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Autore Discussione: GOVERNO PRODI...  (Letto 55716 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Novembre 13, 2007, 09:21:11 am »

POLITICA

La bozza del professor Vassallo: una scheda sola; numero di collegi pari alla metà dei seggi da assegnare; in ogni circoscrizione max 8 collegi e 16 seggi

Avanza il modello "italiano" ecco come andremo a votare

Liste bloccate ma primarie per selezionare i candidati.

Secondo il professore la proposta risponde e quindi "supera" i quesiti referendari

 
ROMA - Cinque pagine che tengono "appesi" i protagonisti della politica. Che potrebbero decidere il futuro e il destino di partiti e partitini. Che, soprattutto, potrebbero dare ordine alla agitata, instabile e poco affidabile vita politica di questo paese. Le scrive il professore Salvatore Vassallo, costituzionalista di primissimo rango, con la collaborazione dei colleghi Stefano Ceccanti e Alessandro Chiaramonte.
Parlano della nuova legge elettorale, quella intorno a cui si regge il destino di questo governo e che, se approvata, deciderà le sorti di quelli che verranno.

S'intitolano "Un sistema elettorale semplice, per un nuovo bipolarismo, un po' tedesco, un po' spagnolo, un po' italiano", forma discorsiva per una materia ostica e ostile e che anticipa un contenuto invece agevole e accessibile. Una cosa è certa: è sbagliato chiamarlo "sistema tedesco", oppure "spagnolo" oppure "mix spagnolo-tedesco". La bozza su cui il segretario del Pd sta chiamando a discutere e a confrontarsi tutti i leader dei partiti di maggioranza e opposizione racconta un modello assolutamente originale. E per questo è giusto chiamarlo "italiano".

Gli obiettivi - Sono quattro: 1) Consentire agli elettori di giudicare la qualità dei singoli candidati al palarmento; 2)ridurre la frammentazione dei partiti pur garantendo il pluralismo; 3) preservare il bipolarismo; 4)evitare formazioni prelettorali artificiose e destinate al naufragio alla prima verifica.

Cosa non serve - Non serve il premio di maggioranza "perchè irrilevante perchè non bipolarizza o perchè provoca formazioni artificiose"; non serve il collegio uninominale che "può ridurre troppo drasticamente il pluralismo" o realizzare "coalizioni eterogenee come accadeva con i collegi uninominali della legge Mattarella".

Cosa serve - Un sistema elettorale misto "a prevalenza proporzionale (in questo senso simile al tedesco) che però non fotografi perfettamente il peso elettorale di tutti i partiti sopra una certa soglia". Lo sbarramento deciso per legge.

Serve anche un sistema elettorale che "consenta una rappresentanza autonoma ai partiti minori che superano una soglia minima, non molto elevata, non prevista formalmente dalla legge ma insita nel meccanismo elettorale" e al tempo stesso "accettano di giocare la propria autonomia in grandi partiti aggregatori a vocazione maggioritaria".

La proposta - Vassallo precisa che la proposta è valida a Costituzione invariata, cioè con il bicameralismo attuale. E' però facilmente applicabile nel caso dovessero passare quelle modifiche costituzionali attualmente al voto a Montecitorio (riduzione dei deputati a 500, senato federale, una sola camera legata dal vincolo della fiducia al governo).

I collegi - L'Italia viene divisa in un numero di collegi pari alla metà dei seggi da assegnare, esattamente come nel sistema tedesco. Il totale deve quindi essere un numero pari compreso estero e Valle d'Aosta.

Circoscrizioni - I collegi vengono aggregati in circoscrizioni composte da 6-7 o 8 collegi che assegnano rispettivamente 12-14 o 16 seggi. "E' cruciale che non si vada oltre gli otto collegi" per due motivi: le liste bloccate devono almeno poter essere visibili sulla scheda e quindi non più di otto nomi; è la circoscrizione piccola a istituire la soglia implicita antiframmentazione e a rendere "inutile" la soglia di sbarramento.

Candidature e scheda - In ogni circoscrizione gli elettori trovano sulla scheda, sotto il simbolo di ciascun partito, il nome del candidato di collegio e, più in basso, in un blocco separato ma riconducibile al partito, la corrispondente lista circoscrizionale di 6-7-8 candidati. E' obbligatoria l'alternanza uomo/donna e maschi e femmine non possono essere al di sotto del 40 per cento. I candidati saranno selezionati col metodo delle primarie.

Voto - L'elettore dà un solo voto che vale sia per l'assegnazione dell'unico seggio attribuito con l'uninominale che per l'assegnazione dei seggi su base proporzionale in ambito circoscrizionale.

Eletti nei collegi - Vengono dichiarati eletti i candidati che nel loro collegio hanno ottenuto il maggior numero di voti.

Ripartizione dei seggi in ambito circoscrizionale - Si stabilisce a quanti seggi ha diritto ciascun partito a livello circoscrizionale su base proporzionale. Per questa operazione viene usato, circoscrizione per circoscrizione, il metodo messo a punto a fine ottocento dal belga Victor d'Hondt che tende a premiare il partito più forte.

Eletti non vincenti nei collegi - Gli ulteriori seggi spettanti a ciascun partito, rispetto a quelli già assegnati per la vittoria nel collegio, vengono innanzitutto assegnati ai migliori perdenti nei collegi uninominali. Se questi non bastano, si passa ai candidati della lista circoscrizionale, secondo l'ordine di presentazione.

Non ci sarà bisogno del referendum - Il professor Vassallo scrive che questa proposta "è perfettamente in grado di rispondere all'iniziativa referendaria sia in termini tecnici perchè elimina il premio di maggioranza (annulla il primo dei tre quesiti ndr) che politici (favorisce il bipolarismo). Per Vassallo il sistema studiato è un "buon punto di equilibrio anche per i partiti minori".

(11 novembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #61 inserito:: Novembre 14, 2007, 11:52:40 pm »

Federalismo: così no

Agazio Loiero


Caro Presidente Prodi,

se mai il disegno di legge delega sul federalismo fiscale passasse così com’è, equivoco e insufficiente, avremmo una «costituzionalizzazione» delle disparità storiche esistenti nel Paese. Con un loro aggravamento nelle regioni del Mezzogiorno. Il tema del legame necessario tra federalismo e riduzione del divario economico, infatti, è assente.

E col meccanismo previsto dal disegno di legge delega, è utile dirlo senza infingimenti, si è ben lontani dall’assicurare quella perequazione della capacità fiscale prevista dall’art. 119 della Costituzione necessaria per garantire uno standard di prestazioni da erogare anche per le funzioni non ritenute essenziali, dall’ambiente, al turismo, al commercio. La Calabria ne uscirebbe con le ossa rotte. Al danno di un ritardo strutturale e storico, si aggiungerebbe la beffa di una ulteriore, netta e forte riduzione dell’ammontare di risorse già scarse che, con i trasferimenti attuali, le regioni più povere hanno a disposizione per finanziare tali servizi.

Ci sono fondati motivi di preoccupazione, dunque. Il disegno di legge delega sul federalismo fiscale, in alcuni suoi aspetti, non rispetta né la lettera, né lo spirito della Costituzione. Vediamo perché e dove. Nei settori della sanità e dell’assistenza, comparti di spesa a forte impatto sociale, e in quello dei trasporti pubblici locali, le Regioni hanno l’obbligo di performance migliori, ma almeno avranno il paracadute di quel fondo perequativo «verticale» (risorse tributarie che lo Stato ripartisce sulla base di parametri prefissati) per garantire un’omogeneità nella distribuzione territoriale dei fabbisogni standard pro-capite. Fin qui va bene.

E sul resto? Che accadrà per le funzioni non ritenute essenziali? Sono beni e servizi, si è ritenuto, per i quali non esistono le preoccupazioni di ordine politico e sociale di dover garantire una omogeneità nella distribuzione territoriale; le scelte sui livelli di erogazione e sulle modalità del reperimento delle risorse necessarie sono, pertanto, affidate alla responsabilità e all’autonomia regionale. Il totale dei trasferimenti, che oggi finanziano questi servizi, verrà soppresso e sostituito con entrate proprie delle Regioni, con un aumento di addizionale IRPEF e con un Fondo perequativo. A un’analisi da noi effettuata, però, è risultato evidente che gli effetti determinati dall’applicazione dei meccanismi ipotizzati per il finanziamento di tali funzioni e dall’attuazione della perequazione, provocheranno una diversa redistribuzione interregionale della spesa rispetto a quella attuale e, in particolare, una riduzione di trasferimenti per quelle regioni (non solo quelle del Sud) di piccole dimensioni demografiche e con redditi medi più bassi. Simmetricamente, all’opposto, un aumento di trasferimenti si avrà a favore di altre regioni. Un bel risultato, davvero! La nostra preoccupazione è che questi effetti siano ottenuti senza operare a monte un esame e una valutazione delle motivazioni (economiche o storiche) che hanno determinato negli anni precedenti quei livelli di spesa. Con il che, si badi bene, non intendiamo proporre di salvaguardare il criterio della spesa storica, convenendo anzi sulla opportunità di una sua graduale eliminazione.

