asiatici, che crescono a ritmo elevatissimo, dovrebbero bilanciare il problema e impedire il crollo dell'economia mondiale».


27 dicembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #83 inserito:: Dicembre 27, 2007, 10:06:55 pm »

Giordano: «Il premier ignori i rumori di palazzo»

Andrea Carugati


Davanti all’ennesimo annuncio di Lamberto Dini sulla fine della maggioranza in Senato, il leader di Rifondazione Franco Giordano sceglie, diversamente dal solito, di non attaccare a muso duro il senatore liberaldemocratico. E al premier Prodi manda un messaggio che ricorda il dantesco “Non ti curar di loro ma guarda e passa”. «Quel tipo di critiche sono rumori di palazzo, inesistenti nella società italiana: rumori che nascono nei luoghi del potere e lì possono morire. Prodi non si lasci ossessionare da queste giravolte, ma guardi al dolore reale della società italiana, salari, prezzi, sicurezza sul lavoro, precarietà. Se dopo la verifica di gennaio il governo metterà in campo provvedimenti seri su questi fronti, e si riconnetterà con i bisogni reali del Paese, bene, sfido i Dini, i Bordon e i Manzione a mettersi di traverso».

Però anche voi non siete stati teneri con il governo...
«Tra noi e Dini ci sono due modi radicalmente opposti per affrontare le difficoltà di questa fase: noi puntiamo a interpretare il malessere della società italiana che la tragedia della Tyssenkrupp ha messo in evidenza in tutta la sua drammaticità. Le critiche di Dini e di altri, cui i numeri del Senato regalano una visibilità sproporzionata, possono essere rese flebili e inesistenti se si rompe lo schema dell’autoreferenzialità di palazzo. Voglio vedere se qualcuno può dire di no alla detassazione degli aumenti contrattuali e allo sblocco dei contratti nazionali».

E tuttavia la questione Dini non può essere elusa. A cosa punta il senatore?
«Ho difficoltà a inseguire questa logica, osservo questa maionese impazzita e sono ben felice di starci lontano».

Con che spirito andrete alla verifica di gennaio?
«Non lavoro per una crisi, anche se ritengo che la verifica sia aperta a tutti gli esiti. Ma dopo la strage della Tyssenkrupp è chiaro che una politica che non affronti quei temi è inservibile, da buttare. E ho colto positivamente che Prodi voglia intervenire sulle retribuzioni, anche con politiche fiscali. È un segnale di attenzione che apprezzo».

Ma se la crisi ci fosse?
«Bisognerebbe fare subito una nuova legge elettorale, e anche alcune modifiche costituzionali. Il referendum sarebbe devastante, e tali sarebbero due listoni contrapposti e molto eterogenei, uniti solo dall’essere contro qualcuno. La legge elettorale è un’emergenza e il sistema tedesco ha una maggioranza in Parlamento».

Per farla può servire un governo istituzionale?
«Non è un tema su cui è utile cimentarsi adesso».

Che vantaggio avreste da un sistema tedesco che riproporrebbe un grande centro come ago della bilancia?
«Siamo pronti a misurarci con questo problema. Ma dipende dalla forza del tuo progetto. Se la sinistra sarà forte e il Pd avrà qualche riferimento sociale dubito che il centro avrà tutto questo peso. E poi, mi scusi, non è il Pd il vero grande centro?

È un’opinione. Torniamo alla verifica.
«I nostri temi sono sul tappeto: detassare il lavoro dipendente, investire su sicurezza del lavoro e lotta alla precarietà. E poi la questione dei prezzi, su cui serve un intervento molto deciso. Cito un esempio abbastanza insolito per me: Sarkozy, quando era ministro dell’Economia nel 2004, convocò le associazioni del commercio e minacciò un controllo sistematico se i prezzi non fossero stati abbassati di un tot ogni semestre. La cosa ha funzionato, facciamolo anche noi. Poi penso a tariffe sociali per le bollette, dal riscaldamento all’elettricità, per chi è sotto una certa soglia di reddito».

Insomma, lei propone di cadere facendo qualcosa di sinistra?
«Secondo me, se interveniamo davvero su salari, prezzi e precarietà, non cadiamo. Vado alla verifica determinato ma anche fiducioso».

Però il sottosegretario Grandi dice che per i salari bisogna aspettare la trimestrale di marzo. Adesso i soldi non ci sono.
«Sui tempi Grandi ha ragione. Per trovare le risorse si potrebbe lavorare immediatamente sulle rendite finanziarie: non penso a espropri proletari, ma possiamo avvicinarci al livello di tassazione europeo, esonerando quell’11% costituito dai piccoli risparmiatori. Decidiamo insieme la soglia sopra cui portare le tasse al 20%».

È questione annosa e delicatissima...
«È una sciocchezza dire che i capitali scappano se ci avviciniamo alla soglia europea. Proviamo ad avvicinare i livelli di tassazione, portando dal 33 al 20% la tassazione degli aumenti contrattuali e portando al 20% le rendite».

Lei delinea una politica tutta di sinistra, proprio quello che Dini teme di più...
«A me pare una semplice osservazione di quello che accade nella società, e una proposta di intervento conseguente».

Come procede il processo unitario a sinistra?
«Qualche passo avanti lo abbiamo fatto, ma bisogna accelerare molto di più: nel Paese c’è una grande attesa».



Pubblicato il: 27.12.07
Modificato il: 27.12.07 alle ore 8.17   
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« Risposta #84 inserito:: Dicembre 31, 2007, 04:59:00 pm »

Intervista al ministro dell'economia

«Maggioranza con impulsi autodistruttivi»

Padoa-Schioppa: «Per Alitalia nessun imprenditore del Nord si è fatto avanti»


ROMA - L'Italia, dice Romano Prodi, è ripartita. Il deficit pubblico è al 2% del Pil, l'economia va.

Non corre, ma va. Le tensioni nel centrosinistra, anche quelle lasciano il tempo che trovano. Chi cospira al Senato contro il governo per farne un altro sappia che alla Camera la maggioranza è forte. E non sarà facile rovesciarla. Infine, la ciliegina sulla torta dell'Alitalia.

