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Forum Pubblico => LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. => Discussione aperta da: Admin - Giugno 10, 2007, 10:44:21 pm



Titolo: GOVERNO PRODI...
Inserito da: Admin - Giugno 10, 2007, 10:44:21 pm
La tenuta di Prodi non dipende dai ballottaggi

Bruno Miserendino


Povero Lamberto Dini. Ha dovuto rismentire, per l’ennesima volta in pochi mesi, di essere il candidato di Silvio Berlusconi per un governo preelettorale del dopo-Prodi. «Fantasie - ha affermato - non ho intrattenuto e non intrattengo conversazioni con esponenti dell’opposizione». A questo punto non si capisce se c’è un accanimento dei media, in disperata ricerca di scenari alternativi al Professore, oppure se c’è un gran lavorio dei partiti e di forze ben individuate per far fuori Prodi, che però come al solito non approda a nulla. Può darsi persino che le due cose si alimentino a vicenda. La sostanza è che l’alternativa a Prodi al momento non c’è e, paradossalmente, è sempre più difficile trovarla.

Persino se i ballottaggi segnassero un nuovo arretramento dell’Unione, ad esempio con la sconfitta alla provincia di Genova, i partiti del centrosinistra non avrebbero altra realistica strada che serrare i ranghi per evitare un suicidio collettivo. Il dopo Prodi è infatti un baratro che inghiottirebbe sia la sinistra radicale che la sinistra riformista. Di questo si vanno convincendo anche quanti nella maggioranza si apprestano a tirare la corda da una parte e dall’altra. Chi al centro sogna o evoca a mo’ di minaccia nuovi scenari, non trova sponde convinte a destra, perchè lì ogni abitante ha una sua idea. Berlusconi vuole votare subito, con Dini premier, la Lega aspetta di vedere se può incassare qualcosa su legge elettorale e federalismo, Casini vuole un governo istituzionale che duri due anni e impedisca al Cavaliere di tornare in sella. Fini non lo dice apertamente ma la pensa come Casini. Questo spiega perchè le cene a cui si concedono diversi protagonisti politici politicamente non producano nient’altro che spunti gustosi per i giornali. Tra l’altro bisognerebbe capire cosa ne pensa Napolitano, perchè i governi a tempo non sono mai esistiti. Lo stesso Mastella, dopo le minacce dei giorni scorsi, legate soprattutto al problema della riforma elettorale, sembra essersi reso conto delle difficoltà di un eventuale dopo-Prodi. Piuttosto, dicono i suoi, stiamo attenti a quel che combina Pezzotta col suo prepartito cattolico.

Ma anche la sinistra radicale è nei guai. La tentazione di irrigidirsi su alcuni temi, in primis le pensioni, c’è. Per non parlare della politica estera, dove la sinistra radicale è in grande difficoltà e capisce che non riesce più a mediare tra governo e movimenti. Il feeling tra Bertinotti e Prodi è scomparso da tempo e i rapporti tra i due si sono ulteriormente freddati da quando il presidente della Camera ha voluto drammatizzare le conseguenze politiche del caso Visco. La tentazione di fare una nuova versione del ‘98, quando Rifondazione comunista lasciò Prodi al suo destino, sta crescendo. Magari stavolta, pensa qualcuno, si potrebbe garantire un sostegno esterno, consentendo un appoggio contemporaneo dell’Udc. Ma è uno scenario fantasma: Casini non vuole Prodi e la sinistra radicale dovrebbe spiegare agli elettori che ha sì ripreso la sua libertà, ma permettendo uno spostamento al centro della coalizione. La certificazione di una sconfitta. Indicativa la giornata di ieri per la sinistra radicale. I partiti, responsabilmente, hanno organizzato un presidio a piazza del Popolo che permettesse di criticare la politica di Bush senza però danneggiare più di tanto il governo Prodi. Il problema è che la manifestazione più partecipata è stata un’altra, quella dei movimenti, e questo non può che creare problemi in prospettiva. Il paradosso è che nonostante le divisioni e le ambiguità, dal punto di vista dell’immagine la giornata di ieri, fino a che non ci sono stati gli scontri, è andata benissimo per il governo. Si è dimostrato che tutti gli attacchi della Destra contro la politica estera dell’esecutivo sono pretestuosi, perchè gli Stati Uniti hanno confermato la solidità del rapporto di amicizia e di alleanza con Roma. Gli incidenti, naturalmente, hanno dato fiato alla Destra.

Comunque vadano le cose ai ballottaggi, Prodi sa che deve fare uno sforzo in più: per respingere l’assalto che ben individuati gruppi di potere, più o meno forti, gli stanno tendendo da mesi deve bloccare la deriva delle bandierine, ossia la spirale delle ritorsioni e dei ricatti all’interno dell’Unione. Dovrebbe, forse, frenare Di Pietro e la sua ansia di visibilità giustizialista e dovrebbe anche riuscire a far crescere la solidarietà intorno ai Ds, al centro dell’attacco delle stesse forze che insidiano lui. Il mese di giugno, da questo punto di vista, sarà decisivo. Galleggiare non serve. Se la maggioranza trova un buon accordo generale su due tre punti qualificanti del programma e si ridà la spinta, anche gli scenari alternativi andranno al mare.

Pubblicato il: 10.06.07
Modificato il: 10.06.07 alle ore 14.15   
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Titolo: Re: La tenuta di Prodi non dipende dai ballottaggi
Inserito da: Admin - Giugno 11, 2007, 03:22:09 pm
Gennaro Migliore: «Il punto non è Bush. Ma le politiche sociali»

Enrico Fierro


La gioia per la promozione del «suo» Napoli in serie A. La delusione per le lacerazioni e i toni aspri di una discussione che si preannuncia infinita sul dopo corteo di sabato. Anti-Bush, ma anche - e a tratti soprattutto - anti-Prodi e anti-Bertinotti. La domenica di Gennaro Migliore, classe 1968 e capogruppo alla Camera di Rifondazione comunista, è carica di sentimenti contrastanti. A noi tocca rovinare la festa calcistica.

Onorevole, Marco Ferrando dice che per voi è venuto il momento di smarcarvi da Prodi.
«Rispetto tutti, ma mi manca la fantasia per pensare a Ferrando come leader di qualcosa in grado di dare lezioni. Preferisco ascoltare il mondo che ha partecipato a quel corteo pacifista».

Già ma il corteo di sabato è riuscito, il sit-in della sinistra di lotta e di governo no.
«Ho ben presente i pensieri e le tensioni di quanti sabato hanno sfilato per le strade di Roma per manifestare contro Bush e per chiedere politiche di pace. C’erano anche molti iscritti al mio partito con le bandiere di Rifondazione. Noi avevamo proposto una iniziativa unitaria che non è stata accettata. Evidentemente c’era chi voleva fare un uso politico, politicista, di quelle pulsioni e del corteo. Diciamo la verità, hanno aspettato Bush per fare una manifestazione contro Rifondazione. Detto questo, non mi nascondo le nostre responsabilità. Avremmo dovuto impegnarci di più per una iniziativa più grande e unitaria. Ma un dato è certo: lavoreremo per l’unità con i movimenti, ascolteremo di più le mille voci che vengono da quel mondo».

E’ impressione diffusa che stare al governo non vi faccia bene. State pagando un prezzo troppo alto a Prodi. Il voto delle amministrative sta lì a dimostrarlo.
«Perdiamo, ma non per la politica estera. Il vero campanello d’allarme è sulle politiche sociali. È qui che bisogna aprire una fase nuova e correggere a sinistra l’asse della politica economica del governo».

Giusto, ma come la mette con il ministro Padoa Schioppa?
«Diciamo che la mettiamo e la metteremo. Perché quando il ministro afferma che il sindacato o si rinnova o si estingue, e lascio ai lettori immaginare cosa intenda per rinnovamento, candida il governo alla disfatta. Nella prossima riunione sul Dpef chiederemo che si facciano scelte tutte orientate a politiche di redistribuzione sociale. Ci sono le risorse e sono il frutto di una finanziaria pesante che abbiamo sostenuto. Ora, per favore, non dividiamoci su come investirle in un piano di vero risarcimento sociale».

E Confindustria? E Montezemolo?
«Ma cosa vogliono ancora? Hanno avuto cinque miliardi di euro con il cuneo fiscale, ora tocca a chi ha di meno. Ora il governo deve ascoltare gli operai Fiat da Pomigliano a Mirafiori, i lavoratori con i salari e le pensioni più basse, i giovani disoccupati, la gente strozzata da affitti altissimi e quelle fette di ceto medio che rischiano di scivolare agli ultimi posti della scala sociale. Questa è la vera svolta che la nostra gente si aspetta. Vede, la cosa che mi allarma è che le parole del ministro del Tesoro hanno sempre, se posso dire così, un segno di classe. Non parlano mai alla base, alla gente che pure ha votato per questo governo consentendogli di fare il ministro».

Lo scrittore Marco Revelli disegna scenari inquietanti per la sinistra, dice che ormai avete rotto tutti i ponti con i movimenti, che dietro l’angolo c’è il riflusso degli anni Ottanta, che la situazione è irreversibile.
«Sono solo in parte d’accordo con Revelli. Certo, quando c’è una esasperazione delle posizioni politiche il rischio di passivizzazione dei militanti e dell’elettorato è dietro l’angolo. Ma la situazione non è irreversibile. Da subito inizieremo un confronto con i movimenti, stiamo avviandoci verso un importante momento di confronto anche tra le forze della sinistra che non si riconoscono nel partito democratico, ma il rischio che vedo è un altro, ben più grave. Quando la disaffezione alla politica riguarda ampi ceti popolari, alle porte non c’è il riflusso, ma il sostegno a politiche reazionarie. Per dirla tutta: il rischio è che i nostri elettori votino per Berlusconi. Se permette, mi preoccupo più di questo che di Ferrando e Cannavò».

Pubblicato il: 11.06.07
Modificato il: 11.06.07 alle ore 8.43   
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Titolo: Prodi: "E' andata bene". Damiano: "Utile, non ci sono problemi"
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2007, 09:52:57 pm
Pranzo di lavoro con gli esponenti dell'ala dissidente.

Pecoraro: "Occorrono modifiche, più attenzione a giovani e precariato"

Welfare, i ministri della sinistra a Palazzo Chigi con Prodi

Prodi: "E' andata bene". Damiano: "Utile, non ci sono problemi"

Letta: "Venerdì prossimo la relazione di Damiano sul protocollo"
 

ROMA - Il Parlamento è sovrano ma noi chiediamo al presidente del Consiglio "maggiore attenzione" su alcuni temi contenuti nel protocollo sul welfare, a partire dal costo del lavoro. Così Alfonso Pecoraro Scanio ha inquadrato l'incontro di questo pomeriggio, a Palazzo Chigi, tra il presidente del Consiglio Romano Prodi ed i quattro ministri della sinistra dissidenti sul Protocollo per lo sviluppo. Incontro che è stato chiesto con urgenza da Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi), Fabio Mussi (Sd), Paolo Ferrero (Prc) e Bianchi (Pdci) questa mattina e che Prodi ha accettato subito, organizzando a Palazzo Chigi un pranzo di lavoro cui hanno partecipato anche il ministro del Lavoro Cesare Damiano e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta.

"Modifiche, c'è ancora troppa legge Biagi". "Nell'incontro - ha detto Pecoraro - abbiamo chiesto che ci sia maggiore attenzione al settore del precariato e che la competitività non sia solo costo del lavoro, ma anche innovazione e di pensare molto ai giovani".

"Abbiamo detto con chiarezza - ha proseguito ancora - come Verdi che mentre sulle pensioni c'erano elementi di compromesso avanzato sul precariato c'è ancora troppo della legge Biagi, bisogna dare dei segnali seri che davvero si va verso tempo indeterminato". Lo stesso vale per la competitività e l'innovazione temi sui quali "serve una scossa".

"Ci aspettiamo che si apra una discussione - ha commentato il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero - e che in futuro ci sia un coinvolgimento reale. E nel merito che ci sia la disponibilità a dialogare su modifiche all'accordo". E su questo punto, ha aggiunto, "non ci è stato detto un no".

Della stessa opinione anche Fabio Mussi, secondo il quale in fase parlamentare si potranno introdurre delle modifiche al testo. Il ministro dell'Università e Ricerca apprezza l'apertura al dialogo del presidente del Consiglio e dice: "quella che viene rappresentata come sinistra è una parte importante della coalizione che sostiene il governo, che è fedele al centrosinistra e che ovviamente deve poter dire la sua sulle decisioni che di volta in volta verranno assunte".

Nessuna polemica da Palazzo Chigi: "L'incontro? Bene, bene" risponde Prodi ai giornalisti al termine del pranzo. "Molto utile e non ci sono problemi specifici", gli fa eco il ministro del Lavoro Damiano.

La lettera di Prodi? Non soddisfacente. Ma a Ferrero la lettera che Prodi ha inviato al segretario della Cgil Guglielmo Epifani invitandolo a firmare per intero il protocollo sul welfare e a riprendere la concertazione non è piaciuta. "Il punto politico - ha detto questa mattina - è che c'è il dissenso della Cgil su una parte di quell'accordo. E inoltre c'è un terzo della maggioranza che sostiene che quell'accordo va modificato. In autunno si dovrà arrivare ad un'intesa in Parlamento", sostiene il ministro per la solidarietà sociale.

"La nostra richiesta - ha proseguito Ferrero - non mi sembra esagerata. Anzi, è il minimo. Di pensioni abbiamo discusso ampiamente e non vedo perché non dovremmo discutere di welfare e mercato del lavoro. Il Cdm deve discuterne, questa è una questione di metodo. Si apre dunque una discussione - ha concluso Ferrero - ed io chiedo che in Parlamento si modifichi quell'accordo".

Anche alla Cgil la lettera non ha fatto l'effetto sperato: ambienti vicini alla segreteria generale di Corso Italia fanno sapere che viene giudicata "non soddisfacente", mentre, dal canto suo, Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, la ritiene "molto appropriata e soddisfacente" e ha aggiunto di condividerne i contenuti.

Intanto, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta ha fatto sapere che la prossima settimana il ministro Damiano relazionerà al Consiglio dei Ministri sullo stato delle firme del protocollo sul welfare. La relazione si terrà venerdì 3 agosto. "Il consiglio dei ministri di oggi - ha detto ancora Letta - non ha affrontato l'argomento".

(27 luglio 2007)
 
da repubblica.it


Titolo: Cesare Salvi: Il pacchetto Damiano così non lo voto
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2007, 04:29:23 pm
Cesare Salvi: Il pacchetto Damiano così non lo voto

Roberto Rossi


«Se il pacchetto Damiano dovesse trasformarsi in legge così com’è io non lo voto. Fiducia o non fiducia». E con il senatore Cesare Salvi, ex ministro del Lavoro, tutta la sinistra della maggioranza.

Eppure il ministro del Lavoro Damiano l’ha dichiarato “chiuso”?
«Ha fatto un errore. Ha diviso il sindacato e isolato la Cgil. Non solo non c’è niente di inemendabile ma se non lo si fa si finisce male. Sulle pensioni siamo stati responsabili. Lì c’era un problema di soldi. Qui no».

L’incontro tra Prodi con i ministri di sinistra non è l’inizio di un dialogo?
«Sì, ma vorrei essere molto chiaro: non si pensi che portando il pacchetto welfare in Finanziaria e mettendo la fiducia noi lo voteremo».

A quali modifiche state pensando?
«Sulla questione del lavoro abbiano indicato una soluzione che riprende quella del programma elettorale. Noi avevamo detto di superare alcuni aspetti della Legge 30 e di introdurre il divieto di reiterazione del lavoro temporaneo. In questo protocollo c’è l’esatto contrario. Non a caso il maggior entusiasmo Confindustria l’ha mostrato proprio su questo punto. Nel pacchetto si elimina solo il job on call, mentre resta particolarmente grave la disciplina del tempo determinato».

Perché la considera grave?
«L’Europa ha una direttiva nella quale c’è il divieto di reiterazione del contratto a termine. Damiano non l’ha recepita. Punto primo: considera solo il tempo determinato mentre nel lavoro temporaneo c’è anche il lavoro interinale. Punto secondo: prevede la possibilità di reiterare il contratto a tempo determinato per un arco di 36 mesi. Punto terzo: successivamente prevede anche una nuova reiterazione con il solo elemento burocratico di un timbro dell’ispettore del lavoro. Secondo lei che cosa sceglie un giovane tra la prospettiva di perdere un contratto, anche se a tempo determinato, e andarsene a casa, e la possibilità di andare a mettere un timbro?

Quale altro punto del protocollo non vi è piaciuto?
«La decontribuzione salariale è sbagliata fatta in quel modo. Oltre tutto è una misura che costa. Fare una legge di tipo europeo non si spende nulla, questa misura Damiano invece costa».

Quanto secondo lei?
«Non quanto il cuneo fiscale, ma comunque cifre rilevanti. Tutte a vantaggio delle imprese. I custodi del rigore non hanno nulla da dire?».

Voi avete sempre puntato ad abbattere i costi della politica. A che punto siamo?
«Noi abbiamo ottenuto che nel Dpef fossero inserite misure di risparmio da recepire in Finanziaria. Tra queste un ritorno alla legge Bassanini con una riduzione dei ministri. Servirebbe un governo con la struttura di quello francese (15, ndr). Adottando questa misura risparmieremmo fino a 150 milioni».

In Italia i ministri sono 25. Chi dovrebbe abbandonare?
«Noi di Sinistra democratica siamo disposti anche a fare un passo indietro. Faccio notare però che il futuro Partito democratico su 25 ne ha 18».

Pubblicato il: 28.07.07
Modificato il: 28.07.07 alle ore 11.58   
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Titolo: L'intervista sul Welfare Dini: «Giordano decida, prendere o lasciare»
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2007, 12:02:17 am
L'intervista sul Welfare Dini: «Giordano decida, prendere o lasciare»

L'ex premier: «La sinistra radicale ha ottenuto tanto e dovrebbe essere contenta. D'ora in avanti non potrà ottenere di più» 
 

ROMA — «Sono decisamente stupito dall'intervista di Franco Giordano: nel negoziato di questi mesi la sinistra radicale ha ottenuto l'accordo per l'aumento delle pensioni minime che interessano tre milioni di pensionati, gli ammortizzatori sociali, le misure per i giovani e per i precari come il ricongiungimento dei contributi, la gradualità dell'innalzamento dell'età pensionabile. Io credo che dovrebbero essere contenti. Anche perché d'ora in avanti non potranno ottenere di più».
E invece Giordano annuncia che va in piazza contro il governo dell'Unione.
«Guardi, sta alzando il tiro, vuole aumentare il prezzo per il suo consenso su queste misure». Lamberto Dini, ex premier ed ex ministro degli Esteri, oggi impegnato a costruire il gruppo liberaldemocratico dentro il futuro Partito democratico, non crede allo show down di Rifondazione, ma non si nasconde che sarà «un autunno caldo» per il governo.
Secondo lei alla fine la sinistra radicale voterà le misure sulle pensioni?
«Il presidente del consiglio ha detto "prendere o lasciare" e il futuro segretario del Pd Walter Veltroni ha annunciato che sono inaccettabili modifiche al ribasso».
Non crede che ci sarà un nuovo '98, con Rifondazione che stacca la spina?
«Nella sinistra ci sono forti spinte dalla base e dunque la leadership di quella forza dovrà decidere cosa fare per seguire i militanti. Ma penso che Rifondazione abbia ottenuto tanto dal governo. Noi, Giordano, lo aspettiamo al varco».
Senatore, lo sta sfidando?
«Questa sua durezza, oltre a sottendere la solita visione massimalista che punta a proteggere gli interessi di alcune categorie senza farsi carico dell'insieme, nasconde la preoccupazione per la nascita del partito democratico».
Perché?
«Perché si rende conto che il Partito democratico attrae forze al centro e tira esattamente in direzione opposta a quella che Giordano e il suo partito spererebbero. Sono vecchi, sono partiti del secolo scorso, non una forza riformista e progressista come noi. Capiscono che anche nel governo ci sono meno spazi per le istanze conservatrici. Del resto, sbaglio o è la prima volta che Prodi resiste alle richieste della sinistra estrema? È anche questo l'effetto del Partito democratico, un vero partito riformista».
Le misure forse non cambieranno, ma Rifondazione punta i piedi per mettere qualche paletto in vista della Finanziaria?
«Per dare il via libera alle misure nel pacchetto pensioni e welfare, il resto della coalizione ha pagato un prezzo. L'aumento della spesa pubblica in Italia turba chi guarda di più all'interesse generale. Non è più accettabile che si pensi solo alla spesa sociale senza occuparsi della produzione della ricchezza, che poi dovrà essere divisa».
Insomma, in Finanziaria non ci saranno altre misure di spesa sociale?
«Nella Finanziaria ci saranno le spese per l'accordo sulle pensioni e per le altre misure per il welfare. Non credo che ci siano altri spazi, del resto il governo si è impegnato a settembre a includere nella nota di aggiornamento del Dpef la scaletta di riduzione della spesa corrente per arrivare all'azzeramento del disavanzo nel 2011».
Aumenterete di nuovo le tasse?
«Non so, forse si rinvieranno le spese non urgenti, cioè le infrastrutture, a cominciare dalle ferrovie».
Lei senatore Dini non voterebbe nessun emendamento all'accordo sulle pensioni?
«Se presentassero una misura per trovare fondi per ridurre di più lo scalone, io proporrei l'eliminazione dell'aumento dei contributi per gli autonomi e per i parasubordinati da finanziare con un aumento dell'età pensionabile delle donne».
Metterebbe in crisi il governo?
«Non capisco come non ci si renda conto che c'è un rischio di una sempre maggiore dislocazione delle aziende nell'Est europeo che porterebbe a un declino anche più rapido del nostro Paese. È proprio per questo che noi liberaldemocratici nel Partito democratico presenteremo un manifesto».
Un documento contro il declino?
«Sarà un contributo a favore della candidatura di Walter Veltroni che credo sia la persona che meglio delle altre possa proporre e realizzare politiche che, partendo dalle riforme istituzionali per garantire la governabilità, puntino a superare il declino del nostro Paese».
Con alleanze di «nuovo conio » per il Pd? «Condivido in tutto l'intervista di Francesco Rutelli. Io penso che vista la perdita di consensi dell'Unione se vogliamo recuperare dobbiamo cambiare direzione e dunque cambiare politiche. Per le alleanze si vedrà».

Gianna Fregonara
01 agosto 2007
 


Titolo: Di Pietro: la mia collaborazione con il centro-sinistra finirà con questa...
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2007, 12:03:35 am
1/8/2007 (7:45) - INTERVISTA

"Mai più con i comunisti"
 
Antonio Di Pietro: la mia collaborazione con il centro-sinistra finirà con questa legislatura

FABIO MARTINI


ROMA
Scusi Di Pietro, lei che è l’apostolo della legalità come può immaginare che alle Primarie del Pd possa correre, magari vincere, il leader di un altro partito? Non saremmo alla burletta?
«Risponda lei a questa domanda: Fassino e Rutelli, oggi, sono ancora segretari dei loro partiti? Sì? Bene, ciò significa che né loro né noi ci siamo ancora sciolti. Seconda domanda: se questi due si fossero candidati alla segreteria del Pd, venivano respinti o sarebbero stati ammessi?».

Di Pietro, ma lei lo saprà che già da qualche mese Ds e Margherita hanno fatto due congressi per decidere di chiuder bottega?
«Certo che lo so. Ma lei lo sa che Ds e Margherita si sono solennemente impegnati a sciogliersi, ma soltanto all’atto della costituzione del nuovo partito? Dunque chiuderanno bottega non prima il 14 ottobre ma dopo. E’ chiaro? Anche noi avremmo fatto così, se ce lo avessero consentito».

Certo, se avessero avuto a cuore la sua partecipazione, avrebbero preso tempo, ma è pur vero che due formali congressi sono diversi dalla sua procedura: lei si è «svegliato» poche ore prima della presentazione delle firme, raccolte segretamente...
«Conta la sostanza. Entro il 30 luglio bisognava presentare la domanda. L’ho fatto e mi sono impegnato nella mia dichiarazione di intenti a celebrare il nostro congresso di scioglimento. Lo avremmo fatto, se ci avessero ammesso. E’ ovvio che non si può essere segretari di due partiti».

Seguendo il suo ragionamento, paradossalmente anche Silvio Berlusconi avrebbe potuto gareggiare?
«Paradossalmente, avrebbe dovuto fare una dichiarazione di intenti nella quale si riconosceva nei principi del Pd. Ma senta, andiamo alla sostanza: io faccio parte dell’Unione, io faccio parte del governo, alcuni candidati dell’Italia dei Valori sono stati candidati con l’Ulivo e dunque c’è già stata una simbiosi. E ancora: abbiamo raccolto le firme per il referendum che porterebbe al nostro scioglimento. Che dovevo fare di più?»

Lei potrebbe aver pensato: se mi accettano, posso arrivare secondo dietro a Veltroni; se mi rifiutano, faccio la vittima...
«C’è una terza ipotesi, che è la verità: l’Italia dei Valori e Antonio Di Pietro vogliono avere un futuro, che non può più essere quello di un piccolo partito. Loro non mi hanno voluto. Anche per ragioni inconfessabili».

Le confessi lei
«Hanno dato fastidio le mie posizioni sulle intercettazioni, le durissime battaglie durissime sugli sprechi della politica. Sulla legge per il finanziamento pubblico ai partiti che contiene abusi immorali».

Dunque, non l’hanno voluta le nomenclature?
«Certo. Mi auguro che i i futuri leader del Pd rivedano la chiusura mentale degli attuali promotori, che stanno soffocando sul nascere un processo democratico per calcoli di bottega. Ma per noi l’avventura è finita, non rientreremo dalla finistra».

Walter Veltroni l’ha cercata?
«No».

Sa se temeva di veder dimagrita la sua percentuale dalla sua presenza?
«Lo chieda a lui...».

Prodi?
«L’ho chiamato preventivamente per informarlo della raccolta delle firme. E dopo il no, mi ha espresso il suo rammarico per l’esclusione».

Lei, a caldo ha minacciato rappresaglie. Le pare serio?
«Noi siamo persone serie e saremo leali col governo sino a fine legislatura. Poi punteremo a rompere gli opposti ideologismi e la gabbia destra-sinistra, dialogando con tutti».

Anche con Berlusconi?
«Antonio Di Pietro non andrà né con i Berlusconi né con i berluschini. Vogliamo mantenere lo schema bipolare e costruire una grande forza moderata, riformatrice, liberale».

Questo signfica mai più con i partiti comunisti?
«Certo. Con la sinistra radicale la collaborazione può durare sino a fine legislatura. Poi basta».

E’ questa la «morale» di tutta la storia?
«Anche questa. Ma già da tempo pensavo che sia difficile continuare a collaborare con chi pensa di ricostituire un partito comunista di stampo sovietico».

da lastampa.it


Titolo: Gennaro Migliore: «Vogliamo contare di più»
Inserito da: Admin - Agosto 04, 2007, 10:16:25 pm
Gennaro Migliore: «Vogliamo contare di più»

Maria Zegarelli


Le valigie sono pronte per le vacanze al mare con i figli. Una breve pausa dalla politica in vista di un rientro «caldissimo», dal patto sul welfare alla «Cosa rossa» in costruzione. Gennaro Migliore, capogruppo di Rc alla Camera, ha letto la lettera del premier ma resta sulle sue posizioni: giusta la manifestazione del 20 ottobre. Anzi, Rc, come partito, sarà in piazza.

Migliore, illustri esponenti della sinistra invitano in piazza il 20 ottobre. Ci andrà?

«È il lancio di un´iniziativa che si propone come una vera e propria piattaforma, anche nelle persone che la promuovono, che è molto legata ai sette punti elencati nell´appello. Ci sono esponenti storici della sinistra, i promotori del Pride, le femministe...».

Ma non tutti partiti della sinistra cosiddetta radicale. O no?

«Credo che ci saranno sicuramente adesioni collettive».

Rifondazione per esempio?

«Certo. Ci aspettano due mesi e mezzo di lavoro impegnativo nel quale deve crescere la mobilitazione che in un certo senso è anche una costituente. Parlo di un modo nuovo di venire ad un appuntamento della sinistra, e non di un solo partito, che cresce e che poi coinvolgerà anche i partiti».

Fabio Mussi osserva che l´etica della responsabilità non può significare far parte di un governo e fare appello al popolo perché manifesti contro. Osservazione ragionevole?

«Questa è una manifestazione nella quale chiederemo che pesi di più l´opinione di coloro i quali hanno costituito parte essenziale del popolo dell´Unione, l´unione materiale. Avendo una piattaforma articolata ci proponiamo di intervenire sulla costruzione dell´agenda politica, questo è assolutamente necessario. Non vedo dove sia il problema dell´etica della responsabilità. La nostra responsabilità è di tenere conto di coloro i quali rappresentiamo. Ne discuteremo con Mussi, ma penso che sia un appuntamento al quale nessun uomo e nessuna donna di sinistra si chiamerà fuori. Non è una manifestazione tra le altre, è l´appuntamento centrale dell´autunno».

La domanda è d´obbligo. Sarà una manifestazione «pro» o «contro»?

«Sicuramente è «pro» una politica rispettosa degli impegni del programma, ma è evidente che si collega anche ad alcuni elementi di insoddisfazione che sono stati fin qui generati: noi abbiamo una piattaforma in campo all´indomani di una forte delusione sul protocollo sul Welfare. È evidente che dobbiamo far sentire la voce affinché sia possibile cambiarlo in Parlamento».

Dietro questa iniziativa non c´è il timore di una perdita di visibilità in vista del Pd?

«È un'iniziativa che in forme diverse parla direttamente al nostro elettorato, così come fanno le primarie. Potrei girare le domanda: le primarie sono pro - o contro il governo? Molti dicono che gli elementi generati all´indomani delle primarie metteranno in difficoltà il governo».

Che cosa ha pensato leggendo la lettera di Prodi?

«La prima cosa che ho pensato quando ho letto quella lettera è stata: "Ma chi gli avrà detto dell´appello a scendere in piazza?"».

Anche lei come i direttori di Liberazione e Manifesto ha visto un collegamento tra le due cose?

«Diciamo che quello che è accaduto nel corso di queste settimane ha comportato la necessità di prendere delle decisioni da parte di Prodi, compresa quella di riaprire una interlocuzione con la stessa maggioranza. Ora si tratta di capire se questa interlocuzione porterà dei risultati: se non dovesse essere così, si ribadiranno e semmai peggioreranno le condizioni precedenti. In questa fase, sinceramente, mi sembra fuori luogo il richiamo a sostenere il governo. Noi lo abbiamo sempre sostenuto, semmai è una parte consistente di questo governo che ha scelto di non aprire una interlocuzione con la sinistra ».

Battaglia in parlamento?

«Senza dubbio, a partire dallo scalone. Ci vogliono risorse per abbatterlo davvero, si deve far saltare l´obbligo dei 5mila lavoratori usuranti l´anno, e poi sul welfare è necessaria una revisione generale. Il punto non è principalmente quello delle risorse, si tratta di affrontare la questione della precarietà in maniera seria. Ciò che manca è una revisione della filosofia della legge 30. Non basta l´eliminazione dello staff leasing che riguarda 200 lavoratori in tutta Italia. C´è bisogno di rimettere in discussione il contratto di collaborazione a progetto, di rivedere le causali oggettive per il lavoro a tempo determinato, i fondamenti stessi della precarietà».

Da quello che dice non sembra pensarla come il premier a proposito delle misure "popolari" adottate in questi 14 mesi...

«Che sia prevalente il segno popolare nelle misure adottate fin qui mi sembra un po´ azzardato, visto il calo di consensi del governo. Se non diamo risposte adeguate molte persone potrebbero sentirsi tradite».

Pubblicato il: 04.08.07
Modificato il: 04.08.07 alle ore 13.08   
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Titolo: Ministri in piazza. D'ALEMA attacca, BINDI li difende
Inserito da: Admin - Settembre 02, 2007, 12:17:56 pm
Ministri in piazza. D'Alema attacca, Bindi li difende


I ministri in piazza il 20 ottobre sono «una contraddizione insostenibile». Così il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, risponde in merito alla manifestazione, organizzata dalla sinistra dell'Unione, per la lotta alla precarietà. Insomma, «chi governa non fa i cortei contro il governo - afferma l'esponente dei Ds - ma governa». A Berlusconi: «Elezioni a primavera? Sembra il messaggio di una setta che predica un avvento che non arriva mai».
a manifestazione del 20 ottobre è «dissennata» e rischia davvero di mettere al tappeto governo e maggioranza, dichiara Gavino Angius di Sinistra democratica: «Sono contrario al corteo del 20 ottobre, contrario alla crisi di governo e alle elezioni anticipate. Dico tre no - conclude Angius - a favore dell'Italia e degli italiani». Il che viene detto dopo lo scontro, all'interno di Sinistra democratica, tra la linea del ministro dell'Università Fabio Mussi e cesare Salvi, il primo a favore solo di un'assemblea per protestare contro la precarietà mentre Salvi ha ripetuto: «Il 20 ottobre Sinistra democratica deve manifestare».

Atteso, intanto, è anche il nuovo intervento a riguardo del candidato alla segreteria del Partito democratico Walter Veltroni, che sabato sera sarà per la giornata clou della Festa di Sinistra democratica a Orvieto.

Il leader dell'Udeur, Clemente Mastella, che aveva detto: «Se i ministri scendono in piazza il 20 ottobre» per manifestare contro il protocollo sul Welfare «è crisi di governo» - non accetta che neppure i segretari di alcuni partiti della coalizione partecipino a quella dimostrazione. «È ancora peggio», secondo il ministro di Ceppaloni. "Toni" che il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero (Prc), giudica «eccessivi», precisando però di non aver ancora preso una decisione sulla sua personale presenza in piazza. E aggiunge che lui comunque in piazza contro il governo non c'è stato mai, al contrario di chi come Mastella ha partecipato al Family Day.


Per Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera, le parole del segretario dell'Udeur «sono incoerenti e non credibili». Sulla stessa linea anche Titti Di Salvo di Sinistra Democratica: «Mastella era al Family Day - ricorda - quindi non capisco come possa arrogarsi il diritto di dare lezione agli altri ministri». «O ha un'intesa con Berlusconi o figuriamoci se lascia la poltrona», chiosa il numero due del Pdci Orazio Licandro.

Secca la replica di Mastella: «Se avessi accolto le proposte di Berlusconi, l'avrei fatto prima delle elezioni e loro sarebbero rimasti all'opposizione per altri 50 anni. Se fossero seri come me, governeremmo per cinque anni».

Mastella affonda in realtà il coltello in una ferita che a sinistra è aperta. Infatti, l'intervento di Mussi per trasformare in assemblea la manifestazione del 20 ottobre aveva già incrinato la tenuta precaria della "Cosa Rossa". La proposta del leader della Sinistra democratica non piace infatti ai suoi compagni di strada. Anzi, i primi malumori arrivano proprio dagli esponenti di Sd. Cesare Salvi invita Mussi a riflettere: il nostro movimento, dice, non può mancare ad una «grande manifestazione delle forze della sinistra».

Il Prc invece serra i ranghi. Il segretario Franco Giordano precisa che «la manifestazione del 20 ottobre non è contro il governo», ribadendo che Rifondazione sarà in prima linea ma dicendosi anche disposto a tenere, dopo il 20 ottobre, un'assemblea sui temi del lavoro. Ferrero prova ad anticipare i tempi: «Facciamo subito una grande assemblea», dice, e contemporaneamente «costruiamo il 20 ottobre una grande manifestazione».

Dal Pdci è Oliviero Diliberto a respingere la proposta. «È una concezione strana della democrazia - ironizza - quella secondo la quale si può manifestare se si è all'opposizione e non lo si potrebbe fare stando in maggioranza».

A sparigliare ancora di più le carte ci pensano i Verdi, anche loro contrari alla manifestazione di piazza. Angelo Bonelli invita la sinistra a «trasformare il 20 ottobre in una nuova Woodstock, un grande concerto per i giovani con dibattiti su lavoro e precarietà». Piazza, assemblea o "Woodstock"? In ogni caso, è la convinzione di Mastella, il governo rischia.

 


Pubblicato il: 31.08.07
Modificato il: 01.09.07 alle ore 20.37   
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Titolo: GOVERNO PRODI...
Inserito da: Admin - Settembre 02, 2007, 03:40:47 pm
2007-09-02 14:13

PRODI, METTERE ORDINE A FINANZE PER TAGLIARE LE TASSE

 (ANSA) - AMMAN, 2 SET - Il premier Romano Prodi ha confermato l'impostazione economica del ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa, precisando che il governo vuole "mettere ordine alla finanza per alleviare le imposte". Lo ha detto lo stesso presidente del Consiglio, oggi ad Amman, precisando che l'Italia "non può avere un costo annuo di interessi sul debito di 70 miliardi di euro ed avere un livello così alto di evasione fiscale".


'NON SI FA POLITICA ECONOMICA SOGNANDO'

L'Italia parte da una cifra negativa di 70 miliardi di euro annui di interessi su debito da pagare, e quindi ''e' inutile che si facciano discorsi di politica economica che non tengano conto della realta'''. Lo ha detto il premier Romano Prodi ad Amman, interpellato sulle parole del ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa, che segnalavano come si dovesse prima effettuare dei tagli e poi ridurre le imposte. ''Non si fa politica sognando di vivere in un altro Paese'', ha aggiunto il presidente del Consiglio.


PADOA-SCHIOPPA, PRIMA TAGLI SPESA POI CALO TASSE

'Prima i tagli di spesa, poi il calo delle tasse'': a ribadirlo, in un colloquio con il Corriere della Sera, e' il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, il quale ricorda come ''l'Italia ha la peggiore qualita' della spesa pubblica di tutta l'Europa occidentale, insieme alla Grecia. E' illusorio pensare di riportare il Paese a una crescita duratura senza affrontare il problema della spesa pubblica''. Il ministro frena sull'ipotesi di un taglio immediato delle tasse spiegando che la riduzione del peso fiscale potra' avvenire solo dopo una profonda riqualificazione della spesa pubblica. Dunque la Finanziaria 2008, ricorda il quotidiano riportando il pensiero del ministro, non conterra' nuove imposte per i cittadini ma gli impegni saranno compensati dai tagli di spesa.

Per questo il ministro fa sapere di aver messo a punto un Libro Verde sulla spesa pubblica che, di fatto, dovra' fungere da guida per i ministri che dovranno indicare al Tesoro i possibili tagli da fare: ''Per il prossimo anno - ricorda Padoa Schioppa - il Dpef fissa un obiettivo di disavanzo pari al 2,2% del Pil, e allo stato attuale non serve nulla per raggiungerlo. Questo significa che per proseguire il risanamento non abbiamo bisogno di un solo euro''. Quanto alle cifre circolate finora, il ministro si mantiene cauto: ''Non e' detto che i numeri siano quelli. La cifra riguarda impegni gia' assunti con misure che non sono scritte nelle leggi, ma anche semplici ipotesi. E faremo fronte a queste voci nella misura in cui troveremo le risorse riducendo la spesa pubblica''. Niente nuove tasse, insomma, ma tagli di spesa, ma realizzare questo piano, anche se ''l'emergenza della finanza pubblica e' superata'', dice il ministro, sara' ancora piu' complicato di un anno fa: ''La condizione - dice - e' molto diversa. Ora siamo sollevati, ma siamo alle prese con qualcosa di piu' dell'emergenza''. Si chiama spesa pubblica. E il problema, per il ministro, non e' soltanto tagliarla, ma soprattutto ''riqualificarla''.

PROTESTA FISCALE

Per il ministro non va liquidata come la solita 'sparata' leghista: ''La protesta fiscale - osserva - e' un'espressione per certi versi deviata di una salutare presa di coscienza di due peculiarita' italiane che invece sono degne di stare al centro dell'attenzione. Il problema non e' tanto che gli italiani pagano troppe tasse. E' che la distribuzione del carico fiscale e' fortemente distorta dall'evasione e che la qualita' dei servizi pubblici non e' proporzionata alla spesa. se sono vere le stime di 100 miliardi di euro dio evasione l'anno vuol dire che sui contribuenti in regola grava un pesantissimo sovrappiu' di carico tributario. E troppo raramente il mancato adempimento fiscale e' sentito come qualcosa di cui vergognarsi''. Nel 2007, conclude, ''abbiamo compiuto il risanamento agendo anche sul fronte delle entrate, ma c'e' un limite. Abbiamo davanti a noi un anno in cui dobbiamo rafforzare il reperimento delle risorse nella spesa iniziato con la Finanziaria scorsa''. Negli anni prossimi ''ci saranno molte uscite dal pubblico impiego dovute a ragioni anagrafiche. E' l'occasione per snellire le strutture pubbliche, ma e' un'operazione difficile. Molto spesso chi sostiene che non sia cosi' complicato, si mette a strillare non appena si tocca il suo settore''.


MASTELLA,P.SCHIOPPA TAGLI MINISTERO GIUSTIZIA...

''A Padoa-Schioppa che parla di tagli alle spese rispondo di eliminare il ministero della Giustizia perche' senza soldi non si cantano le messe''. Il ministro della Giustizia e leader dell'Udeur Clemente Mastella replica cosi' al ministro dell'Economia durante il comizio che ha concluso la Festa del Campanile a Telese. ''Non e' che possiamo dire che bisogna fare la lotta alla criminalita' se poi i magistrati e le forze di polizia non hanno i mezzi, se non hanno neanche i soldi per la benzina''.

Mastella, sempre durante il comizio finale, invoca inoltre ''trattamenti migliori per le forze di polizia'' ed auspica che il governo mantenga le ''promesse sugli emolumenti'' relativi al rinnovo del contratto. 


da ansa.it


Titolo: GOVERNO PRODI...
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2007, 02:29:52 pm
2007-09-02 21:08

TENSIONE SULLE TASSE: VELTRONI, GIU' SUBITO


 ROMA - Tagliare la spesa, ridurre le tasse. Il settembre del governo si apre con un picco di tensione sull' eterno dilemma di ogni finanziaria: cosa fare prima? Tocca a Tommaso Padoa-Schioppa tirare il freno. "Prima i tagli, poi il calo delle tasse", dice rivolto ai suoi colleghi di governo. Non ci sta Clemente Mastella che, da Telese, replica piccato: "Allora, elimini proprio il ministero della Giustizia...". E così Romano Prodi deve fare un richiamo al realismo. Il governo sta facendo i conti. Bisogna fare entrambe le cose: riordinare la finanza pubblica e ridurre le tasse. Ma è troppo presto per arrivare alle conclusioni e, in politica economica, bisogna smetterla di "sognare di vivere in un altro Paese".

Ma la politica preme. Ed è Walter Veltroni, dalla festa dell'Unità di Bologna, a premere anche su Palazzo Chigi: occorre abbassare le tasse, dice il candidato premier del Pd, già con la manovra del 2008. Il ministro dell'Economia affida le sue previsioni al Corriere della Sera e sono rasoiate. La protesta fiscale? non è solo la solita sparata leghista, e gli evasori non sanno cosa sia la vergogna. Poi la stoccata sulle uscite dalla pubblica amministrazione condite con po' di sarcasmo su chi strilla non appena si tocca il suo settore. Di sicuro, bisogna pensare prima a tagliare la spesa pubblica e poi a ridurre le tasse. Mastella, da Telese, non fa nulla per nascondere l'irritazione. "Padoa-Schioppa - sibila nel comizio di chiusura della festa dell'Udeur - può anche eliminare il ministero della Giustizia" perché, e cita un vecchio motto meridionale "senza denari non si cantano messe".

 "Non è che possiamo dire che bisogna fare la lotta alla criminalità se poi i magistrati e le forze di polizia non hanno i mezzi, se non hanno neanche i soldi per la benzina", aggiunge accigliato. Il presidente del Consiglio, in vista in Giordania, cerca di gettare acqua sul fuoco: "Non si fa politica sognando di vivere in un altro paese". Bisogna "mettere ordine nella finanza e alleviare le imposte". Prodi predica rigore, realismo. Palazzo Chigi chiede tempo, invita a non anticipare le conclusioni del lavoro che impegnerà il governo per tutto settembre. Ma l'intervento del professore non basta a smorzare le polemiche. Nel centrosinistra cominciano le grandi manovre per il confronto che intreccia finanziaria e protocollo sul welfare. Il segretario Ds Piero Fassino sceglie una via di buon senso: "Bisogna fare tutte e due le cose, tagli alla spesa e riduzione delle tasse", e ci sono tutte le condizioni per fare una buona finanziaria "che consenta di dedicare allo sviluppo più risorse e al tempo stesso di cominciare a ridurre la pressione fiscale". L'accelerazione viene da Veltroni. Bisogna dare un segnale nella finanziaria 2008 e indica l'esigenza di "ridurre la pressione sulle imprese". Scontato l'altolà a Padoa-Schioppa del segretario di Prc Franco Giordano: "Mi sembra inammissibile che possa proporre tagli in questo modo. Dobbiamo invece costruire le condizioni per avviare un processo di redistribuzione sociale". Marco Rizzo (Pdci) va oltre: la manifestazione sul welfare del 20 ottobre servirà anche a "chiarire le idee" al responsabile del Tesoro.

Il Verde Bonelli non spreca l'occasione per far notare che le spese per la Difesa sono aumentate dell'11 per cento già con la scorsa finanziaria e bisogna assolutamente alzare la guardia sull'ambiente. Daniele Capezzone vuole un taglio immediato del peso fiscale ma di pari passo con il contenimento della spesa. Mentre a difende Padoa-Schioppa resta il socialista Roberto Villetti: "Fa bene a richiamare continuamente tutti al rigore, ma è accerchiato dal partito della spesa". In questo sfoderare di sciabole, il centrodestra vede l'occasione per aumentare la pressione su governo e maggioranza.

Il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti, parla della "ennesima carnevalata di Prodi e si chiede se c'é "una persona responsabile nel centrosinistra che decida di voltare pagina". Se il governo è una nave senza guida, osserva Sandro Bondi, la Cdl "ha il dovere di proporre uno sbocco". Anche per Matteoli, capo dei senatori di An, è ora che la Cdl faccia sentire il fiato sul collo agli avversari e suggerisce "un'iniziativa comune" della Cdl in Parlamento e fuori". Diretto come al solito Roberto Calderoli, vicepresidente dell'assemblea di palazzo Madama, "Padoa-Schioppa vive sulla luna" e ancora "Padoa-Schioppa, Prodi e Visco devono smetterla di rompere le balle con gli allarmismi perché questa volta - avvisa - il nord si incazzerà sul serio". 

da ansa.it


Titolo: Re: GOVERNO PRODI... (ALLE SOLITE)
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2007, 02:30:42 pm
Fa discutere l'intervista del ministro al Corriere: «Tagliare la spesa»

Fassino e Veltroni: «Ridurre spese e tasse»

Mastella frena Padoa-Schioppa : «Senza soldi non si cantano messe».

Il Polo attacca a testa bassa. Fi: «Solita carnevalata»   
 

ROMA - Solleva discussioni e polemiche l'intervista al Corriere della Sera di Tommaso Padoa Schioppa, nel quale il ministro dell'Economia ha parlato di ridurre la spesa (e gli sprechi) prima di affrontare il capitolo della riduzione delle tasse.
In giornata è arrivata la presa di posizione del premier Prodi che conferma sostanzialmente quanto sostenuto da Padoa-Schioppa: «Prima mettere ordine nei conti, poi si possono abbassare le tasse». L'opposizione attacca e critica a tutto campo il rinvio della riduzione delle imposte. Ma contro il piano di Padoa-Schioppa si levano voci anche all'interno della stessa compagine governativa. Chi trova invece un punto di equilibrio in Piero Fassino: «Bisogna fare tutte e due le cose».

FASSINO E VELTRONI: «FARE ENTRAMBE LE COSE» - Il segretario Ds, a margine della festa dell'Unità di Brescia, ha infatti risposto così ai giornalisti che chiedevano un commento sul piano del ministro Padoa Schioppa che ha frenato sull'ipotesi di un taglio immediato delle tasse. Secondo Fassino occorre agire in entrambe le direzioni, ridurre le spese e diminuire il carico fiscale. «Mi pare - ha aggiunto Fassino - che ci siano tutte le condizioni per fare una buona legge finanziaria che consenta di dedicare allo sviluppo più risorse e al tempo stesso di cominciare a ridurre la pressione fiscale». D'accordo con il segretario dei Ds si è detto Walter Veltroni intervistato alla Festa dell'Unità di Bologna da Gianni Riotta: «Penso che si devono abbassare le tasse, penso si debba dare un segnale già dalla prossima finanziaria». Per Veltroni bisogna continuare a lavorare anche sulla riduzione della pressione fiscale alle imprese, e «fare una operazione per dare ancora più forza, come sta facendo il governo, al contrasto dell'evasione fiscale». Il sindaco di Roma invita poi a una maggior responsabilità la compagine di governo riguardo alla polemica sulla manifestazione promossa dalla sinistra radicale per il 20 ottobre minacciando crisi di governo: «Tutti devono smettere di dire o è così o me ne vado». Nello stesso tempo, Veltroni ha ribadito che è «inimmaginabile che ci siano manifestazioni con ministri o sottosegretari che fanno parte di questo governo contro questo governo. Questo non aiuta la democrazia del paese». «Prodi sta facendo un grande lavoro per tenere unita la coalizione - ha detto ancora - Se il governo cade è una sconfitta per tutti. Nessuno escluso»

MASTELLA: NO AI TAGLI - A dar corpo invece ai malumori nella maggioranza è stato nella prima mattinata di domenica Clemente Mastella. «Senza soldi non si cantano messe» è la replica del Guardasigilli, intervenendo nel giorno che chiude la festa del suo partito a Telese. I tagli delle spese? «Allora tagliamo il ministero della Giustizia, eliminiamolo - ha detto sarcastico Mastella - come fai a contrastare la criminalità senza risorse, senza mezzi? E tra l'altro - sottolinea - il trattamento economico non è dei migliori e spero che a settembre il governo tenga fede agli impegni presi sugli emolumenti per la polizia».

MIGLIORE: «NO A TAGLI ALLA SPESA SOCIALE» - «C’è chi urla per l’abbassamento delle tasse - ha detto il capogruppo alla Camera di Rifondazione comunista Gennaro Migliore - e c’è chi deve arrivare a fine mese. Padoa Schioppa recita il solito copione: anticipa e destabilizza una discussione che, di questo passo, non sarà mai collegiale». «Non possiamo permetterci una Finanziaria che tagli la spesa sociale - ha aggiunto Migliore - non se lo può permettere il Paese e soprattutto non se lo può permettere quella parte di cittadini che le tasse le paga davvero».

CALDEROLI: MINISTRO SULLA LUNA - L'opposizione attacca a testa bassa. «Poveri noi - sospira il leghista Roberto Calderoli -, Padoa-Schioppa vive sulla Luna oppure pensa di essere sostenuto da una maggioranza di britannici o di californiani, ma purtroppo per lui è sostenuto da una maggioranza di partiti che fanno della spesa pubblica la loro ragione di vita». Per Calderoli, alla fine, Padoa-Schioppa «sarà costretto come l'anno passato ad aumentare le imposte».

BONAIUTI: «ALTRA CARNEVALATA DI PRODI»- «Siamo di fronte all'ennesima carnevalata di Prodi. Ieri prometteva di ridurre le tasse, oggi invece dà un colpo di freno». E' questo il commento di Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, che aggiunge: «Lui dice tutto e il contrario di tutto, gli italiani non gli credono più, i suoi ministri si accapigliano tutti i giorni: ma non c'è una persona responsabile nel centrosinistra che decida di voltare finalmente pagina?».

MATTEOLI: «NON MANTENGONO LE PROMESSE»- Va giù duro anche l'esponente di An Altero Matteoli che dice: il presidente del Consiglio, Romano Prodi e il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa «sono le facce della stessa medaglia e non hanno alcuna intenzione di mantenere le promesse tagliando il carico fiscale, questa è la verità dei fatti».

CAPEZZONE, SERVE FLAT TAX - Contrario all'impostazione del titolare del Tesoro anche Daniele Capezzone, esponente radicale e presidente della Commissione Attività produttive della Camera: «Non mi pare opportuno rinviare il taglio delle tasse - commenta - sarebbe un drammatico errore per la nostra economia. È certamente vero che occorre tagliare le spese, ma le due cose possono e debbono essere fatte simultaneamente». Capezzone insite sull'introduzione, «in cinque anni, di una tassa piatta (flat tax) del 20% pagandola con una riduzione della spesa pubblica dello 0,4% l'anno (cioè del 2% in 5 anni, passando dal 51% al 49% di spesa sul pil). ovvero: tagli alla spesa e alle tasse».

ROTONDI: LACRIME E SANGUE - «La questione fiscale potrebbe rivelarsi la classica buccia di banana su cui rischia di scivolare questa maggioranza», afferma Gianfranco Rotondi, segretario della Dc per le Autonomie. «C'è una sola certezza - conclude - Sarà l'ennesima finanziaria di lacrime e sangue per gli italiani».

02 settembre 2007
 
da corriere.it


Titolo: Cesare Salvi propone un esecutivo leggero per abbattere la spesa pubblica
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2007, 02:41:00 pm
3/9/2007 (7:19)

"Se hanno coraggio cambino il governo"

Salvi critica i tagli di Padoa-Schioppa e propone un esecutivo leggero per abbattere la spesa pubblica.

AMEDEO LA MATTINA


ROMA
Padoa-Schioppa vuole tagliare la spesa pubblica? Cominci dai costi della politica. Prodi è d’accordo? Se ha coraggio, faccia un Prodi-bis con soli 15 ministri, come in Germania e in Spagna». Per il senatore Cesare Salvi queste sarebbero le iniziative serie e concrete. L’ex ministro del lavoro poi chiede alla Sinistra democratica di cui fa parte, di partecipare alla manifestazione del 20 ottobre alla quale ha aderito Rifondazione e Pdci: «Non è sopportabile questo maccartismo intimidatorio di D’Alema».

La sua parte politica contrasterà i tagli alla spesa pubblica annunciati da ministro dell’Economia?
«Padoa-Schioppa non dice cose insensate rispetto a chi chiede la riduzione della pressione fiscale. Tutti capaci di promettere meno tasse. Il problema non è demonizzare il ministro dell’Economia, ma cosa va tagliato. Comincerei dai costi della politica. Io e Villone, con la nostra proposta di legge, abbiamo fatto un calcolo di 6 miliardi. Confindustria di 4 miliardi. Il ministro Santagata con il suo disegno di legge del quale si sono perse le tracce, di 1,3. Prendiamo quello che scrive il Sole 24 Ore su Sviluppo Italia e guardiamo cosa sta succedendo in questo ente inutile: nessuno pone un freno. Ma io ricordo che quello che abbiamo scritto in Finanziaria per abolire Sviluppo Italia: è stato aggirato».

E i tagli ai ministeri?
«Certo ci sono spese che possono essere ridotte ma bisogna entrare nel merito dei tagli. Se si cominciasse a ridurre i membri del governo, dei parlamentari, dei consiglieri regionali..., altro che risparmi!»

Ma ci vorrebbe un Prodi bis.
«E perchè no? Qualcuno deve mettersi un po’ da parte. Non è lo stipendio del ministro o del sottosegretario che pesa, ma il fatto che ogni nuovo ministro reca con sè tesoretti individuali, comitati di consulenza. Altrimenti, poveretti, che devono fare: devono dimostrare che esistono, prendere iniziative e organizzare convegni. Se il governo non dà il buon esempio, allora anche le comunità montane gli fanno un pernacchione. Sarei contento se ci fosse un Prodi bis in questa chiave. Se Prodi non se la sente, alcuni ministri restino senza portafoglio. Che devo dire: se il problema è drammatico, e non se ne vogliono andare... Appena si è dimesso Giarretta da sottosegretario, subito hanno nominato un sottosegretario nuovo. Prodi dovrebbe avere il coraggio di dire che la Francia e la Spagna hanno dimostrato che bastano 15 ministri per governare. Se non se la sente allora faccia una norma con cui si ripristina la Bassanini fin dal prossimo governo e intanto decurti fortemente tutto ciò che è superfluo. Padoa-Schioppa dia un segnale in questo senso e dica “quando parlo di taglio di spesa comincio dai costi della politica”. E allora noi ti sosteniamo perché la Sinistra democratica non è il partito della spesa, al contrario del Pd che è bulimico di posti».

Lei propone di manifestare il 20 ottobre.
Mussi ha dei dubbi. «Mussi giustamente era preoccupato che la manifestazione fosse un attacco al governo e al sindacato. Allora chiariamo bene la piattaforma dell'iniziativa e diamo agli italiani che ci hanno votato il diritto di dire “rispettate il programma per cui vi abbiamo votato”. Adesso c’è un attacco alla libertà di manifestare. Quello di D’Alema e di altri è maccartismo. Non puoi andare in piazza, altrimenti ti devi dimettere ministro o sei responsabile della crisi di governo. D’Alema dovrebbe ricordare che il governo è caduto una volta ma al centro quando lui venne al Senato a parlare di politica estera. Turigliatto fu cacciato per aver votato contro mentre mancarono i voti centristi. Chi minaccia ogni giorno di cambiare alleanze e di far cadere il governo è il ministro della Giustizia e non quello degli Affari sociali Ferrero. Quindi è maccartismo e anche deformazione della verità per colpire il processo di unità a sinistra».

da lastampa.it


Titolo: Re: GOVERNO PRODI... (ALLE SOLITE)
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2007, 06:55:26 pm
Tasse, Rutelli con Veltroni

"Giù dalla prossima Finanziaria"


SALERNO - "Bisogna dare un messaggio di riduzione della pressione fiscale già dalla prossima Finanziaria". Lo ha detto il vice premier Francesco Rutelli prima dell'apertura della Festa della Margherita.

Il leader Dl, insomma, si schiera sulla stessa lunghezza d'onda del candidato leader del partito democratico Walter Veltroni, e aggiunge che "contemporaneamente si può mettere sotto controllo la spesa. Si può fare una manovra molto attenta alla difesa del potere d'acquisto degli italiani, di tutti gli italiani, e soprattutto di quelli a reddito medio-basso". Secondo Rutelli ci sono "le condizioni per fare una Finanziaria in cui la priorità sia dare alle famiglie e agli italiani impulso per la crescita".

Il vicepremier è tornato anche a bacchettare quei partiti dell'Unione che scenderanno in piazza il 20 ottobre per manifestare contro il protocollo sul welfare. La sinistra radicale non può "solo contestare", ha aggiunto, senza entrare nel merito degli eventuali rischi di crisi per il governo, soprattutto nel caso in cui ministri e segretari di partito scendano in piazza.

"Ho detto fin dall'inizio - ha sottolineato Rutelli - che quell'iniziativa è sbagliata. Quando c'è tanto da fare per il Paese, per le famiglie, per l'economia e per la ripresa, è sbagliato che una parte della coalizione si dedichi a contestare tutto quello che di buono stiamo facendo, che è molto". Infine un richiamo alla sinistra radicale "a fare la loro parte e a servire in positivo".

(3 settembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Sicurezza, la Sinistra radicale - (sbaglia e se ne infischia dei cittadini)
Inserito da: Admin - Settembre 05, 2007, 04:41:59 pm
POLITICA

Il ministro Ferrero chiede più collegialità: "Bisogna distinguere fra i mafiosi e i writer".

Russo Spena: "Il titolare del Viminale banalizza e travisa le nostre posizioni"

Sicurezza, la sinistra radicale "Amato avrà bisogno dei nostri voti"

 
ROMA - Sulla sicurezza si apre un nuovo fronte nella maggioranza. Dopo l'intervista del ministro dell'Interno Giuliano Amato a Repubblica le reazione della sinistra radicale non si sono fatte attendere. "Da parte del presidente del Consiglio c'è stata l'assunzione del fatto che c'è necessità del coinvolgimento di tutti nella discussione sulla sicurezza. Quindi la richiesta di collegialità è stata assicurata e si lavorerà per avere una discussione collegiale di tutti i ministri", ha detto il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero. Che poi ha aggiunto: "Nelle discussioni relative alla sicurezza rimarcando la necessità di dividere con nettezza quella che è la lotta alla criminalità, come la n'drangheta calabrese, dai delinquenti che vanno in giro a rapinare le ville, su cui ci vuole una repressione molto netta". "Questi argomenti - aggiunge il ministro del Prc - vanno distinti dai problemi della mediazione sociale in città e cioè dai lavavetri ai writers. Non si possono tenere insieme cose che non c'entrano nulla. Confondere i due piani - osserva ancora - vuol dire alzare un polverone".

E se per il capogruppo di Rifondazione al Senato Giovanni Russo Spena "Amato banalizza e travisa le posizioni della sinistra" dalla Sinistra Democratica si fa sentire Cesare Salvi che avverte: "Il ministro dell'interno dovrà avere i voti della sinistra per far passare le sue norme in Parlamento"

(5 settembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Unione e governo aprono, cautamente, alle offerte di dialogo
Inserito da: Admin - Settembre 05, 2007, 04:44:37 pm
Unione e governo aprono, cautamente, alle offerte di dialogo

Bruno Miserendino


Un passo avanti e due indietro, per citare Lenin. O più semplicemente una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che con l’intesa, vera o presunta, di Gemonio, Berlusconi, Fini, e Bossi si dichiarano disponibili a modificare la brutta legge che avevano varato nella scorsa legislatura. La notizia cattiva è che questa apertura è condita da così tanti se e ma che difficilmente servirà davvero a imprimere una svolta al complicato dibattito che accompagna la riforma elettorale. Bastava leggere, ieri sera, le variegate reazioni nel centrosinistra, a volte prudenti e aperturiste, a volte, piuttosto scettiche, soprattutto tra referendari e ulivisti, per capire che la vera domanda è questa: quanto c’è di tatticismo nella sortita di Gemonio? Ovvero, quanto la sia pur generica proposta del centrodestra serve a dare un’immagine di compattezza al proprio schieramento, rilanciando la palla nel campo avversario?

È bene ricordare che da oltre un anno il dibattito sulla riforma elettorale assomiglia al gioco dell’oca: a volte sembra fare grandi passi avanti, poi dopo incontri, accelerazioni, bozze, discussioni parlamentari, si torna alla casella del referendum. Che continua a incombere. Tanto per dire: ieri Fini, ossia un leader che ha firmato per il referendum, ha in modo disinvolto spiegato che si potrebbe benissimo votare con la legge che c’è. È quello che va dicendo Berlusconi da tempo, il quale a sua volta si dice disponibile a cambiare di poco il «porcellum», purchè si voti nel 2008. Si acconcia a un accordo del genere anche la Lega, che pure aveva intavolato col centrosinistra un dialogo per il federalismo, ipotesi che prevede una riforma costituzionale per la modifica del bicameralismo perfetto e la creazione di un Senato delle regioni. Se ne deduce che bisogna aspettare un po’ per capire di che si tratta davvero. E la prima cosa da appofondire è se da Gemonio viene un no apodittico a ogni ipotesi di correzione costituzionale che accompani la riforma elettorale. Il dato non è secondario: fare un’altra legge elettorale e lasciare ad esempio il bicameralismo perfetto, anomalia nel panorama mondiale, significa fare un bel marciapiede in una strada sterrata.