Siamo più che convinti, lo ripetiamo, che le regole del federalismo fiscale costituiscono la chiave di volta per una compiuta attuazione del modello istituzionale delineato dal nuovo Titolo V della Costituzione.

Era proprio questa una delle motivazioni che ha convinto anche le regioni e gli enti locali delle aree in ritardo di sviluppo a sostenere la necessità della sua attuazione: avrebbe permesso, insomma, la costruzione di un modello di federalismo, basato sui principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, capace di bilanciare l’esigenza di maggiore autonomia politica delle istituzioni con quella di assicurare la continuità di politiche e interventi nelle aree depresse o in ritardo di sviluppo presenti nel territorio nazionale. Così, sinceramente, non è. Bisogna quindi andare oltre l’impostazione del disegno di legge presentato dal Governo, per ricercare maggiori tutele di unità e coesione.

Il discorso tecnico è complicato e non è questa la sede per svilupparlo. Sintetizzando al massimo i risultati di uno studio che i nostri tecnici stanno svolgendo insieme alla Svimez, possiamo fare però alcune considerazioni sulle conseguenze quanto meno paradossali del meccanismo individuato per il finanziamento di queste funzioni. Accadrà, infatti, che le regioni grandi e ricche avranno di più, mentre le regioni piccole e quelle del Sud avranno di meno di quanto ottengono oggi con il sistema dei trasferimenti. Per quanto riguarda la Calabria, si determinerebbe una situazione devastante: la regione avrebbe la perdita una riduzione di risorse molto forte rispetto ai valori vigenti.

Più in generale, secondo le simulazioni operate da noi e dalla Svimez, sul valore assoluto dei trasferimenti da sopprimere circa un quarto cambierebbe la sua destinazione territoriale, favorendo le regioni più ricche. La regione più penalizzata per la riduzione della composizione percentuale dei trasferimenti risulta ancora la Calabria che passa da un valore del 10,5% di tutti i trasferimenti vigenti a un valore del 3,9 % dopo l’applicazione del meccanismo inserito nel disegno di legge delega. Gli incrementi delle ineguaglianze tra le regioni, infine, possono inoltre essere crescenti nel tempo.

Se questo è federalismo solidale...

Pubblicato il: 14.11.07
Modificato il: 14.11.07 alle ore 9.10   
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« Risposta #62 inserito:: Novembre 15, 2007, 09:15:21 am »

Politica 

Prodi sereno, Veltroni prosegue incontri su legge elettorale


Il presidente del Consiglio Romano Prodi segue da Alghero - dove si trova per incontrare il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika - l'evolversi della situazione a Roma, a Palazzo Madama. E con lui il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, la collega Emma Bonino e quello dello Sviluppo Pierluigi Bersani. Il trio ministeriale è sereno. Bersani si lascia andare a metafore poetiche - «il vento è calato» - e D'Alema gli va dietro scrutando l'orizzonte in cui non vede stagliarsi nessuna urna o inventando richiami di tipo favolistico. Il vicepremier nella sua trasferta in Sardegna per primo vertice annuale italo-algerino vede Berlusconi -«che è un uomo intelligente» - come il pifferaio. «Tutti lo seguite - dice ai giornalisti al seguito -e lui riesce a dare il tono alla politica italiana, a mantenere questa situazione artificiosa di precarietà, creando un danno. È questo il modo in cui lui tiene in pugno la sua coalizione: dicendo a tutti che domani ci saranno le elezioni, ma io non vedo elezioni all'orizzonte».

Bersani difende a distanza la manovra in votazione al Senato: «Abbiamo presentato una manovra con delle norme notevoli dal punto di vista delle prime misure sociali ma anche per le imprese. Nella manovra vi è una operazione fiscale di grandissimo rilievo per il sistema delle imprese e benefici per le famiglie più povere, così come quelle pensioni che per i giovani cominceranno ad essere realtà». E poi aggiunge, sempre in polemica con il centrodestra: «Tornare allo scalone di Maroni, fare marcia indietro sull'energia, non fare la riforma fiscale per le imprese sono scelte credibili? Chi ha qualche dubbio lo risolverà pensando che non è possibile. È questo che ci porterà ad un esito positivo».

A Roma vento in effetti non ce n'è ma il tempo è comunque brutto. E partecipando alla trasmissione Omnibus su La7 dedicata alla Finanziaria e al voto al Senato, il senatore Willer Bordon di Unione Democratica auspica comunque che «Prodi a gennaio dia le dimissioni, presenti una nuova lista di governo, possibilmente applicando la Costituzione e cioè scegliendo lui tra i partiti e non lottizzando». Una valutazione su cui dissente il senatore Nicola Latorre che a Bordon nella stessa trasmissione obietta: «Una chiusura anticipata di questa legislatura ci lascerebbe nel pieno di una crisi irrisolta». Ragion per cui secondo l'ex diessino «Dobbiamo approvare la finanziaria e aprire una discussione seria su come si riforma il sistema politico, il sistema istituzionale, la legge elettorale del nostro Paese. C'è una questione che riguarda l'assetto del sistema politico e istituzionale».

Nel pomeriggio del resto si riunisce a Roma l'esecutivo del Partito democratico con Walter Veltroni e proseguono i contatti con i partiti - i prossimi sentiti sono i Verdi e l'Italia dei Valori - sulla proposta lanciata la scorsa settimana dallo stesso segretario del Pd su una riforma elettorale su modello tedesco originario, quello del 1949- cioè proporzionale con una soglia di sbarramento non imposta su base nazionale ma che scaturisce come risultante dalla dimensione relativamente piccola dei collegi - un sistema concepito senza premio di maggioranza o, come si dice, "alla spagnola".

La proposta sulla cui bontà si è convinto Veltroni è stata partorita da alcuni esperti: il politologo Salvatore Vassallo, il costituzionalista Stefano Ceccanti e da Alessandro Chiaramante, giovane professore associato della facoltà di Scienze politiche "Cesare Alfieri" di Firenze. È riassunta in un documento di sei paginette a firma Vassallo. E si vorrebbe portarla in Parlamento già a gennaio.


Uno dei punti di forza della proposta Vassallo è che può essere approvata senza modifiche costituzionali perché non tocca il bicameralismo attuale. E è però facilmente applicabile anche nel caso dovessero passare quelle modifiche costituzionali attualmente in discussione a Montecitorio: riduzione dei deputati a 500, Senato federale, una sola camera legata dal vincolo della fiducia al governo.

Per il resto si tratta di un sistema misto, a prevalenza proporzionale, abbastanza semplice per l'elettore, con collegi uninominali con recuperi in una lista proporzionale di pochi nomi - visibili sulla scheda e alternati uomo-donna- e regole ferree per la suddivisione dei seggi.


Pubblicato il: 14.11.07
Modificato il: 14.11.07 alle ore 12.51   
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« Risposta #63 inserito:: Novembre 16, 2007, 12:05:51 pm »

POLITICA

Finanziaria approvata dopo tre mesi di pronostici sulla tenuta del governo

Il leader di Fi è il grande sconfitto: "Prodi cadrà, gli elettori non aspettano altro"

La crisi, la spallata, l'implosione le profezie fallite del vate Silvio

di ALESSANDRA VITALI

 

BRUTTA cosa trascorrere l'autunno sulla riva del fiume e scoprire che il moribondo s'è riavuto e il cadavere non passerà. La profezia di Berlusconi è fallita. Quella sulla durata dell'esecutivo in cui si è esercitato a lungo. Sempre più elastico, seguendo il ritmo di rotture e ricuciture, temporali e schiarite nella maggioranza. Fino al low profile di "non cadrà necessariamente in questi giorni ma non possono durare a lungo". Ieri, a Palazzo Madama, la Finanziaria è passata. Aveva ragione, il Cavaliere, "wait and see": bastava aspettare, vedere quel che sarebbe accaduto. Solo che non si è visto quello che lui prevedeva. Un'attesa lunga, la sua, animata da una girandola di previsioni. Dalla certezza della crisi ai più dignitosi esercizi di cautela: "La maggioranza potrebbe venir meno, a breve".