 «Abbiamo compiuto un passo importante — rivendica il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa —, per risolvere un problema che si trascinava da vent'anni».
Ma nei prossimi due mesi ne vedremo delle belle. Ne è consapevole, ministro?
«Troppo a lungo la politica ha sfruttato la situazione dell'Alitalia per il proprio tornaconto. Ora non poteva più continuare».
In Lombardia sono furenti.
«Mi spiace che la reazione pubblica di Roberto Formigoni sia stata così accesa. Non aiuta ad affrontare una vicenda di cui sia noi sia il presidente della Regione conosciamo bene origine e difficoltà ».
Non crede che la cessione di Alitalia ad Air France-Klm renderà ancora più esplosiva la questione settentrionale?
«Il problema del Nord esiste e guai a ignorarlo. Bisogna rendere alla Lega il merito storico di averlo imposto all'attenzione del Paese, pur con eccessi. Ci sono almeno tre ragioni reali. Il Nord sopporta da decenni il costo delle politiche per il Mezzogiorno senza vedere grandi risultati; subisce l'inefficienza della pubblica amministrazione; è paralizzato dalla carenza di infrastrutture. In questi mesi non mi sono sfuggite le implicazioni che la soluzione della crisi dell'Alitalia può avere per il Nord».
Con quale risultato?
«Ho sperato che l'Alitalia venisse acquistata da un consorzio di imprenditori del Nord, soluzione che ho molto caldeggiato. Il fondo Tpg ha cercato un partner del Nord ma senza trovarlo. È stata una delusione. Il problema di Malpensa non è né Alitalia né Air France: nasce da insufficienti infrastrutture di accesso e proliferazione di aeroporti vicini. Con il sindaco di Milano, Letizia Moratti, azionista di Sea, sono stato in contatto in queste settimane perché credo che la soluzione della vicenda Alitalia vada accompagnata a una prospettiva seria per quello scalo. Affronteremo insieme i problemi di Malpensa e di Sea. Ci sarà una seria interlocuzione ».
Giovedì le hanno spedito un proiettile. È la seconda volta.
«Un fatto senza significato. Per fortuna le probabilità che un proiettile invece di essere spedito venga sparato sono bassissime».
Quindi non è preoccupato.
«Non per l'episodio in sé. Ma c'è da chiedersi: come mai dopo una Finanziaria positiva, dopo aver avviato a soluzione una faccenda annosa come quella dell'Alitalia, come mai invece di distendersi, il clima si fa ancora più teso?
».
Lei come se lo spiega?
«Sicuramente c'è una responsabilità della maggioranza. In Europa ho visto Paesi usciti dalle elezioni con margini anche inferiori al nostro, nel voto popolare e in Parlamento. Ma è come se in questa coalizione esistesse, purtroppo, un impulso di autodistruzione. Come se non si volesse vedere che il crogiuolo in cui sono state versate posizioni diverse ha prodotto buone sintesi politiche, corrispondenti all'interesse del Paese ».
Ne citi qualcuna.
«Abbiamo assunto nuovi impegni in Libano e siamo usciti dall'Iraq. Abbiamo trovato risorse per pensioni basse e incapienti e insieme risanato i conti. Siamo intervenuti con rigore sulla sicurezza, ma con attenzione rafforzata alle istanze sociali. Ebbene, invece di rivendicare il valore di queste sintesi, ognuno ne prende le distanze: come se l'accordo raggiunto fosse un fatto negativo. Questo inquietante impulso autodistruttivo, però, non è imputabile solo alla coalizione».
Forse ciò che accade nel centrosinistra è lo specchio del Paese.
«Sì, un impulso autodistruttivo pervade la società italiana, la sua classe dirigente, le categorie, il mondo dell'informazione. Non conosco Paesi dove ogni sera tutti i partiti di opposizione intimano al telegiornale che il governo si deve dimettere...».
Siamo tutti sull'orlo di una crisi di nervi?
«Siamo intossicati dalla mancanza di continuità. Abbiamo continue crisi di astinenza dal cambiamento e perciò non riusciamo a fare cambiamenti veri. Ero in Germania quando Gerhard Schröder divenne cancelliere. Il primo anno fu difficilissimo, ma nessuno si sognò di esigere nuove elezioni. Alla scadenza, fu rieletto».
Ma in questa maggioranza ci si prende a pesci in faccia dal primo giorno.
«Ognuno vorrebbe più attenzione per le proprie istanze: la sinistra, Dini, altre componenti della maggioranza. Osservano che la parte che sta loro più a cuore è incompiuta? Bene, vuol dire che 20 mesi di governo non bastano, ci vogliono cinque anni!».
E questo basterebbe a garantire lunga vita al governo Prodi.
«I momenti di irrazionalità collettiva esistono e possono essere molto pericolosi. Ma l'irrazionalità è molto nella mente di chi segue il dibattito politico ».
Si riferisce all'informazione?
«Anche. E in generale al modo con cui l'Italia guarda a se stessa. Non siamo più nel 600, quando eravamo governati dagli stranieri. Ora l'Italia è governata dagli italiani. Milano ha Roma come capitale, non Vienna. Eppure ci si comporta come se il Paese fosse ancora governato da estranei. Il passato governo era in gran parte lombardo, ma questo non ha impedito che la finanza pubblica si deteriorasse. Abbassare le tasse aumentando il deficit è facile, ma dura poco».
Per lei invece le tasse sono bellissime. Non ha detto così?
«Nell'aprile del 2004, quando il governo di allora disse che avrebbe tagliato le tasse, scrissi sul Corriere un fondo intitolato Elogio delle tasse, nel quale argomentavo che le imposte sono il pilastro della convivenza civile e che tagliare le tasse significa diminuire spese e servizi pubblici. Lo riscriverei tale e quale».
Proprio sicuro?
«Sicurissimo. In 20 mesi abbiamo solo ripristinato il livello delle entrate Il problema del Nord esiste. La Lega ha il merito storico di averlo imposto all'attenzione, pur con eccessi. Non mi sono sfuggite le possibili implicazioni della soluzione alla crisi Alitalia per quest'area del Paese combattendo l'evasione fiscale. Abbiamo dovuto correggere il mezzo magico, illusorio, dello spendere a credito. E il recupero dell'evasione va tanto bene che con questa Finanziaria abbiamo cominciato a restituire risorse agli italiani ».
E adesso? Ho letto questa sua dichiarazione: «Niente più tesoretti». Che ci dobbiamo aspettare?