Che però la disponibilità a un cambiamento dovesse essere raccolta era evidente. E infatti questo è avvenuto. Walter Veltroni, ad esempio, considera l’accordo di Gemonio un fatto positivo. Del resto da tempo il candidato leader del Pd chiede una legge elettorale e alcune modifiche costituzionali che garantiscano il bipolarismo, la scelta preventiva delle alleanze, la riduzione della frammentazione. Tutte cose che il modello tedesco, su cui sembrava aver fatto passi in avanti la discussione tra i poli, garantisce solo in parte. A meno che si italianizzi molto. Anche palazzo Chigi è disponibile. «Ogni apertura al dialogo è guardata con attenzione e interesse», afferma una nota. Facendo capire che l’accordo sia pure non unanime nel centrodestra è in ogni caso un passo avanti per un confronto. Così pure Fassino e Violante. Il ministro Chiti, che si è speso in defatiganti trattative per approntare ipotesi di riforme condivise, è prudentemente attendista. Tante volte, afferma, si era sul punto di un accordo e poi «sono state cambiate le carte in tavola». Ad esempio Filippeschi, il responsabile delle riforme dei Ds, è abbastanza scettico: «ogni disponibilità a discutere è un fatto positivo, ma serve anche il coraggio di riforme vere». Il punto è proprio questo: serve davvero un semplice aggiustamento della legge attuale? Intanto non serve a bloccare il referendum (anche se un accordo a larga maggioranza lo depotenzierebbe, perchè a quel punto forse non si raggiungerebbe il quorum). Ma sono soprattutto gli ulivisti e i prodiani, e con loro Rosy Bindi, a non nascondere i dubbi. Insomma il rischio gioco dell’oca è sempre dietro l’angolo.

Pubblicato il: 05.09.07
Modificato il: 05.09.07 alle ore 9.05   
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Titolo: Un messaggio per gli onesti
Inserito da: Admin - Settembre 05, 2007, 05:03:43 pm
Un messaggio per gli onesti

Alfredo Recanatesi


In materia di riduzione delle tasse si vanno distintamente definendo nel centro-sinistra due scuole di pensiero: prima il contenimento della spesa, sostiene l’una; no, la priorità va accordata alla riduzione, sostiene l’altra. Entrambe si basano su argomenti solidi rendendo il confronto di elevato spessore.

La prima posizione, che per la sintesi giornalistica possiamo intestare a Prodi e a Padoa Schioppa è quella che discende dalla saggezza classica secondo cui prima occorre ripristinare un ordine stabile e affidabile nei conti pubblici, e solo dopo ci si può permettere di pensare ad altro. È una posizione rispettabilissima sia in via di principio che nella prassi. Mettere ordine nei conti, infatti, significa in primo luogo ridurre quella spesa di 70 miliardi l’anno imposta dagli interessi sul debito e liberare risorse che potrebbero essere disponibili - Padoa Schioppa ne ha fatto un argomento forte - per colmare il deficit di investimenti di cui il Paese soffre da anni e a causa del quale ha tanta difficoltà a realizzare pienamente il suo potenziale di sviluppo. Insomma, sarebbe un ottimo investimento; su questo non possono esserci dubbi.

No, replica la posizione avversa che, per intenderci, fa capo soprattutto a Veltroni ed a Rutelli: la riduzione non può attendere i tempi lunghi di una razionalizzazione della spesa, ossia di una riduzione che non comporti un (ulteriore) ridimensionamento del ruolo dello Stato. Ragioni di equità sociale e di politica economica sostengono questa tesi. Sull’equità sociale c’è poco da dire: i dati sulla dinamica salariale confermano che per ampie fasce di italiani il potere d’acquisto, già falcidiato dalla redistribuzione dei redditi operata dalla sostituzione euro-lira, non ha cessato di ridursi anche in corrispondenza ad un andamento dell’economia non più stagnante. Ma anche la politica economica consiglierebbe ogni manovra suscettibile di risolversi in una tonificazione dei consumi. La ripresa, come si sa, c’è ma è debole; trova un limite nel fatto che la domanda di consumi - il «motore» del 70% del Pil - è quasi piatta a causa della stagnazione dei redditi da lavoro che a sua volta determina una stagnazione, ed assai spesso una contrazione, dei redditi disponibili delle famiglie. Se poi mettiamo nel conto, tra l’altro, l’aumento dei tassi sui mutui ed i rincari già annunciati per i prossimi mesi per un verso, e per l’altro il rallentamento previsto per l’economia europea e, dunque, per le nostre esportazioni, il quadro non è certo dei migliori. Un sostegno attraverso il fisco della domanda di consumi, quindi, non si configurerebbe come uno scialo, ma come la premessa per difendere il già modesto tasso di crescita dell’economia. Ma c’è una ulteriore argomentazione da considerare a sostegno dell’ipotesi di una riduzione, hic et nunc, delle tasse in genere e di quelle sui redditi delle persone fisiche in particolare.

La possibilità di alleggerire la pressione fiscale si è aperta in seguito alle cospicue entrate aggiuntive registrate rispetto alle previsioni. Poiché l’aumento dovuto alla ripresa dell’economia era già stato messo in conto, le entrate aggiuntive derivano tutte o quasi da una riduzione della evasione, e poco importa ora distinguere tra il recupero di imponibile conseguito dal vice-ministro Visco, o da una maggiore propensione spontanea degli italiani ad adempiere al loro dovere fiscale. È comunque un passo avanti in un Paese nel quale chi evade non è colpito da alcuna condanna sociale, ma anzi è considerato un furbo. Tra i motivi che possono spiegare questa radicata distorsione culturale c’è certamente la assenza di ogni collegamento concreto tra il proprio interesse personale, quale lo può avvertire chi adempie al proprio dovere fiscale, e l’evasione perpetrata da chi a quel dovere non adempie in tutto o in parte. La conseguenza è che chi intende evadere non trova nella collettività alcuna remora a farlo, e chi è nella condizione di non poterlo neppure immaginare, come i lavoratori dipendenti, si sente vittima di una ingiusta discriminazione. La disponibilità di risorse, per altro ingenti, dovute ad una riduzione della evasione offre una occasione per incominciare a stabilire, nella cultura diffusa e nei comportamenti, quel collegamento che finora non è stato percepito che come un principio astratto. Sarebbe utile sotto ogni profilo - per l’etica della convivenza civile, per la correttezza dei rapporti tra fisco e contribuenti, per la equità distributiva - che quel collegamento venisse stabilito nel modo più percettibile possibile. È una occasione rara da non disperdere, anzi valorizzandola correlando, con poche cifre che tutti possano comprendere, le riduzioni accordate al gettito recuperato dall’evasione. Chi evade si troverà attorno meno indifferenza e meno complicità di quanto avviene oggi. Se ai nessi logici che sono stati qui ipotizzati si riconosce qualche probabilità di trovare riscontro nella realtà, la scommessa della riduzione delle imposte acquista motivi in più per essere presa in considerazione. Alla fine, anche per chi oggi antepone le ragioni della concentrazione degli sforzi sulla riduzione del debito, una riduzione delle imposte così concepita e così presentata potrebbe rivelarsi un buon investimento.

Pubblicato il: 05.09.07
Modificato il: 05.09.07 alle ore 9.05   
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Titolo: Giordano lavora per una manifestazione unitaria
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2007, 06:23:23 pm
7/9/2007 (11:3)

Giordano lavora per una manifestazione unitaria
 
Il 20 ottobre sinistra unita per l’attuazione del programma di governo


ROMA
I leader di Prc, Sd, Verdi e Pdci sono al lavoro per mettere insieme una manifestazione unitaria della sinistra il 20 ottobre: «Stiamo discutendo - ha detto il segretario di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, intervenuto a ’Radio Anch’iò - le modalità e i contenuti della manifestazione, per determinare un'unità di tutte le forze di sinistra e per permettere una partecipazione molto grande, che sarà critica verso i ritardi del governo nell’applicazione del programma e sosterrà nello stesso tempo la costruzione di una soggettività politica unitaria. La sinistra rinasce dal protagonismo sociale».

Giordano annuncia anche che «è stato già deciso il processo federativo» che porterà alla costituzione della «cosa rossa» come un «soggetto unitario e plurale» e distinto dal Partito Democratico. Secondo il segretario la sinistra intende «incidere per evitare che il Partito Democratico stravolga il programma» del centrosinistra e «metta per questa via in difficoltà il governo. Se ad ogni piè sospinto - ha detto ancora Giordano - si cita Rudolph Giuliani e ci si rivolge al blocco d’ordine, significa che si ha una connotazione del tutto esplicita in quella direzione», insomma il futuro Pd, per rimanere all’esempio americano, «somiglierà più al Partito Repubblicano che non a quello democratico».

«Se il Partito democratico fosse incentrato su una battaglia strategica, su una idea alternativa di società non lo considererei un fattore di instabilità ma uno stimolo. Però, le proposte che emergono sono alternative al programma, al punto che si dice apertamente ormai che "questo governo è una necessità, poi, quando ne faremo un altro...". È evidente che così si costruiscono le condizioni per uno strappo al programma», ha chiosato Franco Giordano. Il segretario di Rifondazione rifiuta la definizione di «sinistra radicale» per il suo partito e per le altre forze dell’ala sinistra dell’Unione: «Noi siamo la sinistra, visto che il Pd ha una collocazione neocentrista, peraltro fortemente rivendicata»

DA lastampa.it


Titolo: Prodi: Evasione, debito patologie nazionali ma non servono sacrifici d'emergenza
Inserito da: Admin - Settembre 08, 2007, 09:08:30 pm
POLITICA

Il presidente del Consiglio ha inaugurato oggi a Bari la Fiera del Levante

"Una nuova legge elettorale serve al Paese, ma non c'è motivo per chiedere il voto anticipato"

Prodi: "Evasione e debito patologie nazionali ma non servono sacrifici d'emergenza"

Il premier rivendica anche che "l'Italia si è rimessa in moto, ha fatto progressi significativi"

E promette "una Finanziaria volta ad "incrementare il capitale del Paese", con "misure per l'equità e la giustizia"

 
BARI - "L'evasione fiscale è la vera emergenza nazionale", "il debito pubblico rappresenta senza alcun dubbio l'aspetto più patologico dell'economia del Paese": la denuncia viene dal presidente del Consiglio Romano Prodi, che ha inaugurato oggi a Bari la Fiera del Levante. Prodi ha anche ricordato che "una nuova legge elettorale serve al Paese, ma la sua eventuale adozione non è motivo per chiedere elezioni anticipate". E ha rivendicato i buoni effetti della politica economica del governo, ricordando che "l'Italia si è rimessa in moto" e promettendo: "Il pareggio di bilancio lo raggiungeremo solo a fine legislatura". Nel frattempo, la Finanziaria in corso di preparazione, ha assicurato, "non conterrà stangate". Ma è ancora tutta da definire: le cifre pubblicate oggi dai giornali "sono frutto di fantasia".

Intanto anche Vincenzo Visco, viceministro dell'Economia, ammorbidisce le indiscrezioni di stampa sulle cifre della prossima Finanziaria e su un intervento anticipato sull'Ici: "Presto per parlare di misure".

La Finanziaria 2008. Le cifre attualmente in circolazione "sono frutto di fantasia", ha detto Prodi, ma il governo ha ben chiare le linee della Finanziaria, che sarà volta ad "incrementare il capitale del Paese" e conterrà "misure per l'equità e la giustizia". Altro obiettivo del governo, ha aggiunto il premier, è quello di riqualificare la spesa pubblica, "che non significa solo tagliarla ma spendere meglio".

Non servono sacrifici. Non verranno richiesti agli italiani ulteriori sacrifici: "Quest'anno abbiamo il vantaggio di non dover cominciare a mettere a posto i conti, ma limitarci a tenerli a posto. Non si rende necessaria alcuna azione di risanamento come del resto è già avvenuto con il Dpef di giugno e abbiamo rilanciato l'economia con 6 miliardi di euro, cosa che non avveniva dal 2000. Per troppi anni gli italiani sono stati costretti a temere l'arrivo della stagione della Finanziaria, perché portava sacrifici e rinunce sempre in un'ottica emergenziale". Ma ora "lo Stato non è più in una situazione di emergenza".

Gli scioperi fiscali. Leggi ad personam, condoni e scioperi fiscali non aiutano a migliorare il senso civico, ha ammonito il premier. "Non credo che le più recenti esortazioni agli scioperi fiscali, vadano nella direzione di aiutare le istituzioni e il paese a mettere al centro il senso civico", ha detto.

L'evasione emergenza nazionale. "L'evasione fiscale - ha aggiunto - è la vera emergenza nazionale". "Gli sforzi compiuti dall'amministrazione e dalla guardia di finanza hanno consentito al Paese di contare, a partire dal 2007, su 20 miliardi di euro di risorse aggiuntive". Resta ancora molto da fare perchè il Paese "non può tollerare" il livello di evasione che ha ancora un livello eccessivo e "il governo continuerà ad intensificare i suoi sforzi fino a quando questo male, per non dire vergogna, non sarà debellato".

Il debito aspetto patologico. "Il debito pubblico è elevatissimo e rappresenta senza alcun dubbio l'aspetto più patologico dell'economia del Paese", ha denunciato ancora il premier. Il premier sottolinea come il 55% del debito pubblico italiano, sia in mano ai creditori esteri e come "da tempo il suo livello abbia superato significativamente l'ammontare di ricchezza che l'Italia è in grado di produrre in un anno".

Il risanamento. Ma nonostante la persistenza di questi gravi problemi, "L'Italia si è rimessa in moto", ha rivendicato Prodi. "L'Italia è uscita dall'emergenza finanziaria in cui si trovava, facendo progressi significativi sia per quel che riguarda la crescita sia sul piano dell'equità sociale".

La legge elettorale. ''Dobbiamo superare gli elementi di instabilità e frammentazione introdotti dall'attuale legge elettorale. E a questo proposito - ha puntualizzato Prodi - voglio essere chiaro: non credo che l'adottare finalmente una buona legge elettorale sia motivo per chiedere elezioni anticipate''.

Confindustria. Rivolgendosi poi agli industriali, il presidente del Consiglio ha detto che "La Confindustria ci ha più volte chiesto, rivendicando la centralità dell'impresa nel processo di crescita economica del Paese, di tifare per il sistema industriale. Mi sembra che le cifre parlino chiaro. Sono cifre importanti in assoluto e anche in rapporto a quanto il sistema delle imprese ha ricevuto dal precedente governo di centrodestra".

La crisi dei mutui. Prodi non ha trascurato il tema della crisi dei mutui americani che però, ha sottolineato, ha e avrà ''effetti contenuti'' sull'economia italiana. "Per quanto riguarda l'Italia - ha spiegato il premier - gli effetti derivanti dalle turbolenze indotte dalla crisi del mercato immobiliare americano, sono più contenuti. Il settore bancario nazionale ha applicato criteri prudenti per l'erogazione dei mutui e le famiglie italiane presentano un grado di indebitamento che, sebbene in crescita rimane ancora al di sotto della media dell'area euro".

(8 settembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: GOVERNO PRODI... Da giugno persi 11 punti
Inserito da: Admin - Settembre 10, 2007, 06:05:23 pm
Malumore più accentuato nelle donne e tra i giovani Governo, delusi due italiani su tre

Gradimento al minimo dopo la risalita della primavera scorsa: no dal 68%.

Da giugno persi 11 punti 
 
di RENATO MANNHEIMER


L'insoddisfazione per l'operato del governo Prodi si va accrescendo significativamente in svariati settori della popolazione. Ciò costituisce per l'esecutivo un ulteriore problema in un periodo già tormentato, soprattutto per l'approssimarsi della Finanziaria e delle decisioni sulla politica fiscale: è questo il tema ritenuto oggi dai cittadini il più urgente — ancor più della criminalità — da affrontare da parte del governo. Ma esso è, al tempo stesso, fonte delle fratture maggiori nell'opinione pubblica, divisa tra la richiesta di diminuzione delle tasse e quella di una più accentuata redistribuzione sociale. Ma insoddisfatta da entrambi i punti di vista.

L'elettorato ha infatti espresso, per tutto il primo semestre 2007, una maggioranza di orientamenti negativi sull'operato del governo. Con andamenti, però, alterni. Una volta «digerita » la Finanziaria 2006 (che aveva provocato una drastica diminuzione dei giudizi favorevoli), si è assistito, tra metà febbraio e metà maggio, ad un relativo recupero di consensi e ad una corrispondente contrazione delle opinioni sfavorevoli all'esecutivo. A giugno, tuttavia, il trend pareva essersi nuovamente invertito, il giudizio si era ulteriormente aggravato e i consensi drasticamente ridotti, sino a toccare il 30%, il livello più baso dalla costituzione del governo Prodi. Per la maggior parte, tuttavia, la nuova sfiducia emersa non si era convogliata verso un atteggiamento completamente negativo, limitandosi — da parte del 13% dell'elettorato — ad una generica sospensione del giudizio.

Dopo il — e forse anche a seguito del — dibattito estivo (denso di buoni propositi, ma ritenuto carente di iniziative concrete), anche questi giudizi si sono tuttavia diretti perlopiù verso un orientamento drasticamente sfavorevole, tanto che oggi due italiani su tre si pronunciano criticamente nei confronti dell'esecutivo e solo il 27% esprime un parere positivo. In misura minore, ma assai significativa, ciò accade anche nell'elettorato dei partiti della maggioranza: il 31% dei votanti per il centrosinistra è critico verso il Professore e un altro 4% dichiara di non avere opinione al riguardo. Il dissenso è presente, per motivi diversi, ma circa nella stessa intensità, sia nell'area di centrosinistra, sia in quella di sinistra tout-court. Anche la porzione di elettorato non attribuibile a nessuno schieramento si esprime negativamente: il 76% di chi è indeciso su cosa votare è comunque critico nei confronti dell'esecutivo.

Il malumore, comunque presente in modo rilevate in tutte le categorie sociali, è più accentuato tra i giovani, tra le donne (specie le casalinghe) e tra chi possiede un titolo di studio meno elevato. L'origine di tutto questo scontento sta soprattutto nell'incapacità del governo di «concludere le cose» (così ha detto un intervistato): vengono citati decine di esempi di mancata realizzazione di questo o quell'impegno, di questo o quel progetto, di questa o quella promessa.

Le critiche provengono da destra, dal centro e, come si è detto, anche dalla sinistra: ciò che indica come buona parte di questo stato di cose — e della difficoltà del governo ad operare — sia imputabile al sistema elettorale vigente e alla conseguente situazione in Parlamento. Ma, ancora una volta, si lamenta l'incapacità e la riottosità da parte dell'esecutivo nel dar vita celermente ad una riforma al riguardo. Tutto ciò non ha necessariamente conseguenze immediate sulle intenzioni di voto.

È vero che i consensi virtuali per il centrosinistra vanno progressivamente diminuendo, ma è vero anche che buona parte degli elettori dei partiti di governo, anche di quelli scontenti, dichiara di non avere comunque per ora l'intenzione di votare per il centrodestra. Questo stato dell'opinione pubblica lascia tuttavia, come si è visto anche in questi giorni, sempre più spazio a spinte e suggestioni di carattere qualunquistico e talvolta populistico, legate alle consuete tematiche dell'antipolitica. Con esiti imprevedibili.

Il governo ha certo nei prossimi mesi la possibilità di mutare l'orientamento dell'opinione pubblica: ma per farlo dovrà necessariamente dar vita a provvedimenti concreti e percepiti dagli elettori.

Un compito tutt'altro che facile.


10 settembre 2007
da corriere.it


Titolo: Il segretario della Quercia invita il governo ad allargare i confini
Inserito da: Admin - Settembre 10, 2007, 10:44:02 pm
POLITICA

Il segretario della Quercia invita il governo a "ristrutturarsi" e l'Unione ad allargare i confini

Gelo da Palazzo Chigi: "Ora pensiamo alla Finanziaria".

Salvi: "Ma Bossi non era quello dei fucili?"

Fassino: "Aprire l'alleanza a Lega e Udc" ma Prodi frena e la sinistra insorge

Reazioni negative anche da Bindi e Follini: "L'ambizione è vincere con il centrosinistra"

 
ROMA - "Costruire un sistema di alleanze che nel tempo consenta di avere un consenso maggioritario più largo di quello già avuto" è secondo Piero Fassino "un imperativo". L'apertura del segretario dei Ds a un allargamento delle alleanze a Udc e Lega Nord, accompagnata dall'invito a "ristrutturare" la squadra di governo, rilanciandone l'attività, è stata accolta però con freddezza dal governo, mentre ha scatenato un fuoco di sbarramento delle componenti radicali dell'Unione così come da quelle di centro.

Se una nota di Palazzo Chigi puntualizza che "l'azione del governo non è da rilanciare ma da continuare", e definisce prematuro il tema sollevato da Fassino, ricordando che al momento tutto l'esecutivo è concentrato sulla preparazione della Finanziaria, rifiuti decisamente più netti sono arrivati da Verdi e sinistra Ds. "Le parole di Fassino su possibili future alleanze con Lega e Udc - è la bocciatura di Angelo Bonelli, capogruppo del Sole che ride alla Camera - rischiano di destabilizzare la coalizione. La politica non è una somma algebrica o una partita a Monopoli in cui si acquisiscono pezzi".

Ancora più duro il commento di Cesare Salvi, della Sinistra Democratica: "Il Partito democratico è sempre più scoppiettante e sbalorditivo - afferma - Qualche giorno fa Fassino aveva scritto insieme a Rutelli una lettera a Berlusconi chiedendo di espellere la Lega dalla coalizione di centrodestra dopo le dichiarazioni di Bossi sul possibile ricorso ai fucili nel caso di mancato accoglimento delle richieste leghiste. Oggi è lo stesso Fassino ad auspicare un'alleanza politica del centrosinistra con la Lega medesima".

A dire no a Fassino sono anche due esponenti di centro dell'alleanza, come Rosy Bindi e Marco Follini. "Io vorrei un Partito Democratico che avesse l'ambizione di vincere ovunque con il centrosinistra, rinunciare a questa ambizione fa pensare che il partito nascente è alla ricerca di salvagenti in alcune parti d'Italia", avverte il ministro della Famiglia. Ironico anche il giudizio dell'ex parlamentare dell'Udc. "Riassestare? Accontentiamoci di assestare il Pd", commenta Follini.

Bocciature che probabilmente il leader della Quercia aveva messo in conto e che difficilmente lo indurranno ad accantonare il suo progetto. "I miei alleati possono darmi due risposte - osserva il leader Ds - 'hai ragione', e allora vediamo tutti insieme come costruire uno schieramento più largo o dire 'non mi interessa'. Allora, a quel punto - avvisa - sono libero di costruirmi alleanze diverse".

Il tema delle alleanze, è ancora il ragionamento di Fassino, "va affrontato in modo diverso da come lo si è fatto in questi giorni". "In Lombardia, Veneto e Sicilia - spiega - la configurazione del centrosinistra, da Giordano a Mastella, per continuare a governare e costruire uno schieramento vincente non deve escludere, nelle regioni in cui questo è possibile, il dialogo con forze quali la Lega Nord o l'Udc". "Io sono per aprire un dialogo con altre forze - insiste Fassino - anche con la Lega là dove sia possibile, anche con l'Udc. Penso che siano in corso processi nel centrodestra che possano anche cambiare radicalmente lo scenario politico".

(10 settembre 2007)

DA repubblica.it


Titolo: L'ipotesi Prodi-bis.
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2007, 07:03:54 pm
12/9/2007 (7:24) - RETROSCENA

La voglia di rimpasto scatena gli appetiti
 
L'ipotesi Prodi-bis.

La delicatezza degli equilibri e il prezzo che il nuovo Pd potrebbe dover pagare subito

FEDERICO GEREMICCA
ROMA


A volte succede. Può succedere, cioè, che una frase mal interpretata oppure buttata volontariamente lì per tastare il polso ad alleati ed avversari, apra scenari magari inattesi. E’ quanto in fondo accaduto a Piero Fassino ed alla sua idea - che il leader dei Ds ieri pomeriggio ha negato di aver mai espresso («parole prudenti e di buon senso, che soltanto faziosità e malafede possono stravolgere») - di un rimpasto di governo. L’ipotesi è stata bersagliata per tutta la giornata da commenti non precisamente favorevoli, creando qualche problema perfino con lo stesso Romano Prodi. Ora, la smentita di Fassino va certamente presa per buona: ma il tenore e a volte l’asprezza delle reazioni che hanno accompagnato la prima versione del suo pensiero, sono comunque assai rivelatori, testimoniando i nervi tesi della maggioranza e, certo, una qualche insofferenza dello stesso leader della Quercia.

Quest’ultimo aspetto è ormai noto, anche nelle sue motivazioni politiche: nell’imminenza dello scioglimento della Quercia, Fassino potrebbe ritrovarsi a non aver più un ruolo preciso, a differenza degli altri leader “fondatori” del Pd. Si disse, all’epoca della scesa in campo di Veltroni, che un accordo stipulato tra i leader del centrosinistra prevedesse appunto l’ingresso di Fassino al governo, una volta nato il Pd. E ieri Rutelli in qualche modo lo ha ricordato: il riconoscimento al segretario del Ds di un ruolo nell’esecutivo - ha detto il presidente della Margherita - «è una questione di pulizia e di chiarezza: il riconoscimento del merito delle persone va fatto a viso aperto». Parzialmente più nuove, al contrario, sono le indicazioni che arrivano dalle reazioni all’ipotesi di rimpasto. Esse segnalano fondamentalmente due cose.

La prima: che la sensazione di precarietà dell’esecutivo è così diffusa anche all’interno della maggioranza di governo che l’idea di metter mano alla struttura della compagine terrorizza letteralmente i partiti di maggioranza, convinti che toccare gli attuali equilibri rischi di far crollare tutto. La seconda: che se e quando il problema di un rimpasto dovesse invece porsi (e molti credono, anzi, che occorra fare in fretta), a pagare il prezzo maggiore potrebbe essere il futuro Partito democratico, al quale gli alleati già fanno i conti in tasca. «Il Pd - si sentiva argomentare ieri in Transatlantico - ha il premier, i due vicepremier, gli Interni, gli Esteri, l’Istruzione, l’Economia, la Sanità, le Attività produttive... Chiaro che quando il partito sarà ufficialmente nato, bisognerà rivedere un po’ di cose...».

Una confusione non da poco. Accentuata, per di più, dai risultati dell’ultimo sondaggio Ipr Marketing per “la Repubblica”. La ricerca conferma il largo vantaggio del centrodestra sul centrosinistra (sette punti percentuali), la grave crisi dei partiti della sinistra radicale rispetto alle politiche del 2006 (il Pdci più che dimezzato e Rifondazione che perde un terzo dei propri consensi) e la peredurante difficoltà del Pd (al 28%, cioè 3,3% in meno della somma di Ds e Margherita). E’ una fotografia che naturalmente scontenta tutti: e che potrebbe ulteriormente radicalizzare la polemica all’interno della maggioranza, con la sinistra sollecitata a spingersi sempre più a sinistra per recuperare consensi ed il Pd - al contrario - convinto a forzare la sua linea “centrista” e la ricerca di alleanze di “nuovo conio”.

Se ci si aggiunge che all’orizzonte della maggioranza cominciano a stagliarsi due ostacoli di prima grandezza (la finanziaria con la già avviata polemica della sinistra radicale sul welfare, e più in là la mina del referendum elettorale) è evidente che il governo è atteso da giorni ancor più difficili. E’ per questo, in fondo, che il tanto smentito e vituperato rimpasto potrebbe, alla fine, diventare una necessità prima ancora che una scelta. Il punto è: che genere di rimpasto? Alcuni partiti, come detto, guardano ad un rimescolamento delle carte come all’occasione per regolare i conti col Pd, andare ad un riequilibrio nella distribuzione dei ministeri e provare a modificare, di conseguenza, linea e profilo dell’esecutivo; altri - e in testa a tutti ovviamento il Partito democratico - pensano che il rimpasto debba trasformarsi (anche se non soprattutto) in una potente operazione d’immagine, col dimezzamento o quasi del numero dei dicasteri così da battere un colpo visibile di fronte al montare della cosiddetta antipolitica.

E’ ovvio che, qualunque sia la motivazione, una drastica riduzione del numero di ministri e sottosegretari del più affollato governo della storia, non potrebbe che essere accolto con soddisfazione: l’esperienza però insegna che è più facile fare passare il famoso cammello attraverso l’altrettanto famosa crune dell’ago piuttosto che convincere ministri e viceministri a lasciare il loro incarico.

Lasciarsi andare a previsioni ottimistiche è dunque difficile. Più facile, ovviamente, è disegnare il futuro a tinte fosche. L’ultima confessione di pessimismo è arrivata ieri da Enrico Boselli: «Il problema non è il rimpasto di governo, ma fare sì che il governo duri... Dico la verità: arrivare alle europee del 2009 mi sembra un’impresa titanica». Il fatto è che non arrivarci, significa fermarsi assai prima: primavera 2008, cioè tra qualche mese appena...


da lastampa.it


Titolo: Alfiero Grandi: «La manifestazione del 20 così è un attacco alla Cgil»
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2007, 04:42:23 pm
Alfiero Grandi: «La manifestazione del 20 così è un attacco alla Cgil»

Andrea Carugati


«In questa situazione, con la Cgil così esposta, la manifestazione del 20 ottobre mi preoccupa molto». Alfiero Grandi, sottosegretario all´Economia, di Sinistra democratica, ex dirigente della Cgil, propone ai compagni di viaggio della cosiddetta «Cosa rossa» una pausa di riflessione: «La manifestazione del 20 ottobre mi pare poco comprensibile. Per qualcuno forse può essere una rivalsa rispetto al referendum, ma sarebbe un errore mettere in difficoltà il governo. Dunque la sinistra rifletta, riesamini l´opportunità di questa manifestazione: parliamone dopo la conclusione del referendum tra i lavoratori». «Nella maggioranza c´è chi pensa di fare a meno della sinistra? Bene, ma a noi spetta non dare la minima occasione per aprire un problema», dice Grandi. «La sinistra non deve prendersi la responsabilità di aumentare le fibrillazioni».

Dunque siete pronti a disertare la piazza?

«Se il 20 non è oggetto di una riflessione che ci garantisca che sarà una manifestazione "amica" di tutta la Cgil, qualcuno ci andrà e altri no. Vorrà dire che il percorso comune a sinistra partirà il 21 di ottobre».

Pensa che il processo unitario potrebbe arrestarsi?

«Andremo avanti, pur con dei punti di differenza. Noi puntiamo a una federazione, cominceremo a lavorare insieme sui punti che ci trovano d´accordo, ma il processo di unità è assolutamente necessario. Pur sapendo che è un traguardo, non qualcosa di già pronto e scodellato».

Come valuta il no della Fiom al protocollo sul welfare?

«Con rispetto. La più importante categoria dell´industria esprime un malessere profondo che va interpretato e capito. Non accetterò mai che i metalmeccanici vengano sbeffeggiati o diventino il parafulmine di tutte le contraddizioni. Detto questo, ritengo un bene che l´accordo venga approvato, pur con tutti i suoi difetti e le sofferenze che ha provocato. Non ci sono alternative a un sì. Quei difetti li vedo anch´io, a partire dalla decontribuzione degli straordinari che è un mero regalo alle aziende. Di fronte al dibattito interno alla Cgil che sarà anche teso, il governo deve avere un atteggiamento di generosità e di comprensione».

Cosa significa?

«Ci sono personalità autorevoli che suggeriscono al governo di non concertare più col sindacato, quasi fosse una creatura del passato. Ma il sindacato è un punto di tenuta sociale fondamentale, di cui la Cgil è l´architrave. Dunque il governo deve respingere quei consigli, e fare di più. Tiziano Treu ha detto che nella stesura finale ci possono essere dei chiarimenti, ad esempio sul tempo determinato e sullo staff leasing. Credo che ce ne possano essere anche altri. Insomma, il protocollo non va interpretato come un "prendere o lasciare". Il confronto può continuare. In fondo anche l´accordo del 1993 è figlio delle valutazioni sugli errori del 1992».

Anche il ministro Damiano ha detto che se si comincia a cambiare poi rischia di venir meno l´equilibrio complessivo...

«Dell´accordo non bisogna avere una visione statica, ma dinamica. Ci sono argomenti che possono essere ripresi più avanti, con una iniziativa parlamentare o del governo».

Epifani ha chiesto un passo indietro alle forza politiche sulle vicende della Cgil. È d´accordo?

«Il sindacato è il protagonista dell´accordo e della discussione con i lavoratori: questo è un punto fermo, e compito della sinistra politica non è rendere più aspra la discussione, ma essere l´interfaccia politica dei problemi che pongono la Cgil e la Fiom. Non dobbiamo sovrapporci, nè andare sugli spalti a fare il tifo: la nostra squadra è tutta la Cgil».

Pubblicato il: 14.09.07
Modificato il: 14.09.07 alle ore 13.12   
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Titolo: Pd, Lamberto Dini se ne va. Treu: «Noi restiamo»
Inserito da: Admin - Settembre 19, 2007, 12:19:42 am
Pd, Lamberto Dini se ne va. Treu: «Noi restiamo»


«Berlusconi non c'entra niente. Noi stiamo nel centrosinistra e ci auguriamo di potere continuare a sostenere il governo». Così Lamberto Dini, ufficializzando la decisione di non entrare nel Partito democratico. Lo ha annunciato lui stesso martedì. Ma la componente liberal democratica della Margherita non lo segue al completo. «Apprendo con dispiacere la decisione di Lamberto Dini di non aderire al Pd», commenta il senatore dell'Ulivo Tiziano Treu, «mi spiace per i legami personali e politici che ci hanno unito in questi anni nel sostenere obiettivi comuni di rinnovamento e di riforma della vita italiana».
Da sinistra a destra, anche dopo le rassicurazioni del fondatore nel '96 di Rinnovamento italiano di rimanere ancorato nell'area del centrosinistra continuando ad appoggiare il governo, anche se non ci saranno cambiali in bianco e le valutazioni saranno fatte giorno per giorno, c'è già chi prefigura scenari inediti quando approderanno nell'aula di palazzo Madama i provvedimenti da approvare. Una tensione che qualcuno già prevede si scaricherà sulla legge Finanziaria. Ma già giovedì nell'aula di palazzo Madama sono attese importanti votazioni sulla Rai.

Non sembra stupirsi più di tanto il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro che dice: «È il solito Dini del cavallo giusto al momento giusto: ha fatto parte del comitato dei 45 per scrivere le regole» anche «per fare da garante nella costruzione del Partito democratico, evidentemente ha visto che questo Partito democratico, così come si sta sviluppando, non gli da abbastanza spazio».

«È legittimo tutto quello che fa - aggiunge Di Pietro - certo però è singolare che si dica che il Pd non va bene, proprio da parte di chi era uno dei 45 delegati a costruirlo. Delle due l'una: o Dini non sapeva e non sa quello che dice, o questo Pd ha ancora dei problemi di identità molto importanti».

Per il coordinatore dell'esecutivo della Margherita, Antonello Soro, «ogni rinuncia o astensione è un'occasione mancata, soprattutto per quelli che scelgono di non partecipare». «A me dispiace - aggiunge Soro - ma vorrei segnalare che la nascita del Pd non è un fatto neutro, indifferente, cui tutti hanno aderito. Sono state altre le personalità che in questi mesi hanno segnalato la loro volontà di non parteciparvi. Io spero - ha concluso - che il saldo degli italiani che aderiranno a questo grande progetto sia assolutamente positivo rispetto a quanti non vi aderiranno».

Ma se il centrosinistra riflette sul da farsi, alla luce delle decisioni dell'ex premier, il centrodestra cavalca la notizia. «Il Pd perde pezzi ancora prima di cominciare. La scelta annunciata dal senatore Dini è una palese bocciatura per un progetto politico che è sempre più una fusione a freddo».

Afferma il presidente dei senatori di Forza Italia, Renato Schifani. «Gli elettori, che nei sondaggi non premiano il nuovo soggetto - aggiunge - lo hanno capito perfettamente e soprattutto si sono resi conto da tempo che le primarie del Pd sono in realtà una finzione di democrazia. Il vincitore, imposto dai vertici Ds, lo conoscono tutti. È quello che tra un mese farà di Prodi ancora di più un premier di consolazione».

Secondo il capogruppo alla Camera di An i contrasti nella maggioranza «si cristallizzano oggi con la decisione di Dini». Quello che conta - per La Russa - è che «lopinione pubblica ha già condannato questo governo». Per l'Udc «Dini è una persona estremamente seria che evidentemente non condivide il progetto di fondere due anime diverse in un unico partito. Dini prende le distanze da questa operazione che parte dal vertice, dalla nomenklatura e non dalla base». Ha affermato Lorenzo Cesa, segretario dei centristi.


Pubblicato il: 18.09.07
Modificato il: 18.09.07 alle ore 18.48   
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Titolo: Documento presentato a Prodi da Mussi, Giordano, Diliberto e Pecoraro Scanio.
Inserito da: Admin - Settembre 21, 2007, 10:22:58 am
ECONOMIA

Documento presentato a Prodi da Mussi, Giordano, Diliberto e Alfonso Pecoraro Scanio

"Il protocollo sul welfare rimanga fuori, si aspetti l'esito del referendum tra i lavoratori"

Finanziaria, le richieste delle sinistre "No a cabina di regia del partito Democratico"

Tre le priorità indicate dai quattro esponenti politici: lavoro, ambiente e sapere

"Si inverta la tendenza di questi anni a comprimere la spesa sociale"


ROMA - Una Finanziaria di "qualità e giustizia sociale", con tre priorità: lavoro, ambiente e sapere. E che coinvolga nella sua stesura tutti i partiti della coalizione di governo, non solo quelli che andranno a costituire il futuro partito Democratico. Lo chiedono i leader della sinistra dell'Unione Fabio Mussi (Sd), Franco Giordano (Prc), Oliviero Diliberto (Pdci) e Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi), in un documento presentato stamattina al presidente del Consiglio Romano Prodi, nel corso di un incontro di circa un'ora a Palazzo Chigi.

Il documento ha una premessa politica: "Non crediamo sia possibile identificare una 'cabina di regia' che veda come unici attori gli esponenti del costituendo Partito democratico. Per tali motivi chiediamo che il presidente Prodi rinnovi la sua funzione di garante della collegialità e della coesione dell'intera coalizione", scrivono i leader della sinistra dell'Unione.

Quindi, la richiesta che la manovra 2008, rispetti gli impegni assunti prima con gli elettori e poi con la maggioranza parlamentare. "E' necessario - si legge infatti nel documento - mantenere una congruità tra quanto scritto nel Dpef , e nelle risoluzioni approvate in Parlamento, e la scrittura materiale della Finanziaria".

A questo proposito, viene chiesto che "Il protocollo sul welfare non entri in Finanziaria e sia solo un collegato. Il governo può attendere l'esito del referendum fra i lavoratori". Ribadito inoltre che "Lottare contro la precarietà, a partire da ciò che l'ha generata strutturalmente come i contratti a termine, è un nostro preciso dovere".

Sul fisco, Prc, Pdci, Sd e Verdi confermano la richiesta di "adeguare" la tassazione delle rendite finanziarie. La sinistra dell'Unione invita poi il governo a "invertire la tendenza negativa di questi anni a comprimere la spesa sociale. In Italia, infatti - sottolinea il documento consegnato a Prodi - la spesa sociale è di 1,5 punti percentuali al di sotto della media dei partner europei".


(20 settembre 2007)
da repubblica.it


Titolo: GOVERNO PRODI... Afghanistan. Dopo la scomparsa le reazioni.
Inserito da: Admin - Settembre 23, 2007, 11:26:13 pm
Dopo la scomparsa le reazioni.

Il Pdci: «Immediato ritiro dall'Afghanistan»

Diliberto: ritirare subito truppe da Kabul Bondi a Fassino: «E' l'ora dell'unità».

Russo Spena: «Garantire incolumità rapiti anche trattando» 
 

ROMA - Mentre il premier Romano Prodi parte per gli Stati Uniti - dove seguirà a New York la conferenza Onu sui cambiamenti climatici e sulla moratoria per l’abolizione della pena di morte - e promette di seguire costantemente la vicenda, in Italia tengono banco le polemiche dopo la scomparsa e il probabile rapimento dei due militari italiani in Afghanistan.

DILIBERTO: SUBITO IL RITIRO - Oliviero Diliberto chiede un immediato ritiro dei soldati italiani dall'Afghanistan: «Esprimo la più sentita solidarieta alle famiglie dei soldati italiani - ha detto il segretario del Pdci - Chiedo e mi impegnerò affinchè non si lasci nulla di intentato per la loro liberazione». Ma quest o episodio, continua, «conferma l'assurdità della nostra presenza in Afghanistan. Lo diciamo da tempo: ritiriamo subito le truppe».

L'UDC: IRRESPONSABILE -«Irresponsabilità totale da parte di Diliberto a chiedere il ritiro delle truppe dall' Afghanistan nel giorno in cui i terroristi talebani sembrano aver nuovamente ripreso di mira i nostri militari», gli risponde il parlamentare dell'Udc Maurizio Ronconi.

BONDI A FASSINO - «Anche in riferimento alle ultime notizie provenienti dall'Afghanistan, desidero rispondere a Piero Fassino che mai come oggi è venuto il momento della serietà, del dialogo, dell'unità nel nome degli interessi dell'Italia», dice invece Sandro Bondi. per il portavoce di Forza Italia, «ogni altro accento, come quello toccato oggi dal segretario dei Ds, è fuori luogo e destinato, prima di quanto non si creda, ad apparire inopportuno e privo della consapevolezza della gravità della crisi in cui versa il Paese».

I TIMORI DI DE GREGORIO - Preoccupato anche il presidente della Commissione Difesa del Senato, Sergio De Gregorio: la scomparsa di due sottoufficiali in Afghanistan «apre uno scenario inquietante su cosa possa rappresentare ciò dal punto di vista politico», dice De Gregorio, che riferisce che «la nostra intelligence era stata preallertata» e che «c’è unico filo dietro la regia delle azioni di telebani e di hezbollah, e che lo scenario è da intendersi come scenario globale». Se si trattasse di un rapimento «si tratterebbere di avvertimento forte e deciso agli italiani».

GARANTIRE INCOLUMITÀ - «La preoccupazione per la sorte dei due militari italiani, dell'autista e dell'interprete scomparsi in Afghanistan è fortissima», dice il capogruppo del Prc al Senato Giovanni Russo Spena. «In queste ore - continua - la prioritá assoluta è lavorare, se necessario anche trattando, per garantire l'incolumitá e il ritorno a casa di tutti e quattro gli scomparsi. Subito dopo, però, bisognerá prendere atto dell'impossibilitá di risolvere con le armi la situazione in Afghanistan. Il governo si adoperi per una soluzione politica e per la convocazione della conferenza internazionale di pace».

23 settembre 2007
 
da corriere.it


Titolo: NEW YORK - La cena dei segreti
Inserito da: Admin - Settembre 25, 2007, 04:15:08 pm
Nella notte

La cena dei segreti


NEW YORK — E' stata una serata di tensione e recitazione. A imporre la finzione, la ragion di Stato. Affinché l'incursione per liberare i due agenti del Sismi non diventasse un segreto all'italiana, materia di dibattito prima di essere compiuta, Romano Prodi e Massimo D'Alema si sono comportati in modo opposto rispetto ai giorni del rapimento Mastrogiacomo.

Allora, quando il giornalista si trovava nelle mani dei talebani, erano i membri del governo a violare per primi gli appelli alla discrezione lanciati da Palazzo Chigi e Farnesina. Domenica scorsa, invece, il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, entrambi a New York in vista della 62a Assemblea generale dell'Onu, hanno accompagnato una delle scelte più delicate della propria vita con un atteggiamento esteriore di serafica tranquillità, di insondabile riservatezza. Sulla 44a strada era ora di cena, in Italia mancava poco alle due del mattino. Dopo aver confermato in segreto il via libera definitivo all'operazione di Comsubin e Col Moschin, l'altro ieri Prodi e D'Alema ostentavano davanti agli inviati delle testate italiane sorrisi non molto diversi da quelli del ministro verde Alfonso Pecoraro Scanio. Soltanto che quest'ultimo, senza codazzi di cronisti al seguito, era in uscita dal 27˚piano dell' Hotel Millennium nel quale c'è una cinematografica piscina sospesa tra le luci di New York. Prodi e D'Alema, nel grattacielo a fianco, avevano appena concluso un incontro dentro la Rappresentanza permanente dell' Italia presso le Nazioni Unite: oltre un'ora a parlare del piano, di prossima attuazione, per riportare a casa gli italiani catturati in Afghanistan.

A esaminare la collaborazione in atto con i militari britannici (ai tempi del sequestro Mastrogiacomo, irritatissimi per le trattative italiane), gli spagnoli, i tedeschi, gli americani. A valutare i rischi da calcolare. Subito dopo la cattura dei due agenti del Sismi, nel fine settimana, da parte delle forze armate italiane e dagli alleati stranieri era stata quasi automatica la richiesta di un' irruzione che non lasciasse spazi a temporeggiamenti e trattative. Nella Nato non si era ancora risolta la questione aperta in marzo dal sequestro Mastrogiacomo: la ricerca di una linea di condotta comune sui rapimenti, sollecitata da vari Paesi membri per scoraggiare l'Italia ad altri negoziati con i talebani. Lo spazio per un cambiamento nella politica adottata dal nostro Paese, almeno per questo caso specifico dei due militari, però nei giorni scorsi c'era. E' evidente che ostaggi stranieri del genere non erano, per i gestori del sequestro, soltanto carne umana da vendere un tanto al chilo al Paese d'origine. Non erano come le volontarie italiane o come i giornalisti. Erano agenti segreti, e in quanto tali a conoscenza di informazioni segrete. Affinché le rivelassero, potevano essere sottoposti a torture.

Intenzionato anche a far vedere che l'impegno dello Stato non è maggiore per i giornalisti rapiti e minore per i militari, Prodi ha deciso rapidamente: il blitz andava compiuto appena possibile. Prima di essere portato da Roma negli Stati Uniti con un volo dell' Aeronautica militare, il Professore ha dato il via libera. Domenica sera, tra la sua riunione con D'Alema, finita un po' prima delle otto di sera di New York, e l'incursione di Sas, Consubin e Col Moschin in Afghanistan sono passate tre ore. Tre ore prima che il ministro della Difesa Arturo Parisi, alle 11 di sera di New York, chiamasse Prodi e gli fornisse un resoconto a caldo sull'incursione. Il presidente del Consiglio ha appreso che i due prigionieri sono stati prelevati dalle forze speciali mentre erano o stavano per essere portati nel bagagliaio di una macchina, pronti ad essere trasferiti verso Sud. Così, almeno, stando alle prime versioni. Il trasferimento verso Sud era stato uno dei principali timori, dall'inizio. E' finita con quasi tutti i sequestratori morti, un italiano ferito male e uno libero, l'operazione segreta. "Una volta individuati come agenti, i due potevano essere uccisi al più presto. Non c'era alternativa. Bisognava agire, nella notte non si poteva. Si è dovuto aspettare che in Afghanistan tornasse la luce", ci ha detto ieri D'Alema. "Ho saputo che l'operazione era avvenuta da un messaggino ricevuto di notte", raccontava.

E in attesa che il blitz scattasse, davanti al portone del Millennium D'Alema aveva scelto di intrattenere gli italiani presenti sul fatto che nel pomeriggio Condoleezza Rice aveva accettato di invitare la Siria al prossimo incontro internazionale sulla pace in Medio Oriente. Il ministro sosteneva di essere stato dipinto sulla stampa italiana come "estremista- terrorista" per aver avanzato la stessa proposta con venti giorni d'anticipo. Sembrava il suo pensiero principale, invece D'Alema era ritornato un professionista del divagare come quando, da giovane membro della direzione del Pci ai tempi del "centralismo democratico", reagiva parlando di pallone alle domande dei cronisti sulla riunione a porte chiuse dalla quale veniva. Più in là, Prodi, in pullover, si avviava in un ristorante, Smith e Wollensky, con l'aria distaccata che potrebbe avere un dirigente d'azienda nel fine settimana. A cena con Bobo Craxi, un po' più tardi il movimento sbagliato di un cameriere gli avrebbe inzuppato la tovaglia di vino. Dice adesso D'Alema: "Non che sospetti tra di voi giornalisti la presenza di agenti dei talebani, ma non potevamo annunciarvi quanto si preparava...".

Maurizio Caprara
25 settembre 2007
 
da corriere.it


Titolo: Marina Sereni: «Non tirate troppo la corda, così il governo cade»
Inserito da: Admin - Settembre 25, 2007, 04:33:17 pm
Marina Sereni: «Non tirate troppo la corda, così il governo cade»

Simone Collini


Appello «giustissimo» quello di Napolitano, secondo Marina Sereni. «Dobbiamo introdurre uno stile diverso nel fare politica», dice la vicepresidente dell’Ulivo alla Camera ammonendo gli alleati a «non tirare la corda» e definendo «un atto di irresponsabilità estrema» il mettere a rischio il futuro non solo di questo governo ma di questo paese. «Il malessere che viene alla luce va raccolto, ma non bastano ricette semplicistiche. E uno dei punti di innovazione del Partito democratico, oltre ai contenuti, deve essere la capacità di mettere al centro rigore e serietà, la buona politica».

Per ora avete a che fare con Di Pietro che chiede a Visco di dimettersi, passo che per il ministro può essere “concomitante” con una riduzione di ministri e sottosegretari.
«Intanto, vanno scisse totalmente le due questioni. È del tutto legittimo che si possa fare una riflessione su una riorganizzazione del governo. Mi pare invece improprio farlo mettendola in relazione alla vicenda di Visco, che peraltro sotto il profilo giudiziario si è conclusa con un’archiviazione».

Delle sollecitazioni a “riorganizzare” il governo che dice?
«Si tratta di valutare se ci sono le condizioni per aprire e, soprattutto, per chiudere positivamente. È naturalmente un capitolo molto delicato, che è esclusivamente nelle mani di Prodi».

Il Pd sarebbe disponibile a un ridimensionamento dei propri ministri?
«Deve esserlo».

Per rispondere al malessere di cui parlava?
«Sì, anche, ma il punto centrale è che questa riorganizzazione deve essere produttiva, deve cioè portare maggiore efficienza nell’azione di governo, perché questo si aspettano i cittadini. Se invece dovesse portare a nuove discussioni, trattative infinite, vertici e controvertici, allora è meglio non aprire neanche il discorso».

E rimanere con un governo di oltre cento tra ministri, vice e sottosegretari, quando ormai non passa giorno senza che si discuta di costi della politica?
«I cittadini criticano la politica non solo o, mi permetto di dire, non tanto per quanto costa ma per quanto produce, per quanto rende. Siamo sollecitati da questo malessere a renderla più efficace, più vicina ai problemi del paese, e in grado di risolverli».

Quanto accaduto in Senato sulla Rai per molti ha a che fare poco con la tv di Stato e molto con il posizionamento per il futuro. Si profila un autunno caldo?
«Il momento che attraversiamo è davvero delicato. Se si tira troppo la corda o da una parte o dall’altra c’è il rischio che si strappi».

Fuor di metafora?
«Il rischio è di far cadere il governo».

Se succede si va al voto, ha detto Fassino. Concorda?
«Naturalmente c’è una prerogativa del Capo dello Stato, ma è certo che non ci possono essere né cambi di maggioranza né di premiership. E non si possono fare pasticci. Al massimo si può fare una buona legge elettorale e andare al voto».

E chi la fa?
«O la fa il Parlamento o la fa il referendum».

Come evitare una crisi di governo?
«Vedo due questioni dirimenti. Mantenere fede a quello che abbiamo scritto nei documenti di approvazione del Dpef, e cioè che l’aumento delle entrate fiscali determinato dalla lotta all’evasione va portato a beneficio di famiglie e imprese che pagano le tasse. E, secondo, niente stravolgimenti del protocollo sul welfare, né da destra né da sinistra».

Il Parlamento è sovrano, dicono quanti vogliono delle modifiche.
«Giusto, e io non credo che si debbano bandire confronto e discussione. Ma al di là dei miglioramenti che potranno esserci quando il protocollo verrà tradotto in proposta legislativa, non si può immaginare che abbiamo sottoscritto come governo un accordo con tutte le parti sociali per poi farlo a pezzi in Parlamento».

Centralità Dpef e niente stravolgimenti al protocollo sul welfare bastano per tenere in piedi il governo?
«Sono due principi entro i quali si possono soddisfare le aspettative di tutte le forze che sostengono il governo».

E tutti nell’Unione continueranno a sostenere il governo, secondo lei?
«In Parlamento non c’è un centrosinistra smarrito e un centrodestra compatto. E non c’è un’alternativa al governo di centrosinistra. Il paese ha bisogno di essere governato. Andare all’avventura con elezioni anticipate, senza sapere cosa succede, mi pare un atto di irresponsabilità estrema, quale che siano gli elementi di insoddisfazione per questi primi 15 mesi di governo. Non è quello che ci chiede il nostro elettorato, nonostante ci siano in esso elementi di malessere. Dobbiamo stringere le fila e selezionare alcune priorità condivise da tutti».


Pubblicato il: 25.09.07
Modificato il: 25.09.07 alle ore 9.20   
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Titolo: GOVERNO PRODI... L'esecutivo reagisce all'affondo di Di Pietro:...
Inserito da: Admin - Settembre 26, 2007, 10:02:04 am
POLITICA

L'esecutivo reagisce all'affondo di Di Pietro: "Ecco le nostre priorità prima di riequilibrare l'esecutivo Finanziaria e legge elettorale"

Palazzo Chigi apre sul cambio di squadra

Prodi: "Non ci sarà alcun rimpasto"

Il 3 ottobre al Senato la cdl presenterà una mozione di sfiducia contro Visco

 
ROMA - "Del tema della riconsiderazione organizzativa della squadra di governo si potrà parlare una volta varata la Finanziaria e dopo aver affrontato il tema della riforma della legge elettorale". Chiamato in causa dalla sortita di Antonio Di Pietro, Palazzo Chigi reagisce e prova a placare il ministro nel giorno della spaccatura sul dibattito sul caso Visco a Palazzo Madama. "Si potrà parlare di riequilibrio che potrà essere affrontato riconsiderando il numero dei ministri e dei sottosegretari solo dopo la legge elettorale e la Finanziaria", scrivono a Palazzo Chigi. Ma quando comincia a girare la parola "rimpasto" Romano Prodi da New York ferma tutto: "Io devo semplicemente dire che non ho alcuna intenzione di fare alcun rimpasto e basta, non c'è nulla da aggiungere".

Ma, rimpasto o no, sull'esecutivo si apre oggi un'altra grana che parte dall'Idv. Il partito di Di Pietro, che da giorni chiede un "rimpasto organizzativo per diminuire il numerio dei ministri e dei sottosegretari" alla conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama si allinea alla Cdl per dibattere del caso Visco in aula. Si apre una crepa nella maggioranza che crea tensioni evidenti in Senato e che ha come conseguenza la discussione sulla querelle Visco-Speciale il 3 ottobre prossimo. Giorno in cui si materializzerà a Palazzo Madama una mozione di sfiducia al vice di Padoa Schioppa della Cdl.

Visco non ci sta e attacca: "Di Pietro ha sovrapposto il problema della riduzione del numero dei ministri con il caso Speciale e ancora una volta, pur senza dirlo, si è schierato di fatto e con straordinaria sollecitudine con il generale Speciale". Palazzo Chigi, da parte sua, prova ad esorcizzare l'ennesimo passaggio a rischio in Senato: "Le politiche fiscali del governo hanno dato risultati eccellenti, i cui benefici si vedranno anche nella prossima Finanziaria. Il commento, dunque, non può che essere positivo. Per il resto la questione è affidata al dibattito parlamentare. Noi registriamo ciò che i capigruppo della maggioranza al Senato, tutti i capigruppo, hanno dichiarato oggi".

Chiaro il riferimento al comportamento dell'Idv che ha fatto capire di essere disponibile a votare la mozione della Cdl sulla calendarizzazione del dibattito sul viceministro dell'economia e le sue deleghe. Il voto, poi, è stato unanime perché tutto il centrosinistra ha deciso per il "sì" ad affrontare il caso.

Decida l'Aula, insomma. Le priorità per il governo sono altre. A partire dalla Finanziaria e dalla legge elettorale. Solo dopo si potrà parlare di riequilibrio che potrà essere affrontato riconsiderando il numero dei ministri e dei sottosegretari. Per Palazzo Chigi non si può parlare di rimpasto; ma, in caso di ridimensionamento del numero di ministri e viceministri, sarebbe difficile utilizzare un termine diverso.

Per quanto riguarda la legge elettorale le fonti di Palazzo Chigi ribadiscono ''l'intenzione del governo di ascoltare le richieste del Presidente della Repubblica Napolitano e di mantenere fede agli impegni assunti''. L'argomento è prerogativa del Parlamento, quindi l'esecutivo non prendera' direttamente l'iniziativa ma avvierà una ''azione di stimolo''.

(25 settembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: TITO BOERI Sull’altare dell’Ici
Inserito da: Admin - Settembre 26, 2007, 12:04:17 pm
26/9/2007
 
Sull’altare dell’Ici
 
TITO BOERI

 
Molte sono le incognite sulla manovra finanziaria che uscirà dal Consiglio dei ministri di oggi. Ma una cosa è certa: verrà varata la riduzione dell’Ici sulla prima casa, impegnando in questa operazione almeno un miliardo di euro. Quella degli sgravi sull’Ici è una vicenda tipica della campagna elettorale permanente che caratterizza la politica italiana. Tirata fuori dal cappello da Silvio Berlusconi alla vigilia delle elezioni politiche del 2006, la riduzione o addirittura abolizione dell’Ici è tornata sulla bocca di politici locali o nazionali in prossimità di ogni tornata elettorale. Sembra che abbia virtù taumaturgiche: garantisce consensi immediati, da spendere il giorno dopo. In effetti quasi 7 famiglie italiane su 10 hanno una casa di proprietà. Ma si accorgeranno tutte degli sgravi? E non si arrabbieranno a scoprire che, dopotutto, l’Ici è sempre lì?

Di questo i paladini degli sgravi Ici non sembrano preoccuparsi. Poco importa che in questi anni non ci sia stato un solo economista che abbia sostenuto la causa degli sgravi Ici. Poco importa che l’Ici sia una delle poche tasse che in Italia non opera prelievi sul reddito, tartassato e anche per questo fortemente evaso.

Poco importa che la casa sia un bene immobile, con un’offerta poco sensibile alle variazioni di prezzo e quindi che può essere tassato con effetti molto meno distorsivi delle tasse sul capitale o sul lavoro. Poco importa che, proprio in virtù della sua immobilità, l’Ici non crei conflitti fra giurisdizioni sulla titolarità del gettito e sia diventata la fonte primaria di finanziamento per molti Comuni. Poco importa che, in attesa di una sempre rinviata revisione degli estimi e delle categorie catastali, le rendite imputate e tassate dall’Ici siano spesso fuori mercato, il che rende difficilmente prevedibili gli effetti distributivi degli sgravi.

Quel che conta è portare a casa qualche risultato politico immediato, come se le elezioni fossero domani mattina. E anche se Ici sta per Imposta comunale sugli immobili, a ridurla, a farsi bello, deve essere il governo centrale. La scelta di intervenire sull’Ici è coerente con i piani di un esecutivo che si prepara a una tornata elettorale imminente. Se investisse sul futuro anche ravvicinato, concentrerebbe gli sgravi fiscali sul lavoro, introducendo un sistema di incentivi condizionati all’impiego, che faciliti l’emersione del lavoro sommerso dopo l’ennesimo fallimento delle politiche di riemersione. Potrebbe utilizzare l’extragettito anche per finanziare un credito d’imposta per le mamme che lavorano mettendo i figli al nido, incentivando la partecipazione femminile e la fertilità al tempo stesso. Sarebbero misure che rilanciano una crescita occupazionale che sembra essersi arrestata, con un rendimento elettorale più forte anche se più in là nella legislatura. Oppure il governo potrebbe riportare fin da subito le aliquote Ires - grande protagonista dell’extragettito - al di sotto dei massimi europei, rendendo più conveniente investire da noi. Soprattutto perché la partita meno tasse in cambio di meno trasferimenti alle imprese sembra già persa. Da quando la fetta più consistente dei trasferimenti alle imprese, gli incentivi destinati al Mezzogiorno, è stata ritenuta intoccabile.

Riducendo il prelievo sul lavoro e sul capitale si potrebbe anche rispondere al visibile rallentamento della nostra economia e alle sempre più probabili conseguenze sull’economia reale della crisi finanziaria in corso. I consumi delle famiglie italiane sono fortemente sensibili all’andamento dei redditi da lavoro, mentre lo sono assai meno all’andamento dei prezzi delle case, anche per la natura poco liquida dei beni immobiliari e lo scarso sviluppo da noi conosciuto dal mercato dei mutui. Non ci sono neanche indicazioni della presenza in Italia di una bolla immobiliare che stia per sgonfiarsi: c’è stato solo un rallentamento della crescita dei prezzi delle case, peraltro interrotto nell’ultimo semestre, con addirittura una crescita più sostenuta negli ultimi sei mesi. Non ci sono, dunque, ragioni per sostenere i prezzi delle case. Gli stessi politici che si sono battuti come leoni per chiedere gli sgravi Ici hanno magari richiesto a gran voce compensazioni per le famiglie che contraggono mutui immobiliari, come se sostenere i prezzi delle case con gli sgravi Ici non rendesse più oneroso l’acquisto di una casa. E poi certo, ci sono anche i «federalisti doc» nel partito dei tagli all’Ici. Il valore degli immobili è in buona parte legato alle politiche di urbanizzazione, verde pubblico e controllo del traffico condotte a livello locale. I Comuni sono incentivati a darsi da fare nel migliorare la qualità dell’ambiente urbano anche perché questo si traduce in un aumento del valore degli immobili, dunque del gettito Ici. Ma i nostri federalisti, a quanto pare, preferiscono che i governi locali vivano solo di trasferimenti, meglio se poco trasparenti, dal governo centrale. Per salvare le apparenze il governo dovrà ora ricorrere a macchinose e oscure compensazioni ai Comuni. Altri sacrifici... all’altare dell’Ici.

 
da lastampa.it


Titolo: Prodi: se cado farò nomi e cognomi (noi cosa guadagniamo? cerca di governare)
Inserito da: Admin - Settembre 26, 2007, 04:10:37 pm
Il presidente del Consiglio: se cado farò nomi e cognomi
Prodi: snellire il governo

Ma non sarà un rimpasto Oggi vertice di maggioranza: sul tavolo le rendite finanziarie e lo strappo di Di Pietro su Visco

 
ROMA - Erano giorni che il premier si dibatteva, «rimpasto sì o rimpasto no?». Il viaggio americano sembra aver portato consiglio ed ecco che, a New York, un «fiducioso» Romano Prodi scherza con i giornalisti. «Facciamo una moratoria sulla pena di morte del mio governo? Non cade, quindi il problema del voto anticipato non sussiste». I suoi lo raccontano in pace e perfino disponibile a imporre, a Finanziaria approvata, uno «snellimento » dell'esecutivo. Un rimpasto, insomma. A Palazzo Chigi lo chiamano «riconsiderazione organizzativa » e nelle intenzioni di Prodi è il taglio di ministri e sottosegretari.
«Saremo proprio noi, dopo il 14 ottobre, a promuovere una cura dimagrante della delegazione del Pd», conferma il sottosegretario Enrico Letta. Ma poiché non è carino chiedere a big dell'Ulivo di votare la Finanziaria e poi farsi da parte, in pubblico Prodi giura che il rimpasto non è nella sua mente, «o almeno non adesso... ».

