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Autore Discussione: PARTITO DEMOCRATICO - ...  (Letto 39370 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Ottobre 15, 2007, 10:00:21 am »

POLITICA

Il retroscena

Il premier e la difficile coabitazione primi ostacoli: welfare e rimpasto

Il presidente del Consiglio non ha gradito in questi mesi alcune uscite del sindaco.

Fassino: non ci sarà dualismo

di CLAUDIO TITO

 
ROMA - "So che Walter sarà un segretario forte, ma saremo tutti leali". Inizia la difficile coabitazione. Quella tra Romano Prodi e Walter Veltroni. Dal '98 non era più capitato. Dalla staffetta tra il Professore e Massimo D'Alema il presidente del consiglio del centrosinistra è stato anche il capo della coalizione e persino il leader del partito maggiore. Da ieri non è più così. Il premier lo sa e si prepara a fare i conti con il "nuovo" alleato.

Anche ieri mattina il Professore e il Sindaco si sono sentiti al telefono. I contatti tra loro si sono intensificati nelle ultime settimane. E proprio al telefono non sono mancati gli attriti e le incomprensioni. Come è accaduto mentre il capo del governo si trovava a New York per l'assemblea generale dell'Onu. Veltroni lo aveva avvertito della sua intenzione di proporre un "rimpasto" nell'esecutivo, e lui non l'ha presa nel migliore dei modi. Ma del resto, è un mese che il feeling procede a colpi di singhiozzo. Tra strappi e ricuciture. "Io sosterrò sempre il governo", ripete ad ogni piè sospinto il primo segretario del Partito Democratico. Ma entrambi sanno che inevitabilmente gli interessi potranno confliggere.

Anche perché, come dice l'inquilino di Palazzo Chigi, "Walter sarà un segretario forte". Ossia uno che non accetterà ogni scelta dell'esecutivo senza parlare. Anzi, è proprio il primo cittadino di Roma che davanti ai primi screzi ha dovuto mettere i puntini sulle "i": "Non potrò rimanere solo in silenzio".

Il Pd, insomma, dovrà definirsi proprio nel rapporto con il governo. Il suo profilo si disegnerà nella capacità di condizionare e orientare le scelte dell'esecutivo. Davanti ad ogni bivio, i Democratici faranno sentire la loro voce. E, in effetti, dall'esordio del Lingotto a ieri, il copione è stato quasi sempre lo stesso. Il decalogo sul fisco, le proposte sulla sicurezza, gli incoraggiamenti a manovre "straordinarie" per abbattere il debito pubblico, gli indirizzi per una nuova legge elettorale (in particolare il "no" al sistema Tedesco): tutti terreni su cui Veltroni ha già piantato la sua bandierina. Per Palazzo Chigi, sono state delle "indebite interferenze". Che hanno fatto sorgere nel Professore il sospetto che si stessero materializzando i prodromi di una operazione politica più vasta. Come quella del 1998 con la sua "squadra" nel mirino. Un sospetto che si è improvvisamente gonfiato dopo che i richiami del segretario Pd a incidere sul debito pubblico sono stati seguiti dalle saette lanciate dal Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, contro la manovra economica e dall'altolà della Commissione europea.

"Nessuna trappola, nessun complotto", ripetono però dalle parti del Campidoglio. "Non ci sarà dualismo - assicura Piero Fassino -, anzi il Pd stabilizzerà il governo". Ma nello stesso tempo la nuova formazione non rinuncerà a far valere il ruolo di primo partito della coalizione. "Il Partito Democratico - dice Dario Franceschini - farà semplicemente politica". Quindi, senza deleghe in bianco. Il modello richiamato dai due componenti del ticket che ha vinto le primarie, allora, non è tanto la coabitazione in salsa francese (Mitterand-Chirac o Chirac-Jospin) quanto l'esempio democristiano: il rapporto che c'era nella Prima Repubblica tra il segretario della Dc (azionista di maggioranza delle alleanza di governo) e il presidente del consiglio.

Una complicata miscela che verrà sperimentata già nei prossimi giorni. Perché Veltroni non intende rinunciare all'idea di "tagliare" i ministeri del gabinetto Prodi. Ma soprattutto "non rimarrà in silenzio" nella battaglia che si consumerà nell'Unione sulla Finanziaria e sul welfare. Tant'è che su quest'ultimo provvedimento tra i veltroniani è già scattata la parola d'ordine: "Non si modifica niente". Anche a costo di incrociare le spade con la sinistra radicale. "Ma io non mollo", dice Prodi quando ragiona con i suoi su quel che potrà accadere nei prossimi mesi. Anche se ieri sera un altro interrogativo si è diffuso tra i "prodiani": "Cosa succede se per Veltroni voteranno più persone che per Prodi nel 2005?". Il Professore comunque mostra a tutti tranquillità: "Il mio tempo è il 2001. Io vado avanti per la mia strada. Ma so che sono un uomo a tempo".

(15 ottobre 2007)
da repubblica.it
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« Risposta #46 inserito:: Ottobre 19, 2007, 10:50:47 am »

POLITICA

La scelta di Veltroni e Franceschini: il Pd avrà un quartier generale di 1000 metri quadri

Gli uffici attigui alla chiesa di S. Anastasia su una piazzetta adornata da due ulivi

Loft con vista sul Circo Massimo ecco la sede del nuovo partito

di GIOVANNA VITALE

 
ROMA - Devono essere stati quei due grandi ulivi piantati nel bel mezzo della piazzetta pedonale che guarda la basilica di Santa Anastasia, ai piedi dello sperone sud-occidentale del Palatino, a convincere Walter Veltroni ed Enrico Franceschini che lì, e da nessun altra parte, poteva nascere la sede nazionale del Pd.

Un primo piano d'angolo fra via di San Teodoro e via dei Cerchi, cuore antico della capitale: all'interno, un loft rettangolare di circa mille metri quadri, senza stanze né pareti divisorie, planimetria perfetta per raccontare l'idea di un partito nuovo, aperto, senza steccati. Travi a vista a sorreggere il tetto spiovente, tavole di pino inchiodate sul pavimento, il Circo Massimo a far da panorama: l'ingresso sul retro, da un piccolo portone in legno arroccato in cima a dieci scalini. Sistemazione ideale per il sindaco di Roma, a non più di 600 passi dal Campidoglio, dove ha detto di voler restare dividendo con l'altra metà del ticket la fatica di fortificare la neonata creatura.

Palazzo Chigi è a meno di due chilometri, il Senato poco più in là. La trattativa con la proprietà dell'immobile - ben 47 eredi fra figli, nipoti e affini di quattro diverse famiglie della comunità ebraica romana - si è chiusa ieri sera. Per il nuovo tesoriere, Mauro Agostini, trovare l'accordo sull'affitto non è stato facile: l'esigenza di concludere a un prezzo ragionevole, la ristrettezza dei tempi e un precedente affare andato male (il mega appartamento in via Abruzzi, vicino a via Veneto, sfumato per offerta insufficiente) consigliavano una fretta prudente.

Il mercato da quelle parti è alle stelle, ne sanno qualcosa allo studio di progettazione Psa, che sta nello stesso complesso del Pd e ha appena rinnovato il contratto per altri 12 anni. "Per i nostri 400 metri quadri paghiamo poco meno di 10 mila euro al mese", dice l'architetto Cristiano Incitti, "loro, se va bene, ne dovranno sborsare il doppio. E mi sono tenuto basso". Duecentocinquantamila euro l'anno: questa la cifra che la proprietà, alla fine, dovrebbe aver accettato; non un centesimo di meno.

Fino a un paio d'anni fa quello stesso spazio era occupato da un grande magazzino del marchio Balloon, vestiti e camiciole a basso costo; da allora è rimasto sfitto perché l'intenzione originaria era vendere. Richiesta: 22 milioni di euro, ma - a quanto sembra - l'interesse dei compratori è svanito in fretta per la difficoltà di convertire l'edificio, sottoposto a pesanti vincoli dalla Soprintendenza. Da qui la decisione di darlo di nuovo in affitto. Per Veltroni, che martedì sera ha effettuato un sopralluogo con un paio di fidatissimi collaboratori, è stato amore a prima vista.

I lavori di ristrutturazione cominceranno a giorni e saranno seguiti dall'architetto Napoletano, lo stesso che ha sempre curato le proprietà immobiliari degli eredi. Ci sono da aprire due grandi archi in muratura, così da formare un ambiente unico (diviso, allo stato, in due open space da 650 e 400 metri quadri), lamare il parquet, ritinteggiare e dare una sistemata ai due piccoli soppalchi. L'ambiente sarà un capolavoro di sobrietà, lontano anni luce dalle tradizionali sedi di partito tutte stanze e corridoi: a significare, anche, che il modello Botteghe Oscure o Piazza del Gesù, per non dire del Nazareno, è tramontato per sempre. Una location all'americana fatta di lampade al led, design e tecnologia. Funzionale, pratica, soprattutto aperta: come il Pd.

Che potrà pure contare, e magari non è un caso, sulla vicina chiesa di Santa Anastasia: l'unica di Roma aperta giorno e notte perché è lì che i fedeli vanno a chiedere la grazia.

(19 ottobre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #47 inserito:: Ottobre 23, 2007, 05:04:01 pm »

Veltroni l'americano

di Marco Damilano

Un comitato ristretto alla guida.

Un questionario sui temi più caldi.

E consultazioni on line.

Ecco il Pd che ha in mente il neo leader. Modello Usa 
 

Un'Assemblea costituente itinerante, a tappe: primo giro a Milano, sabato 27 ottobre, poi Roma e infine Napoli o Bari.

E i fondatori del nuovo partito che votano su statuto, carta dei valori e manifesto on line, via Internet. L'idea è di Salvatore Vassallo, l'uomo dei gazebo, il professorino che un anno fa al seminario di Orvieto, da cui cominciò il percorso che ha portato alla nascita del Pd, propose di dare ai cittadini il potere di scegliere i costituenti del nuovo partito attraverso le primarie. I capi dei Ds e Margherita lo trattarono come un visionario: "Non esiste un'ora X in cui i Ds si vanno a sciogliere in un gazebo", ironizzò Massimo D'Alema. Invece, il 14 ottobre l'ora X è scattata anche per il ministro degli Esteri, assente in tutti i festeggiamenti per l'eterno amico-nemico Walter Veltroni. Adesso Vassallo ci riprova: "L'Assemblea dovrebbe nominare un comitato ristretto, non più di dodici-quindici persone, incaricato di proporre i quesiti via Internet ai 2.400 costituenti. Una larga consultazione preventiva sui temi più delicati: dallo statuto al manifesto, ma anche, per esempio, la decisione sul nome della festa del partito, con la possibilità di presentare più testi alternativi. Poi l'assemblea è sovrana: non vogliamo sostituire i congressi con i sondaggi telematici".

