LA-U dell'OLIVO
Novembre 23, 2024, 01:39:29 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 2 3 [4] 5 6 7
  Stampa  
Autore Discussione: GOVERNO PRODI...  (Letto 59558 volte)
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #45 inserito:: Ottobre 25, 2007, 10:26:46 pm »

I DUE « PARTITI »

Urne o nuovo esecutivo?

Il «governo istituzionale» si fa strada nel Pd


 ROMA — Fino a due giorni fa molti lo pensavano, ma guai ad ammetterlo in pubblico. Martedì però Fausto Bertinotti ha rotto il tabù dell'intangibilità di Prodi e ora nella maggioranza (e persino dentro il Pd) c'è chi confessa che l'idea di un esecutivo istituzionale non è poi così blasfema. «Il governo è bloccato e in caso di incidente non possiamo certo andare al voto con questa legge elettorale » ragiona la senatrice Paola Binetti, eletta nel Pd in quota Veltroni. Ben venga dunque un presidente che faccia le riforme, però bisogna arrivarci «con una strategia di condivisione» che includa anche chi, nella Cdl, «è in cerca di soluzioni positive per il Paese».

I fautori di una XV legislatura che vada avanti senza Prodi dovranno vedersela con Rosy Bindi, la quale per prima ha avvertito il presidente della Camera: «Nessun altro governo, istituzionale o tecnico, avrà il nostro voto ». Ufficialmente il partito del «se il Professore cade si vota» vanta adesioni illustri, Diliberto e Pecoraro Scanio sono tra i padri fondatori e Parisi, Rutelli e Fassino gareggiano per la leadership. Il motto di Dario Franceschini, capogruppo uscente dell'Ulivo alla Camera nonché vice di Veltroni, è «con Prodi fino alla morte» e Antonello Soro, favorito per la guida del gruppo, teme che «la crisi dell'Unione difficilmente avrà altro sbocco che il voto anticipato» ma più avanti non si spinge. Eppure la suggestione di una via d'uscita istituzionale dalla palude dell'Unione sembra aver contagiato anche le primissime file del Pd.

Il senatore Antonio Polito, battitore libero molto vicino a Rutelli, accoglie con entusiasmo la svolta di Bertinotti, concorda che sarebbe «irresponsabile » lasciar morire la legislatura senza cambiare legge elettorale e propone a Veltroni di cercare «la più ampia maggioranza possibile» su un nuovo sistema di voto. E poiché la schiettezza non gli fa difetto, Polito definisce «del tutto naturale, prima di dichiarare fallimento, verificare la possibilità di un diverso governo ». Anche Enzo Carra ha un consiglio per Veltroni: il Pd dica «caro Prodi, se andiamo avanti così facciamo del male al Paese». E poi? «Prodi bis o governo istituzionale». E persino Pierluigi Castagnetti, che da «amico critico» del premier gli riconosce «grande solidità morale e istituzionale », valuta come «percorribile » la via del governo tecnico.
E se anche il ds Marco Filippeschi plaude a Bertinotti, gli alti dirigenti della Quercia che diventa Pd se ne stanno coperti.

D'Alema, Finocchiaro, Bersani e Chiti sponsorizzano il movimento della resistenza a oltranza, i cui adepti evitano di pronunciare in pubblico la parola crisi e provano a vendere i prodotti della ditta Palazzo Chigi. «Il governo sta cominciando a suonare una buona musica, se poi il frastuono riesce a sommergerla vedremo», fa scongiuri il ministro Bersani. E Nicola Latorre non vede all'orizzonte il tramonto di Prodi: «Lo shopping di Berlusconi al Senato non esiste». Ma Peppino Caldarola, che ha lasciato la Quercia di Fassino per rientrare nel Pd di Veltroni, spera di convincere il segretario a «fare le pulizie di casa », cioè un governo per le riforme. «La situazione è drammatica — avverte l'ex direttore dell'Unità —, Prodi dovrebbe fare un gesto generoso e dichiarare la propria disponibilità a farsi da parte». E Veltroni? «Walter non può staccare la spina, ma la situazione gli è favorevole e non può sprecarla, il suo unico nemico è la zavorra sulle ali che gli impedisce di spiccare il volo».

Bertinotti ha smentito di pensare al dopo- Prodi, dentro Rifondazione però ci pensano in tanti. «Fausto ha fatto un atto di coraggio, riconsegnare il Paese alle urne sarebbe devastante — rivela gli umori del Prc il sottosegretario Alfonso Gianni —, Prodi è opacizzato e non è un mistero che se Veltroni si fosse candidato nel 2006 noi eravamo pronti». E ora, che fare? «Un governo tecnico potrebbe bocciare per decreto lo scalone. Ho sentito Bertinotti e gli ho detto mi sta bene, se nel nuovo governo ci sono anch'io... ». E lui? «Si è messo a ridere».


Monica Guerzoni
25 ottobre 2007

da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #46 inserito:: Ottobre 26, 2007, 04:22:29 pm »

«A rischio il cammino delle riforme».

Veltroni: d'accordo con lui

Prodi: «Esigo il rispetto degli impegni»

Il premier agli alleati dopo le divisioni in Senato: «Le forze di maggioranza dicano se sostengono il governo»


ROMA - Un duro richiamo. In diretta televisiva. Dopo il giovedì terribile della maggioranza (finita più volte ko in Senato sul decreto fiscale collegato alla Finanziaria), Romano Prodi scende nella sala stampa di Palazzo Chigi e in un breve discorso trasmesso dal Tg3 lancia agli alleati quello che suona come un vero e proprio ultimatum: «Esigo il rispetto degli impegni». Un tentativo di compattare una coalizione attraversata da troppe tensioni interne e che a Palazzo Madama non può permettersi la minima defezione. Un'ulteriore conferma arriva in serata, dopo il richiamo del presidente del Consiglio: in una seduta ad alta tensione, infatti, la maggioranza va nuovamente sotto al Senato.

 IL BREVE DISCORSO - Quando si presenta davanti alle telecamere, l'espressione del premier è quella dei momenti difficili. «Il nostro Governo - attacca Prodi - ha proposto all'approvazione del Parlamento una serie di importanti provvedimenti: il decreto fiscale, la legge finanziaria, le misure in favore dei più poveri, l'aumento delle pensioni più basse, le politiche per la casa, le pensioni e le politiche contro la precarietà. Contemporaneamente - ha proseguito Prodi - il Governo ha svolto una azione di stimolo verso il Parlamento per avviare la discussione sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale. Noi abbiamo fatto tutto questo per rilanciare l'economia e per portare un po' di equità nella società italiana». A questo punto arriva l'analisi di quanto avvenuto a Palazzo Madama: «La maggioranza che sostiene il Governo si è divisa al momento del voto non sull'impianto di queste grandi proposte, ma su fatti particolari, mettendo a rischio la realizzazione delle indispensabili riforme». Ed ecco l'affondo: «È giunto il momento che tutte le forze politiche della maggioranza dicano chiaramente se intendono continuare a sostenere il Governo o se vogliono invece far prevalere gli interessi di parte su quelli del Paese. Non pongo oggi il voto di fiducia, ma esigo che le forze politiche della maggioranza rispettino gli impegni che esse hanno assunto di fronte ai cittadini. Questo è quanto comunicherò nelle prossime ore a tutti i partiti della maggioranza».

VELTRONI: SONO D'ACCORDO - Passano pochi minuti e le agenzie battono la prima reazione al discorso di Prodi: è quella di Walter Veltroni. «Concordo pienamente con il tono ed il contenuto dell'appello del presidente del Consiglio - afferma il leader del Partito Democratico -. Il Paese ha bisogno del massimo di solidità della maggioranza per rafforzare l'azione del governo. Questo è il primo impegno del Pd». A stretto giro di posta Prodi incassa anche il sostegno del segretario dei Ds, Piero Fassino, del leader della Margherita, Francesco Rutelli, e del ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio: «Condividiamo le parole di Prodi». Per Rifondazione Comunista, «il richiamo al rispetto degli impegni da parte della maggioranza deve valere per tutti». «E gli impegni - spiega il presidente dei deputati del Prc, Gennaro Migliore - sono l'applicazione della linea dettata dal programma».

IDV E UDEUR - E l'Italia dei Valori, che in Senato ha votato con l'opposizione? Antonio di Pietro spiega che l'obiettivo dell'IdV è quello di «rafforzare il governo, non farlo cadere». Ma questo si può fare solo «realizzando impegni concreti» ed evitando la «politica dei veti» che la sinistra vuole imporre «spinta da furore ideologico». Il ministro delle Infrastrutture, in particolare, torna a spiegare le ragioni del voto dei senatori di Idv in Senato (salvo Franca Rame) contro l'emendamento che prevede la liquidazione della società "Ponte Stretto di Messina". «Noi - spiega - non abbiamo votato con il centrodestra, ma ci siamo espressi per ripristinare il testo originario del decreto, come era uscito dal Consiglio dei ministri. Per questa coerenza Prodi dovrebbe ringraziarci perché dà credibilità all'azione del governo». Anche quelli dell'Udeur (protagonisti nelle ultime settimane di aspre polemiche proprio con Di Pietro e l'IdV per il caso Mastella-De Magistris) affermano di non avere nulla da rimproverarsi: «Sottoscriviamo l’appello di Prodi - dice Mauro Fabris, capogruppo del Campanile alla Camer - e lo accogliamo in toto. Ma noi abbiamo dimostrato di essere leali, non abbiamo nulla da rimproverarci. L'appello non è rivolto all'Udeur». E Clemente Mastella aggiunge, sibillino: « «Prodi ha fatto bene a parlare. Si è rivolto a uno solo. Uno che non ha mai cambiato mestiere...».


25 ottobre 2007

da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #47 inserito:: Ottobre 26, 2007, 04:24:10 pm »

Chi pagherebbe una crisi

Stefano Fassina


Quali sarebbero le conseguenze economiche di una crisi di governo ora, durante la fase di discussione della manovra finanziaria per il 2008 e dell’annessa traduzione normativa del Protocollo sul welfare firmato il 23 luglio scorso ed approvato da oltre 4 milioni di lavoratori un paio di settimane fa? Mentre sono impossibili da capire le ragioni politiche della rottura della coalizione di centrosinistra (intendiamo la politica con l’iniziale maiuscola), chiarissime ne sono le conseguenze economiche.

