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Autore Discussione: Marco TRAVAGLIO -  (Letto 123219 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Novembre 16, 2008, 10:01:50 am »

MARCO TRAVAGLIO E LA P2: CONSIDERAZIONI

La P2 è viva e lotta con noi

L’intervento di Marco Travaglio sul blog di Beppe Grillo

 

"Buongiorno a tutti.

Stavo scartabellando tra le mie carte che riguardando la P2, perché voi sapete che la P2 non dico che sta tornando, bisognerebbe presupporre che se ne sia mai andata e in realtà è sempre stata qui e lotta sempre insieme a noi.
Forse sarebbe interessante capire le ragioni della preoccupazione di alcuni a proposito del ritorno di Licio Gelli in televisione al posto di Aldo Biscardi - l'evoluzione della specie è notevole - e che cosa fosse la P2.
Purtroppo chi è nato dopo il ritrovamento delle liste ne ha sentito parlare ma non ha vissuto quel clima.
Ricordo che le liste della P2 furono ritrovate negli uffici di Castiglion Fibocchi del venerabile maestro Licio Gelli nel marzo del 1981 dalla guardia di finanza, mandata da due magistrati milanesi, Giuliano Turone e Gherardo Colombo.
Che cos'era la P2, anzitutto? Era una loggia partita regolare del Grande Oriente d'Italia, divenuta border line e alla fine, dopo la scoperta di quello che aveva combinato, addirittura sconfessata dal Grande Oriente d'Italia.
Licio Gelli fu considerato un deviazionista rispetto alle regole: era una loggia non soltanto riservata ma super segreta.
Era una loggia "atlantica", cioè di fedelissimi dell'alleanza atlantica e quindi molto gradita agli Stati Uniti: Gelli presenziò ai festeggiamenti per l'elezione di Carter, quindi dell'elezione di un Presidente del Partito Democratico, era molto legato ai generali argentini e ai dittatori del Sudamerica.
Ai tempi della guerra di liberazione in Italia era contemporaneamente fascista e antifascista, naturalmente si fingeva antifascista ma svolgeva il ruolo di doppiogiochista che poi è sempre stato il suo.
La P2 non era affatto un'organizzazione eversiva nel senso che volesse rovesciare l'ordine costituito: in realtà voleva conservare e stabilizzare l'ordine costituito.
Non a caso il Piano di Rinascita, racconta Gelli, era un po' il programma politico-istituzionale stilato da Gelli e dai suoi consulenti alla fine degli anni Settanta, in gran segreto.
Fu consegnato al Capo dello Stato di allora, Giovanni Leone, e Gelli era intimo di molti uomini politici come Andreotti, incontrò spesso Claudio Martelli, ebbe rapporti con Bettino Craxi.
Non era affatto un'avversario dell'ordine costituito per rovesciarlo: era una loggia eversiva in quanto, per conservare e cristallizzare lo status quo era disposta a svuotare dall'interno la Costituzione e la democrazia italiane per trasformarle in qualcosa d'altro, in un modello di Stato autoritario moderno sempre governato dagli stessi: Democrazia Cristiana, Partito Socialista e alleati e impedire l'avvento dei comunisti.
Questo era il suo scopo: leviamoci dalla testa che volessero rovesciare lo status quo per metterci qualche militare.
Assolutamente no, non ce n'era bisogno: tentavano di mantenere le cose come stavano impedendo quel ricambio al vertice del governo che avrebbe potuto finalmente regalare anche all'Italia un'alternanza e quindi bonificare un po' l'aria fetida che si respirava negli stessi palazzi dopo 50 anni che erano occupati dalle stesse persone.
Questa è la premessa.
Qual era il Piano di rinascita democratica? Oggi va così di moda ma soltanto perché Gelli l'altro giorno ha ripetuto quello che aveva già detto a me, in un'intervista che gli avevo fatto per il Borghese di Daniele Vimercati e poi aveva ripetuto a Concita De Gregorio in una famosa intervista di quattro anni fa a Repubblica: "il Piano di Rinascita è ormai il modello seguito dal centrodestra e da una parte del centrosinista.
Non c'è più bisogno di tenerlo nascosto, perché tutti dicono le stesse cose che dico io ma lo dicono pubblicamente mentre io ero costretto a nascondermi" a fare tutto "aumma aumma".
Non è un caso se il Piano di Rinascita fu ritrovato, credo nel 1983 se non ricordo male, per puro caso durante una perquisizione a Fiumicino nel doppio fondo della valigia della figlia di Gelli.
Non era un documento pubblico, non circolava, non veniva annunciato e proclamato in televisione: oggi invece è stato completamente sdoganato e anzi Gelli, sia a me che a Concita De Gregorio disse che aspettava il copyright da coloro che lo stavano copiando e si chiedeva "perché a me davano del golpista mentre adesso i politici, da D'Alema a Boato - era il periodo della bicamerale quando lo intervistai - a Berlusconi ovviamente sono dei sinceri democratici. Voglio il risarcimento dei danni e i diritti d'autore".
Il Piano di Rinascita Democratica era appunto la trasformazione della democrazia costituzionale italiana, l'involuzione dall'interno per svuotarla mantenendo le parvenze di uno Stato democratico.
Non c'è più molto tempo, lo trovate naturalmente su internet il Piano di Rinascita Democratica.
E' databile intorno al 1976 ed era accompagnato da un memorandum, dice Gelli: "sullo stato della Nazione, il nostro punto di vista sull'andamento generale del Paese", ed era ovviamente il Paese scosso dai movimenti studenteschi, dall'ascesa del Partito Comunista.
Questa era la ragione per cui bisognava cristallizzare il sistema.
Si parlava di ritocchi alla Costituzione, ma fondamentalmente era il tentativo di lasciarla come tappezzeria e grattare via tutto quello che c'era dietro: i partiti politici democratici andavano sostenuti, i giornali andavano infiltrati.
Si pensava di pagare alcuni giornalisti per ogni giornale per fare da punti di riferimento e diffondere le disinformazioni che la P2 voleva diffondere.
In realtà poi avete visto che si può ottenere lo stesso risultato gratis, ci sono miei "colleghi" che si prestano anche senza pagarli.
La Rai TV va dimenticata, questo è molto importante; i sindacati vanno spaccati in modo da prendere la CISL e la UIL e alcuni autonomi, separarli dalla CGIL e portarli, anche pagando il prezzo di una scissione, sulle posizioni del governo, cioè trasformarli in sindacati gialli.
Guardate cosa succede non tanto con Alitalia quanto con il contratto del pubblico impiego e vedrete che anche da questo punto di vista Licio Gelli non può che essere molto soddisfatto.
Il governo va ristrutturato, la magistratura ricondotta alla funzione di garante della corretta applicazione delle leggi - poi vediamo cosa vuol dire - il Parlamento deve essere più efficiente.
Ma più efficiente nel senso che non rompe le palle al governo, esattamente al contrario della funzione che hanno i parlamenti nelle democrazie e anche nelle monarchie costituzionali, cioè quello di essere il primo controllore del governo.
Pagare i giornalisti...
Politica: costituzione di un club, di natura rotariana, per l'eterogeneità dei componenti dove siano rappresentati ai migliori livelli operatori imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici.
Dei club, esattamente come Forza Italia fece nel 1994 quando nacque.
Dei club, non delle sezioni: non un partito democratico con i congressi. Dei club dove si mettano insieme, proprio in forma massonica, persone che vengono da mondi diversi e che di solito dovrebbero stare in mondi diversi perché magari gli uni devono controllare gli altri.
Ecco, li si mette tutti intorno a un tavolo.
Naturalmente Gelli, un po' ingenuo - questo è l'aspetto più datato del Piano di Rinascita - diceva: "gli uomini che ne fanno parte devono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale".
Questo, diciamo, è stato superato. Se voi guardate Forza Italia oggi, se dovessero rispettare questi parametri si svuoterebbe il partito, il Club. Ma non solo Forza Italia, avete ben presente da chi è composto una bella fetta del Parlamento Italiano.
Dunque nei confronti del mondo politico occorre selezionare gli uomini fedeli e quindi cava dei nomi: Mancini, Mariani, Craxi per i socialisti; Visentini e Bandiera per i repubblicani; Orlandi e Amidei per i socialdemocratici; Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia per la democrazia cristiana; per i liberali due che non conosciamo Cottone e Quilleri; per la destra nazionale, una scissione favorita da ambienti piduisti e andreottiani nei confronti del Movimento Sociale per avvicinare una parte degli ex fascisti alla DC che aveva bisogno di voti in Parlamento.
Acquisire alcuni settimanali di battaglia; Berlusconi poi acquisirà addirittura la Mondadori grazie alla sentenza di un giudice comprato da Previti.
Coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso un'agenzia centralizzata; coordinare molte TV via cavo con l'agenzia per la stampa locale.
Queste sono proprio istruzioni per la nascita di Canale5 che è iniziata come TV via cavo a Milano2 poi è diventata via etere Canale 5 e consorziò in un network televisioni regionali che trasmettevano in simultanea come poi fecero Italia1, che Berlusconi comprò da Rusconi, e Rete4 che comprò da Mondadori, questo succedeva all'inizio degli anni Ottanta.
Indicazione di Gelli preziosissima, profetica: coordinare molte TV via cavo.
Dissolvere la Rai TV in nome della libertà di antenna: vedete che di passi avanti se ne sono fatti, ormai la Rai TV che all'epoca era la televisione pubblica quindi la più guardata, adesso si spartisce il mercato dell'audience fifty fifty con Mediaset mentre il mercato pubblicitario è un terzo Rai e due terzi Mediaset.
Magistratura: si pensava di procedere per gradi, non si pensava di poter fare tutto insieme.
Gelli era un minimalista, era un po' troppo prudente: "qualora le circostanze permettessero di contare sull'ascesa al governo di un uomo politico o di una equipe in sintonia con lo spirito del club, è chiaro che i tempi sarebbero più rapidi", scrive Gelli.
Non gli veniva nemmeno in mente che un affiliato alla P2 potesse diventare presidente del consiglio, invece vedete che ci siamo riusciti già tre volte!
Berlusconi, tessera P2 1816, grado apprendista muratore, è al governo per la terza volta e se non fosse stato per Odeon TV che ha portato in televisione Gelli nessuno avrebbe ricordato che Berlusconi stava nella P2.
Avevamo rimosso tutti, soprattutto la cosiddetta opposizione del Partito Democratico che di P2 proprio non parla. Non parlano nemmeno di conflitto di interessi, figuriamoci di P2.
Meno male che c'è Odeon che porta in televisione Gelli, ed è una specie di promemoria per tutti.
Io infatti sono favorevole alla trasmissione di Licio Gelli, non capisco le polemiche: in TV vediamo molto peggio di Gelli.
Vediamo intanto molti suoi seguaci, come fra un attimo vi dirò, e soprattutto almeno lui quando va in televisione parla di cose che conosce, è persona informata sui fatti quindi bisognerà seguirlo con attenzione.
Ordinamento giudiziario: responsabilità civile per i magistrati. Sapete che minacciare il magistrato che nel caso in cui uno arresta una persona perché ci sono dei gravi indizi e poi quella per mille motivi viene assolta, ne abbiamo parlato settimana scorsa a proposito di Mannino, se il magistrato è chiamato a pagare di tasca sua per il fatto che un suo collega ha deciso diversamente da lui, e non stiamo parlando di un errore giudiziario ma di una diversa interpretazione di elementi concreti, qual è il risultato?
Che non arresteranno mai più nessuno potente.
Non metteranno più le mani su nessuno che poi sia in grado di far loro pagare il cosiddetto errore, che in realtà è una diversa interpretazione di elementi assodati.
Divieto di nominare sulla stampa i magistrati, così uno li può mandare via più facilmente.
Pensate: Forleo e De Magistris li hanno mandati via ma almeno abbiamo potuto sapere che cosa era successo, chi erano, che cosa avevano fatto, quali erano i meriti in base ai quali venivano cacciati.
Invece qui vietano proprio di nominare il magistrato, in modo che li mandi via e i giornali non possono più scrivere niente.
E' una proposta che ha ripreso Feltri recentemente.
Modifiche alle norme sugli accessi alla carriera: come entrano i magistrati, chi entra in magistratura? Esami psicoattitudinali preliminari. Chi li fa? Qualche incaricato del governo.
La riforma Castelli prevedeva esami psicoattitudinali, quindi anche li Gelli era stato assolutamente profeta.
Eppoi, andando avanti, si chiedeva la modifica dei regolamenti del Parlamento per rendere più veloce l'approvazione delle leggi volute dal governo.
E' quello che chiede Berlusconi che si lamenta sempre che in Parlamento si perde tempo perché per lui discutere vuol dire perdere tempo, infatti Gelli parla di "tendenze assemblearistiche" del Parlamento che vanno bloccate.
Poi un po' di altre regole per la magistratura comprese, attenzione, la responsabilità del Ministro della Giustizia nei confronti del Parlamento sull'operato delle procure.
Le procure controllate dal ministro che è responsabile di quello che fanno e riferisce al Parlamento cosa fanno i pubblici ministeri.
I pubblici ministeri che prendono gli ordini dal ministro della giustizia, una cosa dell'altro mondo.
Infatti lui segnava prudentemente "modifica costituzionale".
Riforma del Consiglio superiore della Magistratura, anche questo deve essere responsabile nei confronti del Parlamento.
Anche il cosiddetto autogoverno in realtà dipende dal Parlamento, cioè dai partiti. E' esattamente la direzione verso la quale stiamo andando.
E infine, riforma dell'ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito della promozione dei magistrati.
I magistrati selezionati per merito, chi decide chi è meritevole per andare avanti in carriera? Ovviamente governo o Parlamento.
Addirittura esperimento di elezione dei magistrati fra gli avvocati con 25 anni di funzioni, che ne so Taormina, Pecorella, cose di questo genere.
Separazione delle carriere: nella bicamerale si andò addirittura al di là con le bozze Boato che tanto erano piaciute a Gelli. Diciamo bozze Gelli-Boato votate da tutti i partiti tranne Rifondazione nel 1998.
Si era pensato addirittura a un doppio CSM, uno per i PM e uno per i giudici, esattamente quello che propone Angelino Jolie, detto Alfano, nella futura riforma della giustizia.
Infine, e questo è l'aspetto più positivo del Piano di Rinascita, si parlava di una legislazione di antimonopolio sul modello Stati Uniti.
Cosa vuol dire? che se fosse stato approvato così com'era il Piano di Rinascita oggi Berlusconi non potrebbe essere il monopolista della televisione commerciale.
Almeno un vantaggio l'avremmo ricavato.
Insomma, il Piano di Rinascita in quella parte era addirittura più ardimentoso e coraggioso del centrosinistra, che infatti non ha mai voluto nemmeno sfiorare i monopoli di Berlusconi, anzi glieli ha sempre custoditi con cura.
Questo per dire che Gelli era molto prudente, se confrontato con quello che si può dire e fare oggi.
Del resto, e qui veniamo all'ultima parte del Passaparola di oggi, non c'è soltanto Gelli in circolazione. Gelli diffonde i suoi ricatti, le sue allusioni, le sue strizzatine d'occhio eccetera.
Ma è una notizia il fatto che faccia notizia. In questi anni abbiamo sentito dire le stesse cose che dice lui, ma se le dice qualcun altro allora va bene.
Io mi domando sempre come possiamo scandalizzarci se Gelli ha un programma in una piccola televisione, mentre non ci scandalizziamo se il suo allievo prediletto è a Palazzo Chigi.
Eppure dice e fa delle cose che nemmeno Gelli si era mai sognato di dire o fare.
E non è dei piduisti, Gelli, l'unico in attività. Io non sono per le epurazioni, bisogna valutare caso per caso, ma è interessante sapere quali sono i personaggi che facevano parte della loggia P2.
Perché se uno viene a sapere chi sono, almeno si può regolare e può cercare di capire per quale motivo stanno ai posti in cui stanno.
In ordine alfabetico, ve ne cito soltanto qualcuno: Silvio Berlusconi, tessera 1816, versamento quota - pagava anche l'iscrizione - 1978, primo grado apprendista.
Chi l'aveva presentato a Gelli? Roberto Gervaso.
Fabrizio Cicchitto, tessera 2232, domanda di iscrizione autografa, tessera sospesa per mancanza di foto. Questo c'era scritto.
Ora Cicchitto è capogruppo del Popolo delle Libertà alla Camera e parla tutte le sere nei principali telegiornali. Perché lui si e Gelli no?
Era nella sinistra socialista, che quando il povero Riccardo Lombardi scoprì che uno dei suoi allievi prediletti stava nella P2 lo mise alla porta e lo fece piangere.
Maurizio Costanzo, tessera 1819 - era a tre posizioni di distanza dalla tessera di Berlusconi - ma lui era di terzo grado: maestro. Era il più alto in grado sotto Gelli.
Mentre Berlusconi era solo un apprendista muratore.
Questa è l'intervista che Costanzo fece sul Corriere della Sera a Licio Gelli: "Parla per la prima volta il signor P2, il fascino discreto del potere nascosto".
Una foto di Garibaldi, una foto di Cagliostro.
Questa invece è l'intervista che Costanzo qualche giorno dopo fece a un altro piduista famoso, Silvio Berlusconi, sempre sul Corriere della Sera che guardacaso era controllato dalla P2 tramite gli editori Tassandin, il direttore Franco Di Bella e Umberto Ortolani che era il braccio destro di Licio Gelli.
Donelli Massimo, tessera 2207, grado primo apprendista muratore anche lui. Bene, questo Donelli è molto importante oggi, è il direttore di Canale5.
Capito?
Pubblio Fiori, non è più in Parlamento quindi ne parliamo alla memoria, ma anche lui stava nella P2, poi era nella DC, poi in Alleanza Nazionale, poi ha fondato una delle tante nuove Democrazie Cristiane che ci sono.
Roberto Gervaso, quello col farfallino che vedete su Rete4, era addirittura maestro come Costanzo ed era un reclutatore, fu lui a mettere in contatto Berlusconi con Licio Gelli.
Nella lista di Gelli c'era anche Enrico Manca, un altro socialista. Lui però ha sempre negato, è riuscito addirittura a vincere una causa contro Galli Della Loggia che l'aveva descritto come piduista ma registriamo il fatto che nella lista c'era anche lui e oggi sta nel centrosinistra e ha un centro studi per valutare la qualità dei programmi televisivi ed era, ai tempi, presidente della Rai.
Antonio Martino, è parlamentare di Forza Italia, ex ministro della difesa e ancora prima degli esteri. Antonio Martino aveva fatto domanda di iscrizione alla P2 ma non ebbe il tempo di ricevere la tessera perché nel frattempo furono trovate le liste e rimase con le mutande in mano.
Rolando Picchioni, tessera 2095, grado primo apprendista. Anche lui era un deputato andreottiano, sottosegretario, poi è diventato presidente del Salone del Libro di Torino.
Oggi è una delle persone più importanti della città di Torino.
Duilio Poggiolini, tessera 2247, era il direttore del ministero della sanità, coinvolto in tangentopoli, uscito due anni fa dal carcere grazie all'indulto.
Angelo Rizzoli, era l'ultimo erede della dinastia dei Rizzoli, la grande dinastia degli editori milanesi, che fu pure in galera per il fallimento della Rizzoli, che passò di mano, e oggi ha una bella e avviata casa di produzione che lavora per RaiFiction.
C'era Vittorio Emanuele di Savoia, tessera 1621.
C'era Gustavo Selva, tessera 1814, quello che stava in Alleanza Nazionale e che l'anno scorso per andare in uno studio televisivo ha preso un'ambulanza fingendosi moribondo.
C'era, infine, Giancarlo Elia Valori, fascicolo 0283, che fu espulso per indegnità da Licio Gelli. Un caso più unico che raro, uno ritenuto indegno di stare nella P2. Giancarlo Elia Valori, chi sta a Roma lo sa, è stato presidente delle Autostrade, vicepresidente della SME, boiardo dell'IRI e presidente dell'unione industriali di Roma.
E' un personaggio molto importante e influente, molto trasversale, molto amato sia a destra che a sinistra.
Nella lista della P2 c'erano anche 13 magistrati che furono sanzionati dal Consiglio Superiore ma non tutti mandati via: ce n'è uno a Roma che si chiama Giuseppe Renato Croce che è alla sezione delle esecuzioni immobiliari del Tribunale di Roma.
Qualche anno fa chiese più volte l'archiviazione per un processo che stava molto a cuore a Dell'Utri contro un giudice che stava giudicando Dell'Utri in Cassazione e aveva confermato la condanna definitiva per frode fiscale.
Anche lui stava nelle liste, tessera 2071, iscrizione 1979.
Questo è in pillole il quadro della P2. Oggi non c'è più la P2, restano i piduisti.
Qualcuno dirà a volte ritornano: no direi a volte rimangono!
Quindi, domandiamoci come mai negli Stati Uniti stanno per eleggere un Presidente che, chiunque sia Obama o McCain, è nuovo, fino all'anno scorso ignoto alle cronache politiche e noi siamo ancora qua, nel 2008, a rimestare con i Cossiga, con la strategia della tensione, con gli Andreotti marmorizzati in televisione come abbiamo visto ieri, con i Licio Gelli imbalsamati.
Per quale motivo da noi il passato non passa mai?
Passate parola." 