Stasera alle nove il premier accoglierà a Palazzo Chigi leader e capigruppo, la tensione è altissima, il vertice affollato e in gioco, oltre al sospirato accordo sulla legge di bilancio, c'è la sopravvivenza di una maggioranza colabrodo. Antonio Di Pietro vuole ritirare le deleghe a Visco, la sinistra va allo scontro sulle rendite finanziarie, Mastella è pronto a mollare se «Idv, Dini, Bordon e sinistra radicale non sosterranno la manovra». Ed è per tranquillizzare i più piccoli che Prodi rilancia sulla legge elettorale: «Dopo la Finanziaria è una priorità».

Ma è di nuovo scontro tra riformisti e massimalisti e ad accenderlo è il premier dalla Grande Mela, quando incontra Lamberto Dini e gli promette che le tasse sulle rendite non saranno innalzate: «Saggezza dice di non toccare un capitolo così sensibile...». Rapidi consulti sulla linea Roma- New York e il capogruppo del Prc, Gennaro Migliore, avverte il capo dell'alleanza: «Non è così che ci si prepara al vertice, il programma va rispettato e noi siamo molto determinati ».

Sul Sole 24 Ore di oggi Franco Giordano tiene formalmente il punto sulle rendite, ma sul taglio dell'Ici tende un mano all'Ulivo, messaggio distensivo che Dario Franceschini coglie al volo: «Non sarà muro contro muro». La mina Dini, almeno quella, pare dunque disinnescata. «Lamberto mi ha assicurato che è parte forte e costante del centrosinistra» sospira di sollievo Prodi dopo 90 minuti a colloquio con l'ex premier. Eppure vista da Roma, dalla scrivania di Anna Finocchiaro, la situazione tanto serafica non è. «Qui ogni giorno c'è una mozione, una trappola, come possiamo andare avanti così?» ha avvertito Prodi, Fassino e Veltroni la presidente dell'Ulivo, che stasera porrà formalmente la «questione Palazzo Madama». L'ultimo incidente è di ieri. Il centrodestra — con l'«aiutino » di Di Pietro, il cui senatore Formisano in commissione ha votato con la Cdl — è riuscito a calendarizzare per il 3 ottobre la mozione D'Onofrio sull'operato di Visco.

E la Finocchiaro non si fa illusioni: «Senza i tre senatori dell'Idv noi andiamo sotto».

Ma davvero Di Pietro vuole la crisi? «Io non faccio ricatti — risponde il ministro — ma è necessaria una riorganizzazione interna che non prevede il rinnovo delle deleghe a Visco». La coppia di dissidenti ulivisti Bordon e Manzione non vuol essere «il quindicesimo partitino » e diserterà il vertice. Dini manderà Natale D'Amico. E il premier ammonirà la squadra, magari con le stesse parole che ha usato con i collaboratori: «Chi vuole la rottura se ne assuma la responsabilità. Se devo andare a casa ci andrò, ma prima farò i nomi e i cognomi ».

Monica Guerzoni

26 settembre 2007
 
da corriere.it


Titolo: Prc, Pdci, Verdi e Sd attaccano: "Ma ci fidiamo della mediazione del premier"
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2007, 09:42:59 am
ECONOMIA

La riunione notturna a Palazzo Chigi con 30 membri della maggioranza

Prc, Pdci, Verdi e Sd attaccano: "Ma ci fidiamo della mediazione del premier"

Finanziaria, vertice difficile per Prodi

La sinistra: "E' tutta da reimpostare"

Mastella, assente, incassa la solidarietà del capo del governo per gli attacchi a Ballarò

Il presidente del consiglio assicura: "Farò io la sintesi" e parla anche in tedesco
 

ROMA - Notte di tensione per Prodi e il suo governo, la sinistra interna attacca la manovra di Padoa Schioppa e dice che, in pratica, sarebbe tutta da riscrivere. Poi, però concede ancora fiducia al premier e il presidente del Consiglio garantisce una rapida sintesi per arrivare al varo della Finanziaria entro 48 ore.

Il vertice di maggioranza sulla Finanziaria (30 presenti nella sala Verde di Palazzo Chigi) comincia con il premier che esprime solidarietà al Guardasigilli Clemente Mastella assente perché terribilmente offeso dagli attacchi subìti a "Ballarò": "Un vero e proprio agguato mediatico: la sinistra di Capalbio mi vuole fottere. O Floris mi dimostra, cassette alla mano, che anche ad altri politici ha chiesto di amanti, mogli, case, conti in banca, o è un farabutto, un giornalista indegno".

Prodi offre subito la solidarietà al ministro della Giustizia assente e invita i presenti a fare in modo che la manovra economica "non diventi occasione di saldare dei conti fra noi".

Detto e fatto, il ministro dell'Economia Tomaso Padoa-Schioppa non ha ancora finito la sua relazione introduttiva, che, all'esterno, trapelano i primi "no" della sinistra di governo: "La Finanziaria non va bene e va reimpostata completamente". Poi, però, un'aggiunta che lascia una porta aperta: "Caro Prodi, abbiamo piena fiducia nella tua capacità di mediazione".

E Prodi, nelle conclusioni assicura: farà lui in persona la necessaria sintesi. Il premier riconosce alla sinistra che nei giorni scorsi, da quella parte sono venuti contributi e sollecitazioni e mostra di voler prendere in considerazioni le indicazioni di tutti, anche se invita a non alzare troppo i toni, a non tirare la corda in un passaggio così delicato. Poi spiega che farà sintesi tra i contributi di tutti, sia quelli giunti stasera sia nei giorni precedenti. E la farà rapidamente: appena 48 ore.

In tedesco. "Visto che qua non mi capisce nessuno,
allora provo a spiegarmi in tedesco". Proprio all'inizio delle sue conclusioni, tra lo sconfortato e l'ironico, Prodi comincia a parlare effettivamente nella lingua di Goethe. Poche parole, per lo più non capite dai presenti. Che, interpellati, dicono: "Che cos'ha detto? Boh, non so il tedesco...". Allegerita la tensione e ottenuta una risata dal tavolo, Prodi ha ripreso a parlare in italiano.

Il prevertice. D'altra parte, poche ore prima, nel prevertice della "sinistra di governo" (assente il Pdci) erano già emerse pesanti critiche per una manovra che secondo i partecipanti, non soddisfa quasi nessuno dei punti programmatici cari all'ala sinistra della coalizione: redistribuzione sociale delle risorse, maggiore attenzione e quindi investimenti sull'ambiente, tassazione delle rendite finanziarie e rivisitazione dell'accordo sul welfare.

E, intorno alle 22,30, quando il vertice è in corso da un'ora, i portavoce di Giordano (Prc), Diliberto (Pdci), Pecoraro Scanio (Verdi) e Mussi (Sd) scendono in sala stampa per spiegare il punto di vista dei loro leader. Presto detto: nella relazione di Padoa-Schioppa non ci sono sufficienti elementi di giudizio. Conseguente la richiesta a Prodi di "reimpostare e ridiscutere integralmente l'impianto della manovra". Le principali critiche riguardano la mancanza di misure per l'ambiente e la ricerca e una "vera" restituzione di risorse ai più poveri. uscendo, Diliberto l'ha giudicata "insoddisfacente". "Possibile che solo io mi accorga del malcontento che c'è in giro?".

La giornata. Eppure, la giornata, per l'esecutivo, non era cominciata male. Recuperati nei giorni scorsi Dini e Di Pietro, il problema più grosso sembrava rappresentato da un Mastella imbufalito per gli attacchi subiti in tv e, soprattutto per la mancata solidarietà dagli altri leader della maggioranza. Il Guardasigilli faceva sapere che non avrebbe preso parte al vertice serale dove sarebbero stati presenti solo i capigruppo dell'Udeur Fabris e Barbato. Un problema grosso per Prodi, ma il Guardasigilli aggiungeva che si sarebbe rimesso alle decisioni del premier, che non ce l'aveva con lui e che il governo non correva rischi da parte sua. Prodi, capita l'antifona, provvedeva all'introduzione con parole solidali per Mastella e sdegnate per l'attacco ricevuto.

La sinistra di governo. Ma la "sinistra di governo" aveva già fatto capire che avrebbe cercato di capitalizzare il più possibile (fino alla rottura?) il tempo e le occasioni, da qui fino all'approvazione della Finanziaria. Così, questo primo vertice, è subito diventato terreno di scontro. Se Prc, Comunisti italiani, Verdi e mussiani sono davvero decisi a far cadere il governo sulla Finanziaria, lo si capirà meglio nei prossimi giorni. Certo, Giordano, nel suo primo intervento, è andato giù pesante: "La collegialità
non c'è - avrebbe detto - la tassazione delle rendite non c'entra nulla con la crisi dei mutui. Si difende la rendita speculativa, non ci sono la ricerca, l'ambiente, la redistribuzione. Manca un progetto di cambiamento". Subito dopo, però, è arrivata la frase più conciliante sulla fiducia nelle capacità di mediazione del premier.

Le rendite da tassare. Prodi ha risposto subito sulla questione della tassazione delle rendite: per ora non si può, ma il programma sarà applicato. A quanto si apprende il premier lo ha detto rispondendo a Fabio Mussi. Prodi avrebbe affermato che non è ora il momento di fissare questa tassa per evitare di creare turbolenze nel mercato, ma il programma sarà applicato.

(26 settembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Re: GOVERNO PRODI... Palazzo Chigi sotto assedio.
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2007, 10:03:52 am
La nota

Palazzo Chigi sotto assedio.

Ma nessuno può rompere Tregua apparente con Di Pietro che sul caso Visco si smarca dalla Cdl 


L’immagine della «rissa continua» è difficile da smentire. Ma osservando la pletora e l’eterogeneità degli alleati che compongono l’Unione, sarebbe sorprendente il contrario. La domanda è se Romano Prodi riuscirà a tenere sotto controllo le liti, giocando sulle convenienze di potere del centrosinistra; oppure se qualcuno si sta davvero preparando alla rottura. Le grida che hanno accompagnato la vigilia del vertice a palazzo Chigi di ieri sera, ripropongono l’ipotesi di una crisi ravvicinata. L’assenza dalla riunione del ministro della Giustizia, Clemente Mastella, furioso con la sinistra, ha fatto parlare per l’ennesima volta di governo al capolinea. Eppure non è scontato sia così.

Il colloquio avuto ieri mattina dal presidente del Consiglio con Antonio Di Pietro ha rallentato la rotta di collisione sul caso Visco-Speciale in vista della seduta del 3 ottobre al Senato; e, almeno in apparenza, ridotto le possibilità di un voto del partitino del ministro insieme con l’opposizione. Di Pietro appare disposto a non creare altre tensioni, se Palazzo Chigi congelerà le deleghe del viceministro Visco: vuole che vengano lasciate nelle mani del titolare dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Per il resto, il modo in cui l’Italia dei valori asseconda le offensive antipolitiche «alla Grillo» risponde più alla voglia di ritagliarsi una rendita di consenso, che di far cadere Prodi.

Nessuno è in grado di garantire che su un simile sfondo il presidente del Consiglio uscirà indenne dalle prossime settimane in Parlamento: l’incidente può sempre verificarsi, in Senato. Per questo non si può dar torto al socialista Enrico Boselli quando esprime scetticismo sulla possibilità che il vertice notturno chiuda lo scontro nell’Unione. Il «no» preventivo alla finanziaria arrivato dall’estrema sinistra, Pdci escluso, suona come un ulteriore annuncio di scasso. Ma nelle ultime ore, il premier sembrava convinto di poter riassorbire le spinte più destabilizzanti; e di recuperare un margine di manovra rispetto agli alleati.

L’unica arma che per il momento è in grado di sfoggiare, però, è quella di prendere tempo. Non a caso, palazzo Chigi ha comunicato che occorreranno altre quarantotto ore per mettere a punto i provvedimenti. Significa che non c’è ancora l’accordo; ma anche che nessuno può e vuole arrivare alla rottura.
D’altronde, i vertici di solito sono convocati per trovare un’intesa, per quanto pasticciata. E quello notturno dell’Unione non fa eccezione: veleni, tensioni e ambiguità compresi. Colpisce il degrado dei rapporti interni.
Prodi ha dovuto iniziare il vertice avvertendo che «non è l’occasione per regolare i conti fra noi»; e solidarizzando con Mastella, assente. Sia nell’estrema sinistra che fra i partitini moderati, si assiste ad una competizione nervosa per non essere scavalcati dal concorrente elettorale più diretto. Non bastasse, pesano sul centrosinistra la sensazione di un’erosione progressiva dei consensi; e la certezza di un malessere contro i partiti, che si scarica in primo luogo sulle forze di governo. Così, più che il leader di una maggioranza, Prodi è sempre più il generale di un fortino assediato e di un esercito tentato di rompere le righe.

di Massimo Franco
27 settembre 2007
 
da corriere.it


Titolo: GOVERNO PRODI... C'è qualcuno lassù?
Inserito da: Admin - Settembre 29, 2007, 10:24:14 pm
C'è qualcuno lassù?

Antonio Padellaro


Le migliaia di messaggi di adesione al «basta» rivolto da l’Unità alle continue liti nell’Unione si commentano da soli. Resta invece indecifrabile la reazione che l’ondata di amichevole protesta ha suscitato nei destinatari della posta. Verrebbe da dire: silenzio di tomba con la sola eccezione dell’accorato «non facciamoci del male» rivolto da Piero Fassino agli alleati più nervosi. Per il resto non una voce si è alzata, fino a questo momento, dal variegato arcipelago del centrosinistra tale da trasmettere una qualche rassicurazione a quelle brave persone preoccupate. Tutti nostri lettori e, fino a prova contraria, loro elettori.

Si dirà che i governanti parlano con i fatti e che la migliore medicina per la salute della maggioranza è l’accordo a quanto sembra raggiunto con i ministri della sinistra radicale sulle maggiori risorse che la Finanziaria destinerà alle fasce deboli. Una buona notizia che premia la paziente mediazione di Romano Prodi e il metodo del confronto anche duro tra sinistra-sinistra, moderati e riformisti. Che però non risolve il problema di fondo sollevato dal nostro giornale e dai suoi lettori. Quello cioè di un governo la cui immagine, malgrado i risultati ottenuti, viene danneggiata continuamente dalle divisioni e dagli sgambetti tra i partiti che dovrebbero sostenerlo. Per quanto tempo ancora il governo riuscirà a navigare a vista? E come mai la ciurma si è fatta così litigiosa tanto da rischiare essa di provocare il naufragio? Su questo non si può essere affatto tranquilli per il futuro.

Proviamo ad azzardare qualche spiegazione.

La prima che ci viene in mente e che forse di quelle lettere ai destinatari importa relativamente. Fa parte della cultura del nostro ceto politico considerare gli elettori un’entità astratta, volubile, sovente molesta e tutto sommato trascurabile. Tranne naturalmente che in campagna elettorale. L’idea di fondo è che la politica è roba per specialisti che non possono certo farsi condizionare dai rumori della folla o dal primo scocciatore che passa. Come tutti i professionisti che si rispettano ai politici interessa parlare solo con i politici. Lo fanno, infatti, con un loro linguaggio iniziatico (basta leggere i loro articoli) indirizzato a un circuito selezionato e ristretto. Per soli eletti appunto. Quanto ai cittadini, niente paura. Possono mugugnare quanto vogliono ma alla fine tornano sempre all’ovile. Questa idea ovina (o bovina) dell’elettorato sembra in effetti confermata dalle costanti alte percentuali di voto che nel nostro straordinario paese contraddicono puntualmente i cupi pronostici di astensionismo massiccio.

I politici, insomma, sanno bene quello che fanno e che non fanno. Prendiamo l’antipolitica. Il dopo Grillo è stato tutto un assembramento di decaloghi partoriti da partiti e istituzioni onde pervenire alla più rapida e virtuosa autoriforma contro sprechi e privilegi. Implacabili tagli di deputati e senatori. Feroci stragi di ministri e sottosegretari. Una disumana falcidie di poltrone, prebende e gettoni di presenza. È vero che si tratta di misure impossibili da improvvisare ma perché questa politica intensiva degli annunci quando l’unica notizia certa sulla «Casta» riguarda l’aumento delle spese di Montecitorio? Anche qui si ha come l’impressione di una politica troppo sicura di se (arrogante?) e convinta che tra qualche mese di Grillo e delle sue piazze nessuno si ricorderà più.

Ci sono altre possibili spiegazioni sull’apparente apatia dell’Unione rispetto alle attese di chi l’ha votata. L’insostituibilità di Prodi. Il fatto che sì il governo barcolla, tentenna ma che nessuno può permettersi di farlo cadere. La crisi d’invecchiamento della ex Cdl, forte dei sondaggi ma inesistente nella proposta politica e orfana dell’Udc di Casini. Per carità, le reciproche debolezze tra maggioranza e opposizione hanno riempito intere fasi della storia repubblicana. Solo che adesso questa fragilità della politica va ad incrociarsi proprio con l’unica, grande novità politica degli ultimi anni: il Partito Democratico. Le primarie del 14 ottobre sono dietro l’angolo accompagnate da una forte attesa di partecipazione. Lo dicono in tanti: meno di un milione sarebbe un problema, due milioni un successo. Ma può un elettorato arrabbiato e perplesso trovare improvvisamente l’entusiasmo per correre a fare la fila nei gazebo? È una domanda soprattutto per Walter Veltroni che, lo sappiamo, delle lettere a l’Unità non se ne perde una.

apadellaro@unita.it

Pubblicato il: 29.09.07
Modificato il: 29.09.07 alle ore 8.55   
© l'Unità.


Titolo: Rutelli: "Ho vinto la sfida dell'Ici ora snelliremo il governo"
Inserito da: Admin - Settembre 30, 2007, 04:20:44 pm
ECONOMIA

Il vicepremier e leader della Margherita dopo l'approvazione della Finanziaria

"Era una battaglia chiave per riavvicinarci al ceto medio"

Rutelli: "Ho vinto la sfida dell'Ici ora snelliremo il governo"

"Sicurezza e liberalizzazioni sono le nuove priorità

di MASSIMO GIANNINI
 

ROMA - Presidente Rutelli, siete tutti soddisfatti. Lei brinda all'Ici, la sinistra radicale festeggia gli sgravi agli incapienti. Una manovra che accontenta tutti non è la "cifra" di un compromesso che risolve momentaneamente i problemi politici, ma rinvia ancora una volta le riforme vere di cui il Paese ha bisogno?
"Io sono decisamente soddisfatto. Abbiamo mantenuto gli impegni presi, ed è la prima cosa che conta. Abbiamo confermato che c'è il risanamento dei conti, ma anche una serie di misure forti verso i ceti popolari che soffrono di perdita del potere d'acquisto. E che la priorità per il centrosinistra resta il ritorno alla crescita dell'economia, se non vogliamo restare indietro, lenti e non competitivi. La manovra accontenta tutti tenendo fermi questi tre pilastri? Vuol dire che funziona: Padoa-Schioppa ha fatto un buon lavoro e Prodi ha tirato bene le fila".

Gli sgravi sulla casa sono stati un suo cavallo di battaglia. Su questo almeno è riuscito a piegare gli alleati riottosi. La soglia dei 50 mila euro di reddito non è un limite che taglia fuori dai benefici tanta parte di ceto medio?
"Mi sono battuto in questi mesi perché il governo tenesse il punto sull'Ici. E' stata una battaglia difficile, ma è stata utile se vogliamo recuperare i consensi del ceto medio. È un punto importante: si toglie via un'imposta a milioni di famiglie. Si premia chi si è sacrificato per comprare la prima casa, si incoraggia chi crea una famiglia, tanto più di fronte alle incertezze dei mercati. Non si tolgono risorse ai comuni. E si aiuta chi ha un reddito medio, o medio-basso".

Gli sgravi Ires e Irap e la forfettizzazione per le imprese più piccole sono un segnale importante lanciato al mondo produttivo. Ma secondo lei bastano a definire questa una "Finanziaria per lo sviluppo"?
"Guardi, sono misure veramente importanti, e apprezzate dalle imprese. Anche la semplificazione degli adempimenti è preziosa, vista la sofferenza delle micro-imprese. Ho chiesto al Consiglio dei Ministri di confermare la priorità al pacchetto liberalizzazioni di Bersani e al ddl Lanzillotta sulle utilities locali. Facciamo i conti: per i 5 anni di Berlusconi la crescita media è stata dello 0,3% all'anno Una catalessi. Oggi siamo verso il 2%. E' una ripresa seria. Perché sia crescita sostenuta, ci vuole più tempo e tutto il coraggio delle riforme. Il Pd nasce proprio per questo: semplificare la politica e dare alle riforme la forza indispensabile".

Nonostante tutte le riduzioni fiscali che avete varato, nel 2007 la pressione fiscale sale al 43,1% e raggiunge il record assoluto degli ultimi dieci anni. Nel 2008 è previsto un calo modestissimo, al 43%. Non si poteva fare di più?
"Lei sa bene che la pressione sale non perché abbiamo alzato aliquote o introdotto nuove tasse, ma perché funziona la lotta all'evasione fiscale. E' un successo, anche se è impopolare. Certo, occorre che le tasse scendano dal 2009. Occorre sforzarci di ridurre gli adempimenti e la burocrazia. Ma il contrasto dell'evasione è il presupposto, non uno slogan: solo così si finirà per pagare meno. E la Finanziaria è chiara: col risanamento si taglia il debito, riparte l'avanzo primario, si riduce il fardello degli interessi da pagare. E si debbono tagliare le tasse".

Padoa-Schioppa ha detto che sui tagli di spesa avrebbe voluto fare molto di più. Li avevate promessi, anche nel Dpef. Perché non si riesce a incidere sulla spesa corrente, sulla sanità, sul pubblica impiego, sui ministeri?
"E' vero. Credo che per gli anni prossimi dobbiamo affrontare il lato della spesa, a partire dalle forniture pubbliche: Regioni incluse, sono più di 100 miliardi all'anno. Lì c'è da risparmiare parecchio attraverso gare centralizzate. L'Emilia Romagna ha fatto funzionare una centrale acquisti che ha portato robusti risparmi. Deve farlo l'intera Amministrazione pubblica: negli anni della Destra si è allentata la presa e hanno galoppato gli sprechi".

Il rinvio del protocollo del Welfare, al contrario dell'Ici, è una vittoria della sinistra radicale. Non teme che quel pacchetto di misure, dalla previdenza ai sussidi alla disoccupazione, possa essere congelato per chissà quanto tempo?
"Lo vareremo nel prossimo Consiglio dei Ministri. E' un impegno preso e non si cambia. Difendere un mercato del lavoro moderno non significa allentare l'impegno contro la precarietà, ovviamente. Alle misure contenute nell'accordo, peraltro, abbiamo già iniziato a dare attuazione, inclusa la Finanziaria. Tra pochi giorni, tutti i pensionati con assegni bassi riceveranno una "quattordicesima" di circa 300 euro, puliti, esentasse. E' una mossa concreta, a difesa dei ceti più in difficoltà. Un altro frutto dell'accordo di luglio".

Anche sui costi della politica, forse, si poteva incidere più a fondo. Che valore ha un semplice atto di indirizzo verso il Parlamento, per ridurre il numero dei deputati e dei senatori? Non è un pannicello caldo, messo lì demagogicamente, tanto per arginare l'ondata dell'antipolitica?
"Pannicello caldo? E' nel nostro programma, il governo lo ha ribadito con chiarezza, lo voteremo in Parlamento. Non lo facciamo mica perché lo chiede il Gabibbo, ma perché è giusto, ed è tempo di farlo. Quanto ai costi della politica, il problema c'è, eccome. Abbiamo varato un pacchetto importante su proposta di Santagata di taglio dei costi delle amministrazioni pubbliche e della politica. Ma mi creda: il vero costo della politica è la politica che non funziona. Politici onesti e che ottengono risultati: la gente vuole soprattutto questo".

Grillo non è la soluzione dei problemi. Ma lei non crede che dopo la Finanziaria servirebbe un vero rimpasto, e magari un dimezzamento della squadra di governo?
"Penso che dobbiamo fare delle cose serie: ridurre in questa Legislatura il numero dei parlamentari, dei consiglieri regionali, di quelli locali. E di Ministri e sottosegretari. Non confonda però le riforme che stiamo discutendo, che dobbiamo approvare - e che porteranno a un taglio di almeno un terzo del Governo - con un precipizio verso la caduta del governo, della Legislatura e il ritorno della Destra".

Lei è pronto, insieme agli altri leader del Partito democratico, a mettere a disposizione i suoi incarichi nel governo, a partire dal ruolo di vicepresidente del Consiglio?
"Si fa parte di un Governo perché si ha fiducia e si riceve fiducia. E perché si deve servire il bene comune e ottenere dei risultati. Anche, in verità, per tenere una linea politica. Come lei sa, io non inseguo le chiacchiere. Ho fatto alcune cose: guidato il partito che ho presieduto per sei anni all'approdo unanime nel Partito Democratico. Senza Margherita, il PD non si sarebbe mai fatto. Ho sostenuto una forte accelerazione della sua nascita, l'investitura popolare del segretario, ho appoggiato Veltroni, promosso l'appello del "coraggio delle riforme". Credo che continuerò su questa strada".

Berlusconi continua a dire che l'unica buona notizia che il Paese aspetta è la caduta di questo governo. Cosa risponde? E condivide l'idea secondo la quale, se cade iol governo Prodi, poi ci sono solo le elezioni?
"Purtroppo, è lo stesso film da quattordici anni. Così come la pantomima di Bossi. Il modo più giusto di rispondere è far nascere il Pd - che non potrà che rivoluzionare tutta la scena politica, anche a destra - e dargli forza, idee, progetti. Migliorare l'azione di governo, e mi pare i segni siano positivi, per recuperare consensi laddove c'è disaffezione. Dialogare comunque con l'opposizione: fino all'ultimo, abbiamo il dovere di tentare un incivilimento dei rapporti istituzionali. Se cade il governo, certo, ci sono solo le elezioni. E invece bisogna fare la legge elettorale: sistema francese, tedesco, ritorno al "mattarellum", va scelta entro poche settimane la riforma con maggiore consenso nel centrosinistra e con consensi anche nel centrodestra che faccia funzionare il sistema e non ci metta ostaggio di un senatore o due".

A questo punto, passata la nottata della manovra, qual è il cammino del governo? Avete in testa una road map, o continuerete a navigare a vista, con il pericolo costante di una disavventura al Senato?
"Approvare la manovra economica, che ha un ricco contenuto sociale. Riprendere il cammino delle liberalizzazioni. Fare la riforma elettorale e misure coraggiose per far funzionare le istituzioni grippate. Approvare le misure per la sicurezza, con un pacchetto forte e innovativo (anche la Banca del Dna, e le misure per liberare i bambini-schiavi, per intenderci). Ce n'è da fare, non crede? Altro che gettare la spugna".

(30 settembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Equità e sviluppo: la manovra c’è
Inserito da: Admin - Settembre 30, 2007, 04:23:25 pm
Equità e sviluppo: la manovra c’è

Stefano Fassina


La manovra per il 2008 appena varata dal Governo è un buon equilibrio tra rigore, sviluppo ed equità, i punti cardinali del programma di governo del centrosinistra. Un equilibrio retto da una straordinaria performance delle entrate dalla lotta all’evasione, anche oggi come ieri, il vero puntello di questa maggioranza. La performance delle entrate consente di comporre esigenze, certamente fondate, di sostegno alle famiglie a maggiore disagio sociale e le esigenze, altrettanto fondate, di semplificazione e riduzione del carico fiscale sulle imprese. La manovra ha un limite di fondo, lo indico più avanti, ma è indubbiamente un significativo passo avanti nella direzione di modernizzare l’Italia.

Al segno positivo, concorre l’obiettivo della manovra: consolidare il percorso di risanamento strutturale della finanza pubblica riavviato lo scorso anno, dopo una legislatura di deragliamento. Il debito pubblico fa altri passi per scendere sotto la quota del 100 percento del Pil. Oggi sembra scontato, ma per un Paese indebitato come il nostro e con una situazione politica così precaria non è affatto acquisita la responsabilità verso il futuro delle maggioranze parlamentari. Anzi, purtroppo, tale responsabilità rimane ancora un carattere distintivo del centrosinistra dal centrodestra.

Al segno positivo, concorre anche la direzione anticiclica della manovra: in una congiuntura economica in rallentamento, è espansiva, per la prima volta dopo un lungo periodo di interventi di contenimento. La correzione non va nel senso di ridurre il deficit «tendenziale» (ossia a legislazione vigente), ma, all’opposto, va nel senso di incrementarlo di 0,4 punti percentuali di Pil, oltre 6 miliardi di euro. Tali risorse, insieme a risparmi di spesa per circa 5 miliardi, finanziano gli 11 miliardi di euro tra maggiori spese (8 miliardi) e minori entrate (3 miliardi). Insieme alla manovra espansiva per il futuro, c’è anche la seconda «manovrina» espansiva per l’anno in corso: 0,6 punti percentuali di Pil, in aggiunta allo 0,4 di Pil di giugno, un punto percentuale in tutto. È come se avessimo annullato l’intervento della Finanziaria dello scorso anno, anche qui per effetto dei risultati di lotta all’evasione molto migliori delle previsioni.

Guardiamo ora alle misure. Per il 2007, l’extragettito consente di fare un forte intervento (quasi 2 miliardi di euro), sebbene una tantum, di restituzione delle detrazioni fiscali non godute ai contribuenti a più basso reddito. Al tempo stesso, permette di anticipare all’anno in corso una serie di spese per investimenti, alleggerendo così il bilancio pubblico dei prossimi anni. Per il 2008, si avvia una articolata politica per la casa per oltre 2 miliardi di euro all’anno: l’abbattimento dell’Ici sull’abitazione principale (la detrazione arriva così fino a 304 euro), un intervento ispirato alla progressività rispetto all’impostazione regressiva propagandata dal centrodestra nella campagna elettorale del 2006; l’introduzione di una detrazione per le famiglie in affitto con redditi inferiori a 30.000 euro l’anno, maggiorata per i giovani; il finanziamento di programmi di edilizia agevolata.

Il capitolo più innovativo e più rilevante ai fini del sostegno allo sviluppo è dato dalle riforme dell’imposizione fiscale sulle imprese, tutte: micro, piccole, medie e grandi. Il regime, opzionale, per le attività produttive minime e marginali (oltre un milione di soggetti, con fatturato inferiore a 30.000 euro l’anno) abbatte drasticamente gli adempimenti fiscali, elimina l’Irap, l’Iva ed introduce un imposta sostitutiva del 20 percento sul reddito. Altrettanto rilevante è la riforma dell’Ires per le società di capitali, i redditi delle quali saranno tassati al 27,5 percento, invece che al 33 percento oggi in vigore, su una base imponibile allargata dalla rimodulazione della deducibilità degli interessi passivi, dalla revisione della disciplina degli ammortamenti e degli accantonamenti. Oltre che semplificare, le riforme consentono di ridurre l’Irap e di reintrodurre incentivi alla capitalizzazione delle nostre imprese, anche di quelle soggette all’Irpef.

Come detto all’inizio, il limite di fondo è sul lato della spesa. Innanzitutto perché, nonostante le indicazioni del Dpef e delle connesse risoluzioni di Camera e Senato, il Governo non è riuscito a finanziare i proposti aumenti di uscite con un corrisponde diminuzione di risorse sui programmi in essere. Ancora una volta, le maggiori spese sono in misura prevalente (oltre il 60 percento) finanziate dalle maggiori entrate previste nel tendenziale. Quindi, solo una parte dell’extragettito va a riduzione delle imposte, le quali nel 2008, a livello aggregato, saliranno in rapporto al Pil. È un esito in larga misura predeterminato, dato il compromesso raggiunto per i rinnovi dei contratti nel pubblico impiego e dato l’Accordo del 23 luglio scorso sulla revisione dello «scalone» per l’accesso al pensionamento di anzianità e sulle altre misure di welfare. È un esito predeterminato perchè, dopo aver escluso retribuzioni, previdenza, interessi sul debito, la spesa corrente disponibile per razionalizzazione e contenimento non supera il 20 percento della spesa totale. E, purtroppo, su tale spazio disponibile, gli strumenti previsti nella Legge Finanziaria dello scorso anno (spending review, politiche di acquisto e di controllo della domanda) hanno funzionato poco. Ora vengono rivitalizzati per raggiungere obiettivi inevitabilmente modesti nel breve periodo (circa 1,5 miliardi di risparmi).

Oltre all’andamento aggregato, è la composizione delle maggiori uscite ad essere insoddisfacente. Perdura l’assenza di priorità nell’allocazione delle risorse a fini dello sviluppo (la scuola e l’università? la ricerca? le infrastrutture? gli interventi sociali? le imprese?). Le maggiori spese risentono più della necessità di accontentare tutte le componenti della maggioranza che di una ferma direzione di marcia e un chiaro ordine di priorità.

In conclusione, un buon equilibrio, utile al Paese e, speriamo, alla stabilità della maggioranza, bene prezioso anche per le nostre prospettive economiche. Tuttavia, i pesanti vincoli su retribuzioni e spesa pensionistica hanno limitato la portata della svolta. Accelerare le riforme della spesa rimane decisivo per recuperare il ritardo, dell’Italia nel quadro globale e della politica verso larga parte dei cittadini e degli elettori del centrosinistra. E se non si può accelerare, almeno si dovrebbe evitare di rallentare. Per questo, ora, ogni sforzo va fatto affinché l’accordo sul welfare sia approvato da lavoratori e pensionati e l’intera maggioranza sia così «costretta» a sostenere un disegno di legge collegato alla Finanziaria coerente con quanto sottoscritto il 23 luglio da Prodi.

Pubblicato il: 30.09.07
Modificato il: 30.09.07 alle ore 7.37   
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Titolo: Venerdì in Cdm il pacchetto sicurezza: soddisfatti i sindaci
Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2007, 12:42:42 pm
Venerdì in Cdm il pacchetto sicurezza: soddisfatti i sindaci


Il pacchetto sicurezza anticipato ai sindaci. Lunedì il ministro degli Interni Giuliano Amato ha incontrato i "primi cittadini" da tutt'Italia (da Veltroni a Domenici, a Cofferati) per presentare il disegno di legge (in un primo tempo si era parlato di decreto legge, che potrebbe comunque tornare d'attualità per alcune norme) che venerdì andrà in Consiglio dei ministri. Provvedimenti molto duri che portano Gianfranco Fini a dichiarare: «Se il pacchetto ci convince potremo anche appoggiarlo». Soddisfatti tutti i sindaci tranne quello di Milano Letizia Moratti che esprime «profonda delusione» perché scaricherebbe «i problemi sulle città». Un pacchetto che fa gridare alla sinistra a «provvedimenti da Stato di polizia, più pesanti rispetto agli anni del terrorismo».

CUSTODIA CAUTELARE Viene prevista per tutti i reati di cosiddetto "allarme sociale" (anche furto, scippo, rapina) di fatto equiparati ai reati di mafia o di terrorismo. Per gli stessi reati dunque viene rivista la legge Saraceni-Simeone con la revoca dell'affidamento ai servizi sociali, come già per i reati associativi con finalità sovversive o criminali. Pene più dure sono anche annunciate per chi costringe i bambini all'accattonaggio.

PIU' POTERI AI SINDACI Potranno firmare ordinanze non solo (come ora) per «gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini», ma anche «per sicurezza e decoro urbano». In questo modo i sindaci diventano anche «ufficiali del governo».

ESPULSIONI DAI PREFETTI Attualmente, con le leggi in vigore, solo il ministro degli Interni ha il potere di espellere cittadini anche comunitari per motivi di ordine pubblico. Dopo le polemiche su lavavetri e questuanti, questo potere viene allargato ai Prefetti. Sulla norma vi sono parecchi di dubbi, e di costituzionalità e di rispetto della libera circolazione prevista dalla Ue.

STRETTA CONTRO DEGRADO E MANIFESTAZIONI Nel mirino finiscono soprattutto i "writers" o graffitari: ora sono previste solo multe per chi imbratta i muri. Con l'aumento delle pene, allo studio anche una norma che lega la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno o ad un lavoro socialmente utile. Sempre per «rispetto del decoro», un sindaco potrà modificare «luogo e modalità delle manifestazioni politiche», altra norma fortemente avversata dall'ala sinistra della coalizione di governo per supposta incostituzionalità. Ultimo provvedimento: test antidroga per tassisti e autisti degli autobus.

POTENZIAMENTO FORZE DELL'ORDINE Vengono previsti circa 4.500 uomini delle forze dell'ordine in più da dislocare nelle città, mentre altri 2-3 mila dovrebbero arrivare dal recupero del personale prestato ad altre amministrazioni. Potenziamento delle Procure e degli Uffici dei gip e rafforzamento della copertura dei posti presso le sedi giudiziarie disagiate. Infine, viene prevista la rimozione di una serie di passaggi che attualmente rallentano il meccanismo della confisca dei beni dei mafiosi. Verrà poi eliminata la possibilità di patteggiamento in appello per reati di mafia.

Reazioni soddisfatte per ora sono state espresse dal sindaco di Bologna Sergio Cofferati («novità assai significative che riequilibrano i poteri»), dal sindaco di Firenze Leonardo Domenici («ora abbiamo più poteri, ma non siamo sceriffi»), dal sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino («giudizio positivo, ora si approvino presto»).


Pubblicato il: 09.10.07
Modificato il: 10.10.07 alle ore 10.05   
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Titolo: GOVERNO PRODI... "Fuori dall'Unione, in Senato nessun vincolo"
Inserito da: Admin - Ottobre 12, 2007, 11:49:11 pm
POLITICA

Lo strappo di Bordon e Manzione

"Fuori dall'Unione, in Senato nessun vincolo"


ROMA - Non si placano le tensioni al Senato tra l'Ulivo e i dissidenti della Margherita Willer Bordon e Roberto Manzione, fondatori de 'l'Unione democratica. "Ieri - ha spiegato Bordon - abbiamo ricevuto una lettera da un avvocato che per conto dell'Unione ci certifica di fatto che io e Manzione non facciamo più parte dell'Unione.

Di conseguenza l'Unione certifica che al Senato non ha più la maggioranza", anche perchè a questo punto, "non avendo più obblighi di coalizione, io e Manzione ci sentiamo liberi di presentare nostri emendamenti ad una Finanziaria che riteniamo abbia seri elementi da modificare". Dunque "se non c'è più una maggioranza politica ci sarà una maggioranza aritmetica sui nostri emendamenti".

"Non ne ho parlato con Prodi - aggiunge Bordon - vogliamo però un chiarimento politico", perchè "questo non è un gioco. Per quanto mi riguarda sono pronto anche a lasciare la politica, quindi il problema non mi riguarda. Al Senato - ha concluso Bordon - la maggioranza è letteralmente allo sbando, con le varie anime del Partito democratico alle prese con una lotta animalesca".

(12 ottobre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Bruno Ugolini - I patti si rispettano
Inserito da: Admin - Ottobre 18, 2007, 06:22:31 pm
I patti si rispettano

Bruno Ugolini


Speriamo che questa sia la volta buona. Non se ne può più della disputa senza fine sul protocollo. Ovverosia su quella serie di disposizioni formulate per agevolare l’esistenza ad anziani e giovani. È uno stato d’animo diffuso quello di chi non ne può più dei tira e molla, degli errori di trascrizione nella stesura definitiva della legge, degli improvvisi voltafaccia che cancellano scelte già concordate, di minacce di nuovi ribaltamenti nella discussione parlamentare.

Non se ne può più perché non siamo di fronte a determinazioni improvvisate, a testi maturati all’ultimo momento. Molti di quelli che oggi strepitano tacevano nel corso del lunghissimo tragitto che ha portato all’accordo. Quel protocollo ha alle spalle mesi e mesi di preparazione, discussioni, negoziati, iniziative pubbliche, manifestazioni. Non è stato covato nel silenzio, tra carbonari e poi sbocciato come per incanto. È l’inizio del febbraio 2007 quando Cgil Cisl e Uil varano quella che può essere considerata una vera e propria piattaforma. Il documento contiene una serie di obiettivi rivendicativi sui quali tra l’altro le diverse categorie sono chiamate ad organizzare assemblee, consultazioni, informazioni. C’è nel sindacato chi si mette subito all’opera e chi non prende in considerazione questo dovere elementare, magari per stupirsi in questi giorni e pronunciare veementi verdetti di condanna. Eppure i capitoli di quella piattaforma sono pressoché gli stessi che oggi costellano il famoso protocollo. Ma non si assiste, in quei giorni, allo scatenamento dei "No" di destra e di sinistra. Eppure nella piattaforma non c’è il tutto e subito, non c’è l’abolizione immediata della legge 30. Sono prospettate misure parziali, un percorso. Le scelte sindacali, suscitano solo gli appunti dei soliti moderni accademici, pronti a teorizzare la sortita di un sindacato capace di farsi Harakiri, tagliando pensioni e diritti. E poi comincia il negoziato, una trattativa lunga, estenuante, per settimane e settimane. Con i titoli dei giornali che riportano tesi e contro tesi su giovani, anziani, scalini, scaloni. Con la Cgil di Epifani che ad un certo punto minaccia di abbandonare ogni confronto. Con i sindacati dei pensionati che scendono in piazza e in qualche fabbrica si giunge allo sciopero. Ma non si sente crescere, in quelle ore, lo sdegno impetuoso di segreterie politiche di partiti che pure siedono al governo. Quelli che, appunto, minacciano di farsi sentire ora, in Parlamento perché non conta l’iniziativa dei sindacati, non conta quanto stabilito da una consultazione di massa, una prova di democrazia che dovrebbe incutere rispetto da parte di tutti.

Siamo così ai giorni nostri. Con la scesa in campo non di qualche apparato, bensì di oltre cinque milioni di donne e di uomini che in tal modo testimoniano che nel sindacato credono ancora. E la stragrande maggioranza, oltre l’ottanta per cento, pronuncia un Sì convinto. Sarà un Sì col mal di pancia, perché si pretendeva di più da un governo di centrosinistra. Un Sì di gente che sta male perché i temi dell’organizzazione del lavoro spesso non sono più all’ordine del giorno e la condizione operaia sta ritornando ai tempi antichi. Un Sì, però, di gente che sa bene che l’attuale compagine governativa sta in piedi per miracolo e che se non si sta attenti tutto può precipitare e lo scalone nonché la legge 30 ritorneranno senza nemmeno un graffio. Ecco perché ora guardano con trepidazione all’evolversi delle cose e non ne possono più. Perché pensano che i patti siano da rispettare. Che quello per cui hanno votato debba rimanere intatto. Comprese le misure oggetto d’interventi mistificanti come l’assicurazione che un precario potrà avere una pensione decente almeno pari al 60 per cento del suo ultimo stipendio. Per non restare "bamboccioni" anche a 70 anni. Certo che bisogna tener conto, come sottolineano a sinistra della sinistra, del malcontento e dei No affermati in grandi fabbriche del Nord. Ma ritardando ancora l’approvazione parlamentare del protocollo, innescando la rincorsa all’emendamento, non si otterrà un miglioramento della condizione dei metalmeccanici. Semmai il contrario. Oppure si potrà determinare l’affossamento del protocollo. Tutti a casa. Non ci sarà tripudio nelle fabbriche, anche in quelle del No, rimaste con un pugno di mosche in mano. Anche se ai promotori della disfatta, sembrerà di aver salvato l’anima. E ci vorrà un’altra consultazione, questa volta generale, di tutto il Paese, per dimostrare il loro tragico errore.


Pubblicato il: 18.10.07
Modificato il: 18.10.07 alle ore 13.11   
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Titolo: GOVERNO PRODI... «C'è un complottone contro il governo»
Inserito da: Admin - Ottobre 20, 2007, 06:27:02 pm
Prodi: «C'è un complottone contro il governo»

Ninni Andriolo


«È partito il complottone...» Prodi è stato chiaro con i promotori della manifestazione sul welfare. Giovedì mattina, prima di raggiungere in aereo il vertice Ue di Lisbona, il «Prof» aveva avvertito gli esponenti della «sinistra radicale» in visita a Palazzo Chigi. «Il vostro corteo - aveva insistito - rischia di indebolire un governo che molti vorrebbero mandare a casa». Il Presidente del Consiglio che tenta di sdrammatizzare dal Portogallo gli effetti della mobilitazione di oggi - «no, non sono preoccupato» - smentisce in privato la tranquillità che ostenta in pubblico. «Di qui a fine novembre ogni giorno è buono per farci andare sotto - confidava Prodi, qualche giorno fa ai collaboratori - Deve essere chiaro, però, che chi vuol farmi cadere deve venire allo scoperto in Parlamento. Tutti devono sapere di chi è la responsabilità». L'iter della Finanziaria, in sostanza, sarà disseminato di trappole. E il monito rivolto alla sinistra radicale è netto: non si presti a fare il cavallo di Troia. La richiesta del premier - «smorzare i toni, evitare che il corteo diventi l'ennesima occasione per amplificare le polemiche sulla maggioranza che va in pezzi» - sembra trovare riscontro nelle dichiarazioni di ieri. «Saremo in piazza per il governo Prodi - ripete la pdci, Palermi - Per un governo che comprenda le richieste di una inversione di tendenza rispetto a Berlusconi e al berlusconismo dilagante».

Il Presidente del Consiglio, in realtà, individua il "complottone" nei disegni diversi, ma coincidenti, del leader di Forza Italia e di settori ben precisi del mondo imprenditoriale-editoriale. Berlusconi freme per cavalcare l'onda della insoddisfazione che serpeggia tra i centristi dell'Unione, e per imporre elezioni nel 2008, ben sapendo che - superati quei tornanti - l'esecutivo potrebbe consolidarsi e che il tempo giocherebbe poi a favore del radicamento del Partito democratico e di Veltroni. I "poteri forti" su cui punta il dito Palazzo Chigi, invece, vorrebbero dare immediatamente la spallata a un esecutivo che considerano troppo timido con la sinistra radicale. Non per sostituirlo con Berlusconi, magari, ma per mettere in campo soluzioni ponte, istituzionali o meno che siano, per ipotesi neocentriste da far maturare di qui a nuove elezioni. Per raggiungere questi obiettivi, ovviamente, è fondamentale il grimaldello della debolezza della maggioranza al Senato. E Berlusconi, in questi giorni, lavora proprio su questo. «Ricordatevi che una maggioranza, anche se risicata, a Palazzo Madama noi ce l'abbiamo - ha ricordato Prodi, l'altro ieri agli esponenti della sinistra radicale - Sarebbe davvero inspiegabile se ci facessimo del male da soli». Numeri, quelli del Senato, che le intemperanze di un Mastella sotto tiro rendono a prima vista sempre più ballerini. «La maggioranza non c'è più, a questo punto meglio votare a primavera», tuonava ieri il Guardasigilli, dopo le notizie sui reati che ipotizzerebbe nei suoi confronti la procura di Catanzaro. Una sorta di richiesta d'aiuto quella del ministro? Prodi, ieri sera, rientrato a Roma da Lisbona, ha cercato via telefono il leader Udeur per consigliargli cautela e pazienza in attesa di capire meglio i contorni della vicenda. Ma è chiaro che l'inchiesta calabrese conferma l'incertezza che investe la maggioranza.

Sommato al "no" dei diniani al Partito democratico, il futuro dell'Unione sembra ancora più oscuro. Il premier sa bene che sono diversi i senatori nel centrosinistra che si trincerano ai confini dell'Unione sui quali cerca di far leva il Cavaliere. Ed è per sventare queste manovre che il premier punta molto anche sul lavoro comune con Veltroni. «Un buon ciclista sa correre anche in tandem», risponde Prodi a chi insiste sui rischi di una difficile coabitazione con il leader Pd incoronato dalla primarie. «Anche Walter può essere il bersaglio da indebolire», ripetono a Palazzo Chigi da dove, in queste ore, si mette più che mai l'accento sulle strategie convergenti del premier e del sindaco di Roma. E sul loro "lavoro di squadra" per tenere agganciati i senatori in bilico. «Tra loro c'è chi ha avuto problemi con il gruppo parlamentare e che, però, vede in Prodi un punto di riferimento», assicura lo staff del Professore. «Non vengono certo da Walter i pericoli per il governo», ripetono i collaboratori del premier. E rivelano che durante gli incontri dei giorni scorsi Prodi e il segretario in pectore del Pd hanno messo a punto un impegno comune per «rinsaldare la maggioranza» a Palazzo Madama. Insomma, anche per il sindaco di Roma - che «ha dichiarato a chiare lettere che il governo deve durare l'intera legislatura» - risolvere il rebus del Senato costituisce «il primo concreto banco di prova».


Pubblicato il: 20.10.07
Modificato il: 20.10.07 alle ore 11.20   
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Titolo: «Le voci di dissenso vanno ascoltate, ma al referendum i sì erano 4 milioni».
Inserito da: Admin - Ottobre 21, 2007, 10:49:42 pm
Un milione, il giorno dopo.

L'Unione si divide sul giudizio


«Le voci di dissenso vanno ascoltate, ma al referendum i sì erano 4 milioni». Cesare Damiano commenta così la manifestazione del milioni di persone che a Roma hanno risposto all'appello lanciato dalle sinistre dell'Unione. In un'intervista a La Repubblica Damiano sottolinea che «l'equilibrio raggiunto è delicato e visti i numeri della maggioranza, specie al Senato, se si tocca l'accordo non è detto che il risultato sia un potenziamento delle garanzie sociali». Quanto alla richiesta, gridata dai manifestanti, di attuare il programma di Governo, il ministro del Lavoro dice che bisogna smettere di «utilizzare il programma come un simbolo, specie sul lavoro poi, dove, se si guarda ai contenuti, lo stiamo applicando in maniera radicale».

Non sembra d'accordo Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione al Senato secondo il quale «dopo la grandissima manifestazione di ieri si fa fatica, oggi, a comprendere le dichiarazioni di alcuni ministri e a interloquire con loro nell'incessante dialogo che la sinistra, in piazza, in Parlameno e in tutte le sedi istituzionali e civili vuole a tutti i costi portare avanti». «Ieri abbiamo partecipato a un evento forse unico: non contro, non antagonista al governo, partecipe dello spirito unitario ma decisa a farsi vedere, la gente ha sfilato denunciando le precarietà della vita: il lavoro, per prima cosa, l'ambiente, la sessualità, la scuola, i saperi.... Ma Mastella invece mette insieme la manifestazione di ieri con il vaffa day di Grillo... E Damiano - conclude Russo Spena - afferma esplicitamente che è ora di smettere di fare riferimento al programma».

Russo Spena si riferisce ad una serie di interviste rilasciate dal ministro della Giustizia, Clemente Mastella, a vari quotidiani. Secondo il ministro, manifestazioni come quella di sabato «sfiancano Palazzo Chigi». «La sinistra deve capire che anche la migliore delle rivendicazioni, con i numeri che abbiamo non passa, perchè al Senato siamo appesi a due voti, due». E se prevalessero le tesi di Rifondazione sul welfare, non solo Dini, ma anche l'Udeur, osserva, «sarebbe costretto a votare no». «L'esperienza che stiamo vivendo assieme è difficile. Ci sono troppe differenze e le mediazioni non bastano. Ammetterlo non è un'eresia. Sono cattivo io o è cattiva la situazione?»

Al pessimismo di Mastella fa da contraltare l'impegno dei Verdi (che sabato non erano in piazza). «I Verdi faranno quadrato attorno a Prodi per impedire che l`Italia torni indietro e vada a destra. Lavoreremo in Parlamento affinché il grande tema della precarietà, sollevato ieri con forza dalla manifestazione di Roma, possa trovare risposte attraverso quelle modifiche che, tra l`altro, non comporterebbero alcun onere economico per lo Stato» dice il capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Bonelli, che aggiunge: «Nella destra c`è chi, in modo moralmente inaccettabile, vuole condannare all`infinita precarietà oltre cinque milioni di persone e alla paura del futuro le loro famiglie».



Pubblicato il: 21.10.07
Modificato il: 21.10.07 alle ore 16.08   
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Titolo: GOVERNO PRODI - L'Udeur minaccia la maggioranza: chiarimento nel ...
Inserito da: Admin - Ottobre 22, 2007, 06:21:58 pm
L'Udeur minaccia la maggioranza: chiarimento nel centrosinistra o bocciamo la manovra

«Il governo? E' come la guerra libanese»

Mastella: «Se Prodi riesce a superare questo momento, è lui l'eroe nazionale e avrà dimostrato le sue capacità»

 
ROMA - Vita dura per l'esecutivo guidato da Romano Prodi. «La situazione del governo è come quella della guerra libanese. Se Prodi riesce a superare questo momento, è lui l'eroe nazionale, e quindi avrà dimostrato capacità e quel "fattore C" che gli attribuiscono». Lo dice il ministro della Giustizia Clemente Mastella, da Benevento, dove è giunto per la festa della polizia penitenziaria. «All'interno della comunità libanese è guerra continua, ci sono maroniti contro cristiani, cristiani contro Hezbollah. La stessa cosa vale all'interno del governo», conclude Mastella.

CASO DE MAGISTRIS - Intanto il caso de Magistris e l'inchiesta «Why not» continuano a tenere banco nel dibattito politico. All'indomani delle polemiche tra i ministri Mastella e Di Pietro (con il primo che ha chiesto ai magistrati di non insabbiare l'inchiesta e con l'ex pm che si è rivolto direttamente al premier Romano Prodi, chiedendogli di intervenire sui poteri del Guardasigilli), ora è ancora una volta l'Udeur a prendere la parola. Minacciando la maggioranza questa volta. «Serve un chiarimento all'interno della maggioranza. Non deve essere per forza una riunione, ma serve chiarezza tra i vertici per capire lo stato di salute della maggioranza» afferma il capogruppo dell'Udeur a Palazzo Madama Tommaso Barbato che, uscendo da una riunione sulla Finanziaria al Senato alla quale partecipa «passivamente», lancia l'ultimatum al governo: «Se questo segnale non arriverà e si persevera sulla cattiva strada, allora valuteremo la possibilità di non votare il decreto collegato».

UDEUR - Barbato punta il dito sui «comportamenti dei partner della maggioranza. C'è troppa ipocrisia- continua- se facciamo schifo, se siamo indigesti a qualcuno, noi ce ne andiamo». Il leader Clemente Mastella «è molto arrabbiato», fa sapere il capogruppo del Campanile a Palazzo Madama, perchè «si parlano due lingue diverse, c'è troppa distonia: ufficialmente si dice una cosa ma poi...». L'Udeur, secondo Barbato, «gioca una partita» senza sapere se «è valida»: qui ci sono «tanti pappagalli che parlano- conclude- e vogliono fare gli eroi».

BERTINOTTI - In precedenza era stato il presidente della Camera Fausto Bertinotti a dire la sua sullo scontro magistratura-politica. «C'è un unico modo - secondo il presidente della Camera - per affrontare la questione: tornare al rispetto delle regole». Quanto alla vicenda Mastella-De Magistris, Bertinotti invita alla moderazione e al silenzio: «Siamo in attesa - spiega - di una decisione del Csm, e io credo che in questo caso bisognerebbe evitare commenti, tacere e affidarsi al Csm».

LEGGE ELETTORALE - A margine dell'incontro con il presidente dell'Ecuador Rafaele Correra, Fausto Bertinotti è tornato a intervenire anche su riforme e legge elettorale. Secondo il presidente della Camera una riforma costituzionale che superi il bicameralismo perfetto «è un'urgenza storica oltre che politica, una necessità per il sistema-Paese» che porta con sè l'adozione del sistema elettorale di tipo tedesco.

SINISTRA IN PIAZZA - Positivo il commento del presidente della Camera sulla manifestazione contro il precariato organizzata sabato scorso a Roma dalla sinistra. «È stata una pagina di straordinaria partecipazione democratica» ha detto Bertinotti, una pagina che si inserisce «in una stagione di grande partecipazione».


22 ottobre 2007

da corriere.it


Titolo: Andrea Carugati - Di Pietro contro Mastella: intervenga Prodi
Inserito da: Admin - Ottobre 22, 2007, 06:32:20 pm
Di Pietro contro Mastella: intervenga Prodi

Andrea Carugati


Mastella e Di Pietro ai ferri corti sul caso De Magistris. «È un analfabeta del diritto», gli manda a dire il Guardasigilli. E Di Pietro: «Prodi si assuma la responsabilità di dire se Mastella può ancora fare il ministro della Giustizia». Un altro giorno di tensione nel governo. Che inizia con una dura replica di Mastella alle interviste del pm di Catanzaro Luigi De Magistris, dopo che il Pg di Catanzaro ha avocato l’inchiesta «Why not» che vede indagati il premier e il Guardasigilli: «Voglio che l’inchiesta vada avanti velocemente, perché questi schizzi di fango che mi sono stati gettati addosso mi vengano tolti. Non invocherò cavilli: non mi appellerò al fatto che, essendo parlamentare, appena il mio nome è comparso nei tabulati dovevano chiedere l’autorizzazione al Senato». E ancora: «De Magistris mi ha iscritto scientemente perché sapeva che così gli veniva tolta l’inchiesta e diventava un eroe nazionale. Ma se il Paese vuole eroi di questo tipo se li tenga». Mastella si dice sereno: «Sono una persona perbene. Non sono intervenuto per difendere me stesso: al 20 giugno, la Procura di Catanzaro mi disse che non c’era alcun provvedimento che mi riguardava». Il Guardasigilli contesta la versione secondo cui l’avocazione sarebbe nata da un input politico: «È un atto di un magistrato nei confronti di un altro magistrato. E De Magistris non è l’unico a essere indipendente. L’avocazione non significa l’interruzione dell’inchiesta». È qui che Mastella dà dell’«analfabeta del diritto» al collega Di Pietro, citando anche la famosa vicenda dei 100 milioni e della Mercedes.

Di Pietro, dal canto suo, ricorda che gli autori di quelle accuse «sono stati condannati per diffamazione» e chiama in causa Romano Prodi: «Deve decidere se in capo ad uno stesso soggetto possa mantenersi nello stesso tempo la titolarità dell’azione disciplinare nei confronti del magistrato che lo ha sottoposto alle indagini». Ancora: «Mastella ha provocato un corto-circuito politico giudiziario che rischia di travolgere il governo. Come con Berlusconi, viene fuori l’immagine di una classe politica che ne inventa di tutti i colori per fermare i magistrati, per togliere di mezzo chi non si adegua». Controreplica il ministero della Giustizia, con una nota ufficiale attribuita all’«usciere» in cui si dice che «un ministro che quando era magistrato ha ricevuto 100 milioni di lire e una Mercedes da degli indagati non ha i titoli per parlare. Di Pietro abbia il coraggio di non scaricare il problema sul premier: porti in Parlamento la richiesta, mettendo sul banco anche le sue dimissioni da ministro: vedremo come si esprimerà l’aula». L’europarlamentare dell’Idv Beniamino Donnici, intanto, ha presentato un esposto-denuncia alla procura di Salerno sull’avocazione dell’inchiesta Why Not.

Dalla sinistra radicale, Cesare Salvi e il verde Bonelli giudicano l’avocazione dell’inchiesta «un errore», una scelta «inopportuna». Rosy Bindi si augura che «l’inchiesta vada avanti velocemente. Ma se Mastella grida al complotto sbaglia, non bisogna mai creare il sospetto che la politica cerchi l’impunità». Felice Casson, ex magistrato e ora senatore del Pd, dice: «Se tutto questo fosse successo con Berlusconi avremmo gridato al bavaglio per la magistratura. I tempi della richiesta di trasferimento da parte di Mastella e anche i tempi dell’avocazione mi lasciano perplesso: credo sia il caso di abbassare tutti i toni, riflettere meglio sulle decisioni delicate che si prendono». Quanto ai rischi di tritolo evocati dal pm di Catanzaro, dice Casson: «È incomprensibile e poco serio che di queste cose si parli sulla stampa. Se arrivano delle minacce, prima le si valuta e poi ci si rivolge agli uffici competenti. Questo continuo gridare “al lupo”, non solo da parte di De Magistris, contribuisce solo ad avvelenare il clima». Casson parla anche della possibilità di dimissioni di Mastella: «In questa fase dell’indagine è una richiesta davvero prematura». Nell’Ulivo si registrano anche autorevoli opinioni secondo cui, in questa fase, l’avocazione da parte del Pg era inevitabile. Dal centrodestra Cicchitto (Fi) ritiene «giustificata» la decisione del pg di Catanzaro, Casini e Cesa invece solidarizzano con Mastella.

Il presidente dell’Anm Giuseppe Gennaro parla di una decisione «inopportuna» della Procura generale: «Non credo ci fossero tutti i requisiti per l’avocazione. Occorre uno sforzo di tutti perchè l’aria si fa irrespirabile, c’è un rischio per l’autonomia della magistratura». De Magistris, dal canto suo, torna a parlare di un «filo conduttore tra ostacoli, intimidazioni, minacce e pallottole». E il membro togato del Csm Fabio Roia annuncia che domani porterà all’attenzione della prima commissione di palazzo dei Marescialli il provvedimento del Pg di Catanzaro e le ultime denunce di De Magistris.

Pubblicato il: 22.10.07
Modificato il: 22.10.07 alle ore 17.20   
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Titolo: MASTELLA MINACCIA LA CRISI, POI AL SENATO SALVA PRODI
Inserito da: Admin - Ottobre 23, 2007, 11:46:34 pm
2007-10-23 22:17

MASTELLA MINACCIA LA CRISI, POI AL SENATO SALVA PRODI
 (di Giovanni Innamorati)


ROMA - Clemente Mastella minaccia la crisi sulla giustizia, ottiene da Romano Prodi in Consiglio dei ministri il ''chiarimento'' con Antonio Di Pietro, poi corre al Senato per concorrere, con il suo voto, a salvare il governo bocciando le pregiudiziali dell'opposizione al decreto che accompagna la finanziaria. Il Guardasigilli diventa cosi' il protagonista dell'ennesima giornata di alta tensione nel centrosinistra: una giornata per lui iniziata in salita e conclusasi in gloria, con la ''piena fiducia'' espressa da Prodi. In tutto cio', dicono all'Udeur, c'e' una nota stonata: il silenzio di Veltroni e del Pd.

L'inizio giornata ha messo di cattivo umore Mastella, che sulle agenzie di stampa ha letto l'ennesimo attacco nei suoi confronti da parte del pm di Catanzaro Luigi De Magistris. Ma le contromosse erano state studiate in anticipo. Ha infatti riunito l'ufficio politico dell'Udeur, che ha approvato un documento con un obiettivo ben preciso: scindere la vicenda dell'inchiesta di Catanzaro da quella politica, con gli attacchi di Di Pietro al Guardasigilli e la messa in discussione della politica della giustizia sin qui condotta.

E infatti il documento spiega che ''il senatore Mastella'' (e quindi non il ministro o il segretario di partito) ''chiede con fermezza che l'inchiesta vada avanti, ma velocemente''. ''Continuero' pero' la mia battaglia di dignita' e di difesa della mia onorabilita''', ha aggiunto ''il senatore Mastella''. Insomma, questa vicenda personale non mettera' in discussione la ''lealta'' sua e dell'Udeur a Prodi.

