LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. => Discussione aperta da: Admin - Luglio 24, 2007, 05:42:29 pm



Titolo: Marco TRAVAGLIO -
Inserito da: Admin - Luglio 24, 2007, 05:42:29 pm
Forza Clementina!

Pubblico un intervento di Marco Travaglio.

NON PERTINENTE SARA’ LEI

"Anche il Presidente della Repubblica dei Mandarini Intoccabili, davanti al Csm, ha voluto dare la sua bastonata al gip Clementina Forleo, rea di “valutazioni non pertinenti ed eccedenti”, cioè di lesa maestà nei confronti di sei parlamentari che due estati fa scalavano banche e case editrici in combutta con i furbetti del quartierino e si avvertivano a vicenda delle intercettazioni in corso (D’Alema, essendo molto intelligente, per avvisare Consorte del suo telefono intercettato, gli telefonò).

Secondo Napolitano, con queste “fughe di notizie” l’opinione pubblica rimane disorientata. In realtà, proprio grazie al giudice Forleo e ai giornali che hanno riferito le sue ordinanze, l’opinione pubblica ha capito benissimo tutto. E cioè che “non pertinente ed esorbitante” è il comportamento dei politici scalatori, non dei giudici che li hanno scoperti e processati. E che la vera fuga di notizie è quella di chi avvertì politici e furbetti che erano intercettati, rovinando le indagini sul più bello, non certo quelle dei giornali che stanno pubblicando atti non segreti, cioè pubblici.

Napolitano, come pure Marini e Bertinotti, presidenti del Parlamento degl’inquisiti e dei condannati, e come il cosiddetto ministro della Giustizia Mastella, è sgomento per la pubblicazione delle ordinanze della Forleo prima che queste giungessero al Parlamento. Forse il suo costosissimo staff (il Quirinale costa il quintuplo di Buckingham Palace) s’è dimenticato di spiegargli come avvengono queste cose: visto che, dal 2003, la legge impone ai giudici di chiedere il permesso al Parlamento per usare le telefonate intercettate in cui compare la voce di un parlamentare, la gip Forleo ha chiesto quel permesso con due apposite ordinanze. Che, secondo la legge, sono state depositate nella cancelleria del Tribunale venerdì scorso, a disposizione degli indagati e dei loro avvocati. Da quel momento le ordinanze hanno cessato di essere segrete. Gli avvocati ne hanno preso copia e, senza commettere alcun reato, le hanno passate ai giornalisti. I quali, senza commettere alcun reato, le hanno raccontate ai cittadini.

Nessuna violazione del segreto, nessuna fuga di notizie. Di che parlano, allora, le più alte cariche dello Stato? Possibile che non abbiano nulla da dire sugli onorevoli D’Alema, Fassino, Latorre, Cicu, Comincioli e Grillo (Luigi) che scalavano banche abusando del proprio potere, alle spalle dei propri elettori?

Possibile che, ogni qual volta il termometro segnala la febbre e il medico diagnostica la malattia, le alte cariche se la prendano col termometro e col medico?

In ogni caso, se Clementina Forleo e i suoi colleghi vogliono evitare, in futuro, di finire massacrati dai politici della casta, anzi della cosca, sanno quel che devono fare.
1) Mai intercettare un delinquente Vip, onde evitare il rischio che questo poi parli con un politico.
2) Se comunque scappa qualche intercettazione in cui si sentono le voci di politici a colloquio con vari farabutti, fare finta di non riconoscerle.
3) Se il perito che trascrive le telefonate riconosce ugualmente le voci dei politici, cestinare la perizia e cambiare perito.
4) Se i reati risalgono a due anni prima, anche se non è ancora scattata la prescrizione, bruciare tutto perché – come dicono D’Alema e Prodi - “comunque è roba vecchia”.
5) Se la Procura insiste a chiedere di inoltrare le telefonate al Parlamento, evitare di spiegare nell’ordinanza perché queste sono penalmente rilevanti o, meglio ancora, dire che sono tutte cazzate e pregare le Camere di negare l’autorizzazione.
6) Non depositare mai le ordinanze agli avvocati difensori, onde evitare che finiscano sui giornali, e chissenefrega dei diritti della difesa.
7) Se non si è d’accordo con l’impostazione dei pm, appiattirsi comunque su di loro perché ora, all’improvviso, piacciono i gip appiattiti sulle Procure.
8) Prima di fare qualsiasi cosa, recarsi in pellegrinaggio a Ceppaloni per la necessaria autorizzazione a procedere del superprocuratore nazionale anti-giustizia Clemente Mastella." Marco Travaglio


da www.beppegrillo.it


Titolo: GIUSEPPE D'AVANZO Un pasticcio politico
Inserito da: Admin - Luglio 24, 2007, 06:02:22 pm
POLITICA

IL COMMENTO

Un pasticcio politico
di GIUSEPPE D'AVANZO


Giorgio Napolitano prende posizione. E nelle sue funzioni di presidente del Consiglio superiore della magistratura. Quindi, nella sede più opportuna e nella forma più adeguata. E' un intervento formale che, nei fatti, sostiene i dubbi e l'iniziativa ispettiva già annunciata da Clemente Mastella. Le parole del capo dello Stato sono più di un monito e poco meno che un'esplicita richiesta di un procedimento disciplinare contro il giudice per le indagini preliminari Clementina Forleo. Il tono scelto dal capo dello Stato è didattico e censorio. "Desidero rinnovare il richiamo a non inserire in atti processuali valutazioni e riferimenti non pertinenti e chiaramente eccedenti rispetto alle finalità dei provvedimenti".

Dunque, nella richiesta al Parlamento di rendere utilizzabili le intercettazioni telefoniche tra Gianni Consorte (Unipol) e i ds D'Alema Fassino Latorre, il giudice di Milano utilizza in eccesso il potere che gli è assegnato dai codici, con uno "sviamento", uno "straripamento" delle prerogative che gli attribuisce la legge. Deve soltanto illustrare al Parlamento le ragioni che, a suo giudizio, rendono necessario utilizzare nel processo delle "scalate" Antonveneta/Bnl/Rizzoli-Corriere della Sera le registrazioni di quei colloqui. Con "valutazioni eccedenti" e "riferimenti non pertinenti", il giudice indica esplicitamente e in sovrappiù - per Napolitano, abusivamente - una corresponsabilità nel delitto (aggiotaggio) dei parlamentari non ancora indagati.

Scrive la Forleo: "A parere di questa autorità giudiziaria, sarà proprio il placet del Parlamento a rendere possibile la procedibilità penale nei confronti dei suoi membri i quali, all'evidenza, appaiono non passivi percettori di informazioni pur penalmente rilevanti, ma consapevoli complici di un disegno criminoso".

Se le parole hanno un senso - e non possono non averlo se dette dal presidente della Repubblica in un'occasione così rituale - l'ordinanza del giudice è, come dicono i tecnici, "abnorme" e costituisce il solo caso in cui un ministro di giustizia è legittimato a intervenire sul provvedimento di un giudice. Se i comportamenti saranno coerenti con le parole, si deve credere che siamo alla vigilia di un nuovo, robusto conflitto tra la politica e la magistratura. Il procuratore generale della Cassazione Mario Delli Priscoli chiede di acquisire le ordinanze. Mastella invierà a Milano gli ispettori mentre la Giunta per le autorizzazioni (decide dell'utilizzabilità dei colloqui) avrà molte difficoltà - dinanzi all'ipotizzato vulnus inflitto al potere legislativo con un'iniziativa anomala - ad accogliere la richiesta dei giudici di Milano (ammesso che avesse voglia di accoglierla).

Il putiferio è assicurato anche perché il giudizio di Napolitano non è condiviso da tutti gli addetti. Tra i quali, c'è chi autorevolmente difende le decisioni e le ordinanze di Clementina Forleo giudicandole, forse "border line", ma non illegittime o abusive. Doveva motivare, come le impone la legge, l'essenzialità per il processo di quelle registrazioni. Lo ha fatto forse con qualche parola storta, ma all'interno delle costrizioni procedurali, e schiacciata per di più dalla decisione del pubblico ministero di non iscrivere al registro degli indagati i parlamentari, nonostante quei colloqui li vedessero partecipi e collaboratori di un progetto che occultava e manipolava le notizie da offrire per legge ai mercati e ai risparmiatori. Ora si vedrà quale direzione prenderanno gli organi di disciplina della magistratura, quale giudizio dei passi della Forleo prevarrà tra i giuristi. Esiste una macchina procedurale che vaglierà il rispetto o il dispetto delle regole.

Quale che sia l'esito, appare burlesco soffocare l'intera storia che provoca l'inchiesta penale (le "scalate" del 2005) in una esclusiva questione tecnico-giuridica anche se rilevante perché interpella il sistema delle garanzie. In queste ore, si odono formule troppo confuse. La macchina giudiziaria farà la sua strada, ma l'affare - conviene ricordarlo agli smemorati - è anche politico. La manovra del ceto politico di fare spallucce dinanzi a legami imbarazzanti e obliqui - si vedrà con o senza rilievo penale - è debole. Ancora più fragile è la litania che con Prodi, D'Alema, Fassino, Violante, Finocchiaro ripete: è roba vecchia, già letta e digerita. Letta sì, ma digerita da chi?

E' utile ricordare che cosa è accaduto per scongiurare il rischio che si finisca di parlare soltanto di codici. La scena ricostruita dalla magistratura e dalle testimonianze dei protagonisti (da Ricucci come da Fazio) - e rinforzata, al di là di ogni dubbio, dalle intercettazioni telefoniche - conferma che la politica non ha espresso soltanto "opinioni" nell'anno delle scalate ad Antonveneta, a Bnl, al Corriere della Sera, al gruppo Riffeser. E' stata protagonista. Con l'ambizione esplicita e dichiarata (parole del senatore Nicola Latorre) di "cambiare il volto del potere italiano". I leader politici non si sono limitati ad attendere l'esito di una contesa di mercato. Sono intervenuti, con il peso del loro ruolo e responsabilità pubbliche, a vantaggio dei protégés. Berlusconi indica a Stefano Ricucci il partner industriale per l'assalto a via Solferino e scrutina i possibili mediatori. D'Alema consiglia a Consorte (Unipol) l'acquisto di pacchetti azionari mentre Fassino e Bersani (come ha riferito ai pubblici ministeri Antonio Fazio) incontrano il governatore della Banca d'Italia per "spingere" una fusione Unipol-Monte dei Paschi-Bnl. Quel che se ne ricava è la ragionevole certezza che la politica abbia giocato in proprio la partita, per di più cercando di influenzare uno degli arbitri (il governatore).

Chiunque comprende che non può essere questo il primato della politica. La politica legifera. Seleziona opzioni. Sceglie regole che possano modernizzare il Paese e renderlo capace di affrontare le sfide del futuro. A destra come sinistra sembrano, al contrario, non voler prendere atto che una politica che, nello stesso tempo, gioca, fa l'arbitro e legifera è una cattiva politica. Che scredita se stessa.

Già in occasione della pubblicazione delle testimonianze di Stefano Ricucci, si è avuta la sensazione che, quasi "a freddo", il ceto politico volesse resuscitare il conflitto tra il potere politico e l'ordine giudiziario, la contrapposizione tra ceto politico e informazione per aumentare il "rumore", sollevare polvere, star lontano dal nocciolo più autentico della questione. Da questo punto di vista, se non fosse esistita, Clementina Forleo l'avrebbe dovuta creare la politica. Ma con o senza la Forleo, non è agevole eliminare dal tavolo la questione politica. Quell'intrigo, che vede protagonisti intorno allo stesso tavolo Berlusconi e Prodi, D'Alema e Gianni Letta con un poco nobile codazzo di banchieri, arbitri faziosi, avventurieri della finanza, astuti nouveaux entrepreneurs, racconta ancora oggi la distanza tra i propositi dichiarati e i comportamenti effettivi; la divaricazione tra gli accordi in corridoio e i contrasti in pubblico. Da due anni si attende una parola trasparente e critica su quel pasticcio, un'assunzione di responsabilità, un impegno pubblico. Chi può, in buona fede, giudicarla roba vecchia? E' una questione attualissima, qualsiasi cosa decida di fare la magistratura.

(24 luglio 2007) 

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO -
Inserito da: Admin - Settembre 10, 2007, 10:38:31 pm
Ma quale antipolitica

Marco Travaglio


A vedere i telegiornali di regime, cioè praticamente tutti, sabato a Bologna e nelle altre piazze non è successo niente (molto spazio invece al matrimonio di Baldini, l’amico di Fiorello). A leggere i giornali di regime (molti), il V-Day è stato il trionfo dell’«antipolitica», del «populismo», del «giustizialismo» e del «qualunquismo». In un Paese che ha smarrito la memoria e abolito la logica, questa inversione del vocabolario ci sta tutta: la vera politica diventa antipolitica, la partecipazione popolare diventa populismo, la sete di giustizia diventa giustizialismo, fare i nomi dei ladri anziché urlare «tutti ladri» è qualunquismo.

E infatti, che il V-Day fosse antipolitico, populista, giustizialista e qualunquista, lorsignori l’avevano stabilito prim’ancora di vederlo, di sapere che cos’era. A prescindere. Non sapevano e non sanno (non c’erano) che per tutta la giornata, in 200 piazze d’Italia e all’estero, migliaia di giovani dei Meet-up grilleschi hanno raccolto 300 mila firme (ne bastavano 50 mila) in calce a una proposta di legge di iniziativa popolare che chiede il divieto per i condannati di entrare in Parlamento, il tetto massimo di due legislature per i parlamentari e la restituzione ai cittadini del diritto di scegliersi i propri rappresentanti sulla scheda elettorale. Cioè hanno esercitato un diritto previsto dalla Costituzione, quello di portare all’attenzione delle Camere tre questioni «politiche» quant’altre mai. E l’hanno fatto con l’arma più antica e genuina di ogni democrazia: la manifestazione di piazza.

Quella piazza che, quando la occupano Berlusconi e Bossi e Casini e Mastella per chiedere cose incostituzionali, tutti invitano ad «ascoltare». E quando la occupano un milione di persone senza etichette né bandiere (tante erano mal contate, sabato, da Bologna a New York, se alle 20 i firmatari della petizione erano 300 mila, altrettanti erano ancora in fila a mezzanotte e molti di più avevano desistito per fare ritorno a casa) diventa un obbrobrio da ignorare e rifuggire.

Mentre, nel V-Day after, riparto da Bologna per tornare a casa, chiamo Beppe Grillo per commentare a mente fredda: lui mi racconta, ridendo come un pazzo, che gli ha telefonato il suo vecchio manager, «Cencio» Marangoni, per dirgli che a Villanova di Bagnacavallo c’è ancora la fila ai banchetti. E a Villanova di Bagnacavallo sono quattro gatti, perlopiù di una certa età, e chissà come han fatto a sapere che c’erano i banchetti visto che non l’ha detto nessuna tv e quasi nessun giornale. Ma se a Villanova di Bagnacavallo si firma ancora, forse questa non è antipolitica: questa è superpolitica. È antipolitica difendere la dignità del Parlamento infangata dalla presenza di 24 pregiudicati e un’ottantina di indagati, imputati, condannati provvisori e prescritti? È antipolitica chiedere di restituire la sovranità al popolo con una legge elettorale qualsiasi, purchè a scegliere gli eletti siano gli elettori e non gli eletti medesimi? È antipolitica pretendere che la politica torni a essere un servizio che si presta per un limitato periodo di tempo (dieci anni al massimo), dopodichè si torna a lavorare o, se s’è mai fatta questa esperienza, si cerca un lavoro come tutti gli altri? È antipolitica chiedere rispetto per i magistrati e dire grazie a Clementina Forleo e ai giudici indipendenti come lei? Chi era a Bologna in piazza Maggiore, o in collegamento nel resto d’Italia e all’estero, ha visto decine di migliaia di persone restare in piedi da mezzogiorno a mezzanotte. Ha sentito Grillo chiedere il superamento «di questi» partiti, i partiti delle tessere gonfiate, dei congressi fasulli, delle primarie dimezzate (vedi esclusione di Furio Colombo, Di Pietro e Pannella), della legge uguale per gli altri; smentire di volerne creare uno nuovo; e rammentare che gli «abusivi» da cacciare non sono ambulanti e lavavetri, ma politici e banchieri corrotti o collusi. Un economista, Mauro Gallegati, spiegare i guasti del precariato in un mercato del lavoro senza mercato e senza lavoro. Un grande architetto come Majowiecki illustrare i crimini cementiferi che i suoi colleghi seminano per l’Italia e per l’Europa con la complicità di amministratori scriteriati, e le possibili alternative verso un modo «leggero» di pensare e costruire città e infrastrutture. Alessandro Bergonzoni spiegare la partecipazione democratica con una travolgente affabulazione («Chi è Stato? Io sono Stato»). Un esperto di energie alternative come Maurizio Pallante raccontare quel che si potrebbe fare nel settore ambientale ed energetico al posto di inceneritori, termovalorizzatori, centrali a carbone e treni ad alta velocità per le mozzarelle. I ragazzi di Locri lanciare l’ennesimo grido di dolore dalla Calabria della malavita e della malapolitica. Il giudice Norberto Lenzi rischiare il procedimento disciplinare per avvertire che il berlusconismo è vivo e lotta insieme a noi, anche a sinistra. Sabina Guzzanti prendere per i fondelli la deriva fuffista e conformista dell’informazione. I genitori familiari di Federico Aldovrandi raccontare, in un silenzio misto a lacrime, la tragedia del figlio morto due anni fa durante un «controllo di polizia». Massimo Fini tenere una lezione sul tramonto della democrazia rappresentativa citando Kelsen, Mosca e Pareto. Il giornalista Ferruccio Sansa sintetizzare la sua inchiesta sul «tesoretto» da 100 miliardi di euro che lo Stato non ha mai riscosso dai concessionari, spesso malavitosi, dei videopoker e altri giochi, una mega-evasione fiscale scoperta dal pm Woodcock e dalla Guardia di Finanza, ma coperta da incredibili silenzi governativi.

Alla fine ho parlato anch’io: ho ricordato Lirio Abbate minacciato dalla mafia; ho cercato di spiegare che la tolleranza zero deve cominciare, come nella New York di Giuliani, dai mafiosi e dai corrotti, non dai lavavetri e dagli ambulanti; e ho difeso Cofferati, che avrà tanti difetti, ma non quello di partire dai poveracci, visto che prima ha preteso legalità dagli imprenditori sullo Statuto dei lavoratori. Ho fatto parecchi nomi e cognomi, come tutti gli altri sul palco di piazza Maggiore. Ora scopro che fare i nomi sarebbe «qualunquismo»: e parlare in generale per non dire niente, allora, che cos’è?

P.S. Ho trascorso l’intero pomeriggio sotto il palco e sul palco, e mai ho sentito parlare non dico «contro» Marco Biagi, ma «di» Marco Biagi. Il nome «Marco Biagi» non è mai strato citato per esteso. S’è parlato un paio di volte della legge 30 che abusivamente il governo Berlusconi intestò al professore assassinato, che non poteva più ribellarsi, mentre un ministro di quel governo lo chiamava «rompicoglioni». E ne ha parlato Grillo per chiedere di riformarla, insieme alla legge Treu, aggiungendo che però «il vero problema non sono neppure le leggi: è che in Italia non c’è lavoro». Lo dico perché un amico, l’ex giudice ora assessore Libero Mancuso, che nessuno ha visto alla manifestazione, ha parlato di presunte «offese a Biagi». Posso assicurare che se qualcuno, dal palco, avesse davvero mancato di rispetto a Marco Biagi, su quel palco nessuno di noi, nemmeno Grillo, sarebbe rimasto un minuto di più.

Pubblicato il: 10.09.07
Modificato il: 10.09.07 alle ore 13.18   
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Titolo: Marco Travaglio - Sme, tutti colpevoli. Ma il reato è ormai prescritto
Inserito da: Admin - Ottobre 03, 2007, 10:40:48 pm
Sme, tutti colpevoli. Ma il reato è ormai prescritto

Marco Travaglio


Il titolo della notizia, rivelata ieri da Luigi Ferrarella sul “Corriere della Sera”, potrebbe essere questo: «Come vendere la Giustizia per decenni e vivere felici». Almeno per quanto riguarda Renato Squillante, già vicecapo dell’Ufficio Istruzione di Roma, già capo dei Gip capitolini, già consulente giuridico di Craxi a Palazzo Chigi e di Cossiga al Quirinale, amico della famiglia Berlusconi, candidato al Senato per Forza Italia nel ’96 (candidatura poi tramontata causa manette): il giudice che nel ’96 teneva in Svizzera un tesoretto di 9 miliardi di lire e disse, respingendo le accuse di corruzione, di averli guadagnati con l’insider trading e l’evasione fiscale, che come alibi non era niente male.

Ora Squillante è uscito indenne anche dall’ultimo processo aperto a suo carico. Non perché innocente, anzi: le prove della sua stabile corruzione da parte degli avvocati Fininvest Cesare Previti e Attilio Pacifico ci sono eccome. Ma riguardano fatti commessi fino al 1991, dunque sono cadute in prescrizione. L’ha stabilito il gip di Perugia, Claudio Matteini, che ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dai pm Miriano, Comodi e Paci per il processo Sme-Ariosto, trasferito un anno fa dalla Cassazione nel capoluogo umbro a un passo dalla sentenza definitiva: «Un’archiviazione nel merito non è possibile, stanti i numerosi, precisi, riscontrati e incontrovertibili elementi di prova raccolti nel corso delle indagini a carico degli indagati». Dunque «non può farsi altro che constatare l’intervenuta prescrizione di tutti i reati contestati». Cosa che non sarebbe avvenuta se la Cassazione, il 30 novembre 2006, non si fosse spogliata del processo inventandosi in zona Cesarini una competenza perugina, ma avesse invece confermato le condanne d’appello per Squillante (7 anni), Previti e Pacifico (5 anni a testa).

Un anno fa, infatti, i reati non erano ancora prescritti: la ex-Cirielli non funziona per i processi in dibattimento. Ora invece lo sono, anche perché, retrocedendo il fascicolo all’udienza preliminare, si «aggancia» la ex-Cirielli che dimezza i termini di prescrizione: così il reato è estinto dal 2002.

Risultato: Previti e Pacifico evitano di tornare ai domiciliari per 5 anni (il bonus-indulto se lo son già giocato per la condanna Imi-Sir), ma soprattutto Squillante la fa franca da tutto. Nel processo Imi-Sir era accusato di corruzione giudiziaria per aver incassato 133 milioni di lire nel ’91 dalla famiglia Rovelli in cambio dell’«avvicinamento» di un giudice della Cassazione che doveva decidere sulla causa: ma la Suprema Corte lo mandò assolto, riconoscendo che i soldi e il fatto erano dimostrati, ma stabilendo che per la legge italiana il «traffico di influenza» non è reato. Qui invece, secondo il gip di Perugia, «nessun dubbio vi può essere sulla qualificazione giuridica dei fatti»: cioè sulla corruzione del giudice estero su estero con soldi Fininvest. Senza la prescrizione, sarebbe stata condanna sicura.

La «prova regina» del mercimonio è il famoso bonifico del 5 marzo 1991, quando in poche ore 434.404 dollari provenienti dal conto svizzero Ferrido (alimentato dal patrimonio personale di Berlusconi) transitarono sul conto Mercier di Previti e di lì al conto Rowena di Squillante. Poi c’è la testimonianza di Stefania Ariosto, che giura di aver visto alla fine degli anni 80 almeno due passaggi diretti di denaro da Previti e Squillante: il primo al circolo Canottieri Lazio, quando Previti inseguì l’amico giudice con un pacco di banconote gridando «A Rena’, te stai a dimentica’ a bbusta!»; il secondo a casa Previti, quando notò da una porta socchiusa il padrone di casa e il magistrato che maneggiavano mazzette di contanti su un tavolino. Soldi che, secondo l’Ariosto, Previti vantava di ricevere dalla Fininvest per foraggiare una «lobby di magistrati» al servizio del Biscione e di Craxi.

Anche i versamenti cash, secondo il gip, sono provati: «È stato documentalmente ricostruito il percorso del denaro giunto poi su conti esteri riferibili a Squillante e inoltre sono state accertate e verificate le erogazioni in denaro contante da Previti a Squillante». Ricorda il giudice che è stata la Cassazione, nella sconcertante sentenza sull’incompetenza di Milano a favore di Perugia, a «individuare in Roma il luogo delle dazioni di denaro e indicarle componenti essenziali della “reiterazione” remunerativa a favore del magistrato considerato “a libro paga” (della Fininvest, ndr), con ciò avvalorando e ritenendo credibile Stefania Ariosto, testimone oculare di tali pagamenti».

Chi s’è perso nella giungla di 12 anni di indagini e processi, leggi ad personam, ispezioni, ricusazioni, richieste di rimessione e di incompetenza, denunce penali contro i pm e i giudici, domanderà: e Berlusconi? Se per la sentenza comprata da Previti con soldi suoi per arraffare la Mondadori l’ha sfangata per prescrizione, al processo Sme-Ariosto il fortunato Cavaliere è stato processato separatamente dopo lo "stralcio" del 2003 e addirittura assolto in appello, sia pur in base alla vecchia insufficienza di prove (comma 2 art. 530 Cpp). Ma la sentenza fa acqua: quanto al bonifico svizzero, si ritiene improbabile che Berlusconi pagasse i giudici con bonifici anziché con versamenti cash; quanto ai versamenti cash di Previti a Squillante, si ritiene improbabile che Previti pagasse i giudici con versamenti cash anziché con bonifici in Svizzera. Visto che sono provati sia il bonifico sia i versamenti, è come dire che la corruzione esiste solo quando non viene scoperta; ma se non viene scoperta, non è mai punibile. La Cassazione esaminerà il ricorso del Pg De Petris a novembre. Se questa scombicchierata assoluzione fosse annullata, non ci sarebbe comunque il tempo per celebrare un nuovo appello prima della prescrizione. Ma almeno si cancellerebbe una macchia nera dalla Giustizia italiana.

Pubblicato il: 03.10.07
Modificato il: 03.10.07 alle ore 8.38   
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Titolo: Peter Gomez e Marco Travaglio - Quando Luttazzi si «sparò» in tv
Inserito da: Admin - Novembre 04, 2007, 11:26:18 pm
Quando Luttazzi si «sparò» in tv

Peter Gomez e Marco Travaglio


Un giorno Daniele Fabbri da Santarcangelo di Romagna (Rimini), in arte Luttazzi, legge sul manifesto un articoletto che lo colpisce. Racconta la presentazione di un libro semiclandestino uscito tre settimane prima, L’odore dei soldi. Origini e misteri delle fortune di Silvio Berlusconi, pubblicato da Editori Riuniti e scritto dal deputato dipietrista Elio Veltri, membro della commissione parlamentare Antimafia, e dal giornalista di Repubblica Marco Travaglio. Sono gli ultimi giorni del febbraio 2001. Alla presentazione romana, nella sala stampa della Camera, sono intervenuti diversi deputati del centrosinistra ma non solo (c’erano persino alcuni leghisti, come l’ex ministro Giancarlo Pagliarini); pochissimi giornalisti italiani, il direttore di Liberazione Sandro Curzi e la cronista del manifesto Daria Lucca; e molti corrispondenti della stampa estera. Del libro, salvo la Repubblica, non ha parlato nessuno, eppure nelle prime due settimane ha venduto 18mila copie (merito anche di misteriosi personaggi che si presentano nelle librerie più in vista, come quella dell’aeroporto di Fiumicino, a fare incetta di tutte le copie disponibili). Luttazzi se lo procura e comincia a leggerlo. C’è l’ultima vera intervista di Paolo Borsellino prima di morire (rifiutata da tutti i tg Rai e trasmessa nottetempo da Rainews24 il 19 settembre 2000), in cui il giudice antimafia parla di indagini sui rapporti fra Berlusconi, Marcello Dell’Utri e il cosiddetto «stalliere di Arcore», il boss mafioso Vittorio Mangano. Ci sono stralci della requisitoria del pm di Caltanissetta Luca Tescaroli, che parla anche delle indagini in corso su Berlusconi e Dell’Utri come possibili «mandanti a volto coperto» delle stragi politico-mafiose del 1992-93 (indagini archiviate soltanto nel 2002). C’è una sintesi dei rapporti dei consulenti tecnici della Procura di Palermo sui finanziamenti alle società - le «Holding Italiana» numerate dalla 1 alla 37 - che controllano la Fininvest, imbottite fra il 1978 e il 1983 di oltre 500 miliardi di lire al valore attuale di origine misteriosa e mai spiegata. Ci sono gli esilaranti interrogatori di Berlusconi e Dell’Utri nel processo di Torino, in cui Dell’Utri è stato appena condannato in via definitiva a 2 anni di carcere per false fatture e frode fiscale.

Luttazzi divora il libro in un paio di giorni. Trova strano che nessuno ne parli: il materiale è incandescente. L’attore conduce un programma su Rai2, Satyricon, dichiaratamente ispirato al David Lettermann Show e di grande successo, vicino al 20 per cento di share, con un pubblico (2 milioni e mezzo di persone) addirittura superiore alla Piovra 10 e a Porta a Porta, ma soprattutto alla concorrenza di Mediaset, che in prima serata strapazza la Rai con Il grande fratello. Ogni settimana Luttazzi intervista personaggi della politica, della cultura, dello spettacolo, dello sport. Decide di invitare Travaglio per parlare dell’Odore dei soldi. Il suo accordo con Carlo Freccero, direttore di Rai2, gli permette la più ampia libertà nella scelta degli ospiti e nell’elaborazione di ogni puntata. Freccero e il capostruttura Antonio Azzalini assistono alla registrazione per valutarne i contenuti prima del montaggio tecnico definitivo, che Luttazzi esegue il giorno seguente, a ridosso della messa in onda.

L’addetta al casting Raffaella Fioretta telefona a Travaglio per concordare la data: 13 marzo. Quel martedì sera Luttazzi registrerà la puntata che verrà trasmessa l’indomani, in seconda serata. Travaglio chiede di poter incontrare Luttazzi qualche minuto prima della registrazione. I due non si conoscono e, vista la delicatezza e la complessità dei temi trattati nel libro, il giornalista vuole sapere fin dove l’attore intende spingersi con le domande. Viene convocato in studio per le 20, un’ora prima della registrazione. Si sottopone al rito riservato dalla produzione (Bibi Ballandi) a tutti gli ospiti di Satyricon, all’insaputa di Luttazzi: posa per un’istantanea, sulla quale gli viene chiesto di scrivere a pennarello una dedica al conduttore. Scrive queste parole: «Ecco un teppista (quasi) paragonabile a te. Uno che, con quel che dirà, anticiperà la chiusura di Satyricon». Luttazzi, bloccato dal traffico, arriva qualche minuto dopo le 20,30. Appena in tempo per cambiarsi, incontrare la regista Franza Di Rosa per gli ultimi dettagli, salutare di corsa gli ospiti e infilarsi in studio. Travaglio riesce a malapena a stringergli la mano, senza poter concordare nulla.

L’intervista, dunque, è senza rete. Il comico fa domande su tutto quanto ha letto nel libro: la mafia, le stragi, lo «stalliere» mafioso, i soldi di dubbia origine, la nascita di Forza Italia. Il pubblico ascolta ammutolito in 26 minuti d’intervista, interrompendo più volte con applausi. Alla fine Luttazzi dice a Travaglio: «A questo punto mi chiedo in che paese viviamo. Comunque volevo ringraziarti perché, scrivendo questo libro e parlando come fai, dimostri di essere un uomo libero. E non è facile trovare uomini liberi in quest’Italia di merda». Travaglio ricambia: «Sai chi mi ricordi? Quel governatore della Pennsylvania che un giorno si presentò in televisione, si infilò la canna di una pistola in bocca,e si sparò».

Dietro le quinte, il giornalista incontra un Freccero molto emozionato che gli dice: «Sei stato efficacissimo. Se potessi, ti darei subito un programma. Ma, da domani sera, non avrò più una rete...». Finito di registrare, Luttazzi domanda a Freccero: «L’intervista a Travaglio può andare in onda?». Il direttore lo rassicura: «Certamente. Travaglio non ha fatto altro che raccontare i documenti del suo libro».

Da un pezzo Luttazzi è un sorvegliato speciale. Ha annusato gli slip rossi di Anna Falchi. Ha mangiato una finta cacca di cioccolato in risposta al consigliere Rai Alberto Contri che gliel’aveva suggerita come l’ultima cosa disgustosa che gli restava da fare. Ha intervistato Marco Pannella che ha attaccato la Chiesa per la sua posizione sulla droga, la pillola del giorno dopo e il preservativo («un brutale attacco al Papa», per l’«Osservatore romano»). E poi Paolo Flores d’Arcais, che ha rincarato la dose sul cardinale Camillo Ruini e su Massimo D’Alema. Visti i precedenti, ogni mercoledì mattina il consiglio d’amministrazione Rai convoca Freccero per conoscere in anticipo il menu di Satyricon. Il mattino del 14 marzo il direttore rassicura: «Stasera niente sesso né coprofagia». I consiglieri, visibilmente sollevati, dimenticano di informarsi su cos’è invece previsto.

La sera, appena partita la sigla, Freccero spegne il cellulare e si gode lo spettacolo. In quelle stesse ore Maurizio Gasparri arriva negli studi di Rai3 per partecipare a una puntata di Mediamente, il programma di Carlo Massarini sulle nuove tecnologie informatiche. In attesa di andare in onda, fa zapping e s’imbatte in Satyricon. Pochi minuti dopo, quando Massarini comincia a interrogarlo su Internet, esplode: «Ma quale Internet, su Rai2 stanno dando del mafioso a Berlusconi! Questa Rai è una vergogna!».

Forse, alla Casa delle Libertà, sarebbe convenuta la strategia del silenzio: a parte i quasi 3 milioni di fedelissimi di Luttazzi, nessun altro avrebbe saputo di quel libro e del suo contenuto. Ma la sparata di Gasparri innesca la corsa allo stracciamento di vesti, la gara alla dichiarazione più indignata. Alle 23,57 l’Ansa dirama quella di Mario Landolfi (An), presidente della commissione di Vigilanza: «La misura è colma. Quello che è andato in onda stasera non ha precedenti nella storia della tv. Il programma di Luttazzi va chiuso e Freccero deve essere allontanato. Zaccaria e tutto il vertice Rai devono dare le dimissioni». Gli fa eco, per non esser da meno, Paolo Romani, responsabile per l’informazione di Forza Italia: «È stato un attacco proditorio, vergognoso, senza precedenti contro il presidente Berlusconi sul servizio pubblico. Richiediamo una riunione immediata della commissione di Vigilanza per chiedere le dimissioni dell’attuale vertice Rai e dei suoi direttori. Un’azienda totalmente allo sbando non è più in grado di gestire il servizio pubblico nella prossima campagna elettorale». Alle 2 del mattino, Freccero chiama Travaglio: «Ho riattaccato ora il cellulare. Meglio che non ti dica chi ha chiamato la segreteria telefonica, e cosa ha lasciato detto». Freccero e Zaccaria (che non sapeva nulla dell’intervista a Travaglio) difenderanno a spada tratta la libertà di Satyricon. E pagheranno prezzi altissimi.

Pubblicato il: 03.11.07
Modificato il: 03.11.07 alle ore 10.22   
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Titolo: Marco Travaglio - Falso non fare, paura non avere
Inserito da: Admin - Novembre 09, 2007, 05:50:10 pm
SIGNORNÒ

Falso non fare, paura non avere

di Marco Travaglio


Il governo Prodi ripristina il falso in bilancio. Ma l'ex senatore Ds mette il lutto e parla di 'riforma giacobina'  Romano ProdiFinalmente una buona notizia: il governo Prodi ripristina il falso in bilancio com'era prima di Berlusconi, autore della controriforma del 2002 che di fatto cancellava per legge il reato di cui lui stesso era imputato. E che, come scrisse la bibbia del capitalismo mondiale, 'The Economist', "farebbe vergognare anche una repubblica delle banane". Per i reati futuri non leggeremo più sentenze di assoluzione con l'imbarazzante formula "il fatto non è più previsto dalla legge come reato". Tutti i veri liberali, sempre pronti a tirar fuori dal taschino il 'modello americano', dovrebbero esultare. O magari chiedere - come fa Giacomo Lunghini sul 'Sole 24 ore' - che la nuova legge venga ritoccata per farvi rientrare le sanzioni previste dalla 231/2001 sulla responsabilità penale delle società (pare che il testo del governo se la sia scordata).

Invece il cosiddetto 'liberal' Franco Debenedetti, ex senatore Ds, mette il lutto. E straparla sul 'Corriere della sera' di "riforma giacobina" perché "l'aumento delle pene consente l'uso di intercettazioni e di altri strumenti della demagogia penale". Ma le intercettazioni non sono giacobine (ai tempi della Rivoluzione francese non c'erano telefoni né microspie): sono un prezioso mezzo investigativo per scoprire i reati, soprattutto quelli invisibili che si consumano nelle segrete stanze. Tant'è che negli Usa, non nella Francia di Robespierre, anche la Sec (la versione seria della nostra Consob) può disporre intercettazioni per smascherare i reati finanziari. Che senso ha prevedere un fatto come reato, se poi non si forniscono ai controllori gli strumenti per scoprirlo? Debenedetti lamenta poi la scomparsa delle "soglie minime al di sotto delle quali la punibilità era esclusa".

Rimpiange la norma più tragicomica della legge berlusconiana, che consentiva il falso in bilancio in 'modica quantità' (come per la droga, per uso personale): fino al 5 per cento del risultato d'esercizio, fino al 10 delle valutazioni e fino all'1 per cento del patrimonio netto. Una franchigia enorme, che permetterebbe all'Eni di stornare ogni anno fondi neri fino a 190 milioni di euro, alla Pirelli fino a 140, all'Eni fino a 400, alla Fiat fino a 80 e alla Fininvest fino a 40. Quanto basta, volendo, per mantenere a suon di mazzette la classe politica di tutta Europa. L'ex senatore teme pure "l'ingolfamento degli uffici giudiziari". Ma, se pensa che l'aggravio sarà così enorme da sovraccaricare i tribunali già oberati da 3 milioni di nuovi processi all'anno, vuol dire che ha notizia che migliaia di aziende hanno i bilanci falsi: il che basta e avanza a giustificare la riforma Prodi come sacrosanta. Se poi gl'imprenditori temono le manette, le intercettazioni e l'ingolfamento dei tribunali, hanno un sistema semplicissimo per scongiurare i rischi: non truccare i bilanci.