Era il 6 settembre. Due giorni dopo il "patto di Gemonio" sulla legge elettorale. Già lì, Silvio aveva assicurato: "Prodi cadrà". Il 6, al Giornale della Libertà di Michela Brambilla, regala la prima illuminazione: una Finanziaria incentrata sull'aumento fiscale farà cadere "presto" il governo. Dimentico del precetto manzoniano secondo il quale è meglio agitarsi nel dubbio che riposare nell'errore, dichiara: "Non ho dubbi, prevarranno i diktat dell'estrema sinistra, un altro aumento della pressione fiscale farà traboccare il vaso e lasceranno definitivamente Palazzo Chigi. Gli elettori non aspettano altro".

Passano i giorni. Berlusconi delinea la sua strategia. La campagna acquisti nel "bacino di orfani" del Pd, nuovi ostacoli sulla strada della maggioranza in Senato, la ricucitura con gli alleati, Udc in testa. Strappo di Dini dal Pd, per Silvio è una svolta. A chi gli ricorda che Dini non avrebbe fatto precipitare il governo senza garanzie sul dopo-Prodi (magari pretendendo un governo istituzionale), risponde ottimista: "La maggioranza imploderà lo stesso, presto". Guarda con appetito ai parlamentari che rischiano di restare fuori dalla fusione Ds-Margherita. E' il 21 settembre.

Due settimane dopo, ribadisce il concetto. La crisi è "molto probabile", dice a La Stampa. Ai suoi rivela: l'ultimo atto del governo verrà consumato "durante la Finanziaria". Pensa, ovviamente, ai numeri risicati del Senato. Crisi entro gennaio, quindi. Perché "ne sono convinti gli italiani", la maggioranza "non può continuare a governare se ad apprezzare il governo sono meno di due italiani su dieci". E' il 4 ottobre, il giorno del "Wait and see". Aspettiamo e vediamo. La spallata è vicina - spiega - è scontato che un tot di senatori della maggioranza si opererà per far cadere il governo. Sarà "uno smottamento" della maggioranza.

Berlusconi aspetta lo smottamento lavorando ad allargare la Cdl. Il vantaggio per il centrodestra - dice - è di oltre 15 punti percentuali. Assicura che, anche votando con questa legge elettorale, non ci sarebbero problemi ad avere la maggioranza sia al Senato che alla Camera. Senza posa il lavoro di riavvicinamento a Casini. Ma Udc e Lega preparano un piano di riserva. Come a dire: va bene, Prodi cadrà, ma se si votasse nel 2009 "non si può stare 18 mesi ad aspettare - dice Maroni - meglio andare avanti con le riforme". Detto, fatto: alla Camera, in commissione Affari costituzionali, Lega e Udc votano con la maggioranza e isolano Fi.

Metà ottobre, campagna acquisti. Circolano i nomi, certi veri e certi no. "El senador" Luigi Pallaro incontra Berlusconi (ma giura lealtà a Prodi) poi riferisce: "E' convinto che cadrà, gli ho risposto che anche la coda del cane si muove sempre ma non cade". Silvio però non ha dubbi: sull'inevitabilità della crisi e sull'impossibilità di evitare il voto anticipato con un governo istituzionale. Ma è meglio limitare i rischi. E allarga le trattative a tutti i possibili interessati a un cambio di governo. Un dubbio, finalmente: sui tempi dell'imboscata. Prima o dopo la Finanziaria? Gli piace di più la prima ipotesi. Dentro Fi si sussurra che l'esercizio provvisorio è possibile, anzi auspicabile. Un parlamentare vicino al Cavaliere: "Di qui a tre settimane, sarà tutto finito".

Clemente Mastella dice "meglio votare in primavera", la maggioranza fibrilla, Berlusconi va al compleanno della portavoce di Maroni, Isabella Votino. E' il 20 ottobre, repetita iuvant: "Prodi cadrà sulla Finanziaria". Alla festa, canta accompagnato dal fido Apicella. Incontra Vespa: "Credimi, Bruno, da tempo non vedevo tanta condivisione intorno a me". Si assicura un'ospitata a Porta a porta per riproporre il numero del contratto con gli italiani, "magari lo chiamo in un altro modo ma è qualcosa di simile". Insomma, "non ho dubbi", "sono tantissimi al Senato certi di non essere più rieletti".

Ventisei ottobre, giorno della fiducia. Nei confronti dei "galantuomini di centrosinistra che non possono votare una Finanziaria criticata da Fmi e Bankitalia". Quindi, "cadrà il governo e noi andremo dal capo dello Stato". Spiega: "E' una Finanziaria con i condizionamenti dell'estrema sinistra, sapevamo che ci sarebbero state reazioni come quelle che hanno messo sotto il governo sette volte. Ci aspettiamo il ritorno alle urne".

Fine ottobre, inizio novembre, la fase della "spallata". Il Cavaliere smentisce di aver pronunciato quel termine, "non mi appartiene". Poi, i tempi impongono una variazione lessicale. E' tempo di cautela, arriva l'"implosione". "Resto convinto che la crisi sia vicina - dice il 3 novembre - non ho fatto date né parlato di spallate ma credo che imploderanno".

Passano i giorni, la Finanziaria si avvicina. Silvio è rimasto uno dei pochi nel centrodestra a mantenere la granitica certezza che il governo non supererà la prova. Gli alleati - e molti parlamentari azzurri - hanno chiaro che la crisi non è più dietro l'angolo. Cdl scettica, ma sincera con garanzia di anonimato: "Ormai ci crede solo il Cavaliere", dice un deputato forzista. Ci si interroga sul perché il Cavaliere si sia così sbilanciato. Fini gli dà fiducia: "Aspettiamo il 15, poi vedremo". E la Lega: "Se Prodi sarà ancora in piedi il 15 novembre, ci porremo delle domande".

Tre giorni fa, l'ultima battuta. "Non ho mai detto che c'era una data - dice Silvio - può essere in qualsiasi momento. In diversi senatori ho visto stati d'animo e giudizi che non consentono di approvare la Finanziaria". Se invede dovessero votarla? "Si smentiscono. Lo fanno per ragioni che non corrispondono al loro convincimento".

E ora? C'è da chiedersi che ne sarà della leadership di Berlusconi che per tre mesi ha ingessato gli alleati puntando tutto sul bingo "Prodi cade". Missione fallita, tutto da rifare. Sempre che Fini e Casini vogliano ancora stare al gioco. Sempre che il Cavaliere riesca a mettere in piedi un'altra strategia, tanto efficace da cementare il centrodestra a ripartire dai prossimi mesi. Wait and see.

(15 novembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #64 inserito:: Novembre 18, 2007, 06:51:15 pm »

Turco: «Facciamo cose concrete il Paese se ne sta accorgendo»

Ninni Andriolo


«Un successo del governo indubbiamente, ma il sì del Senato alla Finanziaria rappresenta anche una vittoria della maggioranza e del dialogo parlamentare». Quindici giorni «inchiodata» agli scranni riservati all’esecutivo, mentre in Aula scorreva il dibattito su articoli ed emendamenti. «Ho portato con me il lavoro del ministero - ricorda Livia Turco - Da quella postazione mi sono mossa solo per qualche attimo». Sabato mattina. Il dibattito sulla sicurezza alimentare con gli studenti di un’istituto agrario si è appena concluso. Il ministro monta in macchina e riflette con l’Unità sul dopo Finanziaria.

«Il dibattito parlamentare ha arricchito la proposta del governo e ha dimostrato una coesione straordinaria della maggioranza. Dal punto di vista del clima e dei rapporti umani prima di tutto. L’impostazione della Finanziaria è coerente con gli interessi del Paese. Le missioni quest’anno erano evidenti: risanamento e, insieme, crescita, sviluppo del Mezzogiorno, politiche redistributive, equità».

Soddisfatta degli stanziamenti per la sanità?

«Voglio ringraziare le senatrici e i senatori. La parte relativa alla sanità è stata addirittura arricchita. Non solo per l’eliminazione del ticket. Devo ricordare che sono stati trovati 834 milioni in più per i livelli essenziali di assistenza e 180 per i danneggiati da emotrasfusioni. La legge di Bilancio contiene, inoltre, le risorse per l’importante riforma varata dal governo per “la qualità e la sicurezza del servizio sanitario nazionale”»

Un grazie anche alla Cdl, quindi?

«Sicuramente. La Finanziaria è stata arricchita anche dal dialogo con l’opposizione. In verità, abbiamo visto tante opposizioni. Quella urlante che faceva leva su ogni espediente per dare “la spallata”. E quella che ha presentato emendamenti, ha ottenuto risultati, ha dialogato con la maggioranza».

Maggioranza che sconta la presa di distanze dei centristi...

