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Autore Discussione: Marco TRAVAGLIO -  (Letto 119249 volte)
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« Risposta #120 inserito:: Gennaio 09, 2009, 04:47:47 pm »

Marco Travaglio


Il pm fa l'uomo ladro


Il Riesame di Potenza ha annullato gli arresti domiciliari al deputato Pd Salvatore Margiotta. Decisione del tutto superflua: alla vigilia di Natale la Camera unanime (tranne i soliti dipietristi e Furio Colombo) si era già sostituita al Tribunale bloccando l'arresto disposto dal gip Pavese su richiesta del pm Woodcock per associazione a delinquere, turbativa d'asta e corruzione. Ennesimo abuso di potere: i deputati non possono bloccare il provvedimento di un giudice entrando nel merito delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, salvo in presenza di fumus persecutionis contro il candidato alle manette. Fumus escluso dal grosso della giunta per le autorizzazioni a procedere.

Il verbale dell'illustre consesso raggiunge vette di umorismo involontario finora ineguagliate. Puro cabaret. Margiotta è chiamato in causa da intercettazioni: una documenta un suo incontro clandestino, in un vicolo appartato, con un imprenditore interessato ad appalti petroliferi in Lucania; il quale poi confida a un altro di aver promesso a "Salvato'" 200 mila euro per i suoi buoni uffici nella gara truccata.

Davanti alla giunta, Margiotta nega soldi e promesse, "ammesso che Salvato' sia io, cosa di cui dubito fortemente". Ma come fa a sapere che l'imprenditore non millantava? Il leghista Matteo Brigandì gli domanda acutamente: "Ritiene la vicenda viziata da fumus persecutionis?". La risposta del testimone super partes è sorprendente: "Sì". La prova della persecuzione di Woodcock (del gip nessuno parla, come se gli arresti li facesse il pm)? "Io e la mia famiglia non siamo nuovi a iniziative di questo pm".

Infatti Woodcock aveva già inviato alla Camera altre sue intercettazioni con la moglie Luisa Fasano, capo della Mobile di Potenza (il collegio elettorale del marito), indagata per abuso. Dunque, se un pm indaga due volte sul marito e una sulla moglie, diventa automaticamente persecutore. Chi lo dice? L'indagato, marito dell'indagata. Elio Belcastro (Mpa) sfodera un altro argomento formidabile: siccome "15 anni fa Mani pulite segnò la fine di un'era", allora niente arresto. Il forzista Maurizio Paniz assicura: il Pdl dirà sempre no alla cattura di parlamentari, "a prescindere dal partito". Pierluigi Castagnetti, ex margherito come Margiotta, estrae l'alibi decisivo: è inverosimile "una tangente di 200 mila euro per un appalto nientemeno che di 35 milioni".

Un deputato non si vende per così poco, questione di dignità. Colpo di genio finale: Antonio Leone, Pdl, denuncia che Woodcock "chiese di usare intercettazioni tra Margiotta e la moglie, in barba al motto popolare per cui 'tra moglie e marito non mettere il dito'". Ecco: oltreché al codice penale, i pm devono attenersi pure ai proverbi. E meno male che nessuno ha citato stanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino", o "l'occasione fa l'uomo ladro", o "se bello vuoi apparire, un poco devi soffrire". Altrimenti il povero Salvato' lo fucilavano su due piedi.

(09 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #121 inserito:: Gennaio 14, 2009, 05:33:34 pm »

Zorro di Marco Travaglio



Scappellamento a destra



Oh gaudio, oh meraviglia! I capigruppo del Pdl, sostenuti dai presidenti delle due Camere, invitano il senatore voltagabbana Riccardo Villari a dimettersi da presidente della Vigilanza Rai. Che squisitezza! Cotanta sensibilità istituzionale merita un plauso: infatti la cosiddetta opposizione è tutta uno sdilinquirsi in complimenti, ringraziamenti, scappellamenti.

Sono trascorsi meno di tre mesi dall’elezione di Vinavillari e nessuno ricorda più chi l’ha eletto (i parlamentari del Pdl, gli stessi che oggi gli chiedono di dimettersi) e perchè.La carica spetta all’opposizione che, quando esiste (cioè quand’è rappresentata dal centrodestra), ha sempre scelto chi le pare e piace: Storace, Landolfi, personcine così. Stavolta l’opposizione aveva scelto Leoluca Orlando dell’Idv. Ma il Pdl decise che non gli andava bene: la carica spettava, sì, a uno dell’opposizione, purchè scelto dalla maggioranza. Dunque non uno dell’Idv, “partito eversivo”.

Il Pd tenne duro qualche settimana, poi cominciò a disunirsi, con i soliti Follini & frollini vari inclini all’inciucio. A quel punto il Pdl trovò sul mercato il Villari di turno e se lo comprò in saldo, anzi –pare- addirittura gratis. Il leggendario pizzino di Latorre a Bocchino aggiunse all’operazione un’impronta digitale dalemiana.

Ora Vinavillari ha esaurito il suo compito e viene scaricato dai suoi stessi sponsor che, bontà loro, concedono al Pd di nominare un nuovo presidente gradito al Pdl. Come già per il lodo Alfano e le leggi anti-giudici, Berlusconi fa tutto quel che vuole. Ma a patto che glielo si chieda per favore e lo si ringrazi molto.

da unita
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« Risposta #122 inserito:: Gennaio 14, 2009, 05:47:08 pm »

Zorro di Marco Travaglio



Al di sotto di ogni sospetto



Mentre salutiamo con giubilo l’avvento del vero leader dell’opposizione Gianfranco Fini, segnaliamo una notiziola da niente pubblicata il 4 dicembre sulle pagine palermitane di Repubblica. Riguarda l’esimio presidente dell’altro ramo del Parlamento. Titolo: «Le rivelazioni dell’ex deputato Mercadante: “Dal cassiere di Provenzano voti a Schifani”».