(08 novembre 2007)


da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco Travaglio - L'uso criminoso della Tv
Inserito da: Admin - Novembre 22, 2007, 06:54:11 pm
L'uso criminoso della Tv

Marco Travaglio


Chapeau. Nemmeno il più feroce demonizzatore, il più accanito antiberlusconiano poteva immaginare la meticolosità, la scientificità, la capillarità del controllo esercitato su ogni minuto, ogni minimo dettaglio di programmazione Rai dagli uomini Mediaset infiltrati da Silvio Berlusconi nel cosiddetto “servizio pubblico”.

Intendiamoci: la fusione Rai-Mediaset in un’indistinta Raiset al servizio e a maggior gloria del Cavaliere si notava a occhio nudo e questo giornale, da Furio Colombo in giù, l’ha sempre denunciato. Ma le intercettazioni della Procura di Milano, disposte nell’inchiesta sul fallimento del sondaggista del Cavaliere, Luigi Crespi, e pubblicate da Repubblica dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio la privatizzazione della Rai da parte della “concorrenza” e la sua trasformazione in una succursale di Mediaset.

Da sette lunghi anni, cioè da quando Berlusconi tornò al governo e occupò militarmente Viale Mazzini, la Rai è cosa sua, un feudo privato da usare per blandire gli amici, manganellare i nemici, ammonire gli alleati appena un po’ critici, ma soprattutto per celebrare le gesta del Capo. Tacendo le notizie scomode, enfatizzando quelle comode, parlando solo di quel che vuole Lui. Non c’è voluto molto per ridurre quella che fu la prima azienda culturale d’Europa e alfabetizzò l’Italia in una miserabile Pravda ad personam: è bastato sistemare una dozzina di visagisti, truccatori e politicanti berlusconiani nei posti giusti e lasciarne molti di più sulle poltrone precedentemente occupate. Intanto venivano cacciati i Biagi, i Santoro e i Luttazzi, poi le Guzzanti e gli altri della seconda ondata, incompatibili col nuovo corso.

Ma non perché fossero “di sinistra”. Perché sono fior di professionisti: con due o tre programmi ben fatti avrebbero rovinato tutto. Se qualcuno li chiama per pregarli di nascondere i dati delle elezioni amministrative per non far soffrire il Cavaliere, quelli mettono giù («uso criminoso della televisione pagata coi soldi di tutti»).

I rimasti, invece, obbediscono ancor prima di ricevere l'ordine. Si spiegano così non solo le epurazioni bulgare e post-bulgare, ma anche lo sterminio delle professionalità, soprattutto nella rete ammiraglia di Rai1, affidata (tuttoggi) al fido Del Noce: uno che, oltre ad aver epurato Biagi, è riuscito a litigare persino con Baudo, Arbore, Frizzi, Carrà e Celentano. Chi ha idee e talento ha più séguito, dunque è più libero e meno censurabile, ergo inaffidabile. I superstiti, invece, sono pronti a qualunque servizio e servizietto. Il Papa sta morendo e il Ciampi prepara un messaggio a reti unificate?
Anziché preoccuparsi che la Rai copra la notizia meglio della concorrenza, i dirigenti berlusconiani pianificano una degna uscita mediatica del Capo, onde evitare che il Quirinale lo oscuri. Il Papa muore proprio alla vigilia delle amministrative, distraendo gli elettori cattolici dal dovere di correre alle urne per votare il Capo? Si organizza una serie di «programmi che diano alla gente un senso di normalità, al di là della morte del Papa, per evitare forte astensionismo alle elezioni amministrative».

Più che un servizio pubblico, un servizio d’ordine. In cabina di regia c’è la signorina Deborah Bergamini, detta “Debbi”, già assistente del Cavaliere, da lui promossa capo del Marketing strategico della Rai, mentre Alessio Gorla, già dirigente Fininvest e Forza Italia, diventava responsabile dei Palinsesti. Al resto pensano i servi furbi. Mimun, si sa, era in prestito d’uso da Mediaset, dov’è poi morbidamente riatterrato. Non c’è neppure bisogno di dirgli il da farsi: lo sa da sé. E poi assicurano Debbi e Delnox - fa un ottimo «gioco di squadra con Rossella» (Carlo, allora direttore di Panorama, molto vicino al premier e dunque alla Rai).

Anche Vespa non ha bisogno di suggerimenti. Del Noce telefona a Debbi per avvertirla che «Vespa ha parlato con Rossella e accennerà in trasmissione al Dottore (Berlusconi, ndr) a ogni occasione opportuna». Qualcuno suggerisce che Bruno potrebbe «non confrontare i voti attuali con quelli delle scorse regionali», per mascherare meglio la disfatta del Capo, o magari «fare più confusione possibile per camuffare la portata dei risultati». Ma poi si preferisce lasciarlo libero di servire come meglio crede, perché dice giustamente la Debbi «tanto Vespa è Vespa». Ogni tanto c’è un problema: Mauro Mazza, troppo amico di Fini per piacere a Forza Italia, farà la prima serata di Rai2 sulle elezioni. Bisogna sabotarlo, perché quello magari i dati non li nasconde.

Idea geniale: Deborah parla con Querci «e gli chiede di mettere una cosa forte in prima serata su Canale5», così la gente guarda quella e lo speciale Mazza non se lo fila nessuno. Del resto è un’abitudine, per lei, concordare i palinsesti con Mediaset: più che del Marketing della Rai, è la capa del Marketing di Berlusconi. Infatti, ancora commossa, commenta così i funerali di Giovanni Paolo II: «Berlusconi è stato inquadrato pochissimo dalle telecamere». Si sa com’è fatto il Cavaliere: «Ai matrimoni - diceva Montanelli - vuol essere lo sposo e ai funerali il morto».

In tutti questi anni, mentre ogni inquadratura di ogni telecamera di ogni programma diurno e notturno di Raiset veniva controllata dai guardaspalle del Padrone, chiunque si azzardasse anche soltanto a ipotizzare che questi signori lavorassero per il re di Prussia, anzi di Arcore, veniva zittito dai “terzisti” e dai “riformisti” come “demonizzatore” e “apocalittico” animato da “cultura del sospetto”, incapace di comprendere che le tv non contano per vincere le elezioni; anzi, a parlar male di Berlusconi si fa il suo gioco. Poi veniva querelato e citato in giudizio per miliardi di danni dai Del Noce e dai Confalonieri, sdegnati dalle turpi insinuazioni sulla liaison Rai-Mediaset nel paradiso della concorrenza e del libero mercato. Dirigenti come Loris Mazzetti e Andrea Salerno, rei di aver chiamato censure le censure, sono stati perseguitati dall’azienda con procedimenti disciplinari. L’ultima è piovuta su Mazzetti,per aver partecipato ad AnnoZero e detto la verità sull’epurazione del suo amico Biagi.

Salerno, già responsabile della satira per Rai3 quando c’era ancora la satira, ha preferito togliere il disturbo. Intanto Confalonieri non si perdeva una festa de l’Unità e le quinte colonne berlusconiane facevano carriera in Rai, tant’è che sono ancora tutte lì: Del Noce a Rai1, Bergamini al Marketing, Vespa a Porta a porta. Tutti straconfermati dalla “Rai del centrosinistra”.

Ora si spera che, oltre alla solita “indagine interna”, fiocchino i licenziamenti per giusta causa, (con richiesta di danni per intelligenza col nemico) almeno per chi ha lasciato le impronte digitali nello scandalo, come accadrebbe ai manager di qualunque azienda sorpresi ad accordarsi con la concorrenza. Ma, onde evitare che la scena si ripeta in un prossimo futuro, licenziare i servi di Berlusconi non basta. Occorre una vera “legge Biagi” (nel senso di Enzo) per cacciare per sempre i partiti dalla Rai e stabilire finalmente l’ineleggibilità dei proprietari di giornali e tv. Sempreché, si capisce, la cosa non disturbi il «dialogo per le riforme». E ora, consigli per gli acquisti.

Pubblicato il: 22.11.07
Modificato il: 22.11.07 alle ore 12.57   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO -
Inserito da: Admin - Dicembre 13, 2007, 07:10:47 pm
Il mercato di Palazzo Madama: dal capocomico alla spalla

Marco Travaglio


Il supermarket dei senatori che ha innescato l'ennesima accusa di corruzione a Silvio Berlusconi s'inserisce perfettamente nella nuova stagione politica delle «larghe intese», ultimo approdo della commedia all'italiana, a cura di Castellano & Pipolo. Titolo: «Ok il prezzo è giusto» o «Chi vuol esser milionario». Ecco personaggi e interpreti, in ordine di apparizione.

Berlusconi Silvio, il capocomico. Un tempo si comprava Craxi e quello gli faceva due decreti salva-tv più la legge Mammì. Si comprava il giudice Metta e quello gli regalava la Mondadori. I suoi manager si compravano la Guardia di Finanza (a sua insaputa, s'intende) e quella chiudeva un occhio, anzi due sui bilanci del gruppo. E si compravano pure l'avvocato inglese David Mills (senza dirgli nulla, si capisce) perché testimoniasse il falso nei processi a suo carico. Il grande venditore era anche un formidabile compratore: mostrava il libretto degli assegni, diceva «scriva lei la cifra», e di solito funzionava. Ora, per dire com'è ridotto, telefona ad Agostino Saccà perché «sollevi il morale del Capo» sistemandogli certe «attrici» (ieri l'ometto le ha definite «artiste discriminate perché non di sinistra», insomma ideologhe anticomuniste, un po' come quelle che sedevano sulle sue ginocchia nel parco di Villa Certosa). Una, fra l'altro («la Evelina») sarebbe amica di un senatore dell'Unione «che mi può essere utile per far cadere il governo Prodi». E il governo non cade. Allora corteggia e coccola un senatore dell'Oceania, promettendogli un posto nel suo eventuale, prossimo governo (il famoso «sottosegretariato all'Australia»), e la piazza numero 2 nelle liste nazionali di Forza Italia (o come diavolo si chiama adesso) alle presunte elezioni anticipate. Il tutto con la stessa credibilità con cui Totò vendeva la fontana di Trevi all'italoamericano Decio Cavallo, che lui chiamava Caciocavallo. Solo che, diversamente, da Decio Cavallo, il senatore Randazzo non abbocca e lo manda a stendere, inseguito dal povero Cavaliere che gli promette addirittura «un contratto», millanta «ho con me Dini e i suoi» e lo implora in ginocchio: «Mi basta anche solo una piccola assenza...». Poveretto, come s'offre.

Randazzo Nino, l'antagonista. L'uomo che resiste impavido (e inedito) alle profferte del Grande Compratore è un vecchio giornalista italoaustraliano d'altri tempi, che dinanzi ai contratti e alle promesse risponde: «Sono stato eletto col centrosinistra e dunque resto fedele al centrosinistra perché ho una mia moralità». Alla parola «moralità», il Cavaliere chiama Bonaiuti e chiede un dizionario: dev'essere un termine australiano, comunque arcaico. Poi capisce che non c'è nulla da fare: la lunga permanenza all'estero deve aver guastato il senatore, non troppo aggiornato sulle prassi recenti della nostra politica. Affranto per l'affronto, il Cavaliere ripiega sugli italiani doc.

Nick Scavi, il buttadentro. Imprenditore australiano, si materializza alle spalle di Randazzo un giorno che questo sta passeggiando alla galleria Alberto Sordi, a Roma. Da quel momento diventa il suo angelo custode, gentile omaggio del Cavaliere: «Voglio offrirti la possibilità di diventare milionario», gli dice, e pare gli mostri un assegno in bianco accompagnato dalla frase: «Scrivi tu la cifra, fino a 2 milioni». Il suo ruolo è simile a quello delle ragazze buttadentro che accalappiano i giovanotti davanti alle discoteche. Ma Randazzo, tetragono, resiste anche alle sue sirene.

Saccà Agostino, la spalla. Calabrese, giornalista (chi non lo è?), craxiano, poi forzista, poi dalemiano, poi di nuovo forzista («voto Forza Italia come tutta la mia famiglia»), nel 2002 fu l'esecutore materiale dell'editto bulgaro del Capo contro Biagi, Santoro e Luttazzi. Da allora si garantì una serena vecchiaia. Da direttore generale dovettero cacciarlo perché in un anno la sua Rai aveva perso 4 punti di share su Mediaset: sull'onda dell' entusiasmo, era andato anche oltre il mandato. Ma lo sistemarono a Raifiction, una specie di grotta di Alì Babà piena d'oro, che lui amministra da par suo con gli amici degli amici. Ultimamente, mentre partecipava alla campagna acquisti berlusconiana dei senatori e preparava la fiction sul Barbarossa («Bossi non fa che parlarmene», insisteva il Cavaliere), si spacciava per veltroniano: pare che, per essere credibile, pronunciasse solo parole che iniziano con la w: walter, wafer, water, woobinda, wow, woody allen, watussi, wonderbra. Soprattutto wonderbra.

De Gregorio Sergio, il servo furbo. In controtendenza col proliferare in politica di servi sciocchi, il senatore ex socialista, ex forzista, ex democristiano, ex dipietrista, neo forzista ha recuperato la tradizione plautiana del servo furbo. Eletto nel 2006 con l'Italia dei Valori per nobili motivi ideali -un posto da sottosegretario- fu deluso quando non l'ottenne e cominciò a fare la fronda. Intanto fu indagato a Napoli per certi assegni trovati in mano a un contrabbandiere. E cominciò a votare contro la maggioranza che l'aveva eletto. L'improvvisa sintonia programmatica con la Cdl fu corroborata dalla promessa berlusconiana di finanziare la sua associazione Italiani nel mondo con 5 milioni di euro l'anno. Con tanto di contratto spedito via fax e addirittura firmato - scrive <CF74>Repubblica</CF> - dall'ingenuo Bondi.

Fuda Pietro, servitor di due padroni. Calabrese, già forzista, poi margherito, poi numero 2 del Pdm di Loiero, indagato per storie di 'ndrangheta, balzò alle cronache un anno fa per un comma di poche righe che mandava salvi centinaia di pubblici amministratori nei guai con la Corte dei conti per reati contabili. Saccà, suo conterraneo, lo contatta poi riferisce: «Fuda vuol far sapere al Capo che il suo cuore batte sempre a destra, anche se oggi è costretto a stare a sinistra. Ma se gli toccano gli interessi e le cose sue, darà un aiuto al Cavaliere in Parlamento». Ecco, anche Fuda c'ha le cose sue.

P. S. C'è poi da segnalare Fausto Bertinotti che protesta vibratamente con la Procura di Napoli per la «fuga di notizie» e per eventuali «intercettazioni di parlamentari». Speriamo che il Presidente della Camera trovi anche tempo e modo per allarmarsi della compravendita di senatori in corso nell'altro ramo del Parlamento. 


Pubblicato il: 13.12.07
Modificato il: 13.12.07 alle ore 15.59   
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Titolo: Marco Travaglio - Il coraggio di Mancino
Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2007, 06:37:27 pm
Il coraggio di Mancino

Marco Travaglio


«Il giornalista che viene a conoscenza di un fatto non può non pubblicarlo. Il diritto di cronaca è garantito dalla Costituzione». L’ha ripetuto due volte nel giro di una settimana il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino. Ora, ringraziare un politico, fra l’altro piuttosto antico, perché banalmente riconosce - bontà sua - ai giornalisti il diritto-dovere di fare il proprio mestiere di informare, è bizzarro, ma doveroso. Perché l’ovvio e il banale, in un paese che ha smarrito i fondamentali, diventano quasi rivoluzionari. Infatti di solito, quando parlano di giornalisti, i politici dicono tutt’altro. E pensano anche peggio.

Tant’è che soltanto otto mesi fa la Camera approvava trionfalmente il disegno di legge Mastella che mette la museruola ai giornali su intercettazioni e atti d’indagine con 447 voti favorevoli, 7 astenuti e nessun contrario (nemmeno uno). La maggioranza più bulgara mai vista nella storia recente: dai fascisti storaciani ai comunisti terzinternazionalisti.

Se la stessa corrispondenza di amorosi sensi della casta degl’intoccabili si ripetesse anche in Senato, la legge entrerebbe in vigore e metterebbe il silenziatore sui grandi scandali della politica e dell’economia, ma consentirebbe pure alla magistratura di operare per anni nell’ombra, lontano da quel controllo sociale che il Parlamento, nel 1989, ritenne doveroso abrogando il segreto istruttorio affinché il popolo italiano potesse verificare come viene amministrata la Giustizi nel suo nome.

Il ddl Mastella+447 si impernia, infatti, sul principio abominevole secondo cui il giornalista che viene a conoscenza di un fatto non può e non deve pubblicarlo. Altrimenti rischia una multa fino a 100 mila euro o, in alternativa, una pena detentiva.

E, si badi bene, il divieto di pubblicazione non riguarda le notizie coperte dal segreto, che già oggi è vietato pubblicare. Riguarda gli «atti non più coperti da segreto». Oggi quegli atti, se riportati integralmente, costano al giornalista un’oblazione di 240 euro. In futuro, con l’elevazione della multa a 100 mila, saranno oblazionabili a 50 mila euro: 100 milioni di lire, una somma che nessun giornalista può permettersi. Solo un editore può sobbarcarsi un simile esborso. Così saranno gli editori a decidere, di volta in volta, se se autorizzare o meno il proprio giornale la pubblicazione di un atto, anche non segreto. Diranno sì se converrà ai loro interessi, cioè se quell’atto mette in cattiva luce un loro avversario politico o affaristico, mentre se dispiacerà a loro o ai loro amici, o semplicemente sarà interessante per i cittadini, lasceranno perdere.

La libertà d’informazione sarà affidata alle guerre per bande tra editori, che poi sono anche e soprattutto banchieri, finanzieri, costruttori, imprenditori, palazzinari, politici o amici di politici o suoceri di politici. E la politica sarà ancor più sotto ricatto di quanto lo sia oggi, perché intercettazioni e altri atti giudiziari «non coperti da segreto» saranno comunque noti a giornalisti ed editori, che potranno eventualmente far sapere ai personaggi interessati di averli in pugno e contrattare con loro il prezzo del silenzio.

Un altro ovvio quanto rivoluzionario passo in avanti, Mancino lo compie quando parla di «segreto investigativo», invece di ripetere la solita giaculatoria del «segreto istruttorio». Che è stato abrogato nel 1989, com’è noto a tutti gli addetti ai lavori, fuorché a coloro che lo abrogarono.

E come ha finalmente riconosciuto lo stesso presidente Giorgio Napolitano, che nei giorni dello scandalo Rai-Mediaset aveva invece invocato il «segreto istruttorio». I due segreti non si differenziano soltanto per il nome, ma per la sostanza. Il segreto istruttorio copriva come un sudario tutta l’istruttoria: sino al termine delle indagini, non si poteva sapere né scrivere nulla. I magistrati operavano sott’acqua, all’insaputa della stampa e dei cittadini. Il segreto investigativo o «delle indagini», invece, ha due particolarità. Anzitutto è posto a esclusiva tutela delle indagini: non degli indagati.

Decide il pm quando cessa l’interesse dell’indagine a nascondere all’indagato che si indaga su di lui. A quel punto lo avverte, o con l’avviso di garanzia per notificargli l’accusa, o con l’invito a comparire per interrogarlo, o col mandato di perquisizione per perlustrargli la casa o l’ufficio, o con l’ordine di custodia cautelare per arrestarlo, o con l’ordinanza di sequestro per portargli via qualche bene. In quel preciso istante, da quando l’indagato ne «ha conoscenza» o «può avere conoscenza», l’atto non è più segreto. Com’è noto all’indagato e al suo difensore, può essere divulgato ai cittadini.

Tant’è che, se il pm decide che è meglio che resti riservato per un po’, ne dispone la «segretazione». Quando,dunque, i giornali raccontano il contenuto avvisi di garanzia, inviti a comparire, verbali di interrogatorio, ordinanze di sequestro o di perquisizione o di custodia, magari citando intercettazioni o altre fonti di prova, non violano alcun segreto. Se li riportano dalla prima all’ultima parola, incappano nell’anacronistico divieto di pubblicazione integrale, oblazionano a 240 euro e morta lì. È il caso, per esempio, della telefonata Berlusconi-Saccà pubblicata ieri dal sito dell’Espresso senz’alcuna violazione del segreto, in quanto contenuta negli atti depositati a disposizione delle parti a chiusura dell’indagine della Procura di Napoli.

Tutt’altra questione sono gli atti segreti, che sono pochi ma pure esistono. Per esempio, lo scoop di Repubblica sulla stessa indagine napoletana (che una settimana fa non era ancora giunta al deposito degli atti) a carico di Berlusconi, Saccà e altri sulla compravendita di senatori e sulle ragazze raccomandate a Raifiction. Dice autorevolmente Mancino, «il giornalista che viene a conoscenza di un fatto non può non pubblicarlo», ma «chi fa uscire una notizia che invece non deve uscire si rende responsabile di violazione del segreto investigativo». Come ha fatto Repubblica nel darne la notizia, ancorché segreta. Come ha fatto il Giornale pubblicando la famosa telefonata Fassino-Consorte, ancora top secret, e il nome di Silvio Siricna come possibile oggetto di ricatti da parte del clan Corona. Il giornalista deve, se la notizia è vera e di interesse pubblico, violare i segreti: poi naturalmente si assume la responsabilità di aver infranto la legge e dunque accetta le conseguenze della sua violazione. E cioè l’indagine a suo carico, con lo spiacevole corollario di perquisizioni, per violazione del segreto in concorso con il pubblico ufficiale (magistrato o investigatore) che gli ha spifferato la notizia segreta. Dovendo coprire le sue fonti, il giornalista ha il dovere di tacere il nome di chi gli ha dato la notizia, anche a costo di farsi indagare per reticenza o favoreggiamento. Il che spiega perché raramente le fughe di notizie trovano un colpevole.

Ricapitolando. In un sistema liberale, gli atti non segreti devono essere sempre pubblicabili, possibilmente integrali e testuali, onde evitare manipolazioni del giornalista (dunque il ddl Mastella+447 non deve proprio esistere); e gli atti segreti devono restare non pubblicabili, ma se il giornalista se li procura ha il dovere di pubblicare anche quelli, accettando poi di risponderne della propria violazione dinanzi alla legge. Ma siamo in Italia, dunque va tutto a rovescio: quando esce una notizia non segreta, si tuona alla violazione del segreto istruttorio (che non esiste più da 18 anni). Poi si fa una legge per vietare la pubblicazione di notizie non segrete, a riprova del fatto che oggi non è vietata.

Ma si può fare il giornalista in un manicomio simile?

Pubblicato il: 21.12.07
Modificato il: 21.12.07 alle ore 8.15

© l'Unità.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Salvate il soldato Latorre
Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2007, 06:39:35 pm
Marco Travaglio.

Salvate il soldato Latorre


La giunta di Palazzo Madama non ha ancora messo all'ordine del giorno la discussione sull'uso delle intercettazioni dei casi Unipol-Bnl e Bpl-Antonveneta che vedono coinvolto anche il vicecapogruppo ulivista al senato Nicola Latorre

Il 20 dicembre compie cinque mesi la richiesta di autorizzazione all'uso delle intercettazioni dei casi Unipol-Bnl e Bpl-Antonveneta avanzata il 20 luglio alle Camere dal gip Clementina Forleo. Montecitorio ha già autorizzato l'uso delle telefonate di due dei tre deputati coinvolti - il ds Piero Fassino e il forzista Salvatore Cicu - e ha rispedito al mittente quelle di Massimo D'Alema, sostenendo la competenza del Parlamento europeo. Invece la giunta di Palazzo Madama dorme sonni profondi e, a 150 giorni di distanza, non ha neppure messo all'ordine del giorno la discussione sul vicecapogruppo dell'Ulivo Nicola Latorre (per le sue telefonate con Giovanni Consorte e Stefano Ricucci) e sui senatori forzisti Luigi Grillo e Romano Comincioli (per i loro amabili conversari con la signora Fazio e con Gianpiero Fiorani).

La scusa accampata inizialmente era la necessità di attendere la sentenza della Corte costituzionale sulla legge Boato che regola l'utilizzabilità delle intercettazioni che coinvolgono parlamentari. Ma poi, il 25 ottobre, la sentenza è arrivata: non occorre l'ok del Parlamento per usare le telefonate contro il non-parlamentare che parla col parlamentare. Che cos'aspetta dunque il Senato a dire sì o no alla Forleo? Che venga trasferita dal Csm, magari nella speranza che le subentri un gip più malleabile? Sia come sia, questa melina è un pessimo spettacolo. Per il Senato e per i tre senatori coinvolti. Soprattutto per Latorre, l'unico che in caso di autorizzazione - come preannunciava il gip - rischia di finire indagato dalla Procura di Milano per concorso nel presunto aggiotaggio di Consorte. Nemmeno il leader del Partito democratico, Walter Veltroni, ci fa una bella figura. Era stato proprio lui, a fine agosto su 'Micromega', a impegnarsi solennemente a nome dei compagni: "Sia Fassino che D'Alema hanno chiesto alla Camera di autorizzare le intercettazioni che li riguardano.

Dunque, nessun limite verrà frapposto all'azione dei giudici". E, siccome 'ubi maior, minor cessat', la promessa doveva valere anche per Latorre. Invece sono trascorsi quasi due mesi e al Senato nulla s'è mosso. Forse è il caso che Latorre solleciti la giunta (a maggioranza di centrosinistra), prima che qualcuno lo sospetti di "frapporre limiti all'azione dei giudici". Anche perché, mentre i senatori dormono, il Csm ha una gran fretta di trasferire la Forleo. E Consorte ha una gran fretta di sfruttare il presunto 'caso Forleo' per ottenere il trasloco del processo Unipol da Milano a Brescia per 'legittima suspicione', sulle orme di Berlusconi e Previti. La legge Cirami sul 'legittimo sospetto', infatti, è più che mai in vigore, anche se l'Unione aveva solennemente promesso di cancellarla insieme alle altre 'leggi vergogna' berlusconiane. Riusciranno i nostri eroi a veder trasferire il proprio giudice naturale e il processo Unipol prima che il Senato sblocchi le telefonate?

(20 dicembre 2007)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Garantismo modello Casta
Inserito da: Admin - Dicembre 27, 2007, 06:55:34 pm
Garantismo modello Casta

Il pm di Catanzaro Luigi De Magistris indaga su sei giudici di Matera e Potenza che avrebbero protetto un comitato d'affari di cui farebbe parte l'avvocato Emilio Buccico 

DI MARCO TRAVAGLIO


Chissà se questa storia riuscirà a smuovere il Csm, il ministro della Giustizia e il Garante della privacy, così giustamente solleciti nel caso della nuova inchiesta su Berlusconi per lo shopping dei senatori e così distratti su altre faccende. Breve riassunto. Il pm di Catanzaro Luigi De Magistris indaga su sei giudici di Matera e Potenza che avrebbero protetto un comitato d'affari di cui farebbe parte l'avvocato Emilio Buccico, senatore di An, già membro del Csm, ora sindaco di Matera, pure lui indagato. Buccico querela un cronista locale. La Procura di Matera allarga l'indagine ad altri quattro giornalisti, tra cui Carlo Vulpio del 'Corriere della Sera', e al capitano dei carabinieri Pasquale Zacheo, che per conto del pm indaga sulle toghe lucane. L'accusa è 'associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione' di Buccico: accusa tanto bizzarra (la diffamazione scatta quando uno scrive, non prima) quanto pesante: diversamente dalla diffamazione, consente le intercettazioni.

Infatti i cronisti e Zacheo vengono intercettati dal 25 maggio al 25 luglio mentre seguono il caso 'toghe lucane' e, com'è prevedibile, parlano pure con De Magistris. Che finisce anche lui intercettato dai colleghi di Matera proprio mentre indaga sul sindaco e su alcuni colleghi di Matera. Nelle intercettazioni c'è di tutto: anche le telefonate professionali di Vulpio con le sue fonti (pm, investigatori, avvocati) e con la direzione del 'Corriere'.

Telefonate finalizzate a verificare le notizie e a farle pubblicare. Ora, il segreto delle fonti del cronista è tutelato dagli articoli 200 e 256 del Codice di procedura penale e può essere violato solo se è indispensabile alle indagini. Invece Vulpio e altri cronisti vengono allegramente ascoltati e perquisiti, con tanto di sequestro dei computer, poi bocciato dal Riesame. Di più. Dal 9 dicembre, vigilia della decisione del Csm sul trasferimento di De Magistris su richiesta del ministro Clemente Mastella, il quotidiano 'Libero' pubblica a puntate i brogliacci delle chiamate fra Vulpio, le fonti e i colleghi.

Telefonate protette dal segreto professionale e coperte dal segreto investigativo, mai depositate - pare - ai difensori e quindi note solo agli inquirenti.
Telefonate penalmente irrilevanti (non c'entrano con l'accusa di concorso morale nell'associazione a delinquere per la diffamazione di Buccico), che non dovrebbero essere nemmeno trascritte. Invece i brogliacci di polizia, che dovrebbero limitarsi a riassumerle, le riportano testuali. E qualche inquirente materano le ha girate a 'Libero'. Così un politico indagato riesce a far indagare, intercettare e screditare giornalisti, investigatori e pm che si occupano di lui. Segnaliamo la galleria degli orrori alle vestali intermittenti della privacy, della libertà di stampa e dell'indipendenza della magistratura.
Casomai fosse sfuggita al Garante, al Csm, alle alte cariche dello Stato, a Mastella e ai suoi ispettori, sempre così scattanti quando c'è di mezzo un socio della Casta.

(27 dicembre 2007)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Così parlò Mastella
Inserito da: Admin - Gennaio 05, 2008, 04:26:04 pm
Così parlò Mastella

Mesi fa nell'Unione si dava per certo un rimpasto di governo per l'inizio del 2008.

Il primo a partire dovrebbe essere il ministro dell'Interno Giuliano Amato.

E il secondo, a furor di popolo, il cosiddetto ministro della Giustizia 

DI MARCO TRAVAGLIO


Mesi fa nell'Unione si dava per certo un rimpasto di governo per l'inizio del 2008. Un po' per ridurre i 103 fra ministri e sottosegretari. Un po' per rivedere certe competenze e soprattutto certe incompetenze. Con quel che è accaduto col 'decreto sicurezza', scritto coi piedi e bocciato dal Quirinale, il primo a partire dovrebbe essere il ministro dell'Interno Giuliano Amato. E il secondo, di diritto, anzi a furor di popolo, il cosiddetto ministro della Giustizia Clemente Mastella, che ne fa e ne dice di tutti i colori. Tralasciamo, per carità di patria, quel che fa, e concentriamoci su quel che dice.

Dopo un mese di silenzio, il 9 dicembre a 'Crozza Italia' Mastella ha risposto all'inchiesta de 'L'espresso' sull'uso privato dei fondi del giornale Udeur, 'Il Campanile', finanziato dallo Stato: ad esempio, per l'acquisto di panettoni e torroncini natalizi. Anziché smentire sdegnato un'accusa tanto imbarazzante, il Guardasigilli s'è detto "dispiaciuto per le tante persone che non riceveranno più" quel bendidio. Pare brutto pagare i regali di Natale di tasca propria: o a spese del contribuente, o ciccia. Poi ha confessato che lui sapeva benissimo che il decreto sicurezza conteneva un errore nella parte sull'omofobia, "ma non l'ho detto a nessuno" per farlo saltare. Ora, visto quel che riesce a dire, si spera che Mastella abbia la favella scollegata dal pensiero.

Al suo esordio in via Arenula, lo spensierato ministro andò a Regina Coeli scortato da Giulio Andreotti e annunciò, fra gli stupiti battimani degl'inquilini: "Sarò un Guardasigilli dalla parte più dei detenuti che dei magistrati". Dopodichè mantenne la promessa con l'indulto extra-large e con l'istruttoria-lampo per la grazia a Bruno Contrada. Due mesi fa chiese al Csm di trasferire il pm Luigi De Magistris che indagava su di lui. Poi dichiarò testualmente: "Non mi si può chiedere di fare il lavoro sporco e poi far finta di niente. Non sento le voci della maggioranza dire: ma Mastella che c'entra? Perché ce l'avete con lui?" ('la Repubblica', 20 ottobre).

Senza spiegare chi gli abbia commissionato il lavoro sporco, quale lavoro sporco, e a che titolo un ministro della Giustizia faccia il lavoro sporco. A dicembre, quando Berlusconi è finito sotto inchiesta a Napoli, ha proposto un baratto fra la sua solidarietà al Cavaliere indagato e la solidarietà del Cavaliere a Mastella indagato: "Quando i pm toghe si occupano di lui sono toghe rosse, e quando si occupano di me sono rossonere?". E, nei giorni della strage alla Thyssen Krupp, ha proposto un decreto contro l'"emergenza civile" delle intercettazioni.

Poi ha minacciato le dimissioni, cioè la fine del governo, se la Corte costituzionale non "trova qualche arzigogolo per bocciare il referendum elettorale" ('La Stampa', 15 dicembre).

Possibile che nemmeno questa indecente pressione sulla Consulta sia ritenuta incompatibile con la sua permanenza alla Giustizia? Visto che lo statista di Ceppaloni aveva chiesto fin dall'inizio la Difesa, sarebbe il caso - pur tardivamente - di accontentarlo. Prima che riapra bocca.

(04 gennaio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Gran teatro Contrada
Inserito da: Admin - Gennaio 11, 2008, 11:28:22 pm
Marco TRAVAGLIO

Gran teatro Contrada

Intorno al caso dell'ex numero 3 del Sisde s'è scatenato il solito guazzabuglio all'italiana che ha finito col confondere le idee a tutti

Intorno al 'caso Contrada', cioè alla sorte dell'ex capo della Mobile e poi della Criminalpol di Palermo, nonché ex numero 3 del Sisde, condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, s'è scatenato il solito guazzabuglio all'italiana che ha finito col confondere le idee a tutti e col danneggiare lo stesso Bruno Contrada. 'Merito' anche del suo nuovo difensore, Giuseppe Lipera, avvocato con un passato un po' così (nel 1993 fondò a Catania Sicilia Libera, il partito ispirato dai boss Bagarella, Graviano e Cannella).

Il 20 dicembre Lipera "supplica" Giorgio Napolitano per "un provvedimento di clemenza sua sponte". Cioè la grazia a Contrada, che però non la chiede perché vuole la revisione del processo. Ma per la revisione servono nuove prove, al momento improbabili visto che il processo s'è chiuso appena 7 mesi fa (la Cassazione non ha ancora depositato la sentenza). Quanto alla grazia, non s'è mai vista per un condannato per mafia, che per giunta ha appena iniziato a scontare la pena. Ma Lipera, nell'imbarazzato silenzio degli ex difensori Gioacchino Sbacchi e Piero Milio, insiste con una conferenza stampa al giorno: "Motivi di salute", Contrada "sta morendo in carcere". In realtà contesta il menù del carcere, che non rispetta la dieta anti-diabete suggerita dai medici.

Perciò ha avviato uno sciopero del cibo, che non migliora il suo stato di salute. Napolitano trasmette la pratica a Clemente Mastella che, pressato dalla sua signora Sandra, garantisce "procedura d'urgenza per motivi umanitari". Intanto parte il battage degli innocentisti a prescindere, una variopinta compagnia di giro capitanata da Giuliano Ferrara, Lino Jannuzzi e Stefania Craxi: puntano a demolire una sentenza che ancora non conoscono, con argomenti piuttosto miseri. "Hanno creduto ai mafiosi pentiti e non ai testi della difesa" (oh bella, e chi altri dovrebbe sapere se Contrada aiutava i mafiosi, se non i mafiosi? E poi l'accusa si regge soprattutto sulle parole di poliziotti e giudici come Carla Del Ponte e Giuseppe Ayala). "Lo trattano peggio di Totò Riina" (ma Riina ha diversi ergastoli, mentre Contrada, condannato per aver favorito le latitanze di Riina e altri boss, uscirà nel 2014). "Le sentenze sono contraddittorie" (mica tanto: dopo la condanna in tribunale, la Cassazione ha annullato l'assoluzione del primo appello e confermato la condanna del secondo). In realtà - osserva Rita Borsellino - se Contrada sta male, la via maestra è un'altra: ricovero in ospedale in vista dell'eventuale differimento pena per motivi di salute. Ciò che fa il Tribunale di sorveglianza di Napoli.


Il 28 dicembre Contrada è trasferito al Cardarelli per nuove analisi. Ma riecco Lipera: "È un reparto da incubo, Contrada ha diritto a un ospedale degno del suo rango". Strano: il padiglione è nuovo di zecca, inaugurato a luglio. Contrada firma per uscire, i giudici l'accontentano. Lui, dal carcere, rivendica una "grande amicizia con Paolo Borsellino" (smentito da tutti) e pretende addirittura "un grazie dallo Stato". Chiude in bellezza l'ottimo Lipera, negando di aver mai chiesto la grazia. Ma allora di che s'è parlato per due settimane? A chi ha risposto Napolitano? E quanti avvocati ha Contrada, di grazia?

(11 gennaio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - "Caro Beppe,
Inserito da: Admin - Gennaio 17, 2008, 11:24:09 pm
"Caro Beppe,

siamo tutti costernati e affranti per quanto sta accadendo al cosiddetto ministro della Giustizia Clemente Mastella e alla sua numerosa famiglia, nonché al suo partito, che poi è la stessa cosa.