«Non ho detto che non c'è più nulla da restituire. Ma i proventi della lotta all'evasione non saranno più restituiti nella forma una tantum in cui l'abbiamo fatto quest'anno. Nei prossimi tre anni dobbiamo andare a regime, rendendo ai contribuenti tutto quello che eccede una pressione fiscale ormai stabilizzata ».
Sarà possibile?
«Spero lo sia, ma ricordiamoci che ogni mese dobbiamo pagare oltre sei miliardi di interessi per il debito. Un tesoretto ogni trenta giorni se ne va in fumo così».
Perfino i sindacati chiedono di tagliare le tasse ai lavoratori dipendenti per alzare salari che sono i più bassi d'Europa.
«Il settore privato ha due tasche: la tasca dell'impresa e quella del lavoratore. Negli ultimi anni la prima si è gonfiata a sfavore della seconda. La tasca di Pantalone non c'entra. Di per sé, la modifica della distribuzione del reddito non può essere caricata sui contribuenti. Ma se lo Stato è capace di costare meno e recuperare imposte evase è giusto che, oltre a ridurre il debito e a portare il bilancio in pareggio, attenui il carico fiscale nel quadro di un accordo con le parti sociali su produttività e crescita».
Proprio quello che chiede Lamberto Dini. Per il quale il governo Prodi è arrivato al capolinea.
«Dini ha governato dal '94 al '96 superando una grave crisi del cambio e facendo una riforma delle pensioni che ha reso il nostro sistema previdenziale fra i migliori d'Europa. Il governo Prodi si muove in quei due solchi: risanamento dei conti, recupero e integrazione della sua riforma pensionistica. Non vedo contraddizione fra le istanze di Dini e l'azione del governo. Sul deficit pubblico l'impegno era fare il 2,8%. Avevamo puntato al 2,4%. Siamo intorno al 2%».
Per la verifica di gennaio Prodi deve temere di più lui o Fausto Bertinotti?
«Lei dice temere: non ho mai visto in Prodi momenti di paura, ma invece calma, tenacia e continuità di azione, in un mondo che non è calmo né ama la calma. Sono da temere soltanto gli impulsi autodistruttivi non accompagnati da una visione costruttiva. È questo il vero pericolo per la società italiana; di questo c'è da avere paura. Senza un solido ancoraggio con l'Europa sarebbero le condizioni tipiche che conducono un Paese verso il caos e la svolta autoritaria. Questo dobbiamo temere: tutti, non soltanto Prodi. Purtroppo non abbiamo ricavato dalla storia la stessa lezione della Germania».
Due Paesi usciti distrutti dalla guerra e dalla dittatura.
«Ma che ne hanno tratto lezioni opposte. La Germania: mai più governi deboli, come era stato quello di Weimar. L'Italia: mai più governi forti. Ora si potrebbe dire che siamo noi a correre il rischio di Weimar e non rendercene conto è pericolosissimo».
Bella prospettiva...
«Il principio di non avere mai più governi forti si è tradotto, per tutta la prima repubblica, in una vita media dei governi inferiore a un anno. La pubblica amministrazione si è difesa dall'instabilità lavorando da sola, rendendo pletorici gli uffici, in parte perdendo il costume di una corretta interpretazione della sua dipendenza dal governo politico».
Governi brevi, ma sempre gli stessi partiti al potere. Una stabilità senza precedenti.
«Ma la continuità del potere era nel partito. Una situazione più simile a quella sovietica che da Occidente. Ecco, la cosa che mi colpisce di più e che ho potuto sperimentare di persona è quanto si sia indebolito il potere dello Stato».
Sperimentare di persona?
«Una cosa normalissima come la sostituzione di un consigliere Rai di nomina dell'azionista e del capo di una Forza armata, prerogativa di qualunque governo, è stata vista come un fatto dirompente. Non li ho sostituiti subito, secondo una logica politica: ho atteso di vederli operare».
Poi però le sostituzioni di Angelo Maria Petroni e Roberto Speciale sono state entrambe bocciate dal Tar. Come sono stati possibili questi due clamorosi infortuni?
«Non me lo chiedo solo io. Il ministero e il governo avevano acquisito formalmente e informalmente i più accreditati pareri giuridici e di procedura. Che ci sia stato qualcosa che non ha superato la validazione dei magistrati di primo grado è un fatto. Ma sarei insincero dicendo di aver colto nelle sentenze una contrarietà di sostanza».
Come giudica le nostre banche l'ex vicedirettore della Banca d'Italia, ex presidente Consob, ex membro del board della Bce?
«Dopo l'epoca in cui la pretesa difesa dell'italianità aveva portato magri risultati, in un paio d'anni sono nate in Italia due delle prime cinque banche europee. Questo è avvenuto per le energie liberate nel sistema grazie anche alla linea seguita dal nuovo Governatore della Banca d'Italia. Il fatto che Mario Draghi presieda il Financial Stability Forum è prova che la sua azione è riconosciuta anche all'estero».
Ma i consumatori continuano a lamentarsi. Non hanno forse ragione di farlo?
«Constato che, rispetto ai suoi predecessori, questo Governatore è stato spesso critico con le banche. Anch'io, in passato, ho formulato critiche: secondo me la sfida della qualità dei servizi al cliente è ancora da vincere. L'accordo Patti chiari è forse il migliore d'Europa. Ma anche a me riesce più facile prelevare all'estero che in Italia, dove il bancomat mi dice spesso che non può darmi un soldo. Per conquistare clienti si deve rinunciare a qualche rendita di posizione...».
La famosa concorrenza?
«Già. Ma spesso la responsabilità sta dalla parte dei consumatori. I clienti italiani si lamentano molto, ma poi sono pazienti e un po' pigri. La concorrenza la mette in moto chi compra, non chi vende».
«I giovani sono i primi a sostenere il costo del debito, a soffrire l'assenza di protezioni sociali, a subire la sproporzione fra le pensioni cui contribuiscono e quelle che riceveranno». Parole sue, pronunciate il 31 ottobre. Ma non eravamo il Paese dei bamboccioni?
«Un gesto verbale efficace deve suscitare reazioni. C'è chi ha voluto travisare. Non ho mai voluto accusare i giovani, tantomeno quelli in condizioni disagiate. Non vedo contraddizione nel sostenere che si è vittime di una situazione e al contempo responsabili che le cose non cambino. Spetta ai giovani cambiare le cose. Recentemente ho rivisto i Vitelloni: erano i bamboccioni del Dopoguerra, quando il reddito pro capite era un quinto di quello di oggi. Ciononostante, Federico Fellini non voleva certo giustificarli...».