Ed è segnale di autoreferenzialità e, quindi, fattore di alimento di antipolitica l’indifferenza manifestata da settori della maggioranza nei confronti di tali conseguenze. Di più, è segnale di autolesionismo politico ed elettorale, perché il pacchetto di provvedimenti presentati alla sessione di bilancio in corso ha avuto il sostegno di tutte le parti sociali e di tutti gli interessi economici ed ha avviato la ricostruzione di un clima di fiducia nelle capacità riformiste del centrosinistra. Ed è anche un pessimo contesto per la costruzione del Pd, tale da gelare i germogli di reinvestimento nella politica sbocciati il 14 ottobre.

Al di la dei danni economici indiretti, ma sicuri e significativi, dovuti alla perdita di credibilità della classe politica tutta e, quindi, del nostro Paese in Europa e sul piano internazionale, vi sarebbe un pesante impatto, immediato e diretto, sulle famiglie e sulle imprese ed, in particolare, sulle fasce sociali più deboli dei cittadini.

Analizziamo prima l’impatto sulle famiglie. Una crisi di Governo ora e l’altissimo rischio di esercizio provvisorio, così disinvoltamente evocato dal capo dell’opposizione, lascerebbero in vigore la riforma pensionistica introdotta dal centrodestra (il famoso «scalone»). Di conseguenza, il primo gennaio 2008 decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici vedrebbero spostato in avanti di tre anni il traguardo del loro pensionamento di anzianità. Inoltre, milioni di pensioni perderebbero il pieno recupero dell’aumento dei prezzi. Non aumenterebbe l’indennità di disoccupazione e non diminuirebbe il costo per il riscatto dei periodi laurea per i lavoratori più giovani. Questi ultimi, in più, non avrebbero le condizioni per potenziare l’accumulazione di contributi necessaria ad innalzare le loro pensioni. Circa 4 milioni di dipendenti pubblici dovrebbero aspettare ancora per ricevere gli aumenti di stipendio ad essi dovuti dal 1 gennaio 2006 (i 100 e rotti euro di aumento medio mensile).

In aggiunta, 12 milioni e mezzo di cittadini a più basso reddito non riceverebbero il bonus di 150 euro, per un totale di quasi due miliardi di euro, previsto nel decreto in corso di conversione al Senato. Oltre 10 milioni di proprietari di casa perderebbero uno «sconto» Ici fino a 200 euro l’anno. Circa 4 milioni di inquilini vedrebbero cancellato un sostegno da 300 a 150 euro l’anno. Per almeno mezzo milione di giovani tra 20 e 30 anni sfumerebbe il contributo di 992 euro l’anno per l’affitto e per l’avvio di una vita autonoma dalla famiglia di origine.

In sintesi, soltanto dalla caduta delle 4 misure ricordate, ogni famiglia perderebbe in media 155 euro l’anno di maggior reddito disponibile. E, secondo l’Istat, verrebbe cancellata una riduzione «degli indici di disuguaglianza di circa 2-3 decimi di punto percentuale» che, «a differenza di precedenti interventi di riduzione delle situazioni di disagio, determinerebbe una marcata riduzione dell’intensità di povertà, grazie al rimborso forfetario alle famiglie che non pagano l’Irpef».

Una crisi qui ed ora interromperebbe la fruttuosissima strategia di lotta all’evasione messa in atto da Governo. Una strategia che ha consentito, dopo la stagione dei condoni e dei furbetti dei quartierini e dei salotti buoni, di ristabilire un minimo di civiltà fiscale in Italia e di recuperare circa 23 miliardi di euro all’anno e, così, di avviare l’alleggerimento fiscale per cittadini ed imprese.

Per quanto riguarda queste ultime, si perderebbero estesi e radicali interventi di semplificazione della normativa fiscale e rilevanti riduzioni di imposte. In particolare, lavoratori autonomi, professionisti e imprese famigliari con fatturato inferiore a 30.000 euro l’anno non avrebbero la possibilità di scegliere il regime forfetario previsto nel disegno di legge finanziaria e beneficiare, così, del drastico abbattimento degli adempimenti conseguenza dell’esenzione dall’Irpef, dall’Irap e dall’Iva. E non beneficerebbero neanche del connesso risparmio di imposta di oltre 200 milioni di euro. Le società di capitali non potrebbero utilizzare le semplificazioni e la riduzione di 5,5 punti percentuali dell’aliquota Ires predisposte dopo un lungo lavoro di ascolto e tali da portare il contesto normativo italiano all’avanguardia in Europa e nell’arena internazionale. Micro, piccole e medie non otterrebbero la riduzione dell’Irap. Tutte le imprese vedrebbero scomparire la prospettiva di ingenti detrazioni per le spese in ricerca e sviluppo.

Nel Mezzogiorno verrebbe meno, dal primo gennaio prossimo, il sostegno fiscale all’occupazione e la possibilità di istituire «Zone Franche» nelle aree urbane a maggiore sofferenza economica e sociale. Scuole ed università perderebbero le maggiori risorse stanziate. Le associazioni di volontariato dovrebbero rinunciare ai 150 milioni di euro messi in bilancio per incrementare i fondi per il 5 per mille. Anas e Ferrovie non avrebbero gli oltre 4 miliardi allocati per il finanziamento di urgenti investimenti.

Si potrebbe continuare con l’elenco, ma ci fermiamo qui. Quanto ricordato è sufficiente a sottolineare l’irresponsabilità e l’avventurismo di chi, per miopi interessi di bottega, opera senza preoccuparsi della caduta del Governo Prodi. La campagna di alcuni grandi giornali-partito, l’incapacità della «sinistra radicale» di riconoscere i risultati raggiunti, il tentativo di qualche settore riformista, anche del Pd, di dare lezioni di cultura innovativa ha offuscato la realtà. Ma, la realtà della manovra di bilancio è fatta di misure riformiste, certamente incomplete e per alcuni versi contraddittorie, ma difficilmente migliorabili da maggioranze di nuovo conio. Quanti nel centrosinistra assecondano la deriva di dissoluzione in atto nella speranza di lucrare elettoralmente e politicamente al margine si illudono. Perderemo tutti. E, soprattutto, perderà l’Italia ed i soggetti più deboli.


Pubblicato il: 26.10.07
Modificato il: 26.10.07 alle ore 12.40   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #48 inserito:: Ottobre 29, 2007, 06:44:15 pm »

29/10/2007
 
Governo tandem
 
LUIGI LA SPINA

 
La settimana comincia con un nuovo governo. Si tratta di un assetto ministeriale del tutto inedito nella storia della nostra Repubblica, perché prevede, di fatto, una diarchia a Palazzo Chigi.

Si potrebbe parlare, in omaggio alle predilezioni ciclistiche del nostro Capo dello Stato, del primo governo-tandem della politica italiana, composto dalla coppia Prodi-Veltroni.

La richiesta del neosegretario Pd di una serie di incontri sia con i partiti dell’opposizione, sia con quelli della maggioranza, sia con quelli che non stanno, ormai, né di qua né di là, come i parlamentari di Di Pietro e di Dini, ha formalizzato la nascita di questa inusitata formula governativa. I maligni sospetteranno subito un sostanziale esautoramento di Prodi, sia pure nelle forme veltroniane, cioè le più diplomatiche e garbate possibili. Ma, questa volta, potrebbero sbagliarsi. Non tanto perché nella politica italiana sia scoccata l’ora dei buoni sentimenti, della sincerità, di un generoso afflato che anticipa di due mesi l’atmosfera natalizia. Quanto per una coincidenza di interessi che accomuna, in questo momento, i due componenti del tandem a Palazzo Chigi.

Si tratta, in primo luogo, di dimostrare a tutti, e prima di tutto al Presidente della Repubblica, come si faccia ogni sforzo, anche in forme irrituali, per rispettare i suoi inviti alla ricerca del consenso per una nuova legge elettorale. Si sa che Napolitano vorrebbe evitare di interrompere la legislatura e di indire elezioni anticipate senza una correzione della famosa «porcata» di calderoliana memoria. Gli incontri di Veltroni dovrebbero porre i partiti che non sono disponibili a trovare l’intesa prima di un nuovo voto nella scomoda posizione di mettere solennemente agli atti la loro contrarietà. Non solo di fronte al Quirinale, ma anche davanti all’opinione pubblica. L’iniziativa di Veltroni, inoltre, dovrebbe convincere gli ambienti più diffidenti verso di lui di quanto la sua elezione alla segreteria del Pd non costituisca un indebolimento del governo, ma possa consentire il tentativo, forse l’estremo, di rafforzarlo. Se l’effetto rianimante dovesse servire a prolungare il destino del ministero, il vantaggio non sarebbe solo del presidente del Consiglio alla guida del tandem. I meriti andrebbero anche ai leali ed efficaci colpi di pedale di chi, da dietro, ha impedito che la «spinta propulsiva» si esaurisse.

C’è, infine, l’ipotesi più negativa, quella di un fallimento, sia nella ricerca di un accordo con l’opposizione (o parte dell’opposizione) per un nuova legge elettorale, sia nell’opera di ricucitura con le membra sparse della maggioranza. Nessuno potrebbe imputare al leader Pd non solo l’assoluta lealtà, ma neanche di aver lesinato sforzi o trascurato idee per sostenere Prodi. A quel punto, forse anche il Presidente della Repubblica dovrebbe rassegnarsi alle elezioni anticipate con l’attuale legge elettorale. Si dovrebbero rassegnare anche i fautori di governi istituzionali, tecnici o come altro si voglia definirli. Ma, quest’ultimi, si dovrebbero soprattutto preoccupare. Incombe, infatti, l’ombra del referendum. L’incubo, per loro, di un premio di maggioranza che favorirebbe solo le due formazioni maggiori negli opposti schieramenti. E chissà che, allora, non si aggiunga alla coppia Prodi-Veltroni anche un altro pedalatore, di nome Berlusconi. Così il tandem si trasformerebbe in un triciclo.

da lastampa.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #49 inserito:: Ottobre 30, 2007, 12:33:15 pm »

Ma il Governo non va delegittimato

BARBARA SPINELLI

 
Caro direttore,
ti scrivo perché la linea editoriale che esprimi non mi trova del tutto consenziente.

Non è questione di convinzioni diverse, né di diversa collocazione politica.


Che in un giornale libero si esprimano opinioni anche contrastanti mi pare non solo normale, ma arricchente. Quel che sento davanti al tuo articolo, e a tanti che somigliano al tuo nei giornali indipendenti, non è dissenso, ma un disagio molto profondo. Ho l’impressione di assistere a una sorta di disfacimento della democrazia rappresentativa, e di perdita di senso del voto espresso alle urne dagli elettori. Dalla primavera dell’anno scorso l’Italia ha un governo, scelto dagli italiani per la durata di cinque anni, che è stato messo in questione quasi fin dal primo giorno: non dagli elettori tuttavia, ma da un capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi, che il giudizio delle urne non l’ha mai accettato e che ogni sera da diciotto mesi annuncia a televisioni e giornali la fine di Prodi: prima negando i risultati, poi denunciando brogli, poi intimidendo i senatori a vita, poi appellandosi al cattivo umore della gente, in dispregio costante dei dettami costituzionali. Una strategia di delegittimazione del tutto anomala, ma che molto rapidamente è stata banalizzata e fatta propria da tutti coloro che fanno opinione, essenzialmente giornali e televisioni pubbliche oltre che private.