Svolgimento: «L’ex deputato regionale Giovanni Mercadante, detenuto ai domiciliari per associazione mafiosa, rivela un particolare sulla campagna elettorale del 1996: “Ero passato nelle file di Forza Italia e chiesi ai miei amici, tra i quali Di Miceli (arrestato nel 2002 e condannato come cassiere di Provenzano, ndr), di appoggiare Renato Schifani al Senato e, alle regionali, Dore Misuraca. Non lo dico per danneggiare i miei ex colleghi di partito, ma chiesi ai miei amici di votare per l’uno e per l’altro”... ». «L’ex deputato è accusato di essere stato il medico di Provenzano», che è imputato insieme a lui.

È una vera fortuna che Mercadante non abbia chiesto a Di Miceli di appoggiare Di Pietro, o un figlio di Di Pietro, o un cugino di Di Pietro, o la colf di Di Pietro, e soprattutto che non l’abbia poi dichiarato in tribunale. Altrimenti da un mese e mezzo tutti i tg e giornali non parlerebbero d’altro. Porta a Porta andrebbe in onda in versione Telethon non stop. E Il Giornale uscirebbe con allegata una Treccani a dispense sul caso. In alternativa, Di Pietro sarebbe presidente del Senato. Invece niente, silenzio assoluto. La libertà d’informazione e il prestigio delle istituzioni sono salvi.

da unita.it
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« Risposta #123 inserito:: Gennaio 19, 2009, 11:35:04 pm »

Zorro di Marco Travaglio

Pierdalemando

Oggi ­ annuncia La Stampa - le fondazioni “Italianieuropei” di D’Alema e “Liberal” di Casini lanceranno le loro proposte congiunte per la riforma della giustizia. Anzi, dei giudici, visto che nessuna di quelle anticipate sveltirebbe di un nanosecondo i tempi biblici dei processi, anzi alcune li allungherebbero ancora. La trovata, poi, di studiare la riforma dei giudici col partito di Cuffaro, Cesa, Bonsignore e altri noti galantuomini, partito che nel 2001-2006 ha votato tutte le leggi vergogna berlusconiane, è destinata a entusiasmare l’elettorato Pd. Ma vediamo cosa bolle in pentola.

1) Anziché dai singoli pm, le intercettazioni dovranno essere richieste dai capi delle procure (è più facile controllare 150 procuratori che 2 mila sostituti), rispettando un rigoroso “budget annuale”. Geniale: se la Procura di Palermo arriva a esaurire il budget per gli ascolti a settembre, negli ultimi tre mesi dell’anno sospende la caccia ai mafiosi latitanti. I boss, opportunamente avvertiti, potranno incontrarsi, chiacchierare e telefonare indisturbati fino a Capodanno.

2) Se i giornali raccontano intercettazioni ­ com’è lecito, una volta depositati gli atti ­ gli editori incorreranno nelle sanzioni previste dalla legge 231 sulla responsabilità penale delle imprese: così, per evitare la rovina dell’impresa, nessuno pubblicherà più nulla (a meno che le notizie non facciano comodo agli interessi politici o affaristici dell’editore).

3) Sulla carriera del pm, un’idea ottima e una balzana. Quella ottima è l’obbligo per ciascun magistrato di fare esperienza sia come pm sia come giudice (il contrario della demenziale separazione delle carriere); quella balzana è l’immissione periodica di avvocati nei ranghi della magistratura saltando i concorsi. Non si vede perché mai un laureato in legge, per diventare magistrato, debba sostenere un concorso, e un iscritto all’albo forense no.

4) Netta separazione fra pm e polizia giudiziaria (copyright Violante-Alfano). In pratica il pm se ne resta in ufficio ad aspettare che la polizia gli porti le notizie di reato. E se non gliele porta? Non può sollecitarle o agire d’iniziativa. Così addio alle indagini sui potenti, specie se politici o amici degli amici: le forze di polizia dipendono dal governo e difficilmente indagheranno autonomamente, senza ordini del pm, sui reati di membri o sostenitori o alleati dei governi. Tantomeno sui delitti commessi da poliziotti. Senza gli impulsi dei pm, non avremmo mai avuto i processi per le sevizie degli agenti al G8, per le deviazioni del Sisde, per la mancata cattura di Provenzano da parte del Ros del generale Mori, e così via. La controriforma svuota dall’interno l’indipendenza del pm e anche del giudice, che resterebbero formalmente autonomi, ma non potrebbero più occuparsi dei reati dei colletti bianchi, perché le relative notizie verrebbero bloccate alla fonte. Un abominio incostituzionale.

5) A decidere sulle misure cautelari non sarebbe più un solo Gip, ma un organo di 3 giudici “in contraddittorio con la difesa dell’indagato”, cioè dell’arrestando. Strepitoso: prima di arrestare qualcuno, lo si avverte, così può scappare. E si impegnano tre giudici al posto di uno anche per infliggere l’obbligo di firma. Mentre un solo gip continuerà a infliggere ergastoli col rito abbreviato.