Sergio Rizzo
31 dicembre 2007

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« Risposta #85 inserito:: Gennaio 03, 2008, 11:02:57 pm »

Livia Turco: non si cambia una legge che ha dimezzato gli aborti

Federica Fantozzi


È stanca ma «serena» il ministro della Salute Livia Turco, alla fine di una giornata che l’ha catapultata in un tourbillon di dichiarazioni, precisazioni e dati. Per colpa della “fiammata” del dibattito sull’ipotesi di rivedere la Legge 194. Una legge che funziona, spiega lei: ha dimezzato le interruzioni di gravidanza, da 234mila nell’82 a 133mila oggi. Una legge che, al di là degli annunci politic, «nessuno oserebbe toccare perché il 95% degli italiani sarebbe contrario». Dunque: Ben venga il dibattito pubblico ma nessuna modifica».

Ministro, l’asse Ruini-Ferrara-Binetti-Bondi rischia di mettere in crisi la legge 194? O piuttosto il centrosinistra?
«Io sono molto serena. Maneggiando questa legge sono ben consapevole della sua forza. La 194 è saggia, lungimirante, umana. E soprattutto efficace. Qual è la sua colpa? Forse di avere dimezzato gli aborti dal momento della sua introduzione a oggi?»

Alla 194 qualcuno imputa di essere obsoleta e male applicata.
Invece di montare casi politici converrebbe leggersi bene il testo. Si capirebbe che le accuse di eugenetica non stanno in piedi. I politici e i giornalisti recepiscano l’appello di Napolitano a prendere coraggio: si informino. La 194 è applicatissima. Il suo obiettivo è tutelare la maternita sociale e ridurre gli aborti. Bene: è stato raggiunto».

Quali sono i numeri?
Dal 1982, anno del picco in cui ci furono 234mila interruzioni di gravidanza, siamo scesi oggi a 133mila. Significa -44,5%. Quasi un dimezzamento. Consideriamo poi che la legge è stata introdotta nel 1978: ma prima c’erano 300mila aborti clandestini. Io vorrei una società libera dall’aborto, ma questi dati sono un successo. Quando questa pratica tra le italiane è scesa del 60%, di cosa parla chi critica?».

Insomma la 194 è un successo?
«Sì, esatto. E io capovolgo la questione: indaghiamo piuttosto le ragioni di questo successo che risiedono nell’autodeterminazione della donna e nel principio della responsabilità della scelta».

Dunque l’attività di prevenzione non viene trascurata?
«No, affatto. Alla base dei numeri c’è un’attività di sensibilizzazione, cultura, educazione all’uso della contraccezione. Poi, sia chiaro, le Regioni provvedano a migliorare la quantità e l’attività dei consultori, e questo garantirà risultati sempre migliori e più efficaci».

Ministro, su questo dibattito di inizio 2008 si registra il silenzio dei big del suo partito. Leader e ministri del Pd, a eccezione di Barbara Pollastrini e dei vicecapigruppo Sereni e Zanda, non si pronunciano. Si sente sola?
«Ministri e leader devono fare la loro parte e la faranno, ma non mi bastano. Dove sono le donne? Le femministe? Gli intellettuali? Perché l’agenda politica deve essere imposta da Ferrara e Ruini, che fanno il loro mestiere? Negli anni 70 la legge 194 passò grazie a una forte mobilitazione femminile e culturale».

Ora tutto questo non c’è? Vede una fase di stallo nella difesa dei diritti civili?
«Io ho fiducia. Si ricostruisca una forte mobilitazione sociale per una cultura progressista. Nessuno oserà mettere in discussione la 194 perché il 95% degli italiani sarebbe contrario. Ben venga il dibattito pubblico, ma non ci sarà nessuna modifica».

È fondata l’osservazione che i progressi scientifici nella cura dei prematuri pongono problemi di compatibilità con l’aborto a 24 settimane? Secondo Ruini a quell’età il feto potrebbe sopravvivere da solo, mentre i medici temono che l’obbligo di rianimazione sconfini nell’accanimento terapeutico.
«È un problema serissimo. Su cui non decidiamo né io né Bondi né la Binetti bensì la comunità scientifica. Ginecologi e neonatologi hanno chiesto un punto di riferimento condiviso. Io ho riunito un tavolo di lavoro degli operatori del settore che produca una raccomandazione. Si dovrà tener conto dello sviluppo della diagnosi che fa sapere molto presto quali sono le condizioni del feto e del forte aumento dei bimbi prematuri».

È ormai chiaro che i temi etici sono il tallone d’Achille della maggioranza. La 194 spaccherà il centrosinistra?
«Non credo proprio. Se dai proclami politici si passerà ai fatti, al centrosinistra basterà leggere la legge e studiare i dati per presentarsi unito».

Cambiamo argomento Franceschini ha rilanciato il sistema elettorale francese. Una mossa che arricchisce il dibattito o aumenta la confusione?
«Indubbiamente c’è una confusione che non giova. Forse sarebbe il caso di evitare tanti annunci e trovare una sede dove discutere tra noi. Mi sembra una sommessa richiesta di buon senso».