Un concetto che il Guardasigilli ha ribadito allo stesso premier, che lo ha chiamato prima e dopo la riunione dell'Ufficio politico del Campanile, mentre Mastella era a pranzo con gli altri dirigenti del partito al ''Toscano'', un ristorante dietro al ministero della Giustizia. Peraltro, il cellulare del Guardasigilli ha squillato altre due volte, quando l'hanno chiamato Cossiga e Fassino.   

Il segretario dei Ds ha ascoltato le lamentele di Mastella per i ''silenzi'' del Pd e in particolare di Veltroni. Fassino ha cercato di porre rimedio con un comunicato di appoggio al titolare di via Arenula. Ma l'umore di Mastella non e' cambiato su questo punto. Parlando con gli altri dirigenti dell'Udeur a pranzo, infatti, ha detto di vedere un disegno politico in questi attacchi: ''Non per nulla sono iniziati dopo il Family day, dopo la mia iniziative a Telese per far rinascere il Centro''.

Per il Guardasigilli questo cerchio concentrico di attacchi non e' casuale: ''L'indulto e' nato in Parlamento ed e' diventato un provvedimento di Mastella; l'aereo di Stato per Milano era di Rutelli ed e' diventato di Mastella; l'inchiesta di Catanzaro vede coinvolti 26 persone, tra cui Prodi, ed e' diventata pure quella su Mastella all'improvviso; due indizi fanno una coincidenza, tre fanno una prova... E poi, questo silenzio di Veltroni anche sulla legge elettorale. Ma Romano ha capito perfettamente che noi siamo leali e che non rimarra' mai fottuto''.

Dopo pranzo, il leader dell'Udeur e' andato al Consiglio dei ministri dove e' stato subito affrontato da Di Pietro, che ha chiesto al governo di trovare ''un punto di incontro'' tra le due posizioni. Il Guardasigilli ha reagito in modo fermo: ''La mia dirittura morale e' tale che non intendo avere con te alcun punto di incontro, ne' ora ne' in futuro''.

Subito dopo, le parole di Prodi che hanno sancito la soluzione della vicenda: ''Piena fiducia'' a Mastella e ''alle politiche della giustizia che il governo ha sempre votato e approvato all'unanimita'''. Piena fiducia anche ''alla magistratura, nella sua autonomia e nelle sue gerarchie''.

Con l'animo leggero, quindi, Mastella ha lasciato  momentaneamente il Consiglio dei ministri ed e' corso al Senato, dove l'aula votava le pregiudiziali e la sospensiva della Cdl contro il decreto fiscale collegato alla finanziaria. Pregiudiziali bocciate per due voti, come la sospensiva, con la maggioranza che ha ottenuto, in quest'ultimo caso, un voto in piu' dell'opposizione, proprio quello di Mastella.   

Il ministro della Giustizia e' trionfante e alla buvette di Palazzo Madama si ferma a parlare con il suo predecessore Roberto Castelli: ''Di Pietro ti costruira' un'autostrada a Ceppaloni'', commenta scherzoso l'attuale capogruppo della Lega al Senato.

giovanni.innamorati@ansa.it
 
da ansa.it


Titolo: Il premier: un invito a tradire "Fausto mi ha pugnalato alle spalle"
Inserito da: Admin - Ottobre 25, 2007, 03:32:46 pm
POLITICA

Letta va da Casini, il Cavaliere teme l'ipotesi del governo istitutuzionale

S'incrina anche l'asse col Colle: Prodi ha ascoltato con sospetto i richiami a favore delle riforme

Il premier: un invito a tradire "Fausto mi ha pugnalato alle spalle"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "È una pugnalata alle spalle". Ce l'ha con Fausto Bertinotti. Ma non ha gradito nemmeno il richiamo del capo dello Stato. Romano Prodi ha ascoltato con sospetto i richiami di Giorgio Napolitano e del presidente della Camera a favore delle riforme. Il fantasma del governo tecnico o istituzionale, infatti, aleggia sulla testa del Professore. E lui ieri non ha fatto niente per nascondere il suo malumore. Il triangolo istituzionale che fino ad ora ha accompagnato e guidato la legislatura, da ieri sembra essere incrinato. L'asse Quirinale-Palazzo Chigi-Montecitorio non è più forte come prima.

Il duello tra "Fausto e Romano" è proseguito per tutta la giornata. A colpi di note e smentite. Un scontro tutto centrato sul "dopo-Prodi". Eh già, perché avallare adesso l'ipotesi di un nuovo governo per varare la riforma elettorale, secondo palazzo Chigi rappresenta un "invito" ai senatori più titubanti. Un via libera ad accettare le avances di Silvio Berlusconi sapendo che la caduta del Professore non comporterà automaticamente le elezioni anticipate.

"Dopo di me ci sono solo le urne, ma so bene - ripete da tempo il capo del governo - che un secondo dopo l'apertura della crisi ci sarà la corsa a chiedere un esecutivo istituzionale". L'allarme a Palazzo Chigi, insomma, è scattato. Ci si è messo pure Antonio Di Pietro a minacciare l'appoggio esterno. E poi, a parte i soliti "fedelissimi" del Professore, in pochi nell'Unione - e nel Partito Democratico - hanno smentito la prospettiva di un "tecnico" a Palazzo Chigi.

Il premier si aspettava una parola da Walter Veltroni. Ma anche il Sindaco di Roma non ha escluso con i suoi che anche quella può essere una "soluzione". E pur ribadendo che sosterrà Prodi fino alla fine, ha anche annunciato che sabato prossimo illustrerà la sua proposta sulla legge elettorale. Un progetto che non sarà molto lontano dal modello tedesco. E proprio la revisione del "porcellum" potrebbe essere il perno su cui costruire un eventuale esecutivo istituzionale. Per varare la Finanziaria, superare il prossimo anno e poi andare al voto nel 2009.

Uno scenario che non preoccupa solo il Professore. Anche Silvio Berlusconi ha messo in movimento la sua "contrarea". Sa che la questione è sul tavolo. Che la caldeggia il Colle e che è stata trattata dai "big" del centrosinistra e da alcuni rappresentanti del centrodestra. Per questo ha spedito Gianni Letta da Pier Ferdinando Casini. "Ma che volete fare? - stata la domanda posta dal messo berlusconiano al leader dell'Udc - Noi vi assicuriamo che a novembre il governo cade. Ma poi bisogna andare a elezioni".

Il dialogo tra i due ha mantenuto i toni soft. Un equilibrio di parole giocato sulle sfumature. "Noi - ha spiegato l'ex presidente della Camera - noi non ci aggiungeremo mai ad un governo del centrosinistra. Ma voteremo per chi ci assicura un sistema elettorale tedesco". "Se cade Prodi e nasce un esecutivo per la legge elettorale - dice ancora più apertamente Bruno Tabacci - noi ci stiamo". Nello stesso tempo il Cavaliere ha chiamato di nuovo Umberto Bossi. Per chiedere garanzie e bloccare chi perfino nella Lega non chiude la porta ad un'intesa.

L'ex premier dunque è in fibrillazione. È sicuro di poter far crollare il governo al Senato nelle prossime settimane. Ma ieri ha iniziato a coltivare qualche dubbio sulle conseguenze. "Se l'esito deve essere un governo tecnico - ha ragionato con i suoi a Via del Plebiscito - allora meglio non provocare adesso la crisi. Meglio aspettare che sia passata la Finanziaria. Solo se riusciamo a far passare da noi un intero gruppo possiamo essere sicuri di andare alle urne. Altrimenti tanto vale tenere lì Prodi".

Anche perché, se lo sfilacciamento dell'Unione non dovesse condurre alle elezioni nel 2008, sarà il Cavaliere a discutere la nuova legge elettorale. "Noi - spiega Enzo Bianco, l'uomo che per la maggioranza sta provando a trovare un punto di mediazione con la Cdl sulle riforme - sappiamo che da novembre Berlusconi vorrà parlare con noi". Una previsione confermata dallo stesso leader forzista. "Senza voto, preferisco parlare con Prodi. E sarò io a trattare. Non lascio a Casini la possibilità di farsi la legge elettorale a sua misura".

(25 ottobre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Spunta l'asse tra Fausto e Walter
Inserito da: Admin - Ottobre 25, 2007, 10:25:20 pm
IL RETROSCENA

Spunta l'asse tra Fausto e Walter

Ora si tratta sul sistema tedesco


ROMA — Fino a tre giorni fa Rifondazione era attestata sulla linea delle elezioni anticipate: nessuna alternativa a Prodi, solo le urne. La svolta di Bertinotti ha spiazzato persino i vertici del suo partito, disvelando così l'asse con Veltroni. Il presidente della Camera e il leader del Pd hanno superato d'un tratto il gelo misto a diffidenza che li teneva distanti. In nome della realpolitik sono stati costretti al passo, a fronte delle disastrose condizioni in cui versa il governo: la rete di protezione che hanno iniziato a costruire, manco a dirlo, ruota attorno alla possibilità di chiudere il cerchio sulla legge elettorale.

Raccontano che Veltroni abbia promesso un'apertura sul sistema simil-tedesco nel discorso di insediamento che terrà davanti alla Costituente democratica. I dettagli tecnici scolorano nel profilo ancora indistinto del disegno, «d'altronde — come spiegava ieri un autorevolissimo esponente del Pd vicino al segretario — sul modello tedesco Walter non chiude. Eppoi in politica esistono obiettivi prioritari e obiettivi secondari». La priorità è dettata dall'emergenza. E se dopo Bertinotti anche Veltroni farà la sua mossa, tutto sarà chiaro: forti dell'appoggio dei maggiorenti del Pd, e facendosi scudo delle esternazioni di Napolitano, chiederanno a Prodi di adeguarsi. Toccherà al premier scegliere se portare avanti l'operazione, altrimenti...

Altrimenti si profilerebbe «l'opzione B», quella che il presidente della Camera ha adombrato nell'intervista al Tg1, quel governo «per le riforme» che dovrebbe spostare al 2009 l'orizzonte delle urne, e che ha mandato fuori dai gangheri Prodi. Il premier si sente assediato. Sarà infatti solo una coincidenza, ma anche Nerozzi, membro della segreteria della Cgil ed esponente della Sinistra democratica, nell'ultimo direttivo sindacale ha accennato all'ipotesi di un «governo tecnico». Marini sarebbe il più accreditato a guidare un gabinetto «istituzionale», però — a seconda della formula che verrebbe scelta — in pista ci sarebbero anche Amato, D'Alema e Fassino. Tutti sono consapevoli che «l'opzione B» è ad alto rischio, e non è detto che riesca: sono troppe le variabili, poche le certezze, certa l'ostilità di Berlusconi. Su questo fa affidamento Prodi. Lo scontro con Bertinotti è proseguito ieri a colpi di comunicati tra palazzo Chigi e Montecitorio, e fa intendere quale sia la linea del premier: «Resistere, resistere, resistere ».

«Invece di fare il risentito, Romano dovrebbe capire che gli ho offerto un assist», commentava ieri il presidente della Camera: «Si muova, reagisca, insomma faccia qualcosa. Perché è impensabile che sulla legge elettorale nessuno sappia qual è la sua idea. Almeno Walter qualcosa l'ha detta». Eccome se l'ha detta, al telefono con Bertinotti. La preoccupazione comune è dettata «dalla situazione allo sbando», dal fatto che il centrosinistra «sta subendo l'accerchiamento di Berlusconi, che più passa il tempo più prende spazio». Basterebbe dare un'occhiata agli ultimi sondaggi riservati: le primarie del Pd non hanno sortito grande effetto, se è vero che la forbice tra il Polo (al 55,1%) e l'Unione (42,9) si è ristretta solo di mezzo punto. Peccato che per il governo si stiano restringendo anche i margini al Senato: Turigliatto, di Sinistra critica, si appresta oggi ad annunciare che non voterà la Finanziaria. Ieri la maggioranza a palazzo Madama sul decreto fiscale era di un solo voto. Si respira aria di smobilitazione nel governo. Raccontano che, chiuso nella sua stanza al ministero, Rutelli abbia sospirato: «Peccato, avremmo potuto fare grandi cose per la cultura...».

Il tempo stringe, nel Pd sono in pochi a volersi immolare per Prodi e pensano a evitare la disfatta. Dice De Mita: «Ho letto che se cade, Romano minaccia di ricandidarsi. E con chi?». Ma «l'opzione B» è impresa ardua: potrebbe essere costruita solo se l'Unione si compattasse sulla legge elettorale. Bertinotti auspica il sistema tedesco, «perché non voglio né un partito condannato al governo né all'opposizione ». Veltroni comprende, ma sa anche quanto sia difficile agganciare un pezzo di opposizione nel disegno. Il meccanismo sarebbe quello già sperimentato nella commissione Affari costituzionali di Montecitorio, dove nelle scorse settimane Udc e Lega si erano astenuti sulle riforme. Peccato che in Aula la musica sia cambiata. «Dovevamo spaccare il Polo e invece li abbiamo ricompattati con l'ostruzionismo», commentava ieri il democratico Giachetti, prendendosela con Violante: «Così dopo il Senato si è bloccata anche la Camera. Siamo nel pantano».


 Servirebbe un aiuto dall'opposizione, ma per quanto le sirene del modello tedesco tocchino le corde di Casini, Berlusconi dice di avere in mano l'arma di fine legislatura. Qualcuno nel Polo pensa oggi di sfidarlo?


Francesco Verderami

da corriere.it


Titolo: Urne o nuovo esecutivo?
Inserito da: Admin - Ottobre 25, 2007, 10:26:46 pm
I DUE « PARTITI »

Urne o nuovo esecutivo?

Il «governo istituzionale» si fa strada nel Pd


 ROMA — Fino a due giorni fa molti lo pensavano, ma guai ad ammetterlo in pubblico. Martedì però Fausto Bertinotti ha rotto il tabù dell'intangibilità di Prodi e ora nella maggioranza (e persino dentro il Pd) c'è chi confessa che l'idea di un esecutivo istituzionale non è poi così blasfema. «Il governo è bloccato e in caso di incidente non possiamo certo andare al voto con questa legge elettorale » ragiona la senatrice Paola Binetti, eletta nel Pd in quota Veltroni. Ben venga dunque un presidente che faccia le riforme, però bisogna arrivarci «con una strategia di condivisione» che includa anche chi, nella Cdl, «è in cerca di soluzioni positive per il Paese».

I fautori di una XV legislatura che vada avanti senza Prodi dovranno vedersela con Rosy Bindi, la quale per prima ha avvertito il presidente della Camera: «Nessun altro governo, istituzionale o tecnico, avrà il nostro voto ». Ufficialmente il partito del «se il Professore cade si vota» vanta adesioni illustri, Diliberto e Pecoraro Scanio sono tra i padri fondatori e Parisi, Rutelli e Fassino gareggiano per la leadership. Il motto di Dario Franceschini, capogruppo uscente dell'Ulivo alla Camera nonché vice di Veltroni, è «con Prodi fino alla morte» e Antonello Soro, favorito per la guida del gruppo, teme che «la crisi dell'Unione difficilmente avrà altro sbocco che il voto anticipato» ma più avanti non si spinge. Eppure la suggestione di una via d'uscita istituzionale dalla palude dell'Unione sembra aver contagiato anche le primissime file del Pd.

Il senatore Antonio Polito, battitore libero molto vicino a Rutelli, accoglie con entusiasmo la svolta di Bertinotti, concorda che sarebbe «irresponsabile » lasciar morire la legislatura senza cambiare legge elettorale e propone a Veltroni di cercare «la più ampia maggioranza possibile» su un nuovo sistema di voto. E poiché la schiettezza non gli fa difetto, Polito definisce «del tutto naturale, prima di dichiarare fallimento, verificare la possibilità di un diverso governo ». Anche Enzo Carra ha un consiglio per Veltroni: il Pd dica «caro Prodi, se andiamo avanti così facciamo del male al Paese». E poi? «Prodi bis o governo istituzionale». E persino Pierluigi Castagnetti, che da «amico critico» del premier gli riconosce «grande solidità morale e istituzionale », valuta come «percorribile » la via del governo tecnico.
E se anche il ds Marco Filippeschi plaude a Bertinotti, gli alti dirigenti della Quercia che diventa Pd se ne stanno coperti.

D'Alema, Finocchiaro, Bersani e Chiti sponsorizzano il movimento della resistenza a oltranza, i cui adepti evitano di pronunciare in pubblico la parola crisi e provano a vendere i prodotti della ditta Palazzo Chigi. «Il governo sta cominciando a suonare una buona musica, se poi il frastuono riesce a sommergerla vedremo», fa scongiuri il ministro Bersani. E Nicola Latorre non vede all'orizzonte il tramonto di Prodi: «Lo shopping di Berlusconi al Senato non esiste». Ma Peppino Caldarola, che ha lasciato la Quercia di Fassino per rientrare nel Pd di Veltroni, spera di convincere il segretario a «fare le pulizie di casa », cioè un governo per le riforme. «La situazione è drammatica — avverte l'ex direttore dell'Unità —, Prodi dovrebbe fare un gesto generoso e dichiarare la propria disponibilità a farsi da parte». E Veltroni? «Walter non può staccare la spina, ma la situazione gli è favorevole e non può sprecarla, il suo unico nemico è la zavorra sulle ali che gli impedisce di spiccare il volo».

Bertinotti ha smentito di pensare al dopo- Prodi, dentro Rifondazione però ci pensano in tanti. «Fausto ha fatto un atto di coraggio, riconsegnare il Paese alle urne sarebbe devastante — rivela gli umori del Prc il sottosegretario Alfonso Gianni —, Prodi è opacizzato e non è un mistero che se Veltroni si fosse candidato nel 2006 noi eravamo pronti». E ora, che fare? «Un governo tecnico potrebbe bocciare per decreto lo scalone. Ho sentito Bertinotti e gli ho detto mi sta bene, se nel nuovo governo ci sono anch'io... ». E lui? «Si è messo a ridere».


Monica Guerzoni
25 ottobre 2007

da corriere.it


Titolo: GOVERNO PRODI... «A rischio il cammino delle riforme».
Inserito da: Admin - Ottobre 26, 2007, 04:22:29 pm
«A rischio il cammino delle riforme».

Veltroni: d'accordo con lui

Prodi: «Esigo il rispetto degli impegni»

Il premier agli alleati dopo le divisioni in Senato: «Le forze di maggioranza dicano se sostengono il governo»


ROMA - Un duro richiamo. In diretta televisiva. Dopo il giovedì terribile della maggioranza (finita più volte ko in Senato sul decreto fiscale collegato alla Finanziaria), Romano Prodi scende nella sala stampa di Palazzo Chigi e in un breve discorso trasmesso dal Tg3 lancia agli alleati quello che suona come un vero e proprio ultimatum: «Esigo il rispetto degli impegni». Un tentativo di compattare una coalizione attraversata da troppe tensioni interne e che a Palazzo Madama non può permettersi la minima defezione. Un'ulteriore conferma arriva in serata, dopo il richiamo del presidente del Consiglio: in una seduta ad alta tensione, infatti, la maggioranza va nuovamente sotto al Senato.

 IL BREVE DISCORSO - Quando si presenta davanti alle telecamere, l'espressione del premier è quella dei momenti difficili. «Il nostro Governo - attacca Prodi - ha proposto all'approvazione del Parlamento una serie di importanti provvedimenti: il decreto fiscale, la legge finanziaria, le misure in favore dei più poveri, l'aumento delle pensioni più basse, le politiche per la casa, le pensioni e le politiche contro la precarietà. Contemporaneamente - ha proseguito Prodi - il Governo ha svolto una azione di stimolo verso il Parlamento per avviare la discussione sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale. Noi abbiamo fatto tutto questo per rilanciare l'economia e per portare un po' di equità nella società italiana». A questo punto arriva l'analisi di quanto avvenuto a Palazzo Madama: «La maggioranza che sostiene il Governo si è divisa al momento del voto non sull'impianto di queste grandi proposte, ma su fatti particolari, mettendo a rischio la realizzazione delle indispensabili riforme». Ed ecco l'affondo: «È giunto il momento che tutte le forze politiche della maggioranza dicano chiaramente se intendono continuare a sostenere il Governo o se vogliono invece far prevalere gli interessi di parte su quelli del Paese. Non pongo oggi il voto di fiducia, ma esigo che le forze politiche della maggioranza rispettino gli impegni che esse hanno assunto di fronte ai cittadini. Questo è quanto comunicherò nelle prossime ore a tutti i partiti della maggioranza».

VELTRONI: SONO D'ACCORDO - Passano pochi minuti e le agenzie battono la prima reazione al discorso di Prodi: è quella di Walter Veltroni. «Concordo pienamente con il tono ed il contenuto dell'appello del presidente del Consiglio - afferma il leader del Partito Democratico -. Il Paese ha bisogno del massimo di solidità della maggioranza per rafforzare l'azione del governo. Questo è il primo impegno del Pd». A stretto giro di posta Prodi incassa anche il sostegno del segretario dei Ds, Piero Fassino, del leader della Margherita, Francesco Rutelli, e del ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio: «Condividiamo le parole di Prodi». Per Rifondazione Comunista, «il richiamo al rispetto degli impegni da parte della maggioranza deve valere per tutti». «E gli impegni - spiega il presidente dei deputati del Prc, Gennaro Migliore - sono l'applicazione della linea dettata dal programma».

IDV E UDEUR - E l'Italia dei Valori, che in Senato ha votato con l'opposizione? Antonio di Pietro spiega che l'obiettivo dell'IdV è quello di «rafforzare il governo, non farlo cadere». Ma questo si può fare solo «realizzando impegni concreti» ed evitando la «politica dei veti» che la sinistra vuole imporre «spinta da furore ideologico». Il ministro delle Infrastrutture, in particolare, torna a spiegare le ragioni del voto dei senatori di Idv in Senato (salvo Franca Rame) contro l'emendamento che prevede la liquidazione della società "Ponte Stretto di Messina". «Noi - spiega - non abbiamo votato con il centrodestra, ma ci siamo espressi per ripristinare il testo originario del decreto, come era uscito dal Consiglio dei ministri. Per questa coerenza Prodi dovrebbe ringraziarci perché dà credibilità all'azione del governo». Anche quelli dell'Udeur (protagonisti nelle ultime settimane di aspre polemiche proprio con Di Pietro e l'IdV per il caso Mastella-De Magistris) affermano di non avere nulla da rimproverarsi: «Sottoscriviamo l’appello di Prodi - dice Mauro Fabris, capogruppo del Campanile alla Camer - e lo accogliamo in toto. Ma noi abbiamo dimostrato di essere leali, non abbiamo nulla da rimproverarci. L'appello non è rivolto all'Udeur». E Clemente Mastella aggiunge, sibillino: « «Prodi ha fatto bene a parlare. Si è rivolto a uno solo. Uno che non ha mai cambiato mestiere...».


25 ottobre 2007

da corriere.it


Titolo: GOVERNO PRODI... Chi pagherebbe una crisi
Inserito da: Admin - Ottobre 26, 2007, 04:24:10 pm
Chi pagherebbe una crisi

Stefano Fassina


Quali sarebbero le conseguenze economiche di una crisi di governo ora, durante la fase di discussione della manovra finanziaria per il 2008 e dell’annessa traduzione normativa del Protocollo sul welfare firmato il 23 luglio scorso ed approvato da oltre 4 milioni di lavoratori un paio di settimane fa? Mentre sono impossibili da capire le ragioni politiche della rottura della coalizione di centrosinistra (intendiamo la politica con l’iniziale maiuscola), chiarissime ne sono le conseguenze economiche.

Ed è segnale di autoreferenzialità e, quindi, fattore di alimento di antipolitica l’indifferenza manifestata da settori della maggioranza nei confronti di tali conseguenze. Di più, è segnale di autolesionismo politico ed elettorale, perché il pacchetto di provvedimenti presentati alla sessione di bilancio in corso ha avuto il sostegno di tutte le parti sociali e di tutti gli interessi economici ed ha avviato la ricostruzione di un clima di fiducia nelle capacità riformiste del centrosinistra. Ed è anche un pessimo contesto per la costruzione del Pd, tale da gelare i germogli di reinvestimento nella politica sbocciati il 14 ottobre.

Al di la dei danni economici indiretti, ma sicuri e significativi, dovuti alla perdita di credibilità della classe politica tutta e, quindi, del nostro Paese in Europa e sul piano internazionale, vi sarebbe un pesante impatto, immediato e diretto, sulle famiglie e sulle imprese ed, in particolare, sulle fasce sociali più deboli dei cittadini.

Analizziamo prima l’impatto sulle famiglie. Una crisi di Governo ora e l’altissimo rischio di esercizio provvisorio, così disinvoltamente evocato dal capo dell’opposizione, lascerebbero in vigore la riforma pensionistica introdotta dal centrodestra (il famoso «scalone»). Di conseguenza, il primo gennaio 2008 decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici vedrebbero spostato in avanti di tre anni il traguardo del loro pensionamento di anzianità. Inoltre, milioni di pensioni perderebbero il pieno recupero dell’aumento dei prezzi. Non aumenterebbe l’indennità di disoccupazione e non diminuirebbe il costo per il riscatto dei periodi laurea per i lavoratori più giovani. Questi ultimi, in più, non avrebbero le condizioni per potenziare l’accumulazione di contributi necessaria ad innalzare le loro pensioni. Circa 4 milioni di dipendenti pubblici dovrebbero aspettare ancora per ricevere gli aumenti di stipendio ad essi dovuti dal 1 gennaio 2006 (i 100 e rotti euro di aumento medio mensile).

In aggiunta, 12 milioni e mezzo di cittadini a più basso reddito non riceverebbero il bonus di 150 euro, per un totale di quasi due miliardi di euro, previsto nel decreto in corso di conversione al Senato. Oltre 10 milioni di proprietari di casa perderebbero uno «sconto» Ici fino a 200 euro l’anno. Circa 4 milioni di inquilini vedrebbero cancellato un sostegno da 300 a 150 euro l’anno. Per almeno mezzo milione di giovani tra 20 e 30 anni sfumerebbe il contributo di 992 euro l’anno per l’affitto e per l’avvio di una vita autonoma dalla famiglia di origine.

In sintesi, soltanto dalla caduta delle 4 misure ricordate, ogni famiglia perderebbe in media 155 euro l’anno di maggior reddito disponibile. E, secondo l’Istat, verrebbe cancellata una riduzione «degli indici di disuguaglianza di circa 2-3 decimi di punto percentuale» che, «a differenza di precedenti interventi di riduzione delle situazioni di disagio, determinerebbe una marcata riduzione dell’intensità di povertà, grazie al rimborso forfetario alle famiglie che non pagano l’Irpef».

Una crisi qui ed ora interromperebbe la fruttuosissima strategia di lotta all’evasione messa in atto da Governo. Una strategia che ha consentito, dopo la stagione dei condoni e dei furbetti dei quartierini e dei salotti buoni, di ristabilire un minimo di civiltà fiscale in Italia e di recuperare circa 23 miliardi di euro all’anno e, così, di avviare l’alleggerimento fiscale per cittadini ed imprese.

Per quanto riguarda queste ultime, si perderebbero estesi e radicali interventi di semplificazione della normativa fiscale e rilevanti riduzioni di imposte. In particolare, lavoratori autonomi, professionisti e imprese famigliari con fatturato inferiore a 30.000 euro l’anno non avrebbero la possibilità di scegliere il regime forfetario previsto nel disegno di legge finanziaria e beneficiare, così, del drastico abbattimento degli adempimenti conseguenza dell’esenzione dall’Irpef, dall’Irap e dall’Iva. E non beneficerebbero neanche del connesso risparmio di imposta di oltre 200 milioni di euro. Le società di capitali non potrebbero utilizzare le semplificazioni e la riduzione di 5,5 punti percentuali dell’aliquota Ires predisposte dopo un lungo lavoro di ascolto e tali da portare il contesto normativo italiano all’avanguardia in Europa e nell’arena internazionale. Micro, piccole e medie non otterrebbero la riduzione dell’Irap. Tutte le imprese vedrebbero scomparire la prospettiva di ingenti detrazioni per le spese in ricerca e sviluppo.

Nel Mezzogiorno verrebbe meno, dal primo gennaio prossimo, il sostegno fiscale all’occupazione e la possibilità di istituire «Zone Franche» nelle aree urbane a maggiore sofferenza economica e sociale. Scuole ed università perderebbero le maggiori risorse stanziate. Le associazioni di volontariato dovrebbero rinunciare ai 150 milioni di euro messi in bilancio per incrementare i fondi per il 5 per mille. Anas e Ferrovie non avrebbero gli oltre 4 miliardi allocati per il finanziamento di urgenti investimenti.

Si potrebbe continuare con l’elenco, ma ci fermiamo qui. Quanto ricordato è sufficiente a sottolineare l’irresponsabilità e l’avventurismo di chi, per miopi interessi di bottega, opera senza preoccuparsi della caduta del Governo Prodi. La campagna di alcuni grandi giornali-partito, l’incapacità della «sinistra radicale» di riconoscere i risultati raggiunti, il tentativo di qualche settore riformista, anche del Pd, di dare lezioni di cultura innovativa ha offuscato la realtà. Ma, la realtà della manovra di bilancio è fatta di misure riformiste, certamente incomplete e per alcuni versi contraddittorie, ma difficilmente migliorabili da maggioranze di nuovo conio. Quanti nel centrosinistra assecondano la deriva di dissoluzione in atto nella speranza di lucrare elettoralmente e politicamente al margine si illudono. Perderemo tutti. E, soprattutto, perderà l’Italia ed i soggetti più deboli.


Pubblicato il: 26.10.07
Modificato il: 26.10.07 alle ore 12.40   
© l'Unità.


Titolo: LUIGI LA SPINA GOVERNO PRODI... Governo tandem
Inserito da: Admin - Ottobre 29, 2007, 06:44:15 pm
29/10/2007
 
Governo tandem
 
LUIGI LA SPINA

 
La settimana comincia con un nuovo governo. Si tratta di un assetto ministeriale del tutto inedito nella storia della nostra Repubblica, perché prevede, di fatto, una diarchia a Palazzo Chigi.

Si potrebbe parlare, in omaggio alle predilezioni ciclistiche del nostro Capo dello Stato, del primo governo-tandem della politica italiana, composto dalla coppia Prodi-Veltroni.

La richiesta del neosegretario Pd di una serie di incontri sia con i partiti dell’opposizione, sia con quelli della maggioranza, sia con quelli che non stanno, ormai, né di qua né di là, come i parlamentari di Di Pietro e di Dini, ha formalizzato la nascita di questa inusitata formula governativa. I maligni sospetteranno subito un sostanziale esautoramento di Prodi, sia pure nelle forme veltroniane, cioè le più diplomatiche e garbate possibili. Ma, questa volta, potrebbero sbagliarsi. Non tanto perché nella politica italiana sia scoccata l’ora dei buoni sentimenti, della sincerità, di un generoso afflato che anticipa di due mesi l’atmosfera natalizia. Quanto per una coincidenza di interessi che accomuna, in questo momento, i due componenti del tandem a Palazzo Chigi.

Si tratta, in primo luogo, di dimostrare a tutti, e prima di tutto al Presidente della Repubblica, come si faccia ogni sforzo, anche in forme irrituali, per rispettare i suoi inviti alla ricerca del consenso per una nuova legge elettorale. Si sa che Napolitano vorrebbe evitare di interrompere la legislatura e di indire elezioni anticipate senza una correzione della famosa «porcata» di calderoliana memoria. Gli incontri di Veltroni dovrebbero porre i partiti che non sono disponibili a trovare l’intesa prima di un nuovo voto nella scomoda posizione di mettere solennemente agli atti la loro contrarietà. Non solo di fronte al Quirinale, ma anche davanti all’opinione pubblica. L’iniziativa di Veltroni, inoltre, dovrebbe convincere gli ambienti più diffidenti verso di lui di quanto la sua elezione alla segreteria del Pd non costituisca un indebolimento del governo, ma possa consentire il tentativo, forse l’estremo, di rafforzarlo. Se l’effetto rianimante dovesse servire a prolungare il destino del ministero, il vantaggio non sarebbe solo del presidente del Consiglio alla guida del tandem. I meriti andrebbero anche ai leali ed efficaci colpi di pedale di chi, da dietro, ha impedito che la «spinta propulsiva» si esaurisse.

C’è, infine, l’ipotesi più negativa, quella di un fallimento, sia nella ricerca di un accordo con l’opposizione (o parte dell’opposizione) per un nuova legge elettorale, sia nell’opera di ricucitura con le membra sparse della maggioranza. Nessuno potrebbe imputare al leader Pd non solo l’assoluta lealtà, ma neanche di aver lesinato sforzi o trascurato idee per sostenere Prodi. A quel punto, forse anche il Presidente della Repubblica dovrebbe rassegnarsi alle elezioni anticipate con l’attuale legge elettorale. Si dovrebbero rassegnare anche i fautori di governi istituzionali, tecnici o come altro si voglia definirli. Ma, quest’ultimi, si dovrebbero soprattutto preoccupare. Incombe, infatti, l’ombra del referendum. L’incubo, per loro, di un premio di maggioranza che favorirebbe solo le due formazioni maggiori negli opposti schieramenti. E chissà che, allora, non si aggiunga alla coppia Prodi-Veltroni anche un altro pedalatore, di nome Berlusconi. Così il tandem si trasformerebbe in un triciclo.

da lastampa.it


Titolo: BARBARA SPINELLI - Ma il Governo non va delegittimato
Inserito da: Admin - Ottobre 30, 2007, 12:33:15 pm
Ma il Governo non va delegittimato

BARBARA SPINELLI

 
Caro direttore,
ti scrivo perché la linea editoriale che esprimi non mi trova del tutto consenziente.

Non è questione di convinzioni diverse, né di diversa collocazione politica.


Che in un giornale libero si esprimano opinioni anche contrastanti mi pare non solo normale, ma arricchente. Quel che sento davanti al tuo articolo, e a tanti che somigliano al tuo nei giornali indipendenti, non è dissenso, ma un disagio molto profondo. Ho l’impressione di assistere a una sorta di disfacimento della democrazia rappresentativa, e di perdita di senso del voto espresso alle urne dagli elettori. Dalla primavera dell’anno scorso l’Italia ha un governo, scelto dagli italiani per la durata di cinque anni, che è stato messo in questione quasi fin dal primo giorno: non dagli elettori tuttavia, ma da un capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi, che il giudizio delle urne non l’ha mai accettato e che ogni sera da diciotto mesi annuncia a televisioni e giornali la fine di Prodi: prima negando i risultati, poi denunciando brogli, poi intimidendo i senatori a vita, poi appellandosi al cattivo umore della gente, in dispregio costante dei dettami costituzionali. Una strategia di delegittimazione del tutto anomala, ma che molto rapidamente è stata banalizzata e fatta propria da tutti coloro che fanno opinione, essenzialmente giornali e televisioni pubbliche oltre che private.

Adesso questo governo ha circa un anno e mezzo ed è giudicato spacciato, finito, senza che io come elettore abbia in alcun modo concorso a questo sviluppo. In un certo senso mi sento defraudata del mio voto: organismi intermedi si sono insediati tra l’elettore e la rappresentanza da esso scelta, e sono questi organismi che hanno deciso e decidono tutto: i giornali appunto e questa o quella corporazione sindacale, questa o quella lobby, questo o quel personaggio della maggioranza, ansioso di cambiar casacca per ottenere posti che non ha avuto nel presente governo. Sono questi organi intermedi che stanno decretando che questo governo è caduto (che è «una carcassa che si trascina», scrivi con linguaggio che, ti confesso, mi ha scosso per la violenza che contiene). Sono questi organi che per la seconda volta nella storia recente - e in modo ancor più inquietante che nel 1998 - accettano che il crimine contro il ministero Prodi venga compiuto. E lo decretano prima che il tempo costituzionalmente assegnato al governo sia concluso. Prima che gli italiani siano chiamati a votare, allo scadere normale della legislatura. Non sono defraudata solo del voto. Mi vien tolta anche la sacralità del tempo conferito col mandato, così preziosa nelle democrazie: la certezza che il tempo che ho dato al governo eleggendolo non sarà interrotto da forze interessate e sondaggi senza rapporto con le urne.

Tu scrivi che il centro-sinistra deve andare a casa perché mai c’è stato in Italia governo impopolare come questo. Anche qui provo vero disagio, non fosse altro perché non manca giorno in cui i riformisti chiedono ai governanti di «rischiare l’impopolarità». I governi non vanno a casa perché a un certo punto (dopo una settimana o un mese o un anno) si constata che non si vendono troppo bene: nella democrazia rappresentativa un governo non è un sapone, né un’automobile, e neppure un giornale che conquista o non conquista lettori. È qualcosa di radicalmente diverso, costruitosi lungo i secoli, reso sempre più complesso da una storia lunga. Il disagio cresce se penso ai Paesi europei che mi è capitato di conoscere negli ultimi decenni: tutti hanno prima o poi traversato periodi anche assai lunghi di impopolarità (è stato così per i governi Schmidt, Kohl, Schröder; per i primi ministri e Presidenti francesi; per i premier inglesi a cominciare dal governo Thatcher) e mai ho visto all’opera il tumulto che esiste da noi: il gusto apocalittico che si espande, l’inestinguibile sete di andare alle urne prima del tempo, trascinati da sondaggi e da opinioni che prevalgono nei salotti. Mai ho visto un così vasto schieramento di forze distruttive, che quasi hanno timore di costruire e pazientare. Forze che prese una per una sembrano aver dimenticato il proprio mestiere, oltrepassandolo sempre. Che confondono, in maniera inaudita, il criticare anche severo con l’esigere, perentorio, che il governo cada al più presto. Neppure George W. Bush, eletto grazie a una decisione indecorosa della Corte Suprema che ha escluso il vero vincitore delle presidenziali, nel 2000, ha avuto davanti a sé una sì intensa volontà demolitrice. Mai ho visto tanta gente uniformemente invocare la fine d’una legislatura, e volontariamente servire il disegno di chi parla di democrazia ma non ne rispetta la regolamentazione. Tra la strategia di riconquista apprestata da Berlusconi fin dal 10 aprile 2006 e quel che mi dicono oggi giornali e tv non riesco, per quanto ci provi, a scorgere più differenza alcuna.

Il fatto è che queste forze distruttive si comportano come se non sapessero la storia che stanno facendo, e cosa precisamente vanno disfacendo. Hanno anzi l’impressione di essere indipendenti, libere come non lo sono state in passato.

Non mi paiono libere. Tranne alcune eccezioni, ancor più luminose perché rare e solitarie, quasi tutti son sedotti da questo desiderio di dissoluzione, che allarga i cuori e trasforma ogni commentatore critico in governatore dell’universo, oltre che dell’Italia. Commentatori che constatano un disastro che essi stessi, giorno dopo giorno, hanno contribuito a creare. Non è l’idea che mi faccio né della democrazia, né della vocazione di testimone e pensatore affidata alla figura del giornalista.
Un caro saluto.

Cara Barbara, pubblico con piacere la tua lettera, convinto come te dell’opportunità che «in un giornale libero si esprimano opinioni anche contrastanti», senza entrare nel merito della tua risposta e dell’interpretazione che tu hai dato del mio fondo pubblicato giovedì 25 ottobre. Un caro saluto. [G.A.]
 
 
OPINIONI ANALISI BARBARA SPINELLI 
da lastampa.it


Titolo: Falso in bilancio, prescrizione, sindaci le misure del pacchetto sicurezza
Inserito da: Admin - Ottobre 31, 2007, 12:18:53 am
CRONACA

LA SCHEDA

Falso in bilancio, prescrizione, sindaci le principali misure del pacchetto sicurezza

DI seguito le principali misure contenute nel pacchetto sicurezza approvato dal Consiglio dei ministri.

No alla commissione d'inchiesta sul G8


FALSO IN BILANCIO. La misura innalza le pene che nella scorsa legislatura sono state alleggerite. In particolare, la pena per chi falsifica i bilanci sale fino a quattro anni (prima erano due) e vengono cancellati i commi che escludono la punibilità se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile il quadro societario. In caso di società quotate in Borsa, la reclusione passa da un massimo di tre a sei anni.

REATO IMPIEGARE MINORI IN ACCATTONAGGIO. Si introduce una nuova fattispecie di reato: l'impiego di minori nell'accattonaggio, punita con la reclusione fino a 3 anni. Delineate anche due nuove pene accessorie: la perdita della potestà del genitore nel caso in cui i reati di riduzione o mantenimento in schiavitù, tratta, siano commessi rispettivamente dal genitore o dal tutore.

PIU' POTERI AI SINDACI. Il provvedimento estende anche ai pericoli per la sicurezza urbana la facoltà del sindaco di adottare provvedimenti urgenti, oggi prevista solo per gravi pericoli all'incolumità pubblica. Si rafforza inoltre la collaborazione tra sindaco e prefetto. Il primo comunica l'adozione di provvedimenti che riguardano la sicurezza al prefetto, che può intervenire con tutti gli strumenti necessari.

POTERE ESPULSIONE AI PREFETTI. Si attribuisce al Prefetto il potere di allontanamento, dal territorio nazionale, di cittadini comunitari per motivi di pubblica sicurezza. L'allontanamento resta di esclusiva competenza del ministro solo per chi risiede in Italia da oltre dieci anni o per i minorenni, e per i motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. La violazione del divieto di reingresso viene trasformata da contravvenzione in delitto e punita con la reclusione fino a tre anni.

TIFOSI VIOLENTI. Si prevede che chiunque, nei luoghi in cui si svolgono le partite venga trovato in possesso di razzi, bengala, petardi e bastoni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 1.000 a 5.000 euro.

UBRIACHI ALLA GUIDA. Chiunque al volante sotto l'effetto di alcol o droghe provoca un omicidio colposo è punito con la reclusione da tre a 10 anni (oggi ci sono pene da uno a cinque anni). Nel caso di condanna per omicidio colposo o lesioni colpose a più persone, poi, "è sempre disposta la confisca del veicolo salvo che appartenga a persona estranea al reato".

TRE ANNI PER CHI ADESCA MINORI SU INTERNET. La reclusione da uno a tre anni è prevista per chi, "allo scopo di sedurre, abusare o sfruttare sessualmente un minore di anni 16", intrattiene con lui, anche attraverso la Rete internet o altri mezzi di comunicazione, una relazione "tale da carpire la fiducia del minore". E pene fino a tre anni sono previste per chi si avvale di un minore di 14 anni per mendicare oppure permette che il minore mendichi.

NO SOSPENSIONE PENA PER REATI GRAVI. Per i reati che provocano allarme sociale (omicidio, rapina, estorsione, incendio boschivo, violenza sessuale, ecc.) viene esclusa la possibilità di sospensione dell'esecuzione della pena, al fine di consentire al condannato la presentazione di una istanza di misura alternativa alla detenzione.

MISURE CAUTELARI. Per tutti i reati per i quali è oggi previsto l'arresto in flagranza, si prevede la possibilità di applicare misure cautelari se c'e un pericolo concreto e attuale della loro commissione, anche se si procede per altro titolo di reato. Per le fattispecie più gravi (fra questi omicidio, rapina, violenza sessuale aggravata, furto in appartamento, incendio boschivo, traffico di ingenti quantità di rifiuti), si prevede l'applicazione della sola misura di custodia in carcere, salvo che emerga l'insussistenza di esigenze cautelari.

STRETTA CONTRO CONTRAFFAZIONE. Previsto l'inasprimento delle pene per la contraffazione, con specifica aggravante per chi falsifica ingenti quantità di merci e a tutela del made in Italy. Questo va come emendamento al Ddl Bersani.

AGGRESSIONE A BENI MAFIOSI. Si introduce la possibilità di aggredire il patrimonio mafioso anche in caso di morte del soggetto a cui il bene è stato confiscato. Viene inoltre introdotta una reale tutela per gli imprenditori e le imprese sotto il ricatto della mafia che hanno il coraggio di denunciare l'interferenza della criminalità organizzata.

NASCE BANCA DATI DEL DNA. Un disegno di legge apposito istituisce poi presso il Dipartimento della Pubblica sicurezza un archivio in cui confluiranno i profili del Dna, che saranno conservati "per 40 anni dall'ultima circostanza che ne ha determinato l'inserimento".

VIOLENZA FAMILIARE SU EXTRACOMUNITARIE. Estendendo il principio già previsto nell'articolo 18 del Testo unico sull'immigrazione, si prevede che le donne straniere che denunciano violenze familiari possano ricevere un permesso di soggiorno per motivi di protezione umanitaria.

PRESCRIZIONE. Viene riscritta la legge cosiddetta ex Cirielli. Il tempo della prescrizione viene calcolato con un riferimento esclusivo alla pena massima prevista dal codice, aumentata della metà. I delitti si prescrivono in un tempo comunque non inferiore a sei anni. Quanto ai delitti di maggiore gravità, è previsto un termine massimo per cui essi si prescrivono dopo 30 anni. I responsabili di delitti puniti con l'ergastolo non beneficiano in alcun modo della prescrizione.

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA. Prevista una maggior tutela alle vittime di maltrattamenti, inasprendo le pene, includendo fra le persone offese anche i conviventi, con un'aggravante specifica per chi commette reato a danno di un minore di 14 anni.

(30 ottobre 2007)

da repubblica.it


Titolo: GOVERNO PRODI... Indagine Demos-Eurisko.
Inserito da: Admin - Ottobre 31, 2007, 11:19:18 am
POLITICA

Indagine Demos-Eurisko.

Il voto, in caso di caduta dell'esecutivo, invocato dal 73% degli elettori Cdl e dal 42% di quelli dell'Unione.

Il governo di larghe intese piace al 16% del totale

"Dopo Prodi", il 57% vuole le elezioni

Pd, l'alleato preferito è Di Pietro

L'Idv piace a 7 democratici su 10, la sinistra radicale a 5

Solo 3 approvano il rapporto con l'Udeur e molti preferirebbero l'Udc

di FABIO BORDIGNON e NATASCIA PORCELLATO

 
Nuove elezioni: è questa la soluzione preferita dagli italiani in caso di caduta del governo.

La fragilità della maggioranza, al Senato, e i conflitti che animano la coalizione rendono la tenuta dell'esecutivo una questione sempre attuale. Per questo, una indagine Demos-Eurisko ha sondato, per "la Repubblica", le preferenze degli elettori rispetto ai diversi scenari del "dopo-Prodi". Gli orientamenti degli intervistati delineano una situazione fluida circa la geometria delle alleanze e gli stessi confini degli schieramenti. In particolare, gli elettori del neonato Pd confermano il patto con le forze della sinistra radicale e con l'Italia dei Valori di Di Pietro. Più difficile appare oggi il rapporto con l'Udeur, tanto che quasi un elettore su due, pur respingendo l'ipotesi di una "grande coalizione", vede con favore una futura intesa con l'Udc di Casini.

Il dopo Prodi. Un governo di larghe intese è la soluzione preferita dal 16% degli intervistati. Un nuovo governo di centrosinistra, invece, è visto con favore dal 13%, ma questa percentuale sale fino al 31% tra gli elettori dell'Unione e coinvolge oltre un elettore su tre del Partito Democratico. Tuttavia, la soluzione preferita dall'opinione pubblica è il ricorso alle urne (57%). Questo dato tocca la sua punta massima proprio tra gli elettori di centrodestra (73%), mentre più contenuta (42%) è la quota tra coloro che dichiarano il proprio voto per l'Unione, in generale (e il Pd, in particolare: 40%).

La prospettiva di elezioni anticipate (o di un nuovo governo) rende interessante comprendere se e in che modo muteranno gli attuali assetti dell'Unione e della CdL. In particolare, per un partito "nuovo", come quello di Veltroni, si apre la questione delle alleanze "possibili". Il sondaggio ha indagato quali forze siano maggiormente gradite dall'elettorato del Pd in un'ottica di coalizione.

Le alleanze del Partito Democratico. L'Italia dei Valori di Di Pietro è "scelta" come alleato da sette elettori del Pd su dieci. Seguono le forze della Sinistra (Rifondazione Comunista, i Verdi, il Pdci) che un elettore del Pd su due vede come possibili partner. L'elettorato del Pd, dunque, si presenta aperto rispetto alle formazioni che compongono l'attuale maggioranza di governo: l'unica eccezione, in questo senso, sembra riguardare l'Udeur. Appena il 29% confermerebbe l'intesa con il partito del Guardasigilli, cui viene preferita l'alleanza con l'Udc di Casini. Ben il 46% degli intervistati si dice pronto, infatti, a rivedere la maggioranza uscita dal voto del 2006, superando, al centro, l'attuale perimetro dell'Unione. Solo una piccola componente, invece, immagina intese ancora più "larghe": l'8% "aprirebbe a Forza Italia e appena il 3% alla Lega Nord. Va sottolineato, allo stesso tempo, come una componente non trascurabile, fra i "democratici", ribadisca la vocazione "maggioritaria" del partito: il 38%, infatti, sarebbe disponibile a sostenere una competizione elettorale solitaria, senza concludere alleanze "preventive".

La prospettiva degli alleati. La stessa questione, infine, è stata affrontata dal punto di vista degli attuali partner del Pd, rilevando come i loro sostenitori valutino le possibili alleanze della formazione guidata da Veltroni. Rispetto al totale dell'elettorato dell'Unione, la Sinistra Radicale si orientata maggiormente verso una conferma dell'attuale alleanza di governo, anche se con una "sostituzione al centro" tra Udc e Udeur. Anche fra coloro che destinano il proprio voto agli "altri partiti" del centro-sinistra, le preferenze rispondono ad una logica di riedizione dell'attuale maggioranza, sebbene anche in questo segmento la difficile "coabitazione" con l'Udeur sembri richiamare le tensioni di questi giorni.

(30 ottobre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Farnesina, D'Alema lancia il "Gruppo di riflessione strategica"
Inserito da: Admin - Ottobre 31, 2007, 09:55:29 pm
ESTERI

Al Ministero degli Esteri nasce una nuova struttura per definire le linee della politica estera a media e lunga scadenza

Farnesina, D'Alema lancia il "Gruppo di riflessione strategica"

"Il G8 diventerà G14"? Chi ci darà il gas nel 2050?

Pensare a un nuovo rapporto tra Italia e Ue?"

di VINCENZO NIGRO


ROMA - Quanti saranno i membri del G8 entro il 2010, arriveranno a 14 anche con Sudafrica, Egitto e Messico? Chi darà gas all'Italia nel 2050, e come dovremo proteggere i nostri approvvigionamenti? E' giusto che l'Italia continui a puntare le sue carte politiche soprattutto sull'Europa unita, o il nostro europeismo ha bisogno di una revisione, di un aggiornamento?

Oggi la crisi della politica interna italiana sembra aver preso il sopravvento su tutto il resto. Ma ci sono scelte decisive, strategiche, a cui dobbiamo iniziare a lavorare da subito se si vuole costruire il futuro del paese. E la crisi politica interna non è una buona ragione per rimanere immobili. Per queste ragioni il ministro degli Esteri Massimo D'Alema ha avviato alla Farnesina il lavoro del "Gruppo di riflessione strategica". E' una nuova struttura, simile a quelle che esistono in buona parte dei paesi occidentali, promossa dal Governo italiano per definire le linee della politica estera a medio e lungo periodo.

Il Gruppo coordinato da Marta Dassù, secondo D'Alema dovrebbe essere un "tavolo di riflessione aperto ad esperti esterni", ed è stato incardinato alla Farnesina. Verrà collegato all'Unità di Analisi e Programmazione, la struttura interna del ministero diretta dal diplomatico Maurizio Massari, che ha già la missione di studiare gli scenari futuri per la politica estera italiana.

A COSA SERVE
L'idea della Farnesina è che il Gruppo sia "uno strumento per pensare la politica estera in termini di medio e lungo termine; non bisogna immaginare soltanto come sarà il mondo tra qualche anno, ma anche prefigurare degli scenari, fare delle simulazioni. In un contesto che vada al di là degli schieramenti politici". Nel suo discorso inaugurale D'Alema ha detto: "Il Gruppo non supplisce a una funzione politica, ma in un contesto in cui un bipolarismo che nasce spesso ci costringe al breve periodo dei governi, bisogna pensare la politica estera al di là della durata dei governi, delle alleanze politiche".

CHI NE FA PARTE
Alla prima riunione sono stati invitati una quarantina di diplomatici (Massolo, Massari, Nelli Feroci), esperti di politica estera (De Michelis, Silvestri, Biancheri), rappresentanti dell'industria (Maugeri, Bernabè), di ministeri come la Difesa (Di Paola, Camporini) e il Commercio Estero (Schiavo), dei servizi di sicurezza (Branciforte e Cucchi), delle banche (Scognamiglio) e dell'università (Guolo, Panebianco, Andreatta), dei media (Venturini, Caracciolo).

LA MISSIONE
D'Alema ha aperto i lavori: "La comunità internazionale si trova in una situazione diversa da quella che siamo stati abituati a conoscere nel secondo dopoguerra". E' una situazione caratterizzata da complessità e fluidità. Per l'Italia - dice il ministro - i giochi sono aperti, "ci dobbiamo conquistare un posto, un ruolo che non ci viene regalato da nessuno". Per questo, secondo il ministro, c'è bisogno di pensare la politica estera al di là della durata dei singoli governi, delle maggioranze politiche del momento: "Il bipolarismo interpretato senza visione strategica ci costringe al breve periodo, mentre ci sono cambiamenti strategici sui quali dobbiamo ragionare".

Per il ministro degli Esteri ci sono molti fattori di cambiamento. Innanzitutto cambiano gli attori internazionali: agli Stati in ascesa e a quelli in declino si affiancano le realtà locali all'interno degli stessi Stati, ma poi attori come le Ong, le organizzazioni multilaterali, i gruppi di pressione. Secondo: cambia la struttura del sistema internazionale, che dalla centralità dell'area occidentale costruita attorno agli Stati Uniti vede il consolidamento di nuovi centri di gravità, soprattutto in Asia.

Terzo, cambiano i temi della politica estera: la lotta al terrorismo, il tema dei cambiamenti climatici, la necessità della sicurezza energetica diventano spinte determinanti nella creazione di una politica estera.
Il risultato è quello che D'Alema ha notato riferendosi a questi primi mesi di vita del governo Prodi: all'Onu Roma siede per due anni in Consiglio di sicurezza, e in quel contesto spesse volte l'Italia - che è una paese Nato e Ue - non trova intesa totale con paesi membri delle due organizzazioni che tradizionalmente hanno dettato la politica estera nazionale. Il senso dell'osservazione: cambiano i vincoli, non c'è più un pensiero unico, "aumenta l'autonomia, ma c'è anche più responsabilità".

L'Italia - dice D'Alema - in questo contesto sente di essere una potenza regionale, i cui confini sono quelli del Mediterraneo, dei Balcani, del Medio Oriente. Ma il suo ruolo di produttore mondiale, di esportatore globale ai tempi della globalizzazione economica non le permette di rinunciare a guardare ai fatti politici del mondo. Come dire: per realismo vorremmo occuparci solo delle cose di casa nostra, del "mare nostrum"; ma le sfide politico-economiche ci costringono ad essere presenti nel mondo. Bisogna inventarsi un modo per farlo senza rinunce e senza velleitarismi.

IL DIBATTITO
I temi lanciati da D'Alema hanno aperto una discussione nel Gruppo Strategico che ha coinvolto i partecipanti a questa prima riunione del Gruppo. Gianni De Michelis (presidente Ipalmo): è bene definire l'interesse nazionale, ma non dobbiamo fare una riflessione teologica sull'interesse nazionale, bisogna capire come l'Italia può stare in maniera efficace nel sistema internazionale, Silvio Fagiolo (ambasciatore, il Sole 24Ore): gli orizzonti strategici che vorremo disegnare comunque verranno dettati a tutti dal mandato della politica, in Italia e nel mondo.

La prossima presidenza americana, i nuovi governi in Europa e nel mondo influenzano di continuo la possibilità che la nostra visione delle cose possa effettivamente avverarsi. Leonardo Maugeri (Eni): attenzione, per un'industria come l'Eni il 2020 è già scritto, in quell'anno noi già sappiamo quanto petrolio produrremo, dove, con quali investimenti. Questo rafforza il senso della necessità di "visione strategica" che la dirigenza del paese deve avere.

Il modo in cui dovrà lavorare il Gruppo è ancora tutto da inventare: la struttura della Farnesina guidata da Massari fornirà il riferimento attorno a cui, di volta in volta, convocare i vari esperti, i diversi protagonisti. Per un lavoro che in una fase di altissima incertezza politica appare assai vellitario, ma che forse proprio questa crisi rende assolutamente indispensabile.

(31 ottobre 2007)
da repubblica.it


Titolo: D'Alema: «Il governo sta bene, la coalizione no»
Inserito da: Admin - Ottobre 31, 2007, 09:57:41 pm
D'Alema: «Il governo sta bene, la coalizione no»

Alessia Grossi


«Le riforme non sono l'ora X. Sono dei processi che avvengono e che mutano le cose senza che ce se ne accorga». Così il ministro degli Esteri e vicepremier Massimo D'Alema risponde durante la videochat di mercoledì su L'Unità online alle domande dei lettori riguardo il processo delle riforme iniziato e promesso dal Governo e dal Pd. «Riforme il centrosinistra ne ha fatte fin dagli anni '90. Ad esempio la riforma delle pensioni, un processo lungo se volete ma iniziato da allora che ha portato questo Paese ad avere un sistema pensionistico anche migliore di quello degli altri Paesi d'Europa. Altra riforma degli anni '90 è stata quella del sistema sanitario pubblico che oggi tutti ci riconoscono come uno dei migliori. Il riformismo del centrosinistra ha cambiato la vita dei cittadini», spiega poi D'Alema. E la riforma elettorale?, chiede Vincenzo, uno dei tantissimi lettori intervenuto alla videochat - perché - continua il lettore - pensare al sistema tedesco e non a quello francese o spagnolo che sarebbe più appropriato per il Partito Democratico? «Non possiamo pensare di riformare il sistema elettorale facendo una legge cucita su misura come andando dal sarto - spiega D'Alema - questo lasciamolo fare a Berlusconi che non vuole cambiare la sua legge perché qualcuno gli ha detto che se si va ora al voto vince sicuramente lui. A Berlusconi «del paese non importa niente. Lui pensa solo il proprio interesse,». D'Alema non nasconde le sue preferenze verso un doppio turno più di tipo francese comunque maggioritario ma si sofferma sulla relativa bontà anche del modello tedesco che «riduce la frantumazione» del quadro politico e dà «maggiore stabilità» al governo con la sfiducia costruttiva.

I lettori esprimono timori sul futuro della coalizione. Il direttore Antonio Padellaro le sintetizza e chiede delle conseguenze sull'ultima «inquietudine», quel voto in commissione martedì che ha visto Di Pietro e Mastella per il no alla Commissione d'inchiesta sul G8 di Genova. «La vicenda del G8 è dolorosa» commenta subito D'Alema, che ricorda anche che fu lui il primo all'epoca dei fatti ad alzarsi in Parlamento per denunciare quella che in quel momento era solo una sensazione e cioè che a Genova fosse successo qualcosa di «molto grave» e che dopo è divenuta una certezza. «Ma in molti allora furono quelli che lessero in quella dichiarazione un attacco alle forze dell'ordine. Oggi la Commissione invece sarebbe il modo migliore per accertare le responsabilità ed sostenere la credibilità della polizia» spiega D'Alema, secondo cui la magistratura che pure sta lavorando per accertare le responsabilità dovrebbe essere affiancata «da una politica che si assuma le proprie responsabilità».

Quanto all'ottimismo di Prodi sulla tenuta del Governo e ai timori dei lettori dell'Unità tiene a precisare i problemi non vengono dal Governo. «Il Governo sta bene, è la coalizione che sta male». «Questo Governo ha fatto molto in quest'anno e mezzo abbiamo risultati positivi importanti che però vengono oscurati dalla perenne litigiosità della coalizione».

Ma i lettori de l'Unità e dell'Unità online hanno anche un altro, forte timore: quello sul destino de l'Unità, appunto, dopo le voci di una sua vendita alla famiglia Angelucci, che edita anche Libero. Perderà la sua collocazione politica? che ne sarà delll'autonomia delle testata storica della sinistra? D'Alema è rassicurante. «Questo giornale è esposto come tutti alle regole del libero mercato. La sua autonomia, chiunque lo acquisti, resta legata alle teste dei giornalisti che lo fanno e all'affetto dei lettori che lo comprano da anni e che gli vogliono bene. E a voler bene all'Unità sono in molti, una platea più vasta degli ex direttori fortunatamente...». D'Alema sostiene che chi compra l'Unità sa cosa compra e sarebbe sciocco pensare di poterla snaturare. Ciò che è legittimo, ribadisce però, è chiedere «garanzie sul piano sindacale e essere vigili sui propri diritti». Questo tanto per i giornalisti che per quelli che amano il giornale.


Orlando Grassivaro, che si definisce «un compagno», dalla provincia di Padova gli chiede: «Vedremo mai uno Stato Palestinese?». D'Alema mostra di riporre speranze nella conferenza internazionale di pace che si svolgerà ad Annapolis, soprattutto per un cambiamentoi di atteggiamento degli americani. In quell'occasione -aggiunge il capo della diplomazia italiana - ci sarà l'impegno non solo dei Paesi dell'Onu ma anche di altri grandi come Cina e Russia che sono altrettanto interessati ad un processo di Pace in un'area centrale come il Medioriente». Gli stessi paesi che spera, dice poi, di vedere maggiormante coinvolti nella risoluzione della situazione in Afghanistan, dove non ipotizza uno sganciamento della missione multiforze a guida Nato ma casomai una ridefinizione dei ruoli. Rimarcando comunque l'importanza del dialogo, che infatti è stato avviato anche da Karzai con alcune forze dei talebani contro Al Qaida.

In passato ci sono state frizioni con l'amministrazione Bush. E ora che si avvicinano le presidenziali e Padellaro vorrebbe sapere le sue preferenze. D'Alema premette che i rapporti con gli Usa sono «ottimi»: «Noi la pensiamo come la maggior parte degli americani che - aggiunge - sono molto meno ottusi dei filoamericani nostrani». Lui personalmente ha rapporti con la fondazione Clinton ma racconta di un «cugino mezzo irlandese che abita in America» e ha preferenze più "radicali"... E l'Iran, i venti di terza guerra mondiale? Si dilunga, D'Alema, a parlare di El Baradei, ma alla fine conclude: ci sono da tre a otto anni di tempo per trovare un'altra soluzione.

Il direttore Antonio Padellaro, accanito romanista come pure D'Alema, nel giorno del derby con la Lazio gli chiede di Evo Morales, il presidente boliviano che ha dichiarato di aver incontrato nella sua recente visita in Italia Francesco Totti, per lui «la personalità più importante». «Sono d'accordo - ironizza il vicepremier - e questo me lo rende ancora più simpatico». Battute a parte, della nuova America Latina, D'Alema dice di preferire Morales anche per il suo essere «un sindacalista degli indios» rispetto a un Hugo Chavez «che è comunque un militare».