6) Le responsabilità disciplinari dei magistrati vengono affidate a un’Alta Corte di Giustizia esterna al Csm, un plotone d’esecuzione per un solo terzo formato da toghe per due terzi da politici. Così sarà più facile punire i magistrati sgraditi ai politici. D’Alema e gli amici di Casini sanno già dove mettere le mani.

da unita.it
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« Risposta #124 inserito:: Gennaio 22, 2009, 12:38:57 am »

Zorro di Marco Travaglio

Il gran consiglio dei partiti


Chissà come hanno dormito i membri della Disciplinare del Csm (Mancino, Saponara, Berruti, Mannino, Cesqui e Fresa) dopo aver fucilato i pm di Salerno, rei di aver disposto un decreto di perquisizione e sequestro a Catanzaro giudicato legittimo dal Riesame, ma sgradito al governo, ai partiti, all'Anm e agli indagati eccellenti di "Why Not".

Il procuratore Apicella viene degradato sul campo, come si fa con i traditori in tempo di guerra: espulso dalla magistratura e privato dello stipendio (salvo un piccolo "assegno di sussistenza"). I sostituti Nuzzi e Verasani vengono cacciati da Salerno. Molto più blando il trattamento riservato alle toghe di Catanzaro: solo trasferiti il Pg Iannelli e il pm Garbati, e soltanto loro; salvi invece i pm Curcio e De Lorenzo, che avevano fatto la stessa cosa illegittima, sequestrando le carte appena sequestrate e indagando i colleghi che indagano su di loro. Curcio e De Lorenzo, sospettati a Salerno di aver insabbiato gran parte di Why Not (abuso, falso e favoreggiamento), potranno continuare l'opera, mentre i pm salernitani dovranno lasciare l'inchiesta sull'insabbiamento.

Ciliegina sulla torta: a Iannelli subentra ad interim l'Avvocato generale Dolcino Favi, colui che scippò Why Not a De Magistris ed è per questo indagato per corruzione giudiziaria. Nessuno ha nemmeno pensato di trasferirlo. Così da oggi è ufficiale: se un magistrato firma un decreto o una sentenza che non piace al governo, viene fulminato dal Csm tra gli applausi dell'Anm. In barba alla Costituzione e alla divisione dei poteri. Che aspettano i magistrati onesti a protestare?

da unita.it
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« Risposta #125 inserito:: Gennaio 23, 2009, 12:54:49 pm »

Zorro di Marco Travaglio



Consigli di Stato

Cantava De André: «Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio».

Il Consiglio di Stato, sempre ben consigliato, ha deciso di dare un pessimo esempio con la sentenza che chiude il caso Europa7, riconoscendo a Francesco Di Stefano un risarcimento ridicolo e offensivo: 1 milione per 10 anni di mancati introiti e negate frequenze (quelle occupate abusivamente da Rete4).

Oltre al danno, la beffa di leggere che aveva ragione lui: Rete4 andava spenta dal 2004, invece restò accesa in barba a due sentenze della Consulta e alla perdita della concessione, grazie alla salva-Rete4 e alla Gasparri astutamente confermate dall’Unione anche dopo che la Corte di giustizia europea le giudicò «contrarie al diritto comunitario». Sentenza sollecitata dallo stesso Consiglio di Stato, che ora allegramente la disattende. Di recente il governo Mediaset ha assegnato a Europa7 una frequenza finta. Ma i giudici amministrativi se la son bevuta.

Avendo investito almeno 1 miliardo in 10 anni per allestire studi, acquistare programmi, vincere la concessione ed esser pronto al momento dell’ agognato via libera, Di Stefano aveva chiesto le frequenze che gli spettano per legge e 2 miliardi di danni. Gli han dato 1 milione, il «piccolo risarcimento» di cui parlava da mesi il sempre profetico Confalonieri. Di Stefano ha ragione, ma non deve impicciarsi di tv. Quella è roba dei partiti, e lui non ne ha neppure uno. Quindi prenda la mancetta, si compri le caramelle e la smetta di rompere i coglioni ai padroni d’Italia. O non lo sa che, ormai, si scrivono loro anche le sentenze?

da unita.it
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« Risposta #126 inserito:: Gennaio 23, 2009, 01:12:33 pm »

Marco Travaglio

Quell'incubo chiamato Tonino


A casa Berlusconi sono terrorizzati da Di Pietro. È bastato che toccasse il 15 per cento in Abruzzo perché “Il Giornale” scatenasse una campagna forsennata per gabellarlo come l'epicentro dell'inchiesta “Global Service” a Napoli  A casa Berlusconi devono essere terrorizzati da Di Pietro. È bastato che toccasse il 15 per cento in Abruzzo e collezionasse un milione di firme contro la legge Alfano, perché ?Il Giornale? di famiglia diretto da Mario Giordano scatenasse una campagna forsennata per gabellarlo come l'epicentro dell'inchiesta Global Service a Napoli.

Peccato che, a parte un paio di sciagurate raccomandazioni tentate dal figlio Cristiano, l'ex pm sia del tutto estraneo all'indagine, che coinvolge invece gente del Pd e del Pdl.
Dal 19 dicembre all'11 gennaio Il Giornale gli ha dedicato titoloni in 17 prime pagine su 21, mentre in Italia e nel mondo accadeva di tutto. Fior da fiore, fra i titoli più succulenti:  Tutti gli intrallazzi del clan Di Pietro;
Gasparri: Di Pietro coniglio;
Rivolta dei fan di Di Pietro;
Di Pietro jr. si dimette, ora tocca a Tonino;
Bondi: non vorrei mai mio figlio in politica;
Di Pietro, il giallo dei rimborsi elettorali;
Di Pietro nei guai vuol depistare e sforna referendum;
La verità sulle case di Di Pietro?.

Come se i presunti intrallazzi su rimborsi e immobili non fossero già stati archiviati dal Gip di Roma il 14 marzo 2008.