Costernati, affranti, ma soprattutto increduli per la terribile sorte che sta toccando a tante brave persone. Infatti, oltre alla signora Sandra, presidente del Consiglio regionale della Campania, sono finiti agli arresti il consuocero Carlo Camilleri, già segretario provinciale Udeur; gli assessori regionali campani dell’Udeur Luigi Nocera (Ambiente) e Andrea Abbamonte (Personale); il sindaco di Benevento dell’Udeur, Fausto Pepe, e il capogruppo Udeur alla Regione, Fernando Errico, e il consigliere regionale dell’Udeur Nicola Ferraro e altri venti amministratori dell’Udeur. In pratica, hanno arrestato l’Udeur (un mese fa era finito ai domiciliari l’unico sottosegretario dell’Udeur, Marco Verzaschi, per lo scandalo delle Asl a Roma, mentre un altro consigliere regionale campano, Angelo Brancaccio, era finito in galera prima dell’estate quando era ancora nei Ds, ma appena uscito di galera era entrato nell’Udeur per meriti penali).

Mastella, ancora a piede libero, è indagato a Catanzaro nell’inchiesta "Why Not" avviata da Luigi De Magistris e avocata dal procuratore generale non appena aveva raggiunto Mastella, che intanto non solo non si era dimesso, ma aveva chiesto al Csm di levargli dai piedi De Magistris. S’è dimesso invece oggi, Mastella, ma per qualche minuto appena: poi Prodi gli ha respinto le dimissioni, lasciandolo al suo posto che – pare incredibile – ma è sempre quello di MINISTRO DELLA GIUSTIZIA. La sua signora, invece, non s’è dimessa (a Napoli, di questi tempi, c’è perfino il rischio che le dimissioni di un politico vengano accolte): dunque, par di capire, dirigerà il Consiglio regionale dai domiciliari, cioè dal salotto della villa di Ceppaloni.

Al momento nessuno sa nulla delle accuse che vengono mosse a lei e agli altri 29 arrestati. Ma l’intero Parlamento – con l’eccezione, mi pare, di Di Pietro e dei Comunisti Italiani – s’è stretto intorno al suo uomo più rappresentativo, tributandogli applausi scroscianti e standing ovation mentre insultava i giudici con parole eversive, che sarebbero parse eccessive anche a Craxi, ma non a Berlusconi: insomma la casta (sempre più simile a una cosca) ha già deciso che le accuse - che nessuno conosce - sono infondate e gli arrestati sono tutti innocenti. A prescindere. Un golpetto bianco, anzi nero, nerissimo, in diretta tv.

Nessuno, tranne Alfredo Mantovano di An, s’è domandato come facesse il ministro della Giustizia a sapere che sua moglie sarebbe stata arrestata e a presentarsi a metà mattina alla Camera con un bel discorso scritto, con tanto di citazioni di Fedro: insomma, com’è che gli arresti vengono annunciati ore prima di essere eseguiti? E perché gli arrestandi non sono stati prelevati all’alba, per evitare il rischio che qualcuno si desse alla fuga? Anche stavolta, la fuga di notizie è servita agli indagati, non ai magistrati. E, naturalmente, al cosiddetto ministro.

Il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, anziché aprire una pratica a tutela dei giudici aggrediti dal ministro, ha subito assicurato "solidarietà umana" al ministro e ai suoi cari (dobbiamo prepararci al trasferimento dei procuratori e del gip di Santa Maria Capua Vetere, sulla scia di quanto sta accadendo per De Magistris e Forleo?). Il senatore ambidestro Lamberto Dini ha colto l’occasione per denunciare un "fatto sconvolgente: i magistrati se la prendono con le nostre mogli" (la sua, Donatella, avendo fatto fallimento con certe sue società, è stata addirittura condannata a 2 anni e mezzo per bancarotta fraudolenta, pena interamente indultata grazie anche a Mastella).

Insomma, è l’ennesimo attacco ai valori della famiglia tradizionale fondata sul matrimonio: dopo l'immunità parlamentare, occorre una bella immunità parentale.

Come fa osservare la signora Sandra Lonardo in Mastella dai domiciliari, "questo è l’amaro prezzo che, insieme a mio marito, stiamo pagando per la difesa dei valori cattolici in politica, dei principi di moderazione e tolleranza contro ogni fanatismo ed estremismo". Che aspettano a invitarli a parlare alla Sapienza?."

Marco Travaglio


Titolo: Marco TRAVAGLIO Più che mazzette, scambio di favori. È il bottino dei "corsari".
Inserito da: Admin - Gennaio 18, 2008, 05:11:34 pm
Più che mazzette, scambio di favori. È il bottino dei «corsari» campani

Marco Travaglio


Soltanto in un paese marcio e mitridatizzato dalle fondamenta qualcuno può accogliere l’ordinanza dei giudici di Santa Maria Capua Vetere su Mastella & famiglia con alzate di spalle, «Così fan tutti», «Embè, dove sta il reato?». Passi per Mastella e per la sua corte, passi per il suo avvocato il quale teorizza addirittura che il compito della politica è occupare tutto l’occupabile: imputati e difensori si difendono come possono, hanno persino (almeno in Italia) il diritto di mentire. Ma che pure persone non coinvolte nell’affare liquidino i fatti narrati nell’ordinanza come ordinaria amministrazione rientrante nella «discrezionalità della politica» senza che la magistratura possa mettervi becco, lascia di stucco.

È vero, il clamore suscitato dall’inchiesta faceva pensare a elementi ancor più gravi (in quel caso il gip avrebbe usato la galera, non i domiciliari): ma solo l’assuefazione al peggio può far dire che non c’è nulla di «penalmente rilevante». Mastella ripete di non aver «mai preso tangenti in vita mia», come se questo bastasse a metterlo al riparo dal codice penale.

In realtà esistono, nel codice, svariati reati che non richiedono passaggi di denaro. Le mazzette, nel «sistema» denunciato in Campania, sono superflue: è tutto uno scambio di favori «in natura». Io ti mando in quel posto e ti lascio licenza di rubare: un po’ come i corsari di sir Francis Drake, autorizzati dalla Regina a tenersi il bottino. Insomma un conto sono le esigenze cautelari, giudicate in un modo dal Gip e suscettibili di diversa analisi al Riesame e in Cassazione, un altro la rilevanza penale. L’ordinanza parla di «concorsi pubblici vinti non dai candidati meritevoli, ma esclusivamente da quelli sponsorizzati da Camilleri (Carlo, imprenditore, consuocero di Mastella e presidente dell’Autorità di bacino del Sele, ndr) e dal suo partito», con «falsificazione delle graduatorie». Se la cosa fosse provata, sarebbe abuso d’ufficio, il reato di chi viola leggi o regolamenti per procurare ad altri ingiusto danno o vantaggio.

Il gip parla di cause «aggiustate» al Tar e al Consiglio di Stato, tramite giudici compiacenti: pure questo, se provato, è reato. La giustizia, anche amministrativa, dev’essere uguale per tutti. Anche per i non-Udeur.

L’ordinanza racconta di primari «nominati dai direttori generali dell’Asl non in base a capacità professionali, ma di indicazioni fornite da esponenti Udeur» («noi non teniamo un ginecologo?», domanda il ministro quando viene nominato il fratello di un forzista). Idem per le nomine di 11 direttori dei parchi e di 5 collaboratori fissi dell’Arpac. Se è così, anche questi sono abusi d’ufficio: leggi e regolamenti stabiliscono che, per fare il primario (o altra funzione pubblica) occorrono requisiti precisi, cioè competenze professionali, dalle quali parrebbe esclusa la tessera dell’Udeur. Il direttore pressato dai Mastella, Luigi Annunziata, spiega che «l’ospedale già sta male e le persone che stanno intorno a Clemente sono tutti peggio di me» e lui non può abbassare ancora il livello dei primari sistemando il neurochirurgo della signora Mastella, «uno sconosciuto che tiene 56 anni».

A Cerreto Sannita, Mastella reclama l’assessorato ai lavori pubblici e, per far pressione sul sindaco, incarica – secondo l’accusa – i suoi uomini in Regione per chiudere il rubinetto dei finanziamenti al piano d’insediamento produttivo nel comune. Se è così, questa potrebbe essere concussione: il reato del pubblico ufficiale che abusa della sua qualità o funzione per costringere o indurre qualcuno a dargli o promettergli «denaro o altra utilità» (un posto chiave, per esempio).

Ma c’è una complicazione, tutta italiana: la giurisprudenza nostrana ha stabilito che, se la contropartita ottenuta dal pubblico ufficiale con le sue minacce è un provvedimento votato in consiglio regionale, i consiglieri che l’han votato non sono punibili (come i parlamentari, immuni per i «voti dati»: una giurisprudenza «domestica» che contrasta con la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa, che punisce anche chi vota in un certo modo in cambio di soldi o di favori).

Se invece la contropartita non è frutto di un voto in Regione, ma di una normale azione amministrativa, allora il discorso cambia: se i finanziamenti a Cerreto erano fissati per legge e sono stati bloccati in attesa della nomina dell’assessore, chi li ha bloccati può aver commesso abuso d’ufficio, od omissione di atti d’ufficio, o concussione in caso di minacce.

Più arduo sarà dimostrare la concussione di Mastella ai danni di Bassolino: ti boicotto la giunta se non nomini chi voglio io allo Iacp di Benevento. Il boicottaggio della giunta sarebbe avvenuto tramite assessori e consiglieri che gli votavano contro o disertavano le sedute, cioè con attività che – almeno in Italia – sono ritenute insindacabili, cioè immuni. Se però fosse provato che, per premere, fu addirittura sciolto indebitamente l’Asi di Benevento per far designare a commissario un fan di Mastella, l’abuso e la concussione sarebbero teoricamente configurabili.



Ps. Tutto ciò avveniva nel Casertano, la provincia più avvelenata dall’emergenza rifiuti. Ma non risultano telefonate di Mastella & C. per minacciare qualcuno affinchè rimuovesse il pattume (eppure l’Udeur ha l’assessore regionale all’Ambiente). Tutto rientrava nella «discrezionalità della politica», tranne la monnezza.

Pubblicato il: 18.01.08
Modificato il: 18.01.08 alle ore 11.54   
© l'Unità.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Ferrara fa il suo ingresso al comitato Valori del Pd
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2008, 04:21:47 pm
Lo smemorato della 194

Incredibile ma vero: Giuliano Ferrara fa il suo ingresso trionfale al comitato Valori del Pd 

DI MARCO TRAVAGLIO


Tutti gli autoriTutto si può dire del Pd, ma non che sia un partito prevedibile. Pochi dei 3,5 milioni di votanti alle primarie di ottobre potevano immaginare che Walter Veltroni avrebbe discusso la legge sull'aborto con Giuliano Ferrara e che il medesimo Ferrara avrebbe preso parte al comitato Valori del Pd, addirittura invitato a prendervi la parola dal presidente Alfredo Reichlin.

La bizzarra rimpatriata fra ex comunisti - un déjà vu anni Settanta - pareva impensabile ancora pochi giorni prima, quando in un'illuminante intervista alla 'Stampa' il supermazziere berlusconian-vaticano aveva gettato la maschera sul movente tutto politico della sua crociata contro l''omicidio' dell'aborto: "Mi piacerebbe che i promotori di questa iniziativa fossero un 'cattolico adulto' come Prodi, una cattolica democratica come la Bindi e una cattolica ex-comunista come la Turco".

E perché non l'amico Silvio, che si dice cattolico a ogni piè sospinto?
Ecco: la cosiddetta moratoria non riduce gli aborti, ma in compenso getta una questione sensibile come la 194 tra le ruote già storte del Pd. Altrimenti sarebbe partita durante il governo Berlusconi, che ben si guardò dallo sfiorare il tema.

Anche perché la signora Veronica, in una sofferta intervista a Maria Latella, ha raccontato: "Al quinto mese di gravidanza ho saputo che il bambino che aspettavo era malformato e per i due mesi successivi ho cercato di capire, con l'aiuto dei medici, cosa potevo fare, cosa fosse più giusto fare.
Al settimo mese sono dolorosamente arrivata alla conclusione di dover abortire" ('Corriere della sera', 8 aprile 2005). A sentire Ferrara ultimo modello, la signora - che fra l'altro è il suo editore - sarebbe un'omicida.

Per nobilitare una campagna tutta politica, l'astuto Ferrara invoca il "diritto alla vita" sancito dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948 e due "laici perbene, seri e responsabili": Norberto Bobbio e Pier Paolo Pasolini, che si pronunciarono coraggiosamente contro l'aborto nel 1981 e nel 1975 (quando Ferrara era abortista sfegatato).

Quanto al diritto alla vita, è singolare che a farsene paladino sia un ultrà della guerra in Iraq che sorvola sulle centinaia di migliaia di civili ammazzati e giustifica le torture ad Abu Ghraib e le detenzioni illegali a Guantanamo.

Quanto al compianto Bobbio, le annate del 'Foglio' sono un florilegio di attacchi al filosofo torinese, dipinto come "papa laico", "guru azionista", "moralista" e "giacobino" da strapazzo che "non ha i titoli di profeta e guida della nuova Italia", "parla e scrive col ditino alzato" e "dovrebbe portare rispetto a se stesso, alla sua complicata storia etica e morale" (18. 5.1996) perché "scriveva tremebonde lettere d'amore al Duce" (12.1.1999) e "lusingava Togliatti facendosene lusingare" (17.1.1998).

Uno che osa vibrare "pugnalate sicarie" a Berlusconi "con gesti verbali da domatore di circo equestre" e lascia "incustodita la Costituzione, purché a manometterla siano gli amici" (13.11.1996).

Insomma un tipaccio abituato a "servire non la verità, ma i suoi rancori personali" e ad "aggiogarsi al carro dei vincitori" (15.9.1999).

Il che, detto da Ferrara a Bobbio, fa già ridere. Mai però quanto Ferrara che fa il suo ingresso trionfale al comitato Valori del Pd.

(21 gennaio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Stoccare i sedimenti inquinanti in casse marine.
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2008, 04:27:58 pm
Fanghi tossici in mare

di Marco Travaglio

Stoccare i sedimenti inquinanti in casse marine.

Lo prevede un decreto del ministro Pecoraro Scanio.

Che alza anche i limiti consentiti per le sostanze pericolose 


Che idea: creare decine di discariche a cielo aperto con vista mare, anzi sul mare. E riempirle di fanghi industriali, liquami tossici e veleni vari dragati dalle aree industriali e portuali più devastate d'Italia. Con quantitativi di metalli, pcb e idrocarburi contaminati anche 100 mila volte superiori ai limiti europei che rischiano di inquinare ancor di più i nostri mari. È tutto scritto in un 'Decreto del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del mare', che paradossalmente è il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, approvato in dicembre dalla Conferenza Stato-Regioni e in attesa del parere del Consiglio di Stato prima di entrare in vigore.

Un decreto che sta mettendo in allarme gli esperti di molte regioni, le associazioni ambientaliste a partire da Legambiente, nonché alcuni tecnici del ministero che hanno avvertito il governo dei pericoli contenuti nel provvedimento. Finora, invano. Il decreto "disciplina le operazioni di dragaggio nei siti di bonifica di interesse nazionale". Una danza macabra di tecnicismi, cifre, rimandi a leggi, regolamenti, codicilli da perderci la testa. Cerchiamo di districarci con l'aiuto di una tabella.

In Italia la gestione dei sedimenti portuali non è mai stata risolta una volta per tutte. Ogni anno si dragano milioni di metri cubi di materiali sott'acqua per garantire l'operatività dei porti. Dopodiché non si sa che fare dei fanghi, spesso altamente inquinati e inquinanti. Il problema è particolarmente drammatico nei 50 siti classificati "di interesse nazionale", dove i sedimenti marini sono troppo contaminati e necessitano di speciali cautele. Tra i più a rischio, quelli di Bagnoli, Priolo, Gela, Livorno, Piombino, Mestre. Decine di bombe ecologiche a orologeria. È per disinnescarle che nasce, con molto ritardo, il decreto del governo. Che però, secondo molti esperti, non rispetta le linee guida emesse dagli istituti tecnici e dallo stesso ministero: il 'Quaderno Icram'(Istituto centrale ricerca applicata al mare) del 2002 e il 'Manuale Ministero-Icram-Apat' (Agenzia protezione ambiente e servizi tecnici) del 2007, adottati come base per ogni futura legge da una recente risoluzione della commissione Ambiente della Camera.

In pratica il decreto fa di tutt'erba, anzi erbaccia, un fascio. In un'unica soluzione, prevede lo stoccaggio di tutti i sedimenti contaminati in grandi 'casse di colmata' sul mare: grandi vasche costiere protette da sbarramenti, impermeabilizzate da teli di plastica e destinate a diventare in futuro suoli utilizzabili per scopi portuali. Di fatto, discariche marine a cielo aperto. Oggi possono ospitare materiali con basse concentrazioni inquinanti, come quelle fissate dal 'protocollo di Venezia' del 1993 per la gestione dei sedimenti dragati dai canali della Laguna. Il protocollo prevede diversi utilizzi dei fanghi a seconda del grado di contaminazione: se i valori sono tollerabili, possono essere travasati nelle vasche a contatto col mare; se superano i massimi consentiti, vanno prima trattati per ridurne la pericolosità e poi collocati in siti lontani da mare. Altri limiti fissa la legge sulle bonifiche dei suoli industriali e urbani (decreto n. 152/2006). E finora nelle 'casse di colmata' finivano fanghi al di sotto dei valori di contaminazione per i suoli industriali (addirittura ridotti del 10 per cento per cautela).

Che cosa cambia col nuovo decreto? Si innalzano i valori-limite di centinaia di volte, con rischi altissimi per l'ambiente. Le discariche marine, infatti, non sono affatto sicure: il pericolo di versamenti o sgocciolamenti di percolato è sempre in agguato. I dati confrontati in tabella sono emblematici. Due esempi. Secondo il decreto 152/2006 le casse di colmata potevano ospitare non più di 4,5 milligrammi di mercurio per chilogrammo; col decreto, fino a 1000 (oltre 200 volte di più). Peggio ancora per i pesticidi, il cui livello massimo passerebbe da 0,1 a 10.000 mg/kg (100 mila volte di più). Tant'è che, al ministero, qualcuno si domanda che senso abbia dragare, trasportare e riversare quei fanghi dai fondali alle vasche senza prima trattarli per renderli innocui, aumentando il rischio di dispersione di sostanze cancerogene (secondo l'Airc, Agenzia internazionale ricerca sul cancro) nell'ecosistema marino: cioè ai pesci e quindi alle nostre tavole. Tanto varrebbe lasciarli dove sono.

Il decreto va pure in controtendenza con le norme europee. La direttiva sulle acque di Bruxelles (n.60/2000) raccomanda di ridurre entro il 2020 le emissioni di sostanze 'prioritarie' (già esistenti in natura) ed eliminare le 'prioritarie pericolose' (derivanti dalla sintesi di materiali organici prodotti dall'uomo). E l'Italia che fa? Aumenta le une e le altre. Rischiando l'ennesima procedura d'infrazione e sforando gli stessi limiti fissati dal decreto italiano 367/2003 sui sedimenti marini. Le sostanze 'pericolose' e 'prioritarie pericolose' si annidano nei fanghi di dragaggio: muoverli e trasportarli significa disperderle aumentando l'inquinamento marino.

Cui prodest questa follia? Lo smaltimento dei rifiuti tossici, anche in mare, è un business colossale. Sta per nascere, anche su questo fronte, un'apposita Autorità per la bonifica dei siti: un ente che, stando alle prime indiscrezioni, sarebbe controllato da capitali privati e gestirebbe i siti da bonificare e le attività economiche collaterali. Il decreto poi, stanziando soldi pubblici per le discariche marine, è tutta manna per le aziende inquinanti, che potranno gettarvi di tutto: una normativa più seria le costringerebbe a un'azione di trattamento e bonifica molto onerosa. Non solo: si parla di un accordo delle regioni Toscana e Campania col ministero per traghettare i fanghi del porto di Bagnoli in quello di Piombino: per tre anni una serie di navi 'bettoline' dragheranno i fondali del porto campano, 'aspireranno' fanghi altamente inquinanti grazie ai nuovi, altissimi limiti consentiti e li depositeranno a centinaia di chilometri, nella 'cassa di colmata' di Piombino (dove già la Lucchini ha montagne di polveri tossiche da smaltire).

Il tutto al costo di decine di milioni di euro, sottratti ai fondi destinati alle 'energie rinnovabili'. Con questi fondi si progetta pure di costruire qualche nuova strada ad hoc. "E dire", scuote il capo un tecnico, "che Pecoraro Scanio aveva persino cambiato nome al 'Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio', aggiungendo le parole 'e del Mare'. Oltre al danno, la beffa".

(22 gennaio 2008)

da espresso.repubblica.it



Titolo: Marco TRAVAGLIO - Bettino statista levantino
Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2008, 04:56:49 pm
Marco Travaglio

Bettino statista levantino


Paolo Pillitteri, che a 8 anni dalla morte di Bettino Craxi dedica un libro all'uomo che lo trasformò nel sindaco di Milano. E la figlia Stefania lo trasforma in una fiction  E' un bel gesto quello del cognatissimo Paolo Pillitteri, che a 8 anni dalla morte di Bettino Craxi dedica un libro all'uomo che lo trasformò nel sindaco di Milano. Ed è comprensibile che la figlia Stefania e il figlioccio Luca Iosi si prodighino per raccontarlo in una fiction: essendo entrambi titolari di società di produzione tv, con buone entrature in Rai e in Mediaset, non difettano dei mezzi necessari. Si comprende un po' meno la processione di politici e commentatori di ogni colore intorno alla memoria del defunto e presunto 'statista' per esaltare la 'modernità' del suo 'riformismo'. In un paese serio, a chiudere la questione basterebbero le tre sentenze definitive emesse dalla Cassazione (due condanne a un totale di 10 anni per le tangenti Eni-Sai e Metropolitana milanese; una prescrizione per le mazzette dalla berlusconiana All Iberian). O i 40 miliardi di lire giacenti nel '93 sui suoi tre conti svizzeri personali, gestiti non dai tesorieri del Psi, ma dall'ex compagno di scuola Giorgio Tradati e poi dall'ex barista Maurizio Raggio, e destinati agli "interessi economici anzitutto propri di Craxi" (sentenza All Iberian). Ma, dicono i nostalgici, "Craxi non può essere ridotto ai suoi guai giudiziari". Infatti ci sono pure quelli politici.
Economia: sotto il governo Craxi (1983-87) il debito pubblico balza da 400 mila a 1 milione di miliardi di lire e il rapporto debito-Pil dal 70 al 92 per cento.
Lotta al terrorismo: dopo aver caldeggiato, per fortuna invano, la trattativa tra Stato e Br durante il sequestro Moro, nel 1985 Craxi sottrae al blitz americano di Sigonella i terroristi palestinesi che hanno appena sequestrato la nave Achille Lauro e assassinato un turista ebreo disabile; si impegna a farli processare in Italia, poi fa caricare il loro capo Abu Abbas su un aereo dei servizi e lo spedisce in Iraq, gradito omaggio a Saddam Hussein.

Politica estera: ancor più filoarabo e levantino dei democristiani, Craxi appoggia acriticamente l'Olp, ben lontana dalla svolta moderata, paragonando Arafat a Mazzini; spalleggia e foraggia il dittatore sanguinario somalo Siad Barre; e nel 1982, durante la crisi delle Falkland, si schiera addirittura con
i generali argentini contro la Gran Bretagna.
Politica istituzionale: è il primo a picconare la Costituzione in vista della 'grande riforma' presidenzialista e ad attaccare le procure, che vorrebbe assoggettare al governo. Politica industriale: sponsor delle partecipazioni statali come grande macchina succhiasoldi e nemico di ogni privatizzazione, prima con i decreti Berlusconi e poi con la Mammì consacra il monopolio televisivo incostituzionale dell'amico Silvio, che fra l'altro paga bene e cash. Frequentazioni: dopo aver insultato Norberto Bobbio ("ha perso il senno") ed espulso galantuomini come Bassanini, Codignola, Enriquez Agnoletti, Leon e Veltri, il satrapo garofanato si circonda di faccendieri come Larini, Troielli, Giallombardo, Mach di Palmstein, Parretti, Fiorini, Chiesa e Cardella, per non parlare dei suoi legami con Gelli e Calvi e del suo consulente giuridico Renato Squillante. Oltre a decine di 'nani e ballerine', Craxi riesce a candidare al Parlamento Gerry Scotti e Massimo Boldi. Se sarà realistica, insomma, la fiction si annuncia avvincente.

(25 gennaio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - I fondi neri della Fininvest
Inserito da: Admin - Febbraio 01, 2008, 06:06:37 pm
I fondi neri della Fininvest

Marco Travaglio


Il processo Sme-Ariosto bis, chiuso ieri fulmineamente dal Tribunale con l'autoassoluzione dell'imputato Berlusconi Silvio («il fatto non è più previsto come reato» perché chi l'ha commesso l'ha poi depenalizzato), è l'ultima coda del filone «toghe sporche» aperto dalla Procura di Milano nell'estate del 1995 in seguito alla testimonianza di Stefania Ariosto. E riguarda i falsi in bilancio contestati al Cavaliere, titolare del gruppo Fininvest, per far uscire clandestinamente dalle casse delle società estere il denaro necessario a corrompere, o comunque a pagare, alcuni magistrati che stavano sul libro paga del Biscione. Inizialmente il processo Sme-Ariosto era uno solo e vedeva imputati per corruzione giudiziaria Berlusconi, i suoi avvocati Cesare Previti e Attilio Pacifico e i giudici Filippo Verde (per la presunta sentenza venduta sul caso Sme del 1988) e Renato Squillante (per una tangente di 434 mila dollari del 1991); in più Berlusconi rispondeva anche di falso in bilancio.

Poi, nel febbraio 2002, il suo governo depenalizzò di fatto i reati contabili, fissando soglie di non punibilità così alte da sanare cifre stratosferiche di fondi neri. Su richiesta della Procura, il Tribunale stralciò il capitolo del falso in bilancio e ricorse contro la nuova legge dinanzi alla Corte di giustizia europea, che però lasciò ai giudici italiani la decisione se applicare la legge italiana o quella (più rigida e prevalente) comunitaria. Intanto, nel processo principale, Previti, Pacifico e Squillante se la cavano con la prescrizione, solo Verde viene assolto. E così Berlusconi, ma solo per insufficienza di prove.


Le accuse

Resta, omai sul binario morto, il processo sul falso in bilancio che s'è chiuso ieri. Nel capo d'imputazione si legge che «Berlusconi Silvio, in concorso con gli altri amministratori e dirigenti delle spa Fininvest ed Istifi, in esecuzione di un unico disegno criminoso, quale presidente della spa Fininvest e azionista di riferimento dell'omonimo gruppo, fraudolentemente concorreva a esporre nei bilanci di esercizio delle precitate società, relativi agli anni 1986/'87, '88, '89, nonché nelle relazioni allegate ai bilanci e nelle altre comunicazioni sociali, notizie false e incomplete sulle condizioni economiche delle medesime: operando perché Istifi gestisse la tesoreria del gruppo in modo tale da non consentire l'attribuzione e la ricostruzione delle operazioni finanziarie finalizzate a creare provviste di contanti nonché l'effettivo impiego in operazioni riservate ed illecite ed anche per l'esecuzione dei pagamenti di cui ai capi precedenti (le presunte tangenti ai giudici Squillante e Verde, ndr); creando, attraverso operazioni eseguite presso la Fiduciaria Orefici di Milano, delle disponibilità extracontabili utilizzate per operazioni riservate e illecite nonché per eseguire i pagamenti di cui ai capo che precedono; cosí occultando, nelle diverse comunicazioni sociali, sia la creazione di disponibilità finanziarie, sia il loro impiego, sia l'esistenza di società correlate e di posizioni fiduciarie riferibili alle precitate società (nonché gli impegni per la loro capitalizzazione, i costi relativi e le plusvalenze realizzate)».

Indipendentemente dalla conclusione dei processi, i versamenti in nero della Fininvest sono documentali e incontestabili. I primi risalgono al 1988, poco dopo la sentenza di Cassazione che chiuse la causa civile sulla mancata cessione, nel 1985, della Sme dall'Iri di Prodi alla Buitoni di De Benedetti per l'azione di disturbo inscenata dal trio Berlusconi-Barilla-Ferrero (Iar) su ordine di Bettino Craxi. Il 2 maggio e il 26 luglio 1988, da un conto svizzero di Pietro Barilla, partono due bonifici: il primo di 750 milioni, il secondo di 1 miliardo di lire, entrambi diretti al conto Qasar Business aperto presso la Sbt di Bellinzona dall'avvocato Pacifico. I 750 milioni vengono ritirati in contanti da Pacifico, che li porta in Italia e - secondo l'accusa - ne consegnati una parte (200 milioni) brevi manu al giudice Verde, che nel 1986 ha sentenziato a favore della Iar (che però viene assolto: manca la prova dell' ultimo passaggio). Il miliardo invece lascia tracce documentali fino al termine del suo percorso: il 29 luglio '88 Pacifico ne bonifica 850 milioni al conto Mercier di Previti e 100 milioni al conto Rowena di Squillante, trattenendone solo 50 per sè. Perché tutto quel denaro targato Barilla-Berlusconi (soci nella Iar) approda - secondo i pm - sui conti di due magistrati e di due avvocati che l'imprenditore parmigiano non conosce e che non hanno mai lavorato per lui? Perché mai il socio di Berlusconi dovrebbe pagare un miliardo e 750 milioni a due avvocati di Berlusconi che neppure conosce e a un giudice di Roma, anch'egli a lui sconosciuto, se nella causa Sme fosse tutto regolare?


Il bonifico Orologio

C'è poi il versamento del 1991, sganciato dall'affare Sme, ma rientrante - per l'accusa - nello stipendio aggiuntivo che Squillante riceveva da Fininvest per la costante disponibilità al servizio del gruppo: lo attesta un'impressionante sequenza di contabili bancarie svizzere sul passaggio di 434.404 dollari (500 milioni di lire tondi tondi) dal conto Ferrido (All Iberian, cioè Fininvest) al conto Mercier (Previti) al conto Rowena (Squillante), il 5 marzo 1991. Due bonifici diretti, della stessa identica cifra, nel giro di un'ora e mezza, siglati con il riferimento cifrato «Orologio». Previti parla di un errore della banca. Poi cambierà piú volte versione. All Iberian è la tesoreria occulta del Biscione e bonifica decine di miliardi di lire sui conti svizzeri Polifemo e Ferrido, gestiti dal cassiere centrale Fininvest, Giuseppino Scabini. Da dove arrivano i soldi? Da tre diversi sistemi. Anzitutto dai bonifici della lussemburghese Silvio Berlusconi Finanziaria. Poi, dall'aprile 1991, dal contante versato dalla Diba Cambi di Lugano: il denaro proveniva da due diverse operazioni effettuate grazie alla Fiduciaria Orefici di Milano. La prima è l'operazione «Bica-Rovares», condotta dal gruppo Berlusconi con l'immobiliarista Renato Della Valle, che frutta una ventina di miliardi; la seconda è strettamente legata al «mandato 500»: un mandato personale del Cavaliere aperto presso la Fiduciaria Orefici e utilizzato per acquistare 91 miliardi in Cct. I titoli di Stato vengono poi monetizzati a San Marino e il contante viene consegnato a Milano 2 a Scabini. Parte di questi soldi (18 miliardi circa) finiscono sui conti esteri del gruppo. A portarli in Svizzera provvede lo spallone Alfredo Bossert, che li consegna alla Diba Cambi di Lugano. Insomma, i conti esteri di All Iberian dai quali partono i versamenti ai giudici (ma anche 23 miliardi a Craxi) sono alimentati da denaro della Fininvest e - lo ammettono i suoi stessi difensori - «dal patrimonio personale di Silvio Berlusconi». E allora come può il Cavaliere non saperne nulla?


Una partita craxian-berlusconiana

La provvista del bonifico «Orologio» All Iberian-Previti-Squillante proviene da un altro conto del gruppo: il Polifemo, sempre gestito da Scabini. Il 1 marzo 1991, un venerdí, Polifemo riceve da Diba Cambi un accredito di 316.800.000 lire. Il denaro è giunto in Svizzera in contanti quattro giorni prima, il 26 febbraio, direttamente da palazzo Donatello a Milano 2 (sede Fininvest), trasportato dagli uomini di Bossert (la somma non fa parte della provvista creata col «mandato 500», che sarà operativo solo dal luglio 1991). Il lunedì successivo, 4 marzo, quei 316 e rotti milioni permettono a Polifemo di disporre il bonifico di 434.404 dollari a Ferrido (sempre All Iberian), dando cosí il via alla trafila che, attraverso Previti, approda al conto di destinazione finale: Squillante. Insomma, Polifemo gira 2 miliardi a Previti e (tra febbraio e marzo '91) 10 miliardi a Craxi. Nello stesso periodo Previti riceve un'altra provvista (2,7 miliardi) che utilizza in parte per girare a Pacifico i soldi necessari (425 milioni) a comprare la sentenza del giudice Vittorio Metta che annulla il lodo Mondadori e regala la casa editrice a Berlusconi: un altro affare che sta molto a cuore a Craxi. Nella primavera '91 dunque Berlusconi completa l'occupazione dei media e paga il politico, gli avvocati e i giudici che l'hanno aiutato. La sequenza temporale ricostruita dall'accusa è impressionante. Il 14 febbraio '91 Previti versa 425 milioni al giudice Metta tramite Pacifico. Il 6 marzo '91 bonifica 500 milioni a Squillante. Il 16 aprile '91, ancora tramite Pacifico, dirotta 500 milioni sul conto «Master 811» di Verde (poi assolto). Sempre con fondi Fininvest.

Non potendo negare i versamenti plurimiliardari a Previti in barba al fisco, Berlusconi li spiega cosí: «Normalissime parcelle professionali». Ma non esiste una sola fattura che le dimostri. E d'altronde: se quei soldi - come dice la difesa - erano «patrimonio personale di Berlusconi», che c'entrano con le parcelle? Berlusconi pagava le parcelle agli avvocati del gruppo di tasca propria? Assurdo.
Ultima perla. Dice Berlusconi che «da uno di quei conti vengono effettuati da Fininvest una serie di acconti ai vari studi legali del gruppo, fra cui lo studio Previti». Ma altri studi non ne risultano: Polifemo finanzia solo l'avvocato Previti e poi Craxi. Anche Craxi era un legale del gruppo Fininvest? Beh, in un certo senso...



Pubblicato il: 31.01.08
Modificato il: 31.01.08 alle ore 8.48   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Unione Brancaleone
Inserito da: Admin - Febbraio 02, 2008, 10:01:56 am
Marco Travaglio

Unione Brancaleone


Berlusconi viaggia come un treno verso le urne. Correrà con tutti gli alleati, inclusi Mastella e Dini, poi abolirà le intercettazioni e la libertà di stampa  Silvio BerlusconiL'eterno ritorno di Silvio Berlusconi, candidato per la quinta volta a Palazzo Chigi a 71 anni suonati, ricorda i film horror sui morti viventi. Ma prendersela col destino cinico e baro, o col solo Mastella, o con gli eterni secondi Fini e Casini che tre mesi fa annunciavano sfracelli e ora son già rientrati all'ovile, sarebbe comico.

A novembre il Cavaliere era  un uomo politicamente defunto. Bossi flirtava con la sinistra in cambio di uno straccio di 'federalismo', An e Udc picconavano la Cdl e parlavano financo di conflitto d'interessi,  i Fini Boys schifavano "gli amici del mafioso Vittorio Mangano" e riscoprivano antiche affinità con Paolo Borsellino. Lo statista di Milanello, detronizzato dai partner, in picchiata nei sondaggi, fallite una dozzina di 'spallate' al governo, tentava di intercettare l''antipolitica' inventandosi un Avatar al femminile, Michela Vittoria Brambilla, fondando partiti dai nomi cangianti sul predellino di una Mercedes e millantando 10 milioni di baionette nei gazebo semideserti delle finte primarie. Un caso umano.

A quel punto entrò in scena Walter Veltroni, legittimato da tre milioni di voti veri. Anziché incunearsi  nelle divisioni del centrodestra, dialogando con Fini, Casini e Bossi su un unico tavolo che comprendesse legge elettorale, conflitto d'interessi e tv, scelse il Cavaliere come interlocutore privilegiato e lo riportò sul trono, isolandone gli alleati in fuga. Sordina
al conflitto d'interessi e al problema tv, dialogo su una riforma elettorale e addirittura costituzionale che consentisse ai due partiti maggiori di scrollarsi di dosso gli alleati.

Chi non ricorda gli amorosi sensi tra i due "grandi riformatori" nonché "padri della Terza Repubblica",le telefonate quotidiane tra Gianni Letta e Goffredo Bettini, gli entusiasmi dei dalemiani vedovi inconsolabili della Bicamerale e le serenate di Cicchitto&Bondi sotto il Campidoglio? Giuliano Ferrara coniava la figura del 'CaW' (mezzo Cav. e mezzo Walter), Veltroni rilasciava mega-interviste al 'Foglio' e il Pd invitava il consigliori berlusconiano a presenziare alla riunione del comitato Valori. Invano Prodi e i suoi mettevano in guardia dalla pluricollaudata inaffidabilità del Cavaliere, rassicuravano gli alleati su un ritorno al Mattarellum e insistevano sul conflitto d'interessi per tener insieme l'Unione Brancaleone.


Il 19 gennaio, tre giorni dopo l'arresto di lady Mastella e di mezza Udeur, il colpo di genio: Veltroni annuncia agli alleati che "il Pd correrà da solo" con qualunque legge elettorale. Una mossa gabellata come innovativa, che in realtà - come ha scritto Barbara Spinelli - è quanto di più vecchio si possa immaginare: "un partito che si presenta alle urne e poi deciderà con chi e con quale programma governerà". Due giorni dopo Mastella lascia l'Unione e cade il governo. Mentre i papaveri Pd lo invitano al "governo istituzionale" e al "senso di responsabilità" (sic!), Berlusconi dimostra quel che si era sempre saputo: delle riforme non gliene importa nulla. E viaggia come un treno straniero verso le urne, per capitalizzare il mega-vantaggio dei sondaggi. Correrà con tutti gli alleati, nessuno escluso, anzi inclusi Mastella e Dini, poi abolirà le intercettazioni e la libertà di stampa. Per il Pd si annuncia una campagna elettorale muta. Non potrà nominare il conflitto d'interessi, non avendolo risolto nemmeno stavolta. Né potrà evocare lo spauracchio Berlusconi, avendoci dialogato fino all'altroieri. Se questi sono i professionisti della politica, ridateci i dilettanti.