E alla fine, l'ultima domanda è sul comunismo, viene da un lettore - Carlo Roscitto - di «una famiglia che 50 anni vota e milita nella sinistra» e ora si trova un po' spaesato a collocare la tradizione nel futuro Pd. per Massimo D'Alema il Pd si deve costruire sul piano culturale, oltre quello organizzativo. «la grande pagina della cultura del Pd - che D'Alema spera appassioni i giovani - è quella di immaginare il proprio futuro, non lasciando che siano i genitori a immaginarlo per loro». D'Alema è però ancora convinto che serva un disegno anche non del tutto realizzabile che dia la direzione di marcia. «Noi lo chiamavamo comunismo e poi abbiamo sentito il bisogno di distinguerlo da quello che infatti chiamavamo "socialismo reale", forse le nuove generazioni lo chiameranno in modo diverso. Ma D'Alema è convinto che sia comunque necessario anche un pensiero utopico, «un sogno». Ovvero «un'idea di futuro».


Pubblicato il: 31.10.07
Modificato il: 31.10.07 alle ore 16.48   
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Titolo: Di Pietro: sul governo ho sbagliato
Inserito da: Admin - Novembre 02, 2007, 02:59:00 pm
Di Pietro: sul governo ho sbagliato

Caro Travaglio,

la sua rubrica su l’Unità di ieri a me dedicata dal titolo «Quo vadis, Tonino» mi ha fatto molto riflettere. Potrei sostenere con mille presumibili buone ragioni la posizione presa da me e dall'Italia dei Valori in merito al nostro voto sulla società Ponte sullo Stretto di Messina (ponte che, sia chiaro, nemmeno io voglio fare né sto facendo fare) e più ancora sulla istituzione di una Commissione d'inchiesta sul G8 di Genova (che condividiamo, purchè ad essa non vengano attribuiti anche poteri giudiziari che dovrebbero spettare solo ai giudici e purchè si stabilisca che si deve occupare non solo di valutare i misfatti commessi dalla Polizia, ma anche quelli commessi dai black bloc e soprattutto dai loro mandanti politici). Commissione che lei stesso annovera tra quelle che definisce «...enti inutili, anzi dannosi, non essendo mai servite a nulla se non a produrre verità di maggioranza e di minoranza, cioè balle di partito, a insabbiare le colpe dei nemici e ad esaltare i meriti degli amici, a confondere le idee anche a quei pochi che pensano di averle chiare...» (Mitrokhin e Telecom Serbia docent!).

Presumibili buone ragioni che chi ha voglia di valutarle può leggerle sul mio blog www.antoniodipietro.it.

Ma il punto è un altro e lei l'ha giustamente centrato (forse rovinandomi la digestione, ma certamente aprendomi gli occhi e di questo la ringrazio): io ed il mio partito ci siamo ritrovati di fatto allineati sulle stesse posizioni del partito di Berlusconi e di quello di Mastella. So nel mio intimo che non è questo quello che volevo e voglio (e mi scuso con gli elettori per l'imbarazzo creato). Ma purtroppo questo è il messaggio che è passato e la colpa, devo ammetterlo, non è solo delle strumentalizzazioni altrui (che peraltro ci sono state e ci sono a iosa) ma anche mia.

Ho sbagliato nel comunicare male e tardi quelle che io ritengo essere - forse sbagliando ma certamente in buona fede - le mie «buone ragioni di merito». Ho sbagliato soprattutto nel non essere riuscito a trovare una soluzione politica nell'ambito della coalizione su materie che - con il dialogo e la reciproca comprensione - potevano trovare una giusta soluzione (per esempio, intervenendo sulla stesura del testo della legge istitutiva della Commissione di inchiesta, in modo da assicurare che essa non debordasse in un «processo» ai processi giudiziari in corso e che fossero stabiliti precisi paletti e garanzie di funzionamento).

È vero anche che nemmeno gli «altri» della coalizione hanno voluto far nulla per trovare un punto di mediazione, ma il loro errore non annulla il mio.

Una cosa è certa, però e di questo la ringrazio di averne dato atto: in materia di politica giudiziaria, l'Italia dei Valori sta facendo il proprio dovere, tanto è vero che siamo riusciti da ultimo a far inserire nel «pacchetto sicurezza» importanti norme quali il ripristino del reato di falso in bilancio e le eliminazione della legge ex-Cirielli sulla prescrizione.

Vorrei continuare in questa direzione e quindi rispondo alla sua domanda «Quo vadis, Tonino?» nell'unico modo possibile: vado diritto per la mia strada, ma - d'ora in poi - con più attenzione ai compagni di viaggio.



Non capita tutti i giorni che un ministro risponda alle critiche di un giornale. E non capita quasi mai che lo faccia per dire «ho sbagliato». Da cittadino, gliene sono grato. E credo che gliene siano grati anche i lettori e gli elettori.



m.trav.

Pubblicato il: 02.11.07
Modificato il: 02.11.07 alle ore 11.55   
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Titolo: GOVERNO PRODI - Il ministro Pecoraro Scanio blocca un progetto di cooperazione..
Inserito da: Admin - Novembre 05, 2007, 03:42:36 pm
La procura di roma indaga su presunte tangenti per la bonifica di una discarica in KENIA

Inchiesta su un progetto di cooperazione

Il ministro Pecoraro Scanio lo blocca

Un sito maleodorante da ripulire a Nairobi, un piano da 700mila euro fermato dal ministero.

Ecco i retroscena.

DAL NOSTRO INVIATO


NAIROBI – La procura di Roma sta indagando per stabilire se il progetto di cooperazione ambientale con il Kenya, per bonificare la discarica di Dondora a Nairobi, prevedeva il pagamento di tangenti. Qualche settimana fa il ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, dopo aver bloccato il progetto, aveva aperto un’inchiesta interna. «Voglio vederci chiaro – aveva spiegato il ministro incontrato nel suo ufficio a Roma –. Troppe cose non quadrano su questa storia, che potrebbe finire direttamente sul tavolo di un magistrato». E infatti ora è finita nelle mani del procuratore aggiunto di Roma, Maria Cordova, che ha incaricato delle indagini i carabinieri del Noe (il Nucleo Operativo Ecologico). Maleodorante, pestilenziale, mefitica; un vero girone dantesco. Eppure la discarica di Dandora, alla periferia di Nairobi, è popolata da almeno mezzo milione di persone che le vivono attorno. Disperati che rovistano nel pattume, alla ricerca di qualcosa di commestibile: resti di un pranzo o scarti del mercato, forse il quarto di mango ancora mangiabile di un frutto marcio.

BARACCOPOLI - A Nairobi non c’è la raccolta differenziata: i riciclatori lavorano in discarica. Gente che, a mani nude, raccoglie le bottiglie, le frantuma su una pietra e vende il vetro sminuzzato, o si occupa della carta, delle lattine o della plastica. Intorno alla discarica trent’anni fa è sorto Korogocho, forse il più grande dei duecento slum-vergogna di Nairobi, dove i derelitti, i disperati, i pezzenti e i miserabili, insomma quella parte del mondo senza speranza, cercano di sopravvivere. Centoventimila persone ammassate in un chilometro quadrato con un’aspettativa di vita di poco meno di quarant’anni. Poi schiantano, distrutti e consumati dai vapori nauseabondi e velenosi sprigionati da quell’ammasso di sudicia immondizia. Korogocho in lingua kikuyu vuol dire «ciò che non ha più nessun valore» oppure «caos». Lì, in una baracca come tutte le altre, viveva padre Alex Zanotelli, il comboniano che per primo ha denunciato al mondo questa tragedia. Ora il suo posto è stato preso dal combattivo padre Daniele Moschetti. Da anni il missionario lotta per la chiusura della discarica e il suo trasferimento e ha rivelato le implicazioni sociali che le sono legate. Comprese le gang criminali che la controllano. Anche chi scava in quel marciume alla ricerca di qualcosa da mangiare o da riciclare deve pagare il pizzo se non vuole avere la gola tagliata. Nel novembre dell’anno scorso il ministro Pecoraro Scanio e la viceministra degli Esteri con delega all’Africa e alla Cooperazione, Patrizia Sentinelli, visitano Korogocho e promettono ai comboniani di risolvere il problema: «La discarica sarà chiusa». Vengono così stanziati oltre 700 euro per finanziare lo studio di fattibilità per la chiusura e il trasferimento della discarica.

PROPOSTA - Il governo del Kenya prepara un «concept paper», (clicca per vedere il documento in pdf) cioè una proposta di progetto, nel quale si affida all’Eurafrica lo studio di fattibilità. Il piano viene inviato al governo italiano che lo approva il 7 maggio. Il Corriere è in possesso di quel documento che però non risulta redatto in un ufficio di un ministero keniota, ma da un’altra società, di proprietà italiana, la Doralco, legata a uno dei soci di Eurafrica Kenya (compare anche nel sito di Eurafrica come una delle referenze). A compilarlo materialmente risulta essere stata il 18 aprile precedente la signora Federica Fricano, funzionario del ministero dell’ambiente italiano, che l’ha revisionato almeno 10 volte, secondo le “proprietà” del documento. L’Eurafrica ha la sua sede legale a Napoli, a casa dell’amministratore unico Tiziana Perroni,e la sede operativa a Roma, a casa dell’altro socio, Bruno Calzia. I due sono marito e moglie. La loro società, che ha un capitale di appena 10 mila euro, non risulta avere nessuna competenza tecnica in fatto di bonifica o smaltimento di rifiuti. Il bilancio non presenta attività di notevole rilievo. C’è solo un impiegato: Tiziana Perroni.

LA SOCIETA' - Nella lettera con cui si presentano al ministero, il 18 luglio la stessa Perroni scrive:Eurafrica Management and Consulting nasce nel 2002 su iniziativa di Vittorio Travaglini e Bruno Calzia, d’intesa con il gruppo De Nadai, una multinazionale italiana presente ed operante in molti Paesi dell’Africa, Medio Oriente, Penisola Arabica, Asia, Nord e Sud America. (clicca per il documento in pdf) La De Nadai è una società assai rispettata. Nata in Eritrea ha contribuito enormemente allo sviluppo agricolo della nostra ex colonia. Grazie all’operosità dei suoi proprietari, dei suoi manager e dei suoi operai, all’epoca esportava prodotti agricoli in tutto il Medio Oriente. Al telefono la signora De Nadai spiega: «Ho sentito parlare di questa storia, che però non ha assolutamente la nostra copertura. La nostra società è estranea». E’ vero che “Eurafrica si avvale sin dalla sua costituzione delle numerose strutture societarie del network e delle risorse del Gruppo De Nadai all’estero”, come c’è scritto nella lettera con cui si presenta al ministero dell’ambiente? La risposta è secca: “Assolutamente no! Hanno utilizzato qualche volta gli uffici di Firenze». In quegli uffici ha sede l’Evergreen, partner nel business dei fiori recisi, della Doralco, la società proprietaria del computer nella cui memoria è stato redatto il “concept paper”. Tra l’altro Travaglini - secondo la visura camerale - non è ancora proprietario di Eurafrica Italia. E’ però proprietario di Eurafrica Kenya assieme a Bruno Calzia. Direttore generale di Eurafrica Kenya è Renzo Bernardi, il rappresentante esclusivo della Beretta, della British Aerospace, della francese Sagem, dell’Oto Melara, tutte società che producono armi (clicca per vedere il documento). .

LA TELEFONATA - E’ vero invece “come sostiene la lettera di presentazione, che Calzia è nato e vissuto in Somalia. Dal maggio 2006 è consigliere economico del ministro delle Politiche Agricole Paolo De Castro e siede in numerosi collegi sindacali. Emma Bonino l’ha nominato per il triennio 2007-2009 nel comitato esecutivo dell’ICE. La lettera elenca poi una serie di meriti della società Eurafrica e si spinge ad aggiungere: «Per le ragioni sopra indicate, in considerazione della presenza e dell’affidabilità di Eurafrica in Kenya, la società è stata proposta ed indicata del Ministry of Local Government come project leader». Il ministro del “Local Goverment” keniota è Musikary Kombo. Il suo ufficio nel centro di Nairobi è sobrio e essenziale. “Di questa storia non so nulla – ammette candidamente e comincia a chiamare a rapporto i suoi più stretti collaboratori. Telefona, alla presenza del Corriere della Sera, anche al sindaco della capitale, che dovrebbe essere coinvolto nell’operazione. Nulla. Sa qualcosa di una riunione tenuta il 15 agosto a Nairobi, cui ha partecipato tra gli altri il direttore generale del ministero dell’ambiente Corrado Clini? «Non so nulla», ribatte il ministro che chiama a rapporto il suo direttore generale, Solomon Boit. Boit ammette: «La riunione c’è stata. Presenti funzionari italiani guidati da Clini. Non è stato raggiunto nessun accordo». L’Eurafrica sostiene di aver avuto da voi l’incarico di occuparsi della discarica. “Non è vero - ribatte secco Boit. Poi sorride compiaciuto - . Mostrino le nostre lettere di incarico se le hanno”. Sul “concept paper” che cita l’Eurafrica tergiversa e quando gli si chiede se conosceva la società prima del 15 agosto risponde: “No, li ho conosciuti in quella occasione. Ma con loro c’era il rappresentante”. Chi è? “Non lo so”. Boit e Kombo fanno finta di non riconoscere in quell’uomo Renzo Bernardi, il mercante d’armi che lavora in Kenya da oltre 30 anni e ha doppio passaporto. “Eppure Bernardi – sostiene Mwalimu Mati, direttore di Mars Kenya, organizzazione etica che lotta contro la corruzione - faceva parte della commissione di garanti che sosteneva Kombo, candidato alla presidenza del Kenya. E’ rimasto in quella lista pochi giorni, poi è stato cancellato. Solomon Boit, invece, viene citato nella lettera di Eurafrica nella frase: “Referenze sulle attività di Eurafrica e sui singoli soci possono essere chieste a”.

I SOLDI - In quel punto, tra gli altri, compare anche Boit. Eurafrica ammette implicitamente di non avere le capacità tecniche per affrontare i problemi che comporta la discarica di Dondora e la sua chiusura. Infatti, nella relazione al ministero dell’ambiente italiano parla del coinvolgimento di due società: la Atkins inglese e la Howard Hamphrey di Nairobi. “Ma allora – sbotta il missionario padre Moschetti – perché non rivolgersi direttamente a loro? Perché passare per una terza parte che, ovviamente, pretenderà soldi per le sue prestazioni. I soldi vanno impiegati per la gente che vive qui – continua il missionario -. E’ grave che qualcuno cerchi di speculare sulla pelle della povera gente”. Il comboniano spiega come la chiusura della discarica non sia solo un fatto tecnico: “Esistono implicazioni sociali di cui occorre tener conto: è l’unica fonte di sostentamento per gli abitanti di Korogocho e delle altre baraccopoli che vi orbitano attorno”. Un progetto per la messa a dimora della discarica di Dandora, con l’individuazione di un nuovo sito dove stoccare i rifiuti della capitale keniota impiegando però la gente che ora vive riciclando le immondizie della discarica, esiste già. Ed è italiano. L’ha presentato la Jacorossi, una compagnia che lavora nel settore da anni. E’ un progetto industriale, che non prevede aiuti dallo stato, e quindi, ovviamente, contempla un profitto. In cambio della chiusura della discarica e della realizzazione della nuova, la Jacorossi chiede di formare una società con la partecipazione del comune di Nairobi per gestire la raccolta dei rifiuti in cui sarebbe impiegata una parte della comunità disperata che oggi vive ai limiti della sopravvivenza spolpando la discarica. “La Jacorossi un progetto l’ha già preparato – si infervora Mwalimu Mati –. Perché commissionarne un altro? Impiegate quei soldi per aiutare la gente”, ripete anche lui. Quant’è costato quello studio? “Non più di 200 mila euro - risponde Carlo Von Vageningen - il rappresentante della Jacorossi a Nairobi.

IL MINISTRO - E allora perché all’Eurafrica il ministero dell’Ambiente era pronto a dare oltre 721.633 euro bloccati in extremis dal ministro Pecoraro Scanio? Il ministro non ha dubbi: “Ho chiesto informazioni sull’Eurafrica all’ambasciata di Nairobi, non mi hanno fornito nulla, quindi io ho sospeso tutto. Ma ho preso l’impegno morale a chiudere quella discarica e lo manterrò. Il progetto andrà avanti senza aggravi e costi aggiuntivi per il contribuente italiano. Al ministero abbiamo l’Apat, un’agenzia tecnica. E’ un ente vigilato. Le affideremo lo studio”. In realtà il business grosso che si nasconde dietro questo semplice studio di 721.633 dollari è l’appalto per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani di Nairobi, come per altro c’è scritto nel concept paper: «Trenta milioni di dollari - spiega padre Daniele -. E’ lì che mira Eurafrica». «Una cifra che fa gola e ha attratto appetiti inconfessabili – gli fa eco padre Alex Zanotelli che aggiunge - Sento puzza di tangenti». L’osservazione ha fatto scattare le indagini della magistratura e colpisce anche il ministra Pecoraro Scanio che di quella riunione nel giorno di Ferragosto è venuto a sapere per caso. «Siamo molto conosciuti in Kenya – azzarda invece Bruno Calzia -. E’ per questo che ci hanno scelto». Eppure il ministro Kombo sostiene di non conoscere né l’Eurafrica, né Calzia. E così pure il direttore Boit che è stato inserito come referenza della società. Alle domande «Perché il governo italiano dovrebbe rivolgersi a Eurafrica che poi commissiona lo studio alla Atkins? Non risparmierebbe se si rivolgesse direttamente alla società inglese?». La risposta è evasiva: «Il governo keniota preferisce lavorare con noi. Ci stimano assai». Ma occorre sapere che le organizzazioni che si occupano di lotta alla corruzione mettono il Kenya ai primi posti nella classifica specializzata dei Paesi più eticamente degradati. Inoltre Eurafrica all’ambasciata italiana di Nairobi è completamente sconosciuta. Corrado Clini, direttore del ministero dell’ambiente, in una lettera al Corriere di “smentita preventiva” (clicca per il documento in pdf) è convinto che l’Eurafrica sia un’ottima società di consulenza e supporto: «Ha lavorato con noi in Bosnia e non ho avuto problemi». Conferma poi che è stata scelta dal governo africano. E il progetto già fatto della Jacorossi? «Ho chiesto all’ambasciata italiana: non c’è alcuna traccia del progetto», ma da Nairobi gli risponde Carlo Von Vageningen, mostrando la ricevuta della consegna del progetto alla nostra legazione. Lo studio dunque è “sparito”. E quella sparizione stava per costarci ben 700 mila euro.

Massimo A. Alberizzi
malberizzi@corriere.it

04 novembre 2007(modificato il: 05 novembre 2007)

da corriere.it


Titolo: GOVERNO Prodi: il mio governo vuol durare 5 anni
Inserito da: Admin - Novembre 05, 2007, 03:57:46 pm
E sulle divisioni nella maggioranza: «Colpa della legge elettorale»

Prodi: il mio governo vuol durare 5 anni

Il presidente del Consiglio in diretta a «Crozza Italia»: la destra sa solo minacciare, teniamo timone dritto

MILANO - «In Italia la destra minaccia e basta. Se le cose vanno avanti così, noi riusciamo a fare il resto del programma. Sono diciasette mesi che Berlusconi dice che il governo cade dopo 15 giorni. La verità è che il governo rimane: oramai abbiamo davanti una vita eterna....». Lo ha detto il presidente del Consiglio, Romano Prodi, intervenendo al telefono alla trasmissione tv «Crozza Italia», su La 7. In un dialogo con Maurizio Crozza tutto giocato sull'ironia (a un certo punto il conduttore ha chiesto al premier se quando ha baciato Veltroni alla convention del Pd si trovasse a Milano o nel giardino di Getsemani, evocando la figura di Giuda traditore), Prodi si ha colto l'occasione pers dirsi fiducioso sulla possibilità di portare a termine la legislatura. «Ci si può anche riuscire» ha detto Prodi, facendo notare che «i voti su cui contiamo oggi sono gli stessi che avevamo al primo giorno della legislatura».

I SENATORI A VITA - Crozza allora ha chiesto al capo del governo se in questo periodo sia più preoccupato per i conti pubblici o per le cartelle cliniche dei senatori a vita. «Non ci scherzi su troppo - ha ribadito Prodi - perché se lei fa un discorso ad esempio con la Levi Montalcini o con Ciampi, i nostri senatori a vita sono in grado di spennare anche lei...». E al suggerimento di un a cena al senatore Turigliatto per cercare di convincerlo a non fare scherzi sulla Finanziaria, che inizia domani il suo iter in Parlamento, Prodi ha replicato che «il lavoro di un capo di coalizione è anche parlare con tutti i componenti, fare compromessi per tenere il timone dritto. Pazienza con pazienza, calma con calma, giorno dopo giorno, finora abbiamo approvato tutti i provvedimenti».

LITI E FOLKLORE - Il premier ha poi parlato delle prese di posizioni di esponenti del governo talvolta discordanti con la linea ufficiale di Palazzo Chigi alla legge elettorale, invitando a «distinguere da liti e folklore» e dando la colpa alla legge elettorale: «Con questa legge farsi vedere conta tanto - ha sottolineato il presidente del Consiglio -, uno più è piccolo più vuole farsi vedere». Sono norme, ha detto il presidente del consiglio, che obbligano «a fare i matti anche se matti non si è». «Qualche slalom può essere necessario - ha concluso Prodi - ma la direzione non può cambiare se no un governo non è un governo».


04 novembre 2007

da corriere.it


Titolo: Di Prodi in Prodi
Inserito da: Admin - Novembre 07, 2007, 12:26:22 am

L'espresso


Di Prodi in Prodi


Giulio Santagata, ministro per l'Attuazione del programma, è un prodiano doc, ma anche un amico di Veltroni che conobbe ai tempi del primo Ulivo, nel '96. Un prodian-veltroniano che fa da pontiere tra i due nei momenti di fredda, anche se lui rifiuta la definizione: "Il pontiere presuppone che ci siano rive separate. Io vedo compiti distinti e responsabilità unite. Il governo non è di Prodi e per Prodi, il Pd non è di Veltroni e per Veltroni. Il Pd è per il governo e con il governo è al servizio del Paese. Lavoro perché i compiti distinti siano confluenti e convergenti".

Veltroni parla di "nuova stagione", Prodi incarna la vecchia...
"Veltroni enfatizza l'idea del partito a vocazione maggioritaria, che può essere in parte condivisibile. In fondo, l'Ulivo nel '96 andò alle elezioni da solo, con Rifondazione aveva un patto di desistenza. Prodi, invece, è l'emblema della mediazione, della fatica di tenere insieme la coalizione. Ma non c'è rottura tra queste due visioni. I tre milioni e mezzo che hanno partecipato alle primarie non hanno chiesto di rompere la fase attuale. È stato un voto di sostegno a un cambiamento possibile".

Quale cambiamento?
"Se misuriamo il governo sui risultati ottenuti possiamo essere soddisfatti: la crescita più alta degli ultimi dieci anni, l'inflazione più bassa, il tasso di disoccupazione più basso degli ultimi venti, 23 miliardi di euro di evasione fiscale recuperata... Ma per raggiungere un risultato facciamo una tale confusione che la gente percepisce più la confusione che il risultato. Percepisce di più la fatica, la sensazione che non ci sia un governo. Ora le forze che reggono questo governo devono rendersi conto che dobbiamo allentare i distinguo e arrivare al risultato. Prodi segnala questo: il modo con cui abbiamo lavorato fin qui non è più accettabile".


Luca di Montezemolo giura che l'Italia è senza governo...
"L'autorevole tagliatore di cravatte vende come non-governo un'azione che invece richiede un'altissima capacità di governo. Sa bene quante risorse abbiamo messo in campo per le imprese a partire dal cuneo fiscale. Eppure non può non capire che un paese dove i salari sono al palo da anni e dove il Sud non si smuove è un paese complicato".

È d'accordo con Arturo Parisi: a Milano Veltroni ha fatto un golpe?
"Nessun golpe. L'esigenza di Veltroni di fare presto è un prezzo che paghiamo all'urgenza. L'emergenza c'era. Avevamo i partiti, Ds e Margherita, a mezzo servizio e il Partito democratico non ancora nato. L'urgenza di fare il Pd ha giustificato le forzature di questa fase. Ora però dobbiamo darci uno statuto, scrivere le regole, fare i congressi. Con gli iscritti, con le tessere o con le primarie, non mi interessa. Io sono uno dei fautori della militanza liquida: ma deve accompagnarsi a gruppi dirigenti permeabili. Non possono esserci militanze liquide e dirigenti impermeabili".

Prodi ripete che nel 2011 lascerà la guida del governo a qualcun altro. E se dovesse cadere in modo traumatico nelle prossime settimane?
"Prodi sarà fedele a quello che ha sempre detto. In caso di caduta non legata a decisioni condivise farebbe bene a restare in campo. Nell'altro campo Silvio Berlusconi si candida a scendere in campo alle elezioni per la quinta volta consecutiva, Prodi è il presidente del Partito democratico e lo farà davvero, non si limiterà a farlo solo per aprire i lavori dell'Assemblea costituente".

(02 novembre 2007)
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Titolo: Prodi rinuncia al patto bipartisan
Inserito da: Admin - Novembre 07, 2007, 11:32:19 am
CRONACA

IL RETROSCENA.

Amato al Prc: "L'importante è restare nei binari della Costituzione e dei Trattati dell'Unione Europea"

Prodi rinuncia al patto bipartisan

"Dalla Cdl condizioni inaccettabili"

di CLAUDIO TITO

 
ROMA - "Con il centrodestra a questo punto è impossibile discutere. Su quel terreno non possiamo andare". Romano Prodi stringe i bulloni della sua coalizione. Sente i leader della coalizione e tranquillizza la sinistra radicale. E dopo un tentativo di patto bipartisan, chiude: "Le condizioni del Polo sono inaccettabili". "Non ci saranno accordi" con la Casa delle libertà. Soprattutto il governo non può accettare voti "sostitutivi". L'intesa, dunque, va chiusa prima nell'Unione e poi, se il centrodestra, vorrà potrà aggiungersi.

Una linea che espone anche al vertice di ieri pomeriggio a Palazzo Chigi con il ministro degli Interni, Giuliano Amato, quello degli Esteri, Massimo D'Alema, e quello della solidarietà sociale, Paolo Ferrero. Ossia il rappresentante di Rifondazione comunista nell'esecutivo. Un incontro convocato per mettere a punto l'agenda dell'incontro di oggi con il primo ministro rumeno Tariceanu e che alla fine non può che scivolare sui contenuti del decreto sicurezza.

Il partito di Giordano aveva chiesto delle modifiche sostanziali. La temperatura nella maggioranza si è improvvisamente impennata. Il Professore cerca allora di rassicurare gli alleati della sinistra. E bacchetta i vertici del partito Democratico. Gli inviti ad una convergenza lanciati al Polo da Walter Veltroni, Piero Fassino e Francesco Rutelli hanno infastidito l'inquilino di Palazzo Chigi. Troppo insistenti, ripetuti: non tengono conto del "delicato equilibrio" che governa i rapporti all'interno dell'Unione. Soprattutto non vengono valutati i contenuti politici esposti dall'opposizione.

Ancora ieri i big Democratici hanno mantenuto i contatti con gli "ambasciatori" della minoranza. Anche il Professore aveva tentato nel week end di aprire un canale di dialogo. "Questi - ha poi sospirato ieri - sono temi che non riguardano solo una parte politica, ma tutto il Paese. Eppure da parte dell'opposizione mi sembra che non ci sia la volontà di discutere".

Anzi, a suo giudizio usano argomenti "pretestuosi", puntano solo a mettere in difficoltà il governo. I termini e gli emendamenti prospettati soprattutto da Fini e dalla Lega, poi, rappresentano per il premier un ostacolo insormontabile. Di natura "culturale" più che tecnica. Una distanza "culturale" - confermata, secondo il presidente del consiglio, dalla manifestazione organizzata dal Carroccio per contestare il capo del governo rumeno in visita ufficiale in Italia - che consente al "cattolico" Prodi di raggiungere una mediazione più con la sinistra radicale che con certe posizioni della Cdl.

"Rimarremo nei confini di questa maggioranza - ammonisce -, non mi faccio spaccare la coalizione dai loro giochetti". E di fronte alle richieste di Ferrero lascia che risponda il titolare del Viminale ponendo una sola condizione: "Il decreto non va stravolto. Non possiamo dare la sensazione che torniamo indietro".

Nel merito, però, le osservazioni di Rifondazione non vengono respinte. "Sono proposte in gran parte compatibili - è il ragionamento del Dottor Sottile -. L'importante è rimanere nei binari della Costituzione italiani e dei Trattati europei". Parole che immediatamente instaurano un nuovo clima nel vertice pomeridiano. La tensione iniziale si scioglie e il dialogo prosegue con toni decisamente più soft. Tanto che, uscendo da Palazzo Chigi, Ferrero definisce "positivo" il colloquio: "abbiamo imboccato la direzione giusta. Si è aperto un percorso che valuto positivamente".

La mossa di Palazzo Chigi in parte era prevista nel centrodestra. Eppure sta mettendo in discussione il blocco costruito nel summit di lunedì scorso a Via del Plebiscito. La linea oltranzista di Fini non piace a Silvio Berlusconi e a Pier Ferdinando Casini. Entrambi stanno lavorando per arrivare comunque ad un voto positivo sul decreto. Almeno ad una astensione. Anche perché molti degli emendamenti immaginati l'altro ieri si sono rivelati giuridicamente improponibili. "Gianfranco ha sbagliato e ci ha fatto sbagliare - si è lamentato il Cavaliere con i suoi - come lo spieghiamo ai nostri elettori che non votiamo questo provvedimento?". "Noi - ha sospirato Paolo Bonaiuti - siamo ancora in attesa di un segnale, di un'apertura". "Noi insomma - ha tagliato corto il Dc Gianfranco Rotondi - faremo di tutto per non arrivare al no. Ci stiamo provando".


(7 novembre 2007)
da repubblica.it


Titolo: Vincenzo Vasile - Una legge per testamento
Inserito da: Admin - Novembre 09, 2007, 11:25:28 pm
Una legge per testamento

Vincenzo Vasile


Enzo Biagi fu un grande giornalista, un italiano libero, un maestro, un uomo per bene; e il suo lascito non si può certo racchiudere in una o nell’altra polemica politica. In ogni caso hanno fatto bene, in un certo senso, gli esponenti del centrodestra a disertare ieri le esequie: la loro presenza avrebbe suscitato solo imbarazzo e acutizzato diatribe che in un Paese civile bisognerebbe tenere lontane nei momenti solenni di omaggio a chi ci ha lasciato. Ma c’è un capitolo del testamento di Biagi che si innesta nella cronaca battente, come sarebbe piaciuto al grande inviato, da sempre in prima linea sul fronte delle notizie. Riguarda Silvio Berlusconi, e l’anomalia rappresentata in un sistema bipolare dal cumulo di poteri e di interessi da parte dell’ex premier, che oggi si trova a capo, seppure non più incontrastato, dell’opposizione.

Il fatto è che Prodi e Gentiloni hanno annunciato che vogliono andare fino in fondo sul conflitto di interessi. Di questo vogliamo parlare, e non solo e non tanto dell’orribile e sciagurata gaffe che ha portato Berlusconi a negare di avere mai lanciato proprio contro Biagi e gli altri reietti del video il famoso editto bulgaro. Dovrebbero bastare le sobrie parole pronunciate al funerale di Pianaccio dalla figlia, Bice, sulla «botta di amnesia» che ha colto l’ex dittatorello di Arcore, a differenza dell’amara «lucidità» conservata dal padre fino alla morte. Che era, tra l’altro, uno dei pochi a esser riuscito a esportare in tv un genere giornalistico tipico della carta stampata, il corsivo. Ascoltando ieri Bice Biagi sembrava di risentire uno di quei testi, garbati e graffianti. Su Berlusconi, quando era ancora a palazzo Chigi, per esempio, una volta disse di fronte alle telecamere del Fatto: «Mi scuso, come cittadino italiano, per le stravaganze verbali del nostro presidente del Consiglio, ma qualche volta prima parla e poi pensa... ».

Da questo ennesimo sproposito di Berlusconi (che forse davvero stavolta non s’è neanche accorto della carica di arroganza che la sua menzogna rivela) s’è dipanato un interessante scambio di battute tra i cronisti e il presidente del Consiglio, Romano Prodi, cui si è associato il ministro delle Telecomunicazioni, Paolo Gentiloni. Prodi, sollecitato dai giornalisti, sull’editto bulgaro s’è limitato a osservare che gli Italiani hanno buona memoria e sanno distinguere gli atti di ingiustizia. Poi gli hanno domandato: ma in Italia c’è il rischio del conflitto di interessi? «Il rischio c’è sempre nelle democrazie - ha risposto Prodi - forse in Italia più di quello che dovrebbe essere». Più tardi Gentiloni è stato ancora più netto: «Quando dico che bisogna seguire l’esempio di professionalità e vita civile, dobbiamo farlo anche con iniziative legislative che correggano un sistema che altrimenti rischia di riproporre questi pericoli. Le iniziative sono in campo, spero vadano in porto dopo la Finanziaria».

È questo del conflitto di interessi, uno dei punti cruciali del famoso «programma dell’Unione» che, per essere sinceri, sembrava essere stato stritolato in mezzo agli spasmi del centrosinistra. Non bisogna nascondersi che nei tormenti che segnano il fine anno dei due poli, è possibile anche una lettura tatticistica di questo improvviso ritorno di fiamma del governo: risollevando la questione è evidente che si può volere far sentire il fiato sul collo all’opposizione, e non è detto che - come dicono gli esperti di pugilato - si intenda poi affondare il colpo. Ma si può sperare che, al contrario, si voglia fare sul serio, e seppure con ritardo si stia cercando - dopo tante delusioni - di recuperare alcune delle aspettative più acute dell’elettorato che portò alla vittoria il centrosinistra.

A maggio i primi passi del progetto di legge scivolarono sulla buccia di banana della dissociazione di Clemente Mastella: l’accusa di non costituzionalità della proposta di legge avanzata da Fini venne respinta, ma con l’astensione del ministro della Giustizia. E l’Udeur subito dopo votò con la Cdl su una richiesta di sospendere il dibattito, per sei mesi. Che scadono, per l’appunto, adesso. Proprio il giorno del funerale di Enzo Biagi. Il quale, chissà quale irridente, sobrio e amarognolo corsivo avrebbe saputo dedicare a questa coincidenza e al suo «testamento».

Pubblicato il: 09.11.07
Modificato il: 09.11.07 alle ore 13.15   
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Titolo: Avanza il modello "italiano" ecco come andremo a votare
Inserito da: Admin - Novembre 13, 2007, 09:21:11 am
POLITICA

La bozza del professor Vassallo: una scheda sola; numero di collegi pari alla metà dei seggi da assegnare; in ogni circoscrizione max 8 collegi e 16 seggi

Avanza il modello "italiano" ecco come andremo a votare

Liste bloccate ma primarie per selezionare i candidati.

Secondo il professore la proposta risponde e quindi "supera" i quesiti referendari

 
ROMA - Cinque pagine che tengono "appesi" i protagonisti della politica. Che potrebbero decidere il futuro e il destino di partiti e partitini. Che, soprattutto, potrebbero dare ordine alla agitata, instabile e poco affidabile vita politica di questo paese. Le scrive il professore Salvatore Vassallo, costituzionalista di primissimo rango, con la collaborazione dei colleghi Stefano Ceccanti e Alessandro Chiaramonte.
Parlano della nuova legge elettorale, quella intorno a cui si regge il destino di questo governo e che, se approvata, deciderà le sorti di quelli che verranno.

S'intitolano "Un sistema elettorale semplice, per un nuovo bipolarismo, un po' tedesco, un po' spagnolo, un po' italiano", forma discorsiva per una materia ostica e ostile e che anticipa un contenuto invece agevole e accessibile. Una cosa è certa: è sbagliato chiamarlo "sistema tedesco", oppure "spagnolo" oppure "mix spagnolo-tedesco". La bozza su cui il segretario del Pd sta chiamando a discutere e a confrontarsi tutti i leader dei partiti di maggioranza e opposizione racconta un modello assolutamente originale. E per questo è giusto chiamarlo "italiano".

Gli obiettivi - Sono quattro: 1) Consentire agli elettori di giudicare la qualità dei singoli candidati al palarmento; 2)ridurre la frammentazione dei partiti pur garantendo il pluralismo; 3) preservare il bipolarismo; 4)evitare formazioni prelettorali artificiose e destinate al naufragio alla prima verifica.

Cosa non serve - Non serve il premio di maggioranza "perchè irrilevante perchè non bipolarizza o perchè provoca formazioni artificiose"; non serve il collegio uninominale che "può ridurre troppo drasticamente il pluralismo" o realizzare "coalizioni eterogenee come accadeva con i collegi uninominali della legge Mattarella".

Cosa serve - Un sistema elettorale misto "a prevalenza proporzionale (in questo senso simile al tedesco) che però non fotografi perfettamente il peso elettorale di tutti i partiti sopra una certa soglia". Lo sbarramento deciso per legge.

Serve anche un sistema elettorale che "consenta una rappresentanza autonoma ai partiti minori che superano una soglia minima, non molto elevata, non prevista formalmente dalla legge ma insita nel meccanismo elettorale" e al tempo stesso "accettano di giocare la propria autonomia in grandi partiti aggregatori a vocazione maggioritaria".

La proposta - Vassallo precisa che la proposta è valida a Costituzione invariata, cioè con il bicameralismo attuale. E' però facilmente applicabile nel caso dovessero passare quelle modifiche costituzionali attualmente al voto a Montecitorio (riduzione dei deputati a 500, senato federale, una sola camera legata dal vincolo della fiducia al governo).

I collegi - L'Italia viene divisa in un numero di collegi pari alla metà dei seggi da assegnare, esattamente come nel sistema tedesco. Il totale deve quindi essere un numero pari compreso estero e Valle d'Aosta.

Circoscrizioni - I collegi vengono aggregati in circoscrizioni composte da 6-7 o 8 collegi che assegnano rispettivamente 12-14 o 16 seggi. "E' cruciale che non si vada oltre gli otto collegi" per due motivi: le liste bloccate devono almeno poter essere visibili sulla scheda e quindi non più di otto nomi; è la circoscrizione piccola a istituire la soglia implicita antiframmentazione e a rendere "inutile" la soglia di sbarramento.

Candidature e scheda - In ogni circoscrizione gli elettori trovano sulla scheda, sotto il simbolo di ciascun partito, il nome del candidato di collegio e, più in basso, in un blocco separato ma riconducibile al partito, la corrispondente lista circoscrizionale di 6-7-8 candidati. E' obbligatoria l'alternanza uomo/donna e maschi e femmine non possono essere al di sotto del 40 per cento. I candidati saranno selezionati col metodo delle primarie.

Voto - L'elettore dà un solo voto che vale sia per l'assegnazione dell'unico seggio attribuito con l'uninominale che per l'assegnazione dei seggi su base proporzionale in ambito circoscrizionale.

Eletti nei collegi - Vengono dichiarati eletti i candidati che nel loro collegio hanno ottenuto il maggior numero di voti.

Ripartizione dei seggi in ambito circoscrizionale - Si stabilisce a quanti seggi ha diritto ciascun partito a livello circoscrizionale su base proporzionale. Per questa operazione viene usato, circoscrizione per circoscrizione, il metodo messo a punto a fine ottocento dal belga Victor d'Hondt che tende a premiare il partito più forte.

Eletti non vincenti nei collegi - Gli ulteriori seggi spettanti a ciascun partito, rispetto a quelli già assegnati per la vittoria nel collegio, vengono innanzitutto assegnati ai migliori perdenti nei collegi uninominali. Se questi non bastano, si passa ai candidati della lista circoscrizionale, secondo l'ordine di presentazione.

Non ci sarà bisogno del referendum - Il professor Vassallo scrive che questa proposta "è perfettamente in grado di rispondere all'iniziativa referendaria sia in termini tecnici perchè elimina il premio di maggioranza (annulla il primo dei tre quesiti ndr) che politici (favorisce il bipolarismo). Per Vassallo il sistema studiato è un "buon punto di equilibrio anche per i partiti minori".

(11 novembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Agazio Loiero - Federalismo: così no
Inserito da: Admin - Novembre 14, 2007, 11:52:40 pm
Federalismo: così no

Agazio Loiero


Caro Presidente Prodi,

se mai il disegno di legge delega sul federalismo fiscale passasse così com’è, equivoco e insufficiente, avremmo una «costituzionalizzazione» delle disparità storiche esistenti nel Paese. Con un loro aggravamento nelle regioni del Mezzogiorno. Il tema del legame necessario tra federalismo e riduzione del divario economico, infatti, è assente.

E col meccanismo previsto dal disegno di legge delega, è utile dirlo senza infingimenti, si è ben lontani dall’assicurare quella perequazione della capacità fiscale prevista dall’art. 119 della Costituzione necessaria per garantire uno standard di prestazioni da erogare anche per le funzioni non ritenute essenziali, dall’ambiente, al turismo, al commercio. La Calabria ne uscirebbe con le ossa rotte. Al danno di un ritardo strutturale e storico, si aggiungerebbe la beffa di una ulteriore, netta e forte riduzione dell’ammontare di risorse già scarse che, con i trasferimenti attuali, le regioni più povere hanno a disposizione per finanziare tali servizi.

Ci sono fondati motivi di preoccupazione, dunque. Il disegno di legge delega sul federalismo fiscale, in alcuni suoi aspetti, non rispetta né la lettera, né lo spirito della Costituzione. Vediamo perché e dove. Nei settori della sanità e dell’assistenza, comparti di spesa a forte impatto sociale, e in quello dei trasporti pubblici locali, le Regioni hanno l’obbligo di performance migliori, ma almeno avranno il paracadute di quel fondo perequativo «verticale» (risorse tributarie che lo Stato ripartisce sulla base di parametri prefissati) per garantire un’omogeneità nella distribuzione territoriale dei fabbisogni standard pro-capite. Fin qui va bene.

E sul resto? Che accadrà per le funzioni non ritenute essenziali? Sono beni e servizi, si è ritenuto, per i quali non esistono le preoccupazioni di ordine politico e sociale di dover garantire una omogeneità nella distribuzione territoriale; le scelte sui livelli di erogazione e sulle modalità del reperimento delle risorse necessarie sono, pertanto, affidate alla responsabilità e all’autonomia regionale. Il totale dei trasferimenti, che oggi finanziano questi servizi, verrà soppresso e sostituito con entrate proprie delle Regioni, con un aumento di addizionale IRPEF e con un Fondo perequativo. A un’analisi da noi effettuata, però, è risultato evidente che gli effetti determinati dall’applicazione dei meccanismi ipotizzati per il finanziamento di tali funzioni e dall’attuazione della perequazione, provocheranno una diversa redistribuzione interregionale della spesa rispetto a quella attuale e, in particolare, una riduzione di trasferimenti per quelle regioni (non solo quelle del Sud) di piccole dimensioni demografiche e con redditi medi più bassi. Simmetricamente, all’opposto, un aumento di trasferimenti si avrà a favore di altre regioni. Un bel risultato, davvero! La nostra preoccupazione è che questi effetti siano ottenuti senza operare a monte un esame e una valutazione delle motivazioni (economiche o storiche) che hanno determinato negli anni precedenti quei livelli di spesa. Con il che, si badi bene, non intendiamo proporre di salvaguardare il criterio della spesa storica, convenendo anzi sulla opportunità di una sua graduale eliminazione.

Siamo più che convinti, lo ripetiamo, che le regole del federalismo fiscale costituiscono la chiave di volta per una compiuta attuazione del modello istituzionale delineato dal nuovo Titolo V della Costituzione.

Era proprio questa una delle motivazioni che ha convinto anche le regioni e gli enti locali delle aree in ritardo di sviluppo a sostenere la necessità della sua attuazione: avrebbe permesso, insomma, la costruzione di un modello di federalismo, basato sui principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, capace di bilanciare l’esigenza di maggiore autonomia politica delle istituzioni con quella di assicurare la continuità di politiche e interventi nelle aree depresse o in ritardo di sviluppo presenti nel territorio nazionale. Così, sinceramente, non è. Bisogna quindi andare oltre l’impostazione del disegno di legge presentato dal Governo, per ricercare maggiori tutele di unità e coesione.

Il discorso tecnico è complicato e non è questa la sede per svilupparlo. Sintetizzando al massimo i risultati di uno studio che i nostri tecnici stanno svolgendo insieme alla Svimez, possiamo fare però alcune considerazioni sulle conseguenze quanto meno paradossali del meccanismo individuato per il finanziamento di queste funzioni. Accadrà, infatti, che le regioni grandi e ricche avranno di più, mentre le regioni piccole e quelle del Sud avranno di meno di quanto ottengono oggi con il sistema dei trasferimenti. Per quanto riguarda la Calabria, si determinerebbe una situazione devastante: la regione avrebbe la perdita una riduzione di risorse molto forte rispetto ai valori vigenti.

Più in generale, secondo le simulazioni operate da noi e dalla Svimez, sul valore assoluto dei trasferimenti da sopprimere circa un quarto cambierebbe la sua destinazione territoriale, favorendo le regioni più ricche. La regione più penalizzata per la riduzione della composizione percentuale dei trasferimenti risulta ancora la Calabria che passa da un valore del 10,5% di tutti i trasferimenti vigenti a un valore del 3,9 % dopo l’applicazione del meccanismo inserito nel disegno di legge delega. Gli incrementi delle ineguaglianze tra le regioni, infine, possono inoltre essere crescenti nel tempo.

Se questo è federalismo solidale...

Pubblicato il: 14.11.07
Modificato il: 14.11.07 alle ore 9.10   
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Titolo: Prodi sereno, Veltroni prosegue incontri su legge elettorale
Inserito da: Admin - Novembre 15, 2007, 09:15:21 am
Politica 

Prodi sereno, Veltroni prosegue incontri su legge elettorale


Il presidente del Consiglio Romano Prodi segue da Alghero - dove si trova per incontrare il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika - l'evolversi della situazione a Roma, a Palazzo Madama. E con lui il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, la collega Emma Bonino e quello dello Sviluppo Pierluigi Bersani. Il trio ministeriale è sereno. Bersani si lascia andare a metafore poetiche - «il vento è calato» - e D'Alema gli va dietro scrutando l'orizzonte in cui non vede stagliarsi nessuna urna o inventando richiami di tipo favolistico. Il vicepremier nella sua trasferta in Sardegna per primo vertice annuale italo-algerino vede Berlusconi -«che è un uomo intelligente» - come il pifferaio. «Tutti lo seguite - dice ai giornalisti al seguito -e lui riesce a dare il tono alla politica italiana, a mantenere questa situazione artificiosa di precarietà, creando un danno. È questo il modo in cui lui tiene in pugno la sua coalizione: dicendo a tutti che domani ci saranno le elezioni, ma io non vedo elezioni all'orizzonte».

Bersani difende a distanza la manovra in votazione al Senato: «Abbiamo presentato una manovra con delle norme notevoli dal punto di vista delle prime misure sociali ma anche per le imprese. Nella manovra vi è una operazione fiscale di grandissimo rilievo per il sistema delle imprese e benefici per le famiglie più povere, così come quelle pensioni che per i giovani cominceranno ad essere realtà». E poi aggiunge, sempre in polemica con il centrodestra: «Tornare allo scalone di Maroni, fare marcia indietro sull'energia, non fare la riforma fiscale per le imprese sono scelte credibili? Chi ha qualche dubbio lo risolverà pensando che non è possibile. È questo che ci porterà ad un esito positivo».

A Roma vento in effetti non ce n'è ma il tempo è comunque brutto. E partecipando alla trasmissione Omnibus su La7 dedicata alla Finanziaria e al voto al Senato, il senatore Willer Bordon di Unione Democratica auspica comunque che «Prodi a gennaio dia le dimissioni, presenti una nuova lista di governo, possibilmente applicando la Costituzione e cioè scegliendo lui tra i partiti e non lottizzando». Una valutazione su cui dissente il senatore Nicola Latorre che a Bordon nella stessa trasmissione obietta: «Una chiusura anticipata di questa legislatura ci lascerebbe nel pieno di una crisi irrisolta». Ragion per cui secondo l'ex diessino «Dobbiamo approvare la finanziaria e aprire una discussione seria su come si riforma il sistema politico, il sistema istituzionale, la legge elettorale del nostro Paese. C'è una questione che riguarda l'assetto del sistema politico e istituzionale».

Nel pomeriggio del resto si riunisce a Roma l'esecutivo del Partito democratico con Walter Veltroni e proseguono i contatti con i partiti - i prossimi sentiti sono i Verdi e l'Italia dei Valori - sulla proposta lanciata la scorsa settimana dallo stesso segretario del Pd su una riforma elettorale su modello tedesco originario, quello del 1949- cioè proporzionale con una soglia di sbarramento non imposta su base nazionale ma che scaturisce come risultante dalla dimensione relativamente piccola dei collegi - un sistema concepito senza premio di maggioranza o, come si dice, "alla spagnola".

La proposta sulla cui bontà si è convinto Veltroni è stata partorita da alcuni esperti: il politologo Salvatore Vassallo, il costituzionalista Stefano Ceccanti e da Alessandro Chiaramante, giovane professore associato della facoltà di Scienze politiche "Cesare Alfieri" di Firenze. È riassunta in un documento di sei paginette a firma Vassallo. E si vorrebbe portarla in Parlamento già a gennaio.


Uno dei punti di forza della proposta Vassallo è che può essere approvata senza modifiche costituzionali perché non tocca il bicameralismo attuale. E è però facilmente applicabile anche nel caso dovessero passare quelle modifiche costituzionali attualmente in discussione a Montecitorio: riduzione dei deputati a 500, Senato federale, una sola camera legata dal vincolo della fiducia al governo.

Per il resto si tratta di un sistema misto, a prevalenza proporzionale, abbastanza semplice per l'elettore, con collegi uninominali con recuperi in una lista proporzionale di pochi nomi - visibili sulla scheda e alternati uomo-donna- e regole ferree per la suddivisione dei seggi.


Pubblicato il: 14.11.07
Modificato il: 14.11.07 alle ore 12.51   
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Titolo: A. VITALI la crisi, la spallata, l'implosione le profezie fallite del Silvio...
Inserito da: Admin - Novembre 16, 2007, 12:05:51 pm
POLITICA

Finanziaria approvata dopo tre mesi di pronostici sulla tenuta del governo

Il leader di Fi è il grande sconfitto: "Prodi cadrà, gli elettori non aspettano altro"

La crisi, la spallata, l'implosione le profezie fallite del vate Silvio

di ALESSANDRA VITALI

 

BRUTTA cosa trascorrere l'autunno sulla riva del fiume e scoprire che il moribondo s'è riavuto e il cadavere non passerà. La profezia di Berlusconi è fallita. Quella sulla durata dell'esecutivo in cui si è esercitato a lungo. Sempre più elastico, seguendo il ritmo di rotture e ricuciture, temporali e schiarite nella maggioranza. Fino al low profile di "non cadrà necessariamente in questi giorni ma non possono durare a lungo". Ieri, a Palazzo Madama, la Finanziaria è passata. Aveva ragione, il Cavaliere, "wait and see": bastava aspettare, vedere quel che sarebbe accaduto. Solo che non si è visto quello che lui prevedeva. Un'attesa lunga, la sua, animata da una girandola di previsioni. Dalla certezza della crisi ai più dignitosi esercizi di cautela: "La maggioranza potrebbe venir meno, a breve".

Era il 6 settembre. Due giorni dopo il "patto di Gemonio" sulla legge elettorale. Già lì, Silvio aveva assicurato: "Prodi cadrà". Il 6, al Giornale della Libertà di Michela Brambilla, regala la prima illuminazione: una Finanziaria incentrata sull'aumento fiscale farà cadere "presto" il governo. Dimentico del precetto manzoniano secondo il quale è meglio agitarsi nel dubbio che riposare nell'errore, dichiara: "Non ho dubbi, prevarranno i diktat dell'estrema sinistra, un altro aumento della pressione fiscale farà traboccare il vaso e lasceranno definitivamente Palazzo Chigi. Gli elettori non aspettano altro".

Passano i giorni. Berlusconi delinea la sua strategia. La campagna acquisti nel "bacino di orfani" del Pd, nuovi ostacoli sulla strada della maggioranza in Senato, la ricucitura con gli alleati, Udc in testa. Strappo di Dini dal Pd, per Silvio è una svolta. A chi gli ricorda che Dini non avrebbe fatto precipitare il governo senza garanzie sul dopo-Prodi (magari pretendendo un governo istituzionale), risponde ottimista: "La maggioranza imploderà lo stesso, presto". Guarda con appetito ai parlamentari che rischiano di restare fuori dalla fusione Ds-Margherita. E' il 21 settembre.

Due settimane dopo, ribadisce il concetto. La crisi è "molto probabile", dice a La Stampa. Ai suoi rivela: l'ultimo atto del governo verrà consumato "durante la Finanziaria". Pensa, ovviamente, ai numeri risicati del Senato. Crisi entro gennaio, quindi. Perché "ne sono convinti gli italiani", la maggioranza "non può continuare a governare se ad apprezzare il governo sono meno di due italiani su dieci". E' il 4 ottobre, il giorno del "Wait and see". Aspettiamo e vediamo. La spallata è vicina - spiega - è scontato che un tot di senatori della maggioranza si opererà per far cadere il governo. Sarà "uno smottamento" della maggioranza.

Berlusconi aspetta lo smottamento lavorando ad allargare la Cdl. Il vantaggio per il centrodestra - dice - è di oltre 15 punti percentuali. Assicura che, anche votando con questa legge elettorale, non ci sarebbero problemi ad avere la maggioranza sia al Senato che alla Camera. Senza posa il lavoro di riavvicinamento a Casini. Ma Udc e Lega preparano un piano di riserva. Come a dire: va bene, Prodi cadrà, ma se si votasse nel 2009 "non si può stare 18 mesi ad aspettare - dice Maroni - meglio andare avanti con le riforme". Detto, fatto: alla Camera, in commissione Affari costituzionali, Lega e Udc votano con la maggioranza e isolano Fi.

Metà ottobre, campagna acquisti. Circolano i nomi, certi veri e certi no. "El senador" Luigi Pallaro incontra Berlusconi (ma giura lealtà a Prodi) poi riferisce: "E' convinto che cadrà, gli ho risposto che anche la coda del cane si muove sempre ma non cade". Silvio però non ha dubbi: sull'inevitabilità della crisi e sull'impossibilità di evitare il voto anticipato con un governo istituzionale. Ma è meglio limitare i rischi. E allarga le trattative a tutti i possibili interessati a un cambio di governo. Un dubbio, finalmente: sui tempi dell'imboscata. Prima o dopo la Finanziaria? Gli piace di più la prima ipotesi. Dentro Fi si sussurra che l'esercizio provvisorio è possibile, anzi auspicabile. Un parlamentare vicino al Cavaliere: "Di qui a tre settimane, sarà tutto finito".

Clemente Mastella dice "meglio votare in primavera", la maggioranza fibrilla, Berlusconi va al compleanno della portavoce di Maroni, Isabella Votino. E' il 20 ottobre, repetita iuvant: "Prodi cadrà sulla Finanziaria". Alla festa, canta accompagnato dal fido Apicella. Incontra Vespa: "Credimi, Bruno, da tempo non vedevo tanta condivisione intorno a me". Si assicura un'ospitata a Porta a porta per riproporre il numero del contratto con gli italiani, "magari lo chiamo in un altro modo ma è qualcosa di simile". Insomma, "non ho dubbi", "sono tantissimi al Senato certi di non essere più rieletti".

Ventisei ottobre, giorno della fiducia. Nei confronti dei "galantuomini di centrosinistra che non possono votare una Finanziaria criticata da Fmi e Bankitalia". Quindi, "cadrà il governo e noi andremo dal capo dello Stato". Spiega: "E' una Finanziaria con i condizionamenti dell'estrema sinistra, sapevamo che ci sarebbero state reazioni come quelle che hanno messo sotto il governo sette volte. Ci aspettiamo il ritorno alle urne".

Fine ottobre, inizio novembre, la fase della "spallata". Il Cavaliere smentisce di aver pronunciato quel termine, "non mi appartiene". Poi, i tempi impongono una variazione lessicale. E' tempo di cautela, arriva l'"implosione". "Resto convinto che la crisi sia vicina - dice il 3 novembre - non ho fatto date né parlato di spallate ma credo che imploderanno".

Passano i giorni, la Finanziaria si avvicina. Silvio è rimasto uno dei pochi nel centrodestra a mantenere la granitica certezza che il governo non supererà la prova. Gli alleati - e molti parlamentari azzurri - hanno chiaro che la crisi non è più dietro l'angolo. Cdl scettica, ma sincera con garanzia di anonimato: "Ormai ci crede solo il Cavaliere", dice un deputato forzista. Ci si interroga sul perché il Cavaliere si sia così sbilanciato. Fini gli dà fiducia: "Aspettiamo il 15, poi vedremo". E la Lega: "Se Prodi sarà ancora in piedi il 15 novembre, ci porremo delle domande".

Tre giorni fa, l'ultima battuta. "Non ho mai detto che c'era una data - dice Silvio - può essere in qualsiasi momento. In diversi senatori ho visto stati d'animo e giudizi che non consentono di approvare la Finanziaria". Se invede dovessero votarla? "Si smentiscono. Lo fanno per ragioni che non corrispondono al loro convincimento".

E ora? C'è da chiedersi che ne sarà della leadership di Berlusconi che per tre mesi ha ingessato gli alleati puntando tutto sul bingo "Prodi cade". Missione fallita, tutto da rifare. Sempre che Fini e Casini vogliano ancora stare al gioco. Sempre che il Cavaliere riesca a mettere in piedi un'altra strategia, tanto efficace da cementare il centrodestra a ripartire dai prossimi mesi. Wait and see.

(15 novembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Ninni Andriolo - Turco: «Facciamo cose concrete il Paese se ne sta accorgendo»
Inserito da: Admin - Novembre 18, 2007, 06:51:15 pm
Turco: «Facciamo cose concrete il Paese se ne sta accorgendo»

Ninni Andriolo


«Un successo del governo indubbiamente, ma il sì del Senato alla Finanziaria rappresenta anche una vittoria della maggioranza e del dialogo parlamentare». Quindici giorni «inchiodata» agli scranni riservati all’esecutivo, mentre in Aula scorreva il dibattito su articoli ed emendamenti. «Ho portato con me il lavoro del ministero - ricorda Livia Turco - Da quella postazione mi sono mossa solo per qualche attimo». Sabato mattina. Il dibattito sulla sicurezza alimentare con gli studenti di un’istituto agrario si è appena concluso. Il ministro monta in macchina e riflette con l’Unità sul dopo Finanziaria.

«Il dibattito parlamentare ha arricchito la proposta del governo e ha dimostrato una coesione straordinaria della maggioranza. Dal punto di vista del clima e dei rapporti umani prima di tutto. L’impostazione della Finanziaria è coerente con gli interessi del Paese. Le missioni quest’anno erano evidenti: risanamento e, insieme, crescita, sviluppo del Mezzogiorno, politiche redistributive, equità».

Soddisfatta degli stanziamenti per la sanità?

«Voglio ringraziare le senatrici e i senatori. La parte relativa alla sanità è stata addirittura arricchita. Non solo per l’eliminazione del ticket. Devo ricordare che sono stati trovati 834 milioni in più per i livelli essenziali di assistenza e 180 per i danneggiati da emotrasfusioni. La legge di Bilancio contiene, inoltre, le risorse per l’importante riforma varata dal governo per “la qualità e la sicurezza del servizio sanitario nazionale”»

Un grazie anche alla Cdl, quindi?

«Sicuramente. La Finanziaria è stata arricchita anche dal dialogo con l’opposizione. In verità, abbiamo visto tante opposizioni. Quella urlante che faceva leva su ogni espediente per dare “la spallata”. E quella che ha presentato emendamenti, ha ottenuto risultati, ha dialogato con la maggioranza».

Maggioranza che sconta la presa di distanze dei centristi...

«Io ho apprezzato il contributo di responsabilità dato al dibattito dalle cosiddette componenti di sinistra. Che sono state leali e hanno contribuito a migliorare la proposta. Anche la componente diniana ha avuto, però, un ruolo importante. Ha rappresentato un momento alto, ad esempio, l’intervento con il quale il senatore D’Amico ha motivato la riformulazione dell’emendamento sull’assorbimento del precariato nella Pubblica amministrazione. Si è visto in concreto quanto sia utile il dialogo tra riformismi».

L’impegno dei diniani per migliorare la Finanziaria contraddice il giudizio finale di Dini sul testo. Non crede?

«Sì, io ho avvertito come contraddittorio quel giudizio. Poco comprensibile rispetto all’impegno di merito profuso dai diniani, e non solo sui precari. I senatori Manzione e Bordon, ad esempio, sono stati protagonisti di un confronto vivace e costruttivo. Rispetto alla qualità di quei contributi ho trovato francamente incomprensibili le dichiarazioni finali di voto».

Dini e Bordon, in realtà, hanno criticato aspramente il governo...

«Anche questo è abbastanza incomprensibile. Il voto sulla Finanziaria è avvenuto nello stesso momento in cui il presidente del Senato informava del successo ottenuto dall’Italia all’Onu a proposito della moratoria sulla pena di morte. Quando un governo riesce a farsi rispettare nelle sedi internazionali significa che è autorevole».

Dini ha voluto sancire un divorzio senza ripensamenti dalla maggioranza?

«Io non ho interpretato le sue dichiarazioni come una volontà di rottura con il centrosinistra. Le ho intese, semmai, come una sfida affinché l’Unione non sia solo maggioranza numerica ma anche politica. Perché assuma, cioè, un profilo sempre più riformatore e di innovazione».

Sul welfare non sarà facile mediare tra Dini e il Prc. Come se ne esce?

«Come sempre in politica, come per la Finanziaria. Il merito deve valere per tutti. Per Dini, che deve riconoscere che quel protocollo conferma e migliora la riforma di cui egli stesso è stato protagonista. E per la sinistra radicale. Quella riforma può essere migliorata, ma attenzione a non far sì che la pagliuzza faccia perdere di vista l’albero: l’archiviazione dello scalone pensionistico e, insieme, un indirizzo netto - certo non risolutivo - nei confronti del superamento del precariato, di nuove tutele per il lavoro e di una maggiore equità».

Lei vede all’orizzonte un rimpasto di governo?

«Da ministro penso che non sia giusto partecipare al dibattito se sia utile cambiare o meno la squadra. Questa prerogativa spetta al Presidente del Consiglio e alle forze politiche. Chi è parte del governo non può che dire con schiettezza che il suo mandato è a disposizione».

D’accordo con Prodi: la squadra di governo oggi lavora meglio?

«C’è un cambiamento significativo di clima dentro il governo. Prima prevaleva la logica della visibilità individuale e di componente, adesso si registra maggiore spirito di squadra».

Cos’è cambiato, ministro?

«Penso che si stia raccogliendo qualcosa che c’è nel profondo del Paese. Non è un caso che componenti significative dell’opposizione dicano basta alla logica delle spallate e delle prove muscolari. La spinta al dialogo sulle riforme registra un sentimento nuovo che circola nella società. Lo stesso che ci chiede di risolvere i problemi con una politica pacata. Avverto da ambienti diversi questa spinta. Mi è capitato di dire, alla luce dell’esperienza diretta che ho, “ma quanta gente prega perché questo governo ce la faccia?”».

I sondaggi di Berlusconi dicono cose opposte...