3 novembre 2008

 
da blog.libero.it
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« Risposta #106 inserito:: Novembre 19, 2008, 05:58:05 pm »

Balle a Ballarò


"Di Pietro? Sì che mi piacerebbe averlo con me, come ministro" (Silvio Berlusconi, Maurizio Costanzo Show, 22 febbraio 1994).

"E' in corso a Roma, secondo quanto ha appreso l'Ansa, un incontro tra il presidente del Consiglio incaricato Silvio Berlusconi e il giudice Antonio Di Pietro" (Ansa, 7 maggio 1994, ore 14.53).

"'Ho fatto presente che non potrò accettare il pur prestigioso incarico di ministro'. Lo ha affermato il giudice Antonio Di Pietro conversando con i giornalisti al termine dell'incontro con Silvio Berlusconi. 'Ho avuto l'onore di incontrare il presidente del Consiglio incaricato - ha fra l'altro detto Di Pietro - al quale ho confermato che in questo momento ritengo doveroso rimanere al fianco dei colleghi della Procura di Milano per portare a compimento il lavoro iniziato. Coerentemente ho fatto presente che non potrò accettare l'incarico di ministro dell'Interno... All'on. Berlusconi ho formulato i miei auguri affinché possa svolgere questo lavoro con serenità e possa conseguire i risultati sperati nell'interesse del Paese'. Di Pietro ha infine reso noto che stava per rientrare alla Procura di Milano" (Ansa, 7 maggio 1994, ore 15.37).