(01 febbraio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: La privacy sono io
Inserito da: Admin - Febbraio 15, 2008, 09:28:37 pm
Marco Travaglio

La privacy sono io

C'è grande confusione, sia a destra che a sinistra, in tema di intercettazioni e tutela della sfera privata. Spesso si definisce 'processo mediatico' la semplice cronaca giudiziaria  Bruno VespaGrande è la confusione sotto il cielo d'Italia in tema di processi mediatici, intercettazioni e privacy. Siccome Silvio Berlusconi ha già annunciato di volervi puntare la sua campagna elettorale, e siccome da sinistra qualcuno già lo rincorre su quel terreno, sarà bene avere chiaro di che si sta parlando. Fare un 'processo mediatico', con buona pace dell'Autorità per le comunicazioni, non significa raccontare i processi e le sentenze (per esempio, la condanna di Totò Cuffaro): questa, dacché mondo è mondo, si chiama 'cronaca giudiziaria'.

Il processo mediatico è quello che sostituisce i tribunali con gli studi televisivi o le pagine dei giornali, per accusare qualcuno di qualcosa che nessun giudice gli ha mai contestato: per esempio discutere a 'Porta a Porta' su chi è colpevole tra Annamaria Franzoni, imputata per l'omicidio del figlio, e i suoi vicini di casa, mai indagati. O dare fiato a falsi testimoni come Mario Scaramella sui presunti legami di Romano Prodi con il Kgb; e come Igor Marini sulle fantomatiche tangenti della Telekom Serbia a Prodi, Fassino e Dini (a proposito, Dini è appena tornato fra le braccia di chi lo dipinse come un tangentaro al servizio di Milosevic: auguri).

Quanto alla 'privacy', è sacra e inviolabile finché non intervengono 'esigenze di giustizia': quando cioè un giudice dispone controlli sulla vita di una persona per accertare le verità in un processo. Ora il Cavaliere, nel solco della legge Mastella (a sua volta copiata da un progetto berlusconiano della scorsa legislatura), sventola la "privacy dei cittadini" per minacciare "5 anni di carcere per chi esegue e usa intercettazioni e 2 milioni di multa per chi le pubblica, al di fuori di indagini per terrorismo, mafia e camorra" (sulla 'ndrangheta si tiene sul vago). Non specifica quanti anni di galera dovrà fare chi ha approvato la legge che consente le intercettazioni per reati finanziari: forse perché i suoi avvocati-legislatori gli hanno spiegato che quella norma l'ha fatta lui. È la legge 62 del 18 aprile 2005, che recepisce la direttiva europea sul market abuse, alza le pene per l'aggiotaggio

e consente le intercettazioni per indagare sull'abuso di informazioni privilegiate e sulle manipolazioni di mercato. Grazie a quella legge, la Procura di Milano e il gip Clementina Forleo scoprirono lo scandalo delle scalate illegali a Bnl, Antonveneta e Rcs, recuperando centinaia di milioni rubati dai 'furbetti del quartierino'.

Tornare indietro significherebbe abiurare all'ordinamento comunitario con una legge illegittima, che i giudici potrebbero tranquillamente disapplicare, facendo prevalere la normativa europea. La privacy fu invece violentemente calpestata dal Sismi del generale Niccolò Pollari e del fido Pio Pompa, che negli anni del governo Berlusconi spiò centinaia fra giornalisti, magistrati e politici del centrosinistra, manco fossero pericolosi per la sicurezza militare. Ma su quello scandalo il Cavaliere ha sempre taciuto, proteggendo Pollari e Pompa (che ora scrive sul 'Foglio' edito dalla sua signora). Il 18 gennaio, poi, Berlusconi ha rivelato di possedere un elenco di 50 dirigenti Rai con rispettive amanti: "Se mi fanno arrabbiare, lo tiro fuori". Ecco, sarebbe interessante sapere chi gliel'abbia procurato, quale reato commetta chi ha l'amante e cos'aspetti il Garante della Privacy ad attivarsi in materia. Ma forse è allo studio una legge per rendere legali i controlli illegali e illegali quelli legali.

(11 febbraio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Partito smemocratico
Inserito da: Admin - Febbraio 15, 2008, 09:29:27 pm
Marco Travaglio

Partito smemocratico


Walter Veltroni si sta riscattando in campagna elettorale: l'annuncio della corsa solitaria consente al Pd di trattare da posizioni di forza con gli alleati della cosiddetta 'sinistra radicale'  Walter VeltroniDopo aver gestito nel peggiore dei modi il rapporto col governo Prodi e il dialogo con Berlusconi sulle riforme, Walter Veltroni si sta riscattando in campagna elettorale. L'ha notato Giovanni Sartori: l'annuncio della corsa solitaria consente al Pd di trattare da posizioni di forza con gli alleati della cosiddetta 'sinistra radicale'. E l'accordo con Di Pietro, oltre a capitalizzare il consenso raccolto dall'ex pm con il no all'indulto e ad altre porcherie, rassicura tanti ulivisti scettici e delusi sul fronte della legalità e del conflitto d'interessi.

Ora però, una volta stilato un programma in pochi punti, il Pd dovrebbe sottoporlo a tutti gli alleati per vedere chi ci sta. Compresa l'estrema sinistra, che nell'ultimo biennio, diversamente dal '98, ha sostenuto lealmente Prodi. Se si trovasse un'intesa, sarebbe più serio presentarsi subito con i futuri alleati, anziché chiamarli al tavolo dopo il voto: visto che Veltroni esclude larghe intese, se il Pd vincesse non avrebbe comunque il 51 per cento e dovrebbe allargarsi all'Arcobaleno. Un briciolo di memoria insegna che 'correre da soli' è tutt'altro che una novità. Achille Occhetto nel '94 corse da solo con la "gioiosa macchina da guerra", anziché allearsi col centro antiberlusconiano di Segni e Martinazzoli: insieme avrebbero vinto, divisi regalarono il paese al Cavaliere (che comunque, privo di maggioranza al Senato, dovette reclutare due senatori centristi, Giulio Tremonti e Luigi Grillo, e sperare nei senatori a vita). Nel '96 Prodi corse con l'Ulivo e la desistenza di Rifondazione e battè Berlusconi.

Nel 2001 il centrosinistra tornò a dividersi, rifiutando l'accordo con Bertinotti (al Senato) e con Di Pietro (in entrambe le Camere), e perse. Unito, almeno al Senato, avrebbe pareggiato. Nel 2006, con l'Unione unita, Prodi ottenne una maggioranza risicatissima, ma sconfisse di nuovo il Caimano, salvo cadere per i tradimenti al centro. Posto che anche stavolta Berlusconi non lascerà per strada nemmeno una pagliuzza, è troppo chiedere al Pd di sottoporre il programma all'Arcobaleno per verificare possibili intese, anche tecniche, affinché nemmeno un voto vada disperso? È troppo chiedere le primarie per le candidature, così da smontare il meccanismo infernale delle 'liste bloccate' dal Porcellum? Interpellando gli elettori, anziché gestire tutto nelle segrete stanze, forse l'intesa con una parte della sinistra radicale è meno impossibile. A proposito di memoria: vien da domandarsi con quale faccia Marco Pannella e Marco Follini strillino contro l'accordo con Di Pietro.

A parte il fatto che il peso elettorale dei due Marco è irrilevante, mentre Di Pietro è accreditato dai sondaggi di un 4-5 per cento, l'ex pm è sempre rimasto fedele al centrosinistra. Pannella invece era alleato di Berlusconi nel '94 e, in tandem con Sgarbi, nel '96 (quando firmò addirittura un contratto col Cavaliere, che si impegnava a versargli una decina di miliardi per l'intera legislatura; e, visto che non pagava, Pannella lo denunciò e minacciò di pignorare palazzo Grazioli). Follini è rimasto con Berlusconi per 13 anni fino al 2006 e ha votato tutte le leggi vergogna, come segretario Udc e vicepremier. Ora incredibilmente è responsabile del Pd per l'informazione. C'era da attendersi una sua vibrante dichiarazione sulla sentenza della Corte europea che ha bocciato la normativa italiana sulle tv dal '97 a oggi (leggi Maccanico e Gasparri) perché priva Europa7 delle frequenze, occupate da Rete4 che però non ha più la concessione dal '99. Ma Follini, forse perché lui la Gasparri l'ha votata, non ha detto una parola. Non pervenuto. Che uno così faccia addirittura il buttafuori e il buttadentro del Pd, appare francamente eccessivo.

(15 febbraio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco Travaglio Un americano a Roma
Inserito da: Admin - Febbraio 23, 2008, 02:32:39 pm
Marco Travaglio

Un americano a Roma


Walter Veltroni è mal consigliato in maniera di informazione: promette il 'divieto di pubblicare le intercettazioni', quando il Codice di procedura penale prevede una scoperta progressiva degli atti di indagine  Walter VeltroniPrima a 'Porta a Porta', poi alla Costituente del Pd, Walter Veltroni ha promesso il "divieto assoluto di pubblicare tutta la documentazione relativa alle intercettazioni e alle indagini, le richieste e le ordinanze cautelari fino al termine dell'udienza preliminare". Questo

"per tutelare i diritti fondamentali dei cittadini e le stesse indagini, che risultano spesso compromesse dalla divulgazione indebita di atti processuali". È singolare che il giornalista Uòlter, già direttore de 'l'Unità', sia così male informato o mal consigliato in materia di informazione. Sarebbe opportuno se il suo pullman verde facesse tappa presso la Federazione della stampa e l'Unione cronisti, per discutere le sue bizzarre proposte con qualcuno del mestiere. Il Codice di procedura penale del 1989 prevede una 'discovery' progressiva degli atti d'indagine. Così è più garantito il diritto di difesa, ma anche il controllo dell'opinione pubblica sull'attività giudiziaria. Quando un atto (avviso di garanzia, ordinanza cautelare o

di perquisizione, verbale d'interrogatorio, richiesta di rinvio a giudizio con le fonti di prova, intercettazioni comprese) viene notificato alle parti, non è più segreto e può essere raccontato. Anzi, deve. Per due motivi. 1. Si deve sapere in tempo utile (non dopo anni, quando termina l'udienza preliminare) cosa fanno gl'inquirenti, per verificarne eventuali errori, deviazioni, insabbiamenti. Gli atti dell'indagine sui presunti pedofili di Rignano Flaminio, una volta noti, hanno consentito alla stampa di criticare l'impianto accusatorio, a vantaggio delle persone forse ingiustamente accusate. 2. Si deve sapere in tempo utile se un personaggio pubblico

è sospettato di condotte incompatibili con la sua carica, per poterlo allontanare subito, non quando inizierà il processo. Senza la pubblicazione delle intercettazioni del governatore Fazio con i furbetti, di Moggi, Carraro & C., di dirigenti Rai come Bergamini e Saccà, tutti questi personaggi sarebbero ancora al loro posto a inquinare il mercato finanziario, il calcio, la tv pubblica; e i vari Fiorani, Ricucci, Gnutti e Consorte avrebbero probabilmente espugnato Antonveneta, Bnl e 'Corriere della Sera'. In nessuno di questi casi, infatti, le udienze preliminari si sono concluse con rinvii a giudizio. E ancora: segretando le ordinanze di custodia, la gente verrebbe arrestata e non si saprebbe il perché. Non è vero poi, come dice Veltroni, che "le indagini sono compromesse dall'indebita divulgazione di atti processuali".


La divulgazione non è affatto indebita (salvo che si pubblichino carte segrete, il che però è già vietato e non occorre ribadirlo con una nuova legge). E il pm deposita gli atti alle parti quando lo ritiene opportuno: se teme per le indagini, provvede a 'secretarli'. Quando il 'Washington Post' e il 'New York Times' presero a pubblicare i dossier top secret che incastravano l'amministrazione Johnson per il complotto del Tonchino, la Casa Bianca li fece bloccare dalla magistratura di New York in nome della sicurezza nazionale. Ma i giornali ricorsero

alla Corte suprema, che emise una sentenza memorabile:

"I padri costituenti hanno riconosciuto la libertà di stampa nel primo emendamento per tutelare non i governanti, ma

i governati". Strano che Uòlter, il nostro americano a Roma, se la sia scordata.

(22 febbraio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Disgrazia & Ingiustizia
Inserito da: Admin - Marzo 08, 2008, 04:58:48 pm

Marco Travaglio.

Disgrazia & Ingiustizia

I programmi dei partiti per risolvere gli annosi problemi della giustizia italiana colpiscono solo per la vaghezza. Così i processi sono sempre più lunghi e i fondi sempre di meno  Clementina Forleo"Separare le carriere di giudici e pm". "Pene più severe". "Intercettazioni solo per i reati gravi". "Certezza della pena". E via banaleggiando. Ora che sono stati ufficializzati, si può notare tutta la desolante pochezza dei programmi dei partiti di destra e di sinistra su una materia cruciale come la giustizia.
 
Le solite giaculatorie, le solite ricette parolaie che, negli ultimi dieci anni, hanno prodotto soltanto l'allungamento dei processi, l'aumento esponenziale delle prescrizioni, l'incertezza delle pene, anzi la certezza dell'impunità. Nessuno, salvo rare eccezioni, va alla radice dei veri problemi: pochi fondi, poco personale, troppi processi, troppe fasi di giudizio (indagini, udienza preliminare, primo grado, appello, Cassazione). Escono per decorrenza dei termini di custodia un condannato in primo grado per pedofilia e il figlio di Riina condannato in appello? "Pene più severe", è il grido unanime del Palazzo (per non parlare di strampalerie tipo castrazione dei pedofili, lanciata da Calderoli e rilanciata con qualche distinguo da Uòlter). Ma che c'entrano i massimi di pena edittale con le scarcerazioni per decorrenza? Per evitarle, non serve alzare le pene, ma irrogarle per tempo. O si allunga la custodia cautelare (già lunga) o accorcia il processo.

Ma come? Nulla di concreto è in programma. Grazie alle intercettazioni disposte dalla Procura di Milano e dal gip Clementina Forleo, lo Stato ha già incamerato oltre 300 milioni dai vari furbetti: quanto basta per finanziare le intercettazioni in tutt'Italia per un anno intero. Fosse già in vigore la proposta del Pdl ("Intercettazioni solo per mafia e terrorismo", non più per reati finanziari e tangenti), non si sarebbe scoperto né sequestrato un euro. E, siccome al peggio non c'è limite, Berlusconi & his friends insistono con la "separazione delle carriere"
, che ora trova d'accordo Gianfranco Fini e Alfredo Mantovano: gli stessi che nel 1998 la fecero togliere dal testo della Bicamerale. Dicono che "è prevista negli altri paesi", ma è una balla: quasi tutti i paesi d'Europa consentono i passaggi dalla requirente alla giudicante, e viceversa. E il Consiglio d'Europa, il 30 giugno 2000, ha raccomandato agli Stati membri di "adottare misure per consentire alla stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di pm e poi di giudice, e viceversa", per "la similarità e la natura complementare delle due funzioni".

L'Italia, una volta tanto presa a modello, vuol diventare la pecora nera? Tutti son d'accordo: il problema numero uno è la lunghezza dei processi. Ma allora perché nessuno indica una sola misura concreta per abbreviarli? Nei famosi 'altri paesi' la prescrizione dei reati smette di galoppare dopo il rinvio a giudizio: perché non imitarli in quel che fanno, anziché in quello che crediamo che facciano ma non fanno? Solo Di Pietro ha proposto di bloccare la prescrizione dopo l'udienza preliminare, eliminando ogni interesse dell'imputato a tirare in lungo. Ma la cosa è poi scomparsa nel programma del Pd.

C'è poi lo scandalo del Csm, sempre più politicizzato anche nella parte togata (eletta dai magistrati): infatti si accanisce contro chi fa il suo dovere senza coperture politiche, vedi De Magistris e Forleo. Il procuratore torinese Bruno Tinti, un po' per celia un po' per non morir, ha proposto di sorteggiare i togati fra i 10 mila magistrati in servizio. Potrebbe funzionare. Ma l'unica che ha fatto propria l'idea è Daniela Santanchè. Siamo in buone mani.

(07 marzo 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Ciarrapico: camicia nera, fedina pure. Ma nel Pdl fa tendenza
Inserito da: Admin - Marzo 12, 2008, 10:45:54 pm
Ciarrapico: camicia nera, fedina pure. Ma nel Pdl fa tendenza

Marco Travaglio


Che sia fascista, lo dice pure lui. E sarebbe pure una cosa grave, se non fosse per la fedina penale, che è molto più nera della camicia nera. Giuseppe Ciarrapico in arte Ciarra, stando al casellario giudiziario, vanta una collezione di condanne, arresti, rinvii a giudizio, prescrizioni e processi in corso da non temere rivali. Le condanne definitive, confermate dalla Cassazione, sono quattro, per reati che vanno dalla bancarotta fraudolenta alla ricettazione fallimentare, dallo sfruttamento del lavoro minorile alla truffa pluriaggravata, ma potrebbero presto aumentare.

In primo grado, il camerata pregiudicato è stato di recente condannato per truffa e violazione della legge sulle trasfusioni. Il Cavaliere è stato di parola. Aveva promesso di non candidare «supposti autori di reati»: infatti candida quelli sicuri.

La carriera penale del futuro senatore del Pdl - ricostruita dalla Voce delle Voci (già Voce della Campania) - inizia nel 1973, quando la Corte di Appello di Roma conferma la sentenza del Tribunale di Cassino e lo condanna per truffa aggravata e continuata a Inps, Inail e Inam per non aver registrato sui libri paga gli stipendi dei dipendenti. La Cassazione conferma la truffa, ne dichiara prescritta una parte e incarica la Corte d’appello di rideterminare la pena per l’altra. Nel 1974 altra condanna: il pretore di Cassino lo multa di 623.500 lire per aver violato per quattro volte la legge che tutela «il lavoro dei fanciulli e degli adolescenti», sentenza confermata in Cassazione. Poca roba, rispetto a Tangentopoli e anche dopo. Nel marzo ’93 viene arrestato dal gip Augusta Iannini per lo scandalo Italsanità dal quale verrà poi assolto (condannato però il figlio). Aprile ’93: Di Pietro lo fa di nuovo arrestare per una stecca di 250 milioni al segretario del Psdi Cariglia su richiesta di Andreotti. «Era vero, li diedi per arruolare Modugno alle feste del Psdi», dirà lui anni dopo. Passa un mese e torna dentro, stavolta per un presunto miliardo alla Dc andreottiana nello scandalo delle Poste. A giugno, condanna in primo grado a 6 mesi per diffamazione: aveva affisso a Fiuggi un manifesto in cui dava a un consigliere comunale del «mentitore diffamatore mestatore». Nel 1997 la Procura di Roma lo rinvia a giudizio per peculato, abuso e falso nella sua attività di re delle acque minerali: secondo il pm Maria Cordova, mentre era custode giudiziario dell’Ente Fiuggi, omise di versare 20 miliardi al Comune e si appropriò di denaro per spese pubblicitarie, interessi passivi e acquisto di beni capitalizzati, rinnovando il contratto di vendita dell’acqua Fiuggi a una sua società che offriva prezzi inferiori (e danneggiando il Comune, che percepiva un tot a bottiglia). Nel 1995 è condannato con rito abbreviato per falso in bilancio delle Terme Bognanco. Ma questi processi finiscono in nulla. Nel 1998, la prima mazzata: condanna in Cassazione a 4 anni e 6 mesi per bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano. La sua Fideico, nel 1982, aveva ottenuto dalla Banca di Calvi e della P2 un improvviso aumento di credito da 4 a 39 miliardi, restituendo solo le briciole. Nel 1999, il kappaò: altra condanna definitiva a 3 anni per il crac da 70 miliardi della società che controllava la Casina Valadier, il palazzetto liberty romano trasformato in ristorante. Ma il Ciarra, pur dovendo scontare 7 anni e mezzo, non finisce in carcere: per l’età e gli acciacchi ottiene l’affidamento ai servizi sociali. Intanto i processi avanzano, con qualche botta di fortuna. Nel ’99, condannato in appello per emissione di assegni, è assolto in Cassazione perché il reato è stato appena depenalizzato. Nel 2000 cade in prescrizione la condanna in primo grado per violazione della legge sulle assunzioni obbligatorie di invalidi. Nel 2001, condanna in primo grado a Perugia per abuso d’ufficio con il giudice fallimentare di Frosinone che nel ’93 regalò l’amministrazione controllata alla sua capogruppo Italfin 80, evitandogli il crac: reato poi estinto per prescrizione.Intanto s’è dato alle cliniche private. E anche in quel ramo riesce a dare lavoro alla Giustizia. Nel 2002 il Tribunale di Roma lo condanna a 1 anno e 8 mesi per truffa e violazione della legge sulle trasfusioni: insieme ad alcuni dirigenti della Quisisana, avrebbe imposto a una cinquantina di pazienti sottoposti a trasfusioni parcelle gonfiate per 3-400 mila lire l’una. Nel 2005 è rinviato a giudizio per ricettazione nella vecchia vicenda delle tangenti al ministero delle Poste. Ma ci sono pure questioni recentissime, come quella che lo investe per la sua attività di editore di giornali locali, 11 «cooperative» tra la Ciociaria e il Molise, finanziate dallo Stato. Del novembre 2007 il Ciarra è indagato a Roma per truffa ai danni di Palazzo Chigi: pare che tra il 2002 e il 2005 abbia incassato il doppio dei contributi, attestando falsamente che le società Editoriale Ciociaria Oggi e Nuova Editoriale Oggi avevano gestione separata. In attesa, il Gip ha sequestrato i 2,5 milioni della Presidenza del Consiglio. Ma ieri Berlusconi ha detto di averlo candidato per avere finalmente qualche giornale amico: tra qualche mese, se tutto va bene, Fedina Nera a Palazzo Chigi potrà entrare quando gli pare.

Pubblicato il: 12.03.08
Modificato il: 12.03.08 alle ore 8.25   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Papà mi manda sola
Inserito da: Admin - Marzo 15, 2008, 12:27:17 pm
Marco Travaglio

Papà mi manda sola


Dal seggio maggioritario al seggio ereditario. Nelle liste elettorali, sia a destra che a sinistra, spiccano i nomi di parecchi figli di.  Come nasce una candidatura? A Berlusconi è inutile chiederlo. Ha portato in Parlamento e al governo metà azienda, i suoi avvocati, coimputati, compagni di scuola, medici personali, portavoce, assistenti, segretari & segretarie, la prima moglie di suo fratello, la figlia del compare d'anello, la consorte
del telemaggiordomo. Ora imbarca pure la fisioterapista e, a sentir lui, qualche fidanzata, "ma non tutte quelle che mi attribuiscono, perché alla mia età.". I valori della famiglia: anzi, delle famiglie.

E nel Pd, come nasce una candidatura nel Pd? Lo sforzo di Uòlter per svecchiare le liste è encomiabile, anche se certe candidature-spot ricordano più le sfilate di moda (o i nani & ballerine di craxiana memoria) che la Politica. Poi però parla Daniela Cardinale, figlia d'arte, 26 anni, studentessa in Scienza della comunicazione.  E bisogna ascoltarla in religioso silenzio, perché c'è tutto un mondo intorno. Com'è che l'erede di Totò Cardinale, vecchio volpone della Dc siciliana e manniniana,  poi dell'Udeur, poi della Margherita, è atterrata al sesto posto in Sicilia Occidentale,  con garanzia assoluta di elezione? Nella lista abbozzata dal segretario regionale  Pd Francantonio Genovese, con la consulenza di Mirello Crisafulli e di papà Cardinale (escluso per sovrabbondanza di legislature), il nome di Daniela era affiancato dalla dicitura 'donna', poi sbianchettata da una mano pietosa. "Giuro che non mi hanno messa al posto di mio padre", assicura lei al 'Corriere della Sera'. E allora perché proprio lei? "Il ministro Fioroni mi ha onorata della proposta. Ma ha deciso Marini".

Il presidente del Senato? "È venuto da noi in campagna due anni fa e ha avuto modo di apprezzarmi". Wow. Sulla natura dell'apprezzamento, però, è buio pesto. Papà Totò assicura che la ragazza "ha il morbo della politica". Ma a lei non risulta: "Esperienze politiche? No, ma ricordo quando hanno eletto mio padre: avevo cinque anni, una festa bellissima, sventolavano le bandiere Dc". E poi, perbacco, "vado a cavallo". E ancora, last but not least, non ricorda di aver letto libri di recente, "perché studio". Non legge: studia. Dunque alla Camera "mi farò valere". Auguri sinceri. Ma, con tutto il bene che si può volere a questa giovine, forse in altri tempi qualcuno - letta l'intervista - l'avrebbe chiamata, le avrebbe spiegato che c'era stato un errore ed era meglio risentirsi alle prossime elezioni. Invece nessuno l'ha fatto: segno che va bene così. Papà Totò si porta appresso da un quarto di secolo un bel pacchetto di voti e ora lo passa alla figlia. Tutto in famiglia: dal seggio maggioritario al seggio ereditario. Intanto non s'è trovato un posto per Nando Dalla Chiesa. Anche lui è un figlio di. Ma ha troppi handicap. Di libri ne legge molti, e ne scrive anche parecchi. Ha una grande passione politica, dalla parte della legalità. Non fa pic-nic con Marini. E, quel che è peggio, ha sbagliato padre.

(14 marzo 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Piersilvio Airways
Inserito da: Admin - Marzo 21, 2008, 07:39:37 pm
Piersilvio Airways

Marco Travaglio


Quand’erano un filo più giovani, i due figli di primo letto Marina e Piersilvio servivano al Cainano per giurare il falso sulle loro povere teste. Ora che son cresciuti, vengono adibiti agli usi più disparati. C’è da sistemare una precaria? Che problema c’è, se la sposa Piersilvio (il poveretto non viene nemmeno consultato sui suoi gusti sessuali). C’è da salvare l’Alitalia? Ghe pensi mi, «ci sono i miei figli pronti a rilevarla, insieme a Toto e Banca Intesa». Purtroppo Toto ha già perso la sua chance.

Mentre Banca Intesa, non avendo legami di parentela con la famiglia Berlusconi (ma solo cospicui crediti con Forza Italia e con Toto), ha subito smentito. I due incolpevoli pargoli, invece, non osano nemmeno fiatare.

Del resto papà lo conoscono bene: lui le spara così, a raffica, come gli vengono. Infatti, col venir meno della banca, nonno Silvio fa presente che «la cordata è sempre pronta», ma c’è una piccola postilla: bisogna trovare qualcuno che metta i soldi, che sarà mai. Di qui l’idea geniale: il governo Prodi potrebbe lanciare un «prestito ponte», prelevandolo dalle tasche dei contribuenti, per finanziare l’operazione. In Europa si ride di gusto, visto che le regole comunitarie vietano gli aiuti di Stato. Ancora qualche ora e il Cainano dirà di essere stato frainteso dai soliti comunisti.

Peccato, però, che sia finita così. Intanto perché una compagnia aerea denominata «Piersilvio Airways» («Air Marina» avrebbe ingenerato equivoci col trasporto nautico) non avrebbe guastato affatto, in alta quota. Poi perché il conflitto d’interessi berlusconiano languiva da qualche anno sulle solite cosucce tipo tv, giornali, radio, portali internet, banche, assicurazioni, calcio, cinema, processi penali, insomma poca roba. Inglobare anche una compagnia di bandiera nel gruppo del futuro premier avrebbe conferito al conflitto d’interessi un frizzante tocco di novità, al punto che persino Uòlter, forse, avrebbe dovuto occuparsene. Ma l’operazione Piersilvio Airwaiys avrebbe giovato soprattutto per un terzo motivo: avrebbe inaugurato una nuova via tutto italiana al «fare impresa». Un tizio, uno a caso, mettiamo Berlusconi, diventa presidente del Consiglio nel 2001 e si incarica di mandare definitivamente a picco un’azienda pubblica già cagionevole di salute. Per essere sicuro che non ne resterà più traccia, la affida nelle mani sicure della Lega e di An, che ci giochicchiano per l’intera legislatura con i loro leggendari supermanager. Si comincia con l’ex deputato leghista Giuseppe Bonomi, promosso presidente di Alitalia e rimasto celebre per aver sponsorizzato i mondiali di equitazione indoor salto a ostacoli, ad Assago (Milano), dove lui stesso si esibì in sella al suo cavallo baio. Poi Bonomi viene spedito alla Sea (Linate e Malpensa) e ad Alitalia arriva un fedelissimo di Fini: Marco Zanichelli. Ma subito Tremonti litiga con Fini: «Giù le mani da Alitalia, non c’è più una lira». Zanichelli, preso fra le risse di potere del Cdl, se ne va dopo appena 70 giorni, rimpiazzato dall’ottimo Giancarlo Cimoli, che aveva già fatto così bene alle Ferrovie. Il tempo di scortare la compagnia verso il burrone, poi anche lui leva il disturbo, con una modica liquidazione di 5 milioni di euro.

A quel punto, affondata la flotta, il Cainano se ne va in ferie per un paio d’anni. E al suo posto arriva gente seria, come Prodi e Padoa Schioppa che tentarono di riparare ai guasti suoi. Quando ce la stanno per fare, trovando Airfrance interessata a rilevare un bidone che brucia 1 milione e ha perso 15 miliardi in 15 anni, riecco l’Attila di Arcore che, travestito da Buon Samaritano, tenta di sabotare la trattativa con l’aiuto consapevole di Bobo Formigoni, Bobo Maroni e Morticia Moratti e l’aiuto inconsapevole dei soliti sindacati miopi. Dice che compra tutto lui, anzi «i miei figli», più il celebre Toto, naturalmente coi soldi degli altri: o delle banche, o dello Stato. Perché lui, com’è noto, è un imprenditore che si è fatto da sé, e anche un vero liberale.

Una compagnia della buona morte talmente inguardabile che perfino Bonomi, da Malpensa, prende le distanze e, sotto sotto, si tocca. Basti pensare che ­ come rivelava ieri sulla Stampa Minzolini ­ sul caso Alitalia il consigliere più ascoltato di Berlusconi è il deputato forzista Giampiero Cantoni, già presidente craxiano della Bnl, più volte inquisito e arrestato, dunque titolare delle giuste credenziali per occuparsi della faccenda: per esempio, un patteggiamento di 11 mesi di reclusione per corruzione (con risarcimento di 800 milioni di lire) e un altro di 13 mesi per concorso in bancarotta fraudolenta del gruppo Mandelli. Un esperto. È la via berlusconiana al risanamento. Chi si chiama al capezzale di un’azienda dalla bancarotta? Un bancarottiere. Per dargli un’altra chance.

Pubblicato il: 21.03.08
Modificato il: 21.03.08 alle ore 8.21   
© l'Unità.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Se Spitzer fosse italiano
Inserito da: Admin - Marzo 21, 2008, 07:41:37 pm
Marco Travaglio

Se Spitzer fosse italiano

Dopo lo scandalo il governatore americano di New York si è dimesso. Se un caso analogo fosse successo in Italia, il politico coinvolto sarebbe rimasto al suo posto  Eliot SpitzerIl governatore democratico di New York, Eliot Spitzer, già procuratore anticorruzione, eletto nel 2006 col 70 per cento dei voti, si è dimesso perché il suo nome è finito in un'indagine dell'Fbi su un giro di squillo d'alto bordo, rivelata in anteprima dal 'New York Times'. Spitzer non è imputato né accusato di alcun reato, ma l'Fbi sta verificando se non possa essere incriminato per 'structuring', cioè per aver tentato di schermare l'origine dei fondi usati per saldare i conti del club; e per violazione della legge Mann del 1910, che proibisce "il trasporto di donne da uno Stato all'altro per scopi immorali" (il governatore incontrò in un albergo di Washington una prostituta proveniente da New York). Insomma, bazzecole. Tutto nasce dalle denunce di alcune banche all'Internal Revenue Service (l'Agenzia delle entrate) a proposito di pagamenti sospetti riconducibili a Spitzer. Paventando una storia di tangenti, l'Irs si rivolge all'Fbi, che investe il ministero della Giustizia e ottiene il permesso di intercettare telefoni e caselle e-mail dei protagonisti della sexy-agenzia. Le intercettazioni, con tutti i particolari dell'incontro fra il 'cliente n. 9' e la bella Kristen, finiscono in un affidavit di 47 pagine degli agenti dell'Fbi ai procuratori di New York Sud. E di lì sul 'New York Times' - che rivela di aver avuto la notizia da "tutori della legge che hanno parlato a patto di restare anonimi" e sui siti web (http://tinyurl.com/ 2ul3uy). Anziché prendersela con chi ha diffuso la notizia, il governatore ammette che è tutto vero e parla di "questione privata". Ma il 'Nyt' gli dà dell'"arrogante" perché ha "tradito la famiglia e i concittadini". Lui chiede scusa a tutti. E toglie il disturbo.

Immaginiamo un caso analogo in Italia. Il politico in questione strilla in Parlamento contro la "giustizia politicizzata" e la "fuga di notizie a orologeria". Promette: "Resterò al mio posto perché non ho commesso reati, non sono indagato e comunque ho avuto il 70 per cento dei voti". Solidarietà bipartisan da destra, centro e sinistra. Il capo dello Stato, i presidenti delle Camere, il vicepresidente del Csm e il Garante della privacy deplorano "la gogna mediatica", invocano il "segreto istruttorio", auspicano "la fine dello scontro politica-giustizia" e sollecitano "una legge sulle intercettazioni". Il ministro della Giustizia sguinzaglia gli ispettori in Procura, mentre gli investigatori vengono trasferiti in Sardegna. Bruno Vespa allestisce uno speciale 'Porta a Porta' dal titolo 'Come Tortora e Anna Falchi', ospite Andreotti. I quotidiani pubblicano editoriali di fuoco, tutti con lo stesso titolo: 'Chi paga?'. Galli della Loggia, Panebianco e Ferrara osservano che "queste cose in America non potrebbero mai accadere". Berlusconi e Veltroni, con una dichiarazione congiunta, riaprono la Bicamerale per "una moratoria sulle intercettazioni, al di là degli steccati ideologici, come nelle grandi democrazie liberali". Il cardinal Ruini, in onore del politico intercettato, organizza un'edizione straordinaria del Family Day.

(21 marzo 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Vi incrimino anzi no
Inserito da: Admin - Marzo 31, 2008, 07:09:24 pm
Marco Travaglio

Vi incrimino anzi no

Il leader del Pd Walter Veltroni ha proposto di attenuare l'obbligo dell'azione penale. Una scelta che porta il marchio di Gelli, Craxi, Berlusconi e della bicamerale, tradendo però la Costituzione  Veltroni l'ha scritto sul 'Riformista', per non farlo sapere troppo in giro. Ma l'ha scritto: l'"obbligatorietà dell'azione penale" va attenuata con "criteri di priorità" fissati da "Parlamento, Csm e Procuratori della Repubblica". Peccato, perché nella prima parte dell'articolo aveva fatto bene i compiti: i mali della giustizia sono i troppi "colpevoli impuniti, scarcerazioni incomprensibili, sentenze dopo moltissimi anni", dunque occorrono più mezzi, più organizzazione e meno cavilli.

Poi però Uòlter è scivolato su una ricetta che, oltre a portare il marchio di Gelli, di Craxi, di Berlusconi e della Bicamerale, tradisce la Costituzione proprio nel 60 compleanno e butta a mare uno dei rari fiori all'occhiello del nostro sistema. Perché la legge sia uguale per tutti, i pm e i giudici devono essere "indipendenti da ogni altro potere". E, per esserlo davvero, devono coltivare tutte le notizie di reato. Senza poter scegliere quelle che preferiscono. Si dirà: i reati sono troppi e si è già costretti a scegliere. Bene, anzi male: il rimedio è depenalizzare i reati ritenuti superflui. Ma dire "questo è reato, ma non sarà punito" è assurdo e devastante.

Obiezione: il procuratore torinese Marcello Maddalena ha raccomandato ai suoi pm di accantonare i processi destinati a pena indultata e dare la precedenza a quelli nuovi. Vero, ma è una misura eccezionale per fronteggiare l'emergenza indulto, che costringe i giudici a processare anche imputati per reati commessi fino al 2006 e dunque destinati, in caso di condanna, a subire una pena puramente virtuale. Pessima poi l'idea di far decidere al Parlamento, cioè ai partiti, quali reati perseguire e quali no. Perché metterebbe fine all'indipendenza della magistratura. E perché gli ultimi 15 anni di 'riforme' la dicono lunga su quali siano, per i nostri partiti, i 'reati gravi': quelli degli altri.

Nel 1997 destra e sinistra depenalizzarono l'abuso d'ufficio non patrimoniale, legalizzando lottizzazioni, favoritismi, concorsi truccati. Nel '99 destra e sinistra tentarono di depenalizzare il finanziamento illecito dei partiti, e dovettero rinunciare solo grazie al no di Di Pietro e di alcuni grandi giornali. Nel 2000 destra e sinistra depenalizzarono l'uso di fatture false con relative frodi fiscali. Nel 2002 Berlusconi cancellò di fatto il falso in bilancio e dimezzò la prescrizione per i reati di Tangentopoli: due controriforme che, nonostante le promesse, l'Unione non cancellò. La Lega bloccò il reato di tortura (e Uòlter, che ora chiede "piena luce" su Bolzaneto, dovrebbe ricordarlo). Dal 2006 il governo Prodi boicotta il processo sul sequestro di Abu Omar. E da anni destra e sinistra tentano di dimezzare le pene per la bancarotta.

Se il Parlamento mette becco pure nell'azione penale, sappiamo già come va a finire: i reati 'meno gravi' sono quelli delle classi dirigenti, cioè proprio i più dannosi per la collettività. Quelli che, nei paesi seri, sono puniti con la galera. E in Italia, invece, con la presidenza del Consiglio. Ma chissà che gli è preso, a Uòlter: per dire certe castronerie, non bastava Berlusconi?