«Per carità, non voglio certo dire che non ci sia un dato di sfiducia nel Paese. Quei sondaggi, però, sono anche il frutto di un tam-tam continuo. Quando la gente si sente dire che il governo è sempre sull’orlo del precipizio si fa un’opinione sbagliata. I fatti, però, sono più forti di qualunque propaganda, anche della più martellante studiata a tavolino da Berlusconi»

E la gente quali fatti vede?

«Dall’aumento delle pensioni minime, agli sgravi sull’Ici, alla lotta all’evasione, ad altri miglioramenti concreti. La gente sta cominciando a rendersi conto che il governo, alla fine, le cose le fa. E i cittadini riflettono. Ecco, quando si dice ”cambiamento di fase” si dice qualcosa che corrisponde al sentire profondo di un Paese che vuole concordia anche sulle riforme. Per questo è necessaria, come ripete Giorgio Napolitano, una nuova stagione di dialogo e di confronto tra maggioranza e opposizione. Anche tra i parlamentari di Forza Italia avverto la spinta per un cambiamento di registro. C’è preoccupazione per un discredito generalizzato della politica che può travolgere tutti»

E quanto incide la nascita del Pd sul “nuovo clima” che si registra nel governo?

«Si è verificato ciò che non poteva che esserci: un leale sostegno del segretario del Pd al governo. L’Assemblea di Milano, poi, ha dimostrato che il Presidente del Consiglio ha un ruolo decisivo nella nascita del Partito democratico. In quella sede Prodi ha potuto rivendicare la robustezza dell’azione di governo, coerente con il programma e le ragioni per cui è nato il Pd. C’è stata, poi, un’iniziativa importante di Veltroni per il rilancio di un dialogo a tutto campo sulle riforme, a partire da quella elettorale. Il progetto del Pd, infine, ha rimesso in moto un processo innovativo a sinistra, ma anche nel centrodestra»

Lei è stata eletta tra i costituenti Pd nelle liste “a sinistra per Veltroni”. Soddisfatta del risultato?

«Molto, ma avrei voluto ascoltare qualche parola di apprezzamento in più per il successo delle liste “a sinistra”. Dimostra che un processo di innovazione non può significare sradicamento dalle culture politiche»

Il dibattito è aperto: tessere o partito “liquido”?

«Nella società di oggi le forme di partecipazione politica hanno diverse gradazioni ed è giusto che un partito che voglia essere popolare riesca a dare piena legittimità a modalità diverse di impegno. Ma siamo il Pd e la democrazia si rinvigorisce facendo in modo che i cittadini partecipino non solo esprimendo la loro opinione, ma anche iscrivendosi e militando concretamente per promuovere cittadinanza. Anche per questo il Pd deve radicarsi nel territorio. Citando Amartya Sen, la democrazia è basata sulle regole, ma anche sulla discussione. E questa implica luoghi dove ritrovarsi, dibattere, stare insieme».


Pubblicato il: 18.11.07
Modificato il: 18.11.07 alle ore 15.22   
© l'Unità.


Titolo: «Dobbiamo evitare il rischio inciucio»
Inserito da: Admin - Novembre 22, 2007, 03:13:48 pm
Berlusconi? «Sì, è stato geniale. è riuscito a riattrarre a sè Casini...»

«Dobbiamo evitare il rischio inciucio»

Così si sarebbe espresso il premier Prodi durante una cena con le senatrici dell'Unione a Palazzo Chigi

 
ROMA - «Dobbiamo evitare il rischio inciucio». A cena con le senatrici dell'Unione, Romano Prodi avrebbe fatto dichiarazioni di questo genere. «Siamo determinati ad andare avanti - avrebbe detto ancora il presidente del Consiglio secondo quanto riferito dalle senatrici - perchè squadra che vince non si cambia». Prodi è stato, a giudizio delle senatrici, «un'ospite squisito». Il presidente del Consiglio ha mostrato loro le stanze di Palazzo Chigi e l'appartamento presidenziale, compreso il tapis roulant che il premier utilizza per allenarsi. «Sono un atleta, molto resistente - avrebbe detto di sè il presidente del Consiglio - non mi ammalo mai». Il premier ha ringraziato le senatrici della sua colazione per la resistenza mostrata durante le votazioni sulla Finanziaria. Il presidente del Consiglio - sempre secondo quanto riferito - avrebbe giudicato importante l'intesa con la Germania per quanto riguarda la politica estera. A tutte le senatrici Prodi ha regalato una confezione di datteri algerini.

BERLUSCONI «GENIALE» - Sembra che durante la cena alcune delle senatrici presenti avrebbero anche fatto delle battute sulle ultime mosse di Silvio Berlusconi. «La mossa per uscire dall'angolo è stata geniale...». Un giudizio buttato lì sugli ultimi avvenimenti politici in casa Cdl, condiviso, sembrerebbe, anche dal premier. «Sì, è stato geniale - avrebbe replicato Prodi - è riuscito a riattrarre a sè Casini...».

I «SOSPETTI» DI MASTELLA - A proposito del confronto tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi, intanto, il ministro della Giustizia Clemente Mastella dichiara che «c`è il sospetto che dietro le offerte di dialogo ci sia la voglia di arrivare al referendum». Secondo il Guardasigilli, «Berlusconi ha perso con il centro sinistra per il fallimento della spallata ma ha vinto nel suo schieramento». Mastella non è contrario ad una legge proporzionale con sbarramento, ma insiste sulla necessità di procedere prima ad alcune riforme istituzionali. Il governo Prodi secondo il ministro, dovrebbe proseguire e «Berlusconi dovrebbe avere la generosità di accettare il dialogo offerto dall`opposizione. Poi, nel 2009, vicino alla scadenza per le elezioni europee, fatto un accordo si potrebbe interrompere la legislatura».

da corriere.it


Titolo: GOVERNO PRODI - Nizza, Prodi-Sarkozy sorrisi e strette di mano
Inserito da: Admin - Novembre 30, 2007, 06:22:53 pm
A Nizza 26esimo vertice italo-francese. Soddisfatto il premier: "E' andata molto bene"

Accordo Enel-Edf. Il capo dell'Eliseo: "Risolto contenzioso che avvelenava rapporti"

Nizza, Prodi-Sarkozy sorrisi e strette di mano

E un cittadino: "Bravo Romano, resisti"

Il gruppo elettrico italiano parteciperà con il 12,5% al primo impianto nucleare Epr

Piena sintonia anche su Afghanistan e Kosovo. E alle Olimpiadi consolato congiunto

 
NIZZA - Grandi sorrisi e strette di mano questa mattina a Nizza, al Palais des Rois Sardes, dove si è svolto il 26esimo vertice italo-francese. Firmate una serie di dichiarazioni congiunte: su sicurezza e difesa, immigrazione ed energia. Sottoscritto un importante accordo tra Edf ed Enel. Tra i temi affrontati anche l'Afghanistan, il Kosovo, e l'annuncio di un consolato comune alle Olimpiadi. Al termine un cittadino di Nizza incita il premier italiano.

Soddisfatti. A Nizza è stata sottoscritta una "pace energetica" che "è estremamente importante" per i rapporti tra Roma e Parigi e per garantire gli approvvigionamenti di elettricità all'Italia. A sottolineare il valore, anche politico dell'accordo tra Enel ed Edf sono stati Romano Prodi Nicolas Sarkozy durante la conferenza stampa conclusiva del vertice italo-francese. Con l'accordo, ha detto l'inquilino dell'Eliseo, è stato "risolto un contenzioso che avvelenava i rapporti tra i due Paesi e ne sono lietissimo".

"E' andata molto bene. C'è stato spirito di collaborazione straordinario, al di là delle previsioni", ha detto soddisfatto Romano Prodi. "Esprimo agli italiani amicizia sincera e la volontà di andare avanti assieme mano nella mano", ha aggiunto Nicolas Sarkozy che ha salutato positivamente gli accordi raggiunti tra Italia e Francia. L'inquilino dell'Eliseo ha anche riferito ai giornalisti che il summit ha portato alla luce "identità di punti di vista" sui temi del Mediterraneo.

Tra i rispettivi ministri degli Esteri D'Alema e Kouchner, ha riferito ancora Sarkozy, si è riscontrata una convergenza su vari scenari: dal Ciad al Kosovo, dall'Afghanistan fino al Libano. "Andiamo avanti con decisione ed amicizia", ha detto Romano Prodi.

L'accordo Enel-Edf. In particolare per quanto riguarda l'accordo Enel-Edf, il gruppo elettrico italiano parteciperà con una quota del 12,5% al primo impianto nucleare di nuova generazione Epr, con una opzione per i successivi cinque, acquisendo un prezioso know how e l'accesso alla capacità nucleare francese per quantità crescenti da 600 MW nel 2008 fino a 1.200 MW nel 2012. L'Italia potrà contare così su un aumento della propria capacità di importazione di elettricità dalla Francia con, in prospettiva, la possibilità anche di qualche risparmio sulla bolletta elettrica nazionale.

Bersani. "Gli accordi sull'energia e l'elettricità che sono stati raggiunti oggi arrivano dopo una fase problematica", ha detto il ministro delle Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, giudicando "positivamente il vertice italo-francese". Di Sarkozy, Bersani ha sottolineato "la grande energia e determinazione. E' un personaggio volitivo - ha affermato - e l'incontro fra le due persone Prodi e Sarkozy è stato positivo".

Afghanistan. E' piena sintonia anche sulla necessità di "continuare a lavorare in direzione di una proposta politica per preparare un futuro più chiaro che porti una soluzione" in Afghanistan. Un percorso, questo, ha tenuto a sottolineare Prodi, che "non ha nulla a che fare con l'idea della fine della nostra presenza in Afghanistan".

Kosovo. Al summit si è parlato anche di Kosovo. Sarkozy ha evidenziato l'importanza del negoziato compiuto e Romano Prodi ha sottolineato che si tratta di una "grande prova" per l'Europa. "Siamo favorevoli all'indipendenza del Kosovo", ha detto il presidente francese, "vogliamo che si faccia al momento giusto cioè quando nessuno si sentirà umiliato. Noi vogliamo la pace tra serbi e albanesi e non che i nostri uomini si trovino in mezzo a una situazione giuridica inesplicabile".

Per questo Sarkozy ha sottolineato che "se occorrerà ancora qualche settimana per arrivare a questo risultato è preferibile al fatto di considerare la mezzanotte del 10 dicembre come il momento in cui tutto si dovrà fermare".

"Per preparare l'indipendenza del Kosovo occorre prendere il tempo che sarà necessario: si tratta di una responsabilità europea"che sarà necessario: si tratta di una responsabilità europea ha aggiunto l'inquilino dell'Eliseo, "lancio un appello a che ognuno si assuma le proprie responsabilità".

Consolato congiunto alle Olimpiadi. Un esempio della rinnovata cooperazione tra Roma e Parigi si avrà in occasione delle Olimpiadi del 2008 a Pechino dove, ha annunciato Prodi, Italia e Francia avranno un consolato congiunto. Un esperimento per testare una procedura congiunta di rilascio dei visti in alcuni Paesi e di uffici consolari unici in quelle nazioni in cui Roma o Parigi non hanno rappresentanza.

"Bravo Romano". Scattata l'ultima fotografia di gruppo, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha invitato il presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi a seguirlo in un bagno di folla. Sarkozy e Prodi sono andati a stringere la mano e a salutare i numerosi nizzardi che li stavano aspettando. Si è sentita anche la voce di un italiano che, rivolto a Prodi, ha detto: "Bravo Romano, resisti, resisti, resisti".

(30 novembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Andrea Carugati - «Si affossa un governo riformista e di sinistra»
Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2007, 11:00:43 pm
Politica   

«Si affossa un governo riformista e di sinistra»

Andrea Carugati


Onorevole Soro, lei ha definito le critiche del presidente Bertinotti al governo «ingenerose». Perché?
«Non condivido il giudizio liquidatorio dell’esperienza del governo e della coalizione. Nelle condizioni date, e visti i numeri del Senato, questo governo merita un apprezzamento convinto. Ogni volta che il centrosinistra governa viene preso dall’angoscia di non fare abbastanza. Poi, a posteriori, ci si accorge che le riforme fatte sono fondamentali».

Dopo la fiducia sul welfare si è rotto qualcosa tra Prc e governo...
«Quel protocollo è uno straordinario momento riformatore. E la nuova stagione di concertazione inaugurata da Prodi è uno dei principali risultati raggiunti dal governo. Anche la finanziaria ha un’ottica riformatrice e di sinistra: sul lavoro dipendente, sulle famiglie numerose, sul clima. Si tratta di un lavoro graduale...».

Avete opinioni diverse...
«Comprendo e condivido l’insofferenza di una maggioranza che ha dovuto rinunciare agli emendamenti per effetto di un impegno preso con le parti sociali: tutte, non solo Confindustria. Anche perché quegli emendamenti erano marginali rispetto al tutto. Però il discorso si può rovesciare: la rinuncia non sconvolge il profilo di ciò che è stato approvato, che non si può liquidare come carta straccia. E tuttavia occorre ripensare le procedure di approvazione degli accordi nati dalla concertazione: perché al Parlamento non può toccare solo una ratifica acritica».

Insisto: per Rifondazione il programma è stato cestinato, Prodi ascolta solo Dini e Confindustria.
«Per molto tempo è stato detto che Prodi governava sotto dettatura della sinistra radicale. Oggi tutto si ribalta. A me sembrano due diagnosi sbagliate».

Sia voi del Pd che il Prc plaudete a una nuova legge proporzionale che consenta le mani libere. Sembra quasi il desiderio di un divorzio consensuale. È così?
«L’obiettivo è uscire da un bipolarismo in cui il programma è una cornice troppo elastica perché prevale il bisogno di stare insieme. Ma questo è ben diverso dai due forni, o dal desiderio di cancellare il centrosinistra. Il Pd avrà sempre bisogno di un’alleanza solida con una sinistra che abbia abbandonato le tentazioni massimaliste».

Una delle vulgate più diffuse sostiene che l’intervista di Bertinotti sia una sorta di ultimatum a Prodi perché rompa gli indugi sul sistema tedesco.
«Non mi permetto di fare l’esegeta del presidente della Camera. Ma Prodi non è affatto contrario al lavoro che il Pd con Veltroni sta portando avanti sulla riforma elettorale. Nessuno di noi vuole abbandonare la scelta bipolare, vogliamo una democrazia che decide, una categoria tipica della cultura prodiana. E Prodi è favorevole alle riforme esattamente come Veltroni».

Il Prc sostiene che il governo abbia scontentato proprio i suoi elettori...
«C’è una difficoltà reale dei ceti medi, del lavoro dipendente, che riguarda tutta l’Europa. Ma questi problemi non si risolvono in 18 mesi. Ci sono momenti in cui si avverte la durezza e anche la sofferenza della funzione di governo, ma l’Italia ha bisogno di un centrosinistra che sappia fare questo, invece di cavalcare gli umori della piazza. Sarebbe un errore gravissimo cedere alle tentazioni massimaliste».

A gennaio la verifica. Cosa farete?
«Condivido la necessità di riprecisare il programma. Su alcuni temi, come le liberalizzazioni, il programma resta valido e attuale. Sul tema della precarietà, invece, occorre aprire un tavolo nuovo, fare alcune cose che non abbiamo potuto inserire nel protocollo».


Pubblicato il: 05.12.07
Modificato il: 05.12.07 alle ore 8.09   
© l'Unità.


Titolo: GOVERNO PRODI... L'ira di Prodi: «E' tornato lo scorpione»
Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2007, 11:07:47 pm
«Così si fa un regalo al centrodestra: erano nell'angolo, ora possono contrattaccare»

L'ira di Prodi: «E' tornato lo scorpione»

Preoccupato l'entourage del premier: torna lo spettro del '98, quando Bertinotti fece cadere il governo del Prof

 
ROMA — «È tornato lo scorpione... ». Quello che nella storiella alla fine punge la rana, anche a costo di annegarci assieme, perché questa è la sua natura. Attorno a Romano Prodi l'hanno pensato in molti, ieri, e qualcuno l'ha detto a voce alta.

«È tornato lo scorpione...»: sì, Fausto il Rosso, l'uomo del '98, che fatica a stare nei panni della terza carica dello Stato, irresistibilmente attratto, come lui stesso ha confessato a Repubblica, da quel «diritto di tornare all'opposizione» che mai come ora pervade il corpaccione agitato di Rifondazione e che lui capta, asseconda, decodifica. Scosse elettriche sull'asse di quello che fu, se davvero è mai esistito, il «Prodinotti »: a Fausto che vede in Romano ciò che Flaiano disse di Cardarelli («È il più grande poeta morente...»), torna addosso come un boomerang, a distanza di qualche anno, la similitudine con lo scorpione, che sarà letteraria finché si vuole, ma è pur sempre una bella botta.

Restano i pezzi, ora, a terra. E difficilmente basterà qualche telefonata (che forse c'è anche stata) per ricomporre la coppia. Anche il comunicato serale di Palazzo Chigi, che volutamente sorvola sulle questioni personali per ribadire che «a gennaio si farà il punto (guai a chiamarla "verifica", ndr) dell'azione di governo», che «un'accelerazione è necessaria » e che comunque «l'esecutivo si muove nella direzione giusta», è poco più di un cerotto al cospetto della devastante portata delle affermazioni bertinottiane sul «fallimento del progetto», sulla «distanza del popolo di sinistra», sul fatto di sentirsi «intellettualmente già proiettato oltre l'Unione».

Non se l'aspettava, il premier, «amareggiato, arrabbiato, personalmente dispiaciuto ». L'ha vissuto come un tradimento: «Ma come? Ma Fausto si rende conto delle cose realizzate da questo governo sul fronte sociale? Certo, se uno vuole tutto e subito... Qui invece si lavora con coerenza e serietà, quante volte ne abbiamo parlato...». Pensieri sparsi, mentre attorno a lui montava il nervosismo: «Ma come fa Bertinotti a non capire che senza questo governo saremmo ancora allo scalone delle pensioni, i precari sarebbero messi ancor peggio? Insomma, su che basi afferma che il programma è carta straccia?».

Certo, verrà, dovrà venire, e possibilmente in tempi brevi, il tempo della ricostruzione. È evidente che una frattura di questo genere andrà ricomposta. Ma ora è troppo presto. Un ribollir di rabbia. Anche sul cellulare di Prodi, ieri letteralmente tempestato di sms di questo tenore: «Te l'avevamo detto di non fidarti: quello non cambierà mai»; «Resisti, non cedere, non facciamo altri regali al Cavaliere ». Già, il Cavaliere: altra cosa che ha mandato in bestia il Professore e compagnia. Non tanto l'apertura di credito fatta da Bertinotti sulla riforma elettorale, quella era messa in conto, quanto l'assist offerto graziosamente al centrodestra: «Erano all'angolo, spaccati e incerti sul da farsi: e noi gli offriamo su un piatto d'argento la possibilità di passare al contrattacco, roba da pazzi...».

Non è stato soltanto un martedì da cancellare. È un martedì che chiude una stagione, una fase: «Andiamo avanti — è il ritornello che rimbalza da Palazzo Chigi — ma qualcosa si è definitivamente rotto, Fausto ha un altro progetto... ».

Francesco Alberti
05 dicembre 2007


da corriere.it


Titolo: Mastella minaccia la crisi di governo Ferrero: ''La norma non si tocca''
Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2007, 06:33:42 pm

Il ministro della Giustizia contro il Prc

Mastella minaccia la crisi di governo Ferrero: ''La norma non si tocca''

Dopo il voto di ieri in Senato sulla sicurezza, il Guardasigilli attacca l'emendamento anti-omofobia di Rifondazione comunista: ''Bertinotti dica se è disponibile a modifiche oppure no.

Se non cambiano dichiaro la chiusura dell'esperienza di questo esecutivo''.

Il ministro della Solidarietà sociale: ''Si ricreda, la norma è corretta''.

Di Pietro: ''La maggioranza non c'è più''


Roma, 7 dic. - (Adnkronos/Ign) - Dopo il voto di ieri in Senato sulla sicurezza, il ministro Antonio Di Pietro spara a zero contro la maggioranza e il Guardasigilli Mastella minaccia la crisi di governo per la norma anti-omofobia inserita da Rifondazione comunista nel maxi emendamento passato ieri a Palazzo Madama.

"Piaccia o non piaccia, dopo il voto di fiducia di ieri in Senato, la maggioranza politica non c'è più e di questo va preso atto. Per questo noi dell'Italia dei Valori chiediamo non solo una verifica politica ma che si avvii un nuovo processo costituente affinché la prossima coalizione sia una coalizione del fare sullo stesso programma e non della logica dello stare insieme solo contro qualcuno. Non se ne può più di litigiosità. Meglio scomporre e ricomporre i poli in modo più omogeneo" afferma Di Pietro.

A mettere in fibrillazione la maggioranza è poi l'emendamento al dl sicurezza inserito da Rifondazione comunista, che ha scatenato i 'teodem' del Pd, provocando il voto contrario della Binetti. Ma ora interviene anche il ministro della Giustizia Clemente Mastella: ''Se Rifondazione dice che questo aspetto non si tocca, per l'Udeur è crisi di governo, togliamo la fiducia al governo e l'esperienza politica finisce qui". Il Guardasigilli, parlando a Bruxelles, ha spiegato che queste dichiarazioni sono legate alle notizie che gli giungono da Roma, ricordando che "ieri sera vi era stato l'impegno a modificare quel tipo di inserzione che per noi era una forzatura". Se Rifondazione non rispetta questo impegno, ha avvertito Mastella, "l'Udeur apre la crisi e non c'è neanche la possibilità di verifica" perché "se sono queste le condizioni, non ci sono più condizioni e tolgo la collaborazione con il Prc". Per il Guardasigilli il segretario del Prc o il presidente della Camera dichiarino se sono disponibili a modificare o meno la loro posizione riguardo all'emendamento o "se non cambiano dichiaro la chiusura dell'esperienza del governo".

Mastella ha poi spiegato che eventualmente l'Udeur rimarrà formalmente al governo fino alla fine dell'anno "solo per votare la Finanziaria ed evitare l'esercizio provvisorio". Il ministro della Giustizia, riferendosi al Prc e ad altre parti della sinistra, ha dunque osservato che "hanno fatto i furbi con una logica tipicamente comunista di doppiezza togliattiana che conosco da tempo".

"Spero che si possa ricredere e ravvedere, perché la norma fatta è assolutamente corretta e non ha nulla a che vedere con i reati di opinione", replica il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero. Secondo l'esponente del Prc "è il richiamo di una norma che sta in un Trattato che l'Italia ha ratificato. Quindi - spiega Ferrero - non dice nulla di nuovo rispetto a quelli che sono gli impegni dell'Italia". Perciò la norma non va modificata? "Esatto", risponde.

da adnkronos.com


Titolo: La Binetti contro il trattato di Amsterdam.
Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2007, 06:41:48 pm
CRONACA

Il governo sull'orlo del baratro per un riferimento a una normativa Ue che vieta che una persona possa essere discriminata per omofobia

Il Papa accusato di discriminazione sessuale?

La Binetti contro il trattato di Amsterdam

 

ROMA - "I temi che riguardano i valori, la visione della famiglia richiedono un approfondimento. Sono temi su cui il Paese è diviso perlomeno a metà. Non possono passare con un emendamento e la fiducia. Non sono possibili scorciatoie". Così, la senatrice teodem Paola Binetti ha spiegato il suo "no" alla fiducia al governo Prodi, il primo da lei mai pronunciato in Parlamento contro la sua maggioranza, che ha portato l'esecutivo sull'orlo del baratro.

I "temi" che hanno portato Paola Binetti a una decisione tanto grave, erano rappresentati, nel maxiemendamento sulla sicurezza, da un riferimento all'articolo 13 del trattato di Amsterdam, un "innocente" documento europeo che stabilisce, tra l'altro, princìpi universalmente condivisi contro le discriminazioni per sesso e religione. La sinistra di governo (Prc e futura "Cosa rossa") ha fatto di tutto per inserirlo nel testo sulla sicurezza nel quale, a dirla tutta, aveva forse poco senso.

Si tratta di norme anti-razzismo (con la previsione di condanne alla reclusione fino a tre anni) per combattere discriminazioni "fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali".

Il riferimento che si decide alla fine di inserire nel testo, dopo estenuanti trattative e su proposta del presidente della commissione Giustizia del Senato Cesare Salvi (Sd), è quello, appunto, "all'articolo 13 del trattato di Amsterdam", che dà agli Stati comunitari la possibilità di prendere "i provvedimenti opportuni" per combattere tali discriminazioni.

Il problema però è che il decreto contiene norme penali, mentre il Trattato non è legato a fattispecie penali e non è, ad avviso dei giuristi, richiamabile in tal senso (come ha fatto presente in aula, prima del voto, l'ex presidente del Senato Marcello Pera).

Sulla questione tecnica si inserisce una questione delicatissima che viene duramente esplicitata dalla leghista Carolina Lussana: "Questo - prosegue - è un vergognoso attacco alla Chiesa, che con questa modifica sarà imputata per discriminazione perchè sostiene che l'omosessualità è contro natura e nega la possibilità di adozione alle coppie omosessuali". La Lussana si appella ai Teodem dell'Unione che, a quanto pare, vengono messi sotto pressione dal Vaticano che teme davvero la possibilità di trovare il Papa o chi per esso su un ipotetico banco degli imputati accusato di discriminazione sessuale.

Al governo non resta che assumere l'impegno a cambiare la norma - cancellando il riferimento che la rende "errata nella sua formulazione e inapplicabile", come dirà subito dopo il voto il ministro Chiti - e invitare i senatori teodem a votare lo stesso a favore della fiducia e del testo nel suo complesso.

L'operazione riesce solo in parte, ma quanto basta per salvare l'esecutivo. La Binetti - visti i numeri calcolati sulla carta a Palazzo Madama, dopo il sì annunciato da Francesco Cossiga - decide di dare un 'segnale' esplicito al governo, prendendo la decisione senza precedenti nei 20 mesi della maggioranza al Senato di votare contro la fiducia al governo, ma poi si esprime a favore del testo nel suo complesso nella votazione finale, quando il rischio per la maggioranza di andare sotto era molto più concreto.

Gli altri due teodem, invece, votano sempre a favore.
Romano Prodi supera così anche questa strettoia, e il governo può proseguire la sua navigazione che comunque non si preannuncia come una crociera.

(7 dicembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Finocchiaro: meno ministri Ds e Margherita
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2007, 03:49:55 pm
La capogruppo al Senato di Pd-Ulivo in un'intervista a l'Unità

Finocchiaro: meno ministri Ds e Margherita

«A gennaio occorrerà fare un punto di riflessione, non è più possibile andare avanti così»
 

ROMA - Dimezzare i ministri di Ds e Margherita presenti nel governo. Lo propone Anna Finocchiaro, capogruppo di Ds-Ulivo al Senato, in un'intervista a L'Unità. Per il governo è prioritario portare a termine alcune questioni essenziali, e non solo la Finanziaria: a gennaio invece «occorrerà fare un punto di riflessione pieno e compiuto, non è più possibile andare avanti così», secondo la senatrice.

GOVERNO IN AFFANNO - Finocchiaro bacchetta quegli esponenti politici che ripetono «ogni giorno che la maggioranza non c'è più: «È ovvio che un governo così è in affanno». Rispetto a questa situazione, la presidente dei senatori del Pd si dice ancora convinta della sua proposta di andare a una «ricostituzione in altre forme del governo, partendo dal dimezzamento dei ministri di Ds e Margherita». Quanto agli scossoni del quadro politico, Finocchiaro ha osservato che si tratta dell'ovvia conseguenza della nascita del Pd. Come l'iniziativa di Veltroni di rimettere in moto il dialogo sulle riforme «è un altro vento che squassa lo scenario politico; così come la sconfitta della strategia politica della spallata di Berlusconi, grazie alla maggioranza al Senato, ha provocato uno scossone dentro il centrodestra».

«BASTA SPARARE SULLA DILIGENZA» - Finocchiaro definisce «non percorribili» le ipotesi messe sul tappeto - elezioni subito, dopo il referendum o governo istituzionale - mentre ricorda alla maggioranza il dovere di fissare «alcune questioni essenziali per il Paese, come la grande questione salariale avanzata da Fausto Bertinotti, vorrei sottolineare non solo da lui, ma da tutta la coalizione. Però basta sparare sulla diligenza». Quanto alla legge elettorale, Finocchiaro ritiene utile lavorare guardando alle due ipotesi in campo: il Vassallum e il sistema tedesco «che è quello che sembra raccogliere maggiori consensi». Mentre non vede un consenso sul maggioritario che piaceva al Pd.


08 dicembre 2007

da corriere.it


Titolo: Disgelo tra Bertinotti e Prodi "Il governo durerà, ora le riforme"
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2007, 10:37:53 pm
POLITICA

Dopo gli attacchi, toni concilianti del presidente della Camera

Il presidente del Consiglio: "E' un invito ad andare avanti"

Disgelo tra Bertinotti e Prodi "Il governo durerà, ora le riforme"

 
ROMA - "Il governo e' nato per affrontare i problemi per una intera legislatura. Questo è il suo compito e della maggioranza. Adesso servono le riforme". Dopo giorni di grande freddo tra Fausto Bertinotti e Romano Prodi, il clima sembra migliorare. Un passo avanti rispetto alle dure polemiche seguite all'interista del presidente della Camera su Repubblica. Quel "il progetto di governo è fallito" che aveva fatto sobbalzare palazzo Chigi che aveva replicato con durezza.

Oggi, a margine della cerimonia per il 60esimo anniversario della consegna della medaglia d'oro al valor militare al gonfalone della città di Modena, Bertinotti sottolinea l'importanza "fondamentale" delle riforme: "E' opportuno farle. L'ultimo auspicio che faccio è quello che in questa settimana che si apre alla prima commissione del Senato si avvii la discussione sulla legge elettorale. Così avremo determinato in parallelo con l'avvio della discussione sulla riforma costituzionale cominciata alla Camera, i binari per la prosecuzione di questa stagione che vede nella legge elettorale e nella riforma costituzionale mirata allo sblocco di un sistema politico in crisi, un elemento così importante".

Frasi che provocano l'ironia dell'ex Cdl che parla di voltafaccia del presidente della Camera e un compiaciuto "interpreto queste parole come un invito ad andare avanti" di Romano Prodi. Che, poi, cerca di smorzare del tutto le tensioni: "'Oggi c'è il semaforo verde, qualche volta è rosso. Ma non è che lo stop&go sia una tragedia. E' parte della vita politica".

(8 dicembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: PAOLO BARONI - Il professor Bianchi sul binario morto
Inserito da: Admin - Dicembre 11, 2007, 11:44:18 pm
11/12/2007 (7:45)

Il professor Bianchi sul binario morto
 
Treni, camion, aerei: anno nero per il ministro

PAOLO BARONI


ROMA
Da mesi ormai è inchiodato all’ultimo posto nella classifica che registra la fiducia degli italiani nei ministri del governo Prodi. Ma il responsabile dei Trasporti Alessandro Bianchi sembra non farci tanto caso. Del resto lui è un tecnico, un professore di urbanistica prestato alla politica, per di più in quota Pdci, il più piccolo dei partiti della coalizione. Di certo è poco avvezzo ai salotti tv e con un look tutto suo, molto particolare, e per questo tende a leggere in queste classifiche più un indice di notorietà che un vero e proprio giudizio sul suo operato.

Agli occhi dell’opinione pubblica, invece, è il responsabile di tutti i guai che affliggono il settore dei trasporti: dalla sporcizia dei treni ai ritardi cronici, dai guai dell’Alitalia alle proteste dei padroncini che in queste ore stanno bloccando l’Italia. E in questa fine anno Bianchi è riuscito ad infilare un uno-due certamente non esaltante: il 30 novembre lo sciopero generale dei trasporti e ieri quello dei Tir. «Sciopero politico, pilotato dall’ex sottosegretario di Forza Italia Paolo Uggè», spiegano al ministero di piazza della Croce Rossa. Difficile da prevedere come portata, ma soprattutto difficile da contrastare. Ministro incapace? O impotente? «Più che altro ministro poco politico» risponde un attento osservatore del settore che preferisce restare anonimo. «E’ un professore, non batte mai i pugni sul tavolo, pensa che tutto si possa affrontare col dialogo, col senso di responsabilità e non si rende conto che il mondo funziona esattamente al contrario». Fatto sta che Antonio Di Pietro, con cui Bianchi si è spartito il vecchio dicastero, col suo fare da capo-popolo, va meglio di Bersani e D’Alema che batte regolarmente nelle classifiche di gradimento, raccogliendo più del doppio dei voti di Bianchi: a metà novembre 58 punti contro 25 secondo il sondaggio Ipr Marketing per «la Repubblica». Ma a sua volta l’ex pm non è indenne da critiche: «Se dedicasse alle infrastrutture la metà del tempo che dedica alla tv, forse sarebbe un po’ meno popolare e noi avremmo forse strade messe un po’ meglio» affermano i più maligni.

Ieri, però, è stata l’ennesima giornata nera per il ministro dei Trasporti che ha fatto ancora una volta da catalizzatore delle proteste. «E’ un ministro fallimentare» spiega il vicepresidente della Commissione trasporti della Camera Piero Testoni di Forza Italia. «Ma di che cosa si occupa? Dopo 18 mesi ha dimostrato di non capire cosa succedesse in Alitalia e nelle Ferrovie», per non parlare poi del codice della strada e del blocco dell’autotrasporto». Uggè rincara la dose e lo accusa aver convocato in ritardo il tavolo del confronto, «pur sapendo da oltre un mese che la protesta partiva» ieri. E Bianchi? Non si scompone più di tanto: ieri con una lunga nota ha fatto l’elenco di tutte le iniziative adottate da febbraio ad oggi a favore degli autotrasportatori, tornando a definire «inopportuno» lo sciopero di 4 giorni. Di più, sostengono i suoi collaboratori, non può fare e poi «al ministero i tavoli sono sempre aperti». E’ vero che mentre la Finanziaria è in dirittura d’arrivo tutte le lobby (soprattutto quelle che hanno il potere di tenere in scacco un paese, come i Tir) si fanno sentire, ma forse il compito è troppo grande per essere lasciato tutto sulle spalle del ministro dei Trasporti. All’inizio della legislatura a palazzo Chigi era stata istituita una «cabina di regia» dedicata ai trasporti finita però rapidamente su un binario morto. E da allora i problemi non hanno fatto altro che moltiplicarsi.

da lastampa.it


Titolo: Soldi alla Regione, ultimatum di Illy a Prodi
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2007, 10:54:20 am
Soldi alla Regione, ultimatum di Illy a Prodi 

«Se il governo non rispetta gli accordi, ricorreremo alla Corte Costituzionale e io rifiuterò di ricandidarmi alle regionali»
 
Udine
NOSTRA REDAZIONE



Niente ricandidatura nel 2008 e ricorso alla Corte costituzionale contro la legge finanziaria che il Parlamento sta approvando in questi giorni.

Dal Friuli Venezia Giulia, il governatore Riccardo Illy batte i pugni sul tavolo di confronto con l'esecutivo del premier Romano Prodi e rivendica il rispetto dell'impegno assunto dal governo verso la Regione. Oggetto del contendere, la compartecipazione del Friuli Vg ai tributi (Irpef) versati dai pensionati, che fino ad oggi - attraverso l'Inps nazionale - finivano tutti nelle casse dello Stato.

Illy nell'ultimo anno aveva ottenuto un decreto legislativo dal governo Prodi, risalente al 31 luglio scorso, con cui si stabiliva che nella finanziaria statale per il prossimo anno sarebbe stata inserita la norma per destinare al Friuli Venezia Giulia i sei decimi delle imposte pagate dai corregionali pensionati.

Risorse che si stima ammontino, per la Regione, ad almeno duecento milioni di euro. Illy aveva anche consegnato a Prodi e al ministro delle Finanze, Tommaso Padoa Schioppa, una proposta normativa, con cui si prevedeva l'entrata a regime di quanto stabilito dal decreto estivo nel corso degli anni, partendo da uno stanziamento di un centinaio di milioni di euro. Che, nella fase di elaborazione della Finanziaria 2008, sono scesi a 20 milioni per il 2008 e 30+30 per il 2009-2010. Con il rinvio della norma definitiva a un futuro imprecisato, preceduto da una trattativa tra Stato e Regione per la devoluzione di ulteriori competenze legislative e amministrative.

«L'articolo contenuto nella Finanziaria prevede qualcosa di diverso da quanto stabilito dal decreto di luglio - ha ribadito ieri Illy - a nostro avviso è incostituzionale e se sarà approvato così com'è dal Parlamento, ci saranno due conseguenze: la prima è che la Regione sarà costretta a impugnare davanti alla Corte Costituzionale quell'articolo della Finanziaria; la seconda, sul piano politico, che scioglierò le riserve in senso negativo, non accettando alcuna ipotesi di candidatura nel 2008, nel caso mi venga richiesta».

Illy ritiene, forte dei pareri dell'avvocatura regionale, che questa norma non possa essere regolare, non fissando i tempi precisi dell'entrata a regime dell'accordo. «Inoltre - rileva il presidente della Regione - il decreto legislativo, che ha un valore giuridico più "forte" rispetto alla legge Finanziaria trattandosi di norma pressoché costituzionale, non prevede che il trasferimento di risorse dallo Stato sia condizionato a maggiori competenze. Quindi, il ricorso sarà il passo legale, mentre sul piano politico ritengo di non potermi ricandidare se la mia stessa parte non mantiene gli impegni».

Nei giorni scorsi Illy ha più volte avuto colloqui telefonici con alcuni esponenti del Governo, con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta che ha provato invano a mediare. Alcuni di questi colloqui sono stati caratterizzati anche da toni accesi. Ma ad oggi nulla è cambiato, anche perché sulla norma la Ragioneria di Stato - attenta ai conti nazionali - aveva espresso parere negativo. Senza un atto da parte di Prodi, quindi, il Centrosinistra del Friuli Vg dovrà affrontare le elezioni regionali senza il leader di Intesa democratica vincente nel 2003. «Confido - ha lasciato la porta aperta Illy - che in Parlamento, prima dell'approvazione finale, la norma che ci riguarda possa essere modificata».

Ma dal governo, i segnali al momento non sono positivi. Il sottosegretario agli Interni, Ettore Rosato (triestino come Illy), ha fatto sapere che nulla di più si poteva fare. «Al Friuli Venezia Giulia sono stati garantiti in Finanziaria 20 milioni per la compartecipazione ai tributi per le pensioni, 60 per la viabilità, il rifinanziamento dei fondi per Trieste e Gorizia - elenca Rosato - abbiamo modificato la norma sulla benzina scontata come richiestoci dalla Regione. Apprezzo la determinazione di Illy a volere il meglio per i propri concittadini, ma non si può fare tutto». Intanto deputati friulani e giuliani del Pd hanno presentato (primo firmatario Ivano Strizzolo) un ordine del giorno che impegna il governo a concertare con la Regione modalità e tempi per l'attribuzione di nuove funzioni dallo Stato al Friuli Vg.

La questione solleva reazioni anche da centrodestra. «La politica di Illy è stata improntata al gioco di azzardo e al costante ricatto nei confronti anche della propria coalizione, sapendola debole e perdente - ha attaccato il coordinatore regionale di Forza Italia, Isidoro Gottardo - Il prezzo che il Friuli Venezia Giulia sta pagando è altissimo, sia in immagine che di sostanza. Eravamo conosciuti per una Regione parsimoniosa, siamo diventati noti per l'enorme incremento del debito regionale alimentato da una crescita irresponsabile della spesa pubblica».

Lorenzo Marchiori
 
da gazzettino.quinordest.it


Titolo: Bianca Di Giovanni - Quel vertice blindato a via XX settembre
Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2007, 03:22:33 pm
Quel vertice blindato a via XX settembre

Bianca Di Giovanni


Ci hanno pensato per l'intero pomeriggio: fare ricorso al consiglio di Stato o fermarsi qui nella vicenda Speciale? Ne hanno parlato in lunghi vertici tecnici al ministero dell'Economia. Erano presenti sia i consulenti legali di Tommaso Padoa-Schioppa sia quelli della presidenza del consiglio.
Ovvero: gli estensori del provvedimento «bocciato» dal Tar del Lazio per difetto di motivazione.

Il vertice è stato blindatissimo. Altrettanto difficile poter prevedere le mosse, visto che la sentenza del Tar è ancora sconosciuta ai più. Molti esperti si riservano di leggerla in settimana per valutare la portata della decisione. Sta di fatto che sono numerosi quelli che puntano il dito proprio contro i tecnici per la superficialità con cui si è redatto il provvedimento. «Ancora non leggo la sentenza e quindi per me è difficile commentare - dichiara il senatore Gerardo D'Ambrosio - Ma una cosa è certa: è stata seguita una procedura tutta sbagliata. Se si fosse seguita la strada lineare della revoca motivata dal fatto che è venuto a mancare il rapporto di fiducia tra il generale e il governo, non saremmo arrivati a questo punto». Oggi si è nella nebbia. L'unica cosa certa è che Roberto Speciale non potrà essere reintegrato. Insomma, il generale Cosimo D'Arrigo è e resterà il capo della Guardia di Finanza. Il resto è un gran pasticcio, prodotto più dai tecnici che dai politici. Per questo è assurdo chiedere le dimissioni del ministro o del suo vice.

Ma quale sarebbe stata quella strada lineare invocata da D'Ambrosio? E perché non si è seguita? Difficile capirlo, quando si tratta di una vicenda fatta di segreti, sotterfugi, trappole e giochi a nascondino. Sta di fatto che tra Speciale e il viceministro all'Economia Vincenzo Visco fu subito guerra. Fu il primo a contattare il secondo per avere l'ok sui trasferimenti da autorizzare. Gli presentò una lista in cui comparivano tutti meno che gli uomini della Lombardia. Visco chiese chiarimenti, impose che gli spostamenti fossero decisi collegialmente dai vertici dell'arma, e qui scattò la trappola. Si era ancora nell'estate del 2006, a governo appena insediato. Speciale fece trapelare subito sul «Giornale» (della famiglia Berlusconi) che Visco voleva far fuori gli uomini che indagavano su Unipol. Parlò di un confronto durissimo . Vero: questo fu lo scivolone di Visco. Ma non disse tutto il resto, che era semplicemente falso: non erano quelli gli uomini che indagavano su Unipol. Non ci fu nulla da fare: la notizia era passata.

Sorprendentemente in quell'estate di transizione Speciale ( e il Giornale) si fermò. Passarono lunghi mesi di apparente silenzio: in realtà si consumò una battaglia interna molto difficile. La graticola ricominciò con l'avvicinarsi delle elezioni amministrative nella primavera di quest'anno. Ancora giù interviste, dichiarazioni, sempre assumendo che Visco difendesse i vertici ds su Unipol (falso). Qui il governo commette il suo secondo errore. Decide di chiudere in bonis, come si fa tra gentiluomini. La proposta in consiglio dei ministri la fa Beppe Fioroni: offriamo l'incarico alla Corte dei Conti. Procedura usuale per i generali della Guardia di Finanza. Ma Speciale chiude la porta.

A questo punto si poteva ancora seguire quella strada lineare di cui parla D'Ambrosio. Ovvero: emanare un provvedimento di revoca motivato semplicemente con il fatto che non c'è più fiducia. Stop. L'argomento era chiarissimo: il generale spargeva veleni sui giornali dell'opposizione, c'era una lettera del vicecomandante delle Fiamme Gialle che denunciava il fatto di non essere stato consultato per i trasferimenti (cosa richiesta dalle procedure).

Da non dimenticare anche una motivazione politica: le scelte fiscali di questo governo sono diverse da quello precedente. Tanto basta. Una volta revocato Speciale, si sarebbe dovuto emanare un secondo provvedimento per la nomina di D'Arrigo: anche questo basato esclusivamente sul rapporto di fiducia tra governo e generale. Invece, spiazzati dal no di Speciale, gli uffici si mettono in un vicolo cieco. Emettono un solo decreto (non due) che punta a sostituire il comandante della guardia di Finanza. Come se fosse un passaggio amministrativo, giustificato da tutta una serie di atti che Padoa-Schioppa elenca in Senato. Atti gravissimi. Ma così si spalanca la strada all'obiezione del Tar: se gli atti sono gravissimi, non si può offrire la Corte.

In caso contrario, non c'è motivo di sostituzione. Solo la perdita di fiducia può valere per sostituire un generale.

Pubblicato il: 17.12.07
Modificato il: 17.12.07 alle ore 8.49   
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Titolo: Mio diritto sostituire Speciale
Inserito da: Admin - Dicembre 19, 2007, 05:33:48 pm
Dietro le quinte

LA MOZIONE DI SFIDUCIA DEL Polo viene giudicata «incomprensibile»

Il ministro ai suoi: è assurdo

Mio diritto sostituire Speciale

Il titolare del Tesoro ribadisce «massimo rispetto per il Tar».
«Un atto politico la scelta di rimuovere il generale»

 
ROMA — Difficile immaginare una situazione più paradossale, per un ministro che non è nemmeno un politico di mestiere. Il bello è che la mozione di sfiducia individuale dell'opposizione nei confronti di Tommaso Padoa- Schioppa non è arrivata per un cataclisma economico nazionale. O per un tracollo dei conti pubblici. Oppure per un'inchiesta giudiziaria. È arrivata per una sentenza negativa del Tar su un problema procedurale relativo alla rimozione dell'ex capo della Guardia di Finanza. Per questo il ministro dell'Economia la giudica «incomprensibile ». «Che senso ha una mozione di sfiducia individuale verso un ministro il quale non ha fatto altro che esercitare il proprio diritto, quello di sostituire il capo di un corpo militare con il quale si è rotto il rapporto di fiducia?», ha chiesto ai suoi più stretti collaboratori. Rimarcando per giunta di essersi reso responsabile di quell'«atto politico » non per iniziativa individuale, «ma a nome di tutto il governo», dopo il contrasto esploso fra il generale Roberto Speciale e il viceministro Vincenzo Visco.

Chi ieri ha parlato a lungo con lui riferisce di un Padoa-Schioppa per nulla turbato. «Massimo rispetto per le sentenze del Tar», ha ribadito. Senza però mostrarsi indifferente al nuovo possibile terremoto. Non sorprende il fatto che l'opposizione abbia cavalcato la sentenza Speciale, ancora più di quella sul consigliere della Rai Angelo Maria Petroni, come pretesto per tentare una nuova spallata al governo, trasformando una vicenda di pura procedura in una faccenda di merito, con l'argomentazione che l'esecutivo avrebbe illecitamente sostituito un fedele servitore dello Stato. Ma Padoa- Schioppa rivendica la prerogativa politica, da parte di un governo in carica, di scegliere i vertici delle forze armate e il proprio rappresentante nel consiglio di amministrazione di una società controllata come la Rai. Prerogativa che il ministro dell'Economia, come ha detto a giugno nel suo discorso al Senato proprio sul caso Speciale, ritiene l'essenza stessa del gioco democratico.

«La questione è di sostanza, e la sostanza non è la procedura, ma l'atto politico. Un governo ha il sacrosanto diritto di sostituire un comandante della Finanza verso cui è venuto meno il rapporto fiduciario», ripete Padoa- Schioppa. E mai come in questo caso, lascia intendere, la parola «fiducia » è al posto giusto. Sul suo tavolo c'è sempre quel discorso a Palazzo Madama, con il lungo elenco di addebiti mossi al generale: «Opacità dei comportamenti, gestione personalistica e anomala nei trasferimenti, nelle attribuzioni degli incarichi, negli encomi solenni». Ma ci sono anche gli articoli dei giornali che hanno rivelato l'uso «disinvolto» di aerei ed elicotteri di servizio, con tanto di trasporto di spigole in alta montagna. Per non parlare di quanto è successo dopo la rimozione del generale, che non ha certo contribuito a distendere gli animi. Dichiarazioni, interviste, l'annuncio della discesa in politica. Un comportamento che non soltanto al Tesoro viene giudicato poco consono con lo stile richiesto a un generale dell'esercito.

Gli ultimi stracci sono volati lunedì, quando Speciale ha «ordinato » al capo di stato maggiore della Finanza Paolo Poletti di rendere noto a tutti i finanzieri il testo della sua lettera di dimissioni, come se fosse ancora il comandante generale del corpo e non invece, come gli ha replicato per lettera uno sconcertato Padoa-Schioppa, un generale «ausiliario» ancora non «ricollocato in servizio». Non finirà certamente qui. E non soltanto per la mozione di sfiducia verso il ministro. Nessuno ha ancora escluso un ricorso al consiglio di Stato. Ma ci si dovrà pensare molto bene, dopo che il Tesoro ha incassato tre bocciature di fila, in rapida successione, dai magistrati amministrativi. Perché in questa storia una domanda è ancora senza risposta: com'è stato possibile un simile infortunio?

Sergio Rizzo
19 dicembre 2007

da corriere.it


Titolo: Andrea Carugati - Caprili: "Il governo ha deluso, ma la verifica lo rilancerà"
Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2007, 06:34:23 pm
Miliziade Caprili: "Il governo ha deluso, ma la verifica lo rilancerà"

Andrea Carugati


«Il governo ha disatteso moltissime delle aspettative di chi l’ha votato, e non solo tra gli elettori della sinistra radicale. Ma io non dò per archiviata l’esperienza di questo governo, anzi credo che la verifica di gennaio debba essere un’occasione per rilanciarlo». Milziade Caprili, vicepresidente del Senato ed esponente di Rifondazione, usa toni particolarmente cauti sul rapporto tra la nascente sinistra arcobaleno e palazzo Chigi. Toni più vicini alla prudenza di Mussi e Diliberto che ai leader del Prc. «Non è un mistero che nel nostro partito ci siano posizioni diverse sull’esperienza del governo. Ma alla fine ha prevalso chi la verifica vuole farla davvero, chi pensa che ci siano le condizioni per andare avanti».



Lei vede il bicchiere mezzo pieno?



«Le differenze tra questo governo e quello precedente ci sono e sono sostanziali. Non è vero che non si è fatto niente. Ora ci vuole un salto che ci consenta una “connessione sentimentale” con il nostro popolo, come diceva Gramsci».



Come la vede questa verifica? Non c’è il rischio che ne usciate come da Caserta, con tanti buoni propositi e poi tutto ricomincia come prima?



«Non credo che ci sia la possibilità di vivacchiare: o ne usciamo con un rilancio reale, oppure ognuno andrà per la sua strada».



Come si misura questo rilancio reale?



«Dalle questioni del lavoro: che vuol dire salari, precarietà e sicurezza. Questa è la vera cartina di tornasole. Ci sono altri temi chiave, come i diritti civili, ma la cosa più importante è la questione-lavoro: il fenomeno dell’impoverimento delle famiglie si sta allargando anche al ceto medio. Bisogna concentrare gli sforzi, e anche le risorse, su questo».



Crede che la Sinistra si muoverà compatta nella verifica?



«È noto che ci sono posizioni diverse tra i quattro partiti e anche all’interno di Rifondazione. E tuttavia anche oggi (ieri, ndr) in Senato sulla Finanziaria abbiamo parlato con una sola voce: è un’abitudine ormai consolidata. Non escludo che, alla fine, ci possano essere valutazioni diverse sui risultati raggiunti nella verifica. Ma l’idea di una consultazione larga, che vada oltre gli iscritti dei partiti, può aiutarci».



Pdci e Verdi non sembrano molto convinti di questo referendum...



«La discussione è in corso, io credo che una consultazione dal basso possa essere salutare. Noi faremo una consultazione anche prima, per scegliere i temi della verifica, e poi una successiva. Sarà un’operazione impegnativa, per questo abbiamo deciso di rinviare il congresso».



Secondo lei nel popolo della sinistra prevale la voglia di salvare questo governo o viene considerato morente?



«L’affetto è certamente diminuito perché non sono stati affrontati nodi come la legge 30 e il conflitto d’interessi, e tuttavia pesa ancora moltissimo la paura di un governo di destra. I cinque anni di Berlusconi hanno inciso profondamente sulla sensibilità della gente di sinistra».



Cosa insegna la vicenda del decreto sicurezza?



«Non ho elementi per dire se quell’errore al Senato sia stato studiato, diciamo che è figlio di un accordo pasticciato dell’ultim’ora».



E il nuovo decreto?



«Prima vorrei leggere il testo. Ma se c’è l’impegno del governo per avere tempi certi sul ddl stalking e omofobia non vedo perché non debba passare anche in Senato. Però è inaccettabile che il dissenso plateale della senatrice Binetti passi in secondo piano, mentre quando le critiche arrivano da noi ci danno degli estremisti».

Pubblicato il: 21.12.07
Modificato il: 21.12.07 alle ore 8.16   
© l'Unità.


Titolo: Ninni Andriolo - Sircana: «Servono ancora riforme ma ora i risultati si vedono»
Inserito da: Admin - Dicembre 23, 2007, 11:01:10 pm
Sircana: «Servono ancora riforme ma ora i risultati si vedono»

Ninni Andriolo


Onorevole Sircana, anche il Times di Londra racconta un’Italia vecchia e depressa. Resoconto ingeneroso o ritratto fedele di ciò che rimane del Belpaese?

«Permette una battuta?».

Prego, ma le ricordo che già il New York Times aveva descritto gli italiani infelici...

«Appunto. Potrei cavarmela con la battuta sulla lobby del Prozac che sta cercando di sfondare sul mercato italiano o con l’ironia della Littizzetto: “belgi e francesi, invece, sai quanto sono allegri...!”».

Deve ammettere che gli spagnoli sorridono più di noi...

«Ma non ci hanno ancora superato. In questo Paese si dà molto spazio alla stampa straniera quando ci dà addosso e poco quando ci esalta e racconta i nostri meriti. Les Echos di due settimane fa esprimeva giudizi lusinghieri sulla nostra economia e sul sistema italiano delle esportazioni e quasi nessuno qui da noi ci ha fatto caso».

Che tipo di Paese siamo, allora, dopo quasi due anni di governo Prodi?

«Non siamo né un Paese triste né depresso. Siamo un popolo troppo spesso tentato dall’autocritica, invece. Vorrei ricordare che vantiamo 60 milioni di commissari tecnici della nazionale. Detto questo è vero quello che ripete spesso il presidente Prodi...».

E cioè?

«Che questo è un Paese che deve tornare a credere nei propri mezzi e ad aver voglia di vincere. E vorrei ricordare che ci sono imprese grandi e medio piccole che stanno vincendo anche sul terreno internazionale. C’è da aggiungere che il nostro è un Paese che ha un tessuto economico e sociale particolare. Un Paese con pochi campioni nazionali e molti campioncini che stanno crescendo...».

Non sarà anche un certo andazzo della politica a deprimere gli italiani? Chiacchiericcio, scontri e pochi fatti concreti. Mentre le riforme marciscono negli archivi delle buone intenzioni.

«Sicuramente c’è bisogno di riforme, in primo luogo di quelle che riguardano la legge elettorale, i regolamenti parlamentari, i poteri del premier e il superamento del bicameralismo perfetto. Detto ciò va sottolineato che la politica ha raggiunto un record di dialettica che fa prevalere la comunicazione della negazione sulle cose positive che pure si fanno. Se dico che oggi è il 23 Dicembre, il mio oppositore deve sostenere che non è vero, perché oggi è il giorno di Natale. Di qui la difficoltà di fare una comunicazione rotonda. Un meccanismo che è entrato anche nel sistema dei media. Tutto questo non permette di far capire alla gente ciò che si fa e ciò che resta da fare. E ingenera dubbi e incertezze».

Non c’è anche un limite nel governo? Prodi sostiene che i fatti faranno giustizia dei pregiudizi. Un giorno, magari, i fatti diranno la loro, nel frattempo si sedimentano orientamenti che li annebbiano...

«Prendiamo l’esempio di Alitalia. Il governo dovrà analizzare i documenti e assumere una decisione definitiva, ma c’è già chi è certo che la vicenda andrà a finire in un certo modo. È la fretta di trarre conclusioni che ci fa seminare illusioni che alimentano attese. E la comunicazione del governo deve fare sforzi titanici per recuperare. Va ricordato, in generale, che qualunque proposta del Consiglio dei ministri deve poi passare al vaglio delle Camere che possono confermarla o modificarla. Se si dà per fatta quando esce da Palazzo Chigi, e poi cambia in corso d’opera, è perché le regole di una democrazia parlamentare vanno rispettate».

Colpa del sistema istituzionale, quindi?

«In realtà c’è troppa fretta di trasformare in qualcosa di definitivo ciò che è ancora in corso di definizione. Sempre a proposito di Alitalia, penso che anche il governo inglese si concederebbe il tempo fisiologico che si sta prendendo il nostro per ponderare e assumere una decisione definitiva».

Deve ammettere che con questo andazzo la comunicazione dell’opposizione ha buon gioco e passa prima nel Paese: «La Finanziaria è da buttare, Prodi andrà presto a casa...».

«Passa prima, ma lascia profonde cicatrici e danneggia un Paese che deve recuperare sicurezza e certezza di sé».

Se ne esce sperando, con Prodi, che il tempo sarà galantuomo? La Finanziaria prevede sgravi sull’Ici, detrazioni sui mutui, tagli ai costi della politica... Avete confezionato una strategia per far conoscere agli italiani ciò che è stato deciso?

«In questa direzione lavoriamo noi e lavorano i ministeri interessati. Ma la merce più preziosa che abbiamo da vendere è la pazienza. E questo governo, dopo un anno e mezzo, comincia a essere considerato per le cose positive che sta facendo. Viviamo in un mondo impaziente, c’è bisogno di pazienza per far comprendere i risultati che già si avvertono e saranno sempre più evidenti in futuro».

Un futuro che Berlusconi non vede davanti al governo Prodi. La spallata di novembre non c’è stata, lui però la ripropone a gennaio...

«La sua è la sindrome del giocatore seriale: gioca gli stessi tre numeri al Lotto convinto che prima o poi usciranno. Probabilmente nell’aprile del 2011, con la conclusione naturale di questa legislatura, Berlusconi magari c’azzeccherà sulla fine del governo Prodi...».

Saranno «i fatti» del Professore a vincere la partita sugli annunci del Cavaliere?

«Per noi non vale le logica della gara dove c’è chi vince e c’è chi perde. Noi dobbiamo continuare a fare ciò che stiamo facendo per il bene del Paese».

A dispetto di una maggioranza litigiosa che moltiplica gli annunci di suicidio politico?

«Bisogna ricordare che le elezioni ci sono state, l’indicazione di un governo c’è stata e che tutti abbiamo approvato un programma comune. Dire “qui siamo e qui restiamo” significa affermare che rimaniamo ancorati alla promessa fatta agli italiani e alla garanzia di mantenerla».

Sarà questa la filosofia della verifica di gennaio?

«Sono i nostri compiti per le vacanze di fine anno ed è prematuro rispondere appena chiusa la scuola. La verifica da compiere è se siamo ancora d’accordo sulle 280 pagine del programma e sugli obiettivi che queste prevedevano, e che sono stati in gran parte raggiunti o messi in cantiere. C’è ancora molto da fare, ma vorrei ricordare che abbiamo condiviso un programma di legislatura».

Prodi annuncia il miglioramento dei salari. Come troverete la quadra tra Giordano che mette al centro l’emergenza sociale e Dini che vigila sui conti dello Stato?

«Non c’è nessuno che vuole la bancarotta dello Stato. Il recupero dell’evasione fiscale ci consentirà margini importanti per una politica che favorisca, dopo i pensionati più poveri e gli incapienti, una redistribuzione che, partendo dal basso, migliori i salari».

E Dini, Bordon o Fisichella che considerano chiusa la fase politica di questo governo?

«Siamo convinti della razionalità di ciò che stiamo facendo e, se non prevarrà il calcolo politico, la perseveranza di Prodi verrà ancora premiata».

Lei è il portavoce del governo, quale consiglio dà con maggiore frequenza a Prodi?

«Io ormai prendo solo consigli da Prodi e quello che mi dà più spesso è un’incitazione alla calma e all’ottimismo. E devo ammettere che i fatti, se pur faticosamente, gli danno ragione».


Pubblicato il: 23.12.07
Modificato il: 23.12.07 alle ore 15.04   
© l'Unità.


Titolo: FISCO, VELTRONI INCORAGGIA PREMIER.
Inserito da: Admin - Dicembre 24, 2007, 10:56:07 am
2007-12-23 21:03

FISCO, VELTRONI INCORAGGIA PREMIER.

SINDACATI:ORA FATTI


Archiviata la Finanziaria e incassato il via libera al pacchetto welfare, il premier Romano Prodi ha pronta l'agenda 2008: quattro punti con al centro il recupero del potere d'acquisto dei salari dei lavoratori, attraverso interventi fiscali, quali bonus, detrazioni e la riduzione dell'Irpef, che il vice ministro dell'Economia Vincenzo Visco, reputa essere il "tema del 2008". "Il recupero dell'evasione fiscale - spiega il portavoce del Governo, Silvio Sircana - ci consentirà margini importanti per una politica che favorisca una redistribuzione che, partendo dal basso, migliori i salari".

Il piano del premier viene accolto in modo cauto dai sindacati, che non si accontentano della politica degli annunci e chiedono l'apertura di un tavolo di confronto.

Mentre il segretario del Pd, Walter Veltroni, esprime "un giudizio positivo" sulla proposta. "Il 2008 deve essere l'anno della crescita dell'economa e di quella dei salari", sostiene il leader dei Democratici, spiegando che per "i redditi si possono usare strumenti immediatamente efficaci e comprensibili a tutti, come un forte aumento delle detrazioni per le spese di produzione del reddito da lavoro dipendente". "Dopo tanti proclami sulla necessità di aumentare le retribuzioni del lavoro dipendente, arriva l'annuncio che il Governo sta articolando una proposta", commenta il segretario confederale della Cgil, Marigia Maulucci. "Ci auguriamo che non si tratti solo di un annuncio e speriamo che il Governo rammenti che sul rafforzamento di salari e stipendi, Cgil, Cisl e Uil, hanno approvato una piattaforma densa di proposte specifiche, l'hanno inviata all'esecutivo e sono in attesa di una convocazione formale di un tavolo di confronto". Dello stesso tono il commento del segretario confederale della Cisl, Pierpaolo Baretta: "Ben venga il piano del governo ma è necessario che al più presto queste dichiarazioni si traducano in un piano operativo attraverso la convocazione di un tavolo". Per Baretta, la strada migliore da seguire è quella di un confronto "di merito che riduce i rischi di un approccio solo politico".