Il Giornale anzi scrive il contrario: «La Procura decise di rinviare a giudizio anche la tesoriera di Idv, Silvana Mura», più Di Pietro. Invece la Procura chiese di archiviarlo, mentre la Mura non fu nemmeno indagata. In fatto di case, poi, gli editori di nome e di fatto dovrebbero suggerire al Giornale un pizzico di prudenza. Paolo Berlusconi confessò proprio a Di Pietro le stecche pagate alla Cariplo per rifilarle tre immobili Edilnord invenduti (alla fine fu ritenuto concusso). E sulle magioni di Silvio c'è materia per una Treccani. La villa di Arcore soffiata a prezzi stracciati a un'orfana minorenne, per giunta assistita da Previti. Il falso in bilancio amnistiato per i terreni di Macherio.
Gli abusi edilizi a Villa Certosa, sanati dal condono varato dal padrone di casa. Eppoi questa campagna ne ricorda un'altra, sferrata nel 1995-97 sempre dal Giornale, allora diretto da un maggiorenne, Vittorio Feltri. Di Pietro minacciava di entrare in politica con un partito tutto suo, dopo aver respinto le offerte di destra e sinistra.


Il 23 dicembre '95 l'house organ sparò in prima pagina un'intervista al faccendiere craxiano latitante Maurizio Raggio: Dal Messico gravi accuse a Di Pietro. Raggio: Pacini Battaglia diede una valigetta con 5 miliardi a Lucibello per Di Pietro. E così per due anni: corrotto, concussore, venduto. Nel '97, subissato di cause perse in partenza, Paolo risarcì l'ex pm con 400 milioni di lire. Feltri si scusò in prima pagina: Caro Tonino, ti stimavo e non ho cambiato idea. In seconda e terza pagina un lungo autodafè (Dissolto il grande mistero: non c'è il tesoro di Di Pietro) informava i lettori che «Di Pietro è immacolato», la campagna del Giornale era una «bufala», una «ciofeca». E la nota provvista miliardaria Mai esistita.
Ma ormai l'immagine del simbolo di Mani Pulite era devastata. Infatti ora si replica.

(22 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #127 inserito:: Gennaio 24, 2009, 04:29:01 pm »

Marco Travaglio.


Il padrone delle parole


 Silvio BerlusconiUn anno fa cadeva il governo Prodi e l'Italia precipitava nelle elezioni anticipate. Tv e giornali non parlavano che di criminalità in aumento vertiginoso, immigrati clandestini in ogni dove e tasse in crescita incontrollabile. Tutta colpa del centrosinistra, ovviamente. Oggi la criminalità è davvero in salita (nel 2007 era in calo), gli sbarchi di clandestini sono raddoppiati, il gettito fiscale segna il nuovo record nonostante l'abolizione dell'Ici ai ricchi. Ma siccome Berlusconi, il padrone delle parole, non vuole (ora governa lui), non ne parla nessuno. Ecco, se il Pd si deciderà a stilare il bilancio del suo primo anno di vita (si fa per dire) sperando che al primo ne segua un secondo, dovrà partire di qui: dalla desolante incapacità di imporre i propri temi forti all'attenzione dei media e dunque dell'opinione pubblica.

In una parola: di dettare la sua agenda. Finora nessuno l'ha capito, quale sia la sua agenda. Tant'è che il 50 per cento dei suoi elettori si dicono tentati da Di Pietro, che batte su poche idee, popolari e comprensibili: legalità, sicurezza, opposizione dura. Proprio su questi fronti il Pd perse le elezioni politiche e le comunali a Roma. La settimana precedente il ballottaggio Alemanno-Rutelli, le reti Mediaset cavalcarono lo stupro di un'africana alla Storta e l'omicidio di un'anziana ai Parioli, attribuendoli al "lassismo della sinistra". Il 20 aprile il Tg5 riuscì a dedicare sei servizi all'"ermergenza criminalità", l'Italia come un film di Dario Argento. E il Tg1 di Riotta, sempre a vento, non fu da meno. Per com'è congegnata la cosiddetta informazione politica in tv, che pende dalle labbra dei politici, era inevitabile: tutto il Pdl, come un sol uomo, si mise a cannoneggiare sull'"emergenza criminalità", e le tv dietro. Ora a Capodanno Roma è stata funestata da una serie di delittacci, compreso lo stupro a una festa patrocinata dal Comune alla Fiera.


Ma nessuno l'ha notato: il governo comprensibilmente taceva, la presunta opposizione era troppo impegnata a guardarsi l'ombelico e a blaterare delle solite astruserie politichesi: il caso Villari, il dialogo sulla giustizia, l'arrapante dilemma delle alleanze (Casini o Di Pietro?). Lo stesso è avvenuto con gli strepitosi assist regalati dal governo con i pasticciacci dell'Alitalia, della scuola, della social card: tutte occasioni sprecate, lasciate cadere con qualche frasetta qua e là, per non dispiacere ai sapientoni 'riformisti' e corrieristi che consigliano un'opposizione pallida, possibilmente invisibile. Ormai il Pd è sotto il 25 per cento: ha perso 10 punti in un anno, avendo contro il peggior governo mai visto (che perde punti anch'esso). Che aspetta Uòlter a elaborare una strategia di comunicazione? Una purchessia: un paio di idee e slogan originali che 'bùchino', un pizzico di sano populismo che scaldi i cuori degli elettori depressi e offra ai delusi del centrodestra la percezione che c'è vita oltre la siepe. O almeno l'illusione.