Sarà. Però il progetto Vassallo è perfettamente coerente con il partito che ha in mente Veltroni. E quando Vassallo ne ha parlato in pubblico, due settimane fa durante un convegno al cinema Capranica, il leader ha alzato il pollice in segno di consenso. Lo stesso pollice che invece si sta già abbassando impietosamente sui vecchi capi-corrente. "Non venite da me a dire: parlo a nome di... Non vi ascolterò. Il Pd non sarà un partito di correnti: resteranno solo le radici ideali", ha proclamato il sindaco di Roma domenica notte, appena conosciuti i risultati
. Pochi istanti dopo al suo fianco si è materializzato il ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni per dargli la notizia che nel suo feudo di Viterbo la lista Veltroni aveva toccato quasi il 90 per cento. E il sindaco lo ha ribattezzato: "Eccolo qui, Fioroni, la radice ideale!". Nella lunga notte succede anche questo: si rivede in pubblico accanto a Walter il fratello maggiore Valerio Veltroni che lo iniziò alla politica tanti anni fa, la mattina incollato al telefonino nel seggio di via Sebino con i jeans sdruciti, la sera con i gemelli ai polsini, agitato e felice. E i padroni delle tessere cercano affannosamente di trasformare le loro macchine elettorali in comitati all'americana.

Il Pd all'americana è l'obiettivo di Veltroni, da fare subito, in tre mesi. Per sparigliare i giochi e impedire il ritorno dei notabili usciti piuttosto ammaccati dal voto: una battaglia su cui Veltroni potrebbe ritrovarsi alleato con i due concorrenti, Rosy Bindi ed Enrico Letta. Due personaggi fuori dagli apparati che hanno dimostrato un notevole radicamento: la Bindi in una regione di frontiera come il Veneto dove ha conquistato il 22 per cento, Letta nella Puglia di D'Alema dove il braccio destro Francesco Boccia ha superato il senatore Nicola Latorre, reggente della corrente del ministro degli Esteri mentre il capo è in giro per il mondo. E poi ci sono gli uomini nuovi, da valorizzare: il bergamasco Maurizio Martina, 29 anni, segretario del Pd lombardo, il toscano Andrea Manciulli, il sindaco di Bari Michele Emiliano che ha sfondato quota 90 per cento sui 258 mila pugliesi che sono andati a votare alle primarie per eleggerlo segretario regionale. Un ex magistrato, oggi amministratore, né di destra né di sinistra, solo democratico, come piace a Veltroni.

È la mappa del nuovo potere, che si sposta dal centro alla periferia. Coordinato da Goffredo Bettini, l'uomo che disegna gli equilibri del Pd regalando a Veltroni un consenso che non ha mai avuto, neanche quando è stato segretario della Quercia."Sono come un pistolero, lavoro a contratto", scherza Goffredo il Regista. In questo schema i boss nazionali sono destinati a contare sempre di meno, relegati a un ruolo puramente organizzativo. Dicono che Franco Marini se ne sia già accorto, nonostante il fidato Dario Franceschini al fianco di Veltroni e le telefonate che riceve dal sindaco di Roma quasi quotidianamente. "Quando diventano troppe vuol dire che Walter sta pensando di fregarti", ride Pierluigi Castagnetti.

(22 ottobre 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #48 inserito:: Ottobre 26, 2007, 04:21:26 pm »

26 Ottobre 2007 - 10:49

PD, GENTILONI MANDA DUE SMS A VELTRONI


- Roma, 26 ott – Domani si riuniscono i 2.850 eletti alla Costituente, si proclama segretario Veltroni, forte del voto di 3 su 4 partecipanti alle primarie. “In una riunione così solenne e affollata non ci sarà spazio per intervenire e quindi uso questo post – scrive il ministro Paolo Gentiloni nel suo blog - per mandare due sms a Veltroni e a tutti noi. Primo sms: prendiamoci il rischio di fare le cose di cui abbiamo a lungo parlato. Non so se capiterà altre volte di poter accorciare la distanza tra quello che facciamo e quello che sarebbe giusto fare. Serviranno coraggio e leggerezza, quella di cui parlava Italo Calvino.

Secondo sms: non dimentichiamo quei 3,4 milioni di italiani che dieci giorni fa sono andati a votare per le primarie. Non ci hanno firmato una delega in bianco e pretendono risultati. Comunque sarà una giornata da ricordare, visto che per la prima volta in Europa nasce un partito di tipo nuovo che supera le tradizioni politiche del secolo scorso. E magari sarà anche una grande iniezione di fiducia per una maggioranza che arriva alla fine della settimana un po' ammaccata”.

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« Risposta #49 inserito:: Ottobre 27, 2007, 11:07:30 pm »

gli interventi all'assemblea costituente del pd

Bindi: «Bella sintonia tra Veltroni e Prodi»

Letta: «Se non si va bene a Milano qui non si va bene complessivamente». Fassino: «Walter è il leader giusto»


MILANO - Dopo gli interventi di Prodi e Veltroni è toccato agli altri ospiti della platea dire la propria sul futuro del Partito Democratico.

BINDI - «Non sacrificheremo il governo alla necessità di riforme. Il primato del sostegno a Prodi e il primato delle riforme non possono essere in contraddizione» ha detto il ministro Rosy Bindi dal palco dell'assemblea costituente. «La cosa più bella è stata la grande sintonia tra Veltroni e Prodi. Il più grande regalo dopo tanta fatica è vedere un premier così determinato a portare a termine il suo impegno e sentire dire da Veltroni che l'impegno prioritario del Pd è il sostegno a questo governo». Quanto alla legge elettorale il ministro evidenzia che dovrà essere «davvero maggioritaria, capace di mettere in sicurezza il bipolarismo italiano». Bindi rifiuta ogni ipotesi di governi tecnici e istituzionali per fare le riforme perché «non sono i governi a fare le nuove leggi elettorali ma il Parlamento».

TESSERATI - «Non faremo un partito di tesserati ma neanche un partito liquido. Sarà un partito di persone che si riconoscono nell'obiettivo di fare bene all'Italia» ha detto l'ex candidata alla guida del Pd. «Non ci sono maggioranze o minoranze, siamo tutti costituenti». Il ministro si augura «un partito plurale, dove ciascuno è indispensabile e nessuno è meno di altro» e assicura «una vigilanza attiva con la quale vogliamo esercitare la nostra partecipazione» a partire dal fatto che a una donna dimissionaria debba subentrare un'altra donna.

LETTA - L'altro ex candidato alle primarie, Enrico Letta, ha centrato il suo intervento sull'importanza del nord. «Abbiamo scelto Milano perché c'è un fatto oggettivo. Alle ultime elezioni amministrative nelle sue diverse articolazioni non è andato bene al Nord e se non si va bene qui non si va bene complessivamente». Così Enrico Letta ha spiegato il motivo della scelta di Milano per l'assemblea costituente del Pd. «Questa scelta è un messaggio chiaro - ha aggiunto - e tra l'altro l'assemblea avviene nei giorni in cui i commissari dell'Expo hanno visitato Milano e l'Italia per la scelta. Il governo ha scelto Milano per l'Expo e tutto ciò è la conferma dell'impegno per tutto il Nord». «Avanti così a fare le cose impossibili» ha detto in chiusura, rivendicando il coraggio di aver saputo realizzare appunto una cosa che sembrava impossibile, come il Partito Democratico.

FASSINO - Alla nuova fiera di Milano è anche la giornata di Piero Fassino. «Più unico che raro l'esempio di chi come Fassino antepone l'interesse generale al proprio» ha detto Veltroni. Parole che scatenano una vera e propria standing ovation da parte dell'assemblea di Milano. Fassino si commuove, ma dura un attimo. Veltroni «si è confermato il leader giusto per il Partito democratico» dice l’ex segretario dei Ds, assicurando che in futuro continuerà «a lavorare per il Pd mettendo le energie a suo servizio». Positiva l’opinione di Fassino sul discorso che Veltroni che «era intessuto di quella volontà di cambiare la politica per il quale il Pd nasce. La volontà di essere una cosa nuova in una Italia nuova: il suo - ha concluso - è stato un discorso forte, alto e ambizioso».

D'ALEMA - Il vicepremier e ministro degli Esteri Massimo D’Alema si è detto d'accordo con Veltroni sul fatto che «sarebbe una follia precipitare il Paese verso le elezioni con questa legge elettorale». Per D'Alema la partenza del Partito democratico «è avvenuta nel modo migliore possibile, con due discorsi quello di Prodi e quello di Veltroni sul governo del Paese e sul progetto del Pd. È stato dato un messaggio molto significativo all’Italia di fiducia e di contrasto della disillusione che serpeggia nel Paese».


 RUTELLI - «È una giornata storica, un sogno che si realizza». Lo ha detto il vicepremier Francesco Rutelli, al termine degli interventi del presidente Prodi e di Veltroni. «C'è un'Italia che si frantuma, si divide, c'è un'Italia che crea una forza grande, che vuole avere il coraggio delle riforme perché il paese che va piano torni a crescere. Il governo è più forte perché nasce un partito che rappresenta l'area più vasta e, dal momento che la frantumazione è il male del paese, noi diamo un contributo di qualità, serietà e sguardo aperto sul futuro».


27 ottobre 2007

da corriere.it
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« Risposta #50 inserito:: Ottobre 28, 2007, 09:42:35 am »

Franceschini: «Perchè rovinare un giorno così bello?»

Bindi e Parisi delusi: «Walter ambiguo»

Polemiche sulle decisioni finali prese dall'assemblea costituente del Pd. E anche Enrico Letta storce il naso

 
ROMA - Prime polemiche all'interno de Pd a poche ore dal battesimo milanese della nuova formazione politica guidata da Walter Veltroni. Le prime critiche sono quelle di Rosy Bindi. «Sono preoccupata e delusa. Nelle conclusioni del segretario ci sono molti elementi di ambiguità sia sul piano politico che su quello formale e organizzativo» ha detto l'ex candidata alla segreteria. «Sul piano organizzativo - spiega il ministro - si è persa l'occasione per coinvolgere anche nell'elezione dei coordinatori provinciali e comunali le migliaia di persone che hanno partecipato nei singoli territori alle primarie del 14 ottobre, così come era previsto dal regolamento provvisorio. Si è scelta di nuovo una modalità vecchia e centralistica di chiedere ai costituenti di ratificare decisioni prese altrove e da pochi dirigenti di vecchi partiti».