(28 marzo 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Malpensa pitonata
Inserito da: Admin - Marzo 31, 2008, 07:18:05 pm
Malpensa pitonata


Il patrimonio della famiglia Berlusconi è tale che potrebbe risanare il deficit nazionale. Ecco le principali ipotesi risolutive  Marina Berlusconi con il padreL'annuncio di una cordata guidata dai figli di Berlusconi per sottrarre le spoglie di Alitalia ai francesi è stata accolta con grande interesse dagli analisti finanziari. Secondo alcuni la liquidità della famiglia, finora destinata soprattutto all'acquisizione di centinaia di ville identiche, con patio e pozzo rustico, in tutte le località turistiche del pianeta, basterebbe da sola a ripianare l'intero deficit nazionale e risollevare le sorti di tutti i comparti industriali. Sono allo studio diversi interventi risolutivi. Vediamo i principali.

Malpensa La famiglia Berlusconi rileverà Malpensa soprattutto per riqualificarla dal punto di vista estetico e urbanistico. Ogni pista sarà dotata di patio e ogni aereo di un prestigioso pozzo rustico, proprio dietro la cabina del pilota. Le sale d'attesa, delimitate da anonime vetrate secondo la sciatta usanza mondiale, saranno finalmente perlinate per conferire all'aerostazione il giusto orgoglio 'local', molto apprezzato dalla Lega che ha già fatto perlinare l'intera provincia di Varese. Ogni passeggero, con una modica spesa aggiuntiva, potrà ricoprire la sua valigia con uno speciale cellophan pitonato, ideato da Marina Berlusconi in persona, e prendere posto nelle salette vip, che saranno identiche alle altre ma si distingueranno per la scritta 'saletta vip', la presenza di soli passeggeri con bagaglio pitonato e una hostess che si premura di chiudere personalmente la bocca dei passeggeri che si addormentano con la bocca aperta.

Autogrill Le tristi cataste di caciotte e peluche, grazie alla gestione Berlusconi, verranno soppiantate da allestimenti di tutt'altro livello: le caciotte saranno confezionate in prestigiosi reggiseni, i peluche non rappresenteranno più i soliti orsetti e delfini, ma donnine nude, alcune a grandezza naturale, in grado di dire 'ti amo' con una semplice pressione sulle natiche. L'idea di moquettare l'intero tracciato dell'Autosole è invece stata abbandonata dopo avere valutato i costi del battitappeto. Si è ripiegato sulla moquettatura delle sole aree di parcheggio. I caselli saranno sostituiti da pozzi rustici, nei quali gettare il denaro contante, oppure da Telepass di nuova concezione, che riconoscono l'automobilista, lo salutano con nome e cognome e gli gridano di tornare subito indietro perché deve ancora ascoltare alcuni consigli pubblicitari, pena il raddoppio della tariffa.


Caffè Greco Perché lasciare il più prestigioso caffè di Roma nel suo decrepito aspetto di locale storico? Piersilvio Berlusconi in persona intende rilevarlo e trasformarlo in sushi bar. I vecchi camerieri potranno rimanare al loro posto ma verranno tatuati e dovranno servire i clienti a torso nudo, con un gilet argentato, danzando al suono della musica techno. Gli anziani clienti (senatori, intellettuali, professori con la gotta, turisti americani per bene) saranno costretti dai buttafuori a intingere il sushi nel cappuccino. In alternativa, a farsi un piercing. Un medico interno provvederà a soccorrere il presidente Napolitano quando, appena entrato nel locale, cadrà per terra inseguendo il suo caffè che fugge sul nastro rotante.

Fiat I modelli della gamma attuale rimangono legati a un concetto di popolarità che mortifica le ambizioni nei nuovi proprietari. Nemmeno la Panda con le basette lanciata da Lapo Elkann per ricordare il nonno viene ritenuta sufficientemente pacchiana dallo staff di Berlusconi, che intende rivoluzionare la produzione, valorizzando l'esperienza immobiliare del gruppo. Via la Punto e la Croma, arriveranno l'ammiraglia 'Superattico', con pozzo rustico nel bagagliaio, la media 'Prestigioso quadrilocale', con citofono, e l'utilitaria 'Soluzione interessante', parcheggiata sempre a soli venti minuti dal proprietario. Attesa anche la city-car per signore 'Luana', con il paraurti anteriore rifatto. Tutti i modelli avranno la possibilità di montare ruote col rialzo e come optional un avvocato seduto al fianco del guidatore.

(28 marzo 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il precedente Napolitano
Inserito da: Admin - Aprile 05, 2008, 10:45:07 am
Marco Travaglio

Il precedente Napolitano


Nel loro tour elettorale in Calabria, Veltroni e Berlusconi non hanno detto nulla sui sui furti di denaro pubblico scoperchiati dal pm Luigi De Magistris  Luigi De MagistrisNel loro tour elettorale in Calabria, Veltroni e Berlusconi hanno detto lodevoli cose contro le mafie. Ma nemmeno una parola sui furti di denaro pubblico scoperchiati dal pm Luigi De Magistris, recentemente punito dal Csm unanime con la censura e il trasferimento di sede e di funzione. Solo Di Pietro ha solidarizzato con lui, offrendogli pure una candidatura che il pm ha declinato. Da quando la sua sentenza è stata depositata, politica e magistratura l'hanno accolta con uno strano silenzio. Eppure il giudice Felice Lima la smonta punto per punto su 'Micromega' e un bel libro fresco di stampa, 'Il caso De Magistris' di Antonio Massari (ed. Aliberti), dimostra che è basata addirittura su un falso.

Uno degli addebiti che sono costati la condanna al pm è l'iscrizione segretata di due indagati eccellenti: il Sen. Avv. Giancarlo Pittelli (Fi) e il generale Walter Cretella. Anziché annotare i due nomi sul registro, De Magistris custodì l'atto d'iscrizione in cassaforte, riservandosi di riportarlo sul libro della Procura in un secondo momento. Motivo: Pittelli, indagato e difensore di Cretella, è intimo amico del procuratore Mariano Lombardi. Il figlio della convivente del procuratore è addirittura socio di Pittelli. E De Magistris ha denunciato il suo capo alla Procura di Salerno, accusandolo di aver informato Pittelli delle indagini su altri clienti del Sen. Avv. Il Pg della Cassazione Vito D'Ambrosio, chiedendo al Csm la condanna di De Magistris, ha affernato: "Io non ho mai visto un atto secretato con la chiusura in armadio blindato dell'ufficio. Non solo, nego che ci possa essere". Ma, come risulta dallo scoop di Massari, quell'iscrizione blindata ha un precedente illustre che riguarda proprio il presidente del Csm che ha condannato De Magistris: il capo dello Stato Giorgio Napolitano. Nel 1994 i pm napoletani Rosario Cantelmo e Nicola Quatrano raccolgono una testimonianza su un presunto finanziamento illecito di 200 milioni di lire alla corrente migliorista del Pci guidata da Napolitano.

È solo una voce, ma i pm hanno l'obbligo di verificarla e di iscrivere Napolitano sul registro degli indagati. Cosa che fanno, ma in via riservata per evitare fughe di notizie destabilizzanti. Come? Con un atto sigillato e blindato in cassaforte, collegato a una sigla in codice annotata sul registro degli indagati. E bene fanno: la notizia si rivelerà non provata. Il Csm non si sognerà mai di punire i due pm, che han garantito i diritti dell'indagato e la riservatezza delle indagini. Proprio come ha fatto De Magistris, che però non temeva talpe esterne, ma interne. Lui però l'hanno punito. Intanto, vedi ultima puntata di 'Report', i furti di denaro pubblico in Calabria continuano. Ma tutti i politici indagati da De Magistris sono stati ricandidati, dal Pd e dal Pdl: torneranno felicemente in Parlamento.

(04 aprile 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Berluscomiche (di Marco Travaglio)
Inserito da: Admin - Aprile 12, 2008, 04:12:15 pm
Marco Travaglio

Berluscomiche


Una carrellata della promesse del Cavaliere durante questa campagna elettorale  Silvio BerlusconiFortuna che la campagna elettorale è durata così poco, perché dallo scioglimento delle Camere (6 febbraio) il cavalier Berlusconi è riuscito a farsi fraintendere una sessantina di volte in 60 giorni. La cordata per Alitalia, con o senza figli. Le precarie promesse in spose a Piersilvio. La lotta e/o elogio all'evasione fiscale. Veltroni maschera di Stalin. Le grandi intese con la maschera di Stalin. I brogli. Le schede. La guerra al Quirinale. Il voto agli immigrati (pesce d'aprile). La sinistra cogliona, anzi no. Mastella in lista, anzi no. Le donne in cucina a fare le torte. Ruini alleato per il voto disgiunto. E il Viagra, e le veline, e noi maschi latini.

E il nuovo Contratto con gli italiani: non pervenuto. E la sfida in tv a Veltroni ("Io straccio chiunque"): mai vista. E i giornali della Fiat che "non stanno né di qua né di là", dunque non sono liberi, diversamente da quelli suoi e del Ciarra. Strepitoso quando ha promesso in tv (almeno due volte) "il traforo del Frejus", purtroppo già fatto dal 1871. Favoloso quando s'è attribuito una statura di "un metro e 71". Grandioso quando ha rievocato, dinanzi alla mummia di Riotta, gli sforzi sovrumani compiuti per trattenere Enzo Biagi, purtroppo fuggito dalla Rai con la liquidazione. Fantastico quando ha negato l'editto bulgaro e le corna al vertice di Caceres. Mitico quando ha annunciato che, se lo intercettano un'altra volta, espatria. Meraviglioso quando ha eccepito sulla cultura di Antonio Di Pietro ("La laurea gliel'han regalata i servizi"), per poi sfoggiare la propria citando "San Pietro sulla via di Damasco" (lui la laurea l'ha presa per corrispondenza?). Purtroppo Air France, non abituata al personaggio, l'ha preso sul serio e s'è ritirata da Alitalia.

Uòlter invece lo conosce e ha ignorato i suoi deliri, evitando di restare impantanato nella solita girandola di detti e contraddetti. Ma il suo lungo silenzio sull'avversario ha fatto sottovalutare a molti indecisi i pericoli di un Berlusconi III, con relativi conflitti d'interessi (aumentati con i nuovi processi per corruzione, con l'ingresso in Mediobanca e con l'acquisto di Endemol che fornisce programmi alla Rai) e una corte dei miracoli ancor più scombiccherata dell'ultima: in lista col Pdl, oltre a una ventina di pregiudicati, ci sono persino
Maurizio Saia, che diede della 'lesbica' a Rosy Bindi; e il trio Barbato-Gramazio-Strano, che festeggiarono a sputi, champagne e mortadella la caduta di Prodi in Senato e il Cavaliere aveva giurato di non ripresentare. Mancano le parole? Basta copiare quelle di Indro Montanelli, anno 2001: "Il berlusconismo è la feccia che risale il pozzo, la destra del manganello". O l'appello firmato sette anni fa da Bobbio, Galante Garrone e Sylos Labini: "A coloro che, delusi dal centrosinistra, pensano di non andare a votare diciamo: chi si astiene vota Berlusconi. Una vittoria del Polo minerebbe le basi stesse della democrazia". Purtroppo i grandi vecchi sono morti, e anche noi ci sentiamo poco bene.

(11 aprile 2008)


da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - E Lazzaro risorge
Inserito da: Admin - Aprile 26, 2008, 09:58:40 am
Marco Travaglio.

E Lazzaro risorge


Veltroni ce l'ha messa tutta per recuperare l'enorme dislivello che separava il Pd dal Pdl. Forse la vittoria era impossibile, ma non s'è mai vista una campagna elettorale senz'attacchi all'avversario  Silvio BerlusconiWalter Veltroni ce l'ha messa tutta per recuperare l'enorme dislivello che separava il Pd dal Pdl a causa del discredito accumulato dall'Armata Brancaleone dell'Unione. Forse la vittoria era una mission impossible, anche se, come osserva Giovanni Sartori, non s'è mai vista una campagna elettorale senz'attacchi all'avversario (e a quell'avversario, poi.) e con 'nuove' candidature così infelici.

Ma siamo sicuri che la sconfitta fosse così ineluttabile e Berlusconi così invincibile, visto che fra l'altro il Pdl ha perso 100 mila voti rispetto a quelli raccolti da Forza Italia e An nel 2006 e solo la Lega è cresciuta? Flash back a cinque mesi fa. Novembre scorso: il Cavaliere ha appena fallito l'ennesima 'spallata' a Prodi sulla finanziaria. Gli alleati lo scaricano e danno per scontato che il governo reggerà fino alle europee del 2009. Dini rinfodera i propositi di ribaltone. Mastella dice che Prodi durerà cinque anni. Il Cavaliere convoca vertici a Palazzo Grazioli a cui partecipa da solo. Fini, Casini e Bossi celebrano i funerali della Casa delle libertà. Bossi cerca il dialogo con Prodi sul federalismo. Casini parla addirittura di conflitto d'interessi. Fini di riforma della tv.
 
Isolato, disperato, politicamente morente, Silvio fonda il nuovo partito sul predellino della Mercedes. Casini se ne sta alla larga. Bossi si fa una risata. Il più duro è Fini: "Altro che teatrino della politica: siamo alle comiche finali. Nessuna possibilità che An si sciolga nel nuovo partito. Silvio con me ha chiuso. Se vuol fare il premier deve fare i conti con me, che ho pure 20 anni di meno: mica crederà di essere eterno! Lui a Palazzo Chigi non ci tornerà. Per farlo ha bisogno del mio voto, ma non lo avrà mai più. Si faccia appoggiare da Veltroni." (18 novembre). Giornali e tv berlusconiani lo attaccano alzo zero. "Berlusconi", sbotta Fini, "ha distrutto la Cdl. E noi dovremmo bussare alla sua porta col cappello in mano e la cenere sulla testa? Non siamo postulanti. Tornare all'ovile? Sono il presidente di An, non una pecora" (16 dicembre).


A quel punto solo la sinistra può salvare il Cavaliere. E infatti lo salva. È lì apposta. Replay della Bicamerale di D'Alema. Uòlter usa i 3 milioni di voti delle primarie non per rafforzare il governo Prodi e gli oppositori interni a Berlusconi, ma per aprire un 'tavolo delle riforme'. Con chi? Con Silvio. Che lo elogia estasiato: "È un vero riformista, spero non si faccia condizionare dai suoi".

E Walter: "L'intesa con Berlusconi è indispensabile". Mastella, minacciato dalla riforma elettorale e dal referendum che taglieranno i partitini, rovescia il governo con la scusa dell'arresto della moglie. Berlusconi s'infischia delle riforme e punta dritto al voto. La pecora Fini torna all'ovile, con Bossi e l'Mpa. Così il 13 aprile Lazzaro risorge per la seconda volta. E si riprende l'Italia, mentre la sinistra si suicida. Viene in mente Nanni Moretti: "Con questi dirigenti non vinceremo mai". O Corrado Guzzanti-Rutelli-Alberto Sordi: "A Berlusco', ricordate de l'amici, ricordate de chi t'ha voluto bbene!".

(24 aprile 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Travaglio Non sparate sul Professore
Inserito da: Admin - Maggio 07, 2008, 01:09:37 am
Marco Travaglio


Non sparate sul Professore

Anziché seguitare a dar la colpa a Prodi, che s'è ritirato da tutto, qualcuno dovrebbe chieder conto a D'Alema, Fassino e Latorre delle conseguenze delle loro azioni, soprattutto telefoniche  In un paese normale, la batosta elettorale del fu centrosinistra innescherebbe un'analisi impietosa delle ragioni della sconfitta. Seguìta dall'uscita di scena dei principali responsabili.

Invece nel Pd, mentre rialzano la testa i dalemiani, si preferisce autoconsolarsi col brodino della 'quota 34 per cento': poco più della somma di Ds e Dl, con estinzione incorporata della sinistra.

Troppo comodo scaricare tutto sull''eredità di Prodi', che oltretutto con Padoa-Schioppa gode di ottima fama in Europa. Nessuno osa scandagliare le radici del crollo dell'ex Unione, che perlopiù prescinde dal governo Prodi e in parte lo precede. Nell'estate 2005 l'Unione godeva di un ampio vantaggio sulla Cdl, che dal 2001 aveva perso tutte le elezioni ed era avviata a una sonora disfatta. Poi esplose lo scandalo delle scalate, che immortalò una masnada di raiders - i furbetti del quartierino - all'assalto di banche e giornali sponsorizzata dalla banda Berlusconi e dal vertice Ds.

Lo choc per il popolo del centrosinistra fu enorme. Prodi non c'entrava: anzi, quando Stefano Ricucci tentò di agganciarlo al telefono, il Professore mise giù la cornetta. Lo stesso non può dirsi di D'Alema, Fassino e Latorre (tutti amorevolmente al fianco di Giovanni Consorte nella scalata Bnl, e Latorre anche di Ricucci alle prese con Rcs). Cominciò di lì la rimonta berlusconiana che portò al pareggio del 2006, complice la pubblicazione sul 'Giornale', in piena campagna elettorale, della sciagurata telefonata Fassino-Consorte ("Siamo padroni di una banca?").

Appena insediato, Prodi fu costretto dai partiti alleati a imbarcare 102 ministri e sottosegretari per sistemare il pletorico Politburo unionista. Subito dopo, un patto scellerato con Berlusconi portò alla nomina bipartisan di Mastella alla Giustizia e al più vasto e impopolare indulto della storia repubblicana (iniziativa del Parlamento, non del governo): 30 mila delinquenti scarcerati per nascondere i veri destinatari dell'indulgenza plenaria, e cioè Previti e i furbetti. I consensi per l'Unione crollarono all'istante, mentre Berlusconi nascondeva il suo zampino coi magheggi mediatici.

Nell'estate 2007 le sconcertanti telefonate di D'Alema, Fassino e Latorre con i furbetti contenute nell'ordinanza Forleo, e gli attacchi ai giudici che ne seguirono, fecero il resto, mettendo in fuga altre migliaia di elettori. Fiutata l'aria, i dalemiani s'inabissarono, consegnando il Pd all'odiato Veltroni.

Per carità di patria, in campagna elettorale nessuno ha posto il problema dei voti persi per strada a causa della scalata rossa e dell'indulto, due eventi strettamente connessi. Ora il successo di Bossi e Di Pietro, i nemici più riconoscibili del 'liberi tutti', una riflessione dovrebbe imporla. Anziché seguitare a dar la colpa a Prodi, che s'è ritirato da tutto, qualcuno dovrebbe chieder conto a D'Alema, Fassino e Latorre delle conseguenze delle loro azioni, soprattutto telefoniche. Se non ora, quando?

(05 maggio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Ora d'aria
Inserito da: Admin - Maggio 07, 2008, 11:56:43 pm
2 maggio 2008, di Marco Travaglio
Marco Travaglio


Ora d'aria

l'Unità, 1 maggio 2008

Chiedendo scusa per il disturbo, senza voler guastare questo bel clima di riverenze bipartisan al neopresidente del Senato Renato Schifani, vorremmo allineare qualche nota biografica del noto statista palermitano che ora troneggia là dove sedettero De Nicola, Paratore, Merzagora, Fanfani, Malagodi e Spadolini. Il quale non è omonimo di colui che insultò Rita Borsellino e Maria Falcone ("fanno uso politico del loro cognome", sic) perché erano insorte quando Berlusconi definì i magistrati "disturbati mentali, antropologicamente estranei al resto della razza umana": è proprio lui. Non è omonimo dell'autore del lodo incostituzionale che nel 2003 regalò l'impunità alle 5 alte cariche dello Stato, soprattutto a una, cioè a Berlusconi, e aggredì verbalmente Scalfaro in Senato perché osava dissentire: è sempre lui.

L'altroieri la sua elezione è stata salutata da un'ovazione bipartisan, da destra a sinistra. Molto apprezzati il suo elogio a Falcone e Borsellino e la sua dichiarazione di guerra alla mafia. Certo, se uno evitasse di mettersi in affari con gente di mafia, la lotta alla mafia riuscirebbe meglio. Già, perché - come raccontano Abbate e Gomez ne "I complici" (ed. Fazi) - trent'anni prima sul più alto scranno del Parlamento, Schifani sedeva nella Sicula Brokers, una società di brokeraggio fondata col fior fiore di Cosa Nostra e dintorni. Cinque i soci: oltre a Schifani, l'avvocato Nino Mandalà (futuro boss di Villabate, fedelissimo di Provenzano); Benny D'Agostino (costruttore amico del boss Michele Greco, re degli appalti mafiosi, poi condannato per concorso esterno); Giuseppe Lombardo (amministratore delle società dei cugini Nino e Ignazio Salvo, esattori mafiosi e andreottiani di Salemi arrestati da Falcone e Borsellino nel 1984). Completa il quadro Enrico La Loggia, futuro ministro forzista. Nei primi anni 80, Schifani e La Loggia sono ospiti d'onore al matrimonio del boss Mandalà. All'epoca, sono tutti e tre nella Dc. Poi, nel 1994, Mandalà fonda uno dei primi club azzurri a Palermo, seguito a ruota da Schifani e La Loggia. Il boss, a Villabate, fa il bello e il cattivo tempo. Il sindaco Giuseppe Navetta è suo parente: infatti, su richiesta di La Loggia, Schifani diventa "consulente urbanistico" del Comune perché - dirà La Loggia ai pm antimafia - aveva "perso molto tempo" col partito e aveva "avuto dei mancati guadagni".

Il pentito Francesco Campanella, braccio destro di Mandalà e Provenzano, all'epoca presidente del consiglio comunale di Villabate in quota Udeur, aggiunge: "Le 4 varianti al piano regolatore... furono tutte concordate con Schifani". Che "interloquiva anche con Mandalà. Poi si fece il piano regolatore generale... grandi appetiti dalla famiglia mafiosa di Villabate. Mandalà organizzò tutto in prima persona. Mi disse che aveva fatto una riunione con Schifani e La Loggia e aveva trovato un accordo: i due segnalavano il progettista del Prg, incassando anche una parcella di un certo rilievo. L'accordo che Mandalà aveva definito coi suoi amici Schifani e La Loggia era di manipolare il Prg, affinché tutte le sue istanze - variare i terreni dove c'erano gli affari in corso e penalizzare quelli della famiglia mafiosa avversaria - fossero prese in considerazione dal progettista e da Schifani... Il che avvenne: cominciò la stesura del Prg e io partecipai a tutte le riunioni con Schifani" e "a quelle della famiglia mafiosa, in cui Schifani non c'era".

Domanda del pm: "Schifani era al corrente degli interessi di Mandalà nell'urbanistica di Villabate?". Campanella: "Assolutamente sì. Mandalà mi disse che aveva fatto questa riunione con La Loggia e Schifani". Il tutto avveniva "dopo l'arresto di Mandalà Nicola", cioè del figlio di Nino, per mafia. Mandalà padre si allontana da FI per un po', poi rientra alla grande, membro del direttivo provinciale. E incontra Schifani e La Loggia. Lo dice Campanella, contro cui i due forzisti hanno annunciato querela; ma la cosa risulta anche da intercettazioni. Nulla di penalmente rivelante, secondo la Dda di Palermo. Nel '98 però anche Mandalà padre finisce dentro: verrà condannato in primo grado a 8 anni per mafia e a 4 per intestazione fittizia di beni. E nel '99 il Prg salta perché il Comune viene sciolto per infiltrazioni mafiose nella giunta che ha nominato consulente Schifani. Miccichè insorge: "E' una vergognosa pulizia etnica". Ma ormai Schifani è in Senato dal 1996. Prima capogruppo forzista, ora addirittura presidente. Applausi. Viva il dialogo. Viva l'antimafia.am


Titolo: Travaglio, interviene l'Authority "La Rai vuole allontanarmi"
Inserito da: Admin - Maggio 13, 2008, 04:19:08 pm
POLITICA

Dopo le polemiche, il garante si occupa mercoledì delle frasi del giornalista su Schifani

Coro di accuse da Pdl e opposizione. Nel mirino il direttore di viale Mazzini, Cappon

Travaglio, interviene l'Authority "La Rai vuole allontanarmi"

Il presidente del Senato annuncia di aver dato mandato ai suoi avvocati per agire giudizialmente nei confronti "delle affermazioni calunniose"

 
Marco Travaglio
ROMA - L'Autorità garante nelle comunicazioni si occuperà mercoledì della puntata di sabato scorso di Che tempo che fa in onda su Raitre e delle dichiarazion di Marco Travaglio relativamente al presidente del Senato, Renato Schifani. L'argomento è stato infatti subito inserito nell'ordine del giorno dei lavori dell'Authority presieduta da Corrado Calabrò. Prevedibile come primo atto la richiesta alla Rai di documentazione sulla vicenda, così come era avvenuto una settimana fa in relazione alla puntata del primo maggio di 'Annozero' imperniata sul V-Day di Beppe Grillo.

E intanto Schifani ha dato mandato ai suoi avvocati per agire giudizialmente nei confronti "delle affermazioni calunniose rese nei giorni scorsi nei riguardi della sua persona": lo comunica una nota dell'ufficio stampa del Senato. "Sarà quella la sede in cui, da una puntuale ricostruzione dei fatti, la magistratura potrà stabilire le responsabilità di coloro che hanno dato luogo ad un'azione altamente diffamatoria - conclude la nota - nei riguardi del Presidente del Senato".

Resta calda dunque la polemica aperta due giorni fa dal giornalista con le dichiarazioni sulle presunte ex frequentazioni mafiose del presidente del Senato. Parole che hanno innescato critiche durissime sia da parte della maggioranza che dell'opposizione, fatta eccezione per l'Idv. Davanti al coro d'indignazione, Travaglio ha scelto comunque di tenere il punto. "Pentito? Ma per piacere, non scherziamo. Figuriamoci se sono pentito per quello che ho detto. Anzi, sono stato anche troppo buono". E aggiunge: "Nessuno dice che quanto ho affermato sia falso". Quanto alla decisione del Garante, prevede: "L'Authority sanzionerà 'Che tempo che fa' di Fazio con un provvedimento diretto alla Rai che mi ha consentito di dire cose vere. Poi la Rai mi denuncerà e così io non potrò più partecipare a 'Anno Zero'. E così si saranno tolti il problema".

Tra i più duri nei confronti del giornalista, il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli: "Per quanto mi riguarda ascoltare Travaglio o guardare la Famiglia Addams è la stessa cosa, almeno finché non sono costretto a pagare io con il canone. Se uno l'assume, però, sa a cosa va incontro e deve farsi carico dei debiti e dei crediti. Bisogna prendersela con chi l'ha assunto".

Nel mirino c'è insomma il direttore generale Claudio Cappon, ma l'opposizione, pur condividendo le critiche a Travaglio, cerca di frenare le mire della maggioranza. "Il servizio pubblico - dice Marina Sereni del Pd - è pagato dai cittadini ed è bene che sia un luogo di rispetto per tutti, ma non vorrei che si approfittasse di questo episodio, soprattutto dopo le scuse del conduttore, per fare un repulisti o per cercare una resa dei conti nel servizio pubblico".

Antonio Di Pietro resta l'unico a difendere Travaglio: "Gli attacchi che sta subendo solo per aver raccontato la cronaca di fatti veri ed accaduti e che riguardano nientemeno la seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato Schifani, dimostrano che, come al solito, quando si tratta di difendere la Casta, i vari esponenti di partito di destra e di sinistra fanno quadrato e diventano un tutt'uno".

(12 maggio 2008)



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POLITICA

INTERVISTA. Marco Travaglio al Salone di Torino. Per lui qualche fischio

"Il cronista dell'Ansa lodato da Napolitano ha detto le stesse cose"

"Attacchi, ma non dicono se mento E questo Pd non fa opposizione"

di MASSIMO NOVELLI

 
TORINO - Quando esce dalla sala dei 500 del Lingotto, alla Fiera del Libro, dove ha ripetuto le sue affermazioni su Renato Schifani, parte qualche fischio dalla folla che aspetta di partecipare a un incontro con Magdi Cristiano Allam. Protesta perché Marco Travaglio non ha rispettato i tempi fissati per il suo dibattito. È vero, Travaglio?
"Non me ne sono nemmeno accorto. D'altra parte il nostro incontro è cominciato con un po' di ritardo, così abbiamo recuperato qualche minuto. Tutto qui".

Si aspettava le dure reazioni del mondo politico contro il suo intervento sul presidente del Senato, durante il programma televisivo "Che tempo che fa"?
"Mi limito a notare una cosa: nessuno dice che quanto ho affermato sia falso. Non soltanto è vero, ma è notorio che il presidente Schifani abbia intrattenuto fino agli anni Novanta dei rapporti con Nino Mandalà, il futuro boss di Villabate - comune sciolto due volte per collusioni mafiose - poi condannato in primo grado a otto anni per mafia. Negli Anni Ottanta Schifani, insieme a Enrico La Loggia, altro esponente forzista, era socio di Mandalà nella società di brokeraggio assicurativo Siculabrokers. Sono vicende che molti politici siciliani conoscono bene".

Si sostiene che lei abbia lanciato le sue accuse senza che Schifani fosse presente per replicare. Mancava il contraddittorio, insomma. Che cosa risponde?
"Ho risposto a una domanda di Fabio Fazio su chi stabilisce la gerarchia delle notizie nei giornali. Ho risposto: i politici. In ogni caso ciò che ho detto su Schifani è stato scritto sia da me sia da Peter Gomez nel libro Se li conosci li eviti e, soprattutto, circa un anno fa, in maniera più particolareggiata, lo ha scritto Lirio Abbate, il cronista dell'Ansa celebrato per il suo coraggio e per il suo impegno antimafia dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, e che ora vive sotto scorta. Non risulta, però, che qualcuno lo abbia querelato. Quindi delle due l'una: o Abbate è un bugiardo, e perciò si abbia il coraggio di dirlo, oppure ha ragione. Insomma, ci sono dei fatti che si possono citare nei libri ma non in televisione. Allora dico che in tv non si può dire la verità. La televisione è in mano ai politici, alla casta".

Salvo poche eccezioni, a cominciare da Antonio Di Pietro, dall'opposizione di centrosinistra non sono arrivati attestati di solidarietà nei suoi confronti? Come lo spiega?
"Non mi meraviglia. Mi sarei preoccupato del contrario, dato che oggi l'opposizione in Italia non si oppone. Se esistesse l'opposizione, mi avrebbe dato solidarietà".

(12 maggio 2008)
da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Su Schifani ho raccontato solo fatti
Inserito da: Admin - Maggio 14, 2008, 06:45:38 pm
POLITICA LA LETTERA

Su Schifani ho raccontato solo fatti

di MARCO TRAVAGLIO


Caro direttore, ringrazio D'Avanzo per la lezione di giornalismo che mi ha impartito su Repubblica di ieri. Si impara sempre qualcosa, nella vita.

Ma, per quanto mi riguarda, temo di essere ormai irrecuperabile, avendo lavorato per cattivi maestri come Montanelli, Biagi, Rinaldi, Furio Colombo e altri. I quali, evidentemente, non mi ritenevano un pubblico mentitore, un truccatore di carte che "bluffa", "avvelena il metabolismo sociale" e "indebolisce le istituzioni", un manipolatore di lettori "inconsapevoli", quale invece mi ritiene D'Avanzo. Sabato sera sono stato invitato a "Che tempo che fa" per presentare il mio ultimo libro, "Se li conosci li eviti", scritto con Peter Gomez, che in 45 giorni non ha avuto alcun preannuncio di querela.

E mi sono limitato a rammentare un fatto vero a proposito di uno dei tanti politici citati nel libro: e cioè che, raccontando vita e opere di Renato Schifani al momento della sua elezione a presidente del Senato, nessun quotidiano (tranne l'Unità e, paradossalmente, Il Giornale di Berlusconi) ha ricordato i suoi rapporti con persone poi condannate per mafia, come Nino Mandalà e Benny D'Agostino (ho detto testualmente: "Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi. rapporti con signori che sono poi stati condannati per mafia"; la frase "anche la seconda carica dello Stato è oggi un mafioso", falsamente attribuitami da D'Avanzo, non l'ho mai detta né pensata).

Quei rapporti, contrariamente a quanto scrive D'Avanzo, sono tutt'altro che "lontani nel tempo", visto che ancora a metà degli anni 90 Schifani fu ingaggiato, come consulente per l'urbanistica e il piano regolatore, dal Comune di Villabate retto da uomini legati al boss Mandalà e di lì a poco sciolto due volte per mafia. Rapporti di nessuna rilevanza penale, ma di grande rilievo politico-morale, visto che la mafia non dimentica, ha la memoria lunghissima e spesso usa le sue amicizie, anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele frettolosamente di dosso. In qualunque altro paese, casomai capitasse che il titolare di certi rapporti ascenda alla seconda carica dello Stato, tutti i giornali e le tv gli rammenterebbero quei rapporti: per questo, negli altri paesi, il titolare di certi rapporti difficilmente ascende ai vertici dello Stato.

Che cosa c'entri tutto questo con le "agenzie del risentimento" e il "qualunquismo antipolitico" di cui parla D'Avanzo, mi sfugge.

Secondo lui i giornali, all'elezione di Schifani a presidente del Senato, non hanno più parlato di quei rapporti perché nel frattempo non s'era scoperto nulla di nuovo. Strano: non c'era nulla di nuovo neppure sul riporto di Schifani, eppure tutti i giornali l'hanno doviziosamente rammentato. I lettori giudicheranno se sia più importante ricordare il riporto, oppure il rapporto con D'Agostino e Mandalà (che poi, un po' contraddittoriamente, lo stesso D'Avanzo definisce "sconsiderato"). Ora che - pare - Schifani ha deciso di querelarmi, un giudice deciderà se quel che ho detto è vero o non è vero.

Almeno in tribunale, si bada ai fatti e le chiacchiere stanno a zero: o hai detto il vero o hai detto il falso. Io sono certo di avere detto il vero, e tra l'altro solo una minima parte. Oltretutto c'è già un precedente specifico: quando, per primo, Marco Lillo rivelò queste cose sull'Espresso nel 2002, Schifani lo denunciò. Ma la denuncia venne archiviata nel 2007 perché - scrive il giudice - "l'articolo si presenta sostanzialmente veritiero".

Approfitto di questo spazio per ringraziare i tanti colleghi e lettori (anche di Repubblica) che in questi giorni difficili mi hanno testimoniato solidarietà. Tenterò, pur con tutti i miei limiti, di continuare a non deluderli.

(14 maggio 2008)

da repubblica.it


Titolo: TRAVAGLIO - "Il cronista dell'Ansa lodato da Napolitano ha detto le stesse cose"
Inserito da: Admin - Maggio 15, 2008, 12:55:41 pm
INTERVISTA.

Marco Travaglio al Salone di Torino.

Per lui qualche fischio "Il cronista dell'Ansa lodato da Napolitano ha detto le stesse cose"

di MASSIMO NOVELLI

TORINO - Quando esce dalla sala dei 500 del Lingotto, alla Fiera del
Libro, dove ha ripetuto le sue affermazioni su Renato Schifani, parte
qualche fischio dalla folla che aspetta di partecipare a un incontro
con Magdi Cristiano Allam. Protesta perché Marco Travaglio non ha
rispettato i tempi fissati per il suo dibattito. È vero, Travaglio?
"Non me ne sono nemmeno accorto. D'altra parte il nostro incontro è
cominciato con un po' di ritardo, così abbiamo recuperato qualche
minuto. Tutto qui".
Si aspettava le dure reazioni del mondo politico contro il suo
intervento sul presidente del Senato, durante il programma televisivo
"Che tempo che fa"?
"Mi limito a notare una cosa: nessuno dice che quanto ho affermato sia
falso. Non soltanto è vero, ma è notorio che il presidente Schifani
abbia intrattenuto fino agli anni Novanta dei rapporti con Nino
Mandalà, il futuro boss di Villabate - comune sciolto due volte per
collusioni mafiose - poi condannato in primo grado a otto anni per
mafia. Negli Anni Ottanta Schifani, insieme a Enrico La Loggia, altro
esponente forzista, era socio di Mandalà nella società di brokeraggio
assicurativo Siculabrokers. Sono vicende che molti politici siciliani
conoscono bene".
Si sostiene che lei abbia lanciato le sue accuse senza che Schifani
fosse presente per replicare. Mancava il contraddittorio, insomma. Che
cosa risponde?
"Ho risposto a una domanda di Fabio Fazio su chi stabilisce la
gerarchia delle notizie nei giornali. Ho risposto: i politici. In ogni
caso ciò che ho detto su Schifani è stato scritto sia da me sia da
Peter Gomez nel libro Se li conosci li eviti e, soprattutto, circa un
anno fa, in maniera più particolareggiata, lo ha scritto Lirio Abbate,
il cronista dell'Ansa celebrato per il suo coraggio e per il suo
impegno antimafia dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, e che ora
vive sotto scorta. Non risulta, però, che qualcuno lo abbia querelato.
Quindi delle due l'una: o Abbate è un bugiardo, e perciò si abbia il
coraggio di dirlo, oppure ha ragione. Insomma, ci sono dei fatti che
si possono citare nei libri ma non in televisione. Allora dico che in
tv non si può dire la verità. La televisione è in mano ai politici,
alla casta".
Salvo poche eccezioni, a cominciare da Antonio Di Pietro,
dall'opposizione di centrosinistra non sono arrivati attestati di
solidarietà nei suoi confronti? Come lo spiega?
"Non mi meraviglia. Mi sarei preoccupato del contrario, dato che oggi
l'opposizione in Italia non si oppone. Se esistesse l'opposizione, mi
avrebbe dato solidarietà".

da la Stampa (12 maggio 2008)


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Magistrati in balia delle correnti
Inserito da: Admin - Maggio 25, 2008, 04:38:14 pm
Magistrati in balia delle correnti

Marco Travaglio


Il Tar annulla un atto del Csm che il Consiglio aveva approvato quasi all'unanimità: "La decisione obbediva a criteri lottizzatori"  "Nel paese della bugia, la verità è una malattia", scriveva Gianni Rodari. Eppure, mentre il grosso della politica e della stampa pare ormai impermeabile ai fatti, c'è almeno una categoria che sembra ancora affezionata alla verità: la magistratura. L'Anm ha mandato a casa il presidente Simone Luerti, dopo che 'L'espresso' aveva smontato una sua bugia: che, cioè, i suoi rapporti con il capetto calabrese della Compagnia delle Opere, l'indagato Antonio Saladino, fossero roba "di dieci anni fa". Non era vero: i due si erano rivisti nel 2006, per giunta con l'allora ministro Mastella.