Adesso questo governo ha circa un anno e mezzo ed è giudicato spacciato, finito, senza che io come elettore abbia in alcun modo concorso a questo sviluppo. In un certo senso mi sento defraudata del mio voto: organismi intermedi si sono insediati tra l’elettore e la rappresentanza da esso scelta, e sono questi organismi che hanno deciso e decidono tutto: i giornali appunto e questa o quella corporazione sindacale, questa o quella lobby, questo o quel personaggio della maggioranza, ansioso di cambiar casacca per ottenere posti che non ha avuto nel presente governo. Sono questi organi intermedi che stanno decretando che questo governo è caduto (che è «una carcassa che si trascina», scrivi con linguaggio che, ti confesso, mi ha scosso per la violenza che contiene). Sono questi organi che per la seconda volta nella storia recente - e in modo ancor più inquietante che nel 1998 - accettano che il crimine contro il ministero Prodi venga compiuto. E lo decretano prima che il tempo costituzionalmente assegnato al governo sia concluso. Prima che gli italiani siano chiamati a votare, allo scadere normale della legislatura. Non sono defraudata solo del voto. Mi vien tolta anche la sacralità del tempo conferito col mandato, così preziosa nelle democrazie: la certezza che il tempo che ho dato al governo eleggendolo non sarà interrotto da forze interessate e sondaggi senza rapporto con le urne.

Tu scrivi che il centro-sinistra deve andare a casa perché mai c’è stato in Italia governo impopolare come questo. Anche qui provo vero disagio, non fosse altro perché non manca giorno in cui i riformisti chiedono ai governanti di «rischiare l’impopolarità». I governi non vanno a casa perché a un certo punto (dopo una settimana o un mese o un anno) si constata che non si vendono troppo bene: nella democrazia rappresentativa un governo non è un sapone, né un’automobile, e neppure un giornale che conquista o non conquista lettori. È qualcosa di radicalmente diverso, costruitosi lungo i secoli, reso sempre più complesso da una storia lunga. Il disagio cresce se penso ai Paesi europei che mi è capitato di conoscere negli ultimi decenni: tutti hanno prima o poi traversato periodi anche assai lunghi di impopolarità (è stato così per i governi Schmidt, Kohl, Schröder; per i primi ministri e Presidenti francesi; per i premier inglesi a cominciare dal governo Thatcher) e mai ho visto all’opera il tumulto che esiste da noi: il gusto apocalittico che si espande, l’inestinguibile sete di andare alle urne prima del tempo, trascinati da sondaggi e da opinioni che prevalgono nei salotti. Mai ho visto un così vasto schieramento di forze distruttive, che quasi hanno timore di costruire e pazientare. Forze che prese una per una sembrano aver dimenticato il proprio mestiere, oltrepassandolo sempre. Che confondono, in maniera inaudita, il criticare anche severo con l’esigere, perentorio, che il governo cada al più presto. Neppure George W. Bush, eletto grazie a una decisione indecorosa della Corte Suprema che ha escluso il vero vincitore delle presidenziali, nel 2000, ha avuto davanti a sé una sì intensa volontà demolitrice. Mai ho visto tanta gente uniformemente invocare la fine d’una legislatura, e volontariamente servire il disegno di chi parla di democrazia ma non ne rispetta la regolamentazione. Tra la strategia di riconquista apprestata da Berlusconi fin dal 10 aprile 2006 e quel che mi dicono oggi giornali e tv non riesco, per quanto ci provi, a scorgere più differenza alcuna.

Il fatto è che queste forze distruttive si comportano come se non sapessero la storia che stanno facendo, e cosa precisamente vanno disfacendo. Hanno anzi l’impressione di essere indipendenti, libere come non lo sono state in passato.

Non mi paiono libere. Tranne alcune eccezioni, ancor più luminose perché rare e solitarie, quasi tutti son sedotti da questo desiderio di dissoluzione, che allarga i cuori e trasforma ogni commentatore critico in governatore dell’universo, oltre che dell’Italia. Commentatori che constatano un disastro che essi stessi, giorno dopo giorno, hanno contribuito a creare. Non è l’idea che mi faccio né della democrazia, né della vocazione di testimone e pensatore affidata alla figura del giornalista.
Un caro saluto.

Cara Barbara, pubblico con piacere la tua lettera, convinto come te dell’opportunità che «in un giornale libero si esprimano opinioni anche contrastanti», senza entrare nel merito della tua risposta e dell’interpretazione che tu hai dato del mio fondo pubblicato giovedì 25 ottobre. Un caro saluto. [G.A.]
 
 
OPINIONI ANALISI BARBARA SPINELLI 
da lastampa.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #50 inserito:: Ottobre 31, 2007, 12:18:53 am »

CRONACA

LA SCHEDA

Falso in bilancio, prescrizione, sindaci le principali misure del pacchetto sicurezza

DI seguito le principali misure contenute nel pacchetto sicurezza approvato dal Consiglio dei ministri.

No alla commissione d'inchiesta sul G8


FALSO IN BILANCIO. La misura innalza le pene che nella scorsa legislatura sono state alleggerite. In particolare, la pena per chi falsifica i bilanci sale fino a quattro anni (prima erano due) e vengono cancellati i commi che escludono la punibilità se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile il quadro societario. In caso di società quotate in Borsa, la reclusione passa da un massimo di tre a sei anni.

REATO IMPIEGARE MINORI IN ACCATTONAGGIO. Si introduce una nuova fattispecie di reato: l'impiego di minori nell'accattonaggio, punita con la reclusione fino a 3 anni. Delineate anche due nuove pene accessorie: la perdita della potestà del genitore nel caso in cui i reati di riduzione o mantenimento in schiavitù, tratta, siano commessi rispettivamente dal genitore o dal tutore.

PIU' POTERI AI SINDACI. Il provvedimento estende anche ai pericoli per la sicurezza urbana la facoltà del sindaco di adottare provvedimenti urgenti, oggi prevista solo per gravi pericoli all'incolumità pubblica. Si rafforza inoltre la collaborazione tra sindaco e prefetto. Il primo comunica l'adozione di provvedimenti che riguardano la sicurezza al prefetto, che può intervenire con tutti gli strumenti necessari.

POTERE ESPULSIONE AI PREFETTI. Si attribuisce al Prefetto il potere di allontanamento, dal territorio nazionale, di cittadini comunitari per motivi di pubblica sicurezza. L'allontanamento resta di esclusiva competenza del ministro solo per chi risiede in Italia da oltre dieci anni o per i minorenni, e per i motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. La violazione del divieto di reingresso viene trasformata da contravvenzione in delitto e punita con la reclusione fino a tre anni.

TIFOSI VIOLENTI. Si prevede che chiunque, nei luoghi in cui si svolgono le partite venga trovato in possesso di razzi, bengala, petardi e bastoni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 1.000 a 5.000 euro.

UBRIACHI ALLA GUIDA. Chiunque al volante sotto l'effetto di alcol o droghe provoca un omicidio colposo è punito con la reclusione da tre a 10 anni (oggi ci sono pene da uno a cinque anni). Nel caso di condanna per omicidio colposo o lesioni colpose a più persone, poi, "è sempre disposta la confisca del veicolo salvo che appartenga a persona estranea al reato".

TRE ANNI PER CHI ADESCA MINORI SU INTERNET. La reclusione da uno a tre anni è prevista per chi, "allo scopo di sedurre, abusare o sfruttare sessualmente un minore di anni 16", intrattiene con lui, anche attraverso la Rete internet o altri mezzi di comunicazione, una relazione "tale da carpire la fiducia del minore". E pene fino a tre anni sono previste per chi si avvale di un minore di 14 anni per mendicare oppure permette che il minore mendichi.

NO SOSPENSIONE PENA PER REATI GRAVI. Per i reati che provocano allarme sociale (omicidio, rapina, estorsione, incendio boschivo, violenza sessuale, ecc.) viene esclusa la possibilità di sospensione dell'esecuzione della pena, al fine di consentire al condannato la presentazione di una istanza di misura alternativa alla detenzione.

MISURE CAUTELARI. Per tutti i reati per i quali è oggi previsto l'arresto in flagranza, si prevede la possibilità di applicare misure cautelari se c'e un pericolo concreto e attuale della loro commissione, anche se si procede per altro titolo di reato. Per le fattispecie più gravi (fra questi omicidio, rapina, violenza sessuale aggravata, furto in appartamento, incendio boschivo, traffico di ingenti quantità di rifiuti), si prevede l'applicazione della sola misura di custodia in carcere, salvo che emerga l'insussistenza di esigenze cautelari.

STRETTA CONTRO CONTRAFFAZIONE. Previsto l'inasprimento delle pene per la contraffazione, con specifica aggravante per chi falsifica ingenti quantità di merci e a tutela del made in Italy. Questo va come emendamento al Ddl Bersani.

AGGRESSIONE A BENI MAFIOSI. Si introduce la possibilità di aggredire il patrimonio mafioso anche in caso di morte del soggetto a cui il bene è stato confiscato. Viene inoltre introdotta una reale tutela per gli imprenditori e le imprese sotto il ricatto della mafia che hanno il coraggio di denunciare l'interferenza della criminalità organizzata.

NASCE BANCA DATI DEL DNA. Un disegno di legge apposito istituisce poi presso il Dipartimento della Pubblica sicurezza un archivio in cui confluiranno i profili del Dna, che saranno conservati "per 40 anni dall'ultima circostanza che ne ha determinato l'inserimento".

VIOLENZA FAMILIARE SU EXTRACOMUNITARIE. Estendendo il principio già previsto nell'articolo 18 del Testo unico sull'immigrazione, si prevede che le donne straniere che denunciano violenze familiari possano ricevere un permesso di soggiorno per motivi di protezione umanitaria.

PRESCRIZIONE. Viene riscritta la legge cosiddetta ex Cirielli. Il tempo della prescrizione viene calcolato con un riferimento esclusivo alla pena massima prevista dal codice, aumentata della metà. I delitti si prescrivono in un tempo comunque non inferiore a sei anni. Quanto ai delitti di maggiore gravità, è previsto un termine massimo per cui essi si prescrivono dopo 30 anni. I responsabili di delitti puniti con l'ergastolo non beneficiano in alcun modo della prescrizione.