"Avevo una rosa, ora è caduto un petalo e mi restano le spine" .(Silvio Berlusconi, dopo il no di Di Pietro, 7 maggio 1994)

"Eh, se Di Pietro avesse dato retta a me e fosse entrato nel mio governo..." (Silvio Berlusconi, dopo le dimissioni di Di Pietro dal pool Mani Pulite, 7 dicembre 1994)

"Non ho mai offerto a Di Pietro il ministero dell'Interno. Di Pietro mi fa orrore perché sbatteva in galera gli innocenti" (Silvio Berlusconi, 10 aprile 2008).

"E' vero che nel 1994 ho chiesto di incontare Di Pietro perché volevo fargli fare il ministro. Ma allora non sapevo che da magistrato aveva messo in prigione tante persone innocenti. Quando l'ho saputo ho subito cambiato idea" (Silvio Berlusconi, Ballarò, Rai3, 18 novembre 2008. Per la cronaca, le uniche persone arrestate su richiesta di Di Pietro dopo l'incontro con Berlusconi del 7 maggio 1994 erano alcuni imprenditori e finanzieri per l'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di Finanza, conclusasi con una raffica di condanne e patteggiamenti. Di Pietro si dimise dal pool Mani Pulite il 6 dicembre di quell'anno).

(19 novembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #107 inserito:: Novembre 21, 2008, 11:00:13 am »

Marco Travaglio.

Amerikani a targhe alterne


Mariastella GelminiIl genere letterario più esilarante sui giornali è quello dei Sos: Suggerimenti per un'Opposizione Soft. Molti commentatori sono convinti che il Pd sia troppo scalmanato e, per tornare a vincere, debba moderarsi ancora un po'. Il fatto che questo sia anche l'auspicio di Berlusconi non li tange. Il fatto che Berlusconi, in sei mesi di governo, sia sceso nei sondaggi solo dopo la manifestazione di piazza Navona contro il Lodo Alfano e dopo le proteste del mondo della scuola contro i tagli del Duo Manidiforbice (Tremonti e Gelmini, anch'essi precipitati nei consensi), non li sfiora. Insistono.

Angelo Panebianco non gradisce le "campagne di stampa contro Brunetta", cioè l'inchiesta giornalistica de 'L'espresso'. E fa sapere sul 'Corriere della sera' che il Pd, per sfondare, "dovrebbe cercare punti di incontro con i ministri Brunetta e Gelmini", noti "riformisti" e "modernizzatori". Teoria affascinante: l'opposizione dovrebbe aiutare il governo a sedare la rivolta di insegnanti, studenti, genitori, ricercatori e bidelli contro la Gelmini e insultare con Brunetta i lavoratori "fannulloni", ovviamente "di sinistra". Il bello è che gli alfieri del Sos, autonominatisi 'riformisti', sono anche dei filoamericani sfegatati. Ma a targhe alterne. Infatti ora si guardano bene dall'indicare al Pd il modello Usa. Anzi, nella lunga campagna elettorale Obama-McCain, si son messi in ferie per non dover commentare gli attacchi sanguinosi che si scambiavano i due contendenti e le prime mosse dell'abbronzatissimo presidente eletto: l'annunciata cancellazione di 200 leggi di Bush (i riformisti de noantri han sempre raccomandato al centrosinistra di non abrogare le leggi vergogna di Berlusconi, prontamente ascoltati) e il questionario distribuito agli aspiranti collaboratori della nuova Casa Bianca.

Obama vuol sapere tutto, ma proprio tutto, di loro: situazione penale, fiscale, matrimoniale, patrimoniale, finanziaria, conflitti d'interessi, eventuali idee discriminatorie, email o diari privati che possano imbarazzare l'amministrazione. Per molto meno - dai referendum di Grillo sull'ineleggibilità dei condannati alle norme di Padoa Schioppa e Visco contro l'evasione fiscale - i Panebianchi strillano al 'giustizialismo', al 'giacobinismo', alla 'violazione della privacy'. Tre mesi fa, quando fu arrestato Ottaviano Del Turco, accusato di tangenti sanitarie per sei milioni di euro, Panebianco gridò all'"invasione di campo" dei pm ed esortò il Pd a prendere le distanze (dai pm, non da Del Turco). "A parte l'esigenza di massimo impatto mediatico", domandò, "c'è qualche altra ragione dietro l'arresto della massima autorità politico-amministrativa d'Abruzzo?". Anche Obama, nel suo questionario, si occupa di manette: "Sei mai stato arrestato o indagato?". Lui però lo vuol sapere per prendere le distanze dagli arrestati, non dai giudici. Poco riformista. Poco americano.

(21 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #108 inserito:: Novembre 27, 2008, 10:18:00 pm »

Marco Travaglio.


C'è la casta al telefono

A sinistra ci si lamenta che, con Berlusconi al governo, non si parla più di Casta. Se però, da sinistra, partissero segnali concreti, se ne tornerebbe a parlare  S'odono a sinistra gemiti e lamenti perché, ora che al governo c'è Berlusconi, non si parla più di Casta. Vero. Se però, da sinistra, partissero segnali concreti anti Casta, se ne tornerebbe a parlare. L'esempio l'ha dato Prodi, quando 'Panorama' ha sbattuto in copertina le sue telefonate top secret e prive di rilevanza penale: "Pubblicate tutto, indagate pure, nulla da nascondere".

Si attende con ansia che la stessa frase pronuncino Massimo D'Alema e Nicola Latorre prima delle decisioni del Parlamento europeo e del Senato sulle loro telefonate con Giovanni Consorte (e, per Latorre, anche con Stefano Ricucci) nel pieno delle scalate dei furbetti, estate 2005. Telefonate, secondo il Gip di Milano, penalmente rilevanti anche per i due politici, sospettati di concorso nell'aggiotaggio dei due furbetti.

Ma per usarle, in base alla legge Boato, occorre l'ok del Parlamento. Il peggio che possa capitare ai nostri eroi è che Bruxelles e Palazzo Madama rispondano picche con maggioranze trasversali destra-sinistra, salvandoli dalle indagini e lasciandoli avvolti per sempre dall'ombra del sospetto. Sospetto di impunità di Casta. Se, come dicono, non hanno nulla da temere, i due dovrebbero precipitarsi nei rispettivi parlamenti e implorare i colleghi di concedere l'autorizzazione, per essere indagati e poi prosciolti. Purtroppo, finora, han fatto il contrario. D'Alema ha annunciato che il 7 ottobre, quando si riunirà la commissione giuridica di Bruxelles, non si presenterà, con una lettera al presidente forzista Giuseppe Gargani: "Mi rimetto con fiducia alle decisioni del Parlamento europeo".

Idem Latorre: "Qualunque cosa deciderà il Senato, per me va bene". Frasi che avrebbero senso se il centrosinistra, in Europa e in Italia, avesse la maggioranza. Invece ce l'ha il centrodestra, che i processi ai politici non vuole neppure sentirli nominare. Infatti Forza Italia ha già annunciato il doppio No ai giudici. A buon rendere. Solo un'esplicita richiesta degli interessati e del Pd può evitare l'imbarazzante diniego. Ma dal Pd giungono dichiarazioni ai confini della realtà. Ermete Realacci tuona contro "la divulgazione impropria delle telefonate" (pubbliche dal luglio 2007).

Per Gianni Cuperlo "le telefonate sono roba vecchia" (in realtà sono di tre anni fa e la prescrizione per l'aggiotaggio è di sette anni e mezzo; e poi, perché il Senato non le autorizzò l'anno scorso quando erano nuove?). Giorgio Tonini sentenzia: "Deciderà Nicola": cioè l'indagabile, alla faccia del conflitto d'interessi. Tonini, Cuperlo e Realacci, come Russo Spena e Pisapia del Prc, affermano poi che "le telefonate non hanno rilevanza penale".

Può darsi, ma non spetta a loro deciderlo. Il Parlamento deve solo vagliare l'eventuale fumus persecutionis, molto improbabile visto che contro D'Alema e Latorre ci sono le loro parole incise su nastro. La rilevanza penale la stabiliscono i giudici, se li lasciano lavorare. Non il Parlamento. A meno che non sia stata abrogata la divisione dei poteri, all'insaputa dei più.

(27 novembre 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #109 inserito:: Novembre 28, 2008, 10:28:01 pm »

Marco Travaglio.


Nessuno tocchi Baffino


La gravità politica del rapporto malato che Nicola Latorre e il suo capo Massimo D'Alema intrattenevano con la finanza più spregiudicata è sotto gli occhi di tutti dal luglio 2007  Massimo D'AlemaPer liberarsi di Nicola Latorre, il Pd non aveva bisogno del pizzino a Bocchino. Né delle teorie di Cesare Lombroso, che pure in molti casi aiutano. Bastava leggere le sue telefonate con Giovanni Consorte e addirittura con Stefano Ricucci, furbetto dalle tortuose fortune, durante l'assalto a Bnl e al 'Corriere della Sera'. L'eventuale rilevanza penale di quelle conversazioni la stabiliranno i giudici di Milano, se e quando il Senato si deciderà ad autorizzarne l'uso per l'ipotesi di concorso nell'aggiotaggio contestato a Consorte.

Ma la gravità politica del rapporto malato che Latorre e il suo capo D'Alema intrattenevano con la finanza più spregiudicata è sotto gli occhi di tutti dal luglio 2007, quando le telefonate trasmesse al Senato dal gip Clementina Forleo divennero di pubblico dominio. "Stefano!", esclamava Latorre con l'immobiliarista di Zagarolo alleato con l'Unipol. E Ricucci: "Eccolo! Il compagno Ricucci all'appello!... Questa mattina a Consorte gliel'ho detto: datemi una tessera (dei Ds, ndr) perché io non gliela faccio più, eh!". Latorre: "Ormai sei diventato un pericoloso sovversivo. rosso oltretutto".

Il compagno Ricucci non fece in tempo a ricevere la tessera Ds, anche perché fu arrestato e i Ds confluirono nel Pd. Il Pd fra l'altro fu affidato dai fassiniani e dai dalemiani, scottati dalle intercettazioni, all'odiatissimo Veltroni. Segno evidente che si resero conto essi stessi dello scandalo suscitato nella base dalla loro sconcertante condotta. Ora pare tutto dimenticato, tant'è che i dalemiani si apprestano a riprendersi il Pd. Come se nulla fosse accaduto. Eppure nell'estate 2005 Consorte confidava a Latorre, D'Alema e Fassino le sue furberie nel rastrellare il pacchetto di controllo Bnl tramite prestanomi, per aggirare la legge Draghi ed evitare l'Opa. Consorte a Latorre: "È una cosa che voglio parlare con te e con Massimo a parte... Queste quote le devono comperare terzi". Latorre: "E certo, non le potete prendere voi". Consorte: "Esatto, le banche, le cooperative... Ho un problema di gara contro il tempo, perché sto convincendo questi qui, ma ognuno di loro ha un problema". Latorre: "Deve fare una telefonata Massimo all'ingegnere (Caltagirone, altro azionista Bnl, ndr)?". Consorte: "È meglio che Massimo fa una telefonata". E Massimo, cioè D'Alema, aveva pure parlato con Vito Bonsignore, eurodeputato Udc e socio Bnl, perché desse una mano a Unipol. Ma, rivelò Baffino a Consorte, "Bonsignore voleva altre cose, diciamo... a latere su un tavolo politico. Io ho regolato da parte mia".

La Procura di Milano ha chiesto di poter usare i nastri anche contro D'Alema. Ma il 18 novembre l'Europarlamento, debitamente imbeccato dalla Commissione giuridica presieduta dal forzista Gargani, ha risposto picche (543 no, 43 sì, 90 astenuti). Tutti gli italiani presenti - Pd, Pdl, Lega e sinistra, a parte Pannella e Cappato - hanno salvato D'Alema. Compreso Bonsignore. Sempre "a latere, su un tavolo politico".