PARISI - E Rosy Bindi non è stata l'unica parlare di «brutta partenza». Come lei, il ministro della Difesa, Arturo Parisi sottolinea: «Avevo voluto illudermi che il Partito democratico di Veltroni potesse rappresentare una nuova stagione dell'Ulivo. Son bastate poche ore perchè a quella che mi era sembrata una fioritura seguisse una gelata. Eravamo entrati in assemblea come Democratici - spiega - davvero col desiderio di mescolarci con gli altri, con la speranza di dimenticarci tra gli altri nel comune nome di Democratici, e basta: una speranza purtroppo delusa. Mi rassicura sapere che i nostri sentimenti e il nostro giudizio è condiviso da molti».

LETTA - Sul dispositivo finale approvato dall'assemblea costituente del Partito Democratico anche Enrico Letta storce il naso. «Valuteremo attentamente il testo del dispositivo perchè, non essendo stato concordato prima con noi, non siamo in condizione di dare una valutazione articolata, che merita un'attenzione approfondita». Sulle modalità di approvazione del dispositivo finale si è aperta una polemica tra le diverse anime del neonato soggetto riformista. «Faremo questa valutazione - aggiunge il sottosegretario alla presidenza del Consiglio - nei prossimi giorni, nel clima di fiducia in cui questa prima giornata costituente del Pd si è aperta».


 LA REPLICA DEL NUMERO DUE - Le polemiche di Arturo Parisi e Rosy Bindi nei confronti del segretario del Pd Walter Veltroni vengono criticate dal numero due del partito Dario Franceschini. «Non capisco questo gusto della polemica anche in un giorno così bello», dice Franceschini. «Nella delibera votata dall’assemblea costituente si è data un’accelerazione formidabile all’obbligo di costituire entro il 30 novembre i gruppi del Partito democratico a tutti i livelli con la scelta dei coordinatori del partito in ogni provincia». Una decisione che «supera i segretari provinciali di Ds e Margherita». «Soprattutto -conitnua Franceschini - si è deciso di richiamare entro dicembre tutti gli elettori delle primarie per eleggere gli organi territoriali del nuovo partito. Cosa c’è che non va in questo?».


27 ottobre 2007

da corriere.it
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« Risposta #51 inserito:: Ottobre 28, 2007, 09:53:54 am »

POLITICA

"Mescolati" è la parola che ricorre di più sulle bocche dei delegati

La studentessa Alessandra, 16 anni, a tu per tu con il ministro Fioroni

Seduti in terra, polo e scarpe da ginnastica

L'allegra confusione travolge i vecchi riti

Ma monta anche la delusione. "Hanno deciso i membri delle commissioni senza consultarci.

E alla fine tutti via senza il tempo di capire cosa succede ora"

di CLAUDIA FUSANI

 
MILANO - "Signori per favore, vi levate da qui davanti, mettetevi a sedere, anche in terra se volete, ma date modo a tutti di vedere". L'ordine di rompere le righe arriva proprio da lui, dal Professore-presidente che ha appena preso la parola dal palco che sembra proprio quel "grande prato verde dove nascono speranze che si chiamano ragazzi", quello della canzone insomma. Chissà se l'architetto Malfatto ha pensato anche a Gianni Morandi quando ha progettato la scenografia con prato vero della prima assemblea costituente del pd. I posti a sedere, più di tremila comprese le due gradinate laterali, non bastano. Così vedi Sergio D'Antoni che in grisaglia grigia si accuccia accanto a due ragazzi mai visti, Violante è qualche metro più in là, sempre in terra, sulla moquette grigia, Treu si accoccola su uno strapuntino di prato con il sottosegretario Marcella Lucidi. In prima fila mamma e figlia siedono accanto al vicesindaco Maria Pia Garavaglia che dice: "Che bella confusione, siamo proprio tutti mescolati". Giornalisti in terra a prendere appunti accanto a giovani-delegati che chiedono, fanno domande e hanno anche le loro risposte.

Una enorme assemblea studentesca. Ecco, se devi dire qual è il primo colpo d'occhio di questa giornata è esattamente quello di un'assemblea, con regole ma senza gerarchie, spruzzata di anarchia ma non autogestita. Uno strano, allegro, caotico miscuglio dove Alessandra Martinelli, 16 anni, eletta a Cecina, si trova a tu per tu con il ministro Fioroni che le chiede delle riforma della scuola. E dove D'Alema firma autografi sui badge dei delegati, come una star. Enrico Letta, la definisce "un insieme di minoranze", dove tutti sono uguali, una testa, un voto, ma la stessa cosa. Assemblea "ermafrodito" è stata definita, la prima volta di un insieme politico dove ci sono "lo stesso numero di uomini e di donne". Tutti mescolati, non ci sono divisioni per sesso, per regioni geografiche, per correnti. Nella ripartizione perfettamente equa tra uomini e donne agli organizzatori è sfuggito però un dettaglio: cinque toilette per gli uomini, una sola per le donne. Succede che quest'ultime "occupano" uno dei servizi e se ne impossessano. I signori sorridono: "Siete arrivate anche a questo!".

I congressi politici hanno sempre una loro ritualità ben definita. Il partito "nuovo", la "grande rivoluzione democratica", è nuovo anche in questo. Non si vedono - almeno qui, almeno per ora - i soliti capannelli e conventicole, tutti parlano con tutti. Certo D'Alema, Fassino, Rutelli e gli altri big siedono gli uni accanto agli altri, ma poi devono mescolarsi anche loro. C'è un buffet dietro il backstage del palco. Era riservato "ai politici" dice il barman, "ma da metà mattinata abbiamo dato il caffè a tutti. Son tutti politici qua, no?".

Cambiano le parole. Quando Veltroni prende la parola per le conclusioni, dice: "Le mie parole non sono conclusioni, bisognerà rivedere anche questo lessico che è vecchio e superato". Non ci sono divise, neppure nell'abbigliamento. Veltroni, Prodi e chi siede al tavolo della presidenza indossa giacca e cravatta, Anna Finocchiaro - applaudita moderatrice dell'assemblea - è come sempre elegantissima in un tailleur scuro. Ma per il resto abbondano scarpe da ginnastica, polo, maglie pari collo. Anche il senatore Ignazio Marino ("sui temi etici mettiamoci intorno al tavolo e discutiamo ma nessuno con la verità in tasca") va a parlare sul palco indossando un maglione blu e azzurro con la zip. Per non parlare del sindaco di Bari, Emiliano, il segretario regionale più votato d'Italia, che si presenta con polo blu a maniche lunghe anche un po' stazzonata.

Svaniscono, almeno oggi, le gerarchie. Una ventina di delegati "sconosciuti" salgono sul palco a parlare. Come Viola, 18 anni, milanese, occhi celesti, primo mese di università: "Sono entusiasta. Stamani quando sono arrivata non mi sembrava vero, e invece è vero. Siamo tutti qua, tra virgolette amici, a dire la nostra".

Resta da capire cosa succede adesso. Viola ammette che era molto più scettica "quando ha cominciato questa avventura". Ad Alessandra resta il sospetto che "finora ci hanno un po' usato come richiamo per lanciare il partito e poi ci mollano". Alla fine, ad esempio, sembra tutto un po' troppo frettoloso. Alle cinque deve essere tutto finito, regole della Fiera e degli allestitori che devono smontare. L'assemblea mormora: "E le commissioni, il dibattito?" In una parola: la partecipazione?

Succede che dopo che Veltroni canta l'inno d'Italia sul palco con lo stato maggiore del Pd, la Finocchiaro dà lettura dei membri delle tre commissioni, quelle che dovranno redigere le regole dello Statuto del partito, del codice etico e della carta dei valori. Sono trecento nomi letti in fretta che non si capisce bene chi li abbia scelti. "Hanno chiesto chi era disponibile" spiega Adinolfi e "ognuno ha indicato se e cosa voleva fare". Ci sono tutti quelli che contano, ministri e parlamentari, i collaboratori più stretti di Veltroni, Fassino, D'Alema, Veltroni. Viene letto il nome di De Mita, membro della commissione Etica e salgono mugugni e fischi. Chi approva deve alzare il tesserino in segno di conferma. Se ne alzano pochissimi. Ma non importa. "Bene, approvato" corre con la voce Finocchiaro. Una delegata calabrese prova a dire: "Beh, come. Io non sono d'accordo con questi nomi, ma che modi sono, perché questa fretta". Se ne va delusa. Partito aperto sì, ma mica autogestito. Se ne riparlerà nei rispettivi collegi. E poi per la seconda tappa della Costituente. A febbraio, questa volta a Roma.

(27 ottobre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #52 inserito:: Ottobre 28, 2007, 05:47:29 pm »

Superato il tabù del potere. Nasce il cittadino-elettore attivo

Simone Collini


Di cosa parliamo quando parliamo di Partito democratico? Le critiche che disfattisti commentatori, alleati scettici e avversari invidiosi hanno mosso di fronte al successo delle primarie, e cioè che è stato eletto il leader di un partito che non c’è, si sgonfiano nel passaggio dell’Assemblea costituente. La composizione della platea dei delegati, l’intervento di Prodi e soprattutto quello di Veltroni, gli applausi che scattano su determinati passaggi, le chiusure rispetto ad alcuni schemi del passato e le promesse per quello che sarà il futuro disegnano una fisionomia di partito che emerge piuttosto chiaramente. Come però emerge anche chiaramente, in una giornata per il resto tutta all’insegna dell’entusiasmo, che nonostante i buoni propositi il Pd non riesce a tenere fuori dalla porta le polemiche, come dimostra quella che scoppia subito dopo l’approvazione del dispositivo finale. Ad alimentarla è una minoranza rappresentata da Parisi, Bindi, Dalla Chiesa e pochi altri, che contestano il dispositivo sia nel merito che nel metodo, essendo stato sottoposto a votazione dopo una rapida lettura. Ma, appunto, è una minoranza che può prefigurare la nascita di quelle correnti interne che per Veltroni non dovrebbero avere diritto di cittadinanza nel Pd. Lo scontro sul dispositivo può rientrare all’improvviso così come è esploso, in caso contrario potrebbe anche segnare la fisionomia del nascente partito.

Una fisionomia che stando al ragionamento di Prodi può essere sintetizzata in un’espressione: «Strumento di governo». Tanto che il premier invita a non sottovalutare il fatto che il Pd, di cui è presidente, «è il primo partito italiano che nasce per il governo», o il fatto che le difficoltà che attraversa l’attuale esecutivo dipendono soprattutto dalla fatica di un passaggio che prevede «rinunce sul versante delle identità in favore di una governabilità possibile».

Discorso non distante da quello proposto da Veltroni, per il quale quella dei democratici è «un’identità aperta», che si costruisce passando attraverso le parole «nuovo», «innovazione», «discontinuità» per arrivare a rappresentare quella che è «la vera democrazia», racchiudibile in due parole: il «potere» come capacità di decidere e la «partecipazione». Che per il neosegretario sono i due cardini - non sempre debitamente interpretati in passato dalla sinistra, dice l’unica volta che utilizza questo termine - su cui si fonda il Pd.