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA. Prevista una maggior tutela alle vittime di maltrattamenti, inasprendo le pene, includendo fra le persone offese anche i conviventi, con un'aggravante specifica per chi commette reato a danno di un minore di 14 anni.

(30 ottobre 2007)

da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #51 inserito:: Ottobre 31, 2007, 11:19:18 am »

POLITICA

Indagine Demos-Eurisko.

Il voto, in caso di caduta dell'esecutivo, invocato dal 73% degli elettori Cdl e dal 42% di quelli dell'Unione.

Il governo di larghe intese piace al 16% del totale

"Dopo Prodi", il 57% vuole le elezioni

Pd, l'alleato preferito è Di Pietro

L'Idv piace a 7 democratici su 10, la sinistra radicale a 5

Solo 3 approvano il rapporto con l'Udeur e molti preferirebbero l'Udc

di FABIO BORDIGNON e NATASCIA PORCELLATO

 
Nuove elezioni: è questa la soluzione preferita dagli italiani in caso di caduta del governo.

La fragilità della maggioranza, al Senato, e i conflitti che animano la coalizione rendono la tenuta dell'esecutivo una questione sempre attuale. Per questo, una indagine Demos-Eurisko ha sondato, per "la Repubblica", le preferenze degli elettori rispetto ai diversi scenari del "dopo-Prodi". Gli orientamenti degli intervistati delineano una situazione fluida circa la geometria delle alleanze e gli stessi confini degli schieramenti. In particolare, gli elettori del neonato Pd confermano il patto con le forze della sinistra radicale e con l'Italia dei Valori di Di Pietro. Più difficile appare oggi il rapporto con l'Udeur, tanto che quasi un elettore su due, pur respingendo l'ipotesi di una "grande coalizione", vede con favore una futura intesa con l'Udc di Casini.

Il dopo Prodi. Un governo di larghe intese è la soluzione preferita dal 16% degli intervistati. Un nuovo governo di centrosinistra, invece, è visto con favore dal 13%, ma questa percentuale sale fino al 31% tra gli elettori dell'Unione e coinvolge oltre un elettore su tre del Partito Democratico. Tuttavia, la soluzione preferita dall'opinione pubblica è il ricorso alle urne (57%). Questo dato tocca la sua punta massima proprio tra gli elettori di centrodestra (73%), mentre più contenuta (42%) è la quota tra coloro che dichiarano il proprio voto per l'Unione, in generale (e il Pd, in particolare: 40%).

La prospettiva di elezioni anticipate (o di un nuovo governo) rende interessante comprendere se e in che modo muteranno gli attuali assetti dell'Unione e della CdL. In particolare, per un partito "nuovo", come quello di Veltroni, si apre la questione delle alleanze "possibili". Il sondaggio ha indagato quali forze siano maggiormente gradite dall'elettorato del Pd in un'ottica di coalizione.

Le alleanze del Partito Democratico. L'Italia dei Valori di Di Pietro è "scelta" come alleato da sette elettori del Pd su dieci. Seguono le forze della Sinistra (Rifondazione Comunista, i Verdi, il Pdci) che un elettore del Pd su due vede come possibili partner. L'elettorato del Pd, dunque, si presenta aperto rispetto alle formazioni che compongono l'attuale maggioranza di governo: l'unica eccezione, in questo senso, sembra riguardare l'Udeur. Appena il 29% confermerebbe l'intesa con il partito del Guardasigilli, cui viene preferita l'alleanza con l'Udc di Casini. Ben il 46% degli intervistati si dice pronto, infatti, a rivedere la maggioranza uscita dal voto del 2006, superando, al centro, l'attuale perimetro dell'Unione. Solo una piccola componente, invece, immagina intese ancora più "larghe": l'8% "aprirebbe a Forza Italia e appena il 3% alla Lega Nord. Va sottolineato, allo stesso tempo, come una componente non trascurabile, fra i "democratici", ribadisca la vocazione "maggioritaria" del partito: il 38%, infatti, sarebbe disponibile a sostenere una competizione elettorale solitaria, senza concludere alleanze "preventive".

La prospettiva degli alleati. La stessa questione, infine, è stata affrontata dal punto di vista degli attuali partner del Pd, rilevando come i loro sostenitori valutino le possibili alleanze della formazione guidata da Veltroni. Rispetto al totale dell'elettorato dell'Unione, la Sinistra Radicale si orientata maggiormente verso una conferma dell'attuale alleanza di governo, anche se con una "sostituzione al centro" tra Udc e Udeur. Anche fra coloro che destinano il proprio voto agli "altri partiti" del centro-sinistra, le preferenze rispondono ad una logica di riedizione dell'attuale maggioranza, sebbene anche in questo segmento la difficile "coabitazione" con l'Udeur sembri richiamare le tensioni di questi giorni.

(30 ottobre 2007)

da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #52 inserito:: Ottobre 31, 2007, 09:55:29 pm »

ESTERI

Al Ministero degli Esteri nasce una nuova struttura per definire le linee della politica estera a media e lunga scadenza

Farnesina, D'Alema lancia il "Gruppo di riflessione strategica"

"Il G8 diventerà G14"? Chi ci darà il gas nel 2050?

Pensare a un nuovo rapporto tra Italia e Ue?"

di VINCENZO NIGRO


ROMA - Quanti saranno i membri del G8 entro il 2010, arriveranno a 14 anche con Sudafrica, Egitto e Messico? Chi darà gas all'Italia nel 2050, e come dovremo proteggere i nostri approvvigionamenti? E' giusto che l'Italia continui a puntare le sue carte politiche soprattutto sull'Europa unita, o il nostro europeismo ha bisogno di una revisione, di un aggiornamento?

Oggi la crisi della politica interna italiana sembra aver preso il sopravvento su tutto il resto. Ma ci sono scelte decisive, strategiche, a cui dobbiamo iniziare a lavorare da subito se si vuole costruire il futuro del paese. E la crisi politica interna non è una buona ragione per rimanere immobili. Per queste ragioni il ministro degli Esteri Massimo D'Alema ha avviato alla Farnesina il lavoro del "Gruppo di riflessione strategica". E' una nuova struttura, simile a quelle che esistono in buona parte dei paesi occidentali, promossa dal Governo italiano per definire le linee della politica estera a medio e lungo periodo.

Il Gruppo coordinato da Marta Dassù, secondo D'Alema dovrebbe essere un "tavolo di riflessione aperto ad esperti esterni", ed è stato incardinato alla Farnesina. Verrà collegato all'Unità di Analisi e Programmazione, la struttura interna del ministero diretta dal diplomatico Maurizio Massari, che ha già la missione di studiare gli scenari futuri per la politica estera italiana.

A COSA SERVE
L'idea della Farnesina è che il Gruppo sia "uno strumento per pensare la politica estera in termini di medio e lungo termine; non bisogna immaginare soltanto come sarà il mondo tra qualche anno, ma anche prefigurare degli scenari, fare delle simulazioni. In un contesto che vada al di là degli schieramenti politici". Nel suo discorso inaugurale D'Alema ha detto: "Il Gruppo non supplisce a una funzione politica, ma in un contesto in cui un bipolarismo che nasce spesso ci costringe al breve periodo dei governi, bisogna pensare la politica estera al di là della durata dei governi, delle alleanze politiche".

CHI NE FA PARTE
Alla prima riunione sono stati invitati una quarantina di diplomatici (Massolo, Massari, Nelli Feroci), esperti di politica estera (De Michelis, Silvestri, Biancheri), rappresentanti dell'industria (Maugeri, Bernabè), di ministeri come la Difesa (Di Paola, Camporini) e il Commercio Estero (Schiavo), dei servizi di sicurezza (Branciforte e Cucchi), delle banche (Scognamiglio) e dell'università (Guolo, Panebianco, Andreatta), dei media (Venturini, Caracciolo).

LA MISSIONE
D'Alema ha aperto i lavori: "La comunità internazionale si trova in una situazione diversa da quella che siamo stati abituati a conoscere nel secondo dopoguerra". E' una situazione caratterizzata da complessità e fluidità. Per l'Italia - dice il ministro - i giochi sono aperti, "ci dobbiamo conquistare un posto, un ruolo che non ci viene regalato da nessuno". Per questo, secondo il ministro, c'è bisogno di pensare la politica estera al di là della durata dei singoli governi, delle maggioranze politiche del momento: "Il bipolarismo interpretato senza visione strategica ci costringe al breve periodo, mentre ci sono cambiamenti strategici sui quali dobbiamo ragionare".

Per il ministro degli Esteri ci sono molti fattori di cambiamento. Innanzitutto cambiano gli attori internazionali: agli Stati in ascesa e a quelli in declino si affiancano le realtà locali all'interno degli stessi Stati, ma poi attori come le Ong, le organizzazioni multilaterali, i gruppi di pressione. Secondo: cambia la struttura del sistema internazionale, che dalla centralità dell'area occidentale costruita attorno agli Stati Uniti vede il consolidamento di nuovi centri di gravità, soprattutto in Asia.

Terzo, cambiano i temi della politica estera: la lotta al terrorismo, il tema dei cambiamenti climatici, la necessità della sicurezza energetica diventano spinte determinanti nella creazione di una politica estera.
Il risultato è quello che D'Alema ha notato riferendosi a questi primi mesi di vita del governo Prodi: all'Onu Roma siede per due anni in Consiglio di sicurezza, e in quel contesto spesse volte l'Italia - che è una paese Nato e Ue - non trova intesa totale con paesi membri delle due organizzazioni che tradizionalmente hanno dettato la politica estera nazionale. Il senso dell'osservazione: cambiano i vincoli, non c'è più un pensiero unico, "aumenta l'autonomia, ma c'è anche più responsabilità".

L'Italia - dice D'Alema - in questo contesto sente di essere una potenza regionale, i cui confini sono quelli del Mediterraneo, dei Balcani, del Medio Oriente. Ma il suo ruolo di produttore mondiale, di esportatore globale ai tempi della globalizzazione economica non le permette di rinunciare a guardare ai fatti politici del mondo. Come dire: per realismo vorremmo occuparci solo delle cose di casa nostra, del "mare nostrum"; ma le sfide politico-economiche ci costringono ad essere presenti nel mondo. Bisogna inventarsi un modo per farlo senza rinunce e senza velleitarismi.