«Io ho apprezzato il contributo di responsabilità dato al dibattito dalle cosiddette componenti di sinistra. Che sono state leali e hanno contribuito a migliorare la proposta. Anche la componente diniana ha avuto, però, un ruolo importante. Ha rappresentato un momento alto, ad esempio, l’intervento con il quale il senatore D’Amico ha motivato la riformulazione dell’emendamento sull’assorbimento del precariato nella Pubblica amministrazione. Si è visto in concreto quanto sia utile il dialogo tra riformismi».

L’impegno dei diniani per migliorare la Finanziaria contraddice il giudizio finale di Dini sul testo. Non crede?

«Sì, io ho avvertito come contraddittorio quel giudizio. Poco comprensibile rispetto all’impegno di merito profuso dai diniani, e non solo sui precari. I senatori Manzione e Bordon, ad esempio, sono stati protagonisti di un confronto vivace e costruttivo. Rispetto alla qualità di quei contributi ho trovato francamente incomprensibili le dichiarazioni finali di voto».

Dini e Bordon, in realtà, hanno criticato aspramente il governo...

«Anche questo è abbastanza incomprensibile. Il voto sulla Finanziaria è avvenuto nello stesso momento in cui il presidente del Senato informava del successo ottenuto dall’Italia all’Onu a proposito della moratoria sulla pena di morte. Quando un governo riesce a farsi rispettare nelle sedi internazionali significa che è autorevole».

Dini ha voluto sancire un divorzio senza ripensamenti dalla maggioranza?

«Io non ho interpretato le sue dichiarazioni come una volontà di rottura con il centrosinistra. Le ho intese, semmai, come una sfida affinché l’Unione non sia solo maggioranza numerica ma anche politica. Perché assuma, cioè, un profilo sempre più riformatore e di innovazione».

Sul welfare non sarà facile mediare tra Dini e il Prc. Come se ne esce?

«Come sempre in politica, come per la Finanziaria. Il merito deve valere per tutti. Per Dini, che deve riconoscere che quel protocollo conferma e migliora la riforma di cui egli stesso è stato protagonista. E per la sinistra radicale. Quella riforma può essere migliorata, ma attenzione a non far sì che la pagliuzza faccia perdere di vista l’albero: l’archiviazione dello scalone pensionistico e, insieme, un indirizzo netto - certo non risolutivo - nei confronti del superamento del precariato, di nuove tutele per il lavoro e di una maggiore equità».

Lei vede all’orizzonte un rimpasto di governo?

«Da ministro penso che non sia giusto partecipare al dibattito se sia utile cambiare o meno la squadra. Questa prerogativa spetta al Presidente del Consiglio e alle forze politiche. Chi è parte del governo non può che dire con schiettezza che il suo mandato è a disposizione».

D’accordo con Prodi: la squadra di governo oggi lavora meglio?

«C’è un cambiamento significativo di clima dentro il governo. Prima prevaleva la logica della visibilità individuale e di componente, adesso si registra maggiore spirito di squadra».

Cos’è cambiato, ministro?

«Penso che si stia raccogliendo qualcosa che c’è nel profondo del Paese. Non è un caso che componenti significative dell’opposizione dicano basta alla logica delle spallate e delle prove muscolari. La spinta al dialogo sulle riforme registra un sentimento nuovo che circola nella società. Lo stesso che ci chiede di risolvere i problemi con una politica pacata. Avverto da ambienti diversi questa spinta. Mi è capitato di dire, alla luce dell’esperienza diretta che ho, “ma quanta gente prega perché questo governo ce la faccia?”».

I sondaggi di Berlusconi dicono cose opposte...

«Per carità, non voglio certo dire che non ci sia un dato di sfiducia nel Paese. Quei sondaggi, però, sono anche il frutto di un tam-tam continuo. Quando la gente si sente dire che il governo è sempre sull’orlo del precipizio si fa un’opinione sbagliata. I fatti, però, sono più forti di qualunque propaganda, anche della più martellante studiata a tavolino da Berlusconi»

E la gente quali fatti vede?

«Dall’aumento delle pensioni minime, agli sgravi sull’Ici, alla lotta all’evasione, ad altri miglioramenti concreti. La gente sta cominciando a rendersi conto che il governo, alla fine, le cose le fa. E i cittadini riflettono. Ecco, quando si dice ”cambiamento di fase” si dice qualcosa che corrisponde al sentire profondo di un Paese che vuole concordia anche sulle riforme. Per questo è necessaria, come ripete Giorgio Napolitano, una nuova stagione di dialogo e di confronto tra maggioranza e opposizione. Anche tra i parlamentari di Forza Italia avverto la spinta per un cambiamento di registro. C’è preoccupazione per un discredito generalizzato della politica che può travolgere tutti»

E quanto incide la nascita del Pd sul “nuovo clima” che si registra nel governo?

«Si è verificato ciò che non poteva che esserci: un leale sostegno del segretario del Pd al governo. L’Assemblea di Milano, poi, ha dimostrato che il Presidente del Consiglio ha un ruolo decisivo nella nascita del Partito democratico. In quella sede Prodi ha potuto rivendicare la robustezza dell’azione di governo, coerente con il programma e le ragioni per cui è nato il Pd. C’è stata, poi, un’iniziativa importante di Veltroni per il rilancio di un dialogo a tutto campo sulle riforme, a partire da quella elettorale. Il progetto del Pd, infine, ha rimesso in moto un processo innovativo a sinistra, ma anche nel centrodestra»

Lei è stata eletta tra i costituenti Pd nelle liste “a sinistra per Veltroni”. Soddisfatta del risultato?

«Molto, ma avrei voluto ascoltare qualche parola di apprezzamento in più per il successo delle liste “a sinistra”. Dimostra che un processo di innovazione non può significare sradicamento dalle culture politiche»

Il dibattito è aperto: tessere o partito “liquido”?

«Nella società di oggi le forme di partecipazione politica hanno diverse gradazioni ed è giusto che un partito che voglia essere popolare riesca a dare piena legittimità a modalità diverse di impegno. Ma siamo il Pd e la democrazia si rinvigorisce facendo in modo che i cittadini partecipino non solo esprimendo la loro opinione, ma anche iscrivendosi e militando concretamente per promuovere cittadinanza. Anche per questo il Pd deve radicarsi nel territorio. Citando Amartya Sen, la democrazia è basata sulle regole, ma anche sulla discussione. E questa implica luoghi dove ritrovarsi, dibattere, stare insieme».


Pubblicato il: 18.11.07
Modificato il: 18.11.07 alle ore 15.22   
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« Risposta #65 inserito:: Novembre 22, 2007, 03:13:48 pm »

Berlusconi? «Sì, è stato geniale. è riuscito a riattrarre a sè Casini...»

«Dobbiamo evitare il rischio inciucio»

Così si sarebbe espresso il premier Prodi durante una cena con le senatrici dell'Unione a Palazzo Chigi

 
ROMA - «Dobbiamo evitare il rischio inciucio». A cena con le senatrici dell'Unione, Romano Prodi avrebbe fatto dichiarazioni di questo genere. «Siamo determinati ad andare avanti - avrebbe detto ancora il presidente del Consiglio secondo quanto riferito dalle senatrici - perchè squadra che vince non si cambia». Prodi è stato, a giudizio delle senatrici, «un'ospite squisito». Il presidente del Consiglio ha mostrato loro le stanze di Palazzo Chigi e l'appartamento presidenziale, compreso il tapis roulant che il premier utilizza per allenarsi. «Sono un atleta, molto resistente - avrebbe detto di sè il presidente del Consiglio - non mi ammalo mai». Il premier ha ringraziato le senatrici della sua colazione per la resistenza mostrata durante le votazioni sulla Finanziaria. Il presidente del Consiglio - sempre secondo quanto riferito - avrebbe giudicato importante l'intesa con la Germania per quanto riguarda la politica estera. A tutte le senatrici Prodi ha regalato una confezione di datteri algerini.

BERLUSCONI «GENIALE» - Sembra che durante la cena alcune delle senatrici presenti avrebbero anche fatto delle battute sulle ultime mosse di Silvio Berlusconi. «La mossa per uscire dall'angolo è stata geniale...». Un giudizio buttato lì sugli ultimi avvenimenti politici in casa Cdl, condiviso, sembrerebbe, anche dal premier. «Sì, è stato geniale - avrebbe replicato Prodi - è riuscito a riattrarre a sè Casini...».