Si susseguono lettere e annunci di Dini: o il suo mini-programma sarà approvato o voterà contro il governo. È il baluardo del rigorismo o è in malafede?
«Rispetto molto Dini che ha traghettato il Paese in un momento difficilissimo. Diciamo che a Natale è più facile trovare visibilità. Continuo a stimarlo e a ritenere che potrà arricchire il programma comune senza bisogno di ultimatum».

Pubblicato il: 03.01.08
Modificato il: 03.01.08 alle ore 8.12   
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« Risposta #86 inserito:: Gennaio 06, 2008, 11:50:09 pm »

Epifani: niente sconti al governo pronti allo sciopero generale

Oreste Pivetta


«Un fisco amico», aveva chiesto il segretario della Cgil Guglielmo Epifani. Amico di chi guadagna meno, di chi ha meno da vivere, operai e impiegati, pensionati e giovani. Lo ripete all’Unità, invitando il governo a rispondere con chiarezza se è d’accordo a inseguire questo traguardo, se è unito di fronte a questa emergenza. «L’incontro di martedì - spiega Epifani - sarà propedeutico. Poi maggioranza e governo facciano una verifica. E ci rispondano. Una voce sola. Non voglio assistere allo spettacolo di un ministro che dice una cosa e dell’altro che ne riferisce un’altra...». Se la risposta fosse un no o fosse poco promettente? Il sindacato fa il suo mestiere, usa gli strumenti di lotta che ha: «Anche lo sciopero generale».

Segretario, mi pare che si sia creata molta attesa. Ci sono in ballo questioni che la gente sente: prezzi, tariffe, stipendi. Che cosa direte?

«Tutto conferma l’urgenza di affrontare i temi posti dalla piattaforma sindacale. Oggi si può capire perchè il sindacato, chiuso il capitolo sul protocollo del welfare, ma in continuità con quella discussione, abbia voluto porre al centro un obiettivo di controllo dei prezzi e delle tariffe e la richiesta di una fiscalità che aiuti a ridistribuire la ricchezza prodotta e deprima un po’ meno le pensioni.Tenendo conto che i salari non hanno tenuto la corsa dell’inflazione, di cui non s’è visto ancora tutto. Il balzo del petrolio non avrà forse effetti immediati, ma peserà molto in un paese che dipende più di tanti altri in Europa dal petrolio per la produzione di energia e per il trasporto delle merci, con effetti a catena sulle famiglie».

C’è da attendersi il peggio?

«Per questo chiediamo al governo di intervenire con urgenza e seguendo una logica strutturale. Abbiamo sempre lavorato per ricostruire i redditi più bassi e le pensioni più basse».

Dopo anni se non decenni di moderazione salariale...

«Adesso è venuto il momento di usare anche la leva fiscale. Appunto per ridistribuire risorse. Non sono d’accordo con il ministro Padoa-Schioppa quando afferma che con il fisco non si fa redistribuzione. Le tasse si pagano in modo progressivo e questa è redistribuzione. Se il fisco sceglie la casa più che il lavoro si fa redistribuzione. Persino l’evasione redistribuisce: alla rovescia, ma redistribuisce. Chiediamo che questa volta il fisco venga usato a favore del lavoro dipendente e dei pensionati, di quei redditi che hanno più sofferto...».

Non solo per le tasse. Anche per colpa dei contratti che non si chiudono...

«Milioni di lavoratori aspettano il contratto: metalmeccanici, commercio, sanità, tessili. Anche i giornalisti. Si capisce l’importanza vitale, per il paese tutto, del tema che poniamo e ci auguriamo che il governo ne comprenda la centralità, lo condivida, mostri volontà di trovare una soluzione, garantendo percorsi e strumenti. Dopodomani capiremo come stanno le cose. I tempi sono stretti. Francamente non accetto che qualcuno mi venga a dire: prima della trimestrale di marzo non si può. Si deve, invece. Che aspettiamo? Capisco le difficoltà politiche del governo. Per questo lo invito a una verifica di maggioranza. Non accetteremo risposte evasive, dilazioni. Non accetteremo neppure risposte da una tantum, il bonus di primavera al posto del bonus di fine anno. Chiediamo interventi strutturali, essendo chiare le modalità e le risorse, essendo chiaro quello che si può dare oggi e quello che si darà domani. Quindi: volontà, condivisione, passaggio in maggioranza e risposta strutturale».

Un meccanismo ferreo per scardinare la logica delle buone intenzioni?

«Non parole, fatti. L’avrete già sentito dire. Lo ripetiamo, primo perchè non vi è chi non vede la determinante importanza della questione dei salari e dei prezzi e delle tariffe, in secondo luogo anche perchè la stessa maggioranza parlamentare ha indicato che i soldi a questo punto si spendano a sostegno del lavoro dipendente. Non solo questo. Ci sono anche contratti che non si rinnovano (e alcuni cadono sotto la responsabilità del governo)».

Materia spinosa. Il contratto nazionale è sotto tiro da tanti fronti.

«Si capisca bene che i nodi sono tanti. Il sindacato ci sta lavorando, cominciando dalle forme della contrattazione, che non consente o consente solo a fatica di recuperare potere d’acquisto: i contratti tardano di due o tre anni, non ha più senso prendere come riferimento l’inflazione programmata, bisogna dare più peso alla contrattazione nei luoghi di lavoro, senza tuttavia mettere in discussione il contratto nazionale, un’argine di fronte agli attacchi ai salari. Stiamo discutendo l’accordo del ‘93, che ebbe la firma anche del governo.Il nostro interesse è forte. Vorremmo capire anche quello dei nostri interlocutori. Le cartine di tornasole non mancano: il contratto dei metalmeccanici che vorremmo si chiudesse entro fine mese; il contratto del commercio e vorremmo che Confcommercio manifestasse qualche apertura; i contratti pubblici che attendono e che non hanno trovato posto in finanziaria, pur rappresentando situazioni di tensione... penso alla sanità».

Torniamo alle tasse e ai salari. Dopo il governatore Draghi, anche uno studio di Bankitalia mostra come un taglio delle tasse sui salari rianimerebbe Pil e consumi.