IL DIBATTITO
I temi lanciati da D'Alema hanno aperto una discussione nel Gruppo Strategico che ha coinvolto i partecipanti a questa prima riunione del Gruppo. Gianni De Michelis (presidente Ipalmo): è bene definire l'interesse nazionale, ma non dobbiamo fare una riflessione teologica sull'interesse nazionale, bisogna capire come l'Italia può stare in maniera efficace nel sistema internazionale, Silvio Fagiolo (ambasciatore, il Sole 24Ore): gli orizzonti strategici che vorremo disegnare comunque verranno dettati a tutti dal mandato della politica, in Italia e nel mondo.

La prossima presidenza americana, i nuovi governi in Europa e nel mondo influenzano di continuo la possibilità che la nostra visione delle cose possa effettivamente avverarsi. Leonardo Maugeri (Eni): attenzione, per un'industria come l'Eni il 2020 è già scritto, in quell'anno noi già sappiamo quanto petrolio produrremo, dove, con quali investimenti. Questo rafforza il senso della necessità di "visione strategica" che la dirigenza del paese deve avere.

Il modo in cui dovrà lavorare il Gruppo è ancora tutto da inventare: la struttura della Farnesina guidata da Massari fornirà il riferimento attorno a cui, di volta in volta, convocare i vari esperti, i diversi protagonisti. Per un lavoro che in una fase di altissima incertezza politica appare assai vellitario, ma che forse proprio questa crisi rende assolutamente indispensabile.

(31 ottobre 2007)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #53 inserito:: Ottobre 31, 2007, 09:57:41 pm »

D'Alema: «Il governo sta bene, la coalizione no»

Alessia Grossi


«Le riforme non sono l'ora X. Sono dei processi che avvengono e che mutano le cose senza che ce se ne accorga». Così il ministro degli Esteri e vicepremier Massimo D'Alema risponde durante la videochat di mercoledì su L'Unità online alle domande dei lettori riguardo il processo delle riforme iniziato e promesso dal Governo e dal Pd. «Riforme il centrosinistra ne ha fatte fin dagli anni '90. Ad esempio la riforma delle pensioni, un processo lungo se volete ma iniziato da allora che ha portato questo Paese ad avere un sistema pensionistico anche migliore di quello degli altri Paesi d'Europa. Altra riforma degli anni '90 è stata quella del sistema sanitario pubblico che oggi tutti ci riconoscono come uno dei migliori. Il riformismo del centrosinistra ha cambiato la vita dei cittadini», spiega poi D'Alema. E la riforma elettorale?, chiede Vincenzo, uno dei tantissimi lettori intervenuto alla videochat - perché - continua il lettore - pensare al sistema tedesco e non a quello francese o spagnolo che sarebbe più appropriato per il Partito Democratico? «Non possiamo pensare di riformare il sistema elettorale facendo una legge cucita su misura come andando dal sarto - spiega D'Alema - questo lasciamolo fare a Berlusconi che non vuole cambiare la sua legge perché qualcuno gli ha detto che se si va ora al voto vince sicuramente lui. A Berlusconi «del paese non importa niente. Lui pensa solo il proprio interesse,». D'Alema non nasconde le sue preferenze verso un doppio turno più di tipo francese comunque maggioritario ma si sofferma sulla relativa bontà anche del modello tedesco che «riduce la frantumazione» del quadro politico e dà «maggiore stabilità» al governo con la sfiducia costruttiva.

I lettori esprimono timori sul futuro della coalizione. Il direttore Antonio Padellaro le sintetizza e chiede delle conseguenze sull'ultima «inquietudine», quel voto in commissione martedì che ha visto Di Pietro e Mastella per il no alla Commissione d'inchiesta sul G8 di Genova. «La vicenda del G8 è dolorosa» commenta subito D'Alema, che ricorda anche che fu lui il primo all'epoca dei fatti ad alzarsi in Parlamento per denunciare quella che in quel momento era solo una sensazione e cioè che a Genova fosse successo qualcosa di «molto grave» e che dopo è divenuta una certezza. «Ma in molti allora furono quelli che lessero in quella dichiarazione un attacco alle forze dell'ordine. Oggi la Commissione invece sarebbe il modo migliore per accertare le responsabilità ed sostenere la credibilità della polizia» spiega D'Alema, secondo cui la magistratura che pure sta lavorando per accertare le responsabilità dovrebbe essere affiancata «da una politica che si assuma le proprie responsabilità».

Quanto all'ottimismo di Prodi sulla tenuta del Governo e ai timori dei lettori dell'Unità tiene a precisare i problemi non vengono dal Governo. «Il Governo sta bene, è la coalizione che sta male». «Questo Governo ha fatto molto in quest'anno e mezzo abbiamo risultati positivi importanti che però vengono oscurati dalla perenne litigiosità della coalizione».

Ma i lettori de l'Unità e dell'Unità online hanno anche un altro, forte timore: quello sul destino de l'Unità, appunto, dopo le voci di una sua vendita alla famiglia Angelucci, che edita anche Libero. Perderà la sua collocazione politica? che ne sarà delll'autonomia delle testata storica della sinistra? D'Alema è rassicurante. «Questo giornale è esposto come tutti alle regole del libero mercato. La sua autonomia, chiunque lo acquisti, resta legata alle teste dei giornalisti che lo fanno e all'affetto dei lettori che lo comprano da anni e che gli vogliono bene. E a voler bene all'Unità sono in molti, una platea più vasta degli ex direttori fortunatamente...». D'Alema sostiene che chi compra l'Unità sa cosa compra e sarebbe sciocco pensare di poterla snaturare. Ciò che è legittimo, ribadisce però, è chiedere «garanzie sul piano sindacale e essere vigili sui propri diritti». Questo tanto per i giornalisti che per quelli che amano il giornale.


Orlando Grassivaro, che si definisce «un compagno», dalla provincia di Padova gli chiede: «Vedremo mai uno Stato Palestinese?». D'Alema mostra di riporre speranze nella conferenza internazionale di pace che si svolgerà ad Annapolis, soprattutto per un cambiamentoi di atteggiamento degli americani. In quell'occasione -aggiunge il capo della diplomazia italiana - ci sarà l'impegno non solo dei Paesi dell'Onu ma anche di altri grandi come Cina e Russia che sono altrettanto interessati ad un processo di Pace in un'area centrale come il Medioriente». Gli stessi paesi che spera, dice poi, di vedere maggiormante coinvolti nella risoluzione della situazione in Afghanistan, dove non ipotizza uno sganciamento della missione multiforze a guida Nato ma casomai una ridefinizione dei ruoli. Rimarcando comunque l'importanza del dialogo, che infatti è stato avviato anche da Karzai con alcune forze dei talebani contro Al Qaida.

In passato ci sono state frizioni con l'amministrazione Bush. E ora che si avvicinano le presidenziali e Padellaro vorrebbe sapere le sue preferenze. D'Alema premette che i rapporti con gli Usa sono «ottimi»: «Noi la pensiamo come la maggior parte degli americani che - aggiunge - sono molto meno ottusi dei filoamericani nostrani». Lui personalmente ha rapporti con la fondazione Clinton ma racconta di un «cugino mezzo irlandese che abita in America» e ha preferenze più "radicali"... E l'Iran, i venti di terza guerra mondiale? Si dilunga, D'Alema, a parlare di El Baradei, ma alla fine conclude: ci sono da tre a otto anni di tempo per trovare un'altra soluzione.

Il direttore Antonio Padellaro, accanito romanista come pure D'Alema, nel giorno del derby con la Lazio gli chiede di Evo Morales, il presidente boliviano che ha dichiarato di aver incontrato nella sua recente visita in Italia Francesco Totti, per lui «la personalità più importante». «Sono d'accordo - ironizza il vicepremier - e questo me lo rende ancora più simpatico». Battute a parte, della nuova America Latina, D'Alema dice di preferire Morales anche per il suo essere «un sindacalista degli indios» rispetto a un Hugo Chavez «che è comunque un militare».

E alla fine, l'ultima domanda è sul comunismo, viene da un lettore - Carlo Roscitto - di «una famiglia che 50 anni vota e milita nella sinistra» e ora si trova un po' spaesato a collocare la tradizione nel futuro Pd. per Massimo D'Alema il Pd si deve costruire sul piano culturale, oltre quello organizzativo. «la grande pagina della cultura del Pd - che D'Alema spera appassioni i giovani - è quella di immaginare il proprio futuro, non lasciando che siano i genitori a immaginarlo per loro». D'Alema è però ancora convinto che serva un disegno anche non del tutto realizzabile che dia la direzione di marcia. «Noi lo chiamavamo comunismo e poi abbiamo sentito il bisogno di distinguerlo da quello che infatti chiamavamo "socialismo reale", forse le nuove generazioni lo chiameranno in modo diverso. Ma D'Alema è convinto che sia comunque necessario anche un pensiero utopico, «un sogno». Ovvero «un'idea di futuro».


Pubblicato il: 31.10.07
Modificato il: 31.10.07 alle ore 16.48   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #54 inserito:: Novembre 02, 2007, 02:59:00 pm »

Di Pietro: sul governo ho sbagliato

Caro Travaglio,

la sua rubrica su l’Unità di ieri a me dedicata dal titolo «Quo vadis, Tonino» mi ha fatto molto riflettere. Potrei sostenere con mille presumibili buone ragioni la posizione presa da me e dall'Italia dei Valori in merito al nostro voto sulla società Ponte sullo Stretto di Messina (ponte che, sia chiaro, nemmeno io voglio fare né sto facendo fare) e più ancora sulla istituzione di una Commissione d'inchiesta sul G8 di Genova (che condividiamo, purchè ad essa non vengano attribuiti anche poteri giudiziari che dovrebbero spettare solo ai giudici e purchè si stabilisca che si deve occupare non solo di valutare i misfatti commessi dalla Polizia, ma anche quelli commessi dai black bloc e soprattutto dai loro mandanti politici). Commissione che lei stesso annovera tra quelle che definisce «...enti inutili, anzi dannosi, non essendo mai servite a nulla se non a produrre verità di maggioranza e di minoranza, cioè balle di partito, a insabbiare le colpe dei nemici e ad esaltare i meriti degli amici, a confondere le idee anche a quei pochi che pensano di averle chiare...» (Mitrokhin e Telecom Serbia docent!).

Presumibili buone ragioni che chi ha voglia di valutarle può leggerle sul mio blog www.antoniodipietro.it.

Ma il punto è un altro e lei l'ha giustamente centrato (forse rovinandomi la digestione, ma certamente aprendomi gli occhi e di questo la ringrazio): io ed il mio partito ci siamo ritrovati di fatto allineati sulle stesse posizioni del partito di Berlusconi e di quello di Mastella. So nel mio intimo che non è questo quello che volevo e voglio (e mi scuso con gli elettori per l'imbarazzo creato). Ma purtroppo questo è il messaggio che è passato e la colpa, devo ammetterlo, non è solo delle strumentalizzazioni altrui (che peraltro ci sono state e ci sono a iosa) ma anche mia.