(23 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #128 inserito:: Gennaio 26, 2009, 10:02:56 pm »

Zorro di Marco Travaglio



Scuola di giornalismo



Annozero trasmette tutte le intercettazioni che chiamano in causa Di Pietro jr. e due uomini Idv per alcune raccomandazioni, ma pure vari esponenti Pd e Pdl per associazione a delinquere. Il Giornale di casa Berlusconi titola: «Santoro beatifica Di Pietro». Di Pietro dice che il figlio Cristiano «non è imputato di niente e non ha ricevuto avvisi di garanzia». Infatti è iscritto nel registro indagati come «atto dovuto» (parole della Procura), ma non ha ricevuto avvisi e per essere imputato dovrebbe subire una richiesta di rinvio a giudizio. Il Giornale di casa Berlusconi titola: «Di Pietro racconta bugie in diretta». Di Pietro dice di aver trasferito nel luglio 2007 il provveditore alle opere pubbliche di Napoli, Mario Mautone, perché «chiacchierato» in base a esposti e indagini interne da lui affidate al capitano Scaletta, senza saper nulla dell'inchiesta di Napoli. Il Giornale di casa Berlusconi intervista Scaletta: «Di Pietro fa riferimento a lei sulle circostanze intorno alla fuga di notizie su Mautone. Ha rivelato lei a Di Pietro che il provveditore era sotto inchiesta?». Scaletta ovviamente risponde di no: Di Pietro non ha mai detto che Scaletta o altri l'abbiano informato dell'inchiesta. Dunque Scaletta conferma Di Pietro. Il Giornale di casa Berlusconi titola a tutta prima pagina: «Di Pietro smentito anche dal suo 007. L'ultima versione di Tonino su Mautone: ho saputo che era indagato dai miei ispettori. Il capo della squadra: 'Non gli ho mai detto niente del genere'. E non è l'unica bugia». Infatti ci sono le balle quotidiane del Giornale di casa Berlusconi.

da unita.it
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« Risposta #129 inserito:: Gennaio 27, 2009, 10:11:29 am »

Europa7, quello strano caso

di Marco Travaglio


Tutto comincia nel 1996. Il ministro delle Comunicazioni del governo Prodi, Antonio Maccanico, presenta il ddl 1138 con una norma antitrust: entro il 28 agosto, come ha stabilito nel 1994 la Corte costituzionale, Mediaset dovrà cedere una rete o mandarla sul satellite. Ma subito dopo annuncia un decreto salva-Rete4: proroga di 5 mesi in attesa della riforma complessiva del sistema, che non arriverà mai, bloccata dall’ostruzionismo della destra in commissione Lavori pubblici e Telecomunicazioni del Senato (presidente Claudio Petruccioli). A fine anno la proroga di agosto sta per scadere. Ma niente paura: Maccanico ne concede un’altra. Intanto D’Alema diventa presidente della Bicamerale coi voti di Forza Italia: due anni di inciucio sfrenato.
Il Parlamento approva una piccola parte della riforma Maccanico: nessun operatore può detenere più del 20% delle frequenze nazionali, dunque Rete4 è di troppo. Ma a far rispettare il tetto dovrà essere la nascente Agcom, e solo quando esisterà “un effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei programmi via satellite o via cavo”. Solo allora Rete4 andrà su satellite e Rai3 trasmetterà senza spot. Cioè mai. Che vuol dire «congruo sviluppo» del satellite? Nessuno lo sa.

Nell’ottobre ’98 cade il governo Prodi, rimpiazzato da D’Alema. L’Agcom presenta il nuovo piano per le frequenze e bandisce la gara per rilasciare le 8 concessioni televisive nazionali che si divideranno le frequenze analogiche disponibili, in aggiunta alle tre reti Rai. Oltre a Mediaset e Tmc, si presenta un outsider: Francesco Di Stefano, imprenditore abruzzese proprietario di un network di tv locali: Europa7. La commissione ministeriale esamina le offerte e stila la graduatoria: Canale5, Italia1, Rete4, Tele+ bianco, Tmc, Tmc2, Tele+ nero, Europa7. Quest’ultima è 8° in totale, ma addirittura 1° per qualità dei programmi. E passerà al 6° posto appena Rete4 e Tele+nero traslocheranno su satellite dopo il famoso “congruo sviluppo” delle parabole. Il 28 luglio ‘99 un decreto del governo D’Alema le assegna la concessione. Di Stefano apre un mega-centro produzione di 22 mila mq sulla Tiburtina, 8 studi di registrazione, uffici, library di 3mila ore di programmi e tutto quanto occorre per una tv nazionale con 700 dipendenti. Non sa che sta iniziando un calvario infinito: diversamente che per le altre reti, già attive da anni, il decreto ministeriale non indica le frequenze di Europa7: sono occupate da Rete4 e Tele+ nero.