I «SOSPETTI» DI MASTELLA - A proposito del confronto tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi, intanto, il ministro della Giustizia Clemente Mastella dichiara che «c`è il sospetto che dietro le offerte di dialogo ci sia la voglia di arrivare al referendum». Secondo il Guardasigilli, «Berlusconi ha perso con il centro sinistra per il fallimento della spallata ma ha vinto nel suo schieramento». Mastella non è contrario ad una legge proporzionale con sbarramento, ma insiste sulla necessità di procedere prima ad alcune riforme istituzionali. Il governo Prodi secondo il ministro, dovrebbe proseguire e «Berlusconi dovrebbe avere la generosità di accettare il dialogo offerto dall`opposizione. Poi, nel 2009, vicino alla scadenza per le elezioni europee, fatto un accordo si potrebbe interrompere la legislatura».

da corriere.it
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« Risposta #66 inserito:: Novembre 30, 2007, 06:22:53 pm »

A Nizza 26esimo vertice italo-francese. Soddisfatto il premier: "E' andata molto bene"

Accordo Enel-Edf. Il capo dell'Eliseo: "Risolto contenzioso che avvelenava rapporti"

Nizza, Prodi-Sarkozy sorrisi e strette di mano

E un cittadino: "Bravo Romano, resisti"

Il gruppo elettrico italiano parteciperà con il 12,5% al primo impianto nucleare Epr

Piena sintonia anche su Afghanistan e Kosovo. E alle Olimpiadi consolato congiunto

 
NIZZA - Grandi sorrisi e strette di mano questa mattina a Nizza, al Palais des Rois Sardes, dove si è svolto il 26esimo vertice italo-francese. Firmate una serie di dichiarazioni congiunte: su sicurezza e difesa, immigrazione ed energia. Sottoscritto un importante accordo tra Edf ed Enel. Tra i temi affrontati anche l'Afghanistan, il Kosovo, e l'annuncio di un consolato comune alle Olimpiadi. Al termine un cittadino di Nizza incita il premier italiano.

Soddisfatti. A Nizza è stata sottoscritta una "pace energetica" che "è estremamente importante" per i rapporti tra Roma e Parigi e per garantire gli approvvigionamenti di elettricità all'Italia. A sottolineare il valore, anche politico dell'accordo tra Enel ed Edf sono stati Romano Prodi Nicolas Sarkozy durante la conferenza stampa conclusiva del vertice italo-francese. Con l'accordo, ha detto l'inquilino dell'Eliseo, è stato "risolto un contenzioso che avvelenava i rapporti tra i due Paesi e ne sono lietissimo".

"E' andata molto bene. C'è stato spirito di collaborazione straordinario, al di là delle previsioni", ha detto soddisfatto Romano Prodi. "Esprimo agli italiani amicizia sincera e la volontà di andare avanti assieme mano nella mano", ha aggiunto Nicolas Sarkozy che ha salutato positivamente gli accordi raggiunti tra Italia e Francia. L'inquilino dell'Eliseo ha anche riferito ai giornalisti che il summit ha portato alla luce "identità di punti di vista" sui temi del Mediterraneo.

Tra i rispettivi ministri degli Esteri D'Alema e Kouchner, ha riferito ancora Sarkozy, si è riscontrata una convergenza su vari scenari: dal Ciad al Kosovo, dall'Afghanistan fino al Libano. "Andiamo avanti con decisione ed amicizia", ha detto Romano Prodi.

L'accordo Enel-Edf. In particolare per quanto riguarda l'accordo Enel-Edf, il gruppo elettrico italiano parteciperà con una quota del 12,5% al primo impianto nucleare di nuova generazione Epr, con una opzione per i successivi cinque, acquisendo un prezioso know how e l'accesso alla capacità nucleare francese per quantità crescenti da 600 MW nel 2008 fino a 1.200 MW nel 2012. L'Italia potrà contare così su un aumento della propria capacità di importazione di elettricità dalla Francia con, in prospettiva, la possibilità anche di qualche risparmio sulla bolletta elettrica nazionale.

Bersani. "Gli accordi sull'energia e l'elettricità che sono stati raggiunti oggi arrivano dopo una fase problematica", ha detto il ministro delle Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, giudicando "positivamente il vertice italo-francese". Di Sarkozy, Bersani ha sottolineato "la grande energia e determinazione. E' un personaggio volitivo - ha affermato - e l'incontro fra le due persone Prodi e Sarkozy è stato positivo".

Afghanistan. E' piena sintonia anche sulla necessità di "continuare a lavorare in direzione di una proposta politica per preparare un futuro più chiaro che porti una soluzione" in Afghanistan. Un percorso, questo, ha tenuto a sottolineare Prodi, che "non ha nulla a che fare con l'idea della fine della nostra presenza in Afghanistan".

Kosovo. Al summit si è parlato anche di Kosovo. Sarkozy ha evidenziato l'importanza del negoziato compiuto e Romano Prodi ha sottolineato che si tratta di una "grande prova" per l'Europa. "Siamo favorevoli all'indipendenza del Kosovo", ha detto il presidente francese, "vogliamo che si faccia al momento giusto cioè quando nessuno si sentirà umiliato. Noi vogliamo la pace tra serbi e albanesi e non che i nostri uomini si trovino in mezzo a una situazione giuridica inesplicabile".

Per questo Sarkozy ha sottolineato che "se occorrerà ancora qualche settimana per arrivare a questo risultato è preferibile al fatto di considerare la mezzanotte del 10 dicembre come il momento in cui tutto si dovrà fermare".

"Per preparare l'indipendenza del Kosovo occorre prendere il tempo che sarà necessario: si tratta di una responsabilità europea"che sarà necessario: si tratta di una responsabilità europea ha aggiunto l'inquilino dell'Eliseo, "lancio un appello a che ognuno si assuma le proprie responsabilità".

Consolato congiunto alle Olimpiadi. Un esempio della rinnovata cooperazione tra Roma e Parigi si avrà in occasione delle Olimpiadi del 2008 a Pechino dove, ha annunciato Prodi, Italia e Francia avranno un consolato congiunto. Un esperimento per testare una procedura congiunta di rilascio dei visti in alcuni Paesi e di uffici consolari unici in quelle nazioni in cui Roma o Parigi non hanno rappresentanza.

"Bravo Romano". Scattata l'ultima fotografia di gruppo, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha invitato il presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi a seguirlo in un bagno di folla. Sarkozy e Prodi sono andati a stringere la mano e a salutare i numerosi nizzardi che li stavano aspettando. Si è sentita anche la voce di un italiano che, rivolto a Prodi, ha detto: "Bravo Romano, resisti, resisti, resisti".

(30 novembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #67 inserito:: Dicembre 05, 2007, 11:00:43 pm »

Politica   

«Si affossa un governo riformista e di sinistra»

Andrea Carugati


Onorevole Soro, lei ha definito le critiche del presidente Bertinotti al governo «ingenerose». Perché?
«Non condivido il giudizio liquidatorio dell’esperienza del governo e della coalizione. Nelle condizioni date, e visti i numeri del Senato, questo governo merita un apprezzamento convinto. Ogni volta che il centrosinistra governa viene preso dall’angoscia di non fare abbastanza. Poi, a posteriori, ci si accorge che le riforme fatte sono fondamentali».

Dopo la fiducia sul welfare si è rotto qualcosa tra Prc e governo...
«Quel protocollo è uno straordinario momento riformatore. E la nuova stagione di concertazione inaugurata da Prodi è uno dei principali risultati raggiunti dal governo. Anche la finanziaria ha un’ottica riformatrice e di sinistra: sul lavoro dipendente, sulle famiglie numerose, sul clima. Si tratta di un lavoro graduale...».

Avete opinioni diverse...
«Comprendo e condivido l’insofferenza di una maggioranza che ha dovuto rinunciare agli emendamenti per effetto di un impegno preso con le parti sociali: tutte, non solo Confindustria. Anche perché quegli emendamenti erano marginali rispetto al tutto. Però il discorso si può rovesciare: la rinuncia non sconvolge il profilo di ciò che è stato approvato, che non si può liquidare come carta straccia. E tuttavia occorre ripensare le procedure di approvazione degli accordi nati dalla concertazione: perché al Parlamento non può toccare solo una ratifica acritica».

Insisto: per Rifondazione il programma è stato cestinato, Prodi ascolta solo Dini e Confindustria.
«Per molto tempo è stato detto che Prodi governava sotto dettatura della sinistra radicale. Oggi tutto si ribalta. A me sembrano due diagnosi sbagliate».

Sia voi del Pd che il Prc plaudete a una nuova legge proporzionale che consenta le mani libere. Sembra quasi il desiderio di un divorzio consensuale. È così?
«L’obiettivo è uscire da un bipolarismo in cui il programma è una cornice troppo elastica perché prevale il bisogno di stare insieme. Ma questo è ben diverso dai due forni, o dal desiderio di cancellare il centrosinistra. Il Pd avrà sempre bisogno di un’alleanza solida con una sinistra che abbia abbandonato le tentazioni massimaliste».