Ho sbagliato nel comunicare male e tardi quelle che io ritengo essere - forse sbagliando ma certamente in buona fede - le mie «buone ragioni di merito». Ho sbagliato soprattutto nel non essere riuscito a trovare una soluzione politica nell'ambito della coalizione su materie che - con il dialogo e la reciproca comprensione - potevano trovare una giusta soluzione (per esempio, intervenendo sulla stesura del testo della legge istitutiva della Commissione di inchiesta, in modo da assicurare che essa non debordasse in un «processo» ai processi giudiziari in corso e che fossero stabiliti precisi paletti e garanzie di funzionamento).

È vero anche che nemmeno gli «altri» della coalizione hanno voluto far nulla per trovare un punto di mediazione, ma il loro errore non annulla il mio.

Una cosa è certa, però e di questo la ringrazio di averne dato atto: in materia di politica giudiziaria, l'Italia dei Valori sta facendo il proprio dovere, tanto è vero che siamo riusciti da ultimo a far inserire nel «pacchetto sicurezza» importanti norme quali il ripristino del reato di falso in bilancio e le eliminazione della legge ex-Cirielli sulla prescrizione.

Vorrei continuare in questa direzione e quindi rispondo alla sua domanda «Quo vadis, Tonino?» nell'unico modo possibile: vado diritto per la mia strada, ma - d'ora in poi - con più attenzione ai compagni di viaggio.



Non capita tutti i giorni che un ministro risponda alle critiche di un giornale. E non capita quasi mai che lo faccia per dire «ho sbagliato». Da cittadino, gliene sono grato. E credo che gliene siano grati anche i lettori e gli elettori.



m.trav.

Pubblicato il: 02.11.07
Modificato il: 02.11.07 alle ore 11.55   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #55 inserito:: Novembre 05, 2007, 03:42:36 pm »

La procura di roma indaga su presunte tangenti per la bonifica di una discarica in KENIA

Inchiesta su un progetto di cooperazione

Il ministro Pecoraro Scanio lo blocca

Un sito maleodorante da ripulire a Nairobi, un piano da 700mila euro fermato dal ministero.

Ecco i retroscena.

DAL NOSTRO INVIATO


NAIROBI – La procura di Roma sta indagando per stabilire se il progetto di cooperazione ambientale con il Kenya, per bonificare la discarica di Dondora a Nairobi, prevedeva il pagamento di tangenti. Qualche settimana fa il ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, dopo aver bloccato il progetto, aveva aperto un’inchiesta interna. «Voglio vederci chiaro – aveva spiegato il ministro incontrato nel suo ufficio a Roma –. Troppe cose non quadrano su questa storia, che potrebbe finire direttamente sul tavolo di un magistrato». E infatti ora è finita nelle mani del procuratore aggiunto di Roma, Maria Cordova, che ha incaricato delle indagini i carabinieri del Noe (il Nucleo Operativo Ecologico). Maleodorante, pestilenziale, mefitica; un vero girone dantesco. Eppure la discarica di Dandora, alla periferia di Nairobi, è popolata da almeno mezzo milione di persone che le vivono attorno. Disperati che rovistano nel pattume, alla ricerca di qualcosa di commestibile: resti di un pranzo o scarti del mercato, forse il quarto di mango ancora mangiabile di un frutto marcio.

BARACCOPOLI - A Nairobi non c’è la raccolta differenziata: i riciclatori lavorano in discarica. Gente che, a mani nude, raccoglie le bottiglie, le frantuma su una pietra e vende il vetro sminuzzato, o si occupa della carta, delle lattine o della plastica. Intorno alla discarica trent’anni fa è sorto Korogocho, forse il più grande dei duecento slum-vergogna di Nairobi, dove i derelitti, i disperati, i pezzenti e i miserabili, insomma quella parte del mondo senza speranza, cercano di sopravvivere. Centoventimila persone ammassate in un chilometro quadrato con un’aspettativa di vita di poco meno di quarant’anni. Poi schiantano, distrutti e consumati dai vapori nauseabondi e velenosi sprigionati da quell’ammasso di sudicia immondizia. Korogocho in lingua kikuyu vuol dire «ciò che non ha più nessun valore» oppure «caos». Lì, in una baracca come tutte le altre, viveva padre Alex Zanotelli, il comboniano che per primo ha denunciato al mondo questa tragedia. Ora il suo posto è stato preso dal combattivo padre Daniele Moschetti. Da anni il missionario lotta per la chiusura della discarica e il suo trasferimento e ha rivelato le implicazioni sociali che le sono legate. Comprese le gang criminali che la controllano. Anche chi scava in quel marciume alla ricerca di qualcosa da mangiare o da riciclare deve pagare il pizzo se non vuole avere la gola tagliata. Nel novembre dell’anno scorso il ministro Pecoraro Scanio e la viceministra degli Esteri con delega all’Africa e alla Cooperazione, Patrizia Sentinelli, visitano Korogocho e promettono ai comboniani di risolvere il problema: «La discarica sarà chiusa». Vengono così stanziati oltre 700 euro per finanziare lo studio di fattibilità per la chiusura e il trasferimento della discarica.

PROPOSTA - Il governo del Kenya prepara un «concept paper», (clicca per vedere il documento in pdf) cioè una proposta di progetto, nel quale si affida all’Eurafrica lo studio di fattibilità. Il piano viene inviato al governo italiano che lo approva il 7 maggio. Il Corriere è in possesso di quel documento che però non risulta redatto in un ufficio di un ministero keniota, ma da un’altra società, di proprietà italiana, la Doralco, legata a uno dei soci di Eurafrica Kenya (compare anche nel sito di Eurafrica come una delle referenze). A compilarlo materialmente risulta essere stata il 18 aprile precedente la signora Federica Fricano, funzionario del ministero dell’ambiente italiano, che l’ha revisionato almeno 10 volte, secondo le “proprietà” del documento. L’Eurafrica ha la sua sede legale a Napoli, a casa dell’amministratore unico Tiziana Perroni,e la sede operativa a Roma, a casa dell’altro socio, Bruno Calzia. I due sono marito e moglie. La loro società, che ha un capitale di appena 10 mila euro, non risulta avere nessuna competenza tecnica in fatto di bonifica o smaltimento di rifiuti. Il bilancio non presenta attività di notevole rilievo. C’è solo un impiegato: Tiziana Perroni.

LA SOCIETA' - Nella lettera con cui si presentano al ministero, il 18 luglio la stessa Perroni scrive:Eurafrica Management and Consulting nasce nel 2002 su iniziativa di Vittorio Travaglini e Bruno Calzia, d’intesa con il gruppo De Nadai, una multinazionale italiana presente ed operante in molti Paesi dell’Africa, Medio Oriente, Penisola Arabica, Asia, Nord e Sud America. (clicca per il documento in pdf) La De Nadai è una società assai rispettata. Nata in Eritrea ha contribuito enormemente allo sviluppo agricolo della nostra ex colonia. Grazie all’operosità dei suoi proprietari, dei suoi manager e dei suoi operai, all’epoca esportava prodotti agricoli in tutto il Medio Oriente. Al telefono la signora De Nadai spiega: «Ho sentito parlare di questa storia, che però non ha assolutamente la nostra copertura. La nostra società è estranea». E’ vero che “Eurafrica si avvale sin dalla sua costituzione delle numerose strutture societarie del network e delle risorse del Gruppo De Nadai all’estero”, come c’è scritto nella lettera con cui si presenta al ministero dell’ambiente? La risposta è secca: “Assolutamente no! Hanno utilizzato qualche volta gli uffici di Firenze». In quegli uffici ha sede l’Evergreen, partner nel business dei fiori recisi, della Doralco, la società proprietaria del computer nella cui memoria è stato redatto il “concept paper”. Tra l’altro Travaglini - secondo la visura camerale - non è ancora proprietario di Eurafrica Italia. E’ però proprietario di Eurafrica Kenya assieme a Bruno Calzia. Direttore generale di Eurafrica Kenya è Renzo Bernardi, il rappresentante esclusivo della Beretta, della British Aerospace, della francese Sagem, dell’Oto Melara, tutte società che producono armi (clicca per vedere il documento). .

LA TELEFONATA - E’ vero invece “come sostiene la lettera di presentazione, che Calzia è nato e vissuto in Somalia. Dal maggio 2006 è consigliere economico del ministro delle Politiche Agricole Paolo De Castro e siede in numerosi collegi sindacali. Emma Bonino l’ha nominato per il triennio 2007-2009 nel comitato esecutivo dell’ICE. La lettera elenca poi una serie di meriti della società Eurafrica e si spinge ad aggiungere: «Per le ragioni sopra indicate, in considerazione della presenza e dell’affidabilità di Eurafrica in Kenya, la società è stata proposta ed indicata del Ministry of Local Government come project leader». Il ministro del “Local Goverment” keniota è Musikary Kombo. Il suo ufficio nel centro di Nairobi è sobrio e essenziale. “Di questa storia non so nulla – ammette candidamente e comincia a chiamare a rapporto i suoi più stretti collaboratori. Telefona, alla presenza del Corriere della Sera, anche al sindaco della capitale, che dovrebbe essere coinvolto nell’operazione. Nulla. Sa qualcosa di una riunione tenuta il 15 agosto a Nairobi, cui ha partecipato tra gli altri il direttore generale del ministero dell’ambiente Corrado Clini? «Non so nulla», ribatte il ministro che chiama a rapporto il suo direttore generale, Solomon Boit. Boit ammette: «La riunione c’è stata. Presenti funzionari italiani guidati da Clini. Non è stato raggiunto nessun accordo». L’Eurafrica sostiene di aver avuto da voi l’incarico di occuparsi della discarica. “Non è vero - ribatte secco Boit. Poi sorride compiaciuto - . Mostrino le nostre lettere di incarico se le hanno”. Sul “concept paper” che cita l’Eurafrica tergiversa e quando gli si chiede se conosceva la società prima del 15 agosto risponde: “No, li ho conosciuti in quella occasione. Ma con loro c’era il rappresentante”. Chi è? “Non lo so”. Boit e Kombo fanno finta di non riconoscere in quell’uomo Renzo Bernardi, il mercante d’armi che lavora in Kenya da oltre 30 anni e ha doppio passaporto. “Eppure Bernardi – sostiene Mwalimu Mati, direttore di Mars Kenya, organizzazione etica che lotta contro la corruzione - faceva parte della commissione di garanti che sosteneva Kombo, candidato alla presidenza del Kenya. E’ rimasto in quella lista pochi giorni, poi è stato cancellato. Solomon Boit, invece, viene citato nella lettera di Eurafrica nella frase: “Referenze sulle attività di Eurafrica e sui singoli soci possono essere chieste a”.