Nel 2002 si rifà viva la Consulta: basta proroghe a Rete4, che dovrà emigrare su satellite entro il 1° gennaio 2004. Così le frequenze andranno a Europa7. Ma Berlusconi, tornato al governo, salva la sua tv con la legge Gasparri: il tetto del 20% va calcolato sui programmi digitali e le reti analogiche, cioè sull’infinito. Dunque Rete4 non eccede la soglia antitrust e può restare dov’è. Il 16 dicembre 2003, però, Ciampi respinge la legge al mittente. Ma a fine anno Berlusconi firma il decreto salva-Rete4: altri 6 mesi di proroga. Intanto scatta la Gasparri-2: per mantenere lo status quo in barba alla Consulta, si stabilisce che nel 2006 entrerà in vigore il digitale terrestre moltiplicando i canali per tutti e vanificando ogni tetto antitrust. Nel frattempo i «soggetti privi di titolo» che occupano frequenze in virtù di provvedimenti temporanei, cioè a Rete4, possono seguitare a trasmettere. Chi ha perso la gara (Rete4) vince, chi ha vinto la gara (Europa7) perde. Di Stefano non demorde. Respinge gl’inviti a ritirarsi o a “mettersi d’accordo” e nel luglio 2004 si rivolge al Tar Lazio. Che però nel 2005 gli dà torto. Si va al Consiglio di Stato, per avere le frequenze negate e un risarcimento danni di 2 miliardi di euro (con le frequenze) o di 3 (senza). Il Consiglio di Stato passa la palla alla Corte di giustizia europea di Lussemburgo perchè valuti la compatibilità delle norme italiane con il diritto comunitario.
Nel maggio 2006 il centrosinistra torna al governo. Ma non fa nulla per sanare l’illegalità legalizzata dai berluscones. E si guarda bene dal modificare le regole d’ingaggio all’Avvocatura dello Stato, che seguita a difendere la Gasparri in Europa. Come se governasse ancora Berlusconi.

Il 31 gennaio 2008, finalmente, la sentenza della Corte di Lussemburgo: le norme italiane che consentono a Rete4 di trasmettere al posto di Europa7 sono “contrarie al diritto comunitario”, dunque illegali: la Maccanico, il salva-Rete4, la Gasparri,ma anche il nuovo ddl Gentiloni.Tutte infatti concedono un infinito“regime transitorio” a Rete4, che va spenta subito, dando a Europa7 ciò che è di Europa7. Le norme comunitarie “ostano a una normativa nazionale che impedisca a un operatore titolare di una concessione di trasmettere in mancanza di frequenze assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”. Uno tsunami che spazza via vent’anni di tele-inciuci. O almeno dovrebbe.

La sentenza è immediatamente esecutiva e il governo Prodi –pur dimissionario- dovrebbe applicarla ipso facto. Ma il ministro Gentiloni ci dorme sopra, e intanto finisce anticipatamente la legislatura. Quella nuova si apre con un’ennesima legge salva-Rete4, poi ritirata da Berlusconi. Non ce n’è più bisogno. Il governo assegna a Europpa7 una frequenza della Rai, peraltro inattiva. Ma l’altro giorno il Consiglio di Stato, dopo 10 anni di soprusi, si beve anche l’ultima truffa.
Ed emette la sentenza-beffa: Europa7 ha ragione (Rete4 andava spenta fin dal 2004). Ma ha diritto alla miseria di 1.041.418 euro di danni, anche perché "non poteva ignorare i caratteri specifici della situazione di fatto nella quale maturò il bando": avrebbe dovuto "dubitare seriamente" che le frequenze gliele dessero davvero e rassegnarsi, abbandonando il settore tv, anziché proseguire la battaglia legale. Dove si credeva di vivere, questo ingenuo signore: in una democrazia?

23 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #130 inserito:: Gennaio 29, 2009, 09:16:26 am »

Zorro di Marco Travaglio

Chi è Stato


L’altro ieri, a Sky, l’on.avv.imp. Gaetano Pecorella interloquiva con Gioacchino Genchi a proposito del presunto scandalo del suo inesistente archivio. Genchi spiegava di non possedere alcun archivio, di non aver mai intercettato nessuno e di aver sperimentato un metodo che consente di sventare stragi, risolvere omicidi impuniti e scagionare innocenti (fra cui due clienti dell’On.Avv.Imp.).

Il noto garantista però insisteva. Come se fosse Genchi a dover dimostrare di non aver violato la legge, e non chi l’accusa a provare il contrario. L’On. Avv. Imp. domandava sprezzante a che titolo «un privato» conservi tabulati telefonici. Genchi notava di non essere «un privato», ma un vicequestore di polizia da 25 anni al servizio dei magistrati. Un «servitore dello Stato». E qui Pecorella lo guardava tra l’incredulo e lo sbigottito, anche perché lui - come avvocato e come deputato – ha sempre servito il cliente che lo paga meglio.

Quello che definisce la giustizia «un cancro da estirpare», accusa la sinistra di essere «collusa con la giustizia» e ora ce l’ha pure con Giulia Bongiorno, avvocato di An e presidente della commissione Giustizia, perché non vuol abolire le intercettazioni e dunque viene linciata dal solito mechato sull’apposito Giornale per collaborazionismo coi magistrati. Come se questi intercettassero per sfizio. La Bongiorno ha risposto così: «Mi allarmerei se mi accusassero di stare dalla parte dei mafiosi: stare con i magistrati non mi pare un insulto». È bello sapere che, a destra, sopravvive qualcuno che sa cos’è lo Stato. Ora si attende la sinistra.

da unita.it
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« Risposta #131 inserito:: Gennaio 30, 2009, 10:45:13 pm »

Zorro di Marco Travaglio

Silenzi casalesi


A proposito di silenzi omertosi, anzi mafiosi: l´altroieri la Camera ha bocciato la mozione dell´opposizione Pd-Idv-Udc che chiedeva gentilmente al governo di «invitare alle dimissioni il sottosegretario all´Economia Nicola Cosentino», Pdl, accusato da sei pentiti del clan dei Casalesi (vedi la grande inchiesta dell´Espresso) e indagato per camorra dalla Dda di Napoli, in quanto «lede gravemente non solo il prestigio del governo, ma anche la dignità del Paese».