«Sì, mi pare che si colga un argomento che tocca in generale la politica economica nel nostro paese. Il Governo ha ragione quando vanta la crescita, i progressi nel risanamento, i buoni risultati dell’export soprattutto in valore e non soltanto nelle quantità a dimostrazione che l’impresa italiana può essere competitiva. Manca qualcosa e cioè la domanda interna. È evidente che all’economia del paese è indispensabile che i consumi interni non siano mortificati. E si torna ai redditi».

Alfredo Recanatesi proprio sull’Unità di giovedì scorso scriveva che la leva fiscale va bene per l’emergenza, poi serve un paese più ricco e occorrono quindi politiche pubbliche che orientino la modernizzazione del nostro sistema impresa...

«Un sistema funziona se attorno trova infrastrutture adeguate, se non manca l’energia, se si conquista una dimensione che consenta di reggere, nei campi della ricerca e della innovazione, il confronto internazionale».

Anche il Sole24ore di ieri reclamava più salari. In cambio però di maggior produttività. È la solita ricetta di Confindustria?

«Bisognerebbe spiegare che non è poi tanto moderno sostenere che per guadagnare di più bisogna lavorare di più. Sembra di tornare all’età delle ferriere e delle miniere, al capitalismo delle origini. La verità è che per produrre di più bisogna investire di più sui prodotti e che la produttività si misura in valore che produci, non nel numero dei prodotti. Alla produttività può servire anche la flessibilità. Purchè sia concordata e contrattata. Ha ragione Recanatesi: si è fatto poco perchè l’impresa italiana crescesse. L’indicazione del 3 per cento di investimenti in ricerca e innovazione contenuta nell’accordo del ‘93 è stata alla fine il punto meno rispettato».

Il giornale di Confindustria vi accusa anche di chiedere meno tasse e allo stesso tempo di voler mandare troppo presto in pensione i lavoratori. Che risponde?

«Siamo l’unico sindacato che ha firmato accordi che alzano l’età pensionabile».

C’è un caso, drammatico, sul tavolo del governo, quello di Alitalia. Condivide la scelta per Air France?

«Non sono convinto della soluzione Air France. Comunque del piano sappiamo poco o nulla. Non è mai avvenuto che di fronte al processo di alienazione di una impresa pubblica il sindacato venisse tenuto all’oscuro. Certo non ci piacerebbe che l’Italia fosse l’unico tra i grandi paesi europei a non disporre di una compagnia nazionale, non per patriottismo, ma per una ragione di interesse nazionale. Come sindacato mi preoccupano i tagli: tra Malpensa e Az Service sono diecimila posti di lavoro».

Anche l’Unità sta cambiando padrone. Che cosa si augura?

«Mi auguro che l’Unità sappia mantenere la sua linea di attenzione ai temi della democrazia e del lavoro. Ne abbiamo bisogno. Non sono molti i giornali che affrontano con serietà i temi della condizione del lavoro. Spesso si tace per interesse di parte...».

Si tace dei morti sul lavoro.

«Certo, il tema sicurezza. Vorrei ringraziare il presidente della Repubblica, che lo ha richiamato con forza. La tragica vicenda della TyssenKrupp, che è peraltro realtà quotidiana, ha trovato sull’Unità una testimonianza assolutamente insostituibile».

Pubblicato il: 06.01.08
Modificato il: 06.01.08 alle ore 15.07   
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« Risposta #87 inserito:: Gennaio 08, 2008, 10:40:43 pm »

L'EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA

Prodi: «Pronto piano per lo smaltimento»

Il premier: «De Gennaro commissario per 4 mesi. Ci avvarremo anche delle forze armate»

 
ROMA - Tre ore di vertice a Palazzo Chigi sull'emergenza rifiuti in Campania, dopo la notte di scontri a Pianura.
Poi Romano Prodi scende in sala stampa, con al fianco il portavoce del governo Silvio Sircana, e snocciola in una conferenza veloce e senza domande le decisioni dell'esecutivo per affrontare il caos-spazzatura: Gianni De Gennaro supercommissario per 120 giorni; utilizzo dei siti per lo smaltimento individuati nel decreto della scorsa estate (con l'aggiunta di altri siti individuati dalle autorità competenti); ricorso alle forze armate per le situazioni di straordinaria necessità e urgenza; tre termovalorizzatori per la Regione; quattro mesi a disposizione dei Comuni per studiare e avviare un piano sulla raccolta differenziata.

IL PIANO - Il vertice di governo, al quale hanno partecipato anche i ministri Parisi, Amato, Pecoraro Scanio, Rutelli, Bonino e i sottosegretari alla Presidenza Micheli e Letta, è stato lungo e «approfondito». Ciò che ne è scaturito, esordisce Prodi davanti ai giornalisti, è un «piano per lo smaltimento dei rifiuti normali e speciali usando i siti immediatamente utilizzabili tra quelli individuati nella legge 87 del 2007, cui se ne aggiungeranno altri individuati dalle autorità competenti». Il capo del governo afferma che è intenzione dell'esecutivo risolvere l'emergenza «nel breve e medio termine». Nell'immediato il Governo punta a usare i siti previsti nel decreto legge della scorsa estate (Serre in provincia di Salerno, Savignano Irpino in provincia di Avellino, Terzigno in provincia di Napoli e Sant'Arcangelo in provincia di Benevento). Senza menzionare la discarica napoletana di Pianura, dove si sono svolti aspri scontri tra polizia e manifestanti che non ne vogliono la riapertura, il governo prevede però anche l'immediato utilizzo di altri siti «individuati dalle autorità competenti». A tal proposito il premier afferma che «ci si avvarrà del concorso qualificato delle forze armate per le situazioni di straordinaria necessità e urgenza». E oltre «alle discariche per l'autosufficienza nello smaltimento», Prodi assicura che la Campania sarà dotata «di almeno tre termovalorizzatori o gassificatori: Acerra, Santamaria La Fossa, Salerno».