I SOLDI - In quel punto, tra gli altri, compare anche Boit. Eurafrica ammette implicitamente di non avere le capacità tecniche per affrontare i problemi che comporta la discarica di Dondora e la sua chiusura. Infatti, nella relazione al ministero dell’ambiente italiano parla del coinvolgimento di due società: la Atkins inglese e la Howard Hamphrey di Nairobi. “Ma allora – sbotta il missionario padre Moschetti – perché non rivolgersi direttamente a loro? Perché passare per una terza parte che, ovviamente, pretenderà soldi per le sue prestazioni. I soldi vanno impiegati per la gente che vive qui – continua il missionario -. E’ grave che qualcuno cerchi di speculare sulla pelle della povera gente”. Il comboniano spiega come la chiusura della discarica non sia solo un fatto tecnico: “Esistono implicazioni sociali di cui occorre tener conto: è l’unica fonte di sostentamento per gli abitanti di Korogocho e delle altre baraccopoli che vi orbitano attorno”. Un progetto per la messa a dimora della discarica di Dandora, con l’individuazione di un nuovo sito dove stoccare i rifiuti della capitale keniota impiegando però la gente che ora vive riciclando le immondizie della discarica, esiste già. Ed è italiano. L’ha presentato la Jacorossi, una compagnia che lavora nel settore da anni. E’ un progetto industriale, che non prevede aiuti dallo stato, e quindi, ovviamente, contempla un profitto. In cambio della chiusura della discarica e della realizzazione della nuova, la Jacorossi chiede di formare una società con la partecipazione del comune di Nairobi per gestire la raccolta dei rifiuti in cui sarebbe impiegata una parte della comunità disperata che oggi vive ai limiti della sopravvivenza spolpando la discarica. “La Jacorossi un progetto l’ha già preparato – si infervora Mwalimu Mati –. Perché commissionarne un altro? Impiegate quei soldi per aiutare la gente”, ripete anche lui. Quant’è costato quello studio? “Non più di 200 mila euro - risponde Carlo Von Vageningen - il rappresentante della Jacorossi a Nairobi.

IL MINISTRO - E allora perché all’Eurafrica il ministero dell’Ambiente era pronto a dare oltre 721.633 euro bloccati in extremis dal ministro Pecoraro Scanio? Il ministro non ha dubbi: “Ho chiesto informazioni sull’Eurafrica all’ambasciata di Nairobi, non mi hanno fornito nulla, quindi io ho sospeso tutto. Ma ho preso l’impegno morale a chiudere quella discarica e lo manterrò. Il progetto andrà avanti senza aggravi e costi aggiuntivi per il contribuente italiano. Al ministero abbiamo l’Apat, un’agenzia tecnica. E’ un ente vigilato. Le affideremo lo studio”. In realtà il business grosso che si nasconde dietro questo semplice studio di 721.633 dollari è l’appalto per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani di Nairobi, come per altro c’è scritto nel concept paper: «Trenta milioni di dollari - spiega padre Daniele -. E’ lì che mira Eurafrica». «Una cifra che fa gola e ha attratto appetiti inconfessabili – gli fa eco padre Alex Zanotelli che aggiunge - Sento puzza di tangenti». L’osservazione ha fatto scattare le indagini della magistratura e colpisce anche il ministra Pecoraro Scanio che di quella riunione nel giorno di Ferragosto è venuto a sapere per caso. «Siamo molto conosciuti in Kenya – azzarda invece Bruno Calzia -. E’ per questo che ci hanno scelto». Eppure il ministro Kombo sostiene di non conoscere né l’Eurafrica, né Calzia. E così pure il direttore Boit che è stato inserito come referenza della società. Alle domande «Perché il governo italiano dovrebbe rivolgersi a Eurafrica che poi commissiona lo studio alla Atkins? Non risparmierebbe se si rivolgesse direttamente alla società inglese?». La risposta è evasiva: «Il governo keniota preferisce lavorare con noi. Ci stimano assai». Ma occorre sapere che le organizzazioni che si occupano di lotta alla corruzione mettono il Kenya ai primi posti nella classifica specializzata dei Paesi più eticamente degradati. Inoltre Eurafrica all’ambasciata italiana di Nairobi è completamente sconosciuta. Corrado Clini, direttore del ministero dell’ambiente, in una lettera al Corriere di “smentita preventiva” (clicca per il documento in pdf) è convinto che l’Eurafrica sia un’ottima società di consulenza e supporto: «Ha lavorato con noi in Bosnia e non ho avuto problemi». Conferma poi che è stata scelta dal governo africano. E il progetto già fatto della Jacorossi? «Ho chiesto all’ambasciata italiana: non c’è alcuna traccia del progetto», ma da Nairobi gli risponde Carlo Von Vageningen, mostrando la ricevuta della consegna del progetto alla nostra legazione. Lo studio dunque è “sparito”. E quella sparizione stava per costarci ben 700 mila euro.

Massimo A. Alberizzi
malberizzi@corriere.it

04 novembre 2007(modificato il: 05 novembre 2007)

da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #56 inserito:: Novembre 05, 2007, 03:57:46 pm »

E sulle divisioni nella maggioranza: «Colpa della legge elettorale»

Prodi: il mio governo vuol durare 5 anni

Il presidente del Consiglio in diretta a «Crozza Italia»: la destra sa solo minacciare, teniamo timone dritto

MILANO - «In Italia la destra minaccia e basta. Se le cose vanno avanti così, noi riusciamo a fare il resto del programma. Sono diciasette mesi che Berlusconi dice che il governo cade dopo 15 giorni. La verità è che il governo rimane: oramai abbiamo davanti una vita eterna....». Lo ha detto il presidente del Consiglio, Romano Prodi, intervenendo al telefono alla trasmissione tv «Crozza Italia», su La 7. In un dialogo con Maurizio Crozza tutto giocato sull'ironia (a un certo punto il conduttore ha chiesto al premier se quando ha baciato Veltroni alla convention del Pd si trovasse a Milano o nel giardino di Getsemani, evocando la figura di Giuda traditore), Prodi si ha colto l'occasione pers dirsi fiducioso sulla possibilità di portare a termine la legislatura. «Ci si può anche riuscire» ha detto Prodi, facendo notare che «i voti su cui contiamo oggi sono gli stessi che avevamo al primo giorno della legislatura».

I SENATORI A VITA - Crozza allora ha chiesto al capo del governo se in questo periodo sia più preoccupato per i conti pubblici o per le cartelle cliniche dei senatori a vita. «Non ci scherzi su troppo - ha ribadito Prodi - perché se lei fa un discorso ad esempio con la Levi Montalcini o con Ciampi, i nostri senatori a vita sono in grado di spennare anche lei...». E al suggerimento di un a cena al senatore Turigliatto per cercare di convincerlo a non fare scherzi sulla Finanziaria, che inizia domani il suo iter in Parlamento, Prodi ha replicato che «il lavoro di un capo di coalizione è anche parlare con tutti i componenti, fare compromessi per tenere il timone dritto. Pazienza con pazienza, calma con calma, giorno dopo giorno, finora abbiamo approvato tutti i provvedimenti».

LITI E FOLKLORE - Il premier ha poi parlato delle prese di posizioni di esponenti del governo talvolta discordanti con la linea ufficiale di Palazzo Chigi alla legge elettorale, invitando a «distinguere da liti e folklore» e dando la colpa alla legge elettorale: «Con questa legge farsi vedere conta tanto - ha sottolineato il presidente del Consiglio -, uno più è piccolo più vuole farsi vedere». Sono norme, ha detto il presidente del consiglio, che obbligano «a fare i matti anche se matti non si è». «Qualche slalom può essere necessario - ha concluso Prodi - ma la direzione non può cambiare se no un governo non è un governo».


04 novembre 2007

da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #57 inserito:: Novembre 07, 2007, 12:26:22 am »


L'espresso


Di Prodi in Prodi


Giulio Santagata, ministro per l'Attuazione del programma, è un prodiano doc, ma anche un amico di Veltroni che conobbe ai tempi del primo Ulivo, nel '96. Un prodian-veltroniano che fa da pontiere tra i due nei momenti di fredda, anche se lui rifiuta la definizione: "Il pontiere presuppone che ci siano rive separate. Io vedo compiti distinti e responsabilità unite. Il governo non è di Prodi e per Prodi, il Pd non è di Veltroni e per Veltroni. Il Pd è per il governo e con il governo è al servizio del Paese. Lavoro perché i compiti distinti siano confluenti e convergenti".

Veltroni parla di "nuova stagione", Prodi incarna la vecchia...
"Veltroni enfatizza l'idea del partito a vocazione maggioritaria, che può essere in parte condivisibile. In fondo, l'Ulivo nel '96 andò alle elezioni da solo, con Rifondazione aveva un patto di desistenza. Prodi, invece, è l'emblema della mediazione, della fatica di tenere insieme la coalizione. Ma non c'è rottura tra queste due visioni. I tre milioni e mezzo che hanno partecipato alle primarie non hanno chiesto di rompere la fase attuale. È stato un voto di sostegno a un cambiamento possibile".

Quale cambiamento?
"Se misuriamo il governo sui risultati ottenuti possiamo essere soddisfatti: la crescita più alta degli ultimi dieci anni, l'inflazione più bassa, il tasso di disoccupazione più basso degli ultimi venti, 23 miliardi di euro di evasione fiscale recuperata... Ma per raggiungere un risultato facciamo una tale confusione che la gente percepisce più la confusione che il risultato. Percepisce di più la fatica, la sensazione che non ci sia un governo. Ora le forze che reggono questo governo devono rendersi conto che dobbiamo allentare i distinguo e arrivare al risultato. Prodi segnala questo: il modo con cui abbiamo lavorato fin qui non è più accettabile".


Luca di Montezemolo giura che l'Italia è senza governo...
"L'autorevole tagliatore di cravatte vende come non-governo un'azione che invece richiede un'altissima capacità di governo. Sa bene quante risorse abbiamo messo in campo per le imprese a partire dal cuneo fiscale. Eppure non può non capire che un paese dove i salari sono al palo da anni e dove il Sud non si smuove è un paese complicato".

È d'accordo con Arturo Parisi: a Milano Veltroni ha fatto un golpe?
"Nessun golpe. L'esigenza di Veltroni di fare presto è un prezzo che paghiamo all'urgenza. L'emergenza c'era. Avevamo i partiti, Ds e Margherita, a mezzo servizio e il Partito democratico non ancora nato. L'urgenza di fare il Pd ha giustificato le forzature di questa fase. Ora però dobbiamo darci uno statuto, scrivere le regole, fare i congressi. Con gli iscritti, con le tessere o con le primarie, non mi interessa. Io sono uno dei fautori della militanza liquida: ma deve accompagnarsi a gruppi dirigenti permeabili. Non possono esserci militanze liquide e dirigenti impermeabili".