Al posto di Luerti è andato Luca Palamara, il pm romano che ha smascherato le bugie di Fabio Capello e Antonio Giraudo sul conto di Luciano Moggi. In tribunale dire la verità è (ancora) un obbligo e ben si comprende l'imbarazzo dei magistrati quando a dire le bugie è il loro presidente. Si spera che analogo imbarazzo susciti l'ennesima iniziativa disciplinare del Pg della Cassazione Mario Delli Priscoli contro Clementina Forleo, trascinata un'altra volta al Csm per una querelle con la Procura di Milano già archiviata dalla Corte d'appello perché "priva di elementi suscettibili di valutazione disciplinare".

I primi a dover dire la verità e rispettare la legge dovrebbero essere proprio i magistrati. Ora però si apprende, da una sentenza della sezione II del Tar Lazio (n. 12953/2007), che il Csm ha compiuto un atto illegittimo nominando 23 magistrati al Massimario della Cassazione. L'apposita delibera, votata pressoché all'unanimità visto che soddisfaceva gli appetiti di tutt'e quattro le correnti (i moderati di MI e Unicost, i progressisti dei Movimenti e di Md), è stata annullata dal tribunale amministrativo. Motivo: obbediva a criteri lottizzatorii e correntizi, per il "raggiungimento di finalità estranee" a quelle volute dalla legge, che imporrebbe "la scelta dei soggetti più idonei alle funzioni da conferire".


In pratica, gli amici di corrente sarebbero stati preferiti a colleghi molto più titolati, ma meno sponsorizzati e dunque frettolosamente scartati. Infatti - scrive il Tar - "nella delibera impugnata non vi è traccia alcuna delle valutazioni di natura comparativa che l'Organo di autogoverno afferma di avere operato. Un rilevante sintomo dei vizi dai quali è affetta la procedura in esame, avendo il Csm enunciato un criterio di selezione al quale non si è poi effettivamente attenuto". Con quale credibilità il Csm punisce magistrati per quisquilie e pinzellacchere, come nei casi De Magistris e Forleo, se poi si macchia esso stesso di atti illegittimi? Sulla proposta di cacciare la Forleo da Milano, i consiglieri di Md e dei Movimenti si sono astenuti, mentre han votato la lottizzazione al Massimario. Non era meglio votare a favore della Forleo e astenersi sulla lottizzazione?

(23 maggio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - I peggiori sono i primi
Inserito da: Admin - Maggio 25, 2008, 04:40:05 pm
I peggiori sono i primi

Marco Travaglio


Altro che meritocrazia. Nelle scelte del Pd vige la perditocrazia, perché nei posti che contano ci vanno i più leggendari perditori mai visti  "Vanno premiati il merito e la capacità delle persone". Così parlò Walter Veltroni l'11 aprile, a fine campagna elettorale, tentando di scrostare dal centrosinistra la vecchia muffa assistenziale e parastatale. C'era dunque da attendersi una ferrea coerenza meritocratica nelle scelte del Pd. Sia nei confronti del nuovo governo, il meno meritocratico mai visto nella storia repubblicana. Sia nella selezione interna delle classi dirigenti. Come ha scritto Giovanni Sartori sul 'Corriere', il Berlusconi IV brilla per l'incompetenza di gran parte dei suoi ministri.

Che c'entra la pur avvenente Prestigiacomo con l'Ambiente? E il ragionier condonista Matteoli con le Infrastrutture? E l'avvocata Gelmini con l'Istruzione? E l'autore della peggior legge elettorale del mondo, Calderoli, con la Semplificazione? E la valletta Carfagna, di cui si ignorano le opere ma non le foto, con un ministero purchessia? Con una simile compagnia è difficile dare torto alla Brambilla quando domanda perché gli altri possono andare dappertutto e lei alla Salute no: l'enciclopedica insipienza di molti ministri (per non parlare dei sottosegretari) non ha nulla da invidiare alla sua.

Ma il Pd ha perso l'occasione di affondare il colpo, limitandosi a vacui pigolii sul 'governo deludente' (quando mai un governo soddisfa l'opposizione?). E lasciando al solo Di Pietro il compito di dire la verità: e cioè che trattasi di un governo 'ad personam' in cui Berlusconi farà il bello e il cattivo tempo agli Esteri come alla Giustizia come alle Comunicazioni, dove ha sistemato tre uomini senza qualità: Frattini, Alfano e Romani. Nemmeno l'ombra di meritocrazia pure nella selezione delle classi dirigenti del Pd.

Lì, anzi, vige la perditocrazia. Nei posti che contano vanno i più leggendari perditori mai visti. Al Copaco è candidato
Rutelli, reduce dai trionfi romani. Alla Vigilanza è candidato Gentiloni, che non ha combinato nulla sulle tv. E la capogruppo al Senato è Anna Finocchiaro, che vanta una collezione di fiaschi degna di una cantina sociale. Nel suo collegio uninominale non è mai riuscita a farsi eleggere, salvandosi regolarmente grazie al paracadute proporzionale. Nel 2006, capolista alle regionali siciliane, trascina i Ds al minimo storico: 5,5 per cento. Dunque nel 2008 scalza Rita Borsellino alle regionali anticipate per la condanna di Cuffaro. Un'apoteosi: 30,4 per cento, ben 11 punti sotto la Borsellino (che aveva sfondato fino al 41,6). 'Annuzza' che fa? Molla la Sicilia, dove dovrebbe guidare l'opposizione, e fugge a Roma, dove il solito paracadute le garantisce un seggio sicuro. Giusto in tempo per raccogliere il meritato premio: la rielezione a capogruppo. Prima mossa, geniale: gli applausi con bacio al neopresidente Schifani, noto statista. Il merito va premiato, sempre.

(16 maggio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Si prega di non disturbare
Inserito da: Admin - Maggio 30, 2008, 11:25:11 am
l' Unità



Si prega di non disturbare



Marco Travaglio





L'altra sera il Tg1 aveva l'imbarazzo della scelta, per la notizia di
apertura: il governo Berlusconi battuto alla Camera sul decreto che contiene
pure la porcata salva-Rete4; il pestaggio di alcuni studenti di sinistra
alla Sapienza da parte di una squadraccia fascista; i 25 arresti a Napoli
per la monnezza. Non sapendo quale scegliere, l'anglosassone Johnny Raiotta
ha optato per la vera notizia del giorno, forse dell'anno: i pirati nel Mar
Rosso. Servizio di apertura e intervista a un esperto di alta strategia, per
spiegare al cittadino come evitare l'assalto dei corsari, che può capitare a
chiunque. Poi, con comodo, le notizie. Peccato avere sprecato un servizio
sui 50 anni dell'orso Yoghi la sera prima, altrimenti per nascondere i primi
disastri del Cainano III andava bene anche quello. È il «ritorno alla
realtà» annunciato qualche giorno fa da Alberoni.

Qualche ora più tardi, Vespa tornava per la centoventesima volta sul luogo
del delitto, cioè a Cogne, con un appassionante dibattito sulla grazia alla
Franzoni. Che è in galera da ben cinque giorni per aver assassinato il
figlio di tre anni, dunque va prontamente scarcerata (tesi sostenuta dalla
vicepalombelli Ritanna Armeni).

Intanto, a Matrix, Mentana occultava i primi guai del governo con un
puntatone sull'Inter: ospite il terzino Materazzi. Roba forte, questa sì è
informazione. Tant'è che i vertici Rai non si sono scusati, i direttori di
rete non han preso le distanze, l'Authority non ha minacciato multe. Va
tutto bene.

Poi per completare l'opera sono usciti i giornali. Che, sia detto a loro
onore, non hanno apprezzato lo scoop del Tg1 sui pirati del Mar Rosso. Ma
hanno comunque trovato il modo di coprirsi di vergogna. Il primo premio
spetta al fu Giornale. Prima pagina: «Proibito parlare alla Sapienza».
Sommario: «Dopo la gazzarra che impedì l'intervento del Papa, salta anche il
dibattito sulle foibe. Scontri tra studenti di sinistra e militanti di Forza
Nuova: quattro feriti, sei arrestati». Il fatto che quelli di sinistra
stessero incollando manifesti armati di pennello e quelli di destra siano
scesi da un'auto armati di spranghe e manganelli è del tutto secondario.
Come il fatto che, a suo tempo, nessuno abbia mai impedito al Papa di
parlare (fu il Vaticano a rinunciare all'invito per evitare contestazioni).
Ma che cosa contano i fatti? Nulla. Si scrive «scontri», «gazzarra», e così
quel poveretto ricoverato con una svastica stampata nella carne è servito.

Anche il Corriere fa pari e patta: «rissa», «opposti estremismi». Ma il
meglio lo dà Pierluigi Battista sugli arresti di Napoli nell'entourage di
Bertolaso e nelle solite Fibe e Fisia del gruppo Impregilo che, quando
vinsero l'appalto per non smaltire la monnezza, era della famiglia Romiti
(presidente e poi presidente onorario del Corriere). Ora dalle
intercettazioni si scopre che questa bella gente trafficava illegalmente in
pattume, nascondeva monnezza non trattata («mucchi di merdaccia») nelle
discariche e nei vagoni per la Germania, tentava di mascherarla sotto rari
strati di roba bonificata o di profumarla con «polverine magiche», mentre la
vice-Bertolaso chiedeva aiuto per «truccare la discarica» e Bertolaso si
dedicava a «sputtanare i tecnici del ministero dell' Ambiente» che
pretendevano il rispetto delle leggi. Ora Bertolaso, l'ex-commissario che
non risolse nulla, torna come sottosegretario-commissario-salvatore della
Patria. Come chiamare Calisto Tanzi a risanare la Parmalat.

Di fronte a questo quadro devastante, anziché complimentarsi con gli autori
delle indagini, Battista che fa? Se la prende con i magistrati. Non una
parola su Impregilo. Non una sillaba su Bertolaso & his friends. E giù botte
ai giudici che han dato «una frustata dall'impatto micidiale» (e allora? Non
era proprio il Corriere ad accusare la Procura di Napoli di occuparsi troppo
di Berlusconi e Saccà e poco della monnezza, tra l'altro dimenticando il
processo a Bassolino+30, compresi i soliti vertici Impregilo?). Giudici che
immaginano financo «una consorteria delittuosa ramificata e pervasiva nei
gangli vitali degli apparati che hanno gestito l'intera vicenda dell'immondizia
napoletana» (ma va? chi l'avrebbe mai detto). Giudici che hanno organizzato
«addirittura una retata con la coreografia degli arresti di massa» (e che
dovevano fare per arrestare 25 persone: andarle a prendere una alla
settimana per non dar troppo nell'occhio?). Arresti per giunta «eseguiti con
grande clamore» (forse che i poliziotti urlavano? le manette non eran bene
oliate?). E «proprio adesso vengono eseguiti arresti chiesti dai pm a fine
gennaio» (ma lo sa Battista quanto tempo occorre a un gip per leggere
migliaia di pagine, più le perizie allegate? non ricorda le polemiche sul
gip di S. Maria Capua Vetere per aver disposto «troppo presto» gli arresti
in casa Mastella?).

In realtà il «proprio adesso» ha un senso ben preciso: non disturbare il
Nuovo Manovratore. Finchè c'era Prodi, manette a manetta. Ma ora che c'è
Lui, caro lei. Il vicedirettore del Corriere denuncia (senza prove e senza
contraddittorio) «una tempistica perfetta. per delegittimare chi sta
conducendo una battaglia decisiva sui rifiuti di Napoli». Le toghe rosse han
pianificato «l'azzoppamento preventivo delle istituzioni a cui gli italiani
(ma quali? ma quando mai? ndr) stanno affidando il compito di risolvere la
situazione», e financo la «demolizione delle strutture chiamate a eliminare
le montagne di immondizia».

In realtà, secondo le indagini, quelle istituzioni e strutture le montagne
di immondizia le hanno create. Ma Battista, che non ha mai messo piede a
Napoli, ne sa più degl'inquirenti: ora che c'è il Cainano, «lo Stato sembra
aver imboccato la strada per la soluzione dell' emergenza». Ecco perché si
muove la magistratura: per sabotare il governo. Ed ecco di chi sarà la colpa
se il governo non risolverà l'emergenza: della magistratura.

La logica non fa una grinza. Non arresti i colpevoli della monnezza? Il
colpevole sei tu. Arresti i colpevoli della monnezza? Il colpevole sei tu.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Ipnotizzati da Rete 4
Inserito da: Admin - Giugno 06, 2008, 04:54:04 pm
Marco Travaglio

Ipnotizzati da Rete 4


La legge salva-Rete 4 è un banco di prova: del presunto 'cambiamento' di Berlusconi. Basta poco per capire che tutto è come prima  Emilio Fede, direttore del Tg4L'ennesima legge salva-Rete 4 è un duplice  banco di prova: del presunto 'cambiamento' di Berlusconi, secondo alcuni unto dal Signore nella nuova missione di statista chino sul bene comune; e dell'opposizione dialogante e costruttiva inaugurata dal Pd (Anna Finocchiaro la definisce "sobria e asciutta", per distinguerla da quella ubriaca e bagnata, o perlomeno umida).

Quanto alla trasfigurazione del Cavaliere, è fin troppo ovvio che trattasi di penoso travestimento: nella prima settimana di governo, il suo onorevole avvocato Niccolò Ghedini ha tentato di infilare nel pacchetto sicurezza un codicillo che, con la scusa del patteggiamento, rinvia a dopo l'estate l'imminente sentenza del processo per la corruzione di David Mills; e, nella seconda settimana, è spuntato l'emendamento che blinda lo status quo televisivo più volte condannato dalle istituzioni comunitarie. La norma proroga sine die la fase transitoria che dal 1999, in attesa della sempre rinviata Era Digitale (se ne parlerà forse nel 2012-2015), consente a Rete 4 di trasmettere in chiaro, senza concessione, su frequenze che spetterebbero a Europa 7 (in barba alla normativa europea, come ha stabilito il 31 gennaio la Corte di giustizia); e limita l'accesso al digitale terrestre ai soggetti già presenti sull'analogico, cioè al duopolio Rai-Mediaset (di qui la procedura d'infrazione Ue contro l'Italia, che tra un anno rischia una multa di 300 mila euro al giorno a partire dal giugno 2006).

Tre commenti targati Pd svelano le tre follie che hanno finora impedito al centrosinistra di opporsi al governo. Il primo è di Veltroni: "Non capisco questa fretta su Rete 4". Ma Uòlter ci è o ci fa? La fretta berlusconiana, diversamente dalle meline del Pd, è comprensibilissima. L'Europa intima da due anni al governo italiano di smantellare la Gasparri.

L'ennesima legge salva-Rete 4 è un duplice  banco di prova: del presunto 'cambiamento' di Berlusconi, secondo alcuni unto dal Signore nella nuova missione di statista chino sul bene comune; e dell'opposizione dialogante e costruttiva inaugurata dal Pd (Anna Finocchiaro la definisce "sobria e asciutta", per distinguerla da quella ubriaca e bagnata, o perlomeno umida).

Quanto alla trasfigurazione del Cavaliere, è fin troppo ovvio che trattasi di penoso travestimento: nella prima settimana di governo, il suo onorevole avvocato Niccolò Ghedini ha tentato di infilare nel pacchetto sicurezza un codicillo che, con la scusa del patteggiamento, rinvia a dopo l'estate l'imminente sentenza del processo per la corruzione di David Mills; e, nella seconda settimana, è spuntato l'emendamento che blinda lo status quo televisivo più volte condannato dalle istituzioni comunitarie. La norma proroga sine die la fase transitoria che dal 1999, in attesa della sempre rinviata Era Digitale (se ne parlerà forse nel 2012-2015), consente a Rete 4 di trasmettere in chiaro, senza concessione, su frequenze che spetterebbero a Europa 7 (in barba alla normativa europea, come ha stabilito il 31 gennaio la Corte di giustizia); e limita l'accesso al digitale terrestre ai soggetti già presenti sull'analogico, cioè al duopolio Rai-Mediaset (di qui la procedura d'infrazione Ue contro l'Italia, che tra un anno rischia una multa di 300 mila euro al giorno a partire dal giugno 2006).

Tre commenti targati Pd svelano le tre follie che hanno finora impedito al centrosinistra di opporsi al governo. Il primo è di Veltroni: "Non capisco questa fretta su Rete 4". Ma Uòlter ci è o ci fa? La fretta berlusconiana, diversamente dalle meline del Pd, è comprensibilissima. L'Europa intima da due anni al governo italiano di smantellare la Gasparri.
Il governo Prodi, con la sua maggioranza Brancaleone, finge di non sentire. Il governo Berlusconi risponde: ovviamente picche, presidiando la bottega del padrone. Come sempre da 15 anni. Il lupo perde il pelo (trapianti a parte), ma non il vizio. Che aspetta il Pd a ritrovare la memoria? Secondo commento, Enzo Carra: "Tutti hanno una parte di ragione, perché fu il centrosinistra nel 1998 ad autorizzare la trasmissione di Rete 4 senza concessione". Ecco: siccome abbiamo sbagliato finora, seguitiamo a sbagliare in futuro. Terzo commento, Giovanna Melandri: "La salva-Rete 4 è grave perché impedisce il dialogo". Traduzione: il dialogo col governo non è un mezzo (per varare eventualmente riforme utili al paese), ma è un fine, un valore in sé. Anziché spiegare agli italiani che presto dovranno metter mano al portafogli per pagare una 'tassa Berlusconi' di 300 milioni (la multa triennale europea contro la Gasparri), si comunica che è a rischio 'il dialogo', un'astruseria che non interessa a nessun cittadino sano di mente. Geniale. Poi dice che uno perde le elezioni.

(30 maggio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il Coniglio Superiore
Inserito da: Admin - Giugno 07, 2008, 11:03:16 am
Marco Travaglio


Il Coniglio Superiore

"Innocente. Capito? Innocente. Secondo la Procura di Salerno, che ha ricevuto per tre anni una raffica di denunce da parte dei suoi superiori e di suoi indagati, Luigi de Magistris non ha fatto nulla di illecito. Va archiviato perché s’è comportato sempre correttamente.
Mai fughe di notizie, mai passato carte segrete a giornalisti, mai perseguitato né calunniato nessuno, mai abusato del suo ufficio. Semmai erano i suoi superiori a commettere contro di lui i reati che addossavano a lui. «A causa delle sue inchieste - scrivono al gip i pm salernitani Nuzzi e Verasani - il dott. De Magistris ha subito costantemente pressioni, interferenze e iniziative volte a determinarne il definitivo allontanamento dalla sede di Catanzaro e l’esautorazione dei poteri inquirenti». Un complotto che coinvolge magistrati, politici, forze dell’ordine, ispettori ministeriali e forse membri del Csm, tutti allarmati dalla «intensità e incisività delle sue indagini». Complotto andato a segno, se si pensa che i magistrati e i politici indagati da De Magistris, compresi quelli che hanno intercettato cronisti e agenti di polizia giudiziaria per indagare indirettamente sul pm, son rimasti al loro posto o han fatto carriera, mentre De Magistris è stato scippato delle inchieste più scottanti (Poseidone e Why Not),poi trasferito dal Csm con espresso divieto di fare mai più il pm. Uno dei suoi indagati, l’ex magistrato ed ex governatore Fi Chiaravalloti, l’aveva previsto in una telefonata in cui proponeva di affidare lo scomodo pm alle cure della camorra: «De Magistris passerà gli anni suoi a difendersi». Ovviamente Chiaravalloti è rimasto al suo posto di numero due dell’Authority della Privacy. De Magistris invece, se la Cassazione non annullerà la condanna del Csm, dovrà sloggiare da Catanzaro e smettere di fare l’inquirente. In un paese normale, ammesso e non concesso che queste vergogne possano accadere, ci sarebbe la fila sotto casa del magistrato per chiedergli scusa. Ma, nel paese della vergogna, non si scusa nessuno. Resta da vedere se finalmente, ora che le 900 pagine della Procura di Salerno sono depositate, il Consiglio superiore della magistratura si deciderà a fare qualcosa. Non contro De Magistris (ha già fatto abbastanza), ma contro chi «concertò una serie di interventi a suo danno», per infangare «la correttezza formale e sostanziale della sua azione inquirente»; contro quel «contesto giudiziario connotato da un’allarmante commistione di ruoli e fortemente condizionato da interessi extragiurisdizionali, anche di illecita natura»; contro chi l’ha bersagliato con «denunce infondate, strumentali e gravi; contro quegli alti magistrati, di Catanzaro e di Potenza,che spifferavano notizie segrete delle indagini di De Magistris per far ricadere su di lui la colpa delle indiscrezioni. Si dirà: queste cose si scoprono soltanto ora. Eh no: il Csm le sapeva dallo scorso ottobre, quando i pm Nuzzi e Verasani furono ascoltati a Palazzo dei Marescialli e anticiparono le prime conclusioni delle loro inchieste. Anticiparono che le accuse a De Magistris erano frutto di un’abile orchestrazione (mentre le sue indagini erano «corrette e buone, senz’alcuna fuga di notizie»), e che gli unici illeciti, gravissimi, emersi riguardavano proprio i superiori e gli indagati di De Magistris. Fecero pure i nomi dei magistrati di Catanzaro, Matera e Potenza, degli ispettori ministeriali, dei giornalisti, dai politici e dei faccendieri indagati anche a Salerno per corruzione giudiziaria, minacce, calunnie, rivelazioni di segreti ai danni di De Magistris. Denunciarono le interferenze dei suoi capi, Lombardi e Murone, nelle indagini. Rivelazioni agghiaccianti che avrebbero dovuto suggerire l’immediata sospensione dei magistrati coinvolti e l’immediato stop a ogni procedimento disciplinare a carico del pm. La difesa di De Magistris questo chiese: che si attendesse l’esito delle indagini di Salerno. Il Csm non volle sentire ragioni e procedette con la foga di un plotone di esecuzione. Quasi che la sentenza di condanna fosse già scritta. Per fortuna, contrariamente alla macabra profezia di Chiaravalloti, De Magistris ha finito di difendersi, e ora si spera che qualcun altro prenda il suo posto. C’è un giudice a Berlino. Anzi, a Salerno."

da www.forumista.net


Titolo: Marco TRAVAGLIO - L'onorevole Angelino
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2008, 04:36:18 pm
L'onorevole Angelino



Marco Travaglio



Un uomo dotato di un minimo di dignità, al posto di Angelino Alfano, dopo
che tutti i suoi dati sulle intercettazioni sono stati sbugiardati da Luigi
Ferrarella e Carlo Bonini sulle prime pagine del Corriere e di Repubblica
(oltreché su l'Unità), avrebbe già scavato un buco in terra e vi sarebbe
sprofondato, rosso di vergogna. E in un altro paese un ministro come Alfano
sarebbe già stato dimissionato dal suo governo. Perché delle due l'una: o
Alfano è un incompetente, e allora se ne deve andare; o mente, e allora se
ne deve andare a maggior ragione.



Invece Angelino è Angelino, il Cainano è il Cainano e l'Italia è l'Italia.
Dunque il Guardasigilli ad personam resterà al suo posto e verrà premiato:
le sue bugie sono servite a mettere in circolo una carrettata di balle e a
trasformare un efficacissimo strumento d'indagine in un'emergenza nazionale
che ora allarma anche mezza opposizione e persino il capo dello Stato. Tg e
giornali della ditta fanno il resto, rilanciando le panzane come se fossero
vere (memorabile la prima pagina del Giornale: «Tutti gli italiani sono
intercettati»). La truffa funziona perché sembra basarsi su dati statistici,
ma per capire che sono manipolati basterebbe ascoltare l'esordio del
ministro (non di un passante) nell'audizione dell'altroieri alla commissione
Giustizia della Camera (non al bar o a Porta a Porta): «Secondo un mio
calcolo empirico e non scientifico, è probabilmente intercettata una
grandissima parte del nostro Paese». Capito? Lui fa i calcoli empirici. E
conclude: 1) «Oltre 100 mila persone l'anno sono intercettate in Italia», 2)
«mentre negli Usa sono 1.700, in Svizzera 1.300, in Gran Bretagna, 5.500, in
Francia 20 mila»; 3) «Le 100 mila persone intercettate fanno o ricevono
mediamente 30 telefonate al giorno. Così si arriva a 3 milioni di
intercettazioni». 4) «La spesa sulle intercettazioni è in continua crescita:
è aumentata del 50% dal 2003 al 2006» e occupa «il 33% delle spese per la
Giustizia». Difficile concentrare una tale densità di balle, per quanto
«empiriche», in così poche parole. Vediamo. 1) I decreti di autorizzazione
dei gip alle intercettazioni sono stati nel 2007 appena 45.122 (più 34.844
di convalida, cioè di proroga quindicinale sulle stesse utenze); ma anche
prendendo per buono il dato del ministro, 124.845 provvedimenti complessivi,
la cifra non indica il numero dei soggetti intercettati: ogni decreto
corrisponde a un'utenza, cioè a un numero telefonico (e spesso viene
reiterato anche 3-4 volte, visto che ogni 15-20 giorni bisogna rinnovare il
provvedimento). E quando s'intercetta un indagato si controllano i suoi
cellulari, numeri di abitazione, mare, montagna, ufficio, auto, senza
contare che il tizio cambia spesso scheda per sfuggire ai controlli. Il che
significa che, a dir tanto, gli intercettati arrivano a 80 mila l'anno (su 3
milioni di processi). Pari non a «tutti gli italiani» o alla «grandissima
parte», ma allo 0,2% della popolazione. 2) Contando anche i diversi
interlocutori dall'altro capo del filo, si arriva all'incirca all'1%. 3)
Paragonare il dato italiano con quello degli altri paesi è come raffrontare
le mele con le patate, visto che negli altri paesi il grosso delle
intercettazioni le fanno, senza controlli né statistiche, i servizi segreti,
le polizie, i pompieri, gli enti locali, le autorità di borsa ecc. Il
nostro, come ha appurato nel 2006 la commissione Giustizia del Senato, è il
sistema più garantista d'Europa. E l'80% degli ascolti riguarda la
criminalità organizzata, cioè le mafie, sconosciute negli altri paesi
europei. 4) La spesa per intercettazioni non è in aumento, ma in calo: nel
2005 era di 286 milioni, nel 2006 è scesa a 246, nel 2007 a 224 (40 in meno
ogni anno). E 224 milioni non sono «il 33% delle spese per la Giustizia»
(7,7 miliardi nel bilancio 2007), ma il 2,9%. Ecco, la spesa reale è un
decimo di quella sparata dall' empirico ministro. Ma potrebbe avvicinarsi
allo zero se lo Stato facesse lo Stato: obbligando le compagnie telefoniche,
concessionarie pubbliche, ad applicare tariffe scontate o gratuite per le
intercettazioni (che ora costano allo Stato 1,6 euro al giorno per i
telefoni fissi, 2 per i cellulari, 12 per i satellitari); acquistando le
attrezzature usate dagli agenti per intercettare, anziché affittarle a
prezzi da favola da ditte private; recuperando le spese di giustizia dai
condannati, che devono pagare i costi sostenuti dallo Stato per processarli
(oggi si recupera il 3-7%). Resta da capire come possano il Pd e l'Anm
«dialogare» con un ministro così, solo perché è «pacato». Spara cazzate, ma
pacate.

da spaziolibero


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Alice Oxman, diario di un incubo che ritorna
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2008, 04:45:38 pm
Alice Oxman, diario di un incubo che ritorna

Marco Travaglio


Questo libro di Alice Oxman, una scrittrice americana che ama l’Italia piú di molti italiani, è un formidabile antidoto contro l’amnesia furbetta e miope di chi non vuole fare i conti fino in fondo con quella stagione nera che ha riportato in superficie, dopo sessant’anni, i peggiori liquami di una certa Italia. Sotto Berlusconi è il diario puntuale e certosino, dunque inevitabilmente indignato, di una donna che ogni giorno ha annotato in tempo reale le vergogne del quinquennio berlusconiano. Ma Alice ha messo nero su bianco anche le viltà e i conformismi dell’altra parte: dei partiti del centrosinistra, nonché di gran parte della stampa italiana e del cosiddetto establishment, industriale, finanziario, intellettuale, ecclesiastico. Di tutti coloro che vedevano e tacevano, o minimizzavano, o addirittura fingevano di non vedere per non dover parlare.

Ne viene fuori una cronaca impietosa non solo della nascita e della crescita di un regime moderno, o postmoderno, ma anche della mitridatizzazione che giorno dopo giorno, complice il monopolio dell’informazione, induce i piú ad abituarsi, ad assuefarsi, ad abbassare progressivamente le difese immunitarie, a lasciar passare i peggiori orrori sempre nella convinzione autoconsolatoria che «questa è l’ultima volta». E invece è sempre la penultima. Con l’occhio sgombro dalle lenti deformate del familismo amorale e dell’eterno fascismo italiota, l’autrice scandisce sempre piú angosciata, stupita e sconcertata i rintocchi di quelle giornate che sembravano non finire mai: dichiarazioni ufficiali di esponenti della maggioranza e della cosiddetta opposizione; accostamenti di fatti all’apparenza lontani fra loro; citazioni dai giornali e dalle televisioni; brevi commenti personali, misti a episodi di vita vissuta, fra amicizie che si rompono, conoscenti che non salutano piú, brave persone che straparlano e diventano irriconoscibili. I regimi riescono a peggiorare anche gli uomini migliori.

Sullo sfondo, mentre cadono i foglietti del calendario, prende corpo l’Agenda Unica del regime e del suo ducetto, che fa sparire interi pezzi di realtà dalle sue tv (tutte) e dunque dalla mente dei cittadini. E impone i suoi interessi a un’intera nazione, finendo per convincerla che le vere emergenze nazionali sono i (suoi) processi, le (sue) aziende, le (sue) tasse. «Un regime ­ scrive l’autrice ­ nasce tra mille distrazioni. Scrivo per non avere rimpianti. La storia è sotto il naso di tutti». Le pagine piú tragicomiche sono quelle dedicate ai servi furbi. Sgarbi che paragona il ducetto a Michelangelo. Ferrara che lo accosta a Mozart. Bondi che lo dipinge come «un uomo enormemente buono, straordinariamente buono». Il suo Giornale che lo ritrae come un fusto tutto muscoli e sex appeal. Baget Bozzo che insulta Norberto Bobbio, «un rudere sopravvissuto alla vita». Roberto Castelli che offende il professor Giovanni Sartori, «un personaggio che non sa niente e non capisce niente e non ha mai combinato molto nella vita». Il duo Feltri-Farina che sputa sugli ostaggi non berlusconiani sequestrati in Iraq, vivi (le due Simone, «le vispe terese») o morti (Enzo Baldoni, il «pirlacchione» partito per le «vacanze intelligenti»).

Le pagine piú tristi riguardano i presunti oppositori, quelli che «non basta dire no», quelli che «non bisogna demonizzare», quelli che «bisogna dialogare», «fare le riforme insieme», «abbassare i toni» e, soprattutto, «guardarsi dalla piazza». Quelli che in piazza non c’erano mai, né al G8 di Genova, né al Palavobis, né ai girotondi, né al Circo Massimo con Cofferati né in piazza San Giovanni con Moretti e Flores d’Arcais. Quelli che, da quando il marito di Alice, Furio Colombo, resuscita l’Unità facendo opposizione sul serio, «non ci invitano piú in pubblico, fra la gente o in un ristorante» perché non si sa mai. Intanto Previti ghigna perché «anche quelli di sinistra che prima non mi rivolgevano la parola ora sono lí che mi salutano, chiedono consigli e fanno ciao ciao con la mano». Rutelli promette un’«opposizione non urlata». Fassino e D’Alema presentano i cosiddetti libri di Bruno Vespa. E, come Bertinotti presunto leader della «sinistra radicale», non mancano mai a «Porta a porta».

Nascono nuove parole d’ordine, o meglio vecchie parole svuotate di significato per parlar d’altro: «moderato», «riformista», «massimalista», «apocalittico», «demonizzatore», «giustizialista», «bipartisan», «dialogo». Mentre la grande stampa italiana si balocca con questi barocchismi da arcadia settecentesca e i professionisti della politica ammazzano il tempo, a sinistra, trastullandosi fra una Gad e una Fed, i giornali stranieri trovano le parole per raccontare ai colleghi italiani ciò che non vedono piú, o fingono di non vedere. Quando il regime cancella il falso in bilancio, l’Economist parla di «una legge di cui si vergognerebbero persino le repubbliche delle banane». Ma, su 62 quotidiani italiani, solo tre riportano l’articolo: l’Unità a pagina 1, La Stampa a pagina 7, la Repubblica a pagina 15. E quando il ministro Lunardi dice che «con la mafia dobbiamo convivere», quasi tutti relegano la notizia in un trafiletto nelle pagine interne.

(...) Il ducetto si fa una legge su misura dopo l’altra, fa cacciare un giudice che lo sta giudicando, si depenalizza i reati, si rende improcessabile, trascina l’Italia in guerra dopo mezzo secolo, salva per decreto le sue tv dalla Corte costituzionale, licenzia giornalisti e comici dalla Rai con l’editto bulgaro, paragona magistrati, giornalisti e oppositori ai terroristi, ai golpisti, ai kamikaze, organizza commissioni parlamentari come la Telekom-Serbia e la Mitrokhin per calunniare la minoranza, silenzia i cronisti sgraditi («lei è dell’Unità, deve stare zitto»). Ma se qualcuno ­ Montanelli, Sartori, Bocca, Biagi, Cordero, Colombo, Sylos Labini, Luzi e altri tupamaros ­ parla di «regime», viene zittito non dai berluscones: i primi a insorgere sono sempre Fassino e D’Alema. Il primo in compenso riabilita Bettino Craxi. Il secondo trova il modo di criticare anche Borrelli, reo di aver ripetuto per tre volte «resistere». È la linea dell’opposizione che peraltro ­ diversamente dai suoi elettori ­ col regime convive benissimo.

Il libro si chiude con la vittoria di Prodi, con l’urlo di gioia di piazza Santi Apostoli strozzato in gola dall’altalena dei dati nella notte elettorale dei misteri e degli intrighi. Pare finito l’incubo. Invece è lì dietro l’angolo, pronto a tornare in una versione ancor più tetra. Diceva Tom Benetollo: «In questa notte scura, qualcuno di noi è come quei “lampadieri” che, camminando innanzi, tengono la pertica rivolta all’indietro, appoggiata sulla spalla con il lume in cima. Cosí il lampadiere vede poco avanti a sé, ma consente ai viaggiatori di camminare piú sicuri». Se però i viaggiatori sono ciechi, c’è poco da illuminare. Grazie, Alice, per questo promemoria. Magari, leggendolo, qualcuno ritroverà la vista.

Pubblicato il: 20.06.08
Modificato il: 20.06.08 alle ore 8.38   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Sembra la Carfagna ma è la Marcegaglia
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2008, 05:04:17 pm
Marco Travaglio

Sembra la Carfagna ma è la Marcegaglia


Colpisce la condiscendenza con cui la neopresidente della Confindustria Emma Marcegaglia e la sua baby-collega Federica Guidi si lasciano ridurre dal premier al rango di vallette  Emma Marcegaglia, presidente di ConfindustriaUno si domanda che cos'abbia da sorridere e financo da "gioire" il Santo Padre dinanzi a Silvio Berlusconi che gli bacia la mano e promette il massimo impegno "in difesa della famiglia" (anzi, delle famiglie: lui ne ha due). Poi scopre che il premier s'è pure impegnato a dare più soldi pubblici a scuole e cliniche private, e capisce tutto. Uno si domanda che cos'abbiano da applaudire fino a spellarsi le mani gl'industriali riuniti a Santa Margherita Ligure sotto il palco di Berlusconi che, prima del malore, annuncia "il divieto assoluto di intercettazioni tranne per mafia e terrorismo", cinque anni di galera a chi le fa e le divulga, nonché "forti penalizzazioni economiche agli editori" che le pubblicano (quasi tutti presenti all'illustre consesso).

Colpisce, in particolare, la condiscendenza con cui la neopresidente della Confindustria Emma Marcegaglia e la sua baby-collega Federica Guidi si lasciano ridurre dal premier al rango di vallette, facendosi abbracciare davanti a tutti come una Carfagna o una Brambilla qualunque, prestandosi alle gag col fazzolettino asciuga-sudore, cinguettando agl'inviti a pranzo nell'ennesima villa, ridacchiando alle battutine di dubbio gusto. Sceneggiate impensabili soltanto qualche mese fa, quando alla guida degl'industriali c'era Luca di Montezemolo che, pur con tutti i suoi difetti, non si sarebbe mai prestato a certe piazzate da Club Méditerranée; e, sul fronte della legalità, ha dato segnali importanti, con forti denunce dell'evasione fiscale e addirittura con l'espulsione dei colleghi che pagano il pizzo alle mafie (anche se non commettono reati, anzi li subiscono).

La resa della giovane Emma, che fra l'altro parla con la voce di un navigatore satellitare, al nuovo padrone del vapore è imbarazzante nella forma quanto nella sostanza.

Nemmeno un sospiro per rammentargli l'etica negli affari, mentre sono in corso o stanno per aprirsi i processi sui grandi scandali finanziari, da Parmalat a Cirio alle scalate bancarie, che han rischiato di spazzare via quel che resta del capitalismo italiano. Due anni fa alla Fiera di Vicenza, Diego Della Valle, memore dell'appoggio del Cavaliere ai furbetti, trovò il coraggio di dirgli a brutto muso ciò che si meritava. Ora è tutto dimenticato.