SUPERCOMMISSARIO - Tra le decisioni più importanti, quella di nominare De Gennaro commissario straordinario del governo per quattro mesi. Nel ruolo di vicario sarà chiamato il generale di divisione Franco Giannini. L'obiettivo è però quello di «uscire dalla logica del commissariamento - spiega Prodi - ridando la responsabilità dello smaltimento agli enti locali». «Entro due settimane il Governo nominerà un commissario liquidatore per porre fine a 14 anni di fase emergenziale caratterizzata dalla gestione dei rifiuti in Campania»

DIFFERENZIATA - «Per quanto attiene alle misure occorrenti alla raccolta differenziata - prosegue Prodi - i comuni campani dovranno elaborare il relativo piano nei prossimi due mesi. Essi avranno poi a disposizione 60 giorni per la realizzazione dello stesso piano. La mancata attuazione da parte delle amministrazioni comunali di queste misure nei tempi stabiliti determinerà l'immediato commissariamento dei comuni inadempienti». Tra le varie misure c'è anche la richiesta «di un contributo su base volontaria» da parte di altre Regioni. Nel medio termine, Prodi e il Governo puntano a rendere l'Italia autosufficiente sul fronte dello smaltimento dei rifiuti, «evitando esportazioni onerose», come quelle verso la Germania

08 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #88 inserito:: Gennaio 10, 2008, 11:56:25 pm »

Il governo confida di poter «collocare» 100mila tonnellate di immondizia

Rifiuti, undici regioni disposte a smaltirli

Giornata di incontri tra governo ed enti locali.

Nel fronte del «no» Lombardia e Veneto. Continuano le trattative


ROMA - Rifiuti, la domanda è: dove metterli? Giorni fa Prodi ha chiesto chiesto aiuto agli enti locali per lo smaltimento della pattumiera campana e giovedì è stata una giornata di incontri unilaterali tra esponenti del governo e rappresentanti delle regioni, sotto la supervisione del presidente della Conferenza delle Regioni e governatore dell'Emilia-Romagna Vasco Errani. Obiettivo: capire quali e quanti rifiuti ciascuna regione può smaltire nei propri siti. A fine giornata Palazzo Chigi ha fatto il bilancio: undici regioni hanno già dato disponibilità operativa ad accogliere i rifiuti campani (Sardegna, Emilia Romagna, Marche, Puglia, Abruzzo, Molise, Calabria, Sicilia, Piemonte, Basilicata, Lazio). Lombardia e Veneto hanno per ora detto no. Con le altre regioni continuano le trattative al tavolo tecnico. L'Abruzzo si è detto disponibile ad accoglierne fino a 15mila tonnellate, mentre Emilia Romagna e Piemonte ne riceveranno 5mila a testa, anche se la provincia di Torino si è detta invece contraria. In Toscana ne arriveranno 4mila tonnellate, come anche nelle Marche. Nel Molise tremila, e mille in Calabria. Il governo confida di poter «collocare» 100mila tonnelate di rifiuti. I restanti verranno sistemati nella stessa Campania e si esaurirà così «la fase emergenziale».

SOSTEGNO - Le risposte all'appello sono complessivamente positive per l'aspetto politico, ma alcune regioni annunciano che non sono in grado di andare oltre e accogliere i rifiuti campani. «È un'emergenza nazionale e quindi è giusto che tutte le istituzioni facciano uno sforzo comune per affrontare la situazione» ha spiegato Errani. Da parte sua l'Emilia Romagna farà la propria parte accogliendo 5mila tonnellate di immondizia. «Siamo in condizione di farlo senza mettere il nostro sistema in criticità e in massima sicurezza, credo che sia il modo migliore per rappresentare il senso delle istituzioni» ha detto Errani. Sostegno assicurato anche dal presidente della Toscana Martini («Il problema non verrà superato se ogni regione non risolverà la propria situazione costruendo i termovalorizzatori necessari»): la regione si dice pronta ad accogliere 4mila tonnellate di rifiuti. Il Piemonte accoglierà cinquemila tonnellate di rifiuti: lo annuncia l'assessore regionale all'Ambiente Nicola De Ruggiero, che ha registrato la disponibilità allo smaltimento da parte del Comune di Torino e della Provincia di Cuneo. Tremila tonnellate finiranno in Molise. «Simbolico» il contributo della Calabria: non supererà le mille tonnellate.

MINACCE - «Piena disponibilità al governo» anche dal vicepresidente delle Marche Luciano Agostini («Ci verrà chiesto di smaltire tra i 3 e i 4mila metri cubi di rifiuti.Una quantità di natura modesta che tiene conto del Piano della Regione»), che però incassa un coro di no dal centrodestra locale, e dal governatore abruzzese Ottaviano Del Turco. Una disponibilità costata all'assessore marchigiano all'Ambiente Marco Amagliani una telefonata anonima con minacce di morte: «Se prendi i rifiuti della Campania ti uccidiamo». La Sicilia in cambio di aiuto chiede di sbloccare i fondi per i termovalorizzatori e Prodi rassicura Cuffaro. Il presidente del Lazio Piero Marrazzo ha sottolineato che «dalla Campania non prenderemo tutte le schifezze, ma la selezione avverà a monte, in territorio campano». Marrazzo si è poi rivolto ai colleghi Galan e Formigoni: «C'è stata solidarietà nel nostro Paese e se i presidenti delle regioni Veneto e Lombardia l'hanno dimenticata, si ricordino del Risorgimento italiano, l'emergenza rifiuti in Campania è una questione nazionale».

QUELLI DEL NO - Tra le regioni del «no» o dei «distinguo» la Lombardia, che in una nota del presidente Formigoni annuncia «grande prudenza per non rischiare di compromettere la situazione in altre regioni». Impossibilitate a ricevere rifiuti si sono dette anche la Basilicata con il presidente De Filippo (indisponibilità «materiale» e «tecnica»), la Liguria con l'assessore all'ambiente Franco Zunino e il Friuli Venezia Giulia. Anche il governatore del Veneto Giancarlo Galan ha ribadito il no della Regione al possibile arrivo di rifiuti dalla Campania, dicendosi «ancora sconvolto dalle bugie diffuse da alcuni partecipanti all'incontro a Palazzo Chigi secondo cui tutte le regioni avrebbero accolto l'appello governativo». «Il no del Veneto è affiancato dal no di quasi tutte le altre regioni, ad iniziare dal no inquietante ma che condivido in pieno pronunciato dall'Umbria rossa e progressista» ha detto. L'Umbria infatti partecipa al tavolo tecnico tra governo e amministrazioni regionali, ma resta ferma la sua posizione, avendo in corso un procedimento giudiziario relativo all'emergenza rifiuti del 2002-2004.