La partecipazione è quella che si vede nelle immagini che aprono i lavori della Fiera di Milano, le lunghe code davanti ai gazebo di domenica 14, i tre milioni e mezzo di votanti che hanno definito così com’è la platea dell’Assemblea costituente: 2853 delegati, metà dei quali donne e un quarto dei quali composti da persone sotto i 40 anni. Una caratteristica che fa del Pd un partito unico e che deve continuare a segnarne la vita, prevedendo il 50% di presenza femminile in ogni organismo e ad ogni livello e applicando il metodo delle primarie, come si è fatto per leader e segretari regionali, per i candidati alle «massime cariche di governo» nelle regioni, nelle province e nei comuni. Lo annuncia Veltroni e la platea mostra con gli applausi di condividere.

Ma è soprattutto su un punto che il neosegretario insiste per definire i lineamenti del soggetto che nasce, su un significato preciso che vede nella partecipazione espressa due domeniche fa, e cioè il fatto che quello del 14 ottobre è stato «un voto per il cambiamento, e non per la continuità». Un concetto su cui Veltroni batte per buona parte del suo intervento perché riguarda il Pd in ogni suo aspetto, perché «abbiamo voluto dar vita ad un partito nuovo per fisionomia organizzativa, per orientamento politico e programmatico, per orizzonte ideale e culturale». Non vuole «mettere il vino nuovo in otri vecchi», Veltroni, vanno abbandonati «i vecchi schemi», dice. Giudizi che riguardano anche il modo in cui dovrà strutturarsi il Pd: «L’iscrizione non potrà più essere una condizione per partecipare».

Bisognerà vedere quali decisioni prenderà la commissione incaricata di scrivere lo statuto, perché c’è una parte consistente della Margherita e dei Ds che pensa, per dirla con Bersani, che «il tesseramento e l’iscrizione ad un partito non vogliono dire burocrazia, quindi bene i volontari della politica ma devono essere organizzati». Ma intanto Veltroni ha dato un’indicazione molto chiara al riguardo. La sua convinzione è che il popolo delle primarie ha «travolto i modelli del passato» e fatto emergere una nuova figura di protagonista: «Non più l’iscritto-tesserato né il politico professionista remunerato, ma il cittadino-elettore attivo». Una novità che piace alla platea, come dicono gli applausi che scattano, ma che andrà messa al riparo dalle polemiche scoppiate a fine giornata sulle regole.

Pubblicato il: 28.10.07
Modificato il: 28.10.07 alle ore 12.21   
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« Risposta #53 inserito:: Ottobre 30, 2007, 12:27:56 pm »

Walter format

di Edmondo Berselli

Via Marx, Togliatti, Paolo VI e la Guzzanti.

Porte aperte per Moro, De Gasperi, Bobbio, Tocqueville, Jovanotti, Neri Marcorè.

Ecco il nuovo Pantheon dei numi tutelari del Pd quali prorità per il Pd?


I partiti come Dio comanda hanno il Pantheon. Numi tutelari che illuminano il presente e risvegliano echi dalle distanze remote di un passato glorioso. Ma il Partito democratico non è un partito classico. Non ha un passato né una memoria. O meglio, di memorie ne ha due, entrambe poco utili: possiede una parte della memoria del Pci e la memoria della sinistra democristiana. Quindi sarà meglio darsi da fare, alla svelta. Nell'impossibilità di edificare su due piedi il tempio della memoria, Veltroni potrebbe intanto pubblicare il nuovo album delle figurine Panini del Pd.

Meglio che niente, l'album. Perché ogni album che si rispetti, per completare la collezione, deve eliminare i doppioni e gettare nel cestino le figurine fuori stagione. Provare per credere: mettere insieme le figure principali, della politica e soprattutto della cultura, per allestire la nuova costellazione 'democrat', è un'impresa eroica. Implica sacrifici, abbandoni, riesumazioni, recuperi, salvataggi. In parte è un gioco al massacro e in parte un'operazione di cesello.

Vogliamo cominciare? Si comincia dalla figurina numero uno, quella di Palmiro Togliatti: togliere, togliere. Il Pd non può avere niente in comune con la 'doppiezza' e la 'democrazia progressiva' del compagno Ercoli, che allora sarà stato il Migliore, per i comunisti, ma per tutti gli altri mica tanto. Magari, con la benedizione di Rosy Bindi e dei Dico, si potrà salvare un posticino per Nilde Iotti. Al posto di Togliatti, via libera per Alcide De Gasperi, il cattolico liberale che proprio Palmiro voleva mandare via a pedate: "Vattene via, odioso Cancelliere, o ti manderemo via a calci nel sedere".

Ma fatta questa prima ardua scelta, bisogna aprire subito una bustina di figurine ancora più problematiche. Gramsci? Berlinguer? Qui forse si può essere meno radicali, e giocare di distinguo. Il filosofo imprigionato da Mussolini può essere utilmente collocato in una sezione di storici; mentre per Enrico Berlinguer ci vuole una didascalia a luci e ombre: che dimostri la capacità di staccarsi dal blocco sovietico, ma che critichi le contraddizioni e le lentezze dell'eurocomunismo.


Invece via libera ad Aldo Moro, che per il talento di inglobare fenomeni complessi in vaghe nebulose potrebbe essere considerato una specie di Veltroni triste, e sul lato 'radical' a don Milani, un altro dei precursori veltronici (già, 'I care'). E se c'è bisogno di equilibrare il prete di 'Esperienze pastorali' sul lato laico, c'è sempre l'ombra di Norberto Bobbio, che nella sua lunghissima vita e carriera ha parlato di tutto, e che dunque può essere chiamato a suffragio nel caso di problemi indecidibili, come autorità filosofica e giuridica rassicurante.

Poi conviene andare alla radice, e liquidare la genealogia marxista. Tranne Marx, naturalmente, di cui si rifiuterà tutto, dal principio della lotta alla teoria del plusvalore, dalla struttura alla sovrastruttura, salvo il suo genio nel descrivere i processi storici di lunga durata: "Grande ammiratore della modernità borghese", si può concludere osservando in controluce la sua figurina, "basta leggere che cosa dice nel 'Manifesto' del 1848". Invece pollice verso per tutti i filosofi marxisti o marxiani da Lukács in poi, e per i teorici della Scuola di Francoforte, Adorno, Horkheimer, Marcuse (con un'eccezione per Habermas, ma solo perché ha dialogato con Ratzinger).

Se infatti si deve andare alla ricerca di padri fondatori e maestri di pensiero, il vero e sensibile 'democrat' si inchinerà di fronte alla sacra figurina di Alexis de Tocqueville, l'autore di 'La democrazia in America', il pensatore che individuò la sindrome della "tirannide della maggioranza". Ma in certe occasioni si potrà scambiare la figurina di Tocqueville con quella di Max Weber, maestro di ogni prospettiva liberaldemocratica. E poi si potrà andare a caccia dei pensatori moderni, l'insuperato John Rawls di 'Una teoria della giustizia', filosofo contrattualista e neokantiano, l'autore di una delle ultime grandi teorie per 'salvare' concettualmente e politicamente il welfare state; per poi arrivare alla filosofa più trendy, Martha Nussbaum, una sessantenne femminista liberale, costruttrice di un'idea di persona che integra razionalità ed emozioni, e il cui nome si associa inevitabilmente al guru Amartya Sen, l'economista di maggiore successo nell'ultimo ventennio (insieme al critico della globalizzazione Joseph Stiglitz), la cui analisi si è sempre rivolta criticamente allo sviluppo concepito soltanto in termini quantitativi.

Diventano complicate le cose sul piano iconografico, perché a parte John Kennedy, e magari Bob Dylan e Joan Baez, e forse il 'boss' Bruce Springsteen, il Pd nostrano non sembra dimostrare troppa fantasia. Ma niente paura, basta ricorrere al vecchio Jovanotti di 'Penso positivo': "Io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa che parte da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa". Un pensiero troppo eclettico? Ma no, basta interpretarne soprattutto il lato dell'immagine, dell''icona', non le idee. Questo vale anche per i papi di riferimento: addio a Paolo VI, pontefice del dubbio cavernoso, e largo alle immagini di papa Giovanni XXIII, quello della veltronica carezza ai bambini, e all'ipermediatico Karol Wojtyla (di cui vale doppio la figurina che lo rappresenta sul monte Bianco mentre benedice la Russia, salvandola così solennemente dalle tragiche profezie di Fatima). Tanto più che c'è l'altra immagine, quella che lo raffigura mentre dice che ci sono nel marxismo dei "grani di verità", espressione adattissima all'ala sinistra e pensosa del Pd.

Bruce SpringsteenCerto, con i papi e la chiesa bisogna andarci sempre cauti, perché si era già pedissequamente classificato Joseph Ratzinger fra i conservatori, anche in seguito ai peana di Giuliano Ferrara e degli atei devoti, quando lui, Benedetto XVI, viene fuori con la storia che il lavoro precario "mina le basi della società", e spiazza tutti. Meglio scendere di livello, quindi, e passare dal trono di San Pietro alla cultura popolare: per esempio, non si è ancora sentita una parola sull'inno dei democratici. È ormai tramontata la stella di'C'era un ragazzo' di Gianni Morandi, perché troppo legata a un'idea da anni Sessanta-Settanta, quando il Vietnam era 'la sporca guerra', e non si valutava compiutamente la natura geopolitica dell'impegno militare americano. Quindi se si vuole un inno c'è sempre a disposizione l'ormai logora 'Imagine' di John Lennon, che viene cantata anche nei saggi di fine quadrimestre della terza elementare. Tanto varrebbe, pur restando in area Beatles, ripiegare prudentemente su 'Let it Be', che si rivolge alla Madonna e quindi soddisfa le istanze cattoliche; ma è ovvio che per noi ragazzi dei Sessanta l'inno rimane 'È la pioggia che va' ("Il mondo ormai sta cambiando / e cambierà di più / Ma non vedete nel cielo / quelle macchie di blu.": l'hanno suonata anche all'ultimo congresso della Margherita, fra le lacrime dei delegati).

Poi occorrono un romanzo e un film di riferimento. Per il romanzo, sembra ormai molto datato 'Cent'anni di solitudine' di Gabriel García Márquez, troppo sudamericano e marginale rispetto alla globalizzazione; mentre guadagna punti ogni giorno il bestseller di Khaled Hosseini 'Il cacciatore di aquiloni', storia afgana che ha appassionato il largo pubblico, guadagnando masse di lettori con un passaparola incessante.
Quanto al film, si tratterà di aprire un dibattito, perché nonostante il sostegno di Veltroni, molti pensano che 'Novecento' di Bernardo Bertolucci sia una pistolata che doveva celebrare il compromesso storico attaccando la cattiveria dei fascisti e la corruzione dei borghesi (per rinfrescarsi la memoria, si dovrebbe recuperare la stroncatura di Alberto Arbasino, su 'la Repubblica', intitolata 'L'epica nel pollaio').