Una delle vulgate più diffuse sostiene che l’intervista di Bertinotti sia una sorta di ultimatum a Prodi perché rompa gli indugi sul sistema tedesco.
«Non mi permetto di fare l’esegeta del presidente della Camera. Ma Prodi non è affatto contrario al lavoro che il Pd con Veltroni sta portando avanti sulla riforma elettorale. Nessuno di noi vuole abbandonare la scelta bipolare, vogliamo una democrazia che decide, una categoria tipica della cultura prodiana. E Prodi è favorevole alle riforme esattamente come Veltroni».

Il Prc sostiene che il governo abbia scontentato proprio i suoi elettori...
«C’è una difficoltà reale dei ceti medi, del lavoro dipendente, che riguarda tutta l’Europa. Ma questi problemi non si risolvono in 18 mesi. Ci sono momenti in cui si avverte la durezza e anche la sofferenza della funzione di governo, ma l’Italia ha bisogno di un centrosinistra che sappia fare questo, invece di cavalcare gli umori della piazza. Sarebbe un errore gravissimo cedere alle tentazioni massimaliste».

A gennaio la verifica. Cosa farete?
«Condivido la necessità di riprecisare il programma. Su alcuni temi, come le liberalizzazioni, il programma resta valido e attuale. Sul tema della precarietà, invece, occorre aprire un tavolo nuovo, fare alcune cose che non abbiamo potuto inserire nel protocollo».


Pubblicato il: 05.12.07
Modificato il: 05.12.07 alle ore 8.09   
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« Risposta #68 inserito:: Dicembre 05, 2007, 11:07:47 pm »

«Così si fa un regalo al centrodestra: erano nell'angolo, ora possono contrattaccare»

L'ira di Prodi: «E' tornato lo scorpione»

Preoccupato l'entourage del premier: torna lo spettro del '98, quando Bertinotti fece cadere il governo del Prof

 
ROMA — «È tornato lo scorpione... ». Quello che nella storiella alla fine punge la rana, anche a costo di annegarci assieme, perché questa è la sua natura. Attorno a Romano Prodi l'hanno pensato in molti, ieri, e qualcuno l'ha detto a voce alta.

«È tornato lo scorpione...»: sì, Fausto il Rosso, l'uomo del '98, che fatica a stare nei panni della terza carica dello Stato, irresistibilmente attratto, come lui stesso ha confessato a Repubblica, da quel «diritto di tornare all'opposizione» che mai come ora pervade il corpaccione agitato di Rifondazione e che lui capta, asseconda, decodifica. Scosse elettriche sull'asse di quello che fu, se davvero è mai esistito, il «Prodinotti »: a Fausto che vede in Romano ciò che Flaiano disse di Cardarelli («È il più grande poeta morente...»), torna addosso come un boomerang, a distanza di qualche anno, la similitudine con lo scorpione, che sarà letteraria finché si vuole, ma è pur sempre una bella botta.

Restano i pezzi, ora, a terra. E difficilmente basterà qualche telefonata (che forse c'è anche stata) per ricomporre la coppia. Anche il comunicato serale di Palazzo Chigi, che volutamente sorvola sulle questioni personali per ribadire che «a gennaio si farà il punto (guai a chiamarla "verifica", ndr) dell'azione di governo», che «un'accelerazione è necessaria » e che comunque «l'esecutivo si muove nella direzione giusta», è poco più di un cerotto al cospetto della devastante portata delle affermazioni bertinottiane sul «fallimento del progetto», sulla «distanza del popolo di sinistra», sul fatto di sentirsi «intellettualmente già proiettato oltre l'Unione».

Non se l'aspettava, il premier, «amareggiato, arrabbiato, personalmente dispiaciuto ». L'ha vissuto come un tradimento: «Ma come? Ma Fausto si rende conto delle cose realizzate da questo governo sul fronte sociale? Certo, se uno vuole tutto e subito... Qui invece si lavora con coerenza e serietà, quante volte ne abbiamo parlato...». Pensieri sparsi, mentre attorno a lui montava il nervosismo: «Ma come fa Bertinotti a non capire che senza questo governo saremmo ancora allo scalone delle pensioni, i precari sarebbero messi ancor peggio? Insomma, su che basi afferma che il programma è carta straccia?».

Certo, verrà, dovrà venire, e possibilmente in tempi brevi, il tempo della ricostruzione. È evidente che una frattura di questo genere andrà ricomposta. Ma ora è troppo presto. Un ribollir di rabbia. Anche sul cellulare di Prodi, ieri letteralmente tempestato di sms di questo tenore: «Te l'avevamo detto di non fidarti: quello non cambierà mai»; «Resisti, non cedere, non facciamo altri regali al Cavaliere ». Già, il Cavaliere: altra cosa che ha mandato in bestia il Professore e compagnia. Non tanto l'apertura di credito fatta da Bertinotti sulla riforma elettorale, quella era messa in conto, quanto l'assist offerto graziosamente al centrodestra: «Erano all'angolo, spaccati e incerti sul da farsi: e noi gli offriamo su un piatto d'argento la possibilità di passare al contrattacco, roba da pazzi...».

Non è stato soltanto un martedì da cancellare. È un martedì che chiude una stagione, una fase: «Andiamo avanti — è il ritornello che rimbalza da Palazzo Chigi — ma qualcosa si è definitivamente rotto, Fausto ha un altro progetto... ».

Francesco Alberti
05 dicembre 2007


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« Risposta #69 inserito:: Dicembre 07, 2007, 06:33:42 pm »


Il ministro della Giustizia contro il Prc

Mastella minaccia la crisi di governo Ferrero: ''La norma non si tocca''

Dopo il voto di ieri in Senato sulla sicurezza, il Guardasigilli attacca l'emendamento anti-omofobia di Rifondazione comunista: ''Bertinotti dica se è disponibile a modifiche oppure no.

Se non cambiano dichiaro la chiusura dell'esperienza di questo esecutivo''.

Il ministro della Solidarietà sociale: ''Si ricreda, la norma è corretta''.

Di Pietro: ''La maggioranza non c'è più''


Roma, 7 dic. - (Adnkronos/Ign) - Dopo il voto di ieri in Senato sulla sicurezza, il ministro Antonio Di Pietro spara a zero contro la maggioranza e il Guardasigilli Mastella minaccia la crisi di governo per la norma anti-omofobia inserita da Rifondazione comunista nel maxi emendamento passato ieri a Palazzo Madama.

"Piaccia o non piaccia, dopo il voto di fiducia di ieri in Senato, la maggioranza politica non c'è più e di questo va preso atto. Per questo noi dell'Italia dei Valori chiediamo non solo una verifica politica ma che si avvii un nuovo processo costituente affinché la prossima coalizione sia una coalizione del fare sullo stesso programma e non della logica dello stare insieme solo contro qualcuno. Non se ne può più di litigiosità. Meglio scomporre e ricomporre i poli in modo più omogeneo" afferma Di Pietro.

A mettere in fibrillazione la maggioranza è poi l'emendamento al dl sicurezza inserito da Rifondazione comunista, che ha scatenato i 'teodem' del Pd, provocando il voto contrario della Binetti. Ma ora interviene anche il ministro della Giustizia Clemente Mastella: ''Se Rifondazione dice che questo aspetto non si tocca, per l'Udeur è crisi di governo, togliamo la fiducia al governo e l'esperienza politica finisce qui". Il Guardasigilli, parlando a Bruxelles, ha spiegato che queste dichiarazioni sono legate alle notizie che gli giungono da Roma, ricordando che "ieri sera vi era stato l'impegno a modificare quel tipo di inserzione che per noi era una forzatura". Se Rifondazione non rispetta questo impegno, ha avvertito Mastella, "l'Udeur apre la crisi e non c'è neanche la possibilità di verifica" perché "se sono queste le condizioni, non ci sono più condizioni e tolgo la collaborazione con il Prc". Per il Guardasigilli il segretario del Prc o il presidente della Camera dichiarino se sono disponibili a modificare o meno la loro posizione riguardo all'emendamento o "se non cambiano dichiaro la chiusura dell'esperienza del governo".

Mastella ha poi spiegato che eventualmente l'Udeur rimarrà formalmente al governo fino alla fine dell'anno "solo per votare la Finanziaria ed evitare l'esercizio provvisorio". Il ministro della Giustizia, riferendosi al Prc e ad altre parti della sinistra, ha dunque osservato che "hanno fatto i furbi con una logica tipicamente comunista di doppiezza togliattiana che conosco da tempo".

"Spero che si possa ricredere e ravvedere, perché la norma fatta è assolutamente corretta e non ha nulla a che vedere con i reati di opinione", replica il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero. Secondo l'esponente del Prc "è il richiamo di una norma che sta in un Trattato che l'Italia ha ratificato. Quindi - spiega Ferrero - non dice nulla di nuovo rispetto a quelli che sono gli impegni dell'Italia". Perciò la norma non va modificata? "Esatto", risponde.