Prodi ripete che nel 2011 lascerà la guida del governo a qualcun altro. E se dovesse cadere in modo traumatico nelle prossime settimane?
"Prodi sarà fedele a quello che ha sempre detto. In caso di caduta non legata a decisioni condivise farebbe bene a restare in campo. Nell'altro campo Silvio Berlusconi si candida a scendere in campo alle elezioni per la quinta volta consecutiva, Prodi è il presidente del Partito democratico e lo farà davvero, non si limiterà a farlo solo per aprire i lavori dell'Assemblea costituente".

(02 novembre 2007)
© 1999-2007  Gruppo Editoriale L'Espresso Spa 
 
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #58 inserito:: Novembre 07, 2007, 11:32:19 am »

CRONACA

IL RETROSCENA.

Amato al Prc: "L'importante è restare nei binari della Costituzione e dei Trattati dell'Unione Europea"

Prodi rinuncia al patto bipartisan

"Dalla Cdl condizioni inaccettabili"

di CLAUDIO TITO

 
ROMA - "Con il centrodestra a questo punto è impossibile discutere. Su quel terreno non possiamo andare". Romano Prodi stringe i bulloni della sua coalizione. Sente i leader della coalizione e tranquillizza la sinistra radicale. E dopo un tentativo di patto bipartisan, chiude: "Le condizioni del Polo sono inaccettabili". "Non ci saranno accordi" con la Casa delle libertà. Soprattutto il governo non può accettare voti "sostitutivi". L'intesa, dunque, va chiusa prima nell'Unione e poi, se il centrodestra, vorrà potrà aggiungersi.

Una linea che espone anche al vertice di ieri pomeriggio a Palazzo Chigi con il ministro degli Interni, Giuliano Amato, quello degli Esteri, Massimo D'Alema, e quello della solidarietà sociale, Paolo Ferrero. Ossia il rappresentante di Rifondazione comunista nell'esecutivo. Un incontro convocato per mettere a punto l'agenda dell'incontro di oggi con il primo ministro rumeno Tariceanu e che alla fine non può che scivolare sui contenuti del decreto sicurezza.

Il partito di Giordano aveva chiesto delle modifiche sostanziali. La temperatura nella maggioranza si è improvvisamente impennata. Il Professore cerca allora di rassicurare gli alleati della sinistra. E bacchetta i vertici del partito Democratico. Gli inviti ad una convergenza lanciati al Polo da Walter Veltroni, Piero Fassino e Francesco Rutelli hanno infastidito l'inquilino di Palazzo Chigi. Troppo insistenti, ripetuti: non tengono conto del "delicato equilibrio" che governa i rapporti all'interno dell'Unione. Soprattutto non vengono valutati i contenuti politici esposti dall'opposizione.

Ancora ieri i big Democratici hanno mantenuto i contatti con gli "ambasciatori" della minoranza. Anche il Professore aveva tentato nel week end di aprire un canale di dialogo. "Questi - ha poi sospirato ieri - sono temi che non riguardano solo una parte politica, ma tutto il Paese. Eppure da parte dell'opposizione mi sembra che non ci sia la volontà di discutere".

Anzi, a suo giudizio usano argomenti "pretestuosi", puntano solo a mettere in difficoltà il governo. I termini e gli emendamenti prospettati soprattutto da Fini e dalla Lega, poi, rappresentano per il premier un ostacolo insormontabile. Di natura "culturale" più che tecnica. Una distanza "culturale" - confermata, secondo il presidente del consiglio, dalla manifestazione organizzata dal Carroccio per contestare il capo del governo rumeno in visita ufficiale in Italia - che consente al "cattolico" Prodi di raggiungere una mediazione più con la sinistra radicale che con certe posizioni della Cdl.

"Rimarremo nei confini di questa maggioranza - ammonisce -, non mi faccio spaccare la coalizione dai loro giochetti". E di fronte alle richieste di Ferrero lascia che risponda il titolare del Viminale ponendo una sola condizione: "Il decreto non va stravolto. Non possiamo dare la sensazione che torniamo indietro".

Nel merito, però, le osservazioni di Rifondazione non vengono respinte. "Sono proposte in gran parte compatibili - è il ragionamento del Dottor Sottile -. L'importante è rimanere nei binari della Costituzione italiani e dei Trattati europei". Parole che immediatamente instaurano un nuovo clima nel vertice pomeridiano. La tensione iniziale si scioglie e il dialogo prosegue con toni decisamente più soft. Tanto che, uscendo da Palazzo Chigi, Ferrero definisce "positivo" il colloquio: "abbiamo imboccato la direzione giusta. Si è aperto un percorso che valuto positivamente".

La mossa di Palazzo Chigi in parte era prevista nel centrodestra. Eppure sta mettendo in discussione il blocco costruito nel summit di lunedì scorso a Via del Plebiscito. La linea oltranzista di Fini non piace a Silvio Berlusconi e a Pier Ferdinando Casini. Entrambi stanno lavorando per arrivare comunque ad un voto positivo sul decreto. Almeno ad una astensione. Anche perché molti degli emendamenti immaginati l'altro ieri si sono rivelati giuridicamente improponibili. "Gianfranco ha sbagliato e ci ha fatto sbagliare - si è lamentato il Cavaliere con i suoi - come lo spieghiamo ai nostri elettori che non votiamo questo provvedimento?". "Noi - ha sospirato Paolo Bonaiuti - siamo ancora in attesa di un segnale, di un'apertura". "Noi insomma - ha tagliato corto il Dc Gianfranco Rotondi - faremo di tutto per non arrivare al no. Ci stiamo provando".


(7 novembre 2007)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #59 inserito:: Novembre 09, 2007, 11:25:28 pm »

Una legge per testamento

Vincenzo Vasile


Enzo Biagi fu un grande giornalista, un italiano libero, un maestro, un uomo per bene; e il suo lascito non si può certo racchiudere in una o nell’altra polemica politica. In ogni caso hanno fatto bene, in un certo senso, gli esponenti del centrodestra a disertare ieri le esequie: la loro presenza avrebbe suscitato solo imbarazzo e acutizzato diatribe che in un Paese civile bisognerebbe tenere lontane nei momenti solenni di omaggio a chi ci ha lasciato. Ma c’è un capitolo del testamento di Biagi che si innesta nella cronaca battente, come sarebbe piaciuto al grande inviato, da sempre in prima linea sul fronte delle notizie. Riguarda Silvio Berlusconi, e l’anomalia rappresentata in un sistema bipolare dal cumulo di poteri e di interessi da parte dell’ex premier, che oggi si trova a capo, seppure non più incontrastato, dell’opposizione.

Il fatto è che Prodi e Gentiloni hanno annunciato che vogliono andare fino in fondo sul conflitto di interessi. Di questo vogliamo parlare, e non solo e non tanto dell’orribile e sciagurata gaffe che ha portato Berlusconi a negare di avere mai lanciato proprio contro Biagi e gli altri reietti del video il famoso editto bulgaro. Dovrebbero bastare le sobrie parole pronunciate al funerale di Pianaccio dalla figlia, Bice, sulla «botta di amnesia» che ha colto l’ex dittatorello di Arcore, a differenza dell’amara «lucidità» conservata dal padre fino alla morte. Che era, tra l’altro, uno dei pochi a esser riuscito a esportare in tv un genere giornalistico tipico della carta stampata, il corsivo. Ascoltando ieri Bice Biagi sembrava di risentire uno di quei testi, garbati e graffianti. Su Berlusconi, quando era ancora a palazzo Chigi, per esempio, una volta disse di fronte alle telecamere del Fatto: «Mi scuso, come cittadino italiano, per le stravaganze verbali del nostro presidente del Consiglio, ma qualche volta prima parla e poi pensa... ».

Da questo ennesimo sproposito di Berlusconi (che forse davvero stavolta non s’è neanche accorto della carica di arroganza che la sua menzogna rivela) s’è dipanato un interessante scambio di battute tra i cronisti e il presidente del Consiglio, Romano Prodi, cui si è associato il ministro delle Telecomunicazioni, Paolo Gentiloni. Prodi, sollecitato dai giornalisti, sull’editto bulgaro s’è limitato a osservare che gli Italiani hanno buona memoria e sanno distinguere gli atti di ingiustizia. Poi gli hanno domandato: ma in Italia c’è il rischio del conflitto di interessi? «Il rischio c’è sempre nelle democrazie - ha risposto Prodi - forse in Italia più di quello che dovrebbe essere». Più tardi Gentiloni è stato ancora più netto: «Quando dico che bisogna seguire l’esempio di professionalità e vita civile, dobbiamo farlo anche con iniziative legislative che correggano un sistema che altrimenti rischia di riproporre questi pericoli. Le iniziative sono in campo, spero vadano in porto dopo la Finanziaria».

È questo del conflitto di interessi, uno dei punti cruciali del famoso «programma dell’Unione» che, per essere sinceri, sembrava essere stato stritolato in mezzo agli spasmi del centrosinistra. Non bisogna nascondersi che nei tormenti che segnano il fine anno dei due poli, è possibile anche una lettura tatticistica di questo improvviso ritorno di fiamma del governo: risollevando la questione è evidente che si può volere far sentire il fiato sul collo all’opposizione, e non è detto che - come dicono gli esperti di pugilato - si intenda poi affondare il colpo. Ma si può sperare che, al contrario, si voglia fare sul serio, e seppure con ritardo si stia cercando - dopo tante delusioni - di recuperare alcune delle aspettative più acute dell’elettorato che portò alla vittoria il centrosinistra.

A maggio i primi passi del progetto di legge scivolarono sulla buccia di banana della dissociazione di Clemente Mastella: l’accusa di non costituzionalità della proposta di legge avanzata da Fini venne respinta, ma con l’astensione del ministro della Giustizia. E l’Udeur subito dopo votò con la Cdl su una richiesta di sospendere il dibattito, per sei mesi. Che scadono, per l’appunto, adesso. Proprio il giorno del funerale di Enzo Biagi. Il quale, chissà quale irridente, sobrio e amarognolo corsivo avrebbe saputo dedicare a questa coincidenza e al suo «testamento».

Pubblicato il: 09.11.07
Modificato il: 09.11.07 alle ore 13.15   
© l'Unità.
Registrato
Pagine: 1 2 3 [4] 5 6 7
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!