La mozione era firmata dai capigruppo del Pd Antonello Soro, dell´Idv Massimo Donadi e dell´Udc Michele Vietti, oltreché dagli on. Sereni, Bressa, Ciriello e Garavini. Quest´ultima, una maestra elementare eletta con gli italiani all’estero, ha illustrato la mozione in aula. Purtroppo però le astensioni e le assenze nelle file del Pd han superato quelle del Pdl e salvato l’ottimo Cosentino. Mozione respinta con 236 no (Pdl più Lega), 138 sì e 33 astensioni.

Decisivi dunque i 26 astenuti Pd (fra i quali Cuperlo, Madia e i radicali), i 47 Pd usciti dall’aula perlopiù solo per quella votazione e poi subito rientrati (compresi Enrico Letta, il ministro molto ombra della Giustizia Lanfranco Tenaglia e perfino Marina Sereni, firmataria della mozione stessa), i 22 Pd assenti ingiustificati (compresi D´Alema, Gentiloni e Veltroni, che sull´Espresso aveva chiesto le dimissioni di Cosentino) e i 2 Pd addirittura contrari (fra cui il tesoriere Ds Ugo Sposetti).

Erano troppo impegnati a salvare le istituzioni repubblicane minacciate da un paio di migliaia di persone in piazza Farnese.

da unita.it
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« Risposta #132 inserito:: Febbraio 01, 2009, 11:43:34 pm »

Zorro di Marco Travaglio



Siete ridicoli/2



Il Copasir, che dovrebbe controllare i servizi segreti e invece s’impiccia di indagini in corso, ha torchiato il giudice De Magistris e il suo ex consulente Genchi. Fortuna che i due si sono attenuti al segreto sulle vicende top secret, perché poche ore dopo le loro parole, debitamente distorte, erano già su tutti i giornali. In barba al segreto cui è tenuto il Copasir. Corriere e Repubblica hanno scritto che De Magistris «scarica» e «prende le distanze» da Genchi. Falso. Delle due l’una: o chi ha spifferato illegalmente la notizia mente sapendo di mentire, o non capisce quel che ha ascoltato.
Più probabile la seconda, vista la crassa ignoranza dilagante su intercettazioni e tabulati. Gli onorevoli del Copasir domandano scandalizzati come mai si siano acquisiti tabulati di persone non indagate: non sanno che la legge consente pure di intercettarli, i non indagati (nei sequestri di persona si controllano i telefoni dei familiari dell’ostaggio). Altri han domandato a De Magistris se avesse chiesto lui a Genchi di acquisire questo o quel tabulato. L’ex pm ha risposto che i tabulati da acquisire li proponeva Genchi, esattamente come, nelle indagini per riciclaggio, è il consulente finanziario a chiedere questo o quel conto bancario. A questo servono i consulenti tecnici: a suggerire, da esperti, al pm le mosse giuste per acchiappare una prova. Il pm, fidandosi di loro, li autorizza. Dunque De Magistris ha ribadito la sua totale fiducia in Genchi. Titolo dei giornali: «De Magistris scarica Genchi». Forse ci vorrebbero dei consulenti tecnici anche per i giornali.

da unita.it
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« Risposta #133 inserito:: Febbraio 02, 2009, 05:43:41 pm »

Caso Sanjust, Berlusconi esce indenne. Archiviato

di Marco Travaglio


Silvio Berlusconi esce indenne da un altro processo: quello aperto a suo carico dal Tribunale dei ministri di Roma per «abuso d’ufficio e maltrattamenti commessi da soggetto investito di autorità» (cioè per mobbing) ai danni di un agente del Sisde, Federico Armati, figlio di un noto magistrato romano, che l’aveva denunciato il 29 gennaio 2008, attribuendo i suoi guai professionali alla relazione sentimentale avviata dal premier con la sua ex moglie Virginia Sanjust di Teulada, giovane annunciatrice Rai, figlia dell’attrice Antonellina Interlenghi.

Il 26 gennaio i giudici Anna Battisti, Andrea Fanelli e Paolo Emilio De Simone hanno archiviato il caso, accogliendo le due richieste avanzate dal pm il 13 febbraio e il 6 novembre 2008. Il processo era proseguito nonostante la legge Alfano, che copre soltanto i reati contestati alle alte cariche dello Stato al di fuori dell’esercizio delle funzioni, ma non quelli “funzionali”.

E il Cavaliere era indagato, appunto, per aver abusato del suo potere in veste di capo del governo. Secondo i giudici, «la notizia di reato a carico del Presidente del Consiglio in carica all’epoca dei fatti, Berlusconi Silvio, deve ritenersi nel suo complesso infondata o comunque non supportata da idonei elementi atti a sostenere l’accusa in un eventuale giudizio di merito, per cui ne va disposta l’archiviazione». La motivazione, logicamente faticosa e scritta in un italiano incerto, lardellato di errori grammaticali e sintattici, dichiara dimostrata soltanto la «stretta relazione intrecciata» dal Cavaliere con Virginia, peraltro ormai stranota da quando i giornali pubblicarono la denuncia di Armati.

Tutto cominciò nella penultima legislatura, anno 2003, quando Berlusconi andò in tv a presentare la sua politica economica, e lì conobbe l’annunciatrice, perdendo la testa per lei. Un mazzo di fiori, un biglietto galante, un invito a pranzo a Palazzo Chigi, una storia durata mesi fino all’acquisto da parte di una società del focoso Cavaliere (Immobiliare Idra) dell’appartamento in piazza Campo de’ Fiori abitato dalla ragazza che prima lo affittava.