(28 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #110 inserito:: Dicembre 05, 2008, 10:57:33 pm »

Marco Travaglio.


Il tedesco che fa paura ai partiti


Berlusconi scioglie Forza Italia dopo 15 anni con un discorsetto di mezz'ora. Veltroni annuncia la rottura con Di Pietro a 'Che tempo che fa', da Fabio Fazio, ma poi si scopre che era uno scherzo. D'Alema commissaria Veltroni e auspica un leader di nuova generazione a 'Crozza Italia', e il suo non è uno scherzo. Chissà l'invidia di Bruno Vespa, abituato a ospitare le svolte politiche a 'Porta a Porta'. Partiti, leadership e alleanze nascono e muoiono in tv, senza congressi né dibattiti interni. Dopodiché, tutti a interrogarsi sul discredito della classe politica e sulle grandi riforme necessarie per uscirne. Ne basterebbe una piccola piccola, ma rivoluzionaria: una legge sulla responsabilità giuridica dei partiti, che regoli la democrazia interna e la gestione trasparente degli enormi finanziamenti pubblici.

Non occorrono voli pindarici: basta copiare dalla Germania, dove i deputati guadagnano la metà dei nostri, sono uno ogni 112.502 abitanti (da noi, uno ogni 60.371), e i partiti devono rispettare regole ferree: l'articolo 21 della Costituzione del 1949 e la legge sui partiti del 1967. Strano che D'Alema, grande supporter del modello (elettorale) tedesco, non ne parli mai. In Germania ogni partito, per essere tale, deve riunire il congresso almeno una volta ogni due anni, dandosi un programma, uno statuto e un vertice. E ha diritto a finanziamenti statali solo se supera il 5 per cento dei voti alle elezioni europee o federali e il 10 alle regionali. Sennò, nemmeno un euro. I partiti devono pubblicare rendiconti annuali con le entrate (pubbliche e private) e le uscite. Come da noi.

Solo che in Germania chi presenta bilanci nebulosi o falsi è costretto dal presidente del Bundestag a restituire tutti i fondi statali. E se un partito riceve soldi illegalmente, deve pagare una multa del triplo della somma incassata, più il doppio se non l'ha messa a bilancio. Le multe vengono poi devolute dal Bundestag a enti assistenziali o scientifici. I bilanci dei partiti sono equiparati a quelli delle società: se falsi o poco trasparenti, chi li firma rischia 3 anni di galera. Con queste regole, i partiti italiani sarebbero fuorilegge o avrebbero già chiuso per fame. E molti dei loro tesorieri sarebbero in carcere. Da noi i congressi o non si fanno (Forza Italia ne ha tenuti due in 15 anni di vita); o, se si fanno, sono finti (si sa chi vince in anticipo) o finiscono in risse sulle regole malcerte, le tessere fasulle e l'uso disinvolto dei cosiddetti 'rimborsi elettorali' (usati addirittura per stipendiare i leader).

D'Alema, sempre da Crozza, ha spiegato il discredito dei partiti italiani con la presenza di "troppa società civile: medici, imprenditori, avvocati anziché politici di professione". Strano: Obama è avvocato ma, essendo popolarissimo, ha raccolto fondi da centinaia di migliaia di cittadini, senza prendere un dollaro dalle casse dello Stato. In Italia, senza i soldi dello Stato, i partiti sarebbero tutti morti: dagli elettori non prenderebbero un euro. E provare a darsi una regolata, o almeno qualche regola?

(05 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #111 inserito:: Dicembre 08, 2008, 06:10:38 pm »

Marco Travaglio.


Al servizio del catering

"Mi auguro che questa vicenda (il caso De Magistris tra Salerno e Catanzaro, ndr) e la ferma, quanto responsabile presa di posizione di Napolitano, faccia aprire gli occhi al Pd e lo induca a votare con noi riforme costituzionali che, senza finalità ritorsive, siano al servizio del Paese" (Angelino Alfano, ministro della Giustizia, repubblica.it, 4 dicembre 2008).


"Venticinque centesimi per ogni cittadino: tanto è costata a Busto Arsizio la visita di Angelino Alfano. La notizia è in una delibera adottata dal consiglio comunale della città varesina lo scorso 20 ottobre per iniziativa del sindaco, Gianluigi Farioli, esponente del Popolo delle libertà, lo stesso partito del ministro della Giustizia.

Tutto nasce da una telefonata che il presidente del tribunale, Antonino Mazzeo, aveva fatto qualche giorno prima allo stesso sindaco per informarlo che il ministro della Giustizia sarebbe passato per una visita agli uffici giudiziari il 18 novembre. Farioli ha colto immediatamente la palla al balzo valutando, come si legge nella delibera, 'in sintonia con Mazzeo che tale eventò poteva costituire 'circostanza ideale per l'inaugurazione del nuovo tribunale'.

Ma per una occasione del genere si dovevano 'diramare inviti alle autorità civili e militari', e poi si sarebbero resi necessari 'allestimenti microfonici e ornamentali'. E si poteva poi rinunciare a un bel buffet? Che figura ci avrebbe fatto la città? Fatti i conti, sarebbero serviti 20 mila euro, che sono sempre circa 40 milioni di lire. Nel capitolo di spesa 'Cerimonie, ricevimenti, manifestazioni, onoranze,
solennità civilì non c'era però un centesimo. Così si sono dovuti prendere i soldi dal fondo di riserva. Si attende ora la risposta a un'interrogazione parlamentare presentata alla Camera da Silvana Mura, Italia dei valori" (Sergio Rizzo, laderiva.corriere.it, 3 dicembre 2008).


(5 dicembre 2008)
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« Risposta #112 inserito:: Dicembre 12, 2008, 11:47:25 am »

Marco Travaglio


Non poteva non ricordare

"Il principio secondo il quale il segretario di un partito 'non poteva non sapere', per me, è un principio incivile: e poi non si può addebitare ai dirigenti il finanziamento illecito..." (Carlo Nordio pm a Venezia, Corriere della Sera, 10 dicembre 2008).

"La combinazione logica di questi elementi non consente una soluzione diversa da quella di ritenere che gli onorevoli Occhetto e D'Alema, unitamente al defunto onorevole Stefanini, fossero al corrente di questo flusso di risorse gestito da Fontana (amministratore di alcune coop rosse, ndr), visto che il partito lo aveva colà collocato e mantenuto... [perché provvedesse] all'illecito finanziamento del partito... e che in quanto massimi dirigenti ne siano stati i percettori finali" (dall'invito a comparire per illecito finanziamento dei partiti notificato dal pm veneziano Carlo Nordio, titolare dell'inchiesta sulle 'tangenti rossè ai leader dell'allora Pds Massimo D'Alema e Achille Occhetto il 14 settembre 1994, inchiesta poi finita nel nulla).


(12 dicembre 2008)
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« Risposta #113 inserito:: Dicembre 12, 2008, 03:40:07 pm »

Marco Travaglio.

Presidente, perché si stupisce?


Con tutto il dovuto rispetto, una domanda va posta al presidente Giorgio Napolitano: ma davvero mercoledì 3 dicembre è caduto dalle nuvole quando la Procura di Salerno ha perquisito quella di Catanzaro? Eppure il 9 gennaio scorso i procuratori salernitani Apicella, Verasani e Nuzzi erano stati ascoltati per ore dalla I commissione del Csm (presieduto dal capo dello Stato), preannunciando quanto sarebbe accaduto. Le loro indagini sulle denunce presentate da magistrati e indagati contro il pm Luigi De Magistris si erano rivelate infondate: "Nessun reato da parte sua", anzi, "solo indagini corrette". Di più: le fughe di notizie addebitategli dai superiori che gli avevano scippato Poseidone e Why Not non erano opera sua, ma dei superiori stessi. Le sole denunce fondate erano quelle di De Magistris contro il network di giudici calabro-lucani, inquisiti, avvocati, politici, faccendieri che s'erano attivati per "ostacolarlo", "isolarlo", "intimidirlo", "screditarlo" e "allontanarlo".

De Magistris ha lavorato "in un contesto giudiziario fortemente condizionato da interessi extragiurisdizionali, talvolta illeciti". Tant'è che - aggiunsero i pm campani, facendo nomi e cognomi - una decina fra magistrati calabro-lucani e ispettori ministeriali erano indagati per reati gravissimi: dalla corruzione giudiziaria alla rivelazione di segreti all'abuso alla calunnia. Reati che consentono la custodia cautelare. Chi ha in mente quel verbale può stupirsi di un solo fatto: che nessuna delle presunte toghe vendute sia finita in manette. Invece si è preferito affettare meraviglia per elementi marginali: il decreto di 1.700 pagine, dunque "troppo lungo" (come se gli atti giudiziari si misurassero a peso); la presunta perquisizione corporale su un pm in pigiama (normalissime nelle operazioni di polizia, se si cercano oggetti minuscoli come i pen-drive da pc); il sequestro del fascicolo originale di Why Not.


Quest'ultima mossa "eccezionale" e "senza precedenti" ha fatto saltare la mosca al naso del Presidente, che ha subito chiesto gli atti a Salerno. Mossa, questa sì, eccezionale e senza precedenti. Ora, è vero che sequestrare un fascicolo in originale paralizza le indagini (che peraltro, una volta scippate a De Magistris, languivano da mesi); ma lo stallo sarebbe durato pochi giorni, il tempo di fare le fotocopie. E poi Salerno aveva chiesto quegli atti a Catanzaro sette volte in dieci mesi, ma invano, informandone costantemente il Csm e il Pg della Cassazione. Ma né il Csm né il Pg avevano mosso un dito per sbloccare l'impasse e trasferire o sospendere le toghe inquisite. Salvo, si capisce, De Magistris: cioè la vittima del presunto complotto.

I complottardi invece sono rimasti tutti al loro posto. Se il blitz e gli avvisi di garanzia li avessero colti già a casa, o in altre sedi, il Csm e il capo dello Stato potrebbero rivendicare di aver fatto pulizia, anziché inseguire trafelati gli eventi.
Non l'han fatto, peccato. Ma lo stupore, almeno quello, potrebbero risparmiarcelo.

(12 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #114 inserito:: Dicembre 13, 2008, 05:03:11 pm »

12 dicembre 2008, in Marco Travaglio

Appello Fini-Travaglio

di Massimo Fini e Marco Travaglio

Con l’annuncio di Silvio Berlusconi di voler cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza si è giunti al culmine di un’escalation, iniziata tre lustri fa, che porta dritto e di filato a una dittatura di un solo uomo che farebbe invidia a un generale birmano.

Da un punto di vista formale la cosa è legittima. La nostra Carta prevede, all’articolo 138, i meccanismi per modificare le norme costituzionali. Ma farlo a colpi di maggioranza lede i fondamenti stessi della liberal-democrazia che è un sistema nato per tutelare innanzitutto le minoranze (la maggioranza si tutela già da sola) e che, come ricordava Stuart Mill, uno dei padri nobili di questo sistema, deve porre dei limiti al consenso popolare. Altrimenti col potere assoluto del consenso popolare si potrebbe decidere, legittimamente dal punto di vista formale, che tutti quelli che si chiamano Bianchi vanno fucilati. Ma la Costituzione non ha abolito la pena di morte? Che importa? Si cambia la Costituzione. Col consenso popolare. Elementare Watson. Senza contare che a noi la Costituzione del 1948 va bene così, e non si vede un solo motivo per stravolgerla (altra cosa è qualche ritocco sporadico per aggiornarla).