Joan BaezPer trovare un film autenticamente 'democrat' e anticattivista non dovrebbe esserci che l'imbarazzo della scelta, dallo spilberghiano 'Schindler's List' in giù, magari proprio giù giù fino a 'La vita è bella' di Roberto Benigni; ma molti preferiscono una storia americana tipo 'Come eravamo' di Sydney Pollack, con Barbra Streisand giovane, ebrea e comunista, e Robert Redford bello, scafato e cinico. Oddio, c'è anche il caso che il Partito democratico risulti un fallimento, e allora occorrerà riprendere la figurina del sessantottesco 'Una risata vi seppellirà'. Ma anche in questo deprecabile caso, ci sono ormai alternative secche, decisioni obbligate: addio alle figurine di Sabina Guzzanti, e forse anche di Corrado suo fratello, e benvenuto al pensatore più in palla dell'arena democratica, ossia Neri Marcorè. Perché Neri Marcorè è leggero, gentile, quasi soave, suona la chitarra, imita benissimo il democratico Ligabue. Qualcuno ricorderà la sua versione di una delle canzoni più note di Ligabue: "Una vita da prodiano / sempre a prendere schiaffoni / a tenere tutti buoni / circondato da coglioni / Una vita da prodiano.". Qualche volta nelle figurine, nelle canzoni e nelle parodie, c'è la verità. Democratica.

(26 ottobre 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #54 inserito:: Ottobre 31, 2007, 09:46:10 pm »

Rosetta Loy: «Teniamo la politica lontano dagli affari»
Andrea Carugati


«La prima regola che dovrà valere nel Pd è che la politica è un servizio, non un affare o un modo per arricchirsi». Rosetta Loy, scrittrice, fa parte della Commissione che dovrà scrivere il codice etico del nuovo partito. «Trasparenza» è un altro dei pilastri segnalati da Loy, che spiega: «Io credo che chi

ha pendenze con la giustizia non debba essere candidato dal Pd: valuteremo insieme le modalità precise con cui affermare questo principio. Io credo che la mescolanza tra politica e affari sia la ragione per cui poi i magistrati indagano i politici. Ecco, vorrei che il Pd non desse mai l’occasione ai magistrati di dover scoprire qualcosa di illecito. E, nel caso, che mai un esponente del nuovo partito chieda il trasferimento di un magistrato che indaga su di lui. Un partito onesto, che metta l’onesta tra i suoi valori più importanti. Un partito che segua l’esempio di Enrico Berlinguer, la sua grande rettitudine che è stata un esempio splendido per tutti gli italiani. La mia generazione si è formata così, vorrei che il Pd fosse in grado ancora di avere dei leader che siano dei modelli di moralità per le nuove generazioni.

Loy parla anche del ruolo della politica nel Mezzogiorno: «Dopo le stragi del 1992 c’era stato un risveglio, poi tutto è stato sommerso, siamo tornati a una palude. È tipico dell’Italia: si fanno due passi avanti e poi tre indietro. Ma c’è ancora una esile speranza, e io credo che il Pd sia l’ultima occasione che abbiamo». Quanto al codice etico, Loy pensa a «poche regole ma molto limpide, perché se ce ne sono troppe poi nessuno le rispetta». Vorrebbe un partito «che non nomina suoi esponenti nelle Asl, negli ospedali, nelle Università, che mette un freno al familismo portato all’eccesso». E poi i possibili conflitti di interesse: «Dobbiamo impegnarci per essere i primi a non averne, per questo serve grande fermezza, senza aggressività: bastano le regole. E basta riscoprire l’idea della politica come servizio, che una volta a sinistra era molto diffusa. La politica non deve più essere una carriera redditizia». A proposito di codice etico, Lay cita anche la vicenda dell’Unità: «Vorrei che non venisse acquistata da gruppi che hanno primo obiettivo fare affari in altri campi. Non demonizzo chi fa affari, ma credo che un giornale come l’Unità che ha fatto delle battaglie morali la sua cifra dovrebbe restare fuori da queste logiche. Per questo mi impegnerò con forza, anche se la mia è solo una vocina».

Pubblicato il: 31.10.07
Modificato il: 31.10.07 alle ore 15.25   
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« Risposta #55 inserito:: Novembre 04, 2007, 11:01:08 pm »

Maggioranza femminile nella squadra del nuovo leader

Tutti gli uomini (e le donne) del segretario

Ecco chi sono coloro che affiancano Veltroni nel primo esecutivo del Partito democratico


Goffredo Bettini nasce a Roma nel 1952. Nel 1989 è eletto al consiglio comunale di Roma; ricopre per sei anni la carica di capogruppo del Pds al Comune di Roma. Nel 1997 è nominato assessore ai Rapporti istituzionali del Comune, carica che lascia nel 1999 per diventare presidente della società «Musica per Roma» (Auditorium). Nel 2000 è eletto nel consiglio regionale del Lazio dove ricopre la carica di vice presidente del Consiglio sino al maggio 2001 quando è eletto alla Camera. È attualmente Senatore e presidente della fondazione Cinema per Roma.

Andrea Causin è nato a Mestre il 13 settembre 1972. Dal 1999 al 2002 è stato segretario nazionale dei giovani delle Acli, periodo in cui è stato anche componente del Consiglio nazionale, della Direzione nazionale e della Presidenza nazionale delle Acli. Dal 2002 al 2005 è stato presidente provinciale delle Acli di Venezia. Dal 2002 al 2006 è stato amministratore delegato di due società municipalizzate operanti nel settore dell'energia e dell'ambiente. Nell'aprile 2005 è stato eletto nel consiglio regionale del Veneto, incarico che ricopre tuttora nel gruppo dell'Ulivo-Pd.

Vincenzo Cerami è nato a Roma nel 1940. Allievo di Pier Paolo Pasolini, ha scritto libri, romanzi, sceneggiature (tra l'altro per i film di Roberto Benigni), opere teatrali.

Roberto Della Seta è nato a Roma nel 1959. È sposato e ha un figlio. Dal 2003 è presidente nazionale di Legambiente, dove in precedenza è stato coordinatore del comitato scientifico e curatore del rapporto «Ambiente Italia». Laureato in storia dei partiti politici, ha pubblicato diversi saggi tra cui «La difesa dell'ambiente in Italia. Storia e cultura del movimento ecologista» (2000) e «Dizionario del pensiero ecologico» (2007).

Emanuela Giangrandi, 43 anni, nata a Lugo, in provincia di Ravenna, dove vive. A 21 anni entra nel Consiglio Comunale di Lugo, dove rimane per quattro legislature, fino al 2004. In questo periodo ricopre le cariche di capogruppo, di assessore, oltre che di segretaria comunale del Pds. Nel 2001 è assessore provinciale a Ravenna, incarico che riveste tuttora, con le deleghe al bilancio e programmazione finanziaria. Politiche sociali, sanitarie e dell'immigrazione. Cooperazione sociale. Convive con Stefano, avvocato, conosciuto sui banchi del consiglio comunale di Lugo, dove svolgeva il ruolo di capogruppo di Forza Italia.

Maria Grazia Guida, nata ad Amatrice (Rieti) nel 1954. È sposata ed ha una figlia di 26 anni. Ha lavorato come assistente sociale in servizi istituzionali pubblici delle ASL, ed in particolare dal 1981 presso il Comune di Milano, prima come assistente sociale e successivamente ha rivestito la carica di Funzionario responsabile di Area di Servizi. Si è occupata di minori, famiglie in difficoltà e anziani. Dal 2001 ha iniziato una collaborazione con don Virginio Colmegna operando in Caritas Ambrosiana fino al 2004. Dal 2004 si occupa della direzione della fondazione Casa della carità di Milano. Da circa un anno ricopre la carica di vice presidente del Centro ambrosiano di solidarietà di Milano, che si occupa di giovani con problemi di dipendenza, salute mentale e progetti di coesione sociale nei quartieri difficili della città di Milano.

Laura Pennacchi è nata a Latina il 9 luglio del 1948, vive a Roma. È madre di due figli, Emanuele di 27 anni, Francesca di 29 anni. Si è laureata in Filosofia presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Economista e docente autrice di numerosi saggi, Laura Pennacchi è stata parlamentare dei Ds e sottosegretario al Tesoro con Carlo Azeglio Ciampi.

Roberta Pinotti è nata a Genova il 20 Maggio 1961. Sposata, 2 figlie Elena e Marta di 14 e 6 anni. Laureata in lettere, insegnante di ruolo di scuola media superiore. Una lunga esperienza negli scout. È assessore della Provincia di Genova dal 1993 al 1997. Nel 1997, dopo l'elezione in Comune, diviene assessore fino al 2000, quando è eletta segretaria della Federazione di Genova dei Ds, prima e finora unica donna a ricoprire questo incarico. Nel 2001 è eletta deputata e lavora nella commissione Difesa, di cui diviene Presidente dopo la rielezione al Parlamento nel 2006. Anche per questo incarico è la prima volta per una donna.

Lapo Pistelli è nato a Firenze il 20 giugno 1964. Sposato con Maria, ha tre figli. Docente di scienze politiche all'Università di Stanford a Firenze e di comunicazione politica all'Università di Firenze. Giornalista dal 1991, ha fondato e diretto dal 1987 al 1995 il Centro toscano di documentazione politica. Consigliere comunale a Firenze dal 1985 al 1995 e assessore alla Scuola dal 1992 al 1995 è stato eletto con l'Ulivo alla Camera dei Deputati nel 1996 e nel 2001 ed è stato membro delle Commissioni Affari Costituzionali e Affari Esteri e dell'Assemblea parlamentare dell'Osce. Coordinatore della segreteria del Ppi dal 1999 al 2001, membro dell'Esecutivo e della Presidenza della Margherita è stato eletto al Parlamento Europeo nel 2004 ed è oggi capodelegazione.

Andrea Orlando. Nato alla Spezia nel 1969, è eletto nel Consiglio Comunale della sua città, La Spezia, dal 1990 fino al 2007 risultando, per due volte, il consigliere che ha raccolto il maggior numero di preferenze. Nell'ambito dell'attività amministrativa svolge prima la funzione di capogruppo del Pds in Consiglio Comunale(1993-1997), poi quella di assessore alle Attività Produttive e successivamente all'Urbanistica (1997-2002). È stato segretario provinciale dei DS (2001-2003) e componente della segreteria regionale. Dal 2003 assume incarichi presso la Direzione Nazionale dei DS, prima come vice responsabile del dipartimento organizzazione, nel 2005 assume la direzione del dipartimento enti locali, incarico che lascia nel 2006 per assumere quello di responsabile organizzativo nell'ambito della Segreteria Nazionale dei Ds. Nello stesso anno, alle elezioni politiche, è eletto deputato nella Circoscrizione Ligure nelle liste dell'Ulivo. In Parlamento è stato membro della Commissione Bilancio e poi di quella Politiche Comunitarie.