Valutazioni positive sul piano del Governo anche dalla Uil. Il segretario confederale Domenico Proietti "apprezza la volontà annunciata, però riteniamo che si debba entrare nel merito. E' fondamentale intervenire prima sul lavoro dipendente attraverso un aumento delle detrazioni e una detassazione degli aumenti contrattuali. Questo è l'intervento che ci aspettiamo in via prioritaria. Poi possiamo cominciare a parlare più in generale di riforma Irpef". Per Cgil, Cisl e Uil il ridare potere d'acquisto ai salari, come previsto dal piano Prodi, è un tema connesso alla riforma dei contratti che, per il ministro del Lavoro Cesare Damiano, è la strada maestra per centrare questo obiettivo. Per il ministro sarebbe opportuno passare a una cadenza triennale sia per la parte normativa sia per quella economica. Sarebbe inoltre importante "prevedere un'inflazione programmata vicina a quella reale" e "potenziare la contrattazione decentrata". Sul piano fiscale, gli interventi che, secondo Damiano, il Governo può fare sono "sulle aliquote, oppure sulla specifica detrazione da lavoro o anche la restituzione del drenaggio fiscale", senza dimenticare l'adeguamento delle pensioni. 

da ansa.it


Titolo: Marcella Ciarnelli. Si sfila anche Pallaro. Violante a Dini: guarda i risultati
Inserito da: Admin - Dicembre 25, 2007, 06:59:09 pm
Si sfila anche Pallaro. Violante a Dini: guarda i risultati

Marcella Ciarnelli


Anche il senatore argentino Luigi Pallaro prende le distanze dal governo che pure, finora, ha contribuito a tenere in piedi. Peraltro divertendosi «un sacco» a fare «l´ago della bilancia». Ma ora ci vuole un cambiamento. «A Palazzo Chigi sarebbe bene che tornasse Berlusconi» dice in un´intervista a Libero. «Io e lui abbiamo un´ottima amicizia, siamo in sintonia. Ma partiamo da un principio: a me non ha mai fatto nessuna offerta» precisa il senatore, il cui nome ricorre tra quelli che sarebbero stati "corteggiati" dal Cavaliere nel tentativo, non riuscito, di dare la spallata al governo Prodi.

La posizione presa da Pallaro si va ad aggiungere a quella di Lamberto Dini che ancora una volta, sul Corriere della Sera, ha provveduto a spiegare il perché della sua decisione di non appoggiare più Prodi da ora in poi. «Può un governo senza una maggioranza in Senato, attraversato da conflitti e visioni opposte non solo in materia di politica economica e sociale, reggere alle sfide che stanno di fronte al Paese? La risposta mia e dei Liberaldemocratici non può che essere negativa». Quindi bisogna cambiare. «Solo un esecutivo di larghe intese, che nasca anche sulla base di un contributo delle componenti migliori del mondo intellettuale, economico e sociale, coinvolte nello sforzo di risanamento del Paese può rispondere alle vere sfide che ha di fronte».

Un governo di transizione, dunque. Questa la soluzione Dini. Luciano Violante, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, invita Dini a guardare agli obbiettivi raggiunti. «Più si guarda ad essi, più si consolida la coalizione. È su questo terreno che bisogna operare per rilanciare la maggioranza, perché non si può ridurre tutto ad una mera questione di numeri». Per il ministro Clemente Mastella «non c´è spazio per l´ipotesi di un esecutivo di larghe intese. Si può modificare la legge elettorale, anche questo Parlamento può farlo, e si va al voto a primavera inoltrata. Questo sarebbe l´unico dato di correttezza, l´unico percorso lineare». L´ipotesi di un governo istituzionale non piace al segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto. Ed un altro no alla proposta Dini arriva dal capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Bonelli: «O si finisce la legislatura con Prodi o si va al voto». Mentre Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione al Senato, invita il leader dei liberaldemocratici ad «uscire dall´ambiguità» e a dire con chiarezza «se vuole verificare la possibilità di ricontrattare un programma comune o se invece va solo in cerca di scuse». Contro i professionisti dello «smarcamento» si è dichiarato Franco Monaco. Dall´altra parte grande interesse per la proposta è stato espresso da Sandro Bondi, coordinatore di Forza Italia, ma non dal leghista Roberto Calderoli che è per le elezioni prima dell´estate. Governo istituzionale sì per l´Udc Cesa in modo da poter fare le riforme, poi voto.

La questione è politica oltre che di numeri. A dare una mano al governo Prodi, su quest´ultimo punto, potrebbe arrivare la decisione della Giunta per le elezioni del Senato che assegnando gli otto seggi in discussione, farebbe aumentare il numero dei senatori pro governo. Ma bisognerà aspettare la fine di gennaio.

Pubblicato il: 24.12.07
Modificato il: 24.12.07 alle ore 15.17   
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Titolo: Il viceministro: «Il risanamento va avanti»
Inserito da: Admin - Dicembre 27, 2007, 11:08:34 am
Nel 2008 doppia sfida: sostenere i salari e proseguire sul fronte del risanamento

Finanziaria, scontro Visco-Fmi

Alcuni analisti del Fondo: «Italia poco coraggiosa». Poi la smentita.

Il viceministro: «Il risanamento va avanti»

 
ROMA - L'Italia mostra attualmente «poco coraggio» sul fronte della spesa pubblica, e nel prossimo anno il nostro Paese dovrà affrontare una doppia sfida: sostenere i salari, e, nel contempo, proseguire sul fronte del risanamento sfruttando anche la «buona ripresa in atto». Sarebbero queste, secondo quanto appreso da alcune agenzie di stampa, le prime valutazioni sulla manovra economica da parte di alcuni analisti del Fondo monetario internazionale. Valutazioni smentite poi seccamente da una nota del Fondo stesso, che rimanda i giudizi ufficiali sulla manovra italiana a fine gennaio 2008, quando una «missione del Fondo Monetario Internazionale visiterà l’Italia per le regolari consultazioni relative all’articolo 4, e diffonderà le sue analisi e le sue raccomandazioni sulla visita subito dopo la sua conclusione».

LA REPLICA - In merito alle ufficiose osservazioni di tecnici dell'Fmi tuttavia ( «Sarebbe servito più coraggio per affrontare le sfide che l'Italia ha davanti nel 2008») non si è fatta attendere la secca replica di Visco: «I rilievi del Fondo monetario internazionale mi sembrano già sentiti: un po' rituali - ha detto il viceministro all'Economia, sottolineando che «il risanamento continua. Lo si vede e lo si continuerà a vedere dai conti. Noi stiamo realizzando gli obiettivi concordati, il processo di risanamento andrà avanti, i dati per come li vediamo noi, e per come li vedono tutti, sono buoni», ha aggiunto Visco. Secondo l'Fmi, l'Italia corre il rischio di non centrare l'obiettivo di riduzione di spesa fissato per il 2008. Anche la riforma del welfare, secondo gli ispettori di Washington, non è strutturale. «I risultati sono gli stessi della riforma fatta dal precedente governo - ha aggiunto Visco - questi rilievi rappresentano un punto di vista, già sentito. Vedremo».

ISPETTORI A ROMA - I rilievi del Fmi vengono espressi a poco meno di un mese dall'annunciato arrivo in Italia della missione degli ispettori dell'organizzazione. Solitamente fissata in agenda negli ultimi mesi dell'anno, la visita della delegazione è stata fatta slittare e rinviata al prossimo 24 gennaio. In concomitanza della presentazione del rapporto, il Fondo nella bozza dell'article IV aveva già detto la sua in merito alla Finanziaria definendola «ben impostata per portare il deficit di bilancio sotto il 3% del Pil, grazie soprattutto a entrate superiori al previsto nel 2006». Il Fondo aveva comunque allora riconosciuto che «la situazione politica è difficile: la maggioranza del governo è sottile e alcuni partner della coalizione fanno resistenza alle riforme di mercato». Non era mancato neppure il riferimento alla spesa e sull'esigenza di un consolidamento fiscale basato proprio su tale voce: «la Finanziaria - si leggeva nel rapporto - si fonda eccessivamente su maggiori entrate», mentre servono «più moderni processi di bilancio; un'azione decisiva per spingere la competitività interna; una seconda ondata di riforme del lavoro; e un miglioramento dei mercati finanziari».


26 dicembre 2007(ultima modifica: 27 dicembre 2007)

da corriere.it


Titolo: Un anno di governo, il resoconto di Prodi
Inserito da: Admin - Dicembre 27, 2007, 09:58:41 pm
Al centro salari e potere d’acquisto, riforma della P.A e poi ricerca e opere pubbliche

Un anno di governo, il resoconto di Prodi

«L'Italia si è rimessa a camminare. Nel 2008 calo delle tasse per i lavoratori».

Piccoli partiti: «Vanno salvati»

 
ROMA - Romano Prodi traccia le linee dell'anno che sta finendo e tira un sospiro di sollievo. In tanti avevano pronosticato che non sarebbe arrivato a mangiare il panettone ma lui è ancora lì, in sella a Palazzo Chigi. Anche se non molto saldo, visti gli attacchi massicci non solo dell'opposizione ma anche degli alleati (vedi Dini) e con il fiato sul collo dell'incognita della verifica chiesta dai compagni di viaggio a gennaio. Ma il premier, com'è sua consuetudine, non molla e guarda avanti. «L'Italia è un Paese che si è rimesso a camminare e che è uscito dalle emergenze. Lo dicono tutti i numeri. la crescita si attesta da due anni attorno al 2% e il debito sta calando costantemente. Chiuderemo l'anno col un deficit molto più basso del previsto: sotto il 2%, cifra inferiore a tutte le previsioni», così ha esordito nel presentare il resoconto delle attività di Governo per il 2007.
«Ma le cifre non sono il solo problema, esiste anche una crisi legata alla mancanza di fiducia, che impedisce di camminare spediti. E' fondamentale essere rientrati sotto i parametri che chiedeva l'Europa. un risultato che ci permette di pensare a politiche di programmazione più efficaci. Eppure questo dato non ha cambiato le difficoltà di molte famiglie. Ma la messa in ordine delle nostre casse ci permetterà a fine legislatura di scendere sotto il 100% nel rapporto deficit/Pil , e questo permetterà di liberare risorse per le famiglie, per l'ambiente e per la sicurezza».

CRIMINALITA'- «Il 2007 è stato anche l'anno della rimonta contro la mafia. Ma è importante non abbassare la guardia. Comunque il clima è cambiato e in Sicilia molti cittadini hanno trovato la forza di rialzare la testa. Lo Stato non si fermerà nella lotta alla mafia e alla camorra».

LAVORO - Il tasso di disoccupazione in Italia è il più basso «da 25 anni, nettamente sotto la media europea» ha detto Prodi. Secondo il premier, però, ancora nel Sud «un lavoro pulito e onesto resta per molti un sogno».Prodi ha ricordato la lotta l lavoro nero e l'abolizione dello scalone. Un accenno anche alla sicurezza sul lavoro, definita una grande emergenza nazionale. «Le camere hanno approvato un disegno per questo problema: ora gli strumenti devono diventare operativi e ognuno dovrà prendersi le proprie responsabilità».

WELFARE- «Siamo un Paese che invecchia. le famiglie vanno aiutate. La Finanziaria ha stanziato 800 milioni per le famiglie, che comprende investimenti per gli asili ma anche per gli anziani non autosufficienti».

REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO- «Il 2007 è stato anche l'anno del tesoretto». «L'extra gettito è stato usato per aumentare le pensioni e per l'extra.-bonus di 150 euro, che non è una panacea ma è un primo segnale per la redistribuzione del reddito, un problema che va urgentemente affrontato».


POLITICA ESTERA - Il Premier, dopo aver ricordato i riconoscimenti ricevuti dall'estero le politiche internazionali dell'Italia ha invitato a «uno sguardo meno concentrati su se stessi».

LA CASTA - «Il 2007 è stato l'anno dell'antipolitica e della "casta", ma la moralizzazione è stata una priorità del mio Governo molto prima delle inchieste giornalistiche e nella finanziaria, non a caso, è stato annunciato un solido, pacchetto per dare efficienza alla macchina della politica»

PROGRAMMI PER IL 2008 - «Dovrà essere l'anno in cui proiettiamo l'Italia nel futuro» ha detto Prodi:. «Ho ben chiare quali sono le politiche e le azioni da adottare. Grazie alla straordinaria azione contro l'evasione fiscale pensiamo che non meno di 20-21 miliardi di euro siano rientrati e questa proseguirà anche nel prossimo anno. Ma la vera sfida è l'efficienza della pubblica amministrazione, che va fatta marciare più speditamente, va resa più snella, più leggera e meno costosa»

ENTI PREVIDENZIALI - «Vogliamo riformare profondamente gli enti previdenziali, a partire da gennaio.Questo comporterà un risparmio di qualche miliardo di euro. Sempre dal 2008 diminuiremo ancora il numero eccessivo di adempimenti burocratici. L'anno prossimo sarà possibile fare una sola comunicazione obbligatoria per il lavoro e lo stesso per le imprese».

INFORMATIZZAZIONE -Il Premier ha insistito molto anche sulla progressiva informatizzazione dei servizi e della burocrazia, con riferimenti anche alle attività giudiziarie.

AMBIENTE- «Doteremo di pannelli solari tutti gli edifici pubblici, tranne quelli di valore storico, a partire dalle scuole. Sarà obbligatorio anche adottare lampade a basso consumo energetico. dal 2011 saranno in vendita in Italia solo lampadine a ridotto consumo energetico. Risparmi ci saranno anche sullo spreco di carta».

CRESCITA - «Bisogna ridare fiato alla ricerca, per cui stiamo studiando le modalità di finanziamento per rinnovare le dotazioni dei laboratori scientifici delle scuole e poi bisognerà accelerare i tempi per l'assunzione dei 3mila ricercatori in attesa».

SALARI - «In Italia c'è un problema di reddito per i lavoratori i cui salari hanno perso molto potere d'acquisto, al punto che anche lo sviluppo del paese ne risente negativamente. Bisogna agire prontamente, ma prima è necessario che cresca anche la redditività e che siano ridotte le imposte sui salari medio-bassi».

GOVERNO CADE CON VOTO SFIDUCIA, NON CON ALTRI STRUMENTI - Sollecitato da un giornalista sulle recenti dichiarazioni di Dini, secondo il quale il governo non ha più i numeri per andare avanti. Prodi ha risposto: «Un governo si abbatte con un voto di sfiducia, non ci sono altri strumenti, non con le dichiarazioni o le interviste».

PICCOLI PARTITI - «Sono convinto che il lavoro che si sta facendo e si farà nei prossimi mesi sarà anche uno strumento per una ricomposizione e un ricompattamento delle forze politiche. Quello che io voglio è che evidentemente non vi sia una messa fuori gioco dei partiti minori. Questo non è nelle mie intenzioni e mi batterò affinché questo non avvenga».

RAPPORTI CON GLI USA- «Rispetto alla politica italiana sull'Iraq non c'è necessità di alcun cambiamento» e da questo punto di vista non dovrebbero esserci modifiche nell'approccio con gli Stati Uniti impegnati nella campagna presidenziale» ha specificato il presidente del Consiglio durante la conferenza stampa seguita alla presentazione del resoconto i fine anno, aggiungendo che «quanto avevo da dire l'ho già detto a Bush» e la decisione di ritirarsi è stata presa «in lealtà e serenità» e quindi «non ci sono stati problemi» e «ho anche avuto il riconoscimento da parte di Bush che mi ha detto che si sarebbe meravigliato se ci fossimo comportati diversamente». Questo approccio non risente di eventuali cambi di scenari politici negli Usa, dove è ipotizzabile una vittoria alle presidenziali per un candidato del partito democratico: «Noi non sosteniamo candidati ma linee politiche -ha detto Prodi- questo magari porterà a linee più vicine a quelle dei democratici, ma noi non sosteniamo candidati in Paesi stranieri».

KOSOVO - Romano Prodi ha assicurato che in Kosovo «l'Italia farà la sua parte». «Non ci tireremo certamente indietro» rispetto alla missione civile e di ricostruzione dello Stato decisa dall'Ue, ha affermato il presidente del Consiglio nel corso della conferenza stampa di fine anno. È una missione «indispensabile» a fronte di uno scenario «complicato» per l'impossibilità di trovare una soluzione concordata tra serbi e albanesi»..

VERTICI ENI, ENEL E POSTE- Sulle nomine dei vertici di Eni, Enel e Poste, Prodi ha specificato che queste imprese sono state «aiutate dal Governo che ne ha garantito l'indipendenza» e ha assicurato che non ci saranno problemi nell'identificazione delle persone da mettere a i vertici delle imprese, tenendo presente le regole del mercato e del contesto internazionale.

ALITALIA - Sul nodo Alitalia Prodi ha chiarito che la decisione sarà presa entro la metà di gennaio. «La procedura è stata di grandissima trasparenza» ha detto Prodi. A Prodi è stato chiesto se fra i criteri di scelta del governo nel selezionare il partner per Alitalia si terrà conto anche delle proteste di politici e sindacalisti, delle rivolte o del criterio della nazionalità. Il presidente del Consiglio ha risposto che nessuno di questi sarà un criterio di scelta, perchè il criterio sarà «la capacità del partner di integrare Alitalia nel sistema mondiale».

PRIVATIZZAZIONI - «Sono rimaste poche aziende da privatizzare. Andremo avanti con le privatizzazioni, ma in armonia con quanto avviene nel resto d'Europa. Troppe volte ho visto il mercato italiano aperto all'estero, ma non viceversa, quindi non accetto lezioni da chi non è aperto quanto noi al mercato. Non voglio che l'Italia diventi soltanto un soggetto appetibile all'acquisto da parte di imprese straniere».

LEGGE ELETTORALE - «La legge elettorale non è tema del governo ma va fatta dal Parlamento con una grandissima maggioranza. Non voglio cambiarla perchè poi sia cambiata con il cambio del Governo». «Io ho sempre pensato che la legge elettorale debba dare stabilità e alternanza. Mi sembra che l'inizio del dialogo sia stato ottimo, ma siamo solo all'inizio, anche perchè la legge elettorale deve andare di pari passo con le riforme delle attività parlamentari».

VERIFICA DI GOVERNO - Rispondendo a una domanda specifica su una ventilata verifica di Governo a gennaio Prodi ha ribadito: «Il governo funziona, non ci sarà una verifica».

TASSAZIONE RENDITE FINANZIARIE - La tassazione delle rendite finanziarie resta nell'agenda del governo. «Il governo ci sta lavorando» ha detto Prodi. «E rimangono nel programma di governo che è un programma quinquennale e sono passati solo 18 mesi».

MUTUI SUBPRIME - «In Italia sui mutui subprime n Italia non dovremmo avere conseguenze». Ci «Ci potrebbero essere conseguenze , speriamo limitate, sulla crescita a causa dell'impatto di questo fenomeno sugli Stati Uniti. Non credo però che ci sarà un'ondata a catena che porterà a una crisi generale perchè i Paesi asiatici, che crescono a ritmo elevatissimo, dovrebbero bilanciare il problema e impedire il crollo dell'economia mondiale».


27 dicembre 2007

da corriere.it


Titolo: Andrea Carugati - Giordano: «Il premier ignori i rumori di palazzo»
Inserito da: Admin - Dicembre 27, 2007, 10:06:55 pm
Giordano: «Il premier ignori i rumori di palazzo»

Andrea Carugati


Davanti all’ennesimo annuncio di Lamberto Dini sulla fine della maggioranza in Senato, il leader di Rifondazione Franco Giordano sceglie, diversamente dal solito, di non attaccare a muso duro il senatore liberaldemocratico. E al premier Prodi manda un messaggio che ricorda il dantesco “Non ti curar di loro ma guarda e passa”. «Quel tipo di critiche sono rumori di palazzo, inesistenti nella società italiana: rumori che nascono nei luoghi del potere e lì possono morire. Prodi non si lasci ossessionare da queste giravolte, ma guardi al dolore reale della società italiana, salari, prezzi, sicurezza sul lavoro, precarietà. Se dopo la verifica di gennaio il governo metterà in campo provvedimenti seri su questi fronti, e si riconnetterà con i bisogni reali del Paese, bene, sfido i Dini, i Bordon e i Manzione a mettersi di traverso».

Però anche voi non siete stati teneri con il governo...
«Tra noi e Dini ci sono due modi radicalmente opposti per affrontare le difficoltà di questa fase: noi puntiamo a interpretare il malessere della società italiana che la tragedia della Tyssenkrupp ha messo in evidenza in tutta la sua drammaticità. Le critiche di Dini e di altri, cui i numeri del Senato regalano una visibilità sproporzionata, possono essere rese flebili e inesistenti se si rompe lo schema dell’autoreferenzialità di palazzo. Voglio vedere se qualcuno può dire di no alla detassazione degli aumenti contrattuali e allo sblocco dei contratti nazionali».

E tuttavia la questione Dini non può essere elusa. A cosa punta il senatore?
«Ho difficoltà a inseguire questa logica, osservo questa maionese impazzita e sono ben felice di starci lontano».

Con che spirito andrete alla verifica di gennaio?
«Non lavoro per una crisi, anche se ritengo che la verifica sia aperta a tutti gli esiti. Ma dopo la strage della Tyssenkrupp è chiaro che una politica che non affronti quei temi è inservibile, da buttare. E ho colto positivamente che Prodi voglia intervenire sulle retribuzioni, anche con politiche fiscali. È un segnale di attenzione che apprezzo».

Ma se la crisi ci fosse?
«Bisognerebbe fare subito una nuova legge elettorale, e anche alcune modifiche costituzionali. Il referendum sarebbe devastante, e tali sarebbero due listoni contrapposti e molto eterogenei, uniti solo dall’essere contro qualcuno. La legge elettorale è un’emergenza e il sistema tedesco ha una maggioranza in Parlamento».

Per farla può servire un governo istituzionale?
«Non è un tema su cui è utile cimentarsi adesso».

Che vantaggio avreste da un sistema tedesco che riproporrebbe un grande centro come ago della bilancia?
«Siamo pronti a misurarci con questo problema. Ma dipende dalla forza del tuo progetto. Se la sinistra sarà forte e il Pd avrà qualche riferimento sociale dubito che il centro avrà tutto questo peso. E poi, mi scusi, non è il Pd il vero grande centro?

È un’opinione. Torniamo alla verifica.
«I nostri temi sono sul tappeto: detassare il lavoro dipendente, investire su sicurezza del lavoro e lotta alla precarietà. E poi la questione dei prezzi, su cui serve un intervento molto deciso. Cito un esempio abbastanza insolito per me: Sarkozy, quando era ministro dell’Economia nel 2004, convocò le associazioni del commercio e minacciò un controllo sistematico se i prezzi non fossero stati abbassati di un tot ogni semestre. La cosa ha funzionato, facciamolo anche noi. Poi penso a tariffe sociali per le bollette, dal riscaldamento all’elettricità, per chi è sotto una certa soglia di reddito».

Insomma, lei propone di cadere facendo qualcosa di sinistra?
«Secondo me, se interveniamo davvero su salari, prezzi e precarietà, non cadiamo. Vado alla verifica determinato ma anche fiducioso».

Però il sottosegretario Grandi dice che per i salari bisogna aspettare la trimestrale di marzo. Adesso i soldi non ci sono.
«Sui tempi Grandi ha ragione. Per trovare le risorse si potrebbe lavorare immediatamente sulle rendite finanziarie: non penso a espropri proletari, ma possiamo avvicinarci al livello di tassazione europeo, esonerando quell’11% costituito dai piccoli risparmiatori. Decidiamo insieme la soglia sopra cui portare le tasse al 20%».

È questione annosa e delicatissima...
«È una sciocchezza dire che i capitali scappano se ci avviciniamo alla soglia europea. Proviamo ad avvicinare i livelli di tassazione, portando dal 33 al 20% la tassazione degli aumenti contrattuali e portando al 20% le rendite».

Lei delinea una politica tutta di sinistra, proprio quello che Dini teme di più...
«A me pare una semplice osservazione di quello che accade nella società, e una proposta di intervento conseguente».

Come procede il processo unitario a sinistra?
«Qualche passo avanti lo abbiamo fatto, ma bisogna accelerare molto di più: nel Paese c’è una grande attesa».



Pubblicato il: 27.12.07
Modificato il: 27.12.07 alle ore 8.17   
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Titolo: Padoa-Schioppa: «Per Alitalia nessun imprenditore del Nord si è fatto avanti»
Inserito da: Admin - Dicembre 31, 2007, 04:59:00 pm
Intervista al ministro dell'economia

«Maggioranza con impulsi autodistruttivi»

Padoa-Schioppa: «Per Alitalia nessun imprenditore del Nord si è fatto avanti»


ROMA - L'Italia, dice Romano Prodi, è ripartita. Il deficit pubblico è al 2% del Pil, l'economia va.

Non corre, ma va. Le tensioni nel centrosinistra, anche quelle lasciano il tempo che trovano. Chi cospira al Senato contro il governo per farne un altro sappia che alla Camera la maggioranza è forte. E non sarà facile rovesciarla. Infine, la ciliegina sulla torta dell'Alitalia.

 «Abbiamo compiuto un passo importante — rivendica il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa —, per risolvere un problema che si trascinava da vent'anni».
Ma nei prossimi due mesi ne vedremo delle belle. Ne è consapevole, ministro?
«Troppo a lungo la politica ha sfruttato la situazione dell'Alitalia per il proprio tornaconto. Ora non poteva più continuare».
In Lombardia sono furenti.
«Mi spiace che la reazione pubblica di Roberto Formigoni sia stata così accesa. Non aiuta ad affrontare una vicenda di cui sia noi sia il presidente della Regione conosciamo bene origine e difficoltà ».
Non crede che la cessione di Alitalia ad Air France-Klm renderà ancora più esplosiva la questione settentrionale?
«Il problema del Nord esiste e guai a ignorarlo. Bisogna rendere alla Lega il merito storico di averlo imposto all'attenzione del Paese, pur con eccessi. Ci sono almeno tre ragioni reali. Il Nord sopporta da decenni il costo delle politiche per il Mezzogiorno senza vedere grandi risultati; subisce l'inefficienza della pubblica amministrazione; è paralizzato dalla carenza di infrastrutture. In questi mesi non mi sono sfuggite le implicazioni che la soluzione della crisi dell'Alitalia può avere per il Nord».
Con quale risultato?
«Ho sperato che l'Alitalia venisse acquistata da un consorzio di imprenditori del Nord, soluzione che ho molto caldeggiato. Il fondo Tpg ha cercato un partner del Nord ma senza trovarlo. È stata una delusione. Il problema di Malpensa non è né Alitalia né Air France: nasce da insufficienti infrastrutture di accesso e proliferazione di aeroporti vicini. Con il sindaco di Milano, Letizia Moratti, azionista di Sea, sono stato in contatto in queste settimane perché credo che la soluzione della vicenda Alitalia vada accompagnata a una prospettiva seria per quello scalo. Affronteremo insieme i problemi di Malpensa e di Sea. Ci sarà una seria interlocuzione ».
Giovedì le hanno spedito un proiettile. È la seconda volta.
«Un fatto senza significato. Per fortuna le probabilità che un proiettile invece di essere spedito venga sparato sono bassissime».
Quindi non è preoccupato.
«Non per l'episodio in sé. Ma c'è da chiedersi: come mai dopo una Finanziaria positiva, dopo aver avviato a soluzione una faccenda annosa come quella dell'Alitalia, come mai invece di distendersi, il clima si fa ancora più teso?
».
Lei come se lo spiega?
«Sicuramente c'è una responsabilità della maggioranza. In Europa ho visto Paesi usciti dalle elezioni con margini anche inferiori al nostro, nel voto popolare e in Parlamento. Ma è come se in questa coalizione esistesse, purtroppo, un impulso di autodistruzione. Come se non si volesse vedere che il crogiuolo in cui sono state versate posizioni diverse ha prodotto buone sintesi politiche, corrispondenti all'interesse del Paese ».
Ne citi qualcuna.
«Abbiamo assunto nuovi impegni in Libano e siamo usciti dall'Iraq. Abbiamo trovato risorse per pensioni basse e incapienti e insieme risanato i conti. Siamo intervenuti con rigore sulla sicurezza, ma con attenzione rafforzata alle istanze sociali. Ebbene, invece di rivendicare il valore di queste sintesi, ognuno ne prende le distanze: come se l'accordo raggiunto fosse un fatto negativo. Questo inquietante impulso autodistruttivo, però, non è imputabile solo alla coalizione».
Forse ciò che accade nel centrosinistra è lo specchio del Paese.
«Sì, un impulso autodistruttivo pervade la società italiana, la sua classe dirigente, le categorie, il mondo dell'informazione. Non conosco Paesi dove ogni sera tutti i partiti di opposizione intimano al telegiornale che il governo si deve dimettere...».
Siamo tutti sull'orlo di una crisi di nervi?
«Siamo intossicati dalla mancanza di continuità. Abbiamo continue crisi di astinenza dal cambiamento e perciò non riusciamo a fare cambiamenti veri. Ero in Germania quando Gerhard Schröder divenne cancelliere. Il primo anno fu difficilissimo, ma nessuno si sognò di esigere nuove elezioni. Alla scadenza, fu rieletto».
Ma in questa maggioranza ci si prende a pesci in faccia dal primo giorno.
«Ognuno vorrebbe più attenzione per le proprie istanze: la sinistra, Dini, altre componenti della maggioranza. Osservano che la parte che sta loro più a cuore è incompiuta? Bene, vuol dire che 20 mesi di governo non bastano, ci vogliono cinque anni!».
E questo basterebbe a garantire lunga vita al governo Prodi.
«I momenti di irrazionalità collettiva esistono e possono essere molto pericolosi. Ma l'irrazionalità è molto nella mente di chi segue il dibattito politico ».
Si riferisce all'informazione?
«Anche. E in generale al modo con cui l'Italia guarda a se stessa. Non siamo più nel 600, quando eravamo governati dagli stranieri. Ora l'Italia è governata dagli italiani. Milano ha Roma come capitale, non Vienna. Eppure ci si comporta come se il Paese fosse ancora governato da estranei. Il passato governo era in gran parte lombardo, ma questo non ha impedito che la finanza pubblica si deteriorasse. Abbassare le tasse aumentando il deficit è facile, ma dura poco».
Per lei invece le tasse sono bellissime. Non ha detto così?
«Nell'aprile del 2004, quando il governo di allora disse che avrebbe tagliato le tasse, scrissi sul Corriere un fondo intitolato Elogio delle tasse, nel quale argomentavo che le imposte sono il pilastro della convivenza civile e che tagliare le tasse significa diminuire spese e servizi pubblici. Lo riscriverei tale e quale».
Proprio sicuro?
«Sicurissimo. In 20 mesi abbiamo solo ripristinato il livello delle entrate Il problema del Nord esiste. La Lega ha il merito storico di averlo imposto all'attenzione, pur con eccessi. Non mi sono sfuggite le possibili implicazioni della soluzione alla crisi Alitalia per quest'area del Paese combattendo l'evasione fiscale. Abbiamo dovuto correggere il mezzo magico, illusorio, dello spendere a credito. E il recupero dell'evasione va tanto bene che con questa Finanziaria abbiamo cominciato a restituire risorse agli italiani ».
E adesso? Ho letto questa sua dichiarazione: «Niente più tesoretti». Che ci dobbiamo aspettare?
«Non ho detto che non c'è più nulla da restituire. Ma i proventi della lotta all'evasione non saranno più restituiti nella forma una tantum in cui l'abbiamo fatto quest'anno. Nei prossimi tre anni dobbiamo andare a regime, rendendo ai contribuenti tutto quello che eccede una pressione fiscale ormai stabilizzata ».
Sarà possibile?
«Spero lo sia, ma ricordiamoci che ogni mese dobbiamo pagare oltre sei miliardi di interessi per il debito. Un tesoretto ogni trenta giorni se ne va in fumo così».
Perfino i sindacati chiedono di tagliare le tasse ai lavoratori dipendenti per alzare salari che sono i più bassi d'Europa.
«Il settore privato ha due tasche: la tasca dell'impresa e quella del lavoratore. Negli ultimi anni la prima si è gonfiata a sfavore della seconda. La tasca di Pantalone non c'entra. Di per sé, la modifica della distribuzione del reddito non può essere caricata sui contribuenti. Ma se lo Stato è capace di costare meno e recuperare imposte evase è giusto che, oltre a ridurre il debito e a portare il bilancio in pareggio, attenui il carico fiscale nel quadro di un accordo con le parti sociali su produttività e crescita».
Proprio quello che chiede Lamberto Dini. Per il quale il governo Prodi è arrivato al capolinea.
«Dini ha governato dal '94 al '96 superando una grave crisi del cambio e facendo una riforma delle pensioni che ha reso il nostro sistema previdenziale fra i migliori d'Europa. Il governo Prodi si muove in quei due solchi: risanamento dei conti, recupero e integrazione della sua riforma pensionistica. Non vedo contraddizione fra le istanze di Dini e l'azione del governo. Sul deficit pubblico l'impegno era fare il 2,8%. Avevamo puntato al 2,4%. Siamo intorno al 2%».
Per la verifica di gennaio Prodi deve temere di più lui o Fausto Bertinotti?
«Lei dice temere: non ho mai visto in Prodi momenti di paura, ma invece calma, tenacia e continuità di azione, in un mondo che non è calmo né ama la calma. Sono da temere soltanto gli impulsi autodistruttivi non accompagnati da una visione costruttiva. È questo il vero pericolo per la società italiana; di questo c'è da avere paura. Senza un solido ancoraggio con l'Europa sarebbero le condizioni tipiche che conducono un Paese verso il caos e la svolta autoritaria. Questo dobbiamo temere: tutti, non soltanto Prodi. Purtroppo non abbiamo ricavato dalla storia la stessa lezione della Germania».
Due Paesi usciti distrutti dalla guerra e dalla dittatura.
«Ma che ne hanno tratto lezioni opposte. La Germania: mai più governi deboli, come era stato quello di Weimar. L'Italia: mai più governi forti. Ora si potrebbe dire che siamo noi a correre il rischio di Weimar e non rendercene conto è pericolosissimo».
Bella prospettiva...
«Il principio di non avere mai più governi forti si è tradotto, per tutta la prima repubblica, in una vita media dei governi inferiore a un anno. La pubblica amministrazione si è difesa dall'instabilità lavorando da sola, rendendo pletorici gli uffici, in parte perdendo il costume di una corretta interpretazione della sua dipendenza dal governo politico».
Governi brevi, ma sempre gli stessi partiti al potere. Una stabilità senza precedenti.
«Ma la continuità del potere era nel partito. Una situazione più simile a quella sovietica che da Occidente. Ecco, la cosa che mi colpisce di più e che ho potuto sperimentare di persona è quanto si sia indebolito il potere dello Stato».
Sperimentare di persona?
«Una cosa normalissima come la sostituzione di un consigliere Rai di nomina dell'azionista e del capo di una Forza armata, prerogativa di qualunque governo, è stata vista come un fatto dirompente. Non li ho sostituiti subito, secondo una logica politica: ho atteso di vederli operare».
Poi però le sostituzioni di Angelo Maria Petroni e Roberto Speciale sono state entrambe bocciate dal Tar. Come sono stati possibili questi due clamorosi infortuni?
«Non me lo chiedo solo io. Il ministero e il governo avevano acquisito formalmente e informalmente i più accreditati pareri giuridici e di procedura. Che ci sia stato qualcosa che non ha superato la validazione dei magistrati di primo grado è un fatto. Ma sarei insincero dicendo di aver colto nelle sentenze una contrarietà di sostanza».
Come giudica le nostre banche l'ex vicedirettore della Banca d'Italia, ex presidente Consob, ex membro del board della Bce?
«Dopo l'epoca in cui la pretesa difesa dell'italianità aveva portato magri risultati, in un paio d'anni sono nate in Italia due delle prime cinque banche europee. Questo è avvenuto per le energie liberate nel sistema grazie anche alla linea seguita dal nuovo Governatore della Banca d'Italia. Il fatto che Mario Draghi presieda il Financial Stability Forum è prova che la sua azione è riconosciuta anche all'estero».
Ma i consumatori continuano a lamentarsi. Non hanno forse ragione di farlo?
«Constato che, rispetto ai suoi predecessori, questo Governatore è stato spesso critico con le banche. Anch'io, in passato, ho formulato critiche: secondo me la sfida della qualità dei servizi al cliente è ancora da vincere. L'accordo Patti chiari è forse il migliore d'Europa. Ma anche a me riesce più facile prelevare all'estero che in Italia, dove il bancomat mi dice spesso che non può darmi un soldo. Per conquistare clienti si deve rinunciare a qualche rendita di posizione...».
La famosa concorrenza?
«Già. Ma spesso la responsabilità sta dalla parte dei consumatori. I clienti italiani si lamentano molto, ma poi sono pazienti e un po' pigri. La concorrenza la mette in moto chi compra, non chi vende».
«I giovani sono i primi a sostenere il costo del debito, a soffrire l'assenza di protezioni sociali, a subire la sproporzione fra le pensioni cui contribuiscono e quelle che riceveranno». Parole sue, pronunciate il 31 ottobre. Ma non eravamo il Paese dei bamboccioni?
«Un gesto verbale efficace deve suscitare reazioni. C'è chi ha voluto travisare. Non ho mai voluto accusare i giovani, tantomeno quelli in condizioni disagiate. Non vedo contraddizione nel sostenere che si è vittime di una situazione e al contempo responsabili che le cose non cambino. Spetta ai giovani cambiare le cose. Recentemente ho rivisto i Vitelloni: erano i bamboccioni del Dopoguerra, quando il reddito pro capite era un quinto di quello di oggi. Ciononostante, Federico Fellini non voleva certo giustificarli...».


Sergio Rizzo
31 dicembre 2007

da corriere.it


Titolo: Federica Fantozzi - Turco: non si cambia una legge che ha dimezzato gli aborti
Inserito da: Admin - Gennaio 03, 2008, 11:02:57 pm
Livia Turco: non si cambia una legge che ha dimezzato gli aborti

Federica Fantozzi


È stanca ma «serena» il ministro della Salute Livia Turco, alla fine di una giornata che l’ha catapultata in un tourbillon di dichiarazioni, precisazioni e dati. Per colpa della “fiammata” del dibattito sull’ipotesi di rivedere la Legge 194. Una legge che funziona, spiega lei: ha dimezzato le interruzioni di gravidanza, da 234mila nell’82 a 133mila oggi. Una legge che, al di là degli annunci politic, «nessuno oserebbe toccare perché il 95% degli italiani sarebbe contrario». Dunque: Ben venga il dibattito pubblico ma nessuna modifica».

Ministro, l’asse Ruini-Ferrara-Binetti-Bondi rischia di mettere in crisi la legge 194? O piuttosto il centrosinistra?
«Io sono molto serena. Maneggiando questa legge sono ben consapevole della sua forza. La 194 è saggia, lungimirante, umana. E soprattutto efficace. Qual è la sua colpa? Forse di avere dimezzato gli aborti dal momento della sua introduzione a oggi?»

Alla 194 qualcuno imputa di essere obsoleta e male applicata.
Invece di montare casi politici converrebbe leggersi bene il testo. Si capirebbe che le accuse di eugenetica non stanno in piedi. I politici e i giornalisti recepiscano l’appello di Napolitano a prendere coraggio: si informino. La 194 è applicatissima. Il suo obiettivo è tutelare la maternita sociale e ridurre gli aborti. Bene: è stato raggiunto».

Quali sono i numeri?
Dal 1982, anno del picco in cui ci furono 234mila interruzioni di gravidanza, siamo scesi oggi a 133mila. Significa -44,5%. Quasi un dimezzamento. Consideriamo poi che la legge è stata introdotta nel 1978: ma prima c’erano 300mila aborti clandestini. Io vorrei una società libera dall’aborto, ma questi dati sono un successo. Quando questa pratica tra le italiane è scesa del 60%, di cosa parla chi critica?».

Insomma la 194 è un successo?
«Sì, esatto. E io capovolgo la questione: indaghiamo piuttosto le ragioni di questo successo che risiedono nell’autodeterminazione della donna e nel principio della responsabilità della scelta».

Dunque l’attività di prevenzione non viene trascurata?
«No, affatto. Alla base dei numeri c’è un’attività di sensibilizzazione, cultura, educazione all’uso della contraccezione. Poi, sia chiaro, le Regioni provvedano a migliorare la quantità e l’attività dei consultori, e questo garantirà risultati sempre migliori e più efficaci».

Ministro, su questo dibattito di inizio 2008 si registra il silenzio dei big del suo partito. Leader e ministri del Pd, a eccezione di Barbara Pollastrini e dei vicecapigruppo Sereni e Zanda, non si pronunciano. Si sente sola?
«Ministri e leader devono fare la loro parte e la faranno, ma non mi bastano. Dove sono le donne? Le femministe? Gli intellettuali? Perché l’agenda politica deve essere imposta da Ferrara e Ruini, che fanno il loro mestiere? Negli anni 70 la legge 194 passò grazie a una forte mobilitazione femminile e culturale».

Ora tutto questo non c’è? Vede una fase di stallo nella difesa dei diritti civili?
«Io ho fiducia. Si ricostruisca una forte mobilitazione sociale per una cultura progressista. Nessuno oserà mettere in discussione la 194 perché il 95% degli italiani sarebbe contrario. Ben venga il dibattito pubblico, ma non ci sarà nessuna modifica».

È fondata l’osservazione che i progressi scientifici nella cura dei prematuri pongono problemi di compatibilità con l’aborto a 24 settimane? Secondo Ruini a quell’età il feto potrebbe sopravvivere da solo, mentre i medici temono che l’obbligo di rianimazione sconfini nell’accanimento terapeutico.
«È un problema serissimo. Su cui non decidiamo né io né Bondi né la Binetti bensì la comunità scientifica. Ginecologi e neonatologi hanno chiesto un punto di riferimento condiviso. Io ho riunito un tavolo di lavoro degli operatori del settore che produca una raccomandazione. Si dovrà tener conto dello sviluppo della diagnosi che fa sapere molto presto quali sono le condizioni del feto e del forte aumento dei bimbi prematuri».

È ormai chiaro che i temi etici sono il tallone d’Achille della maggioranza. La 194 spaccherà il centrosinistra?
«Non credo proprio. Se dai proclami politici si passerà ai fatti, al centrosinistra basterà leggere la legge e studiare i dati per presentarsi unito».

Cambiamo argomento Franceschini ha rilanciato il sistema elettorale francese. Una mossa che arricchisce il dibattito o aumenta la confusione?
«Indubbiamente c’è una confusione che non giova. Forse sarebbe il caso di evitare tanti annunci e trovare una sede dove discutere tra noi. Mi sembra una sommessa richiesta di buon senso».

Si susseguono lettere e annunci di Dini: o il suo mini-programma sarà approvato o voterà contro il governo. È il baluardo del rigorismo o è in malafede?
«Rispetto molto Dini che ha traghettato il Paese in un momento difficilissimo. Diciamo che a Natale è più facile trovare visibilità. Continuo a stimarlo e a ritenere che potrà arricchire il programma comune senza bisogno di ultimatum».

Pubblicato il: 03.01.08
Modificato il: 03.01.08 alle ore 8.12   
© l'Unità.


Titolo: Oreste Pivetta - Epifani: niente sconti al governo pronti allo sciopero generale
Inserito da: Admin - Gennaio 06, 2008, 11:50:09 pm
Epifani: niente sconti al governo pronti allo sciopero generale

Oreste Pivetta


«Un fisco amico», aveva chiesto il segretario della Cgil Guglielmo Epifani. Amico di chi guadagna meno, di chi ha meno da vivere, operai e impiegati, pensionati e giovani. Lo ripete all’Unità, invitando il governo a rispondere con chiarezza se è d’accordo a inseguire questo traguardo, se è unito di fronte a questa emergenza. «L’incontro di martedì - spiega Epifani - sarà propedeutico. Poi maggioranza e governo facciano una verifica. E ci rispondano. Una voce sola. Non voglio assistere allo spettacolo di un ministro che dice una cosa e dell’altro che ne riferisce un’altra...». Se la risposta fosse un no o fosse poco promettente? Il sindacato fa il suo mestiere, usa gli strumenti di lotta che ha: «Anche lo sciopero generale».

Segretario, mi pare che si sia creata molta attesa. Ci sono in ballo questioni che la gente sente: prezzi, tariffe, stipendi. Che cosa direte?

«Tutto conferma l’urgenza di affrontare i temi posti dalla piattaforma sindacale. Oggi si può capire perchè il sindacato, chiuso il capitolo sul protocollo del welfare, ma in continuità con quella discussione, abbia voluto porre al centro un obiettivo di controllo dei prezzi e delle tariffe e la richiesta di una fiscalità che aiuti a ridistribuire la ricchezza prodotta e deprima un po’ meno le pensioni.Tenendo conto che i salari non hanno tenuto la corsa dell’inflazione, di cui non s’è visto ancora tutto. Il balzo del petrolio non avrà forse effetti immediati, ma peserà molto in un paese che dipende più di tanti altri in Europa dal petrolio per la produzione di energia e per il trasporto delle merci, con effetti a catena sulle famiglie».

C’è da attendersi il peggio?

«Per questo chiediamo al governo di intervenire con urgenza e seguendo una logica strutturale. Abbiamo sempre lavorato per ricostruire i redditi più bassi e le pensioni più basse».

Dopo anni se non decenni di moderazione salariale...

«Adesso è venuto il momento di usare anche la leva fiscale. Appunto per ridistribuire risorse. Non sono d’accordo con il ministro Padoa-Schioppa quando afferma che con il fisco non si fa redistribuzione. Le tasse si pagano in modo progressivo e questa è redistribuzione. Se il fisco sceglie la casa più che il lavoro si fa redistribuzione. Persino l’evasione redistribuisce: alla rovescia, ma redistribuisce. Chiediamo che questa volta il fisco venga usato a favore del lavoro dipendente e dei pensionati, di quei redditi che hanno più sofferto...».

Non solo per le tasse. Anche per colpa dei contratti che non si chiudono...

«Milioni di lavoratori aspettano il contratto: metalmeccanici, commercio, sanità, tessili. Anche i giornalisti. Si capisce l’importanza vitale, per il paese tutto, del tema che poniamo e ci auguriamo che il governo ne comprenda la centralità, lo condivida, mostri volontà di trovare una soluzione, garantendo percorsi e strumenti. Dopodomani capiremo come stanno le cose. I tempi sono stretti. Francamente non accetto che qualcuno mi venga a dire: prima della trimestrale di marzo non si può. Si deve, invece. Che aspettiamo? Capisco le difficoltà politiche del governo. Per questo lo invito a una verifica di maggioranza. Non accetteremo risposte evasive, dilazioni. Non accetteremo neppure risposte da una tantum, il bonus di primavera al posto del bonus di fine anno. Chiediamo interventi strutturali, essendo chiare le modalità e le risorse, essendo chiaro quello che si può dare oggi e quello che si darà domani. Quindi: volontà, condivisione, passaggio in maggioranza e risposta strutturale».

Un meccanismo ferreo per scardinare la logica delle buone intenzioni?

«Non parole, fatti. L’avrete già sentito dire. Lo ripetiamo, primo perchè non vi è chi non vede la determinante importanza della questione dei salari e dei prezzi e delle tariffe, in secondo luogo anche perchè la stessa maggioranza parlamentare ha indicato che i soldi a questo punto si spendano a sostegno del lavoro dipendente. Non solo questo. Ci sono anche contratti che non si rinnovano (e alcuni cadono sotto la responsabilità del governo)».

Materia spinosa. Il contratto nazionale è sotto tiro da tanti fronti.

«Si capisca bene che i nodi sono tanti. Il sindacato ci sta lavorando, cominciando dalle forme della contrattazione, che non consente o consente solo a fatica di recuperare potere d’acquisto: i contratti tardano di due o tre anni, non ha più senso prendere come riferimento l’inflazione programmata, bisogna dare più peso alla contrattazione nei luoghi di lavoro, senza tuttavia mettere in discussione il contratto nazionale, un’argine di fronte agli attacchi ai salari. Stiamo discutendo l’accordo del ‘93, che ebbe la firma anche del governo.Il nostro interesse è forte. Vorremmo capire anche quello dei nostri interlocutori. Le cartine di tornasole non mancano: il contratto dei metalmeccanici che vorremmo si chiudesse entro fine mese; il contratto del commercio e vorremmo che Confcommercio manifestasse qualche apertura; i contratti pubblici che attendono e che non hanno trovato posto in finanziaria, pur rappresentando situazioni di tensione... penso alla sanità».

Torniamo alle tasse e ai salari. Dopo il governatore Draghi, anche uno studio di Bankitalia mostra come un taglio delle tasse sui salari rianimerebbe Pil e consumi.

«Sì, mi pare che si colga un argomento che tocca in generale la politica economica nel nostro paese. Il Governo ha ragione quando vanta la crescita, i progressi nel risanamento, i buoni risultati dell’export soprattutto in valore e non soltanto nelle quantità a dimostrazione che l’impresa italiana può essere competitiva. Manca qualcosa e cioè la domanda interna. È evidente che all’economia del paese è indispensabile che i consumi interni non siano mortificati. E si torna ai redditi».

Alfredo Recanatesi proprio sull’Unità di giovedì scorso scriveva che la leva fiscale va bene per l’emergenza, poi serve un paese più ricco e occorrono quindi politiche pubbliche che orientino la modernizzazione del nostro sistema impresa...

«Un sistema funziona se attorno trova infrastrutture adeguate, se non manca l’energia, se si conquista una dimensione che consenta di reggere, nei campi della ricerca e della innovazione, il confronto internazionale».

Anche il Sole24ore di ieri reclamava più salari. In cambio però di maggior produttività. È la solita ricetta di Confindustria?

«Bisognerebbe spiegare che non è poi tanto moderno sostenere che per guadagnare di più bisogna lavorare di più. Sembra di tornare all’età delle ferriere e delle miniere, al capitalismo delle origini. La verità è che per produrre di più bisogna investire di più sui prodotti e che la produttività si misura in valore che produci, non nel numero dei prodotti. Alla produttività può servire anche la flessibilità. Purchè sia concordata e contrattata. Ha ragione Recanatesi: si è fatto poco perchè l’impresa italiana crescesse. L’indicazione del 3 per cento di investimenti in ricerca e innovazione contenuta nell’accordo del ‘93 è stata alla fine il punto meno rispettato».

Il giornale di Confindustria vi accusa anche di chiedere meno tasse e allo stesso tempo di voler mandare troppo presto in pensione i lavoratori. Che risponde?

«Siamo l’unico sindacato che ha firmato accordi che alzano l’età pensionabile».

C’è un caso, drammatico, sul tavolo del governo, quello di Alitalia. Condivide la scelta per Air France?

«Non sono convinto della soluzione Air France. Comunque del piano sappiamo poco o nulla. Non è mai avvenuto che di fronte al processo di alienazione di una impresa pubblica il sindacato venisse tenuto all’oscuro. Certo non ci piacerebbe che l’Italia fosse l’unico tra i grandi paesi europei a non disporre di una compagnia nazionale, non per patriottismo, ma per una ragione di interesse nazionale. Come sindacato mi preoccupano i tagli: tra Malpensa e Az Service sono diecimila posti di lavoro».

Anche l’Unità sta cambiando padrone. Che cosa si augura?

«Mi auguro che l’Unità sappia mantenere la sua linea di attenzione ai temi della democrazia e del lavoro. Ne abbiamo bisogno. Non sono molti i giornali che affrontano con serietà i temi della condizione del lavoro. Spesso si tace per interesse di parte...».

Si tace dei morti sul lavoro.

«Certo, il tema sicurezza. Vorrei ringraziare il presidente della Repubblica, che lo ha richiamato con forza. La tragica vicenda della TyssenKrupp, che è peraltro realtà quotidiana, ha trovato sull’Unità una testimonianza assolutamente insostituibile».

Pubblicato il: 06.01.08
Modificato il: 06.01.08 alle ore 15.07   
© l'Unità.


Titolo: Prodi: «Pronto piano per lo smaltimento»... (Prodi fai veloce non "piano" ndr)
Inserito da: Admin - Gennaio 08, 2008, 10:40:43 pm
L'EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA

Prodi: «Pronto piano per lo smaltimento»

Il premier: «De Gennaro commissario per 4 mesi. Ci avvarremo anche delle forze armate»

 
ROMA - Tre ore di vertice a Palazzo Chigi sull'emergenza rifiuti in Campania, dopo la notte di scontri a Pianura.
Poi Romano Prodi scende in sala stampa, con al fianco il portavoce del governo Silvio Sircana, e snocciola in una conferenza veloce e senza domande le decisioni dell'esecutivo per affrontare il caos-spazzatura: Gianni De Gennaro supercommissario per 120 giorni; utilizzo dei siti per lo smaltimento individuati nel decreto della scorsa estate (con l'aggiunta di altri siti individuati dalle autorità competenti); ricorso alle forze armate per le situazioni di straordinaria necessità e urgenza; tre termovalorizzatori per la Regione; quattro mesi a disposizione dei Comuni per studiare e avviare un piano sulla raccolta differenziata.

IL PIANO - Il vertice di governo, al quale hanno partecipato anche i ministri Parisi, Amato, Pecoraro Scanio, Rutelli, Bonino e i sottosegretari alla Presidenza Micheli e Letta, è stato lungo e «approfondito». Ciò che ne è scaturito, esordisce Prodi davanti ai giornalisti, è un «piano per lo smaltimento dei rifiuti normali e speciali usando i siti immediatamente utilizzabili tra quelli individuati nella legge 87 del 2007, cui se ne aggiungeranno altri individuati dalle autorità competenti». Il capo del governo afferma che è intenzione dell'esecutivo risolvere l'emergenza «nel breve e medio termine». Nell'immediato il Governo punta a usare i siti previsti nel decreto legge della scorsa estate (Serre in provincia di Salerno, Savignano Irpino in provincia di Avellino, Terzigno in provincia di Napoli e Sant'Arcangelo in provincia di Benevento). Senza menzionare la discarica napoletana di Pianura, dove si sono svolti aspri scontri tra polizia e manifestanti che non ne vogliono la riapertura, il governo prevede però anche l'immediato utilizzo di altri siti «individuati dalle autorità competenti». A tal proposito il premier afferma che «ci si avvarrà del concorso qualificato delle forze armate per le situazioni di straordinaria necessità e urgenza». E oltre «alle discariche per l'autosufficienza nello smaltimento», Prodi assicura che la Campania sarà dotata «di almeno tre termovalorizzatori o gassificatori: Acerra, Santamaria La Fossa, Salerno».

SUPERCOMMISSARIO - Tra le decisioni più importanti, quella di nominare De Gennaro commissario straordinario del governo per quattro mesi. Nel ruolo di vicario sarà chiamato il generale di divisione Franco Giannini. L'obiettivo è però quello di «uscire dalla logica del commissariamento - spiega Prodi - ridando la responsabilità dello smaltimento agli enti locali». «Entro due settimane il Governo nominerà un commissario liquidatore per porre fine a 14 anni di fase emergenziale caratterizzata dalla gestione dei rifiuti in Campania»

DIFFERENZIATA - «Per quanto attiene alle misure occorrenti alla raccolta differenziata - prosegue Prodi - i comuni campani dovranno elaborare il relativo piano nei prossimi due mesi. Essi avranno poi a disposizione 60 giorni per la realizzazione dello stesso piano. La mancata attuazione da parte delle amministrazioni comunali di queste misure nei tempi stabiliti determinerà l'immediato commissariamento dei comuni inadempienti». Tra le varie misure c'è anche la richiesta «di un contributo su base volontaria» da parte di altre Regioni. Nel medio termine, Prodi e il Governo puntano a rendere l'Italia autosufficiente sul fronte dello smaltimento dei rifiuti, «evitando esportazioni onerose», come quelle verso la Germania

08 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: Il governo confida di poter «collocare» 100mila tonnellate di immondizia
Inserito da: Admin - Gennaio 10, 2008, 11:56:25 pm
Il governo confida di poter «collocare» 100mila tonnellate di immondizia

Rifiuti, undici regioni disposte a smaltirli

Giornata di incontri tra governo ed enti locali.

Nel fronte del «no» Lombardia e Veneto. Continuano le trattative


ROMA - Rifiuti, la domanda è: dove metterli? Giorni fa Prodi ha chiesto chiesto aiuto agli enti locali per lo smaltimento della pattumiera campana e giovedì è stata una giornata di incontri unilaterali tra esponenti del governo e rappresentanti delle regioni, sotto la supervisione del presidente della Conferenza delle Regioni e governatore dell'Emilia-Romagna Vasco Errani. Obiettivo: capire quali e quanti rifiuti ciascuna regione può smaltire nei propri siti. A fine giornata Palazzo Chigi ha fatto il bilancio: undici regioni hanno già dato disponibilità operativa ad accogliere i rifiuti campani (Sardegna, Emilia Romagna, Marche, Puglia, Abruzzo, Molise, Calabria, Sicilia, Piemonte, Basilicata, Lazio). Lombardia e Veneto hanno per ora detto no. Con le altre regioni continuano le trattative al tavolo tecnico. L'Abruzzo si è detto disponibile ad accoglierne fino a 15mila tonnellate, mentre Emilia Romagna e Piemonte ne riceveranno 5mila a testa, anche se la provincia di Torino si è detta invece contraria. In Toscana ne arriveranno 4mila tonnellate, come anche nelle Marche. Nel Molise tremila, e mille in Calabria. Il governo confida di poter «collocare» 100mila tonnelate di rifiuti. I restanti verranno sistemati nella stessa Campania e si esaurirà così «la fase emergenziale».

SOSTEGNO - Le risposte all'appello sono complessivamente positive per l'aspetto politico, ma alcune regioni annunciano che non sono in grado di andare oltre e accogliere i rifiuti campani. «È un'emergenza nazionale e quindi è giusto che tutte le istituzioni facciano uno sforzo comune per affrontare la situazione» ha spiegato Errani. Da parte sua l'Emilia Romagna farà la propria parte accogliendo 5mila tonnellate di immondizia. «Siamo in condizione di farlo senza mettere il nostro sistema in criticità e in massima sicurezza, credo che sia il modo migliore per rappresentare il senso delle istituzioni» ha detto Errani. Sostegno assicurato anche dal presidente della Toscana Martini («Il problema non verrà superato se ogni regione non risolverà la propria situazione costruendo i termovalorizzatori necessari»): la regione si dice pronta ad accogliere 4mila tonnellate di rifiuti. Il Piemonte accoglierà cinquemila tonnellate di rifiuti: lo annuncia l'assessore regionale all'Ambiente Nicola De Ruggiero, che ha registrato la disponibilità allo smaltimento da parte del Comune di Torino e della Provincia di Cuneo. Tremila tonnellate finiranno in Molise. «Simbolico» il contributo della Calabria: non supererà le mille tonnellate.

MINACCE - «Piena disponibilità al governo» anche dal vicepresidente delle Marche Luciano Agostini («Ci verrà chiesto di smaltire tra i 3 e i 4mila metri cubi di rifiuti.Una quantità di natura modesta che tiene conto del Piano della Regione»), che però incassa un coro di no dal centrodestra locale, e dal governatore abruzzese Ottaviano Del Turco. Una disponibilità costata all'assessore marchigiano all'Ambiente Marco Amagliani una telefonata anonima con minacce di morte: «Se prendi i rifiuti della Campania ti uccidiamo». La Sicilia in cambio di aiuto chiede di sbloccare i fondi per i termovalorizzatori e Prodi rassicura Cuffaro. Il presidente del Lazio Piero Marrazzo ha sottolineato che «dalla Campania non prenderemo tutte le schifezze, ma la selezione avverà a monte, in territorio campano». Marrazzo si è poi rivolto ai colleghi Galan e Formigoni: «C'è stata solidarietà nel nostro Paese e se i presidenti delle regioni Veneto e Lombardia l'hanno dimenticata, si ricordino del Risorgimento italiano, l'emergenza rifiuti in Campania è una questione nazionale».

QUELLI DEL NO - Tra le regioni del «no» o dei «distinguo» la Lombardia, che in una nota del presidente Formigoni annuncia «grande prudenza per non rischiare di compromettere la situazione in altre regioni». Impossibilitate a ricevere rifiuti si sono dette anche la Basilicata con il presidente De Filippo (indisponibilità «materiale» e «tecnica»), la Liguria con l'assessore all'ambiente Franco Zunino e il Friuli Venezia Giulia. Anche il governatore del Veneto Giancarlo Galan ha ribadito il no della Regione al possibile arrivo di rifiuti dalla Campania, dicendosi «ancora sconvolto dalle bugie diffuse da alcuni partecipanti all'incontro a Palazzo Chigi secondo cui tutte le regioni avrebbero accolto l'appello governativo». «Il no del Veneto è affiancato dal no di quasi tutte le altre regioni, ad iniziare dal no inquietante ma che condivido in pieno pronunciato dall'Umbria rossa e progressista» ha detto. L'Umbria infatti partecipa al tavolo tecnico tra governo e amministrazioni regionali, ma resta ferma la sua posizione, avendo in corso un procedimento giudiziario relativo all'emergenza rifiuti del 2002-2004.


10 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: Prodi in aula ha rivendicato i successi del suo esecutivo
Inserito da: Admin - Gennaio 23, 2008, 01:02:39 am
POLITICA

Intervento del premier alla Camera dopo l'uscita dell'Udeur dalla maggioranza

"Le crisi si discutono in Parlamento, non sulle agenzie di stampa o in tv"

Doppia fiducia, Prodi non si arrende "Penso di farcela anche stavolta"

Il Professore in aula ha rivendicato i successi del suo esecutivo

Il primo voto domani a Montecitorio, poi quello decisivo al Senato

 
ROMA - Darà battaglia fino in fondo, giocando ogni carta in suo possesso per salvare le sorti del governo. E se non dovesse essere sufficiente a scongiurare la fine, farà di tutto per mettere ognuno davanti alle proprie responsabilità, in modo che vengano alla luce i veri motivi della crisi. Le contromosse di Romano Prodi all'annuncio dell'uscita dell'Udeur dalla maggioranza hanno messo in chiaro che il premier non ha nessuna intenzione di arrendersi senza dare battaglia e che guadagnando qualche giorno di tempo pensa forse di poter avere ancora qualche asso nella manica da giocare.

Il Professore ottimista. Facendo il suo ingresso a Montecitorio per le comunicazioni al Parlamento sulla nuova situazione politica aperta dal voltafaccia di Mastella, il presidente del Consiglio si è mostrato ancora una volta ottimista: "Va benissimo, penso di farcela anche questa volta", ha commentato. Le ragioni di tanta fiducia Prodi le spiegherà nei circa 20 minuti di discorso pronunciati alla Camera, con il lungo elenco dei meriti che ascrive all'azione del suo esecutivo. Ma la stessa decisione di presentarsi alla Camera è stata una scelta di autodifesa.

"Le crisi non si discutono in tv". Il motivo lo ha chiarito lui stesso. Ribadita una solidarietà di forma all'ex ministro colpito dall'indagine della magistratura campana, il premier ha iniziato subito a menare fendenti. Se Mastella per spiegare il divorzio dall'Unione è andato da Bruno Vespa, Prodi ricorda che "è salutare assumere comportamenti che implichino l'assunzione di responsabilità limpide da parte delle istituzioni preposte al governo del Paese, a partire dal Parlamento". "In un paese legato allo stato di diritto - ha aggiunto facendo fatica a proseguire per le rumorose interruzioni dell'opposizione - non sono le agenzie di stampa e neppure i dibattiti televisivi che determinano le sorti di un governo".

"E' bene che tutto venga alla luce". E' importante che la crisi venga discussa in Parlamento, ha sottolineato il presidente del Consiglio, perché davanti al rischio che possano entrare "in discussione in modo opaco preoccupazioni di riforma elettorale o di altro genere è bene che tutto venga alla luce in questa sede, nelle aule parlamentari. Esse sono la sede fondamentale della democrazia". Altra stoccata al leader dell'Udeur, che molti sospettano abbia deciso di puntare ad elezioni anticipate per scongiurare il referendum e gli effetti nefasti che avrebbe sul suo partito.