Com’è possibile che in una democrazia si sia giunti a questo punto? Non fermando Berlusconi sul bagnasciuga, permettendogli, passo dopo passo, illiberalità e illegalità sempre più gravi. Prima il duopolio Rai-Fininvest (poi Mediaset) che è il contrario di un assetto liberal-liberista perché ammazza la concorrenza e in un settore, quello dei media televisivi, che è uno dei gangli vitali di ogni moderna liberaldemocrazia. Poi un colossale conflitto di interessi che si espande dal comparto televisivo a quello editoriale, immobiliare, finanziario, assicurativo e arriva fino al calcio. Quindi le leggi “ad personas”, per salvare gli amici dalle inchieste giudiziarie, “ad personam” per salvare se stesso, il “lodo Alfano”, che ledono un altro dei capisaldi della liberaldemocrazia: l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Infine una capillare, costante e devastante campagna di delegittimazione della Magistratura non solo per metterle la mordacchia (che è uno degli obbiettivi, ma non l’unico e nemmeno il principale della cosiddetta riforma costituzionale), ma per instaurare un regime a doppio diritto: impunità sostanziale per “lorsignori”, “tolleranza zero”, senza garanzia alcuna, per i reati di strada, che sono quelli commessi dai poveracci.

Presidente del Consiglio, padrone assoluto del Parlamento e di quei fantocci che sono i presidenti delle due Camere, padrone assoluto del centro-destra, se si eccettua, forse, la Lega, padrone di tre quarti del sistema televisivo, con un Capo dello Stato che assomiglia molto a un Re travicello, Silvio Berlusconi è ormai il padrone assoluto del Paese e si sente, ed è, autorizzato a tutto. Recentemente ha avuto la protervia di accusare le reti televisive nazionali, che pur controlla nella stragrande maggioranza (ieri, in presenza del suo inquietante annuncio, si sono occupate soprattutto della neve), di “insultarlo”, di “denigrarlo”, di essere “disfattiste” (bruttissima parola di fascistica memoria), di parlare troppo della crisi economica e quasi quasi di esserne la causa (mentre lui, il genio dell’economia, non si era accorto, nemmeno dopo il crollo dei “subprime” americani, dell’enorme bolla speculativa in circolazione).

Poi, non contento, ha intimidito i direttori della Stampa e del Corriere (il quale ultimo peraltro se lo merita perché ha quasi sempre avvallato, con troppi silenzi e qualche adesione, tutte le illegalità del berlusconismo) affermando che devono “cambiare mestiere”.

Questa escalation berlusconiana ci spiega la genesi del fascismo. Che si affermò non in forza dei fascisti ma per l’opportunismo, la viltà, la complicità (o semplicemente per non aver capito quanto stava succedendo) di tutti coloro che, senza essere fascisti, si adeguarono.

Ma sarebbe ingeneroso paragonare il berlusconismo al fascismo. Ingeneroso per il fascismo. Che aveva perlomeno in testa un’idea, per quanto tragica, di Stato e di Nazione. Mentre nella testa di Berlusconi c’è solo il suo comico e tragico superego, frammisto ai suoi loschi interessi di bottega.

Una democrazia che non rispetta i suoi presupposti non è più una democrazia. Una democrazia che non rispetta le sue regole fondamentali non può essere rispettata. A questo punto, perché mai un cittadino comune dovrebbe rispettarla, anziché mettersi “alla pari” col Presidente del Consiglio? “A brigante, brigante e mezzo” diceva Sandro Pertini quando lottava contro il totalitarismo. O per finirla in modo più colto: “Se tutto è assurdo”, grida Ivan Karamazov “tutto è permesso”.

Massimo Fini
Marco Travaglio
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« Risposta #115 inserito:: Dicembre 19, 2008, 12:48:34 am »

Marco Travaglio

La giustizia della Santa Prescrizione

Ma di che parlano, i cantori della riforma costituzionale della giustizia? Gli unici che hanno le idee chiare, purtroppo, sono Silvio Berlusconi e Luciano Violante. Entrambi vogliono sottomettere le Procure all'esecutivo: uno direttamente, facendo decidere al Parlamento (leggi: maggioranza) i reati da perseguire; l'altro indirettamente, sganciando la polizia giudiziaria (che dipende dal governo) dal pm (che resterebbe autonomo ma inerte, nella vana attesa di notizie di reato sui colletti bianchi). Tutto il resto è gargarismo. Chi dice che la riforma impedirebbe scontri fra procure, tipo Salerno-Catanzaro, non sa quel che dice: nessuna riforma potrà mai impedire a una procura di perseguire i reati commessi in quella su cui è competente. Salvo, si capisce, stabilire che i magistrati, come le quattro cariche dello Stato, hanno licenza di delinquere.

Chi parla di modificare la Carta del 1948 per "accorciare i tempi dei processi" mente sapendo di mentire. Le lungaggini sono dovute a leggi ordinarie: i tagli di fondi e di organici nelle varie finanziarie e i cavilli che infarciscono il codice di procedura, più qualche reato di troppo nel codice penale. Per sveltire la macchina occorre riempire i vuoti, destinare più risorse, abolire i tribunali inutili, cancellare il grado d'appello salvo in presenza di nuove prove, scoraggiare il contenzioso con sanzioni ai ricorsi infondati, informatizzare le notifiche, bloccare la prescrizione dopo il rinvio a giudizio così da togliere ai colpevoli l'aspettativa di farla franca tirando in lungo e rendere più conveniente patteggiare subito una pena ridotta.

Ma può questa maggioranza, zeppa di inquisiti devoti a Santa Prescrizione, permettersi una giustizia svelta e inflessibile? No: senza le prescrizioni, il premier non sarebbe a Palazzo Chigi, ma in carcere. Resta da capire quale margine di dialogo con un governo sfascia-giustizia intravedano D'Alema, Finocchiaro, Tenaglia & C. "per avere processi più veloci". Non basta che la prima legge del Pdl in questa legislatura sia stata la blocca-processi, che avrebbe paralizzato 100 mila dibattimenti per congelare quelli del premier? Si dirà: il Csm fa acqua da ogni parte. Verissimo: vedi la lunga inerzia sulle incompatibilità emerse a Catanzaro.

Ma la colpa è dei giochi tra correnti togate e membri laici (cioè politici). Violante, subito copiato da Alfano, vorrebbe sostituire uno dei due terzi togati con un terzo nominato dal Quirinale (cioè dalla politica). Roba da matti. Un vero "organo di autogoverno della magistratura" dev'essere - come ripeteva Indro Montanelli - composto per tre terzi da magistrati. E i giochetti correntizi? Il pm torinese Bruno Tinti suggerisce di spezzarli sorteggiando tutti i componenti fra le 10 mila toghe in servizio. Sempreché si voglia un organo indipendente. Se invece lo si vuole ancor più politicizzato, si abbia il coraggio di chiamarlo "organo di etero-governo". Così almeno è tutto chiaro.

(18 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #116 inserito:: Dicembre 23, 2008, 11:54:20 am »

A Bologna

L'omaggio di Travaglio a Prodi in platea: ho nostalgia di lei

Il giornalista dal palco del suo show ringrazia l'ex premier seduto in dodicesima fila.

E la sala applaude
 

MILANO — «Presidente, sento spesso nostalgia di lei». Il destinatario del sospiro è, sorpresa, Romano Prodi. Il «nostalgico» è Marco Travaglio. Il giornalista di Bananas e Uliwood party l'altra sera era in quel di Bologna per la sua ultima «chiacchierata teatrale», Promemoria, con cui dal luglio scorso gira i palcoscenici nazionali con gran successo: proprio nel capoluogo emiliano Travaglio ha dovuto fare alcuni spettacoli extra per soddisfare la domanda del pubblico.

Domanda non poi così scontata, visto che si tratta di oltre tre ore di one man show, uno spettacolo che ripercorre gli ultimi quindici anni di storia patria muovendo da un assunto: «La prima Repubblica muore affogata nelle tangenti, la seconda esce dal sangue delle stragi, ma nessuno ricorda più niente. La storia è maestra, ma nessuno impara mai niente». E forse, allora, la prima sorpresa è che in platea ci sia Romano Prodi, che non è detto condivida la sconsolante visione che ha Travaglio dell'Italia recente. Tra l'altro, si sa, il Professore è l'anti vip per eccellenza. E la sua presenza avrebbe potuto fin passare inosservata. Perché lui si trova sì al teatro delle Celebrazioni, ma non certo in prima fila: per trovare l'ex presidente del Consiglio bisogna risalire le poltroncine su su fino alla dodicesima. A quel punto, eccolo lì con la moglie Flavia, la deputata ulivista di Cesena Sandra Zampa e alcuni altri amici. Marco Travaglio racconta, il «promemoria» è diviso in sette quadri dedicati soprattutto a Tangentopoli, alla mafia e ai governi Berlusconi.

Ma son quadri e quadretti per nulla accomodanti anche con la «sinistra dell'inciucio» o con le «leggi vergogna bipartisan». L'ultimo atto è «Avanti il prossimo: se non vi son bastati Andreotti, Craxi, Berlusconi e D'Alema, ora magari arrivano Lele Mora e Fabrizio Corona... ». A quel punto, il sipario dovrebbe abbassarsi. E invece no, arriva la seconda sorpresa. Il giornalista, prima di concludere, si esibisce in un fuori programma che è un omaggio all'ex premier, del tutto inatteso anche per i tecnici del teatro: «Ringrazio il presidente Prodi che è in platea. E voglio dirgli che sento spesso la nostalgia di lui». Gli applausi sono scroscianti, e solo a quel punto il sipario cala per davvero. L'ex premier, pubblicamente, non dice nulla. Ma l'abbrivio di Travaglio ha suscitato l'emozione degli spettatori, che circondano il professore e riprendono ad applaudirlo.

In realtà, il tributo non è poi una sorpresa. Il giornalista piemontese molto spesso ha separato, magari con qualche generosità, Romano Prodi dai suoi governi. E anche quando ha usato parole dure, ha sempre trovato all'ex presidente del consiglio una giustificazione. Come quando, nell'ottobre dello scorso anno, l'allora premier aveva aspramente criticato la puntata di Annozero dedicata al caso De Magistris. In quell'occasione Travaglio aveva sì dichiarato che «il giudizio di Prodi su Annozero è un diktat di sapore bulgaro emanato da Torino anziché da Sofia». Salvo poi precisare che la responsabilità era probabilmente del «quotidiano ricatto» di Clemente Mastella: «Non penso che Prodi abbia la stessa concezione della libertà di informazione che alberga nella testa di Berlusconi».

Marco Cremonesi
23 dicembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #117 inserito:: Dicembre 25, 2008, 10:04:55 am »

Marco Travaglio.

La questione è immorale e asimmetrica


C'è un che di surreale, nel dibattito sulla questione morale che sta travolgendo parecchi amministratori del Pd. L'ha fatto notare Gustavo Zagrebelsky in un incontro a Torino di Libertà e Giustizia, di cui è presidente onorario: "Dice la destra: che bello, anche la sinistra è corrotta (e vi raccomando quell''anche'). Risponde la sinistra: ma voi siete più corrotti di noi. Il dibattito è asimmetrico perché gli elettori di destra non si scandalizzano per le corruzioni della propria parte, quelli di sinistra sì". Poi c'è l'asimmetria informativa: se 'L'espresso' dedica un'inchiesta i malaffari targati Pd, la stampa 'indipendente', 'Corriere della Sera' in testa, la rilancia. Il che non accade mai sull'altro fronte: non si ricordano inchieste di 'Panorama' o del 'Giornale' sui malaffari targati Pdl. Anzi, chi non ha mai scritto una riga sulla vergogna di un Previti che compra la sentenza Mondadori con soldi Fininvest o di un Dell'Utri che frequenta mafiosi e 'ndranghetisti (gli manca solo la camorra), pontifica contro il sindaco di Firenze che incontra Ligresti in un hotel. Condotta poco trasparente, ma imparagonabile con le indecenze di cui sopra. Sulle quali ancora si attende, dopo anni, un editoriale del 'Corriere'.