Annamaria Parente è nata a Napoli il 17 settembre del 1960 e attualmente è responsabile del Coordinamento Nazionale donne della Cisl. Nella sua città si è laureata nel 1985 in Filosofia. La sua prima esperienza lavorativa è presso l'Ente poste di Napoli. Inizia il suo percorso sindacale nel 1986. È stata componente della segreteria regionale del Slp (Sindacato Lavoratori Poste) della Campania, responsabile Formazione dell'Ust (Unione Sindacale Territoriale) di Napoli. Dal 1995 è responsabile del Coordinamento Nazionale donne della Cisl Confederale. Ha rappresentato e rappresenta la Cisl nei seguenti organismi: Commissione Nazionale Parità dove è stata nominata anche vice presidente, Comitato Pari Opportunità presso il Ministero del Lavoro, Comitè des femmes della Confederazione Europea dei Sindacati (CES) e Comitè des femmes della Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi. L'8 marzo 2004 è stata nominata Ambasciatrice di Pace dal Centro di Pace tra i popoli di Assisi. È sposata ed è madre di un bambino Ennio di 7 anni.

Maria Paola Merloni, nata a Roma nel 1963, una figlia, Maria Vittoria, di 14 anni, è un'imprenditrice con un lungo curriculum di inacarichi. È stata presidente di Confindustria Marche. Nel 2006 è stata eletta alla Camera nelle liste della Margherita.

Federica Mogherini è nata a Roma il 16 giugno del 1973, è sposata ed ha una figlia di tre anni. È laureata in Scienze politiche con una tesi sul rapporto tra religione e politica nell'Islam. Nel 1996 si è iscritta alla Sinistra giovanile. Nel 2001 è entrata nel Consiglio Nazionale dei DS, successivamente nella Direzione Nazionale e nel Comitato Politico. Nel 2003 ha iniziato a lavorare al Dipartimento Esteri dei DS, prima come responsabile del rapporto con i movimenti, poi come coordinatrice del Dipartimento, e da ultimo come responsabile delle Relazioni Internazionali. Ha seguito in particolare i dossier relativi all'Iraq, l'Afghanistan, il processo di pace in Medio Oriente. Ha tenuto le relazioni con il Pse, l'Internazionale Socialista, ed i partiti che ne fanno parte. Ha curato in particolare i rapporti con i Democratici americani. È stata eletta all'Assemblea Costituente del Partito Democratico nel collegio 14 di Roma.

Alessia Mosca, 32 anni, è membro della segreteria tecnica del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Ha lavorato al Parlamento europeo e nell'ufficio relazioni istituzionali e internazionali di Alenia Aeronautica. Laureata in filosofia, ha conseguito il Master of International Affairs presso l'Ispi e il Master in International Relations presso la School for Advanced International Studies della Johns Hopkins University. Ha inoltre conseguito un dottorato di ricerca in Scienza della Politica, con specializzazione in studi comunitari, all'Università di Firenze con una tesi sull'europeizzazione dei partiti italiani. Ha insegnato all'università Lorenzo dè Medici di Firenze e come visiting professor, all'università Cattolica di Milano. Ricercatrice dell'Arel, ha pubblicato diversi articoli sulle politiche dell'Unione europea e ha curato il volume Europa senza prospettive? Come superare la crisi con il bilancio Ue 2007-2013 edito da Il Mulino. È membro dell'Aspen Junior Fellows, della Sisp (Società Italiana di Scienza Politica) e di Eusa (European Union Studies Association). È stata vice presidente dello Yepp (Youth of the European Peoplès Party) e membro della direzione nazionale della Margherita.

Ermete Realacci è Presidente della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati ed è presidente onorario di Legambiente. Nato a Sora, in provincia di Frosinone, il primo maggio 1955, vive a Roma. Ha guidato fin dai primi anni Legambiente - di cui è stato segretario dal 1983 al 1987 e poi presidente. È da anni in prima fila nell'impegno per un'azione forte ed incisiva contro l'aumento dell'effetto serra e i cambiamenti climatici. Presiede l'Aies, Associazione interparlamentare per il commercio equo e solidale, ed è vicepresidente del Kyoto club, il network di istituzioni e imprese impegnate per la riduzione dei gas di serra.Ha promosso e presiede Symbola Fondazione per le qualità italiane. È autore del libro Soft Economy

Giorgio Tonini ha 48 anni, sposato con 7 figli, vive a Trento, dove è stato eletto senatore per l'Unione-Svp. È vicepresidente della Commissione Esteri di Palazzo Madama. Laureato in filosofia, è giornalista professionista. Negli anni dell'Università è stato presidente nazionale della Fuci. Tra i fondatori dei Cristiano sociali, ha fatto parte con Walter Veltroni della Segreteria dei Ds. È stato uno dei 12 saggi che hanno redatto il Manifesto per il Pd. È stato eletto alla Costituente nel collegio di Lavis nella lista Democratici con Veltroni.

Rosa Maria Villecco Calipari senatrice Ds eletta nel 2006 nella circoscrizione Calabria, è componente della 4° Commissione permanente (Difesa) e della Commissione d'inchiesta sul fenomeno della mafia. È membro della Delegazione italiana presso l'Assemblea dell'OSCE. Nata a Cosenza il 24 novembre 1958. Laurea in Scienze economiche e sociali nel 1982. Dopo la laurea, libera professione (commercialista). In seguito funzionario al ministero dell'Economia e delle Finanze. Dal 1999 dirigente della Presidenza del Consiglio.


04 novembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #56 inserito:: Novembre 04, 2007, 11:07:55 pm »

Bersani: «Io dico che il Pd deve essere un partito vero»

Simone Collini


«Noi abbiamo detto che vogliamo fare un partito nuovo, e queste sono due parole: partito e nuovo. Bisogna essere fedeli a entrambe». In un’intervista a l’Unità.

Pierluigi Bersani ribadisce la sua posizione nel dibattito sul Pd: «Un partito senza tessere vuol dire un partito in cui contano soltanto alcune tessere, punto e basta».

Pier Luigi Bersani sta per partire per un viaggio che lo porterà in Romania e Bulgaria. Anticipa il ministro per lo Sviluppo economico: «Diremo che la profondità dei rapporti economici che abbiamo con loro potrà continuare e anche migliorare se c’è una corresponsabilità molto forte su aspetti che riguardano i temi della legalità, della sicurezza, dei flussi. Io credo che il governo rumeno vorrà ritenere un suo problema questo nostro problema». Ma c’è anche un’altra partenza a cui Bersani guarda con attenzione, quella del Partito democratico. «Noi abbiamo detto che vogliamo fare un partito nuovo, e queste sono due parole: partito e nuovo. Bisogna essere fedeli a entrambe».

Ancora preoccupato che il Pd possa essere un “partito liquido”, ministro Bersani?
«Ho denunciato il rischio del partito liquido non per nostalgia o per passatismo, ma con l’idea che l’innovazione che dobbiamo fare deve avere basi credibili ed efficaci».

Cos’è che la preoccupa?
«Ho denunciato quel rischio per tre motivi fondamentali. Primo, perché in un’epoca di dissociazione non solo tra politica e società ma anche dentro la stessa società, non bisogna dimenticare che c’è una responsabilità della politica nella coesione e anche nella costruzione di una cittadinanza comune. E un partito liquido sarebbe un prodotto di questa dissociazione, non una contromisura. Secondo, un partito liquido finirebbe per ridurre un punto di forza che potenzialmente abbiamo, che è quello della partecipazione. Essere davvero ogni giorno in ogni luogo per noi può essere un vantaggio strategico. E il nostro radicamento deve svilupparsi, non ridursi».

Un partito senza tessere lo farebbe ridurre?
«Un partito senza tessere vuol dire un partito in cui contano soltanto alcune tessere, punto e basta. Ma non è solo questo, perché c’è anche un terzo motivo dietro la mia denuncia: un partito liquido finirebbe per ridurre l’ambizione che dobbiamo avere di dire qualcosa di utile alle forze progressiste europee. Quando invece noi possiamo aiutare con la nostra esperienza un’evoluzione dei partiti progressisti europei. Un campo che noi possiamo contribuire a far evolvere e che non dobbiamo abbandonare».


Lei ha detto a cosa porterebbe un partito liquido, ma qual è la definizione di partito liquido?
«Un partito che sottovaluta l’esigenza di avere un principio di adesione e un’organizzazione, che non sia identitaria o chiusa, ma che sia invece la sala macchine della partecipazione e anche il cervello di costruzione delle proposte politiche».

E invece, come dovrebbe essere secondo lei il Pd?
«Un partito di chi partecipa e di chi aderisce, nel quale chi aderisce si prende qualche responsabilità in più. Sono convinto che noi dobbiamo assolutamente fare qualcosa di veramente nuovo, dobbiamo usare le primarie largamente, avere un’organizzazione capace di collegarsi con livelli associativi, con dei forum, con delle adesioni collettive. Penso anche a un partito che nei percorsi congressuali sappia attivare un dialogo con l’esterno, con i cittadini, che abbia dei meccanismi fuori-dentro e che quindi produca una selezione di gruppi dirigenti scegliendo quelli che sono più capaci di interpretare quello che c’è fuori, non solo quello che c’è dentro».

Cosa richiede un partito del genere?
«Uno statuto che descriva questi meccanismi e un’organizzazione di volontari della politica che siano rintracciabili tutti i giorni, in tutti i luoghi».

La commissione per lo statuto presto si metterà al lavoro.
«Sarà il luogo di progettazione di questo partito nuovo, ma penso anche, visto che abbiamo convocato le assemblee regionali e quelle territoriali, che la stessa commissione statuto debba ricevere impulsi, suggerimenti, idee da queste assemblee. E anche che le proposte possano trovare un momento di discussione più larga nel paese, perché siamo di fronte a un passaggio assolutamente cruciale».

Perché cruciale?
«Perché adesso è il momento di mettere radici. Le prime decisioni prese da Veltroni insieme ai segretari regionali sono positive, perché ci danno la possibilità di insediare subito sui territori una prima forma di organizzazione. Ora si può lavorare a un allargamento delle platee provinciali, che potranno essere composte quindi non solo dagli eletti alla costituente di ogni provincia ma anche da eletti dalle assemblee di base. Questo ci consente di avere una struttura già abbastanza radicata».