Nel novembre 2003 Armati ottiene l’agognata promozione a funzionario del Sisde. Poi nel 2004 divorzia da Virginia, che entra in aspro conflitto con lui a proposito dell’affidamento del figlio minore e – secondo Armati – nel mese di settembre lo minaccia di farlo “rovinare”, ridurre sul lastrico, per “farlo diventare così povero da non poter più accudire e tenere con sé il bambino”. Un anno dopo Armati, dopo vari “maltrattamenti, vessazioni e azioni di mobbing” inflittigli – a suo dire - dai superiori su pressione del premier, viene improvvisamente trasferito dal Sisde al ministero della Giustizia, dove avrebbe guadagnato un terzo dello stipendio precedente. «Un trasferimento punitivo», dice lui. A quel punto l’agente segreto minaccia di denunciare tutto alla magistratura e ai giornali, in piena campagna elettorale: quella in vista delle elezioni dell’aprile 2006, che vedeva Berlusconi in svantaggio sull’Unione di Prodi.

Così il 1° aprile 2006 il trasferimento viene revocato in fretta e furia e Armati, con due colleghi, viene assegnato al Cesis dove tuttoggi presta servizio. Il Tribunale dei ministri ha ascoltato il prefetto Del Mese, tagliando gli altri testimoni indicati dal denunciante. E Del Mese avrebbe fornito «una chiara spiegazione di quanto accaduto all’Armati», portato al Cesis per rimpinguarne gli organici allo scopo, addirittura, di «affrontare nuove minacce terroristiche» con l’apporto di «professionalità maggiormente operative»: più che dal timore della denuncia di Armati e dalla «volontà del premier di evitare lo scandalo», influì nel reintegro dell’agente la volontà di Mori di «valorizzare la sua professionalità» (!).

Insomma, secondo i giudici, il caso Sanjust non c’entra nulla: i «nominativi assegnati al Cesis furono indicati da Mori», non da Berlusconi. Il Tribunale conclude che è «arduo ritenere i dissapori e i contrasti esistenti tra Armati e la sua ex moglie, la quale contestualmente a tali fatti aveva indubbiamente stretto una relazione personale con il presidente del Consiglio in carica (per come pare desumersi in maniera pressochè univoca dalla documentazione allegata alla querela e, segnatamente, dalla documentazione bancaria, dalle dichiarazioni della Sanjust in altro procedimento penale, nonché dai vari passaggi di proprietà della casa familiare di piazza Campo de’ Fiori), possano aver determinato e deciso le sorti lavorativo-professionali del medesimo denunciante».

Le presunte minacce della Sanjust sarebbero troppo lontane (“oltre un anno”) dal trasferimento dell’ex marito dal Sisde al ministero per poter collegare i due fatti. I trasferimenti di Armati furono siglati da Mori, Del Mese e Letta (peraltro “delegato dal premier”), e non da Berlusconi, anche se costoro erano «in linea puramente teorica influenzabili» dal Cavaliere. Eppoi Armati non fu il solo a essere trasferito, il che smentirebbe un “trattamento speciale” nei suoi confronti. È vero che Berlusconi, visti i suoi legami con la Sanjust, poteva aver interesse ad assecondarne i capricci; ma la nuova legge sull’abuso d’ufficio gli avrebbe imposto di astenersi dal decidere sull’ex marito della donna solo «in presenza di un interesse proprio o di un proprio congiunto», appartenente alla sua «cerchia familiare, nella quale non può essere ricompresa anche la persona che, sebbene priva di legami parentali col pubblico ufficiale, abbia con quest’ultimo instaurato uno stretto legame».

Quanto al presunto mobbing, è vero che i dipendenti dei servizi sono «sottoposti all’autorità del premier», ma “in concreto” Armati dipendeva da Mori.
E comunque le angherie da lui denunciate non presentano quei “caratteri di frequenza e durata nel tempo” necessari per far scattare il reato.
Ergo, il Tribunale dei ministri «dichiara non doversi promuovere l’azione penale nei confronti di Berlusconi Silvio».

02 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #134 inserito:: Febbraio 09, 2009, 08:57:15 am »

Zorro di Marco Travaglio

Tecnica di un colpo di Stato

A lui non frega nulla di Eluana.

A lui interessa affermare il principio che una sentenza definitiva può essere ribaltata per decreto, o per legge ordinaria, o per legge costituzionale. A lui non frega nulla della vita e della morte. A lui interessa compiacere il Vaticano con un decreto impopolare ma a costo zero, fatto già sapendo che il Quirinale non lo firmerà, dunque senza pagare alcun prezzo di impopolarità. A lui non frega nulla delle questioni etiche.

A lui interessa coprire il colpo di mano contro la giustizia e la civiltà: i medici trasformati in questurini e delatori contro i malati clandestini; le ronde illegali legalizzate; le intercettazioni legali proibite; gli avvocati promossi a padroni del processo, che faranno durare decenni convocando migliaia di testimoni inutili per procacciare ai clienti ricchi l'agognata prescrizione; i pm degradati ad «avvocati dell’accusa», come negli stati di polizia, dove appunto la polizia, braccio armato del governo, fa il bello e il cattivo tempo senza controlli della magistratura indipendente; dulcis in fundo, abolito l'appello del pm contro l'assoluzione o la prescrizione in primo grado, ma non quello del condannato (non hai vinto? Ritenta, sarai più fortunato), sempre all'insegna della «parità fra difesa e accusa».

Tutte leggi incostituzionali che, dopo il no del Quirinale al decreto contra Eluanam, hanno molte possibilità in più di passare. Per giunta, inosservati. Parlare di colpo di Stato è puro eufemismo. E poi, che sarà mai un colpo di Stato? Se la Costituzione non lo prevede, si cambia la Costituzione.

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