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« Risposta #70 inserito:: Dicembre 07, 2007, 06:41:48 pm »

CRONACA

Il governo sull'orlo del baratro per un riferimento a una normativa Ue che vieta che una persona possa essere discriminata per omofobia

Il Papa accusato di discriminazione sessuale?

La Binetti contro il trattato di Amsterdam

 

ROMA - "I temi che riguardano i valori, la visione della famiglia richiedono un approfondimento. Sono temi su cui il Paese è diviso perlomeno a metà. Non possono passare con un emendamento e la fiducia. Non sono possibili scorciatoie". Così, la senatrice teodem Paola Binetti ha spiegato il suo "no" alla fiducia al governo Prodi, il primo da lei mai pronunciato in Parlamento contro la sua maggioranza, che ha portato l'esecutivo sull'orlo del baratro.

I "temi" che hanno portato Paola Binetti a una decisione tanto grave, erano rappresentati, nel maxiemendamento sulla sicurezza, da un riferimento all'articolo 13 del trattato di Amsterdam, un "innocente" documento europeo che stabilisce, tra l'altro, princìpi universalmente condivisi contro le discriminazioni per sesso e religione. La sinistra di governo (Prc e futura "Cosa rossa") ha fatto di tutto per inserirlo nel testo sulla sicurezza nel quale, a dirla tutta, aveva forse poco senso.

Si tratta di norme anti-razzismo (con la previsione di condanne alla reclusione fino a tre anni) per combattere discriminazioni "fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali".

Il riferimento che si decide alla fine di inserire nel testo, dopo estenuanti trattative e su proposta del presidente della commissione Giustizia del Senato Cesare Salvi (Sd), è quello, appunto, "all'articolo 13 del trattato di Amsterdam", che dà agli Stati comunitari la possibilità di prendere "i provvedimenti opportuni" per combattere tali discriminazioni.

Il problema però è che il decreto contiene norme penali, mentre il Trattato non è legato a fattispecie penali e non è, ad avviso dei giuristi, richiamabile in tal senso (come ha fatto presente in aula, prima del voto, l'ex presidente del Senato Marcello Pera).

Sulla questione tecnica si inserisce una questione delicatissima che viene duramente esplicitata dalla leghista Carolina Lussana: "Questo - prosegue - è un vergognoso attacco alla Chiesa, che con questa modifica sarà imputata per discriminazione perchè sostiene che l'omosessualità è contro natura e nega la possibilità di adozione alle coppie omosessuali". La Lussana si appella ai Teodem dell'Unione che, a quanto pare, vengono messi sotto pressione dal Vaticano che teme davvero la possibilità di trovare il Papa o chi per esso su un ipotetico banco degli imputati accusato di discriminazione sessuale.

Al governo non resta che assumere l'impegno a cambiare la norma - cancellando il riferimento che la rende "errata nella sua formulazione e inapplicabile", come dirà subito dopo il voto il ministro Chiti - e invitare i senatori teodem a votare lo stesso a favore della fiducia e del testo nel suo complesso.

L'operazione riesce solo in parte, ma quanto basta per salvare l'esecutivo. La Binetti - visti i numeri calcolati sulla carta a Palazzo Madama, dopo il sì annunciato da Francesco Cossiga - decide di dare un 'segnale' esplicito al governo, prendendo la decisione senza precedenti nei 20 mesi della maggioranza al Senato di votare contro la fiducia al governo, ma poi si esprime a favore del testo nel suo complesso nella votazione finale, quando il rischio per la maggioranza di andare sotto era molto più concreto.

Gli altri due teodem, invece, votano sempre a favore.
Romano Prodi supera così anche questa strettoia, e il governo può proseguire la sua navigazione che comunque non si preannuncia come una crociera.

(7 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #71 inserito:: Dicembre 08, 2007, 03:49:55 pm »

La capogruppo al Senato di Pd-Ulivo in un'intervista a l'Unità

Finocchiaro: meno ministri Ds e Margherita

«A gennaio occorrerà fare un punto di riflessione, non è più possibile andare avanti così»
 

ROMA - Dimezzare i ministri di Ds e Margherita presenti nel governo. Lo propone Anna Finocchiaro, capogruppo di Ds-Ulivo al Senato, in un'intervista a L'Unità. Per il governo è prioritario portare a termine alcune questioni essenziali, e non solo la Finanziaria: a gennaio invece «occorrerà fare un punto di riflessione pieno e compiuto, non è più possibile andare avanti così», secondo la senatrice.

GOVERNO IN AFFANNO - Finocchiaro bacchetta quegli esponenti politici che ripetono «ogni giorno che la maggioranza non c'è più: «È ovvio che un governo così è in affanno». Rispetto a questa situazione, la presidente dei senatori del Pd si dice ancora convinta della sua proposta di andare a una «ricostituzione in altre forme del governo, partendo dal dimezzamento dei ministri di Ds e Margherita». Quanto agli scossoni del quadro politico, Finocchiaro ha osservato che si tratta dell'ovvia conseguenza della nascita del Pd. Come l'iniziativa di Veltroni di rimettere in moto il dialogo sulle riforme «è un altro vento che squassa lo scenario politico; così come la sconfitta della strategia politica della spallata di Berlusconi, grazie alla maggioranza al Senato, ha provocato uno scossone dentro il centrodestra».

«BASTA SPARARE SULLA DILIGENZA» - Finocchiaro definisce «non percorribili» le ipotesi messe sul tappeto - elezioni subito, dopo il referendum o governo istituzionale - mentre ricorda alla maggioranza il dovere di fissare «alcune questioni essenziali per il Paese, come la grande questione salariale avanzata da Fausto Bertinotti, vorrei sottolineare non solo da lui, ma da tutta la coalizione. Però basta sparare sulla diligenza». Quanto alla legge elettorale, Finocchiaro ritiene utile lavorare guardando alle due ipotesi in campo: il Vassallum e il sistema tedesco «che è quello che sembra raccogliere maggiori consensi». Mentre non vede un consenso sul maggioritario che piaceva al Pd.


08 dicembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #72 inserito:: Dicembre 08, 2007, 10:37:53 pm »

POLITICA

Dopo gli attacchi, toni concilianti del presidente della Camera

Il presidente del Consiglio: "E' un invito ad andare avanti"

Disgelo tra Bertinotti e Prodi "Il governo durerà, ora le riforme"

 
ROMA - "Il governo e' nato per affrontare i problemi per una intera legislatura. Questo è il suo compito e della maggioranza. Adesso servono le riforme". Dopo giorni di grande freddo tra Fausto Bertinotti e Romano Prodi, il clima sembra migliorare. Un passo avanti rispetto alle dure polemiche seguite all'interista del presidente della Camera su Repubblica. Quel "il progetto di governo è fallito" che aveva fatto sobbalzare palazzo Chigi che aveva replicato con durezza.

Oggi, a margine della cerimonia per il 60esimo anniversario della consegna della medaglia d'oro al valor militare al gonfalone della città di Modena, Bertinotti sottolinea l'importanza "fondamentale" delle riforme: "E' opportuno farle. L'ultimo auspicio che faccio è quello che in questa settimana che si apre alla prima commissione del Senato si avvii la discussione sulla legge elettorale. Così avremo determinato in parallelo con l'avvio della discussione sulla riforma costituzionale cominciata alla Camera, i binari per la prosecuzione di questa stagione che vede nella legge elettorale e nella riforma costituzionale mirata allo sblocco di un sistema politico in crisi, un elemento così importante".

Frasi che provocano l'ironia dell'ex Cdl che parla di voltafaccia del presidente della Camera e un compiaciuto "interpreto queste parole come un invito ad andare avanti" di Romano Prodi. Che, poi, cerca di smorzare del tutto le tensioni: "'Oggi c'è il semaforo verde, qualche volta è rosso. Ma non è che lo stop&go sia una tragedia. E' parte della vita politica".

(8 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #73 inserito:: Dicembre 11, 2007, 11:44:18 pm »

11/12/2007 (7:45)

Il professor Bianchi sul binario morto
 
Treni, camion, aerei: anno nero per il ministro

PAOLO BARONI


ROMA
Da mesi ormai è inchiodato all’ultimo posto nella classifica che registra la fiducia degli italiani nei ministri del governo Prodi. Ma il responsabile dei Trasporti Alessandro Bianchi sembra non farci tanto caso. Del resto lui è un tecnico, un professore di urbanistica prestato alla politica, per di più in quota Pdci, il più piccolo dei partiti della coalizione. Di certo è poco avvezzo ai salotti tv e con un look tutto suo, molto particolare, e per questo tende a leggere in queste classifiche più un indice di notorietà che un vero e proprio giudizio sul suo operato.