È stato deciso un percorso del genere?
«Non è tutto deciso, ma lo considero un percorso possibile. Quando dico che adesso è il momento di mettere le radici, intendo dire che le scansioni decise vanno interpretate in senso pienamente democratico: allarghiamo le assemblee provinciali agli eletti dalla base, costruiamo subito le unità di base con dei coordinatori, facciamo in modo che le assemblee provinciali e regionali possano dire qualcosa in termini propositivi sulle decisioni che verranno prese dalla commissione statuto e dall’assemblea costituente».

Quali dovrebbero essere secondo lei i punti cardine dello statuto?
«Quelli su cui si fonda quel dentro-fuori che dicevo. Lo statuto secondo me dovrebbe dire in quali circostanze l’organizzazione indice le primarie, fissandone i criteri. Dovrebbe decidere che gli appuntamenti congressuali devono vivere anche di partecipazione esterna al partito, fissare la possibilità di adesioni anche collettive, stabilire quali sono i diritti essenziali degli aderenti in termini prima di tutto di partecipazione alle decisioni politiche e fissare gli equilibri dell’assetto federale del partito. Io credo inoltre che la vita del Pd dovrà organizzarsi per confronto politico, e che non potranno esserci nomine o elezioni a prescindere da piattaforme di tipo politico-programmatico».

Il congresso va fatto in tempi brevi?
«Intanto, è molto importante che fino al livello provinciale insediamo comunque platee e coordinatori che costituiscono già un radicamento sul territorio. Dopodiché io penso che, naturalmente con i tempi della politica, la decisione sullo statuto dovrà indicare anche nella sua prima applicazione un percorso di tipo congressuale. E credo che lì e solo lì possa capirsi come potrà articolarsi il pluralismo di questo partito».

Che intende dire?
«In questa fase costituente è giusto rimuovere ogni pratica correntizia. Dobbiamo lavorare tutti, ciascuno con le proprie idee, per mettere in piedi un partito davvero nuovo e bisogna guardarsi da eventuali logiche di posizionamento. Dopodiché, costruita la struttura del partito, dispiegato con chiarezza il percorso e la prima attuazione dello statuto, ci sarà naturalmente tutta la possibilità di determinare su basi politiche e programmatiche tutto il pluralismo che sarà utile e necessario».

Un’anticipazione?
«Quello che ho in testa io è un nuovo, grande partito di una sinistra democratica. Anzi, se devo dire la cosa che finora mi ha lasciato un po’ perplesso è che la parola sinistra l’ho sentita raramente e solo per dire cosa ha sbagliato fin qui. E invece credo che la parola sinistra deve essere riempita di contenuti nuovi, che debba essere coraggiosamente reinterpretata ma non abbandonata. In quella parola c’è una chiave fondamentale di valori che può spingere in avanti il nostro progetto per la società italiana».


Pubblicato il: 04.11.07
Modificato il: 04.11.07 alle ore 8.31   
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« Risposta #57 inserito:: Novembre 04, 2007, 11:22:12 pm »

FATTO IL PARTITO OCCORRE FARE I DEMOCRATICI


Carissimi amici della Costituente, fatto il Partito ora occorre fare i Democratici.


E non sarà semplice.

Walter Veltroni ha sufficiente talento e capacità per riuscirci, ma sarà cosa lunga e faticosa. Su quello che è successo in chiusura della Costituente, Rosy Bindi ha interpreto un pensiero diffuso. Credo sia stato un peccato di ingenuità proporre l’approvazione di alcune regole comuni in chiusura dell’assemblea. Così frettolosamente. Forse di fronte a qualche spiegazione in più nessuno si sarebbe
lamentato.

Col tempo i comportamenti verranno affinati. Così la “governance” del PD.
Come in tutte le comunità ci vuole chi lancia il cuore in avanti e chi richiama all’ordine ed al rispetto delle regole come fa giustamente Rosy Bindi, alla quale va tutta la mia simpatia. Su una cosa mi permetto di insistere. Se, come vogliamo tutti, il Partito Democratico deve essere viva espressione di una fetta della società italiana e non di tesserati, allora il Segretario dovrà passare dal ruolo di guida, che tradizionalmente veniva attribuito ai partiti continentali di matrice ottocentesca, al ruolo rappresentanza: altra figura ed altro stile.

Siano ben consapevoli i costituenti che scriveranno le regole interne del PD, che il nostro Segretario quando parlerà al suo Partito (come ha fatto sabato scorso) parlerà anche alla società italiana. Che quando farà il suo mestiere, dovrà sentire la strada da percorrere e non imporla. Che quando stringerà una mano, dietro di lui avrà il grande popolo della sinistra e non solo i suoi tesserati o i suoi attivisti.

Appunto, altra figura ed altro stile rispetto ad ogni passato più o meno remoto, quindi regole e poteri diversi da quelli tradizionali.

Con l’occasione, non avendolo fatto chi doveva durante la Costituente, ringrazio io a nome del “tiket” Gawronski-Schettini (perché questo era, nonostante sia passato inelegantemente sotto silenzio) tutti i pochi ma buoni che ci hanno votato, tutti i nostri candidati, tutti i nostri sostenitori. Grazie a tutti. Ora ci aspetta un’altra stagione.

Mi permetto di estendere i miei personali complimenti anche a Nico Stumpo ed ai ragazzi di Santi Apostoli per il loro bel lavoro organizzativo della Costituente, atto primo.


Jacopo G. Schettini


da ulivo.it
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« Risposta #58 inserito:: Novembre 05, 2007, 04:03:52 pm »

Franceschini: «Non portiamo vecchie abitudini nel nuovo Pd»

Simone Collini


«C’era un impegno a innovare e a uscire dalla logica delle quote. Lo abbiamo mantenuto». Dario Franceschini non nasconde la propria soddisfazione per l’esecutivo del Partito democratico nominato ieri. «L’ampia presenza femminile, l’età media attorno ai 40 anni, il fatto che ci siano persone provenienti dalla società civile e altre che hanno esperienza di partito: mi pare un bel mix». E questo, promette il vicesegretario del Pd, «è lo spirito con cui andremo avanti».



Innovare ma fino a che punto? Bersani a l’Unità ha detto: bene il nuovo, purché non ci si dimentichi che il Pd deve essere un partito, con tutto quel che ne consegue.



«I tre milioni e mezzo che hanno partecipato alle primarie non mi pare che siano andati a votare con uno stato d’animo del tipo: bravi, andate avanti così. Ci hanno detto: vi diamo questo credito, ma spendetevelo per un’azione profonda di cambiamento. E questo vale per le scelte politiche, cioè per gli argomenti da affrontare, per i comportamenti individuali e collettivi, perché non vorrei che si ritenesse risolto il tema della diffidenza nei confronti delle classi dirigenti solo perché è scomparso dalle prime pagine, e per la forma del partito a cui vogliamo dar vita. Questi tre messaggi bisogna saperli interpretare».



La questione è: come si fa a dar vita a un partito nuovo senza sfociare nella categoria del “liquido”?



«Intanto, alle volte vedo messe in contrapposizione teorie che non sono poi così distanti tra loro. Capirei se ci fossero in campo due posizioni, una del tipo “voglio fare un partito senza iscritti e senza organi” e l’altra del tipo “voglio fare un partito di militanti che si riuniscono nelle sezioni a porte chiuse”. Ma non è questa la discussione che si sta sviluppando in questi giorni».



Perché quelli sono due estremi: qual è il giusto mix, per dir così, secondo lei?



«Partiamo da una considerazione: è oggettivo che siamo in un tempo in cui il rapporto tra impegno politico e opinione pubblica è completamente diverso rispetto al passato. Prima c’era uno schema abbastanza netto, c’era chi si impegnava e chi osservava. Oggi non esiste più una distinzione del genere, ci sono molti modi diversi di scegliere la strada dell’impegno. Che può essere su un argomento locale, su un grande tema globale, che può essere a termine, perché ci può essere chi decide di impegnarsi per alcuni mesi perché nella sua città si discute, per dire, di un inceneritore o di un campo nomadi. E poi ci sono varie modalità di impegno, i comitati, le associazioni, c’è la rete che ti consente di far parte di una comunità che discute un argomento senza per questo andare fisicamente in un luogo determinato».



Questo per dire cosa?



«Che non possiamo pensare di costruire un partito che porti pigramente in un contenitore nuovo le abitudini organizzative dei contenitori precedenti».



Abitudini da abbandonare?



«Attenzione, non sto dicendo che dobbiamo buttare via quella che si chiama la militanza permanente, è una ricchezza e sarebbe folle disperderla. In Italia, contrariamente a quanto avviene negli Stati Uniti ma anche in diversi paesi europei, ci sono decine di migliaia di persone che ritengono la militanza una parte della loro scelta di vita, che stanno nelle cucine delle Feste dell’Unità, che distribuiscono il materiale del partito, che animano la vita delle sezioni. Persone che sono uno dei motivi principali della riuscita delle primarie, perché se la mattina del 14 ottobre la gente non è impazzita a trovare i seggi dove votare è grazie a una mano che infilato nelle buchette della posta volantini e facsimili delle schede con tutte le informazioni necessarie. Questo è un patrimonio straordinario, che va mantenuto e valorizzato».



Però?



«Però le decisioni, sull’elezione degli organi dirigenti così come sulle scelte politiche rilevanti, non possono più essere prese come era in passato soltanto da loro. Il partito deve cioè aprirsi esattamente come ha fatto alle primarie, aggiungere ai militanti permanenti quelli che vogliono contribuire a fare una scelta piuttosto che un’altra, perché pur decidendo di non impegnarsi a tempo pieno si sentono parte di un disegno politico. Di fronte a tutte le scelte locali e nazionali dobbiamo adottare questo stesso equilibrio e questa stessa apertura. E anche la forma partito deve rispondere a questa esigenza».



Si è spesso detto che il Pd sarà un partito federale: che ruolo dovranno avere i segretari regionali?



«Saranno pienamente coinvolti nelle scelte, ovviamente. Ed è chiaro che scriveremo insieme alle regioni lo statuto nazionale, che deve lasciare ampi margini di autonomia nel modello di partito regionale. È infatti evidente che il tessuto sociale, il rapporto consenso-classe dirigente non è uguale in tutte le regioni».



L’autonomia fino che punto può arrivare? Per dire, è pensabile che il Pd in qualche regione vada al voto con alleanze diverse da quelle esistenti a livello nazionale?



«Io penso che siamo dentro a un sistema in cui l’omogeneità delle alleanze è un dato ormai presente nel dna del bipolarismo italiano. Discuteremo, vedremo. In ogni caso, non ci saranno imposizioni romane».



Bersani parla della possibilità di adesioni collettive, lei che ne pensa?