10 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #89 inserito:: Gennaio 23, 2008, 01:02:39 am »

POLITICA

Intervento del premier alla Camera dopo l'uscita dell'Udeur dalla maggioranza

"Le crisi si discutono in Parlamento, non sulle agenzie di stampa o in tv"

Doppia fiducia, Prodi non si arrende "Penso di farcela anche stavolta"

Il Professore in aula ha rivendicato i successi del suo esecutivo

Il primo voto domani a Montecitorio, poi quello decisivo al Senato

 
ROMA - Darà battaglia fino in fondo, giocando ogni carta in suo possesso per salvare le sorti del governo. E se non dovesse essere sufficiente a scongiurare la fine, farà di tutto per mettere ognuno davanti alle proprie responsabilità, in modo che vengano alla luce i veri motivi della crisi. Le contromosse di Romano Prodi all'annuncio dell'uscita dell'Udeur dalla maggioranza hanno messo in chiaro che il premier non ha nessuna intenzione di arrendersi senza dare battaglia e che guadagnando qualche giorno di tempo pensa forse di poter avere ancora qualche asso nella manica da giocare.

Il Professore ottimista. Facendo il suo ingresso a Montecitorio per le comunicazioni al Parlamento sulla nuova situazione politica aperta dal voltafaccia di Mastella, il presidente del Consiglio si è mostrato ancora una volta ottimista: "Va benissimo, penso di farcela anche questa volta", ha commentato. Le ragioni di tanta fiducia Prodi le spiegherà nei circa 20 minuti di discorso pronunciati alla Camera, con il lungo elenco dei meriti che ascrive all'azione del suo esecutivo. Ma la stessa decisione di presentarsi alla Camera è stata una scelta di autodifesa.

"Le crisi non si discutono in tv". Il motivo lo ha chiarito lui stesso. Ribadita una solidarietà di forma all'ex ministro colpito dall'indagine della magistratura campana, il premier ha iniziato subito a menare fendenti. Se Mastella per spiegare il divorzio dall'Unione è andato da Bruno Vespa, Prodi ricorda che "è salutare assumere comportamenti che implichino l'assunzione di responsabilità limpide da parte delle istituzioni preposte al governo del Paese, a partire dal Parlamento". "In un paese legato allo stato di diritto - ha aggiunto facendo fatica a proseguire per le rumorose interruzioni dell'opposizione - non sono le agenzie di stampa e neppure i dibattiti televisivi che determinano le sorti di un governo".

"E' bene che tutto venga alla luce". E' importante che la crisi venga discussa in Parlamento, ha sottolineato il presidente del Consiglio, perché davanti al rischio che possano entrare "in discussione in modo opaco preoccupazioni di riforma elettorale o di altro genere è bene che tutto venga alla luce in questa sede, nelle aule parlamentari. Esse sono la sede fondamentale della democrazia". Altra stoccata al leader dell'Udeur, che molti sospettano abbia deciso di puntare ad elezioni anticipate per scongiurare il referendum e gli effetti nefasti che avrebbe sul suo partito.

L'orgoglio di Prodi. Il premier ha rivendicato quindi quelli che ritiene successi indiscutibili della sua permanenza a Palazzo Chigi, dal risanamento dei conti pubblici alla lotta all'evasione fiscale, dagli accordi sul welfare alle scelte di politica estera, dalle politiche in favore dei ceti più deboli al senso di responsabilità con cui ha affrontato l'emergenza rifiuti in Campania. Davanti a un tale bilancio, è stato il ragionamento sottinteso di Prodi, Mastella e chi intende seguirlo lungo la strada della crisi, si assuma le proprie responsabilità, ma ricordi che "questo è un governo che, nato su un patto di legislatura sottoscritto da tutti i partiti dell'Unione il 20 giugno del 2005, si era ripromesso, cito testualmente, 'un'alleanza destinata a durare per l'intero arco della legislatura'. Questo è un governo - ha proseguito - che, nato sulla base di un programma elettorale firmato e condiviso da tutti i partiti dell'Unione l'11 febbraio del 2006, ha avuto il mandato di guidare il Paese per cinque anni".

Verso la doppia fiducia. Per questo Prodi ha deciso di chiedere espressamente la fiducia, alla Camera come al Senato. Il primo voto è fissato per domani pomeriggio a Montecitorio, dove salvo sorprese, il governo otterrà la maggioranza anche senza il voto favorevole dei deputati dell'Udeur. L'appuntamento con lo scoglio del Senato, dove in teoria con la defezione dei mastelliani la maggioranza non esiste più, sarà invece in agenda molto probabilmente per il pomeriggio di giovedì con la replica dell'intervento del presidente del Consiglio.

Al premier serve tempo? Questa è almeno la proposta avanzata dal ministro dei Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti alla presidenza di Palazzo Madama. Una tempistica che potrebbe far slittare il voto di fiducia dei senatori alla prossima settimana, quasi che Prodi voglia prendersi tutto il tempo possibile per cercare di giocarsi le ultime carte. Magari tentare la riapertura di un dialogo con Mastella, come ha suggerito il ministro Rosi Bindi, oppure la conquista di qualche senatore del grande magma centrista.

I timori di Forza Italia. Manovre che potrebbero essere la ragione dell'ottimismo del Professore e che almeno un poco sembrano impensierire anche l'opposizione. "Prodi ha descritto il paese dei Balocchi - ha sentenziato con sarcasmo il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti - un paese completamente difforme dal vero. Però - ha messo in guardia - stiamo attenti, perché questa pervicacia nel difendere la poltrona contro ogni evidenza, è sospetta".

(22 gennaio 2008)

da repubblica.it
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