Il premier annuncia il 'liberi tutti' ai furbetti di oggi e domani: nessuno scoprirà più i loro maneggi. E gl'industriali fanno la ola. Il che autorizza i cittadini a pensare di loro tutto il peggio possibile. E persino a ricordarsi (almeno per chi, armato di microscopio elettronico, ha trovato la notizia sui giornali) del mega-patteggiamento per corruzione appena concluso dal gruppo Marcegaglia al tribunale di Milano: 500 mila euro di pena pecuniaria e 250 mila di confisca per Marcegaglia Spa, 500 mila euro di pena più 5 milioni di confisca per la controllata NE Cct Spa, 11 mesi di reclusione per il vicepresidente Antonio Marcegaglia (fratello di Emma). Il tutto perché nel 2003 l'azienda di famiglia pagò una mazzettona a un manager Enipower in cambio di un appalto. Ah, se la nuova legge Berlusconi fosse arrivata prima.

(13 giugno 2008)



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Giornalisti con il bavaglino


Tanti giornalisti sembrano fare a gara a chi esulta di più per "la fine dell'impunità" sulle intercettazioni telefoniche. Dimenticando che i verbali pubblicati in questi anni non erano fughe di notizie, ma notizie Pareva impossibile trovare qualcuno più masochista del Pd. Ma alla fine lo si è trovato: la categoria dei giornalisti, o buona parte di essa. La voluttuosa gaiezza con cui molti giornali plaudono alla legge-bavaglio che abolisce la cronaca giudiziaria sulle indagini, ricorda quel che Lenin diceva dei capitalisti: "Ci venderanno anche le corde con cui li impiccheremo". Oltre al 'Riformista', che almeno è clandestino, c'è 'Il Messaggero' di Caltagirone, che ogni giorno cerca qualcuno che lanci l'allarme contro quei criminali dei giudici e dei giornalisti che indagano. 'Il Mattino' di Caltagirone esce financo con un editoriale dell'avvocata Paola Severini dal titolo 'La fine dell'impunità', come se i pericoli pubblici in Italia fossero i pm e i cronisti.

Paolo Franchi e Piero Ostellino, sul 'Corriere della Sera' incitano il Pd a darsi da fare con Berlusconi per un bel bavaglio bipartisan. Ma il peggio avviene con le interviste ai politici, comprensibilmente favorevoli al giro di vite (i pochi contrari hanno scarsa audience). Li si lascia sciorinare cifre false e sproloquiare contro le "fughe di notizie", le "violazioni del segreto istruttorio", gli "sfregi alla privacy" senza mai obiettare - e chi dovrebbe farlo, se non gli addetti ai lavori? - che le intercettazioni e i verbali pubblicati in questi anni non erano coperti da segreto, essendo regolarmente depositati, dunque non erano fughe di notizie, ma notizie.

Nelle quotidiane interviste al ministro ad personam Angelino Alfano, nessuno gli pone mai le seguenti domande: 'Scusi, ma se è così allarmato per i magistrati che parlano, perché ha ingaggiato al ministero un esternatore indefesso come il pm islamico Stefano D'Ambruoso, che passa dalle Tv ai libri per parlare delle proprie inchieste? E perché la sua collega Mara Carfagna ha arruolato la giudice minorile Simonetta Matone, la vicepalombelli di 'Porta a Porta' che scambia la telecamera per la camera di consiglio e ha sempre una parola inutile per i processi altrui, da Cogne a Rignano, da Erba a Garlasco?'

Un genere letterario molto diffuso è la testimonianza degli indagati intercettati. I quali - pensa un po'! - sono contro la pubblicazione delle intercettazioni, soprattutto delle proprie e di quelle degli amici.

Lacrima Mastella, tuona Latorre, ammonisce Violante, pigola Deborah Bergamini. Quest'ultima, già direttore marketing Rai indagata a Roma dopo le telefonate con Mediaset per concordare palinsesti e occultare la sconfitta di Berlusconi alle regionali 2005, occupa mezza pagina del 'Corriere' per un pianto greco sul "vulnus insanabile" subìto. "Se non avessi lavorato come assistente di Berlusconi", osserva, "le mie conversazioni non sarebbero state oggetto di tanto interesse".

Infatti, se non avesse lavorato come assistente di Berlusconi, non sarebbe diventata dirigente Rai. Per colpa delle intercettazioni, aggiunge, "non sono più la stessa persona". Infatti ha 300 mila euro in più nelle tasche, grazie alla generosa buonuscita regalatale dalla Rai. E ora è pure deputato di Forza Italia. Una vita difficile. Un vero martirio.

(20 giugno 2008)


da espresso.repubblica


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Quei comunisti dell’Fbi
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2008, 11:19:45 pm
Quei comunisti dell’Fbi

Marco Travaglio


Mercoledì l’Fbi s’è presentata a Wall Street e ha arrestato 60 top manager coinvolti nello scandalo dei «mutui subprime» e degli «hedge fund maligni», per aver truffato i risparmiatori e la «fiducia pubblica», gabellando per sicuri degli investimenti destinati a finir male.

I due protagonisti dello scandalo, Mattew Tannin e Ralph Cioffi, sono stati trascinati per strada in manette davanti alle telecamere e ai flash, perché tutto il mondo vedesse cosa rischia chi commette reati finanziari, mettendo a repentaglio il sistema capitalistico. Un trattamento che i due non avrebbero subito nemmeno se avessero ammazzato le rispettive consorti. Fortuna che la cosa non è avvenuta in Italia (dove peraltro non potrebbe avvenire, visto che si stanno abolendo le intercettazioni per i reati finanziari e, per chi è già stato preso, si rinviano per legge i processi, a cominciare dal caso Cirio, per rallentarli un altro po’). Altrimenti avremmo giornali e tv intasati dai commenti sdegnati dei principali supporter del sistema americano, cioè i Panebianco, gli Ostellino, i Platinette Barbuti, i Teodori, i Galli della Loggia e i Polli del Balcone, tutti urlanti contro le manette facili, la gogna pubblica, il circuito mediatico giudiziario, gli abusi della custodia cautelare, la giustizia spettacolo, il protagonismo delle toghe, il nuovo caso Tortora, i danni all’economia e all’immagine del Paese.

I reati contestati nella retata di quei comunisti dell’Fbi, che ricorda quella immortalata nel film Wall Street con Michael Douglas, sono la frode e l’insider trading: gli stessi che in Italia non si potranno più scoprire con le intercettazioni perché considerati «minori» e di scarso «allarme sociale». In America chi commette quei reati viene intercettato dall’Fbi e dalla Sec (l’autorità di borsa), finisce dentro e buttano la chiave. In Italia finisce in Parlamento, ultimo arrivato Ciarrapico. Se poi ha la fortuna di diventare presidente del Consiglio, scrive una lettera al suo riporto personale, il noto Schifani detto Lodo, e invoca una legge per autoimmunizzarsi dai processi. Dopodichè sguinzaglia i suoi giannizzeri a spiegare che lo fa per noi e per la Giustizia. Uno dei più solerti e prolifici è l’Insetto, al secolo Bruno Vespa, che non potendo più infestare Rai1 per la chiusura estiva di Porta a Porta, scrive tre articoli uguali in un giorno su tre giornali diversi in difesa del suo amico ed editore. Che, incidentalmente, è anche il presidente del Consiglio.

Ieri su Panorama, Quotidiano Nazionale e Mattino comparivano tre editoriali dell’Insetto uno e trino, scritti col copia-incolla. Non bastando i tre onorevoli avvocati Ghedini, Pecorella e Longo, Vespa s’è voluto gentilmente associare al collegio di difesa berlusconiano al processo Mills. Le sue tesi sono avvincenti.

1) «Ci suona strano che un imprenditore straricco abbia bisogno di corrompere un proprio avvocato quando ce l’ha a libro paga». Forse Vespa non sa che, quando Mills ricevette 600 mila dollari dalla Fininvest tramite il manager berlusconiano Carlo Bernasconi, non era più a libro paga della Fininvest, dunque non riceveva più parcelle. Inoltre, a dire che quei soldi non erano parcelle, ma un regalo in cambio delle sue false testimonianze ai processi milanesi sulle tangenti alla Guardia di Finanza e sui fondi neri di All Iberian, non è stata una toga rossa: è stato lo stesso Mills in una lettera super-riservata del 2 febbraio 2004 al suo commercialista Bob Drennan (che però - come si usa in Inghilterra - l’ha denunciato al fisco, che ha aperto un procedimento, passando poi tutte le carte ai pm di Milano): «Nella mia testimonianza - scrive Mills, ignaro del fatto che sarebbe stato presto chiamato a risponderne - non ho mentito, ma ho superato curve pericolose, per dirla in modo delicato. E ho tenuto Mr B. fuori da un mare di guai nei quali l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quel che sapevo. Alla fine del 1999 mi fu detto che avrei ricevuto dei soldi, che avrei dovuto considerare come un prestito a lungo termine o un regalo: 600 mila dollari furono messi in un hedge fund e mi fu detto che sarebbero stati a mia disposizione».

2) Anche Vespa ricusa la giudice Gandus, «star di Magistratura democratica», colpevole di aver invocato l’abrogazione delle leggi vergogna sulla giustizia e di aver financo insinuato che servissero all’«interesse personale di pochi»: cioè di aver detto ciò che tutti sanno e pensano, perché è la verità. Dunque, conclude l’insetto, «un dichiarato avversario politico» non può giudicare «il capo del governo che combatte»: un’eventuale condanna diventerebbe «una sentenza che sarebbe molto difficile non con- siderare politica».

Il fatto che Mills abbia confessato in privato, per iscritto, di essere stato corrotto per non dire la verità sotto giuramento dall’attuale presidente del Consiglio italiano, a Vespa non fa né caldo né freddo. Mica siamo a New York o a Londra. Siamo in Italia, dove gl’insetti fanno i giornalisti e si preoccupano non di un premier possibile corruttore, ma di ciò che pensa un giudice delle leggi vergogna. E lo scrivono in stereofonia su tre giornali. Paghi tre, leggi uno.

Pubblicato il: 21.06.08
Modificato il: 21.06.08 alle ore 8.15   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - La guerra dei 15 anni
Inserito da: Admin - Giugno 23, 2008, 12:09:34 am
La guerra dei 15 anni

Marco Travaglio


Stupisce lo stupore. Ma come: Berlusconi rinuncia a diventare uno statista per sistemare le sue tv e i suoi processi? Ma non era cambiato? In realtà, in questi 15 anni, tutto è cambiato tranne lui. Lui non ha mai fatto mistero di quel che è. Fin da quando, alla vigilia dell’ingresso in politica, confidò a Montanelli e Biagi: «Se non entro in politica, finisco in galera». Infatti da 15 anni, che governi lui o gli «altri», il Parlamento è mobilitato per salvarlo dai processi.

Miracolo. Il 1994 si apre con la «discesa in campo per un nuovo miracolo italiano». Quale miracolo, lo si capisce poche settimane dopo. Quando, al termine di un anno di indagini, la Procura di Milano chiede l’arresto di Paolo Berlusconi per le tangenti al fondo pensioni Cariplo in cambio dell’acquisto di immobili Edilnord invenduti, e di Marcello Dell’Utri per i fondi neri di Publitalia. Una fuga di notizie del Tg5 salva Dell’Utri dalle manette, mentre Paolo finisce dentro e confessa. Il Cavaliere, che sui giudici dice il contrario di ciò che pensa per non urtare gli elettori, tutti schierati col pool Mani Pulite, vince le elezioni e forma il suo primo governo. Tenta, invano, di avere come ministri i due uomini simbolo del Pool, Di Pietro e Davigo, rispettivamente all’Interno e alla Giustizia. Scalfaro gli impedisce di nominare Guardasigilli Cesare Previti, che slitta alla Difesa. In via Arenula arriva Alfredo Biondi. Poi un sottufficiale della Guardia di Finanza denuncia il suo capo: gli ha offerto una quota di una mazzetta appena pagata dalla Fininvest per ammorbidire una verifica fiscale.

Decreto Biondi. E’ lo scandalo delle mazzette alle Fiamme Gialle: coinvolti un centinaio di militari e 500 aziende, tre delle quali appartengono al nuovo premier. L’ufficiale pagatore del Biscione è il dirigente Salvatore Sciascia, che sta per essere arrestato insieme a colui che, a suo dire, gli ha dato i soldi e l’autorizzazione a pagare: Paolo Berlusconi. Per i due è pronta la richiesta di cattura. E c’è il rischio che, in carcere, confessino la verità. Silvio, da Palazzo Chigi, commissiona in fretta e furia a Biondi un decreto per vietare la custodia cautelare in carcere per vari reati, compresi quelli contro la pubblica amministrazione. Corruzione compresa. E’ il primo Salvaladri, che fa uscire circa 3 mila detenuti in tre giorni. E soprattutto non fa entrare Paolo e Sciascia. Poi, a furor di popolo, Bossi e Fini non ancora ridotti a maggiordomi impongono il ritiro della porcata. Paolo e Sciascia finiscono in manette e confessano. Poi si scopre che il consulente Fininvest Massimo Maria Berruti ha depistato le indagini subito dopo un incontro a Palazzo Chigi col premier. Che, il 21 novembre, riceve il suo primo invito a comparire. Lui si adopera con ispezioni ministeriali e ricatti per propiziare le dimissioni di Di Pietro e il 6 dicembre le ottiene. Due settimane dopo, Bossi rovescia in polemica con la riforma delle pensioni.

L’inciucio. Il Cavaliere passa all’opposizione del governo Dini, anche se è pappa e ciccia col nuovo Guardasigilli Filippo Mancuso, che perseguita con attacchi e ispezioni le Procure di Milano e Palermo (qui si indaga su Berlusconi e Dell’Utri per mafia e riciclaggio). E ottiene la prima controriforma bipartisan della giustizia:quella che rende più difficile la custodia cautelare per i colletti bianchi. Nel marzo ’96, scandalo «toghe sporche»: indagati e/o arrestati alcuni magistrati romani, corrotti dagli avvocati Fininvest Previti e Pacifico, in seguito alle rivelazioni di Stefania Ariosto al pm Ilda Boccassini. Berlusconi è indagato come uno dei mandanti. Un mese dopo Prodi vince le elezioni e inaugura il quinquennio dell’Ulivo.

Ma sulla giustizia Berlusconi continua a vincere anche se ha perso, grazie all’Ulivo che gliele dà tutte vinte. Essendo indagato a Milano per corruzione dei giudici e della Finanza, per le tangenti a Craxi tramite All Iberian, per i fondi neri nell’acquisto del calciatore Lentini e dei terreni di Macherio, oltrechè indagato per mafia e riciclaggio a Palermo, attacca quotidianamente le Procure e anche Di Pietro, fino a quel momento risparmiato nella speranza che aderisse a Forza Italia. L’ex pm viene denunciato e indagato più volte a Brescia, dove anche gli altri pm milanesi devono difendersi dalle accuse del Cavaliere, che li fa incriminare per «attentato a organo costituzionale». Una specie di colpo di Stato.

Leggi ad personas. Intanto in Parlamento le leggi «ad personas» ammazza-toghe e salva-imputati si susseguono a getto continuo, sempre votate da maggioranze bulgare e trasversali, in parallelo alla Bicamerale, dove il lottatore continuo Marco Boato prepara bozze su bozze che mettono la magistratura al guinzaglio del potere politico. La bozza finale viene votata da tutti i partiti, eccetto Rifondazione. Sul più bello, il Caimano fa saltare il banco perché ormai ha ottenuto tutto quel che voleva: infatti, sono passate quasi tutte le leggi contenute nel programma della Giustizia del Polo, scritto da Previti nel ’96 e bocciato dagli elettori. Il nuovo articolo 513 Cpp cambia le regole dei processi a partita in corso e costringe i giudici a ripartire daccapo: prescrizione garantita a centinaia d’imputati di Tangentopoli. La Consulta lo dichiara incostituzionale e destra e sinistra, a tempo di record, lo conficcano nella Costituzione (articolo 111, il cosiddetto «giusto processo»). Seguono la depenalizzazione dell’abuso d’ufficio non patrimoniale, la legge imbavaglia-pentiti, il patteggiamento in Cassazione e la depenalizzazione dell’uso di false fatture (per risparmiare il carcere a Dell’Utri, condannato in appello a 3 anni e 2 mesi per false fatture), il no delle Camere all’arresto di Previti e Dell’Utri e così via. Incassato tutto l’incassabile, nel 2001 Berlusconi stravince e torna al potere.

Leggi ad personam. Ormai, da salvare dai processi, sono rimasti solo il premier e il fido Previti: per loro la giustizia-lumaca è ancora troppo efficiente e spedita. Dunque, per tutta la legislatura, si lavora per paralizzarla definitivamente. Appena rientrato a Palazzo Chigi, Berlusconi scatena subito i suoi onorevoli avvocati, Pecorella e Ghedini, e i suoi giannizzeri, Dell’Utri e Guzzanti, con una legge che si propone di cestinare tutte le prove trasmesse per rogatoria dalle magistrature straniere. Per esempio, le carte che dimostrano i passaggi di denaro estero su estero dalle sue aziende ai conti di Previti a quelli di alcuni giudici romani. Recitando un copione stilato da Pio Pompa, lo spione preferito dal comandante del Sismi Niccolò Pollari, che raccoglie schedature su magistrati, politici e giornalisti «rossi», il Cavaliere denuncia un complotto planetario dell’«Internazionale delle toghe rosse». La Svizzera, per protesta, blocca la ratifica del trattato sulle rogatorie con l’Italia. I giudici di tutta Europa insorgono. Per fortuna la legge è scritta coi piedi e non verrà mai applicata da nessun tribunale: contrasta con le prassi e con una mezza dozzina di convenzioni internazionali, che prevalgono sulle norme ordinarie.

Intanto Tremonti escogita lo «scudo fiscale» per il rientro anonimo dei capitali illegalmente accumulati ed esportati all’estero. Nel gennaio 2002, il ministro Castelli tenta di trasferire il giudice Brambilla per far saltare il processo Sme. Il governo toglie la scorta a vari magistrati, tra cui Greco e la Boccassini. E abolisce di fatto il reato di falso in bilancio, per cui il premier è imputato in 5 processi: saranno tutti chiusi con la prescrizione o con la formula «il fatto non è più reato». In marzo chiede il trasferimento dei processi a Brescia: il Tribunale di Milano è infestato di toghe rosse e condizionato dai girotondi. Per propiziare il grande trasloco, vara a tappe forzate la legge Cirami che reintroduce il «legittimo sospetto». Ma nel gennaio 2003 la Cassazione lascia i processi dove sono: i giudici milanesi sono imparziali. Allora il premier che sta per diventare per 6 mesi presidente di turno dell’Ue, impone il lodo Maccanico-Schifani: uno scudo spaziale che rende le 5 alte cariche dello Stato invulnerabili da ogni processo per ogni reato, anche comune, anche commesso prima di assumere l’incarico. C’è anche la norma Boato, che vieta ai giudici di usare le intercettazioni in cui compare anche indirettamente la voce di un parlamentare senza il permesso del Parlamento.

Toghe matte. Per evitare che la sentenza Sme-Ariosto arrivi prima del Lodo, il premier fa saltare le udienze inventando svariati «impedimenti istituzionali» e ricusando continuamente i suoi giudici (14 volte in tutto, tra lui e Previti). Ad abundantiam, spiega che i magistrati sono «antropologicamente diversi dal resto della razza umana», perché «se fai quel mestiere devi essere matto». Nel gennaio 2004 la Consulta dichiara incostituzionale anche il Lodo e il processo Sme al Cavaliere ricomincia.

Allora passa la legge per accorciare la prescrizione dei suoi reati e, per estensione, anche per quelli degli altri: si chiama ex-Cirielli perché il promotore Edmondo Cirielli di An, visto come gliel’hanno stravolta, la sconfessa e non si trova nessuno che voglia darle il proprio nome. Prescritto in primo grado per la tangente al giudice Squillante, Silvio teme la condanna in appello: l’apposito Pecorella abolisce l’appello per le sentenze di proscioglimento. Le condanne invece restano appellabili. Ciampi respinge la legge: incostituzionale. Il premier la rifà uguale e la Consulta la cancella.

Coa(li)zione a ripetere. Nel 2006, come sempre dopo aver governato, Berlusconi perde le elezioni. Ma sulla Giustizia rivince anche se ha perso. L’Unione gli regala subito un indulto extra-large di 3 anni per salvare Previti dagli arresti domiciliari. E gli attacchi ai giudici diventano pane quotidiano anche della sinistra, che crocifigge Clementina Forleo e Luigi de Magistris, rei di aver messo il naso in troppi malaffari trasversali.

Così, nel 2008, Lazzaro risorge e torna a Palazzo Chigi per la terza volta. E per la terza volta si occupa dei suoi processi. Taglia le intercettazioni. Abolisce la cronaca giudiziaria.Sospende almeno 100 mila processi per sospendere il processo Mills, in attesa di varare il Lodo Schifani-bis e rendersi di nuovo invulnerabile. Chi l’avrebbe mai detto.

Pubblicato il: 22.06.08
Modificato il: 22.06.08 alle ore 14.39   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Non si capisce perché Berlusconi debba sfuggire alla giustizia
Inserito da: Admin - Giugno 27, 2008, 11:38:50 am
Lo strano caso di Mister B.

Bill Clinton, allora l'uomo più potente del pianeta, subì tre processi senza fiatare.

Non si capisce perché Berlusconi debba sfuggire alla giustizia 


Ci mancava giusto monsignor Rino Fisichella, il cappellano della Casta, a invitare la magistratura "a rendere meno acuto il conflitto fra istituzioni e ridurlo con appropriate riforme". Ora, a parte che non spetta ai giudici ridurre i conflitti con appropriate riforme, qui c'è il solito equivoco creato ad arte ogni qual volta - accade da 15 anni - Silvio Berlusconi non vuol farsi processare: l'equivoco del "conflitto fra politica e magistratura".

Non c'è alcun conflitto. C'è un processo per un reato gravissimo: corruzione giudiziaria di un testimone, l'avvocato David Mills, che nel 2004 confessò al suo commercialista di aver ricevuto 600 mila dollari da 'Mr. B.' in cambio di due false testimonianze che lo tennero "fuori da un mare di guai". Certo un'eventuale condanna sarebbe seccante per Mr. B., anche perché fa il capo del governo. Ma doveva pensarci prima di diventarlo.

Quando fu rinviato a giudizio, il 30 ottobre 2006, sedeva nei banchi della minoranza. Infatti accusò i giudici di "voler colpire il capo dell'opposizione". Poi cadde Prodi e l'on. avv. Ghedini chiese di rinviare il processo a dopo il voto perché "non sia utilizzato strumentalmente in campagna elettorale". La presidente Nicoletta Gandus, nota bolscevica, lo accordò. Ora le dicono che non può sentenziare nemmeno adesso, perché nel frattempo l'imputato è tornato premier "votato da 17 milioni di italiani" (Sergio Romano, 'Corriere della Sera').

Resta da capire quando si possa processare Mr. B. e quante leggi si debbano ancora sfigurare per garantirgli l'impunità. Lo stuolo di badanti che l'assiste in Parlamento, nelle tv e nei giornali (anche un 'Financial Times' insolitamente male informato) e lavora al lodo Schifani-2 ripete che anche "negli altri paesi" i premier sarebbero invulnerabili. Balle.

Come spiegò nel 2003 l'ex presidente della Consulta Leopoldo Elia, "
in nessun paese d'Europa esiste nulla di simile al lodo Schifani. La sospensione dei processi per fatti estranei all'esercizio della carica vale solo per tre capi di Stato: Grecia, Portogallo e Israele. Il premier non ha alcuna protezione da nessuna parte".

Il presidente israeliano Moshe Katsav s'è dimesso un anno fa perché accusato di molestie sessuali (ovviamente slegate dalla sua carica). E il premier Ehud Olmert, coinvolto in certi fondi illeciti, presto lo seguirà. Bill Clinton, l'uomo più potente del pianeta, subì tre processi senza fiatare. In Francia una prassi costituzionale ha consentito a Jacques Chirac di rinviare a fine mandato il processo per fondi illeciti al partito: ma era capo dello Stato.

Per il resto, in tutto il mondo libero il premier e le altre cariche sono regolarmente processabili durante il mandato. Ma non accade quasi mai, perché chi è imputato non viene candidato; e chi viene imputato una volta eletto, si dimette. All'estero ci pensano prima, noi dopo. Prima il peccato, poi l'indulgenza plenaria. Vero, monsignore?

(27 giugno 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il dolo Berlusconi
Inserito da: Admin - Giugno 28, 2008, 06:02:35 pm
Il dolo Berlusconi

Marco Travaglio


Quando il Lodo Schifani-bis, anzi il Lodo Alfano, anzi il Dolo Berlusconi sarà sulla Gazzetta Ufficiale, l'Italia sarà l'unica democrazia al mondo in cui quattro cittadini sono «più uguali degli altri» di fronte alla legge. Un privilegio che George Orwell, nella «Fattoria degli animali», riservava non a caso ai maiali. E che, nell'Italia del 2008, diventa appannaggio dei presidenti della Repubblica, del Senato (lo stesso Schifani), della Camera e soprattutto del Consiglio. I massimi rappresentanti delle istituzioni, che nelle altre democrazie devono dare il buon esempio e dunque mostrarsi più trasparenti degli altri, in Italia diventano immuni da qualunque processo penale durante tutto il mandato, qualunque reato commettano dopo averlo assunto o abbiano commesso prima di assumerlo.

Compresi i reati comuni, "extrafunzionali", cioè svincolati dalla carica e persino dall'attività politica. Anche strangolare la moglie, anche arrotare con l'auto un pedone sulle strisce, anche stuprare la colf o molestare una segretaria. O magari corrompere un testimone perché menta sotto giuramento in tribunale facendo assolvere un colpevole. Che poi è proprio il caso nostro, anzi Suo. Come scrisse il grande Claudio Rinaldi sull'"Espresso" a proposito del primo Lodo, «un'autorizzazione a delinquere».

La suprema porcata cancella, con legge ordinaria - votata in un paio di minuti dal collegio difensivo allargato del premier imputato, che ha nome "Consiglio dei ministri" - l'articolo 3 della Costituzione repubblicana. Che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali...». La questione è tutta qui. Le chiacchiere, come si dice a Roma, stanno a zero. Se tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, non ne possono esistere quattro che non rispondono in nessun caso alla legge per un certo numero di anni in base alle loro "condizioni personali e sociali", cioè alle cariche che occupano. Se la Costituzione dice una cosa e una legge ordinaria dice il contrario, la legge ordinaria è incostituzionale. A meno, si capisce, di sostenere che è incostituzionale la Costituzione (magari prima o poi si arriverà anche a questo). Ora, quando in una democrazia governo e parlamento varano una legge incostituzionale, a parte farsi un'idea della qualità del governo e del parlamento che hanno eletto, i cittadini non si preoccupano. Sanno, infatti, che le leggi incostituzionali sono come le bugie: hanno le gambe corte. Il capo dello Stato non le firma, il governo e il parlamento le ritirano oppure, se non accade nessuna delle due cose, la Corte costituzionale le spazza via. Ma purtroppo siamo in Italia, dove le leggi incostituzionali, come le bugie, hanno gambe lunghissime. Non è affatto scontato che il presidente della Repubblica o la Consulta se la sentano di bocciare il Lodo-bis. A furia di strappi, minacce, ricatti, vere e proprie estorsioni politiche, il terrore serpeggia nelle alte sfere (che preferiscono chiamarlo "dialogo"). E anche la Costituzione è divenuta flessibile, anzi trattabile. Un mese fa è passata con tutte le firme e le controfirme una legge razziale (per solennizzare il 60° anniversario di quelle mussoliniane) denominata "decreto sicurezza": quella che istituisce un'aggravante speciale per gli immigrati irregolari. Se fai una rapina e sei di razza ariana e di cittadinanza italiana, ti becchi X anni; se fai una rapina e sei extracomunitario, ti becchi X+Y anni. Vuoi mettere, infatti, la soddisfazione di essere rapinato da un italiano anziché da uno straniero. E il principio di uguaglianza? Caduto in prescrizione. Stavolta è ancora peggio, perché non è in ballo il destino di qualche vuccumpra', ma l'incolumità giudiziaria del noto tangentaro (vedi ultima sentenza della Cassazione sul caso Sme-Ariosto) che siede a Palazzo Chigi. Infatti è già tutto un distinguo, a destra come nella cosiddetta opposizione, sulle differenze che farebbero del Lodo-bis una versione "migliore" del Lodo primigenio. Il ministro ad personam Angelino Jolie assicura che, bontà sua, «la sospensione dei processi non impedisce al giudice l'assunzione delle prove non rinviabili, la prescrizione è sospesa, l'imputato vi può rinunciare. La sospensione non è reiterabile e la parte civile può trasferire in sede civile la propria pretesa». Il che, ad avviso suo e di tutti i turiferari arcoriani sparsi nei palazzi, nelle tv e nei giornali, basterebbe a rendere costituzionale la porcata. Noi, che non siamo costituzionalisti, preferiamo affidarci a chi lo è davvero (con tutto il rispetto per Angelino e il suo gemellino Ostellino), e cioè all'ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida. Il quale, interpellato il 18 giugno da Liana Milella su "la Repubblica", ha spiegato come e qualmente chi cita la sentenza della Consulta che nel 2004 bocciò il primo Lodo e sostiene che questo secondo la recepisce, non ha capito nulla: «La prerogativa di rendere temporaneamente improcedibili i giudizi per i reati commessi al di fuori dalle funzioni istituzionali dai titolari delle più alte cariche potrebbe eventualmente essere introdotta solo con una legge costituzionale, proprio come quelle che riguardano parlamentari e ministri... La bocciatura del vecchio lodo nel 2004 da parte della Consulta è motivata dalla violazione del principio di uguaglianza dei cittadini quanto alla sottoposizione alla giurisdizione penale». L'unica soluzione per derogare all'articolo 3 è modificare eventualmente la Costituzione (con doppia lettura alla Camera e doppia lettura al Senato, e referendum confermativo in mancanza di una maggioranza dei due terzi). E non con una legge che sospenda automaticamente i processi alle alte cariche: sarebbe troppo. Ma, al massimo, con una norma che ­ spiega Onida - «introduca una forma di autorizzazione a procedere che consentirebbe di valutare la concretezza dei singoli casi. Ragiono su ipotesi, perché gli ‘scudi' sono da guardare sempre con molta prudenza... La sospensione non dovrebbe essere automatica, ma conseguire al diniego di una autorizzazione a procedere. E comunque la legge costituzionale resta imprescindibile». Insomma, quando Angelino Jolie sbandiera la «piena coincidenza del Lodo con le indicazioni della Consulta», non sa quel che dice. La rinunciabilità del Lodo non significa nulla (comunque Berlusconi, l'unico ad averne bisogno, non vi rinuncerà mai: altrimenti non l'avrebbe fatto). E la possibilità della vittima di ricorrere subito in sede civile contro l'alta carica che le ha causato il danno, se non fosse tragica, sarebbe ridicola: uno dei quattro presidenti si mette a violentare ragazze o a sparare all'impazzata, ma i giudici non lo possono arrestare (nemmeno in flagranza di reato), nè destituire dall'incarico fino al termine della legislatura; in compenso le vittime, se sopravvivono, possono andare dal giudice civile a chiedere qualche euro di risarcimento... Che cos'è: uno scherzo? L'unica differenza sostanziale tra il vecchio e il nuovo Lodo è che stavolta vale per una sola legislatura: non per un premier che viene rieletto, nè per un premier (uno a caso) che passa da Palazzo Chigi al Quirinale. Ma ciò vale fino al termine di questa legislatura. Dopodiché Berlusconi, una volta rieletto o asceso al Colle, potrà agevolmente far emendare il Lodo, sempre per legge ordinaria, e concedersi un'altra proroga di 5 o di 7 anni.

A questo punto si spera che il capo dello Stato non voglia cacciarsi nell'imbarazzante situazione in cui si trovò nel 2004 Carlo Azeglio Ciampi: il quale firmò (e secondo alcuni addirittura ispirò tramite l'amico Antonio Maccanico) il Lodo, e sei mesi dopo fu platealmente smentito dalla Corte costituzionale. Uno smacco che, se si dovesse ripetere, danneggerebbe la credibilità di una delle pochissime istituzioni ancora riconosciute dai cittadini: quella del Garante della Costituzione. Quando una legge è manifestamente, ictu oculi, illegittima, il capo dello Stato ha non solo la possibilità, ma il dovere di rinviarla al mittente prima che lo faccia la Consulta. In ogni caso, oltre al doppio filtro del Quirinale e della Consulta, c'è anche quello dei cittadini. Che, tanto per cominciare, scenderanno in piazza a Roma l'8 luglio contro questa e le altre leggi-canaglia. Dopodiché potranno raderle al suolo con un referendum, già preannunciato da Grillo e Di Pietro. Si spera che anche il Pd ­ se non gli eletti, almeno gli elettori ­ vi aderirà. Secondo Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, «il Lodo deve valere dalla prossima legislatura». Forse non ha pensato che così il Caimano si porterebbe dietro lo scudo spaziale anche al Quirinale.


Pubblicato il: 28.06.08
Modificato il: 28.06.08 alle ore 8.28   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Caro Silvio tuo Giorgio
Inserito da: Admin - Luglio 05, 2008, 05:11:37 pm
Marco Travaglio.

Caro Silvio tuo Giorgio


Il presidente della repubblica Napolitano avrebbe dovuto scrivere una lettera al premier Berlusconi, ma non l'ha mai inviata  Giorgio NapolitanoEcco la lettera che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non ha inviato al premier, Silvio Berlusconi. "Caro Silvio, scusa se ti distolgo dai provini di Raifiction, ma come capo dello Stato, presidente del Csm e garante supremo della Costituzione, alcuni dubbi mi assalgono. La lettera al presidente del Senato in cui ti assolvi da solo mi aveva quasi convinto della tua innocenza. Poi ho letto la lettera dell'avvocato Mills al suo commercialista a proposito di quei 600 mila dollari come 'regalo' per le sue false testimonianze in tuo favore, e le tue telefonate con Agostino Saccà.

E son tornato al punto di partenza. Meglio lasciarlo stabilire dai giudici, se sei colpevole o innocente: li paghiamo per questo. Tu dici che sono prevenuti: lo penso anch'io, infatti finora han sempre trovato il modo di salvarti, fra prescrizioni, attenuanti generiche e insufficienze di prove. Tu dici che non hai tempo per governare e preparare le udienze, ma ti sottovaluti: alla peggio, puoi sempre rubare un po' di tempo ad Apicella e alle 'fanciulle' di Raifiction. Vedrai che ce la fai. E poi dovevi pensarci prima: quando un imputato si candida a premier, il rischio di essere condannato una volta eletto lo mette in conto. Tu dici che gli italiani ti hanno votato: appunto, pensavano che il processo andasse avanti.

Anche perché ti eri dimenticato di avvertirli che avresti usato i loro voti come un giudizio di Dio sostitutivo a quello dei giudici, per giunta con un Lodo Barabba imposto da te medesimo. Tu dici che l'immagine dell'Italia all'estero verrebbe guastata da una tua condanna per corruzione. Ma se la dai per scontata, qualcuno penserà che sei colpevole. E poi mettiti nei miei panni: sarebbe molto peggio, per l'Italia che io rappresento, tenersi per cinque anni un premier che non si sa se sia un perseguitato o un corruttore. Tu ricordi che fino al '93 c'era l'immunità parlamentare, ma ricordi male: la Costituzione consentiva alle Camere di negare l'autorizzazione a procedere in caso di 'fumus persecutionis', cioè di qualche parlamentare perseguitato da toghe politicizzate senza uno straccio di prova. Ma qui le prove non vengono da toghe più o meno politicizzate, bensì dal tuo consulente Mills e dalla tua voce registrata al telefono con l'amico Saccà.

E poi l'immunità era stata pensata dai padri costituenti per difendere le opposizioni da eventuali agguati di giudici legati al governo con accuse per reati politici, non per proteggere il capo del governo da accuse per reati comuni. Tu dici che 'nelle altre democrazie' il Lodo Schifani-Alfano esiste già. Ho chiesto in giro e - a parte che nessuno conosce Schifani né Alfano - mi han detto che i premier non hanno immunità in nessuna democrazia del mondo. Sono immuni solo i re e il presidente della Repubblica francese. Quindi non firmo. Se ne riparla se e quando prenderai il mio posto. O quando ti sarai incoronato Re d'Italia. Tuo Giorgio".

(04 luglio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Io difendo quel palco
Inserito da: Admin - Luglio 10, 2008, 05:17:39 pm
Io difendo quel palco

Marco Travaglio


Caro Direttore,
quando tutta la stampa (Unità compresa), tutte le tv e persino alcuni protagonisti dicono la stessa cosa, e cioè che l’altroieri in Piazza Navona due comici (Beppe Grillo e Sabina Guzzanti) e un giornalista (il sottoscritto) avrebbero “insultato” e addirittura “vilipeso” il capo dello Stato italiano e quello vaticano, la prima reazione è inevitabile: mi sono perso qualcosa? Mi sono distratto e non ho sentito alcune cose - le più gravi - dette da Beppe, da Sabina e da me stesso? Poi ho controllato direttamente sui video, tutti disponibili su You Tube e sui siti di vari giornali, ma non vi ho ritrovato ciò che è stato scritto e detto da tv e giornali.

Nessuno ha insultato né vilipeso Giorgio Napolitano né Benedetto XVI. Nessuno ha “rovinato una bella piazza”. È stata, come tu hai potuto constatare de visu, una manifestazione di grande successo, sia per la folla, sia per la qualità degli interventi (escluso ovviamente il mio). Per la prima volta si sono fuse in una cinque piazze che finora si erano soltanto sfiorate: quella di Di Pietro, quella di molti elettori del Pd, quella della sinistra cosiddetta radicale, quella dei girotondi e quella dei grillini, non sempre sovrapponibili. E un minimo di rigetto era da mettere in conto. Ma è stata una bella piazza plurale, sia sotto che sopra il palco: idee, linguaggi, culture, sensibilità, mestieri diversi, uniti da un solo obiettivo. Cacciare il Caimano. Le prese di distanze e i distinguo interni, per non parlare delle polemiche esterne, sono un prodotto autoreferenziale del Palazzo (chi fa politica deve tener conto degli alleati, delle opportunità, degli elettori, di cui per fortuna gli artisti e i giornalisti, essendo “impolitici”, possono tranquillamente infischiarsi). La gente invece ha applaudito Grillo e Sabina come Colombo (anche quando ha chiesto consensi per Napolitano), Di Pietro, Flores e gli altri oratori, ma anche i politici delle più varie provenienze venuti a manifestare silenziosamente. Applausi contraddittorii, visto che gli applauditi dicevano cose diverse? Non credo proprio. Era chiaro a tutti che il bersaglio era il regime berlusconiano con le sue leggi canaglia, compresi ovviamente quanti non gli si oppongono.