L'orgoglio di Prodi. Il premier ha rivendicato quindi quelli che ritiene successi indiscutibili della sua permanenza a Palazzo Chigi, dal risanamento dei conti pubblici alla lotta all'evasione fiscale, dagli accordi sul welfare alle scelte di politica estera, dalle politiche in favore dei ceti più deboli al senso di responsabilità con cui ha affrontato l'emergenza rifiuti in Campania. Davanti a un tale bilancio, è stato il ragionamento sottinteso di Prodi, Mastella e chi intende seguirlo lungo la strada della crisi, si assuma le proprie responsabilità, ma ricordi che "questo è un governo che, nato su un patto di legislatura sottoscritto da tutti i partiti dell'Unione il 20 giugno del 2005, si era ripromesso, cito testualmente, 'un'alleanza destinata a durare per l'intero arco della legislatura'. Questo è un governo - ha proseguito - che, nato sulla base di un programma elettorale firmato e condiviso da tutti i partiti dell'Unione l'11 febbraio del 2006, ha avuto il mandato di guidare il Paese per cinque anni".

Verso la doppia fiducia. Per questo Prodi ha deciso di chiedere espressamente la fiducia, alla Camera come al Senato. Il primo voto è fissato per domani pomeriggio a Montecitorio, dove salvo sorprese, il governo otterrà la maggioranza anche senza il voto favorevole dei deputati dell'Udeur. L'appuntamento con lo scoglio del Senato, dove in teoria con la defezione dei mastelliani la maggioranza non esiste più, sarà invece in agenda molto probabilmente per il pomeriggio di giovedì con la replica dell'intervento del presidente del Consiglio.

Al premier serve tempo? Questa è almeno la proposta avanzata dal ministro dei Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti alla presidenza di Palazzo Madama. Una tempistica che potrebbe far slittare il voto di fiducia dei senatori alla prossima settimana, quasi che Prodi voglia prendersi tutto il tempo possibile per cercare di giocarsi le ultime carte. Magari tentare la riapertura di un dialogo con Mastella, come ha suggerito il ministro Rosi Bindi, oppure la conquista di qualche senatore del grande magma centrista.

I timori di Forza Italia. Manovre che potrebbero essere la ragione dell'ottimismo del Professore e che almeno un poco sembrano impensierire anche l'opposizione. "Prodi ha descritto il paese dei Balocchi - ha sentenziato con sarcasmo il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti - un paese completamente difforme dal vero. Però - ha messo in guardia - stiamo attenti, perché questa pervicacia nel difendere la poltrona contro ogni evidenza, è sospetta".

(22 gennaio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Scalfaro: non si può escludere un esecutivo istituzionale
Inserito da: Admin - Gennaio 23, 2008, 04:59:56 pm
L'intervista

«Deboli se passano solo grazie a noi»

Scalfaro: non si può escludere un esecutivo istituzionale

 
 
ROMA — Presidente Scalfaro, come giudica la strategia di Prodi? Ha fatto bene a imboccare la strada della fiducia nelle aule di Camera e Senato? O avrebbe dovuto arrendersi subito dopo che Mastella aveva annunciato lo strappo?
«Ha scelto il percorso più trasparente, parlamentarizzando la crisi, come si dice. Dunque ha fatto benissimo, perché così costringe i partner della coalizione a esprimere in maniera definitiva da che parte intendono stare, con una pubblica assunzione di responsabilità. E' un mio vecchio cruccio, quello delle crisi extraparlamentari. Nel '91, durante uno dei tanti governi Andreotti, presentai un disegno di legge "in difesa dei diritti e delle prerogative del Parlamento", perché mi sembrava mortificante che vita e morte degli esecutivi fossero decise nel chiuso delle segreterie dei partiti, con deputati e senatori chiamati a ratificare giochi di cui ignoravano tutto o quasi. La Camera approvò il disegno di legge a larga maggioranza, salvo metterla poi a "dormire" a Palazzo Madama ».

A proposito di Senato, lei sarà presente alla seduta di domani? E voterà la fiducia? «Certo che ci sarò. E certo che voterò la fiducia a Prodi. Se non altro per una considerazione discriminante: è impensabile andare alle urne con l'attuale legge elettorale. Non è un caso che chi l'ha voluta, mentre la legislatura stava per chiudersi, l'abbia battezzata "una porcata". Infatti espropria i cittadini del diritto di scegliersi i propri rappresentanti. Così, si può affermare che nessuno dei deputati e senatori di oggi sia stato eletto consapevolmente dagli italiani. Una scostumatezza politica e giuridica».

Ma se Prodi sopravvivesse solo per l'appoggio dei senatori a vita, non si aprirebbe una questione politico- istituzionale? Un conto è varare un provvedimento grazie ai vostri voti, un altro conto è superare lo scoglio della fiducia esclusivamente grazie a questo soccorso...
«Sul piano costituzionale il problema non si pone. Nessuno, a partire dal capo dello Stato, può fare distinzioni tra voto dei senatori eletti e voto dei senatori "di diritto". Certo, il problema si porrebbe sul piano politico. Nel senso che un risultato del genere costituirebbe un'indiscutibile certificazione di debolezza e di tensioni».

Qualora Prodi esca battuto a Palazzo Madama, non sareste sconfitti un po' anche voi, «padri della Patria »?
«Non mi sentirei sconfitto. Assolutamente. Credo di aver appoggiato un governo che è uscito dalle urne con una sua maggioranza. Scarsissima, ma chiaramente esistente. Per il resto, l'esigenza è sempre la stessa: bisogna fare sia la nuova legge elettorale, sia qualche altro ritocco costituzionale. Una base su cui mettersi all'opera esiste già, basta leggere gli atti delle commissioni affari costituzionali di Montecitorio e Palazzo Madama. E su tale base è finora maturato un consenso quasi universale. Serve la buona volontà».

Qualcuno sostiene che Prodi, con la sua sfida in Parlamento rende di fatto impossibile lavorare al già difficile scenario di riserva: quello di un governo tecnico-istituzionale.
«Non sono di questo parere. L'approdo in aula permetterà a tutti, e in primo luogo al Quirinale, di avere elementi chiari e precisi sullo stato delle cose. Poi saranno tirate le somme. Profezie non voglio azzardarne, ma a mio avviso nessuna ipotesi può essere esclusa a priori. Almeno tenendo conto che prima di dichiarare finita la legislatura c'è lo scoglio di una legge elettorale che è una vergogna, perché sovverte un elementare principio democratico».

Un ultimo punto. Accanto alla sicura fiducia di oggi alla Camera, Prodi rischia domani una concreta sfiducia al Senato. C'è chi ragiona sulle possibilità che, se mancassero i numeri, sia sciolta soltanto l'assemblea di Palazzo Madama. E' un'ipotesi percorribile?
«Parlare di questo significherebbe entrare nei delicatissimi poteri del capo dello Stato. Sulla cui esperienza e saggezza ho una fiducia totale. Gli eventuali margini di manovra li esplorerà lui».

Marzio Breda
23 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: PRODI VALUTA SE VA AL SENATO DOPO LA CAMERA
Inserito da: Admin - Gennaio 23, 2008, 05:52:10 pm
2008-01-23 15:31

PRODI VALUTA SE VA AL SENATO DOPO LA CAMERA


ROMA - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - secondo quanto si apprende in ambienti di governo - avrebbe suggerito a Prodi di valutare l'opportunità di non andare in Senato per il voto di fiducia. Prodi si è riservato di prendere una decisione - sempre secondo quanto si apprende - dopo il voto a Montecitorio. Prodi ha avuto un colloquio di circa mezz'ora al Quirinale con il capo dello Stato Giorgio Napolitano. All'incontro era presente anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta. Al termine, Prodi e Letta hanno fatto rientro a palazzo Chigi.

La votazione sulla fiducia che verrà chiesta dal presidente del Consiglio Romano Prodi si terrà nell'Aula della Camera a partire dalle 17. L'assemblea di Palazzo Madama invece ascolterà le comunicazioni del presidente del Consiglio Romano Prodi domani pomeriggio alle ore 15, alle ore 18 sono in programma le dichiarazioni di voto per le quali è stata chiesta la diretta televisiva. Alle ore 20, infine, è previsto il voto sulla fiducia.

SATTA, UDEUR NON PARTECIPA VOTO FIDUCIA
"Il gruppo Udeur non parteciperà al voto sulla risoluzione Soro" su cui il Governo ha posto la questione di fiducia. Lo annuncia Antonio Satta chiudendo il suo intervento nell'Aula della Camera sulla questione di fiducia.

BOSSI, VOTO O FACCIAMO LA RIVOLUZIONE, TROVEREMO ARMI
 Ai giornalisti che gli chiedevano che cosa accadrebbe se non si andasse al voto, Umberto Bossi ha risposto con una risata e una battuta: ''se non si va al voto facciamo la rivoluzione... - ha detto tirando una boccata del suo sigaro e aprendosi in una risata - vuol dire che mettiamo in piedi la polizia del Veneto, della Lombardia, del Piemonte... Certo ci mancano un po' di armi, ma prima o poi quelle le troviamo'', ha concluso ridendo nuovamente.

"UDEUR NEL CENTRODESTRA", MASTELLA SMENTISCE
"Nessuna confluenza da nessuna parte. Le nostre scelte sono e saranno sempre di centro". Clemente Mastella replica con una secca nota diffusa dal suo ufficio stampa a Silvio Berlusconi che aveva annunciato per stasera la confluenza dell'Udeur nel centrodestra.

FISICHELLA: VOTO NO, ESAURITO RAPPORTO DI FIDUCIA - "Ho detto al presidente Prodi che il rapporto di fiducia con il governo si è esaurito, senza possibilità di recupero". Lo ha affermato il senatore Domenico Fisichella. "Se ci sarà il voto di fiducia al Senato" Fisichella voterà no.

ANDREOTTI, VOTO A PRODI E LA MAGGIORANZA TERRA' - "Mi pare che in questo momento non ci sia un'alternativa già pronta per dire che è necessario mandare in pensione il governo attuale. E' per questo che domani voterò a favore di Prodi". Così il senatore Giulio Andreotti ai microfoni di Radio Città Futura. Rispetto poi all'ipotesi di un governo istituzionale Andreotti spiega "credo che questo porterebbe forse più una difficoltà operativa che non il superamento di quello che oggi ha un certo sapore di disagio che certamente c'é ". "Dall'aria che si respira in questi giorni a palazzo Madama - ha concluso Andreotti - non vedo nessun temporale in vista per Prodi. Sono pronto a scommettere sulla tenuta di questa maggioranza".

DINI: NON C'E' MAGGIORANZA, VEDREMO COME VOTARE- "Ho consigliato a Romano Prodi di andare al Quirinale dopo il voto alla Camera, perché qui in Senato non c'é la maggioranza". Così Lamberto Dini ha risposto ai cronisti che gli chiedevano domani come si comporteranno i liberal-democratici sul voto di fiducia chiesto dal presidente del Consiglio. Alla domanda su che cosa faranno i liberal-democratici se il presidente del Consiglio chiederà lo stesso il voto dei senatori, ha replicato: "Questo lo valuteremo".
 
da ansa.it


Titolo: Governo, Prodi valuta le dimissioni
Inserito da: Admin - Gennaio 23, 2008, 05:53:22 pm
Diretta -  POLITICA

Governo, Prodi valuta le dimissioni

Nel pomeriggio voto alla Camera

Il Professore dovrebbe superare il primo ostacolo, anche senza i voti dell'Udeur.

La prova del fuoco sarebbe quella fissata per domani sera al Senato.

Ma Napolitano ha chiesto al premier di valutare se chiedere o no la fiducia a Palazzo Madama


16:41  Dini: "Non voterò la fiducia"
"I liberaldemocratici, al termine di una valutazione congiunta dell'ufficio politico presieduto dal senatore Lamberto Dini, annunciano che non voteranno la fiducia al governo". Lo afferma in una nota, a nome de partito, il senatore Giuseppe Scalera.

16:32  Casini: "Prodi si deve dimettere prima di andare al Senato"
Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini suggerisce a Prodi "di evitare un secondo tempio al Senato per la fiducia. Sarebbe una perdita di tempo e un accanimento che precluderebbe ogni possibilità di far proseguire questa legislatura". Con un governo tecnico o istituzionale. Casini ha poi ribadito che l'Udc lavora "per la nascita del centro".

16:28  Bossi: "Prodi ha chiesto il voto a Maroni e Calderoli"
Secondo il segretario della Lega Umberto Bossi, il premier Prodi "ha chiesto il voto a Maroni e a Calderoli per sostenere la fiducia al governo".

16:18  Udeur: "Su di noi ignobili pressioni e concussioni politiche"
Il Campanile contro Berlusconi e il suo annuncio "entro stasera Udeur sarà nella Cdl". In una nota dell'ufficio stampa dell'Udeur si legge di "ignobili tentativi di fare incursione nel nostro partito e le concussioni politiche di alcuni che stiamo registrando e che respingiamo con sdegno. Siamo ai limiti della vita democratica e nei prossimi giorni ne daremo conto dettagliando tutti gli aspetti con i quali si è tentata la persecuzione e l'eliminazione politica dei Popolari-Udeur".

16:01  Udeur ribadisce il "no" al Senato
"La nostra posizione è inequivocabile, al Senato l'Udeur voterà contro la fiducia al governo". Lo dice Tommaso Barbato, capogruppo dell'Udeur al Senato. E "non ha significato", aggiunge, "se l'Udeur si astiene alla Camera. Non c'è alcuna differenza".

15:57  Diliberto (Pdci): "In crisi per il centro e per il Pd"
Il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto garantisce appoggio e fiducia a Prodi e si augura che "superi questo momento di difficoltà". Comunque, è chiaro a tutti che la crisi va addebitata "alle forze del centro ma anche al Pd e al suo segretario".

15:54  Donadì (Idv): "Questo governo ha fatto un lavoro straordinario"
Anche l'Italia dei Valori garantisce appoggio e fiducia al governo. "Speriamo che il percorso di questo governo possa non essere interrotto" ha detto il capogruppo Massimo Donadì. "Lei comunque, signor presidente del Consiglio, con coraggio e con lealtà ha detto alla politica che i governi nascono e muoiono nelle aule del Parlamento".

15:49  Bonelli (Verdi): "Questo governo ha fatto un buon lavoro"
I Verdi hanno annunciato il loro sì alla fiducia al governo Prodi. Bonelli ha ricordato nelle dichiarazioni di voto "cosa ha saputo fare la Cdl nella precedente legislatura, dalla leggi ad personam in avanti". Bonelli, molto disturbato mentre parlava, ha dato atto al premier di "aver fatto un buon lavoro" e per questo lo ha ringraziato.

15:42  Fotografia dell'aula
Ci sono immagini che parlano da sole. L'istantanea dell'aula di Montecitorio dice molto sulle condizioni del governo. In aula accanto a Prodi ci sono i "suoi" uomini, Arturo Parisi, Tommaso Padoa Schioppa e Enrico Letta. Non ci sono nè D'Alema nè Rutelli. E tra i banchi del Pd spicca un solitario Piero Fassino.

15:39  Satta (Udeur): "Al centro per un governo stabile"
L'Udeur non parteciperà al voto sulla fiducia al governo. Lo ha detto Antonio Satta, a nome del suo gruppo l'Udeur, durante la dichiarazione di voto alla Camera. "Non confluiamo da nessuna parte. Noi siamo impegnati nella costruzione di un centro forte per dare a questo paese un governo stabile".

15:27  Uduer verso l'astensione alla Camera
Il capogruppo dell'Udeur alla Camera Mauro Fabris ha detto che il Campanile potrebbe astenersi dal voto di fiducia previsto nel pomeriggio a Montecitorio.

15:22  La prima chiama alle 17
La chiama nominale avrà inizio alle ore 17 circa. Tra gli iscritti a parlare ci sono Gianfranco Fini (an), Franco Giordano (prc), Pier Ferdinando Casini (udc), Oliviero Diliberto (pdci), Antonello Soro (pd), Roberto Maroni (lega nord), Titti Di Salvo (sd), Massimo Donadi (idv), Angelo Bonelli (verdi), Roberto Villetti (rnp) e Antonio Satta (udeur). Per fi dovrebbe intervenire Silvio Berlusconi.

15:18  Cominciate dichiarazioni di voto
In aula a Montecitorio sono cominciate le dichiarazioni di voto dei vari gruppi parlamentari. Per il Psi ha parlato Valdo Spini: "Daremo la fiducia a questo governo"

15:02  Bossi: "O al voto o c'è la rivoluzione. Troveremo le armi"
"Cade, cade. Può reggere alla Camera ma cade al Senato". È quanto ha dichiarato dal leader della Lega, Umberto Bossi. Che poi ha aggiunto: "O andiamo al voto o c'è la rivoluzione. Troveremo le armi".

14:33  Napolitano a Prodi: "Valutare fiducia al Senato"
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, durante il colloquio di stamane, avrebbe suggerito a Prodi di valutare l'opportunità di presentarsi o meno al Senato per il voto di fiducia. Il premier, a quanto si apprende in ambiente di governo, si è riservato di prendere ogni decisione dopo il voto a Montecitorio.

14:30  Bordon: "Al Senato non ci sono i numeri"
"Dobbiamo essere chiari: i numeri al Senato non ci sono e spero davvero che Romano Prodi voglia dimettersi subito. Se domani verrà al Senato, comunque, gli voterò la fiducia: non potrei fare altrimenti, per affetto e perchè credo nel vincolo di mandato ricevuto dagli elettori". Lo dice il senatore Willer Bordon, ex della Margherita

14:08  Consiglio dei ministri convocato per venerdì mattina
Il Consiglio dei Ministri è convocato per venerdì 25 gennaio alle ore 8,45 a Palazzo Chigi per l'esame di provvedimenti urgenti.

13:50  Fini: "Non stupisce la smentita di Mastella"
"La smentita del senatore Mastella all'ipotesi della sua confluenza nel centrodestra non deve destare meraviglia, perchè il leader dell'Udeur aveva già esplicitamente affermato nei giorni scorsi la sua volontà di dar vita ad un polo di centro autonomo rispetto ai due schieramenti". Lo dichiara il presidente di An, Gianfranco Fini.

13:38  Bonino: "Andare al voto ora non avrebbe senso"
"Abbiamo fatto molto. Di piu' si poteva fare, ma tutto non si può fare. Io penso che il paese abbia bisogno un grande slancio di riforma nell'economia e a livello istituzionale. Non si capisce il senso di andare alle elezioni". Lo sottolinea il ministro per il Commercio con l'estero Emma Bonino, conversando con i giornalisti a Montecitorio

13:27  Fisichella: "Se si vota al Senato, il mio sarà un no"
Se ci sarà il voto di fiducia al Senato Domenico Fisichella voterà "no". Lo ribadisce il professore avvicinato dai giornalisti a Palazzo Madama, di ritorno da Palazzo Chigi dove ha incontrato il premier Romano Prodi per riferirgli la sua scelta di confermare quanto detto in aula al Senato il 20 dicembre scorso e cioè mai più una fiducia a questo governo.

13:23  Nucara: "Se cade Prodi, elezioni"
"Le ipotesi di governo istituzionale non stanno in piedi" dichiara il segretario del Pri Francesco Nucara, che aggiunge: "Se Prodi dovesse veramente presentarsi al Senato e dovesse, come credo, non ottenere la fiducia, si vada al voto al più presto, anche con la legge elettorale vigente".

13:17  Prodi rientra a Palazzo Chigi
Dopo un colloquio di mezz'ora con Napolitano, Romano Prodi è rientrato a Palazzo Chigi

13:09  Pallaro non dovrebbe partecipare al voto domani
Secondo quanto si apprende, il senatore Luigi Pallaro, eletto nella circoscrizione Estero, non dovrebbe partecipare al voto sulla fiducia a palazzo Madama, previsto per domani sera alle 20

13:04  Prodi a colloquio con Napolitano
Il presidente del Consiglio Romano Prodi è a colloquio con il capo dello Stato Giorgio Napolitano, al Quirinale

13:04  Mastella: "Nessuna confluenza, siamo al centro"
"Nessuna confluenza da nessuna parte. Le nostre scelte sono e saranno sempre di centro": così Clemente Mastella replica con una secca nota diffusa dal suo ufficio stampa a Silvio Berlusconi, che aveva annunciato per stasera la confluenza dell'Udeur nel centrodestra.

12:54  Ferrero: "Avanti se ci sono i voti"
"Penso che sia molto difficile farcela domani, però l'importante è che la verifica la si faccia in Parlamento e non nei salotti televisivi. In modo che il Paese sappia perchè un partito dà o non dà la fiducia", ha detto il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, intervenendo a 'Viva Voce' su Radio 24 sulla crisi politica. Ferrero ha anche criticato duramente la posizione di Berlusconi che minaccia di scendere in piazza: "Se qualcuno ha documentazione di compravendita di voti lo denunci - ha detto il ministro - ma ritengo la posizione di Berlusconi concretamente eversiva".

12:50  Berlusconi: il governo può portare il paese alle elezioni
"C'è un governo in carica che può tranquillamente portare il Paese alle elezioni, siamo convinti che questa sarebbe la soluzione più normale, un governo che restasse in carica per la normale amministrazione fino al voto" ha detto ancora Berlusconi

12:47  Berlusconi: Prodi al Quirinale prima del Senato
"Se l'Udeur confermerà le sue dichiarazioni di uscita dalla maggioranza, Prodi deve recarsi subito al Quirinale, prima del voto al Senato, perchè non c'è più la maggioranza politica". Lo afferma il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi lasciando Montecitorio

12:46  Alle 18 conferenza dei capigruppo Camera
E' stata convocata per le 18 la conferenza dei capigruppo della Camera

12:34  Berlusconi: "Mastella stasera entrerà in centrodestra"
"Da quello che mi risulta, stasera l'Udeur annuncerà la sua confluenza nel centrodestra". Lo afferma il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi, lasciando Montecitorio.

12:29  Fisichella: "A Prodi ho ribadito fine rapporto di fiducia"
"Oggi ho ribadito a Prodi quel che avevo già detto in Aula al Senato a dicembre: il rapporto di fiducia politica con il governo si è esaurito. Prodi ne ha preso atto e ovviamente non ne è stato contento". Lo ha detto il senatore eletto nelle liste della Margherita Domenico Fisichella, lasciando palazzo Chigi dopo un breve incontro con il premier.

12:28  Montalcini: "Domani sarò al Senato, spero vada bene"
"Certo che domani ci sarò e voterò la fiducia a Prodi". Così la senatrice a vita, Rita Levi Montalcini, lasciando Montecitorio dove si è svolta la cerimonia per il sessantesimo anniversario della costituzione. Alla domanda se sia preoccupata per le sorti del governo, Montalcini replica: "Spero che domani vada bene".

12:24  Berlusconi: "Al Senato non ci sono incertezze"
"Penso che in Senato non ci siano incertezze" sull'esito del voto di fiducia, "a meno di imprevisti imprevedibili, scusate la tautologia". Lo ha detto il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi conversando con i cronisti in Transatlantico.

12:20  Berlusconi: "Prodi puà cambiare legge elettorale in una settimana"
Potrebbe essere lo stesso governo Prodi, "in una settimana" a cambiare, secondo il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, "questa legge elettorale, spostando il premio di maggioranza del Senato dalle regioni a livello nazionale".

12:18  Cesa: "Senza i numeri Prodi rinunci al passaggio al Senato"
"Se non ha i voti Prodi ne prenda atto, non vada domani al Senato e contribuisca a svelenire il clima". Così il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa rinnova l'invito al presidente del Consiglio a fare un passo che possa creare le condizioni per un governo di transizione.

12:13  Fisichella non darà la fiducia ma potrebbe restare a casa
Il senatore eletto nelle liste della Margherita Domenico Fisichella conferma che non darà la fiducia a Prodi senza però precisare se voterà no oppure se no sarà presente in aula. "Ora vado dal Presidente del Consiglio e poi vi dico...". E' la sua risposta ai cronisti che gli chiedono lumi sulla sua decisione.

12:03  Comitato promotore a Napolitano: "Voto solo dopo referendum"
Giovanni Guzzetta, presidente del Comitato promotore dei referendum, ha scritto insieme a Mario Segni e Natale D'Amico una lettera aperta a Giorgio Napolitano per chiedere l'indizione del referendum in una delle prime date utili, considerata l'eventualità di uno scioglimento anticipato delle Camere.

11:59  Prodi: "Bene Napolitano, Costituzione è cemento del Paese"
"Ho apprezzato Napolitano", dice Romano Prodi, lasciando Montecitorio per avviarsi a Palazzo Chigi. "La Costituzione - sottolinea - è un grande cemento del Paese e un elemento di unità".

11:58  Parlamentari leghisti non applaudono Napolitano
Di parlamentari della Lega in aula, per celebrare i 60 anni della Costituzione, ce ne sono solo tre. E quando tutti deputati e senatori si alzano in piedi per battere le mani in conclusione della cerimonia il capogruppo del Carroccio Roberto Maroni si alza, ma resta al primo banco a braccia conserte. Nessun cenno di applauso nemmeno dagli altri due esponenti della Lega.

11:57  Napolitano: "Riforme rifuggendo dai miracolismi"
"Non c'è dubbio che restino e si manifestino squilibri, distorsioni, fattori di confusione e di tensione su diversi piani", afferma Giorgio Napolitano nel discorso a Montecitorio. "E' innegabile", aggiunge che "si possa porre riparo solo intervenendo su alcune disposizioni della seconda parte della Costituzione", con un realistico confronto fra le forze politiche e che "è bene rifuggire da semplificazioni e miracolismi".

11:54  Napolitano: "Stabilità legata alla coesione delle alleanze"
"Si deve essere ben consapevoli del fatto che la stabilità dei governi e la tempestività delle decisioni anche legislative, resteranno sempre legate in non lieve misura al livello di aggregazione e di coesione tra le forze politiche che si alternano alla guida del Paese, al loro grado di rappresentatività, alla loro autorevolezza". Lo ha sottolineato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, parlando di fronte al Parlamento riunito in seduta comune per la celebrazione dei 60 della Costituzione.

11:51  Calderoli: "Numeri dicono che Prodi cadrà al Senato"
"I numeri oggi ci dicono che non c'è possibilità per il Governo di passare al Senato. Possiamo tollerare fino a un'assenza ma il governo cadrà comunque". Lo afferma il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, in Transatlantico alla Camera.

11:34  Napolitano: "Costituzione di tutti, riforme solo insieme"
La Costituzione "rappresenta più che mai, nella sua comprovata validità, un patrimonio comune. Nessuna delle forze oggi in campo può rivendicarne in esclusiva l'eredità, né farsene strumento nei confronti di altre. Possono solo tutte insieme richiamarsi ai valori e alle regole della Costituzione, e insieme affrontare anche i problemi di ogni sua specifica, possibile revisione". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo discorso alla Camera, in occasione della cerimonia per celebrare i sessant'anni della Costituzione.

11:33  Marini: "Italia necessità di adeguamenti istituzionali mirati"
"L'Italia necessita di alcuni mirati adeguamenti istituzionali perché la nostra democrazia possa incidere più efficacemente di fronte ai tanti problemi che incalzano. E si tratta di cambiamenti urgenti".
Così il presidente del Senato, Franco Marini, nel suo discorso celebrativo per il 60mo anniversario della Costituzione nell'Aula di Montecitorio.

11:31  Bertinotti: "Viviamo momento di acuta crisi della politica"
"Oggi viviamo un momento di acuta crisi della politica, che ha determinato una preoccupante distanza che separa i cittadini dalla vita pubblica, dalla politica e dalle istituzioni. Colmare questa distanza rappresenta il presupposto necessario per la risoluzione dei numerosi elementi di criticità con cui si confronta in questa fase la comunità nazionale, nell'epoca di un grande cambiamento denso di problemi molto ardui e assai dolorosi". Fausto Bertinotti ha dedicato alla crisi della politica un passaggio del suo intervento alla cerimonia per i 60 anni della Costituzione.

11:28  Napolitano: "Distorsioni politica non sono colpa della Costituzione"
"Non ha senso imputare alla Costituzione errori e distorsioni che hanno rappresentato il frutto di una complessa dialettica politica. Occorre fare bene attenzione a non confondere indirizzi costituzionali e scelte politiche, responsabilità politiche". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo discorso durante la celebrazione, alla Camera, dei sessant'anni della Costituzione.

11:24  Cossiga: "Al Senato epidemia nella Cdl aiuterà Prodi"
"Non comprendo come gli organi d'informazione e i miei colleghi parlamentari non abbiano ancora compreso quale sia l'iter 'prodiano' in questa crisi: scontato voto di fiducia alla Camera, pressing su i senatori che mai avessero intenzione di votare contro (pressing che sono certo avrà successo ad esempio su Dini e sui liberaldemocratici e su una parte almeno dell'Udc di Casini)". Lo afferma il senatore a vita Francesco Cossiga. "E poi - prosegue - teniamo conto della dilagante epidemia nel centrodestra, della prostatite causata da un virus mutante, e quindi difficilmente aggredibile, detto 'walterveltronianum'".

11:10  Dini: "Ancora non so come voteremo domani al Senato"
"Noi abbiamo consigliato al presidente del Consiglio di non venire in Senato dove non ha più una maggioranza ma di recarsi al Quirinale a rimettere le dimissioni nelle mani del capo dello Stato". E' il senatore Lamberto Dini a rispondere così dai microfoni del Gr3. Per aggiungere subito dopo di non sapere ancora come voteranno domani sulla fiducia al governo.

11:08  Iniziata a Montecitorio la cerimonia per i 60 anni della Costituzione
E' iniziata alla Camera la cerimonia per i 60 anni della Costituzione. Nell'aula di Montecitorio sono presenti il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, i presidenti di Camera e Senato, Fausto Bertinotti e Franco Marini, il presidente del Consiglio Romano Prodi, il presidente della Corte Costituzionale, deputati e senatori. La cerimonia è stata aperta dall'Inno di Mameli e dal saluto dei due presidenti delle Camere. Seguira' l'intervento di Napolitano.

11:07  Stretta di mano tra Prodi e Berlusconi
Prima di prendere parte alla celebrazione per il 60/o anniversario della Costituzione, il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi si è diretto nella sala dove si trovavano il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, i due presidenti delle Camere, Fausto Bertinotti e Franco Marini, diversi esponenti del governo ed alcuni senatori a vita. Berlusconi, dirigendosi verso la sala, ha incontrato il presidente del Consiglio Romano Prodi. I due si sono fermati e si sono stretti la mano.

11:01  Napolitano alla Camera per i 60 anni della Costituzione
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è giunto a Montecitorio dove alle 11 è in programma una cerimonia per i 60 anni della Costituzione a camere riunite. Il capo dello Stato, dopo i saluti dei presidenti del Senato, Franco Marini, e della Camera, Fausto Bertinotti, parlerà a deputati e senatori.

10:50  Fisichella: "Al Senato voterò no alla fiducia"
"Voterò no alla fiducia. Sta agli atti parlamentari, l'ho già ribadito durante la finanziaria che quello sarebbe stato il mio ultimo voto di fiducia". Così il senatore Domenico Fisichella in merito al voto di fiducia in programma domai al Senato, arrivato alla Camera per partecipare alla cerimonia dei 60 anni della Costituzione. Fisichella ha spiegato che Palazzo Chigi lo ha cercato e ha aggiunto: "Oggi parlerò con Prodi e gli ribadirò il mio no".

10:38  Comunisti italiani: "Alle urne anche con questa legge elettorale"
"Bisogna andare alle urne. Anche con questa legge elettorale, di cui non ho mai parlato male". Così Manuela Palermi dei Comunisti Italiani durante il dibattito di "Omnibus" su La7. "Certo, c'è il problema del premio di maggioranza al Senato, perché alla Camera ha funzionato benissimo: basterebbe correggere solo piccole cose e la legge può funzionare".

10:29  Financial Times: "Elezioni ultima cosa di cui ha bisogno l'Italia"
"L'ultima cosa di cui l'Italia ha bisogno ora sono altre elezioni senza una nuova legge". Così il britannico "Financial Times" in una nota sull'edizione europea di oggi intitolata "Precario Prodi".
"Oltre alla prospettiva di venirsi a trovare senza un governo nel pieno delle sue funzioni durante un periodo di turbolenze economiche, il Paese - osserva il quotidiano finanziario - è imbrigliato in un sistema elettorale che non è 'né cotto né crudo' e che con tutta probabilità produrrà un altro caleidoscopio di litigiosi partiti politici".

10:15  Pecoraro: "Fiducia al Senato? Dico 50 e 50 di possibilità"
"Do un 50 e 50 di possibilità, visto che al momento l'Udeur ha dichiarato che non voterà la fiducia". E' questo il pronostico del ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio sul voto di fiducia al Senato. Quanto alla possibilità di un Prodi bis, il leader dei Verdi afferma: "Tecnicamente tutto è possibile, visto che l'Unione ha candidato Prodi e la legislatura non è terminata non potremmo non sostenerlo. Certamente potrebbe essere candidato".

09:49  La Suedtiroler Volkspartei conferma fiducia a Prodi
La Suedtiroler Volkspartei conferma la sua fiducia al governo Prodi, ma gli esponenti del 'partito di raccolta' degli altoatesini di lingua tedesca sono dell'avviso che la Svp, in futuro, dovrà rimanere "fuori dai blocchi". La riconferma della fiducia a Prodi - scrive il giornale in lingua tedesca Dolomiten - viene anche dalla senatrice Helga Thaler Ausserhofer, che nel corso di questa legislatura aveva talvolta usato toni critici, specie sulla politica fiscale del governo.

09:22  Andreotti scommette su Prodi: "Al Senato ce la farà"
'''Dall'aria che si respira in questi giorni a Palazzo Madama non vedo nessun temporale in vista per Prodi. Sono pronto a scommettere sulla tenuta di questa maggioranzà darò il mio voto a Prodi. Mi pare che in questo momento non ci sia un alternativa già pronta per dire che è necessario mandare in pensione il governo attuale. E' per questo che domani voterò a favore di Prodì. Così il senatore a vita Giulio Andreotti ai microfoni di Radio Città Futura.

07:36  Domani al Senato la prova più difficile
Se i numeri dicono che oggi alla Camera Prodi otterrà la fiducia senza grandi problemi, tutta un'altra storia è quella che il premier vivrà domani al Senato, dove salvo sorprese la sua richiesta di fiducia dovrebbe essere bocciata. La partita si giocherà però sul filo e non manca nell'Unione chi spera ancora in una sorpresa in grado di rimettere almeno momentanemamente in sella il presidente del Consiglio. I due schieramenti si confrontano infatti attorno alla soglia dei 160 voti che il centrodestra, con il rinforzo dell'Udeur, sembra avere garantiti. Basterà però qualche assenza o il ripensamento di qualche singolo senatore per spostare gli equilibri a favore del centrosinistra.

07:27  Alla 15 il dibattito alla Camera, poi la fiducia
E' previsto per le 15 alla Camera dei deputati il dibattito sulla fiducia chiesta dal presidente del Consiglio Romano Prodi dopo l'annuncio dell'uscita dell'Udeur dalla maggioranza. Dopo le dichiarazioni di voto si andrà alla conta, ma a Montecitorio i numeri garantiscono al premier di ottenere la fiducia senza grando problemi, malgrado la defezione dei mastelliani

da repubblica.it


Titolo: Massimo Franco - La notte dell’azzardo
Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2008, 09:39:21 am
Palazzo chigi

La notte dell’azzardo

Prodi potrebbe decidere una frenata in extremis, perché punta ad ottenere dal Quirinale la garanzia di un reincarico


La corsa prodiana verso il voto al Senato ha qualcosa di eroico, e insieme avventuroso fino all’azzardo. Il presidente del Consiglio conferma l’intenzione di presentarsi oggi nell’aula di Palazzo Madama, sebbene gli si pari davanti come un muro contro il quale ha buone probabilità di schiantarsi; e con lui l’Unione. Proprio per questo Romano Prodi potrebbe decidere una frenata in extremis questa mattina: ma probabilmente solo perché punta ad ottenere dal Quirinale la garanzia scivolosa di un reincarico. Comunque sia, il Professore si avvicina all’ultimo atto, circondato da una maggioranza sbandata, logorata e forse stanca di lui; ma deciso a non farsi archiviare in modo indolore. Ieri ha ottenuto la fiducia della Camera: epilogo scontato, sebbene i suoi ministri lo esaltino come un fatto nuovo, presagio di resurrezioni al Senato. Le previsioni dicono che nell’aula che dopo le elezioni del 2006 ha mostrato e dilatato i limiti della vittoria dell’Unione, oggi si potrebbe chiudere una fase. Lo spartiacque sarà l’apertura formale della crisi. Prodi sa bene che in quel momento, gli alleati non risponderebbero più a lui, ma al Quirinale.

E il sostegno convinto o peloso degli ultimi giorni diventerebbe una corsa a salvare la legislatura; anche con un governo chiamato amettersi alle spalle Professore e Unione: basta che allontani per un po’ il fantasma delle urne all’ombra delle riforme elettorali. I segnali ci sono tutti: a cominciare dalla nota ufficiosa, poi smentita, con la quale il Pd ha fatto capire che preferirebbe le dimissioni prima del voto del Senato. Pare che Prodi l’abbia registrata come una pugnalata. Ma è una soluzione caldeggiata anche dal presidente della Repubblica, e non solo. Giorgio Napolitano teme che un braccio di ferro prolungato in Parlamento porti alle elezioni anticipate. L’ha spiegato allo stesso premier, senza convincerlo: almeno fino a ieri. In teoria, potrebbe perfino ridargli l’incarico di formare un governo. Solo, però, se l’Unione lo ricandida. Già, ma chi? L’Udeur giura che non avrà ripensamenti. E Lamberto Dini annuncia il voto contrario. Sarebbero andati a vuoto anche i tentativi notturni di Prodi di blandire Umberto Bossi. E in questo scenario in dissoluzione, il premier ufficialmente continua a tirare la corda. In apparenza, vuole togliersi l’amara soddisfazione di vedere alcuni alleati che lo affossano alla luce del sole.

 Ma forse, in un angolino recondito continua a coltivare la speranza di un miracolo parlamentare inatteso: quella manciata di «sì» che lo salverebbe. Il problema è l’abisso che può aprirsi se «San Romano», come lo chiamano i sostenitori irriducibili, si dimostrerà incapace di miracoli. E consegnerà al suo popolo non il rilancio del centrosinistra, ma lo scioglimento delle Camere e una probabile rivincita berlusconiana. È un incubo a occhi aperti, per l’Unione. E non si può escludere che Prodi lo offra agli alleati per farsi sostenere nell’accenno di braccio di ferro fra palazzo Chigi e Quirinale. O reincarico, o elezioni: l’alternativa che il Professore cerca di imporre all’Unione e a Napolitano è questa. D’altronde, anche oltre i confini della coalizione ci sono partiti pronti a impedire l’approdo alle urne. E Prodi scommette sulla loro paura. La cena di ieri sera col presidente del Senato, Franco Marini, conferma un lavorìo frenetico dietro le quinte, che si affianca alle dichiarazioni ufficiali. Marini viene già additato come un possibile successore di Prodi a palazzo Chigi. Ma ormai s’è capito che, se ci sarà, il cambio della guardia sarà traumatico. Il Professore vuole dimostrare che la sua uscita di scena sarebbe la fine di un’epoca, non di un governo; e che sotto le macerie resterebbe qualche alleato. È l’estrema risorsa di un «non politico», nelle parole del ministro Arturo Parisi, che non rinuncia alle maniere del politico incallito prima di rassegnarsi alla sconfitta.

Massimo Franco
24 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: Francesco Alberti - Romano: «Reincarico? Resta un’ipotesi»
Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2008, 09:40:50 am
La nuova maratona di trattative e conti

Romano: «Reincarico? Resta un’ipotesi»

«Il rispetto delle regole è per me fondamentale. C’è un’etica istituzionale alla quale non intendo sottrarmi»


ROMA — Fino in fondo. A costo di finire nel baratro. Romano Prodi vuole giocarsi la sua partita al Senato. «Sì, ho assolutamente intenzione di farlo e lo farò» conferma il premier alle 9 di sera, alla fine di una giornata frenetica, politicamente schizofrenica, segnata da contrasti con il Quirinale e da un balletto di sospetti e colpi bassi sull’asse Palazzo Chigi-Partito democratico. Fino in fondo. A dispetto di chi lo ha invitato a prendere in considerazione l’idea delle dimissioni (il presidente Napolitano) e di chi, pur non dicendolo ufficialmente, ha fatto capire di considerarla l’unica strada praticabile (Veltroni e parte del Pd). Prodi ci vuole provare. E non è affatto d’accordo con chi ritiene che una sua bocciatura al Senato avvelenerebbe i pozzi in vista di un governo istituzionale o tecnico: «Non è vero, un’eventuale sfiducia non pregiudicherebbe la possibilità di un reincarico» ha tenuto a precisare ieri sera. Circostanza, va però detto, del tutto prematura e comunque vissuta dal premier con grande diffidenza. L’unica certezza, quindi, è che Prodi non intende gettare la spugna.

Oggi se la giocherà al Senato, a costo di andare a sbattere: «E’ doloroso, ma devo farlo per il Paese. Il rispetto delle regole è per me fondamentale. C’è un’etica istituzionale alla quale non intendo sottrarmi: i governi non cadono nei salotti. E gli italiani hanno diritto di vedere chi è a favore del mio governo e chi invece, cambiando idea rispetto agli accordi presi due anni fa davanti agli elettori, è contro» aggiunge il Professore. Ci sarà la diretta tv oggi a Palazzo Madama. E per una volta, lui da sempre allergico ai riti televisivi, cercherà con gli occhi le telecamere: «Voglio che tutto sia trasparente, non ci devono essere zone d’ombra...». Mastella che vota contro, Dini che fa altrettanto: «Che vedano, che vedano gli italiani. E ognuno si assuma le proprie responsabilità». Ci sono tutti gli ingredienti per un suicidio politico in diretta. I numeri sono contro Prodi, addirittura peggiorati rispetto a 24 ore fa: «La maggioranza per ora non c’è» ammettono candidamente i suoi. Una situazione surreale, se letta con gli occhi delle logiche romane. Ma il Professore, come dice anche l’amico Arturo Parisi, è un animale politico «anomalo» e le sue azioni sono spesso ispirate da «una dimensione irriducibilmente personale».

 Un mix, aggiungono i suoi, di coerenza, tenacia e orgoglio. «Fu così nel ’98 - ricordano - quando, se avesse accettato l’offerta di Cossiga, avrebbe potuto salvarsi. Beh, ora la situazione non è molto diversa: se acconsentisse a dare subito le dimissioni, rinunciando alla conta in Senato, probabilmente avrebbe maggiori possibilità di avere un’altra chance. Ma l’uomo è fatto così...». Politicamente anomalo finché si vuole, l’uomo. Ma senza esagerare però. Sbaglierebbe infatti, spiegano i suoi, chi immaginasse un Prodi rassegnato al proprio destino o unicamente ispirato da intenti vendicativi nei confronti di alleati più o meno infidi. «Sono sereno...» ha assicurato in serata, passeggiando per Roma con il ministro Padoa Schioppa. E anche se magari non è del tutto vero, di sicuro non se ne sta con le mani in mano. Ieri, tra uno spostamento e l’altro alla Camera, Prodi ha tessuto la sua tela, monitorando ogni angolo dell’arco costituzionale, saggiando la tenuta di gruppi grandi e piccoli, pronto ad intercettare eventuali parlamentari a disagio con le direttive dei rispettivi gruppi. La lente si è soffermata in particolare sul drappello mastelliano, alla Camera e al Senato. La mossa dell’Udeur di non partecipare alla votazione di ieri a Montecitorio ha fatto drizzare le antenne alla squadra prodiana: «Hanno avuto un comportamento ambiguo, approfondiremo...». Cosa che verrà fatta oggi, prima della resa dei conti al Senato: «E poi sia quel che sia...».

Francesco Alberti
24 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: Il Senato nega la fiducia a Prodi. Il no ha vinto con 161 voti contro i 156 sì.
Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2008, 10:43:32 pm
24/1/2008 (19:40) - LA CRISI DI GOVERNO

Il Senato nega la fiducia a Prodi
 
Romano Prodi sconfitto in Senato

Il no ha vinto con 161 voti contro i 156 sì.

Tre gli assenti, un astenuto. Decisivi Mastella, Fisichella, Turigliatto e Dini


ROMA
Il governo di Romano Prodi non ottiene la fiducia del Senato: i sì sono stati soltanto 156 mentre i no 161. C’è stata inoltre un’astensione, quella del senatore di Ld Roberto Scalera. Contro il governo hanno votato, oltre agli esponenti del centrodestra, anche: Mastella, Barbato, Fisichella, Turigliatto e Dini.

Non ha invece partecipato al voto il senatore a vita Giulio Andreotti, mentre gli altri cinque senatori a vita presenti in Aula hanno dato il loro sostegno al governo.

Fini: si va dritti a votare
«Ero convinto si dimettesse... ora si va dritti a votare». Così Gianfranco Fini segue il voto al Senato dal maxischermo montato da An a Largo Goldoni e, mentre volano coriandoli, sventolano le bandiere bianco-azzurre di An e si alzano cori, Fini osserva: «Ho sentito le dichiarazioni di voto di tutta la sinistra, e sparavano a zero soprattutto su Veltroni e sul Pd».

Berlusconi: ora al voto vogliamo grande maggioranza
«Ora bisogna andare al voto. Diremo cosa intendiamo fare al governo nei primi cento giorni. Vogliamo avere una grande maggioranza a Camera e Senato capace di trasformare in legge i provvedimenti». Così Silvio Berlusconi commenta al Tg4 la caduta del governo Prodi, escludendo ogni ipotesi di «manovre di palazzo».

Pollastrini: si apre una crisi incertissima
Vivo il voto al Senato come un grandissimo sciupio. Ed è davvero grave la responsabilità di quanti, abbandonando la maggioranza, ne hanno determinato l’esito. Mi spiace profondamente per il Paese che attraversa un momento cruciale e che aveva bisogno, semmai, del rilancio e del rafforzamento del Governo. Si apre ora una crisi incertissima che non aiuterà certo le persone e i loro problemi quotidiani». Così la ministra per i Diritti e le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, commenta la situazione politica che si viene a determinare dopo il ’nò del Senato alla fiducia al governo Prodi.

«Voglio esprimere il mio ringraziamento e la mia stima al presidente Prodi - aggiunge Pollastrini - per il suo operato, la sua coerenza e la sua autorevolezza. Dovremo adesso essere all’altezza della situazione e, ancora una volta, mettere al centro le persone e i loro bisogni e costruire una risposta credibile».

Dini: «Ora esecutivo per le riforme»
«Era purtroppo facile prevedere come il governo non disponesse, in modo eclatante, dei numeri necessari per superare lo scoglio della fiducia al Senato». Lo dichiarano i Liberaldemocratici Lamberto Dini e Giuseppe Scalera. «Si è assistito -proseguono i senatori- ad un’inutile prova muscolare che doveva essere evitata». «Ora,non si facciano altri errori. Si lavori, da subito, responsabilmente, per aprire una fase nuova che non faccia precipitare il paese verso le elezioni, seguendo il percorso di un governo istituzionale che affronti rapidamente poche, fondamentali riforme, tra le quali appare fondamentale quella legge elettorale indispensabile per garantire -concludono Dini e Scalera- governi stabili ed efficaci».

da lastampa.it


Titolo: GOVERNO BATTUTO, IL SENATO NEGA LA FIDUCIA
Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2008, 10:44:17 pm
 2008-01-24 20:58

GOVERNO BATTUTO, IL SENATO NEGA LA FIDUCIA


 ROMA - Il presidente del Consiglio si recherà stasera al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani del capo dello Stato. Il Senato ha negato la fiducia al governo Prodi con 156 sì, 161 no e un astenuto. Tre senatori (Pallaro, Pininfarina e Andreotti) non hanno partecipato alla votazione. I senatori presenti erano 319, 318 i votanti (Giuseppe Scalera, infatti si è astenuto). La maggioranza richiesta per questa votazione era di 160 voti. Dopo aver proclamato il risultato della votazione, il presidente del Senato Franco Marini ha convocato il l'Aula 'a domicilio'.

I senatori di An Domenico Gramazio e Nino Strano aprono due bottiglie di champagne per festeggiare la caduta del Governo Prodi. Gramazio lancia il tappo della bottiglia sui banchi del Governo. Tutti i senatori del centrodestra battono le mani gridando. Quelli del centrosinistra, immobili, cercano di uscire dall'aula in silenzio. Alleanza nazionale sfila in corteo in via del Corso, capitanata da Gianni Alemanno, cantando l'inno nazionale.

BERLUSCONI: ORA AL VOTO, VOGLIAMO GRANDE MAGGIORANZA
"Ora bisogna andare al voto. Diremo cosa intendiamo fare al governo nei primi cento giorni. Vogliamo avere una grande maggioranza a Camera e Senato capace di trasformare in legge i provvedimenti". Così Silvio Berlusconi commenta la caduta del governo, escludendo ogni ipotesi di "manovre di palazzo".

FINI, ORA SI VA DRITTI A VOTARE - "Ero convinto si dimettesse... ora si va dritti a votare". Così Gianfranco Fini segue il voto al Senato dal maxischermo montato da An a Largo Goldoni e, mentre volano coriandoli, sventolano le bandiere bianco-azzurre di An e si alzano cori, Fini osserva: "Ho sentito le dichiarazioni di voto di tutta la sinistra, e sparavano a zero soprattutto su Veltroni e sul Pd".

DILIBERTO, PRODI CADE PER MANO DEI CENTRISTI - "Siamo stati purtroppo buoni profeti. Il governo cade da destra per mano delle defezioni di Mastella e Dini, dietro pressione dei poteri forti. Ma non può sottacersi che una delle cause delle cadute del governo è stata la scelta del Pd, che aveva dichiarato conclusa fin d'ora l'esperienza della nostra alleanza". Lo afferma Oliviero Diliberto, commentando il no del Senato alla fiducia al governo. "Ringraziamo Romano Prodi e ci dichiariamo indisponibili a qualunque soluzione che snaturi la nostra coalizione - aggiunge il segretario del Pdci - nessun governo istituzionale, tecnico, di larghe intese o di altra natura ma elezioni anticipate immediate".

STORACE, ORA PREPARIAMO CAMPAGNA ELETTORALE - "Dopo il meraviglioso voto del Senato, qualunque pasticcio di governo si fermerebbe a dodici ministri. Prepariamo le tipografie per la campagna elettorale". Lo afferma il segretario de La Destra, Francesco Storace, dopo il voto del Senato che ha bocciato la fiducia al governo. 

da ansa.it


Titolo: Rutelli: «In Senato ci hanno pugnalato» (candido? ndr).
Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2008, 04:51:07 pm
LA crisi. L’ex vice premier se la prende con i congiurati

Rutelli: «In Senato ci hanno pugnalato»

Di Pietro: ridare la parola agli elettori, Idv corre da sola.

Fini: no condizioni per esecutivi tecnici o istituzionali

 
ROMA – Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non ha nascosto la preoccupazione: con la sconfitta al Senato sulla fiducia ostinatamente posta dall’ex premier Romano Prodi, la crisi si è aperta nel modo peggiore, «al buio». Per questo Il presidente ha promesso «consultazioni meticolose ma rapide», a partire dal pomeriggio, per uscire prima possibile dall'incertezza.

RUTELLI: PUGNALATORI IN SENATO – Nel frattempo, l’ex vice premier Francesco Rutelli se l’è presa con la congiura che ha affossato Prodi in Senato: il governo è stato colpito giovedì a Palazzo Madama da dei «pugnalatori», ha detto all'uscita dalla riunione dell'esecutivo di venerdì mattina.

FERRERO - «I responsabili della crisi sono Dini e Mastella», dice senza tergiversare il ministro per la Solidarietà sociale, Paolo Ferrero (Prc): «Una manovra del centro. Mastella ha deciso per motivi suoi personali, Dini per altre ragioni. Tutti hanno potuto vederlo. Evidentemente i poteri forti di questo Paese hanno deciso che questo governo non doveva andare avanti». Come uscire dalla crisi? «Sarebbe opportuno approvare una legge elettorale proporzionale alla tedesca sulla base della bozza Bianco. Certo, la strada è stretta, ma non possiamo fare pasticci», ha detto Ferrero.

CHITI: PRODI NON SI FARA' DA PARTE - «Non credo che Prodi si faccia da parte, spero di no». ha dichiarato il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, dopo il Consiglio dei ministri di venerdì mattina che ha dato il via libera al dl sulle missioni dei militari italiani all'estero. «Comunque - ha proseguito - in Consiglio non si è parlato del futuro ma di quello che è successo giovedì. E Prodi ha detto di essere caduto alla luce del sole e non per colpa di provvedimenti del governo, ma per altre questioni».

FINI - E ora quale prospettiva si apre per il governo? Andare subito al voto o scegliere la strada di un esecutivo istituzionale che possa riformare prima di tutto la legge elettorale? «Non ci sono le condizioni per un governo tecnico-istituzionale», ha ribadito in mattinata il leader di An, Gianfranco Fini, per il quale l’unico sbocco possibile per la crisi di governo è il ritorno al voto «con questa legge elettorale». «Sono cauto - ha aggiunto - ma credo che se non si dovesse andare alle urne l'Italia rischia una situazione ancora più grave di quella in cui si trova». Quanto all’ipotesi prospettata da alcuni quotidiani di un esecutivo guidato da Gianni Letta, il leader di An ha aggiunto: «Ho passato giovedì due ore con Letta e Berlusconi, abbiamo ascoltato il discorso di Prodi e quando ho letto il giornale venerdì mattina mi sono fatto una gran risata». Alle consultazioni, ha chiarito Fini, andranno «le delegazioni di partito, non una delegazione di tutta la coalizione». Fini ha però auspicato, anzi si è detto «certo», che l’Udc alla fine si allineerà alla posizione del resto della Cdl: «Sono sicuro che anche gli amici dell'Udc alla fine verranno sulla nostra posizione e contribuiranno – ha detto - a scrivere il programma, non ho dubbi al riguardo».

DI PIETRO: IDV CORRE SOLA - Tra gli esponenti politici che vogliono andare subito al voto non ci sono però solo uomini dell'opposizione. Nel «partito» delle elezioni subito c'è anche Antonio Di Pietro: «Gli italiani vanno chiamati a giudicare al più presto, anche con questa legge elettorale. E l'Idv chiederà il consenso per ciò che ha fatto presentandosi da sola alle elezioni». E il ministro dimissionario delle Infrastrutture ha preannunciato che il suo partito, l'Italia dei Valori, non entrerà in alcuna coalizione: «L'Idv chiederà il consenso per ciò che ha fatto presentandosi da sola alle elezioni». Di Pietro si è detto contrario, proprio come Fini, a «ipotesi di governi istituzionali o paraistituzionali che con la scusa della legge elettorale consentano ai parlamentari di incassare la pensione di legislatura».

CALDEROLI: AL VOTO - «Il Pd ormai è morto, si sono suicidati. Ora abbiano il coraggio di non creare problemi agli altri e soprattutto al popolo italiano. Le riforme servirebbero solo a dare motivo di esistere al Pd. Chi ha fallito deve fare una passo indietro». Sono le parole di Roberto Calderoli, che ha ribadito il punto di vista della Lega: al voto subito. «Morto un Papa - ha detto il senatore leghista - se ne fa un altro. E il conclave è il popolo italiano con le elezioni anticipate». Ma l'Udeur di Mastella farà parte della coalizione di centrodestra? «Non sono problemi nostri - ha replicato - Le coalizioni si formano sulla base dei programmi. Quindi, su cosa fare prima di stabilire con chi farlo».

25 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: Cesare Damiano*. Un atto di responsabilità
Inserito da: Admin - Marzo 04, 2008, 04:56:46 pm
Un atto di responsabilità

Cesare Damiano*


La tragedia di Molfetta è un’ulteriore ferita per tutta la coscienza civile del Paese, che ci impegna a presentare al più presto il Testo Unico sulla salute e sicurezza per la sua approvazione da parte del Consiglio di Ministri. Ancora nel corso della scorsa settimana - nonostante la crisi di Governo e il clima elettorale che si respira nel Paese - il Governo è andato avanti con la definizione della Delega a partire dal Titolo Primo del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Come ci eravamo impegnati a fare, di fronte ai terribili incidenti sul lavoro che si sono susseguiti senza soluzione di continuità, scuotendo le coscienze di tutti no.

Il ministero del lavoro e quello della Salute hanno concluso il testo sulla parte generale che era in delega (il titolo primo) , mentre continua il confronto con il Ministero della Giustizia sull’apparato sanzionatorio. Sanzioni che noi vogliamo proporzionali e calibrate sulla gravità delle violazioni. Se tutto andrà come ci auguriamo, ci saranno tutte le condizioni, dopo un confronto conclusivo con le parti sociali, affinché l’attuazione della delega venga portata rapidamente in Consiglio dei Ministri. Oltre al titolo primo, le altre parti in delega coinvolgono un insieme di ministeri, ai quali abbiamo già inviato, la scorsa settimana, il testo completo, in attesa di eventuali correzioni. Sarà importante prevedere una quota di risorse INAIL per sostenere gli enti bilaterali e le attività di formazione previste nella delega.

Non sarebbe un risultato da poco. Il provvedimento infatti riordina e innova la normativa esistente in materia di sicurezza e tutela dei lavoratori, creando efficaci strumenti di prevenzione e di salvaguardia dei lavoratori; al contempo prevede una semplificazione degli adempimenti per le imprese, aiutando soprattutto le piccole aziende a mettersi in regola e premiando quelle virtuose. Anche i numerosi provvedimenti di sospensione per le aziende non in regola che abbiamo preso a seguito dell’attività ispettiva contro il lavoro nero, hanno natura cautelare e non punitiva. Lo scopo è garantire il diritto costituzionale alla salute e alla integrità psicofisica dei lavoratori. E’ questa la finalità che ha guidato il nostro operato, anche nell’elaborazione di nuove proposte volte a favorire coloro che investono in sicurezza, con meccanismi orientati dalla premialità: un circuito virtuoso che si autofinanzia perchè una diminuzione degli infortuni e buoni investimenti per la qualità del lavoro possono tradursi in sviluppo e aumento della capacità competitiva per le imprese. Concludere la delega è un atto di responsabilità da parte di tutti: governo, opposizione e parti sociali. Da tutto questo risulta chiaro quanto sia fondamentale il metodo che abbiamo applicato. Grazie al metodo della concertazione, che ha raggiunto il suo maggiore risultato nella sigla del Protocollo del 23 luglio scorso, noi ci siamo proposti di rendere compatibili l’esigenza di competitività delle imprese con la tutela dei lavoratori. I risultati ottenuti in questi venti mesi di governo sul fronte del lavoro sono importanti e, in questo solco , si sviluppa il programma del Partito Democratico, il cui .

progetto coniuga efficacemente riformismo e sostenibilità, solidarietà e competitività. Il mondo del lavoro è il luogo dove le dinamiche sociali trovano la loro prima espressione. L’apertura in questi giorni della nuova Pomigliano d’Arco può essere un esempio, dove tutela, sviluppo, competitività, formazione, sicurezza e concertazione sono anelli interconnessi di una nuova cultura del lavoro che si deve fare strada nel nostro Paese. Con il contributo di tutti.



* ministro del lavoro


Pubblicato il: 04.03.08
Modificato il: 04.03.08 alle ore 10.22   
© l'Unità.


Titolo: Il professore sempre più escluso dalle politiche del Pd
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2008, 03:20:34 pm
6/3/2008 (7:53) - RETROSCENA

L'ira silenziosa di Romano "Questa è roba da matti"
 
Il professore sempre più escluso dalle politiche del Pd

Sfoghi privati del premier sempre più solo

FABIO MARTINI
INVIATO A REGGIO EMILIA


Sono le nove della sera, al Palazzetto dello sport le ragazzone della Pallavolo Reggio Emilia e quelle della Curtatone Ostiano hanno appena finito un’amichevole, in quattro e quattr’otto quelli di Veltroni tirano su il palco e alle 21,30 il leader fa il suo ingresso tra ali di pensionati festanti.

Ma Prodi? Dov’è Prodi?

Il pullman di Walter è arrivato a Reggio Emilia, la città del Professore, ma lui non c’è. Non c’è a Reggio e non ci sarà stasera a Bologna: fisicamente e spiritualmente Romano Prodi non c’è mai stato nella campagna elettorale di Walter Veltroni. Il leader del Pd, nei 27 comizi tenuti finora in altrettante città, lo ha citato il minimo indispensabile, ogni volta per dire che il Professore è stato bravissimo a rimettere i conti in sesto, nonostante quella coalizione di pazzi. E con una chiosa, che Veltroni ripete con la continuità dello slogan: gli ultimi 15 anni di politica e di governi, «di centrodestra ma anche di centrosinistra» sono tutti da archiviare.

Lui, Prodi, tace.

Da quando è iniziata la campagna elettorale non ha mai messo naso fuori Palazzo Chigi, rintanato in un bunker di riserbo impenetrabile. Anche se due sere fa, quando ha sentito le parole di Massimo Calearo («Santo Mastella che ha fatto cadere il governo»), il Professore in privato si è espresso con una certa crudezza: «Ma è roba da matti! Ragazzi, questo signore è un capolista del Partito democratico! Bisogna avere pazienza e io ne ho tanta. Questi non aspettano altro che io dica qualcosa per potermi accusare di aver fatto perdere le elezioni...». Poi, ieri mattina, senza pensarci su, ha dato la linea al suo staff: «Sia chiaro: io su questa vicenda non dico una parola». Da quando è caduto, il Professore si è dato un aplomb e non intende sgualcirlo a nessun costo: «Non risponderò a nessuna delle provocazioni, non farò uscite pubbliche, resterò in silenzio».

Una scelta costosissima. Orgoglioso come è, a Prodi prudono le mani, tutte le volte che (ogni giorno) Silvio Berlusconi lo attacca personalmente e acidamente. Prodi sa benissimo che se lui replicasse a Berlusconi, la campagna elettorale cambierebbe di segno, in un batter d’occhio tornerebbe il duello Professore-Cavaliere. «E io - dice Prodi - questo regalo a Berlusconi non lo faccio, anche perché Walter sta facendo una bella campagna elettorale e da qualche tempo sta valorizzando l’azione del governo». Persino sulla scelta più controversa, quel corriamo da soli che è una smentita all’Unione prodiana, il Professore in qualche modo si è convinto: «Io sono la prova vivente che purtroppo quella esperienza aveva dei limiti».

Ma l’atteggiamento del Pd sulla sortita del dottor Calearo non è piaciuta a Prodi. Certo, il leader del Pd e il presidente del Consiglio ieri mattina si sono sentiti per telefono, si sono trovati d’accordo sul fatto che non fosse il caso "criminalizzare" l’ex leader di Federmeccanica e che fosse il caso di costringere Calearo a diffondere una precisazione.

Ma nei tre comizi di ieri (mattina a Massa, pomeriggio a Parma, sera a Reggio Emilia), Veltroni non ha mai pronunciato quel nome, non ha speso una sola parola per censurare uno dei capolista del suo partito, promotore di una sorta di beatificazione politica di Clemente Mastella. E Prodi c’è rimasto male: «Mi sarei aspettato una reazione da parte del partito alle accuse fatte da un capolista-simbolo al governo e a me che sono pur sempre il presidente dello partito...». E poi scherzando: «Per fortuna che il ministro della Difesa ancora una volta ha difeso l’operato del governo, attaccando...».

da lastampa.it