Questa asimmetria, fra l'altro, regala un comodo alibi a chi nel Pd non vuol fare autocritica e si rifugia nel "voi siete più corrotti di noi". Tutti ricordano il "facci sognare" di D'Alema e l'"abbiamo una banca" di Fassino nei giorni della scalata Unipol-Bnl. Nessuno sa dei parlamentari forzisti e leghisti imputati per aver reso soldi da Fiorani nella scalata pl-Antonveneta. A fine novembre, presentando l'aspirante governatore d'Abruzzo Gianni Chiodi, Silvio Berlusconi dichiarava: "Sapete com'è andata col ponte sullo Stretto? Avevamo impiegato cinque anni a metter d'accordo le imprese italiane perché non si presentassero separate alla gara d'appalto, ma in consorzio. Eravamo andati dai nostri colleghi chiedendo che le imprese non si presentassero in modo molto aggressivo, proprio perché volevamo una realizzazione di mano italiana, e poi avremmo saputo ricompensarli con altre opere pubbliche. La gara d'appalto è stata vinta dal consorzio italiano: poi la sinistra ha distrutto tutto in cinque minuti".


Se le parole hanno un senso, il premier spiega di avere - non si sa a che titolo - aggiustato una gara internazionale per far vincere Impregilo sui concorrenti stranieri, invitando quelli italiani a farsi da parte in cambio di altri appalti (pilotati anche quelli?). Ma non è successo niente: siamo mitridatizzati al peggio, anche se in teoria il Codice penale vieterebbe le turbative d'asta. Ma immaginiamo quelle parole in bocca a un Sarkozy, a un Brown, a una Merkel, a uno Zapatero, a un Bush, a un Obama. Ammesso e non concesso che, dopo averle pronunciate, fossero rimasti a piede libero, si sarebbero ben guardati dal rinfacciare la questione morale ai loro avversari politici. Berlusconi invece l'ha fatto. E gliel'hanno lasciato fare.

(24 dicembre 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #118 inserito:: Dicembre 30, 2008, 05:27:47 pm »

Marco Travaglio



"Buongiorno a tutti.


Questo è l'ultimo appuntamento con il Passaparola del 2008, quindi è un'occasione per farci gli auguri e per raccontarci un paio di cose che oggi riguardano i processi e le indagini che stanno investendo in varie parti d'Italia il Partito Democratico e la sua reazione.

La reazione iniziale di Veltroni, va detto, era stata buona e civile, quella che ci si attende da un leader di una democrazia normale, e cioè massima fiducia nella magistratura, facciamo autocritica, poniamoci la questione morale, evitiamo i complottismi.
Poi via via col passare dei giorni siamo arrivati alle ultime esternazioni, che sono iniziate quando è stato scarcerato dagli arresti domiciliari Luciano D'Alfonso, sindaco di Pescara.

Allora la posizione del PD ha cominciato a declinare verso non dico una posizione berlusconiana ma molto vicino.
Nel frattempo, hanno pizzicato il figlio di Di Pietro e alcuni collaboratori campani di Di Pietro nell'inchiesta napoletana, dalle quali è risultato che il figlio e alcuni suoi collaboratori segnalavano amici per incarichi a questo provveditore per le opere pubbliche.
Non è reato segnalare amici per incarichi, è però malcostume, quindi bene ha fatto Di Pietro a tirare le orecchie a suo figlio.
Nel suo, come negli altri partiti, ci dovrebbe essere immediatamente l'intervento del collegio dei probiviri che esamina i casi non penalmente rilevanti - quelli li segue la magistratura - e decide sanzioni possibilmente tipizzandole e stabilendo in anticipo cosa rischia chi si comporta in un certo modo.
Non bastano le lavate di capo, ci vogliono anche i provvedimenti concreti, soprattutto in un partito che vuole presentarsi ai cittadini come un partito diverso dagli altri.