«Mi sembra un’ottima idea, perché il tessuto italiano attualmente è fatto anche di tanti piccoli gruppi. Quindi se vuole aderire un circolo, un’associazione, mi pare si tratti di una cosa assolutamente da prevedere. Anche perché io immagino il Pd come una specie di arcipelago in cui non ci sia un’organizzazione precostituita solo sul modello territoriale: la sezione nel tal paese, nel tal comune, nel tal quartiere. Ma che sia quantomeno integrata con persone che vogliono aggregarsi per temi. Non mi scandalizzo nemmeno di fronte ad aggregazioni per filoni culturali».



Non teme il rischio di sfociare per questa via nelle correnti che tanto volete evitare?



«Correnti nel senso di apparati di tessere che fanno riferimento all’onorevole Tizio o Caio, quelle il cui termine è coniugato sul cognome del leader, per intenderci, non ci saranno. Che ci siano delle aree culturali di riferimento invece non mi scandalizza. La sfida vera è comunque fare in modo che ci si aggreghi, ci si divida, ci si scontri, tutto quello che avviene in un grande partito insomma, non sulla base delle provenienze ma sulla base di quello che vogliamo fare per il futuro».



Bersani è rimasto perplesso per il fatto che la parola sinistra sia stata pronunciata molto raramente e solo per dire cosa ha sbagliato fin qui. Perplessità comprensibile?



«Un grande partito non sarà mai un partito identitario. L’Italia è piena di partiti identitari e infatti sono tutti medio-piccoli o piccolissimi. In un grande partito come questo ci sarà una parte più di sinistra e una parte più moderata, ci saranno i laici e i cattolici, gli ambientalisti e i liberali. Nessun può pensare di far prevalere la propria identità sulle altre. Il punto è farle convivere, tutte insieme. E sono convinto che la scelta di eleggere direttamente il leader dà la forza a chi gestisce la fase costituente di governare questo processo. Cioè un arcipelago così articolato ed eterogeneo poi trova il punto di sintesi nella leadership. È facile pensare cosa sarebbe potuto succedere se a gestire questa fase avessimo avuto uno speaker nominato dall’assemblea costituente».

Pubblicato il: 05.11.07
Modificato il: 05.11.07 alle ore 8.45   
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« Risposta #59 inserito:: Novembre 07, 2007, 12:17:21 am »

Foreign Office Veltroni

di Marco Damilano


Stati Uniti, Chiesa, Israele.

Gli ambienti economici internazionali.

I governi europei.

Per il neo leader del Pd tutte roccaforti da conquistare.

I suoi ambasciatori sono già al lavoro. Ecco chi sono


Un diplomatico di carriera nello staff del Campidoglio c'è davvero, prudente e riservato come impone il rango: Michelangelo Pipan detto Miki, piemontese, 58 anni, amante dello sci e delle piste del Sestriere, primo ambasciatore italiano in Georgia nel gennaio 2000, un passato nella cooperazione internazionale in Africa e nella cooperazione culturale. Due caratteristiche molto apprezzate da Walter Veltroni che nel luglio 2006 lo ha scelto come suo consigliere diplomatico: è l'unico sindaco italiano che ne sfoggia uno. Normale per un ruolo che negli anni di Veltroni si è trasformato in un ministero degli Esteri-ombra, soprattutto quando con il governo Berlusconi in carica il centrosinistra non ricopriva altri incarichi istituzionali. Spetta a Pipan organizzare la fitta agenda internazionale di Veltroni, destinata ad aumentare nelle prossime settimane. Tutti gli altri, invece, sono ambasciatori informali: con il compito di fare da collegamento tra il nuovo leader del Pd e gli ambienti più lontani da raggiungere. Una rete di contatti a tutto campo per arrivare dove non è facile per nessuno: gli Stati Uniti, la Chiesa, Israele, gli ambienti economici internazionali, i governi europei. Mondi solo in apparenza lontani che storicamente contano moltissimo nella politica italiana e sulla scelta di chi governerà nei prossimi anni, destinati a essere al centro nelle prossime settimane di un'offensiva diplomatica veltroniana.

Con Benedetto XVI il primo incontro di Veltroni da leader del Pd sarà con tutta probabilità l'8 dicembre, quando il papa si fermerà in piazza di Spagna a pregare sotto la statua dell'Immacolata concezione e come da tradizione sarà accolto dal sindaco. Con Hillary Clinton l'ultimo incontro risale a due anni fa, quando Veltroni visitò gli uffici della Clinton Foundation a Manhattan. Per ora in programma, di sicuro, c'è la partecipazione alla
Convention democratica prevista dal 23 al 28 agosto 2008 a Denver: per Veltroni è un ritorno, nel 1992 partecipò da direttore dell''Unità' a quella di New York che nominò Bill Clinton come candidato sfidante del repubblicano George Bush senior. Andò bene, per tutti e due. E con l'establishment economico e finanziario incuriosito dalla novità rappresentata dal Pd è partito un primo annusamento: allo studio c'è la possibilità di tenere una riunione informale nel corso del forum di Davos previsto per fine gennaio. Una sessione aperta al caso italiano, dove potrebbero partecipare Luca Cordero di Montezemolo, Alessandro Profumo, Corrado Passera e naturalmente Veltroni, insieme a una lista selezionata di operatori economici, banchieri, economisti, finanzieri, con l'obiettivo di presentare l'Italia che presiederà il G8 nel 2009, ma anche il neo-segretario del Pd conosciuto come sindaco di Roma, ma ancora poco noto come leader nazionale.

Già nel giugno 2004 un rapporto riservato del Dipartimento di Stato segnalava che Veltroni era l'unico leader in grado di unire la sinistra: "Ha gestito con equilibrio e tatto la recente visita del presidente Bush a Roma e può diventare uno sfidante, ha guadagnato il rispetto perfino di alcuni degli elettori romani di centrodestra, consentendo grande libertà alla sinistra senza ignorare i centristi". Negli States il leader del Pd può contare su molti buoni amici. Per esempio Kerry Kennedy, la figlia di Bob, ormai di casa in Campidoglio, che ha spalancato al sindaco molte porte che contano nell'entourage clintoniano, e non solo: il sindaco di Roma è stato tra i primi a scoprire la stella di Barak Obama e ha firmato l'introduzione dell'edizione italiana del suo libro 'L'audacia della speranza'. E poi ci sono in dote al Pd le buone relazioni costruite negli anni da Ds e Margherita con i think-tank democratici: il Center for american progress del senatore John Podesta, ex capo di gabinetto di Bill Clinton alla Casa Bianca, il più attento alle cose della politica italiana, il Democratic leadership Council, sempre di area clintoniana. A far la spola con Oltreatlantico per conto della segreteria Ds prima e ora di Veltroni c'è la romana Federica Mogherini, 34 anni, esperienze nei giovani del Pse, ma anche nei social forum di Porto Alegre, moglie di Matteo Rebesani che per Veltroni cura le relazioni internazionali al Comune di Roma. Sul versante Margherita c'è l'europarlamentare Lapo Pistelli, che si è fatto da spettatore la convention democratica dell'88 ("Ho scoperto l'America prima di Veltroni", scherza) e che partecipa a tutti gli incontri diplomatici con i partiti socialisti europei. Veltroni vanta buoni rapporti personali con gli innovatori: Peter Mandelsson nel Labour inglese, il premier spagnolo José Luis Zapatero e soprattutto il sindaco di Parigi Bernard Delanoë, l'uomo della rivincita del Ps francese che si candida a lavorare sulle macerie lasciate in campo socialista dalla sconfitta elettorale di maggio contro Nicolas Sarkozy: modello Roma, modello Veltroni.

Anche sul versante mediorientale l'ascesa nazionale di Veltroni rappresenta una svolta. Come si è visto un mese fa, quando il presidente di Israele Shimon Peres in visita a Roma ha pranzato in Campidoglio con l'amico Walter, "uno dei più grandi costruttori di pace, una persona di fatti e non di parole", come lo ha definito. Da anni, Veltroni è il politico di sinistra più popolare in Israele, insignito un anno fa del premio Menorah d'oro per i personaggi che si sono distinti per il dialogo con la comunità ebraica. Complice il legame stabilito con la comunità romana in tutte le sue varie anime, da Riccardo Pacifici a Emanuele Di Porto a Victor Magiar, sempre presenti con il rabbino Riccardo Di Segni nelle iniziative del Comune. Walter ricambia: in prima fila alle fiaccolate di solidarietà con Israele contro l'Iran e perfino alla veglia di preghiera per Sharon. Sono distanti le polemiche che hanno spesso diviso il ministro degli Esteri Massimo D'Alema dagli ebrei italiani.

Gli ambienti più difficili da agganciare sono altri: Milano, per esempio, nonostante lo sbarco in massa della gens veltroniana per la Costituente del 27 ottobre. "Nel suo discorso ha citato figure antiche e stereotipate: Grassi, Strehler, Montanelli", sottolinea Gad Lerner che da capolista di Rosy Bindi nel collegio Milano centro ha prevalso sui candidati di Walter. I suoi rapporti in città, spiegano i maligni, cominciano e si fermano in via Bigli, dove hanno casa i Moratti, Massimo e Milly, e i Tronchetti Provera, Marco e Afef. Sono loro gli ambasciatori di Walter tra quel che resta delle grandi famiglie del Nord e i salotti milanesi: c'è ancora molto da fare, evidentemente.

Lo stesso vale per il dirimpettaio di Veltroni a Roma, il potere ecclesiastico, il Vaticano. Nonostante le tante liturgie religiose cui si sottopone il sindaco,il feeling con papa Ratzinger non è decollato. L'ambasciatore in Curia e con monsignor Giuseppe Betori, segretario della Cei, è lo storico Andrea Riccardi, leader della Comunità di Sant'Egidio, amico da sempre di Veltroni. Un contatto prezioso da attivare nelle missioni riservate: come quando un anno fa, dopo il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI che aveva scatenato la reazione anti-cattolica del mondo islamico, il sindaco fece sapere alla Curia vaticana che avrebbe parlato dagli schermi di Al Jazeera. Il suo intervento di pacificazione fu gradito. Più di recente è nata una simpatia con monsignor Rino Fisichella, possibile successore del cardinale Camillo Ruini come Vicario.

Alla fine, l'ambasciatore di Veltroni più attivo resta l'amico di sempre: "Sono tra i milioni di italiani che hanno un buon rapporto con Gianni Letta", non si stanca di ripetere Walter. È stato Letta a far sapere a Veltroni che Berlusconi avrebbe evitato con il Pd i toni aggressivi che utilizza con il governo Prodi. E spetterà a Letta far dialogare a distanza i due, Silvio e Walter, sulle questioni più delicate: legge elettorale e percorso di fine legislatura. Ambasciatore di Berlusconi presso Veltroni, ma anche viceversa. Pronto a entrare in azione nelle prossime settimane.

(05 novembre 2007)

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