Agli occhi dell’opinione pubblica, invece, è il responsabile di tutti i guai che affliggono il settore dei trasporti: dalla sporcizia dei treni ai ritardi cronici, dai guai dell’Alitalia alle proteste dei padroncini che in queste ore stanno bloccando l’Italia. E in questa fine anno Bianchi è riuscito ad infilare un uno-due certamente non esaltante: il 30 novembre lo sciopero generale dei trasporti e ieri quello dei Tir. «Sciopero politico, pilotato dall’ex sottosegretario di Forza Italia Paolo Uggè», spiegano al ministero di piazza della Croce Rossa. Difficile da prevedere come portata, ma soprattutto difficile da contrastare. Ministro incapace? O impotente? «Più che altro ministro poco politico» risponde un attento osservatore del settore che preferisce restare anonimo. «E’ un professore, non batte mai i pugni sul tavolo, pensa che tutto si possa affrontare col dialogo, col senso di responsabilità e non si rende conto che il mondo funziona esattamente al contrario». Fatto sta che Antonio Di Pietro, con cui Bianchi si è spartito il vecchio dicastero, col suo fare da capo-popolo, va meglio di Bersani e D’Alema che batte regolarmente nelle classifiche di gradimento, raccogliendo più del doppio dei voti di Bianchi: a metà novembre 58 punti contro 25 secondo il sondaggio Ipr Marketing per «la Repubblica». Ma a sua volta l’ex pm non è indenne da critiche: «Se dedicasse alle infrastrutture la metà del tempo che dedica alla tv, forse sarebbe un po’ meno popolare e noi avremmo forse strade messe un po’ meglio» affermano i più maligni.

Ieri, però, è stata l’ennesima giornata nera per il ministro dei Trasporti che ha fatto ancora una volta da catalizzatore delle proteste. «E’ un ministro fallimentare» spiega il vicepresidente della Commissione trasporti della Camera Piero Testoni di Forza Italia. «Ma di che cosa si occupa? Dopo 18 mesi ha dimostrato di non capire cosa succedesse in Alitalia e nelle Ferrovie», per non parlare poi del codice della strada e del blocco dell’autotrasporto». Uggè rincara la dose e lo accusa aver convocato in ritardo il tavolo del confronto, «pur sapendo da oltre un mese che la protesta partiva» ieri. E Bianchi? Non si scompone più di tanto: ieri con una lunga nota ha fatto l’elenco di tutte le iniziative adottate da febbraio ad oggi a favore degli autotrasportatori, tornando a definire «inopportuno» lo sciopero di 4 giorni. Di più, sostengono i suoi collaboratori, non può fare e poi «al ministero i tavoli sono sempre aperti». E’ vero che mentre la Finanziaria è in dirittura d’arrivo tutte le lobby (soprattutto quelle che hanno il potere di tenere in scacco un paese, come i Tir) si fanno sentire, ma forse il compito è troppo grande per essere lasciato tutto sulle spalle del ministro dei Trasporti. All’inizio della legislatura a palazzo Chigi era stata istituita una «cabina di regia» dedicata ai trasporti finita però rapidamente su un binario morto. E da allora i problemi non hanno fatto altro che moltiplicarsi.

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« Risposta #74 inserito:: Dicembre 16, 2007, 10:54:20 am »

Soldi alla Regione, ultimatum di Illy a Prodi 

«Se il governo non rispetta gli accordi, ricorreremo alla Corte Costituzionale e io rifiuterò di ricandidarmi alle regionali»
 
Udine
NOSTRA REDAZIONE



Niente ricandidatura nel 2008 e ricorso alla Corte costituzionale contro la legge finanziaria che il Parlamento sta approvando in questi giorni.

Dal Friuli Venezia Giulia, il governatore Riccardo Illy batte i pugni sul tavolo di confronto con l'esecutivo del premier Romano Prodi e rivendica il rispetto dell'impegno assunto dal governo verso la Regione. Oggetto del contendere, la compartecipazione del Friuli Vg ai tributi (Irpef) versati dai pensionati, che fino ad oggi - attraverso l'Inps nazionale - finivano tutti nelle casse dello Stato.

Illy nell'ultimo anno aveva ottenuto un decreto legislativo dal governo Prodi, risalente al 31 luglio scorso, con cui si stabiliva che nella finanziaria statale per il prossimo anno sarebbe stata inserita la norma per destinare al Friuli Venezia Giulia i sei decimi delle imposte pagate dai corregionali pensionati.

Risorse che si stima ammontino, per la Regione, ad almeno duecento milioni di euro. Illy aveva anche consegnato a Prodi e al ministro delle Finanze, Tommaso Padoa Schioppa, una proposta normativa, con cui si prevedeva l'entrata a regime di quanto stabilito dal decreto estivo nel corso degli anni, partendo da uno stanziamento di un centinaio di milioni di euro. Che, nella fase di elaborazione della Finanziaria 2008, sono scesi a 20 milioni per il 2008 e 30+30 per il 2009-2010. Con il rinvio della norma definitiva a un futuro imprecisato, preceduto da una trattativa tra Stato e Regione per la devoluzione di ulteriori competenze legislative e amministrative.

«L'articolo contenuto nella Finanziaria prevede qualcosa di diverso da quanto stabilito dal decreto di luglio - ha ribadito ieri Illy - a nostro avviso è incostituzionale e se sarà approvato così com'è dal Parlamento, ci saranno due conseguenze: la prima è che la Regione sarà costretta a impugnare davanti alla Corte Costituzionale quell'articolo della Finanziaria; la seconda, sul piano politico, che scioglierò le riserve in senso negativo, non accettando alcuna ipotesi di candidatura nel 2008, nel caso mi venga richiesta».

Illy ritiene, forte dei pareri dell'avvocatura regionale, che questa norma non possa essere regolare, non fissando i tempi precisi dell'entrata a regime dell'accordo. «Inoltre - rileva il presidente della Regione - il decreto legislativo, che ha un valore giuridico più "forte" rispetto alla legge Finanziaria trattandosi di norma pressoché costituzionale, non prevede che il trasferimento di risorse dallo Stato sia condizionato a maggiori competenze. Quindi, il ricorso sarà il passo legale, mentre sul piano politico ritengo di non potermi ricandidare se la mia stessa parte non mantiene gli impegni».

Nei giorni scorsi Illy ha più volte avuto colloqui telefonici con alcuni esponenti del Governo, con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta che ha provato invano a mediare. Alcuni di questi colloqui sono stati caratterizzati anche da toni accesi. Ma ad oggi nulla è cambiato, anche perché sulla norma la Ragioneria di Stato - attenta ai conti nazionali - aveva espresso parere negativo. Senza un atto da parte di Prodi, quindi, il Centrosinistra del Friuli Vg dovrà affrontare le elezioni regionali senza il leader di Intesa democratica vincente nel 2003. «Confido - ha lasciato la porta aperta Illy - che in Parlamento, prima dell'approvazione finale, la norma che ci riguarda possa essere modificata».

Ma dal governo, i segnali al momento non sono positivi. Il sottosegretario agli Interni, Ettore Rosato (triestino come Illy), ha fatto sapere che nulla di più si poteva fare. «Al Friuli Venezia Giulia sono stati garantiti in Finanziaria 20 milioni per la compartecipazione ai tributi per le pensioni, 60 per la viabilità, il rifinanziamento dei fondi per Trieste e Gorizia - elenca Rosato - abbiamo modificato la norma sulla benzina scontata come richiestoci dalla Regione. Apprezzo la determinazione di Illy a volere il meglio per i propri concittadini, ma non si può fare tutto». Intanto deputati friulani e giuliani del Pd hanno presentato (primo firmatario Ivano Strizzolo) un ordine del giorno che impegna il governo a concertare con la Regione modalità e tempi per l'attribuzione di nuove funzioni dallo Stato al Friuli Vg.

La questione solleva reazioni anche da centrodestra. «La politica di Illy è stata improntata al gioco di azzardo e al costante ricatto nei confronti anche della propria coalizione, sapendola debole e perdente - ha attaccato il coordinatore regionale di Forza Italia, Isidoro Gottardo - Il prezzo che il Friuli Venezia Giulia sta pagando è altissimo, sia in immagine che di sostanza. Eravamo conosciuti per una Regione parsimoniosa, siamo diventati noti per l'enorme incremento del debito regionale alimentato da una crescita irresponsabile della spesa pubblica».

Lorenzo Marchiori
 
da gazzettino.quinordest.it
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