E' chiaro che gli altri, non facendo mai niente, autorizzando anche chi vuole essere diverso a vantarsi di esserlo semplicemente in presenza di piccoli segnali, ma bisognerebbe cominciare a ragionare come se ci si trovasse non in Italia ma in Germania, negli Stati Uniti o in Inghilterra e infischiarsene del fatto che gli altri partiti non fanno nulla e cominciare a fare delle cose forti in casa propria.
Detto questo, abbiamo vari tipi di reazioni: se viene preso un politico di centrodestra è un complotto, se viene preso un politico di centrosinistra dipende dai giorni, dal tasso di umidità: rispetto per la magistratura, quasi complotto, complotto a metà.
Quando viene preso, sia pure non a commettere reati, qualcuno del giro di Di Pietro lui fa una sfuriata, alla quale però, come ho detto, dovrebbero seguire delle sospensioni temporanee o definitive dal partito a seconda della gravità dei comportamenti.
E' interessante però un punto, e cioè chi deve decidere sugli arresti di un politico.
Perché su questo ci sono molte discussioni e in realtà non c'è motivo perché che ne siano.
Due avvenimenti degli ultimi giorni ci aiutano a capire bene come stanno le cose.
Voi sapete che fino al 1993, in base all'articolo 68 della Costituzione della Repubblica Italiana, il parlamentare non poteva essere nemmeno processato senza l'autorizzazione del Parlamento, tant'è che l'autorizzazione era per "procedere".
Il magistrato era obbligato, quando riceveva una notizia di reato a carico di un parlamentare, a iscriverlo nel registro degli indagati e poi non più tardi di un mese dopo, se non ricordo male, doveva mandare l'incartamento alla camera di cui faceva parte il parlamentare e chiedere l'autorizzazione ad andare avanti nelle indagini.
Questo articolo 68 copriva i parlamentari anche dagli arresti, dalle intercettazioni, dalle perquisizioni, per cui non si poteva, senza il permesso del Parlamento, mettere in carcere - o meglio in custodia cautelare - o in altre misure cautelari tipo i domiciliari, il divieto di espatrio, l'obbligo di firma, un parlamentare.
E non si può nemmeno perquisirgli la casa o intercettargli il telefono.
Questa seconda garanzia è rimasta: ancora oggi non si può fare nessuna di queste cose al parlamentare. Invece si può indagarlo senza più il bisogno del permesso del Parlamento.
Ma sulla sua libertà personale, sul suo diritto a non essere intercettato, perquisito, arrestato, non è cambiato nulla.
Il politico che, invece, non sta dentro il Parlamento ma sta nel governo è sottoposto alla giurisdizione del Tribunale dei Ministri se il reato che gli viene contestato è collegato con la sua attività ministeriale. Se non è un parlamentare il ministro può essere arrestato, naturalmente, anche se è raro il caso di ministri tecnici non parlamentari, almeno per quanto riguarda quest'ultimo governo.
Se invece uno non è nemmeno ministro è sottoposto alla giurisdizione normale: se uno è sindaco, per esempio, non ci sono problemi. Presidente di regione idem.
Dico questo perché recentemente i magistrati hanno chiesto l'autorizzazione al Parlamento per poter arrestare un deputato ex Margherita, ora PD, della Basilicata, Salvatore Margiotta, e hanno invece arrestato ai domiciliari l'ex sindaco di Pescara, Luciano D'Alfonso, sempre ex Margherita e ora PD.
Il primo è accusato di avere ricevuto o comunque di essersi fatto promettere 200.000 euro per un appalto petrolifero in Basilicata, Margiotta.
L'altro, cioè D'Alfonso, è accusato di vari episodi di corruzione o finanziamento illecito per avere fatto fare gratis dei lavori in due sue abitazioni da imprese che poi hanno vinto appalti o avuto incarichi nella sua amministrazione, per costruire cimiteri o fare altre opere pubbliche, e per essersi fatto pagare l'auto blu e l'assistente da un imprenditore privato: Carlo Toto, il proprietario dell'AirOne, abruzzese anche lui.
L'accusa dice che il sindaco girava con un autista portaborse su una Lancia di alta cilindrata, che non erano a spese sue o dell'amministrazione ma a spese di questo simpatico imprenditore, che evidentemente aveva investito su questo sindaco facendogli questo genere di favori in cambio di, ipotizza l'accusa, altri favori.
Queste sono le due vicende: uno è finito dentro perché è sindaco e non ha nessuna protezione, l'altro non è finito dentro perché quando i giudici hanno chiesto l'autorizzazione ad arrestarlo la giunta delle autorizzazioni a procedere della Camera ha negato l'autorizzazione.
Ed è interessante vedere le motivazioni perché, come vi ho detto, è vero che il Parlamento può negare l'autorizzazione all'arresto, alla perquisizione o alle intercettazioni.
Pensate, bisogna chiedere al Parlamento persino il permesso per intercettare un parlamentare, così lo si avverte preventivamente e lui, ovviamente, su quel telefono, se non è proprio stupido, non parla più.
In ogni caso qui ci interessa la richiesta di autorizzazione alla custodia cautelare; peraltro lo volevano mettere ai domiciliari, non in carcere. Semplicemente lo volevano isolare, ritenendo che possa inquinare le prove, cioè concordare versioni di comodo con le persone indagate con lui per avergli, nell'ipotesi accusatoria, promesso o dato dei soldi.
Il Parlamento può negare l'autorizzazione all'arresto soltanto se dimostra che questa richiesta di autorizzazione non dipende da elementi di indagine normali ma dalla volontà persecutoria del magistrato nei confronti del parlamentare.
In questo caso la volontà persecutoria dovrebbe essere non soltanto del PM che chiede gli arresti ma anche del giudice che poi li accorda.
Ci dovrebbero essere, a Potenza, un GIP e un PM che ce l'hanno con Margiotta e lo vogliono mettere in galera per fini di persecuzione politica: questa è l'unica ragione per cui il Parlamento può dire di no.
Perché a decidere sulla gravità delle accuse e sull'esigenza di tutelare l'indagine con gli arresti di una persona deve essere il giudice, infatti il giudice ha già arrestato alcuni dei presunti complici di questo Margiotta, che non avevano la fortuna di essere parlamentari.
Dato che i fatti sono gli stessi o li arresti tutti o non ne arresti nessuno.
In ogni caso, Woodcock - il PM - e il GIP di Potenza hanno ritenuto che Margiotta debba stare agli arresti domiciliari: bisognerebbe dimostrare che ce l'hanno con Margiotta.
In Parlamento manco si sono posti il problema, anzi hanno escluso quasi tutti coloro che si sono espressi in giunta per le autorizzazioni che ci sia una persecuzione giudiziaria ai danni di Margiotta, eppure hanno detto di votare no.
L'unico che ha detto che voterà sì è l'Italia dei Valori.
Perché vi rendiate conto: cito dal verbale della seduta che si è tenuta in giunta per le autorizzazioni a procedere il 17 dicembre, una settimana prima di Natale.
Destra e sinistra si ritrovano amorevolmente insieme.
Il relatore, nonché presidente della giunta, è Castagnetti, compagno di partito di Margiotta, ex Margherita ora PD. Prima curiosità.
Castagnetti riassume molto puntualmente tutta la vicenda petrolifera con la presunta promessa di tangenti a Margiotta.
Notate che io non conosco Margiotta, non ho la più pallida idea se sia giusto o meno mandarlo in galera: sia chiaro, non ho nessun interesse e non me ne importa niente.
Stabilisco un principio: è il giudice che deve decidere se Margiotta e i suoi complici presunti tali devono finire ai domiciliari oppure no.
Gli altri ci sono finiti, Margiotta no perché è un Mandarino della Casta.
Allora vediamo con quali motivazioni gli hanno dato questo privilegio.
Parla Margiotta, il quale dice che potrebbe dimostrare il fumus persecutionis perché Woodcock non è la prima volta che si occupa di lui.
Cioè, secondo lui è una persecuzione il fatto che un magistrato a Potenza si occupi più di una volta di un politico.
Sarebbe come dire, mutatis mutandis, che ogni tanto c'è un tipo che viene preso perché scippa le vecchiette e la terza volta che lo prende lo stesso poliziotto dicesse: "ah ma lei ce l'ha con me, è la terza volta che mi prende!". E l'altro, giustamente, potrebbe dire: "ma se lei smettesse di scippare le vecchiette...".
Secondo lui il fatto che Woodcock si sia già occupato di lui in altre inchieste non è sinonimo del fatto che lui tiene dei comportamenti border line, ma del fatto che Woodcock ce l'ha con lui. E' fantastico come ragionamento!
Dice: "Sempre il dott. Woodcock, in altro procedimento, avanzò richiesta al GIP di inoltrare alla giunta altre conversazioni telefoniche riguardanti me...".
Tra l'altro questo Margiotta, che opera e viene eletto in Basilicata, a Potenza ha la moglie che faceva il Capo della Squadra Mobile, cioè che teoricamente avrebbe dovuto indagare su di lui: immaginate il conflitto di interessi.
Questa sarebbe la separazione delle carriere da fare: il parlamentare non può avere la moglie Capo della Polizia nel posto dove svolge le sue funzioni.
Si potrebbero separare queste carriere, le hanno separate dopo queste indagini, naturalmente, non prima.
Quindi Margiotta dice: "potrei dire che c'è il fumus persecutionis, ma sono un signore e non lo dico.
Potrei dire che ce l'hanno con me, ma sono un signore e non lo dico.
Preferisco dire - meno male - che non ho preso tangenti".
Interviene Brigandì, della Lega. Notate che questi sono quelli che nel '92-'93 sventolavano le forche.
Adesso nessuno vuole le forche, per carità: si vorrebbe semplicemente che difendessero il principio "La legge è uguale per tutti" e "Gli arresti li decide il giudice e non l'interessato".
Brigandì è fantastico... leghista eh!
Chiede a Margiotta: "Lei ritiene che la vicenda sia caratterizzata da un fumus persecutionis nei suoi confronti?".
Risposta di Margiotta: "Si.".
Fantastico, è l'autocertificazione: il fumus persecutionis lo fanno decidere dall'interessato.
A questo punto interviene - seduta successiva, 18 dicembre, hanno lavorato troppo, si ritrovano il giorno dopo esausti da questa prima audizione - Paniz, del Popolo delle Libertà, e dice: "La linea seguita dalla nostra parte politica è stata e sarà costante, a prescindere dall'appartenenza dei deputati interessati.
Il nostro schieramento sarà sempre a guardia delle garanzia di libertà che la Costituzione e la legge assicurano ai parlamentari e ai cittadini".
Ai cittadini un par di palle, come si direbbe in inglese raffinato, perché queste sono garanzie che si danno ai parlamentari.
Il cittadino non può rivolgersi alla giunta della Camera per farsi tutelare, il cittadino finisce in galera e basta.
Lui si vanta: "orgoglio di appartenere a uno schieramento politico..." che ogni volta che il giudice chiede di procedere nei confronti di un parlamentare risponde sempre di no, a prescindere dal colore così non ci sbagliamo.
Questo è l'ottimo Paniz di Forza Italia.
E dice che "la libertà personale può essere limitata solo in caso di pericolo di fuga o di circostanze che possono mettere a repentaglio la genuinità delle prove".
E in effetti proprio per questo si chiede di mettere Margiotta ai domiciliari, ma Paniz dice: "nel caso dell'On. Margiotta mi sembra evidente la carenza di questi presupposti".
Decide lui: invece del giudice, i presupposti per la custodia cautelare li decide Paniz.
Antonio Leone, sempre Popolo della Libertà, va anche oltre. Dice - sentite questa che è meravigliosa - che Woodcock non è nuovo a iniziative di questo genere, è un persecutore di politici.
Già in passato ha indagato su politici e questo, secondo lui, è già un indice di devianza. Poi aggiunge: "Il Woodcock avanzò altresì domanda di utilizzo di intercettazioni telefoniche di conversazioni tra il Margiotta medesimo e la di lui moglie, in barba al motto popolare per cui 'tra moglie e marito non mettere il dito'".
Questi sono atti parlamentari, sono parlamentari della Repubblica che rappresentano noi e che citano dei proverbi per dire che non bisogna arrestare o intercettare una persona.
C'è un'indagine sulla moglie, capo della Mobile di Potenza, dell'On. Margiotta. Woodcock giustamente manda le telefonate perché quando coinvolgono il marito bisogna chiedere il permesso al Parlamento, se il marito è parlamentare.
Bene, secondo Leone se una moglie indagata parla con il marito bisogna interrompere le intercettazioni perché lo dice il proverbio: "tra moglie e marito non mettere il dito".
Questi sono grandi giuristi, grossi giureconsulti. La prossima volta dirà "tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino" oppure "campa cavallo che l'erba cresce"... cose del genere.
"Finiamola con questi processi, se il processo dura da un anno lo chiudiamo perché campa cavallo che l'erba cresce".
Uno potrebbe fare di tutto con i proverbi, questo usa un proverbio per dire la sua stronzata, dato che non gli veniva in mente nessuna massima giuridica.
Ma andiamo a Pierluigi Mantini, Partito Democratico, il quale naturalmente accusa i giudici di disinvoltura, non il Margiotta.
"I giudici sono di una disinvoltura incredibile" e poi aggiunge che bisogna riflette sull'anomalia italiana per cui un avviso di garanzia si trasforma immediatamente in una condanna definitiva.
Questo non so dove l'abbia letto, ma tutti sanno la differenza che c'è tra un avviso di garanzia e una condanna definitiva.
Qui peraltro c'è una richiesta di arresto alla quale lui vota no, e conclude il suo intervento dicendo che bisogna riequilibrare il rapporto fra magistratura e politica, facendo pagare ai magistrati nei casi di colpa grave.
Dopodiché, quando la procura di Salerno va a vedere i reati della procura di Catanzaro, questi invece di applaudire e dire "bene, finalmente i magistrati pagano in caso di loro colpe", se la prendono con la procura di Salerno perché ha innescato una guerra fra procure.
Guardate che sono singolari, questi signori.
Interviene Luca Rodolfo Paolini, un altro leghista, uno che dovrebbe difendere la trasparenza, "La legge è uguale per tutti".
"Mi ha colpito l'incongruenza per cui viene chiesta oggi una misura cautelare per fatti avvenuti tra il dicembre 2007 e il gennaio 2008".
Gli sfugge che prima i fatti succedono, poi il magistrato li deve scoprire, poi quando li ha scoperti prende la decisione di chiedere l'arresto di una persona, poi lo chiede al GIP, poi nel frattempo passano le vacanze, poi il GIP risponde e lo mandano alla Camera.
E alla Camera cosa fanno? Cincischiano, invece di essere veloci, e continuano a rimpallare la cosa.
Tenete presente che quando si fanno le cose subito si dice: "ma perché l'hanno chiesta subito senza esaminare bene gli atti?".
Quando invece esaminano bene gli atti dicono: "ma perché ce lo chiedete dopo?".
E quando, alla fine, qualcuno dice "state impedendo l'arresto di un parlamentare" loro rispondono: "ma se il magistrato non è d'accordo, può sollevare davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato".
Cioè: per riuscire ad arrestare questa persona che nell'ipotesi di accusa deve essere arrestata, magari vai a fare un ricorso alla Corte Costituzionale che si pronuncerà fra un anno o due.
Ma a questo signore, che ha tanta fretta, non viene in mente.
Alla fine interviene Formisano, di Italia dei Valori, e dice che loro voteranno a favore dell'arresto, e rimane l'unico come, del resto, fa sempre Li Gotti nella giunta del Senato.
Donatella Ferranti, del PD, dice: "chi pensa all'esistenza di un complotto o a trame eversive sarebbe in errore". Bontà sua, dice che non c'è ma a questo punto interviene Giachetti, sempre del PD, che dice: "i parlamentari, fino a prova contraria, sono tutti onesti".
Qui si sta discutendo di uno che è accusato di cose e l'altro dice che, per definizione...
Antonio Leone interviene e se la prende con questa povera Ferranti per aver detto una cosa sensata, cioè che qui non c'è nessun complotto. Dice: "lei parla in qualità di deputato o di magistrato?".
Se parlasse in qualità di magistrato sarebbe un brutto personaggio.
Notate che stanno parlando di un indagato che dev'essere arrestato e stanno salvandolo, no?
Quando qualcuno dice che non c'è un complotto, si alza un altro e dice: "ma lei parla come un magistrato! Si vergogni!", come se avesse detto che bisogna andare a rubare.
E, infine, Antonino Lopresti, sempre del PDL, dice: "nessuno finora ha parlato di complotti, ma il Parlamento deve pur tutelarsi dalle iniziative estemporanee della magistratura".
Eh già, peccato che non si possa tutelare dalle iniziative della magistratura, il Parlamento, salvo che non ci sia la prova di un complotto, cioè di una persecuzione politica.
Questi dicono: "non c'è il complotto, ma l'autorizzazione non la diamo lo stesso", cioè confessano di abusare dell'articolo 68 della Costituzione.
Anche la Samperi, del PD, dice: "non mi pare che esistano i presupposti per la misura cautelare" e anche questo non lo può dire, perché i presupposti li decide il giudice, loro devono decidere solo se c'è o non c'è la persecuzione.
Poi interviene un altro bell'elemento, un certo Vittorio Belcastro della MPA, il partito del governatore della Sicilia Lombardo, il quale dice che c'è una piaga nazionale.
Uno dice la corruzione? No, "il protagonismo della giustizia penale che, quindici anni fa, ha portato alla fine di un'era". Pensate, questo rimpiange ancora Andreotti, Craxi, Forlani...
Ha colto l'occasione di lacrimare in diretta per cotante perdite di quindici anni fa.
Pierluigi Castagnetti, presidente e relatore, tira le somme e dice anche lui una cosa che non potrebbe dire, cioè che il quadro indiziario appare limitato e frammentario.
I politici giudicano se le prove sono sufficienti o no, esattamente quello che non potrebbero fare.
L'altro caso, e così andiamo a conclusione, è quello del sindaco di Pescara.
Voi sapete che viene interrogato in segreto dieci giorni prima delle elezioni regionali, in Abruzzo.
Gli sciorinano davanti gli elementi di accusa su quei lavori da parte di imprese che vincevano poi gli appalti.
Sul fatto che circolava su una macchina con autista pagati da un imprenditore privato che, gentilmente, glieli aveva messi a disposizione.
Che aveva ricevuto dei finanziamenti per il partito della Margherita da gente che poi otteneva incarichi e commesse dalla sua giunta.
Lui si rende conto, evidentemente, che c'è qualcosa che non va, tant'è che annuncia ai magistrati che si dimetterà dopo le elezioni.
I magistrati lo arrestano la sera stessa delle elezioni, dopo che si sono chiuse le urne per non influenzare il voto.
Lui si dimette, anche perché il sindaco arrestato è automatico che poi la giunta cada e venga commissariato il comune.
Si va di nuovo a votare, non è un bel gesto che fa lui, è un gesto che sarebbe stato imposto dopo qualche tempo.
In ogni caso se ne va, a quel punto i magistrati fanno un giro di interrogatori per mettere al sicuro le versioni dei vari personaggi e, alla vigilia di Natale, scarcerano D'Alfonso - ripeto, era agli arresti domiciliari non in galera, ma a casa sua - per le feste di Natale.
Un giornalista, D'Avanzo, scrive che i magistrati si sono smentiti, rimangiati l'ipotesi accusatoria che è crollata, che c'è stata leggerezza da parte del Pubblico Ministero e del GIP.
Francamente, non si capisce quale ordinanza di quale giudice abbia letto questo signore, perché basta leggere l'ordinanza per rendersi conto che è stato scarcerato perché si è dimesso da sindaco e non può più inquinare le prove e ripetere reati della stessa specie.
Se non è più sindaco non può più dare appalti, ovviamente.
Certamente si guarderà bene, pensano i giudici, dall'avvicinare persone per concordare versioni di comodo.
Invece, basandosi su quell'anticipazione giornalistica farlocca, anziché leggere l'ordinanza, intervengono politici del PD e purtroppo cominciano a strillare alla maniera vagamente berlusconiana.
Veltroni dice: "è un fatto gravissimo"; Tenaglia, ministro ombra del PD per la giustizia, dice: "è un fatto grave, è necessaria più prudenza nell'arrestare i politici, perché poi ci sono conseguenze gravi come le dimissioni del sindaco di Pescara".
"Quando si prendono queste decisioni ci vuole prudenza, i magistrati facciano presto", eccetera.
Poi interviene l'ottimo Violante, che ormai è diventato una specie di consulente del centrodestra, parla come un Alfano o un Gasparri qualunque: "non esistevano le ragioni per le quali è stato arrestato il sindaco di Pescara, credo ci voglia molta prudenza perché il sindaco di Pescara e la giunta sono caduti per ragioni, a quanto pare, insussistenti".
Il centrodestra, ovviamente, è entusiasta perché dice: "finalmente anche voi attaccate i giudici, finalmente siete come noi, finalmente rubate anche voi e poi attaccate i giudici, siamo tutti uguali, mettiamoci d'accordo" per la controriforma.
Il giudice che cosa ha scritto? Ha scritto che l'ha scarcerato perché le accuse erano venute meno? Manco per sogno!
L'ordinanza la trovate sul nostro blog, voglioscendere.it: "in relazione al D'Alfonso, in termini di gravità indiziaria, il quadro accusatorio già integralmente condiviso dal GIP - questo scrive il GIP nell'ordinanza che toglie gli arresti domiciliari all'ex sindaco - nel momento dell'adozione delle misure cautelari rimane, nel suo complesso, confermato e anzi sotto taluni aspetti rafforzato, sulle due principali vicende di corruzione e sull'associazione per delinquere.
Le acquisizioni successive all'interrogatorio del sindaco hanno in gran parte eliso - cancellato - il valore del suo costituto difensivo" cioè la sua difesa è crollata di fronte a quello che è venuto fuori dopo il suo arresto.
Anzi, hanno fatto bene a metterlo ai domiciliari perché appena l'hanno messo ai domiciliari sono riusciti a interrogare e a trovare della roba che ha fatto crollare la sua linea difensiva.
Questo dice il GIP.
"L'interrogatorio del Paolini - il portaborse pagato da Toto - ha offerto piena conferma dell'impianto accusatorio in relazione al fatto che Paolini era una sorta di assistente del sindaco stipendiato da Toto e fornito di autovettura di alta gamma" senza che sia possibile documentare quali prestazioni abbia svolto per l'imprenditore Toto questo Paolini.
Lavorava pagato da Toto per il sindaco.
"Ribadita la gravità del quadro indiziario, come originariamente nell'ordinanza, occorre a questo punto farsi carico delle sopravvenienze intervenute in relazione al pericolo di inquinamento probatorio ascritto al D'Alfonso.
Le preannunciate e poi effettivamente eseguite dimissioni costituiscono un'apprezzabile sensibilità istituzionale e il commissariamento del comune determina un ulteriore indebolimento della rete di rapporti intessuti dal D'Alfonso nell'esercizio della propria attività politico amministrativa e della sua conseguente capacità di manipolare persone informate e documenti.
Quanto alla possibile costituzione di tesi difensive di comodo - mettersi d'accordo con altri - va rilevato che esse sono già state in parte disvelate - cioè si è già scoperto che D'Alfonso s'era messo d'accordo per concordare versioni di comodo con altri, che però quando è stato arrestato hanno confessato che quello che avevano detto era falso, fatto per difendere se stessi e lui -.
E comunque il dettagliato sviluppo del costituto difensivo del sindaco - e i confronti già fatti con altre persone coimputate con lui - alla luce della notevole mole di materiale acquisito, rende meno probabili ulteriori manipolazioni delle prove".
Per questi motivi il GIP revoca le misure cautelari applicate a carico di D'Alfonso.
Questo c'è scritto nell'ordinanza, come si fa a dire che sono crollate le accuse, che non lo dovevano arrestare?
Qui si dice il contrario: loro dicono "hanno fatto dimettere una giunta in base a fatti insussistenti".
In realtà è il contrario! Il giudice dice che i fatti sono sussistenti e proprio grazie al fatto che il sindaco e la giunta si sono dimessi si possono togliere gli arresti all'ex sindaco, proprio perché è diventato ex.
Se non si fossero dimessi, cioè se non fossero stati arrestati, oggi non sarebbero stati scarcerati.
Se D'Alfonso fosse ancora al suo posto sarebbe ancora agli arresti.
Vedete come si falsificano le cose, forse sarebbe meglio leggerle le ordinanze, sono anche 8 pagine, è abbastanza facile, ce la possono fare anche i nostri politici e certi nostri maestri di giornalismo.
Naturalmente, tutto ciò viene usato da Berlusconi per abbracciare il centrosinistra nella speranza che lo coprano sulla legge sulle intercettazioni che ha di nuovo minacciato in questi giorni.
Perché la legge sulle intercettazioni è molto impopolare, la gente le vuole le intercettazioni per i potenti!
E dato che riguardano soltanto i delinquenti e i potenti che hanno rapporti con i delinquenti, perché un cittadino normale non rischia certamente di essere intercettato o il rischio è infinitesimale, è evidente che la gente le intercettazioni le vuole anche e soprattutto per questi reati.
Come ci sono in America, vedi l'arresto del governatore dell'Illinois.
Berlusconi ha bisogno della copertura del centrosinistra, perché se ha Di Pietro e il PD che tuonano contro questa legge la gente che vuole più sicurezza e più legalità comincerà a rendersi conto che Berlusconi ha un conflitto di interessi giudiziario che rende impossibile la sicurezza.
Infatti, vuole distruggere uno strumento fondamentale come le intercettazioni.
Ecco perché bisogna impegnarsi, in questo anno, a far sapere ai parlamentari del centrosinistra ma anche di quel centrodestra che ancora non ci sta - sapete che sulle intercettazioni la Lega e una parte di AN non ci vogliono stare -, bisogna rafforzare le posizioni di chi vuole fare opposizione sia all'interno della maggioranza di centrodestra sia, ovviamente, nei banchi della minoranza.
L'unico modo è quello di scrivere ai rappresentanti parlamentari, intasare le loro caselle di posta elettronica - se andate sul sito di Camera e Senato le trovate tutte - per far sapere: "noi non vi votiamo più se vi rassegnate o non contrastate questo devastante progetto sulle intercettazioni, contro la sicurezza dei cittadini".
Questo è l'augurio che vi faccio: che prendiamo in mano la situazione ciascun cittadino singolarmente e tutti collettivamente.
Che ci facciamo carico del principio di eguaglianza, facciamo sapere loro che vogliamo ancora essere tutti uguali di fronte alla legge senza nessuna eccezione.
E speriamo di ritrovarci, questo è l'unico augurio che mi sento di fare, fra un anno a festeggiare la nascita del 2010 in un Paese dove la legge è ancora uguale per tutti.
Passate parola. Auguri."

dal blog di Beppe Gillo
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« Risposta #119 inserito:: Gennaio 01, 2009, 10:37:58 am »

Marco Travaglio.


Niente cimici siamo italiani


Berlusconi ha annunciato che bisogna riformare le intercettazioni e uno stuolo di giornalisti al seguito ha cominciato a ripeterlo a pappagallo. Senza peraltro spiegare il perché  Bruno VespaÈ bastato che Berlusconi strillasse per qualche mese che bisogna riformare le intercettazioni, perché uno stuolo di giornalisti al seguito cominciasse a ripeterlo a pappagallo. Senza peraltro spiegare il perché. Bruno Vespa scrive su 'Bresciaoggi' (imperversa pure lì) che "è sempre più urgente sanare la piaga delle intercettazioni", dopo averne sciorinate a centinaia nei tele-processi di Cogne, Erba, Garlasco e Perugia. Il 'Corriere' gli fa eco in prima pagina: "Riforma condivisa delle intercettazioni" in base al "testo del Consiglio dei ministri". Si spera che quel testo, al 'Corriere', non l'abbiano letto: altrimenti non si vede come possano sollecitare una legge che manda in galera (pena da 1 a 3 anni) i cronisti, anche del 'Corriere', che citano o riassumono intercettazioni o altri atti d'indagine, anche "non più coperti da segreto", prima del processo (potranno farlo solo 4-5 anni dopo la scoperta dei fatti). Alla prossima conferenza stampa uno dei fortunati giornalisti accreditati potrebbe domandare al premier: "Scusi, perché mai vuole riformare le intercettazioni?".

Se dice che sono troppe, obiettare che ogni anno si fanno 3 milioni di nuovi processi e s'intercettano appena 15-20 mila persone. Se dice che costano troppo, obiettare che nel 2007 sono costate 224 milioni, ma han fatto recuperare allo Stato svariati miliardi da mafiosi, narcotrafficanti, finanzieri furbetti, corrotti, rapinatori, truffatori; comunque per risparmiare basta acquistare le apparecchiature anziché affittarle da privati, o imporre tariffe scontate alle compagnie telefoniche. Se dice che all'estero ne fanno di meno, obiettare che ne fanno di più, ma non risultano nelle statistiche perché non
le dispongono solo i giudici, ma anche le polizie e i servizi segreti senza render conto a nessuno. Se dice che all'estero si fanno solo per mafia e terrorismo, obiettare che l'Fbi ha appena intercettato e arrestato il governatore dell'Illinois, Rod Blagojevic, e centinaia di top manager di Wall Street coinvolti nei mutui subprime.
 
Se dice che all'estero i giornali non le pubblicano, esibire un giornale Usa a piacere con le telefonate di Blagojevic & C., compresi i non indagati Jesse Jackson jr. e Rahm Emanuel, braccio destro di Obama. Se dice che vanno escluse per i reati minori, obiettare che il testo governativo le vieta per associazione a delinquere, sequestro i persona, rapina, stupro, furto, spaccio, estorsione, truffa, frode fiscale, bancarotta, omicidio colposo, sfruttamento della prostituzione. Reati minori? Che ne pensano An e la Lega? Se dice che bastano e avanzano gli altri mezzi d'indagine, obiettare che tutti i più recenti scandali sono emersi grazie alle intercettazioni: Bancopoli, Calciopoli, Vallettopoli, casi Cuffaro e Saccà, clinica-horror Santa Rita, Abu Omar e Sismi deviato, Tangentopoli a Firenze, Pescara, Napoli, Potenza.

Se dice che la riforma serve appunto per coprire gli scandali, ringraziarlo per la squisita sincerità. Poi avvertire Vespa e il 'Corriere'.

(31 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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