Come mai allora questa percezione non è emersa, nemmeno nei commenti delle persone più vicine, come per esempio te e Furio? Io temo che viviamo tutti nel Truman Show inaugurato 15 anni fa da Al Tappone, che ci ha imposto paletti (anche mentali) sempre più assurdi e ci ha costretti, senza nemmeno rendercene conto, a rinunciare ogni giorno a un pezzettino della nostra libertà. Per cui oggi troviamo eccessivo, o addirittura intollerabile, ciò che qualche anno fa era normale e lo è tuttora nel resto del mondo libero (dove tra l’altro, a parte lo Zimbabwe, non c’è nulla di simile al governo Al Tappone). In Italia l’elenco delle cose che non si possono dire si allunga di giorno in giorno. Negli Stati Uniti, qualche anno fa, uscì senz’alcuno scandalo un libro di Michael Moore dal titolo «Stupid White Man» (pubblicato in Italia da Mondadori...), tutto dedicato alle non eccelse qualità intellettive del presidente Bush. Da dieci anni l’ex presidente Clinton non riesce a uscire da quella che è stata chiamata la «sala orale». In Francia, la tv pubblica ha trasmesso un programma satirico in cui un attore, parodiando il film «Pulp Fiction» in «Peuple fiction», irrompe nello studio del presidente Chirac, lo processa sommariamente per le sue innumerevoli menzogne, e poi lo fredda col mitra. A nessuno è mai venuto in mente di parlare di «antibushismo», di «anticlintonismo», di «antichirachismo», di «insulti alla Casa Bianca» o di «vilipendio all’Eliseo». Tanto più alta è la poltrona su cui siede il politico, tanto più ampio è il diritto di critica e di satira e anche di attacco personale. Quelli che son risuonati l’altroieri in piazza Navona non erano «insulti». Erano critiche. Grillo, insolitamente moderato e perfino affettuoso, ha detto che «a Napolitano gli voglio bene, ma sonnecchia come Morfeo e firma tutto», compreso il via libera al lodo Alfano che crea una «banda dei quattro» con licenza di delinquere. Ha sostenuto che Pertini, Scalfaro e Ciampi non l’avrebbero mai firmato (sui primi due ha ragione: non su Ciampi, che firmò il lodo Schifani). E ha ricordato che l’altro giorno, mentre Napoli boccheggia sotto la monnezza, il presidente era a Capri a festeggiare il compleanno con la signora Mastella, reduce dagli arresti domiciliari, e Bassolino, rinviato a giudizio per truffa alla Regione che egli stesso presiede. Tutti dati di fatto che possono essere variamente commentati: non insulti o vilipendi. Io, in tre parole tre, ho descritto la vergognosa legge Berlusconi che istituisce un’«aggravante razziale» e dunque incostituzionale, punendo ­ per lo stesso reato - gli immigrati irregolari più severamente degli italiani, e mi sono rammaricato del fatto che il Quirinale l’abbia firmata promulgando il decreto sicurezza. Nessun insulto: critica. Veltroni sostiene che io avrei «insultato» anche lui, e che «non è la prima volta».

Lo invito a rivedersi il mio intervento: nessun insulto, un paio di citazioni appena; per il resto la cronistoria puntuale dell’ennesima resurrezione di Al Tappone dalle sue ceneri grazie a chi ­ come dice Furio Colombo ­ «confonde il dialogo con i suoi monologhi». Sono altri dati di fatto, che possono esser variamente valutati, ma non è né insulto né vilipendio. O forse il Colle ha respinto al mittente qualche legge incostituzionale, e non me ne sono accorto? Sono o non sono libero di pensare e di dire che preferivo Scalfaro e i suoi no al Cavaliere? Oppure la libertà di parola, conquistata al prezzo del sangue dai nostri padri, s’è ridotta a libertà di applauso? Forse qualcuno dimentica che quella c’è anche nelle dittature. È la libertà di critica che contraddistingue le democrazie. Se poi a esercitarla su temi quali la laicità, gli infortuni sul lavoro, l’ambiente, la malafinanza, la malapolitica, il precariato, la legalità, la libertà d’informazione sono più i comici che i politici, questa non è certo colpa dei comici.

Poi c’è Sabina. Che ha fatto, di tanto grave, Sabina? Ha usato fino in fondo il privilegio della satira, che le consente di chiamare le cose con il loro nome senza le tartuferie e le ipocrisie del politically correct, del politichese e del giornalese: ha tradotto in italiano, con le parole più appropriate, quel che emerge da decine di cronache di giornale sulle presunte telefonate di una signorina dedita ad antichissime attività con l’attuale premier, che poi l’ha promossa ministra. Enrico Fierro ha raccolto l’altro giorno, su l’Unità, i pissi-pissi-bao-bao con cui i giornali di ogni orientamento, da Repubblica al Corriere, dal “Riformatorio” financo al Giornale, han raccontato quelle presunte chiamate (con la “m”). Ci voleva un quotidiano argentino, il Clarin, per usare il termine che comunemente descrive queste cose in Italia: «pompini», naturalmente di Stato. Quello di Sabina è stato un capolavoro di invettiva satirica, urticante e spiazzante come dev’essere un’invettiva satirica, senza mediazioni artistiche né perifrasi. Gli ignorantelli di ritorno che gridano «vergogna» non possono sapere che già nell’antica Atene, Aristofane era solito far interrompere le sue commedie con una «paràbasi», cioè con un’invettiva del corifeo che avanzava verso il pubblico e parlava a nome del commediografo, dicendo la sua sui problemi della città. Anche questa è satira (a meno che qualcuno non la confonda ancora con le barzellette). Si dirà: ma Sabina ha pure mandato il papa all’inferno. Posso garantire che, diversamente da me, lei all’inferno non crede. Quella era un’incursione artistica in un genere letterario inaugurato, se non ricordo male, da Dante Alighieri. Il quale spedì anticipatamente all’inferno il pontefice di allora, Bonifacio VIII, che non gli piaceva più o meno per le stesse ragioni per cui questo papa non piace a lei e a molti: le continue intromissioni del Vaticano nella politica. Anche Dante era girotondino? Il fatto è che un vasto e variopinto fronte politico-giornalistico aveva preparato i commenti alla manifestazione ancor prima che iniziasse: demonizzatori, giustizialisti, estremisti, forcaioli, nemici delle istituzioni, e ovviamente alleati occulti del Cavaliere. Qualunque cosa fosse accaduta, avrebbero scritto quel che hanno scritto. Lo sapevamo, e abbiamo deciso di non cedere al ricatto, parlando liberamente a chi era venuto per ascoltarci, non per usarci come pedine dei soliti giochetti. Poi, per fortuna, a ristabilire la verità sono arrivati i commenti schiumanti di Al Tappone e di tutto il centrodestra: tutti inferociti perché la manifestazione spazza via le tentazioni di un’opposizione più morbida o addirittura di un inciucio sul lodo Alfano (ancora martedì sera, a Primo Piano, due direttori della sinistra «che vince», Polito e Sansonetti, proclamavano in stereo: «Chi se ne frega del lodo Alfano»). La prova migliore del fatto che la manifestazione contro il Caimano e le sue leggi-canaglia è perfettamente riuscita.

Pubblicato il: 10.07.08
Modificato il: 10.07.08 alle ore 13.42   
© l'Unità.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Premier con scudo spaziale
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2008, 10:36:09 pm
Marco Travaglio

Premier con scudo spaziale


L'attacco di Berlusconi alla Magistratura si basa sui numeri dei processi e dei magistrati impegnati nella persecuzione giudiziaria. Sono dati precisi, puntuali ma falsi  Nicoletta GandusQuando dà i numeri, il Cavaliere li dà precisi. Falsi, ma precisi. A volte con la virgola. Una tecnica che funziona sempre. Ora ha riattaccato col pianto greco sulla persecuzione giudiziaria, straparlando di "587 ispezioni" e "2.500 processi" che avrebbero impegnato "789 magistrati" (900 per l'on. avvocato Ghedini) e "128 avvocati" che gli sarebbero costati "174 milioni". Molti 'liberali' del tipo Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino e Giannino, hanno prontamente abboccato. Impietositi dalla sua grama esistenza, auspicano lo scudo spaziale per proteggerlo dall''anomalia' delle eccessive attenzioni togate. Ma qui l'unica anomalia è un capo-azienda divenuto premier per salvarsi dai processi. E racconta bugie per rivoltare la frittata.

In Italia esistono 9 mila magistrati (compresi quelli civili): l'idea che uno su 10 si sia occupato di lui è ridicola. Saranno a dir tanto 2-300. Troppi? No, se si pensa che Berlusconi, i suoi cari (fornitori abituali dei tribunali come il fratello Paolo, Previti e Dell'Utri) e le sue aziende (comprese le 64 off-shore fuori bilancio) hanno subìto una trentina d'indagini tra Milano, Brescia, Torino, Firenze, Napoli, Roma, Palermo, Caltanissetta.

Lui è stato rinviato a giudizio 12 volte in Italia e una in Spagna. E ogni processo impegna almeno un pm, un gip, un gup, 3 giudici di tribunale, un pg e 3 giudici d'appello, un pg e 5 giudici di Cassazione: 16 toghe in tutto. Se poi l'imputato ricusa il giudice, ne mobilita ogni volta altri 10 (un pg e 3 giudici d'appello, un pg e 5 giudici di Cassazione): e lui, con i suoi coimputati, l'ha fatto 15 volte. Senza contare mezza dozzina di istanze di rimessione a Brescia per legittimo sospetto (esaminate ogni volta da un pg e 5 giudici di Cassazione).

E i continui ricorsi contro ogni sequestro. Difficile lamentarsi per le troppe toghe che perdono tempo appresso a lui.
Saranno troppe le indagini? La stessa tesi sostenne, per la Fiat, Cesare Romiti imputato a Torino nel '95: "Abbiamo ricevuto 345 visite della Finanza. Se lo sa Berlusconi si offende, lui vuol essere sempre il primo, ma è arrivato solo a 100-112...". In realtà per la Fininvest, come per gli altri grandi gruppi, le indagini non sono né poche né tante: sono quelle nate dalle notizie di reato giunte ai pm, quasi sempre per caso. La denuncia di un sottufficiale sulle tangenti alla Finanza. Le rivelazioni di Stefania Ariosto sulle mazzette di Previti ai giudici. Le false fatture confessate dai manager di Publitalia. Le tracce, sui conti esteri di Craxi, di 21 miliardi targati Fininvest. La confessione del presidente del Torino Borsano sui fondi neri del Milan per il calciatore Lentini. La lettera di David Mills al suo commercialista sulle false testimonianze per 600 mila dollari.

Le telefonate Saccà-Berlusconi. E così via. In effetti c'è qualcuno che potrebbe lamentarsi. È Di Pietro: 28 indagini a Brescia (alcune su denuncia del Cavaliere) e 8 richieste di rinvio a giudizio, sempre prosciolto perché innocente. Una vera persecuzione.

(11 luglio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Oltraggio a Falcone
Inserito da: Admin - Luglio 18, 2008, 05:37:59 pm
Oltraggio a Falcone

Marco Travaglio


Ogni anno, nella ricorrenza della strage di via d’Amelio, si trova il modo di commemorare Borsellino e Falcone. Quattro anni fa l’estromissione dal pool antimafia palermitano dei loro amici e allievi prediletti. Due anni fa il reintegro in Cassazione del loro nemico giurato Corrado Carnevale. Ma quest’anno, va detto, il Csm si è superato. L’altroieri è riuscito a nominare procuratore capo di Marsala il celebre Alberto Di Pisa, altro avversario irriducibile di Falcone, preferendolo ad Alfredo Morvillo, che di Falcone è pure il cognato e che ha dovuto lasciare l’incarico di procuratore aggiunto a Palermo per la scriteriata controriforma Castelli-Mastella. Di Pisa è prevalso al plenum per un solo voto perché più «anziano» di Morvillo.

Lo stesso motivo che nel ’90 indusse il Csm a nominare Antonino Meli a capo dell’ufficio istruzione di Palermo contro il più esperto ma più giovane Falcone. Lo stesso motivo che nel 1989 aveva indotto Leonardo Sciascia ad attaccare sciaguratamente Borsellino sul Corriere come «professionista dell’antimafia», per essere stato preferito a un collega più vecchio proprio come procuratore di Marsala. Ora, vent’anni dopo, l’anzianità torna a prevalere sul merito grazie ai laici del centrodestra, ai togati di MI e di Unicost e al soccorso rosso della laica Ds Tinelli.

Chi è Di Pisa? L’ex pm del pool Antimafia di Palermo che Falcone considerava l’autore delle lettere anonime del «corvo» nei mesi dei veleni a palazzo di giustizia. Lettere che accusavano Falcone e De Gennaro di manipolare i pentiti e di aver addirittura consentito a Totuccio Contorno di tornare a Palermo per assassinare i nemici della sua famiglia. Per quelle lettere Di Pisa fu processato a Caltanissetta: condannato in primo grado perché un’impronta rinvenuta sulle lettere del corvo corrispondeva in molti punti con la sua, comparata con una sua prelevata di nascosto dall’alto commissario Domenico Sica su una tazzina di caffè. In appello fu poi assolto perché quella prova fu giudicata inutilizzabile. Dunque, per la legge, Di Pisa è innocente.

Ma, anche dimenticando quella vicenda, restano e pesano come macigni le terribili accuse lanciate da Di Pisa a Falcone nell’audizione al Csm il 21 settembre 1989, quando fu chiamato a rispondere della sua fama di «anonimista» impenitente raccontata da alcuni colleghi. Quel giorno Di Pisa dichiarò quanto segue: «Disapprovo la gestione dei pentiti e i metodi d’indagine inopinatamente adottati nell’ambiente giudiziario palermitano (…), una certa concezione di intendere il ruolo del giudice e lo stravolgimento dei ruoli e delle competenze istituzionali (…), l’interferenza del giudice con la funzione dell’organo di polizia giudiziaria (…). Falcone prese contatti e impegni con le autorità americane a titolo non si sa bene come, concernenti provvedimenti di competenza della corte d’appello (....) Il GI (Falcone) si trasforma anche in ministro di Grazia e giustizia (…). Emerge la figura del giudice “planetario” che si occupa di tutto e di tutti, invade le competenze, ascolta i pentiti e non trasmette gli atti alla Procura (…), indaga al di là di quello che è il processo (…). Una gestione dei pentiti familiare e gravemente scorretta, per non usare aggettivi più pesanti (…). Falcone portava i cannoli a Buscetta e Contorno (…), un rapporto confidenziale, una logica distorta tra inquirente e mafioso (…). Falcone fece pervenire tramite De Gennaro a Contorno e Buscetta i suoi complimenti per il modo sicuro in cui si erano comportati (al maxiprocesso, ndr). Voleva un ruolo passivo per il pm che assisteva agli interrogatori (…). La gestione dei pentiti e il contatto con gli stessi è stato sempre monopolio esclusivo del collega Falcone e di De Gennaro (…). Io avevo manifestato una differenziazione tra una posizione garantista e quella sostanzialista (di Falcone, ndr). Per carità, non voglio insinuare nulla, ma in tutti gli interrogatori dei pentiti, di Buscetta, di Contorno, di Calderone, non vi sono contestazioni: tutto un discorso che fila, mai un rilievo, mai una contraddizione fatta rivelare dall’imputato». E ancora: Di Pisa accusò Falcone di condotte «di inaudita gravità» e di «stravolgere le regole e le competenze istituzionali», nonché di «intrecci e alleanze con i giornalisti».

Accuse che toccheranno, uguali identiche, ai successori di Falcone, cioè a Caselli e ai suoi uomini, ai quali verrà addirittura rinfacciata «l’eredità di Falcone», divenuto ­ dopo morto ammazzato ­ un cadavere da gettare addosso a chi aveva raccolto la sua eredità. Ora si fa un altro passo indietro: si premia chi quelle accuse lanciava non a Caselli e agli altri pm antimafia che hanno avuto il torto di restare vivi, ma all’eroico Falcone. Del resto, oggi, il nuovo eroe è Vittorio Mangano.

Pubblicato il: 18.07.08
Modificato il: 18.07.08 alle ore 12.56   
© l'Unità.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Piazza piena partito vuoto
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2008, 08:24:34 am
Marco Travaglio


Piazza piena partito vuoto


Quasi un terzo degli italiani a destra e a sinistra approvano quanto avvenuto al "No-Cav Day". Così mentre in piazza i girotondi riescono a comunicare con gli elettori del Pd e con la destra, Veltroni e i suoi rimangono chiusi nei loro palazzi  Sabina Guzzanti sul palco di piazza NavonaGli 'esperti' che sanno sempre tutto l'avevano deciso fin dalla vigilia: la manifestazione in piazza Navona contro le "leggi canaglia" sarebbe stata "un regalo al Cavaliere". Dopo, censurando con abile taglia e cuci tutte le parole contro Berlusconi e citando solo un paio di interventi che criticavano anche Napolitano, Veltroni e il papa, sono riusciti a dimostrare di aver previsto giusto.

Purtroppo, a smentirli platealmente ha provveduto lo stesso premier, che del gran favore ricevuto non s'è proprio accorto: infatti ha graziosamente qualificato i manifestanti come "spazzatura" (ma lui non è un comico, dunque i suoi non sono insulti, bensì amabili battute da statista).

Poi è arrivato un clamoroso sondaggio di Renato Mannheimer, nascosto dal 'Corriere della Sera' sotto il titolo: 'Corteo bocciato dal 55%. Pd, maggioranza a favore'. La vera notizia non è la scontatissima bocciatura della maggioranza degli italiani, che tra l'altro non rispondevano su quel che è davvero accaduto, ma su quel che han sentito raccontare.

La vera notizia è che il 29,4 per cento, quasi un terzo degli italiani, approvano quella che stampa e tv hanno dipinto come un'orgia di insulti, scurrilità, attacchi alla democrazia. Tra questi c'è il 48 per cento degli elettori del Pd (solo il 39 sposa la scomunica di Veltroni & C.) e, udite udite, persino il 22 per cento dei leghisti e il 12 dei berluscones. Del resto, secondo i calcoli di Ilvo Diamanti su 'Repubblica', il governo Berlusconi è al 44 per cento di gradimento contro il 69 del Prodi pre-indulto. E negli ultimi due mesi son precipitati sia il Cavaliere (- 15 punti), sia Uòlter (- 25).

Insomma la battaglia per la legalità contro il lodo, il bloccaprocessi e il bavaglio alla stampa e ai magistrati su intercettazioni e dintorni fa il pieno tra i piddini e fa pure breccia nel popolo della destra. E dire che, per lo stato maggiore del Pd, quelle "non sono priorità".


Chiusi nel palazzo, Uòlter e i suoi boys pensano di risalire dal baratro elettorale dialogando con le nomenklature del Pdl, della Lega e persino dell'Udc di Casini & Cuffaro. Intanto in piazza Di Pietro, 'Micromega', i girotondi e i disprezzatissimi comici riescono a comunicare con gli elettori della destra. Notizia clamorosa che spazza via fiumi di parole e d'inchiostro versati a vanvera.

Il catastrofismo narcisista di Moretti ("Sono avvilito, organizzatori irresponsabili, che disastro"). La consueta teoria dalemiana dell'"autogol che fa il gioco della destra". L'ennesimo scaricabarile veltroniano: "Berlusconi ha goduto, la sceneggiatura pareva scritta da lui. Se avessi portato in piazza il Pd, saremmo un cumulo di macerie. Le posizioni alla Sabina Guzzanti hanno portato Alemanno in Campidoglio".

Curiosa teoria: in piazza Uòlter non c'era, ma c'era - idealmente o fisicamente - metà del suo elettorato. Contro Alemanno la Guzzanti non c'era: c'era Rutelli. Così come, alle elezioni politiche, Prodi non c'era: c'era Veltroni. Ma i leader hanno sempre ragione. Sono gli elettori che non capiscono.

(18 luglio 2008)


da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Varie (spero non in decadenza ndr).
Inserito da: Admin - Luglio 22, 2008, 02:20:06 pm
Marco Travaglio



I figli sò piezz'e Bossi


"Dopo trent'anni di scuola di sinistra, di esami di sinistra, di professori di sinistra, di presidi di sinistra i nostri ragazzi sono disorientati. I nostri studenti hanno bisogno di essere guidati da uno come Umberto Bossi. E non è possibile che vengano professori da ogni parte a togliere il lavoro agli insegnanti del Nord. Loro vogliono sentir parlare solo di Pirandello e Sciascia
e non di un federalista come Carlo Cattaneo. Così abbiamo proposto una riforma che faccia in modo che chi non conosce il Veneto, la sua storia, la sua lingua, la sua cultura, non possa venire ad insegnare in Veneto".
(Paola Goisis, Lega Nord, membro della commissione Cultura della Camera, Adnkronos, Padova, 20 luglio 2008).

"Dopo il federalismo bisogna passare anche alla riforma della scuola. Non possiamo lasciare martoriare i nostri figli da gente (i professori, ndr) che non viene dal Nord. Il problema della scuola è molto sentito perché tocca tutta la famiglia. E' la verità, un nostro ragazzo è stato bastonato agli esami perché aveva presentato una tesina sul federalista Carlo Cattaneo. Questi sono crimini contro il nostro popolo e devono finire. La Padania ormai è nel cuore di tutti. Noi ai bambini insegnamo fin da quando nascono che non siamo schiavi e non lo siamo mai stati".
(Umberto Bossi, ministro delle Riforme istituzionali, Rainews24 e Apcom, 20 luglio 2008).

"Ma la tesina è solo una parte dell'esame e il ragazzo (Renzo, figlio di Umberto Bossi, respinto per la seconda volta all'esame di maturità, ndr) ha dovuto sostenere anche tre prove scritte e un esame orale. Non ha seguito gli studi da noi, si è presentato da privatista; non so che tipo di preparazione abbia seguito ma purtroppo la somma di tutte le prove non ha raggiunto il punteggio di 60, il minimo per la promozione".
(don Gaetano Caracciolo, rettore del Collegio Arcivescovile "Bentivoglio" di Tradate, Corriere della Sera, 11 luglio 2008).

(21 luglio 2008)


da repubblica.it



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Coglione miracoloso
"... Berlusconi poi ha fatto i miracoli... Stava a Napoli due giorni alla settimana. Lo vedevo che partiva dopo il Consiglio dei ministri. Adesso il problema è quasi risolto. Ha fatto riaprire i termovalorizzatori che quei pazzi di magistrati avevano chiuso. Io ho detto che la decisione se accogliere i rifiuti sarebbe stata presa dalle Regioni. Voglio vedere cosa faranno le Regioni della sinistra. La sinistra sa che se risolviamo il problema dei rifiuti loro non prendono più un voto. Adesso ne è rimasta una piccola quantità qualche carrettata... Al Nord cosa gliene frega di un sacco di rifiuti e basta? Berlusconi è andato pure da Gheddafi in Libia, con quel caldo... Sulla sicurezza e sugli immigrati Maroni sta facendo un grande lavoro. Vuole usare anche i satelliti per controllare i confini...". (Umberto Bossi, ministro delle Riforme istituzionali, a La Stampa, 30 giugno 2008).

"Tutti sanno che Berlusconi un po' è perseguitato, un po' è coglione lui. Per parlare di certe cose al telefono...".
(Umberto Bossi, ministro delle Riforme istituzionali, Telelombardia, 7 luglio 2008).

(10 luglio 2008)


da repubblica.it
La Patetica

"Berlusconi vuole far entrare i giovani in Forza Italia... Due giovani? Direi Angelino Alfano, che è un quarantenne, ancora che deve fare credo, e molto, molto bravo... E Mara Carfagna" (Marcello Dell'Utri, FI, intervistato a "In mezz'ora", Rai3, 25
novembre 2007)

"Lino Jannuzzi dice di averla scoperta lui, con Sandro Bondi. 'Era la campagna elettorale di due anni fa in Campania, quando l'abbiamo notata ad un comizio, non solo per la sua bellezza, ma soprattutto per come parlava. Sandro era già pronto a dedicarle una poesia, io ho preferito dirle 'brava per le cose che diceva. Poi, dato che Berlusconi insisteva che anche ai sommi vertici del partito bisognava lanciare le donne, gli dissi che ne avevo trovata una che era all'altezza'...

C'è il racconto della Carfagna. La famiglia è tutta di destra: il papà, Salvatore, preside in un istituto tecnico femminile di Salerno, e la mamma, Angela, insegnante di Educazione fisica. Ai genitori la carriera televisiva non piaceva. Bondi - dopo la scoperta di cui parla Jannuzzi - le offrì di lavorare per la sezione femminile del partito, poi la fece coordinatrice regionale campana. Il padre era molto contento e, quando arrivò il momento dell'incontro con Berlusconi, la accompagnò a palazzo Grazioli.

La Carfagna fu fatta accomodare al pianoforte e suonò Era de maggio e poi un movimento della "Patetica" di Beethoven. Bisogna sapere che Mara ha fatto il Conservatorio, ha studiato danza e s'è laureata in Legge con 110 e lode. Tutti titoli acquisiti in un'epoca in cui Berlusconi non faceva parte della sua vita. In ogni caso, quel famoso giorno il Cavaliere la rimproverò perché non sapeva abbastanza pezzi a memoria. Poi nel 2006 la candidò alla Camera" (Giorgio Dell'Arti, Gazzetta dello Sport, 11 luglio 2008)

"Basta con questa storia delle fidanzate. Noi a differenza di Veltroni non abbiamo candidato nessuna segretaria. Inoltre tutte le donne che abbiamo eletto l'altra volta si sono dimostrate capaci. Pensate alla Carfagna: io conoscevo il padre, lei ha fatto l'insegnante di danza, ha partecipato anche a una trasmissione tv, ma in Parlamento ha lavorato molto bene" (Silvio Berlusconi, La Stampa, 9 marzo 2008)

"Sono stata segnata nell'animo da Forza Italia fin dalla sua fondazione... Berlusconi é un grande uomo. Un uomo vero. Un uomo che, tra l'altro, mi onora della sua stima... Mi piacciono uomini decisamente più giovani. Casomai, ecco, lo considero come un papà... Comunque, sia chiara una cosa: anche se mi corteggiano, io so difendermi perfettamente... lo scriva pure, così chiariamo subito la situazione. Se sono fidanzata? No. Sa, ho gusti un po' complicati..." (Mara Carfagna, Corriere della Sera, 28 aprile 2006).

"Io parlo solo ai piccioni viaggiatori" (Mara Carfagna, ministro delle Pari opportunità, 9 luglio 2008)

(18 luglio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Viene fuori il meglio
Inserito da: Admin - Luglio 22, 2008, 11:52:51 pm
Marco Travaglio


Viene fuori il meglio

"I giudici devono essere eletti. Io non scarico i miei alleati. La riforma della giustizia è una cosa che vuole Berlusconi. E se la vuole lui, va bene anche a me. Il federalismo fiscale e la riforma della giustizia possiamo farli tutti e due. Noi andiamo avanti col federalismo, sulla giustizia sentiremo le ragioni di Berlusconi. Il federalismo lo portiamo a casa. Sono andato venerdì a Roma a controllare che fosse tutto a posto. Ormai è scritto tutto. Non è finto. La magistratura è un problema e non solo per il Nord. Non c'è un solo magistrato del Nord e questo non va bene. Bisogna far eleggere i magistrati dal popolo. Così possiamo sperare che venga fuori il meglio" (Umberto Bossi, ministro delle Riforme istituzionali, Il Giornale, 20 luglio 2008)

"Brooklyn, New York. Le accuse nei confronti di Clarence Norman, leader locale del Partito Democratico, sono state il primo passo nell'indagine sulla vendita dei posti di giudice a Brooklyn. Norman é accusato di tenere sotto controllo un torbido sistema grazie al quale i candidati che concorrono alla carica di giudice di tribunale ricevono una specie di investitura da parte del Partito Democratico. Le difficoltà incontrate a New York da parte dei candidati impegnati nella campagna elettorale per un posto di giudice, fanno sì che venga invariabilmente eletto il candidato sostenuto dal partito di maggioranza.
Recentemente alcuni dei candidati sostenuti da Norman sono finiti nei guai. Sono accusati di avere ricevuto denaro da alcuni imputati e di averne dato a loro volta a vari organismi controllati da Norman. Uno di loro é già in carcere, un altro é stato incriminato. Due giudici sostengono di essere stati minacciati di perdere il sostegno del Partito Democratico se non avessero versato dei contributi. Un ex-giudice del tribunale civile ha dichiarato che Norman avrebbe minacciato di ritirare il suo nome da quelli dei candidati alle elezioni se avesse rifiutato di servirsi dei suoi costosissimi consulenti per la campagna elettorale.
Il problema si é manifestato in tutta la sua gravità solo nell'autunno scorso, quando una madre disperata ha dichiarato che un altro candidato di Norman, il giudice Gerald Garson, aveva affidato all'ex-marito la custodia dei due figli in cambio di una somma di denaro. Garson é stato incriminato per corruzione, e pare che il fatto costituisca un ulteriore elemento atto a confermare l'impressione del Procuratore Distrettuale di Brooklyn, Charles Hynes, che i posti di giudice siano in vendita" (The Economist, 23 ottobre 2003)

(22 luglio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Parole di grande stima
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2008, 12:11:51 am
Marco Travaglio


Parole di grande stima

"Di Del Noce ho sempre avuto parole di grande stima, suvvia..."
(Agostino Saccà, Corriere della sera, 17 luglio 2008)

Giancarlo Innocenzi: "Sono reduce da un incontro con il grande Capo (Berlusconi, ndr) e abbiamo fatto un po' di ragionamento di politica. Si è deciso a dare un'accelerazione, una spallata a questi qua. Lui ti ha citato perché ha detto che c'è una persona sulla quale stai lavorando tu (il senatore calabrese di centrosinistra Pietro Fuda, ndr). Dopodiché, siccome io sto lavorando con Tex (il senatore Willer Bordon, ndr) mi è venuta un'idea che poi non si è rivelata geniale. A un certo punto gli ho detto, tra le varie cose che abbiamo, questo signore (Bordon, ndr) ha una moglie che fa quel mestiere (l'attrice, ndr) e attraverso Guido (il produttore De Angelis, ndr) l'avevamo messa anche su quella produzione, solo che quei coglioni, quel pirla di Fabrizio (Del Noce, ndr) l'ha stoppata. L'altro (Berlusconi, ndr) neanche ci ha pensato un secondo, non mi ha dato neanche il tempo di finire e ha preso il telefono e ha chiamato Fabrizio. Dicendogli: 'Cazzo, scusa, mi serve per... la moglie di...'. E quello, come se non c'entrasse un cazzo: 'L'hanno fermata perché costava troppo, guarda che è una roba...' (ride). Allora Fabrizio ha detto: 'Se è per quella signora lì, chi ti può aiutare è Agostino'. A proposito, come si chiama?". Agostino Saccà: "Rosa Ferraiolo. Però speriamo che quel coglione di Del Noce non lo dica, perché sennò capiscono che c'è in gioco qualcosa di più grosso..." (telefonata intercettata dalla Procura di Napoli il 2 agosto 2007 fra il commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi, ex dirigente Fininvest ed ex sottosegretario alle Telecomunicazioni di Forza Italia, e Agostino Saccà, direttore di Raifiction)

(25 luglio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Buonanotte Ostellino
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2008, 12:27:49 am
Marco Travaglio


Buonanotte Ostellino


Il giornalista critica il Csm che pretende di dare un parere sulla blocca-processi. E per lui le telefonate Saccà-Berlusconi contengono solo "indiscrezioni sulle imprese erotiche" del Cavaliere.

Bisogna assolutamente fare qualcosa per Piero Ostellino.
Qualche settimana fa, sotto choc per la perdita del suo cane Nicevò (della cui improvvisa scomparsa ragguagliò la Nazione nella sua rubrica sul 'Corriere della Sera'), se la prende col Csm che pretende di dare un parere "non richiesto", dunque "illegittimo", sulla legge blocca-processi instaurando "il governo delle toghe al posto di quello delle leggi". Forse ignora che i pareri del Csm, richiesti o meno, sono previsti proprio da una legge, la n. 195 del 24.3.1958: "Il Csm dà pareri al ministro su disegni di legge concernenti l'ordinamento giudiziario, l'amministrazione della giustizia e ogni altro oggetto attinente alle predette materie".

La settimana dopo Ostellino invita i magistrati napoletani a occuparsi di "Napoli sommersa dalla monnezza", "rinviarne a giudizio i responsabili" e "combattere la camorra, invece di passare il tempo a intercettare raccomandazioni di qualche velina". Per lui le telefonate Saccà-Berlusconi, in cui il premier promette soldi in cambio di favori e acquista senatori, non contengono che "indiscrezioni sulle imprese erotiche" del Cavaliere. E poi, suvvia, "ogni ragazza sa bene di essere 'seduta sulla propria fortuna' e di poterne disporre come crede". Se leggesse almeno il giornale su cui scrive, Ostellino saprebbe che i giudici napoletani hanno già rinviato a giudizio i presunti responsabili dello scandalo monnezza, da Bassolino ai vertici della Fibe-Impregilo. Quanto alla camorra, qualche giorno prima la Corte d'appello di Napoli ha decapitato il clan dei Casalesi. C'è da attendersi, a quel punto, che l'insigne pensatore liberale venga dirottato su argomenti meno ostici. Macché.

Il 16 luglio si conquista la prima pagina del 'Corriere' per commentare l'arresto di Ottaviano Del Turco:
non una parola sulle centinaia di pagine dell'ordinanza del gip, ma ampi riferimenti storici all'annosa ostilità fra socialisti e comunisti, da Marx, Stalin, Lenin, Kautsky, Trotzky, Gramsci, Togliatti, giù giù fino a Berlinguer, Fassino e Di Pietro. Alla fine l'eventuale lettore, stremato e curioso di sapere che diavolo c'entri la Terza Internazionale con i giudici di Pescara che arrestano alcuni politici per mazzette sulla sanità, resta deluso. Nessuna risposta. Solo una struggente lamentazione per "la tiepida reazione del Pd all'offensiva giudiziaria contro Del Turco", retaggio dell'antica "continuità antisocialista" e "discontinuità riformista" dei comunisti "da Tangentopoli a oggi". Impermeabile ai fatti per non disturbare le sue opinioni, Ostellino ignora che Tangentopoli falcidiò pure il Pci-Pds milanese e che, con Del Turco, sono indagati pure tre assessori ex Ds (D'Amico, Verticelli e Caramanico). Insomma, non lo sfiora neppure l'idea che la prudenza del Pd dipenda da qualcosa di più antico del Congresso di Livorno: il settimo comandamento

(25 luglio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Lettera al presidente del Senato
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2008, 12:37:54 pm
Lettera al presidente del Senato



di Marco Travaglio



l'Unità



Gentile Presidente del Senato, avv. sen. Renato Schifani, chi Le scrive è un
modesto giornalista che ha avuto la ventura di occuparsi talvolta di Lei per
motivi professionali. L'ultima - forse lo ricorderà - fu nel mese di maggio,
quando Lei ascese alla seconda carica dello Stato e io pubblicai una sua
breve biografia sull'Unità e nel libro "Se li conosci li eviti" (scritto con
Peter Gomez) che poi presentai su Rai3 a "Che tempo che fa". Anzitutto mi
consenta di congratularmi con Lei per la Sua recentissima invulnerabilità
penale, in virtù del Lodo Alfano, figlio legittimo del Lodo Schifani già
dichiarato incostituzionale dalla Consulta nel 2004 e prontamente replicato
in questa legislatura, anche grazie alla fulminante solerzia con cui Lei l'ha
messo all'ordine del giorno di Palazzo Madama. E' davvero consolante, per un
cittadino comune, apprendere che da un paio di giorni l'articolo 3 della
Costituzione è sospeso con legge ordinaria approvata in 25 giorni, e che
dall'altroieri esistono quattro cittadini più uguali degli altri dinanzi
alla legge, come i maiali della "Fattoria degli animali" di George Orwell.
Il fatto poi che Lei faccia parte del quartetto degli auto-immuni è per
tutti noi motivo di ulteriore soddisfazione.



Si dà il caso, però, che Lei mi abbia recentemente fatto recapitare in busta
verde, da ben tre avvocati (uno dei quali pare sia un Suo socio di studio),
un atto di citazione presso il Tribunale civile di Torino affinchè io vi
compaia per essere condannato a risarcirLa dei presunti danni, patrimoniali
e non, da Lei patiti a causa del mio articolo sull'Unità e della mia
partecipazione al programma di Fabio Fazio. Danni che Lei ha voluto
gentilmente quantificare in appena 1,3 milioni di euro. A carico mio, s'intende.
Tutto ruota, lo ricorderà, intorno al fatto che avevo osato ricordare come
Lei, alla fine degli anni 70, fosse socio nella Sicula Broker di due
personaggi poi condannati e arrestati per mafia, Benny D'Agostino e Nino
Mandalà; e che negli anni 90 Lei abbia prestato una consulenza in materia
urbanistica per il Comune di Villabate, poi sciolto due volte per mafia in
quanto ritenuto nelle mani dello stesso boss Mandalà. Circostanze che Lei
non ha potuto negare neppure nel suo fantasioso e spiritoso atto di
citazione (ho molto apprezzato i passaggi nei quali Lei fa rientrare quei
fatti nell'ambito dei "commenti sulla vita privata delle persone"; e mi
rimprovera di non aver rammentato come Lei sia stato socio non solo di
persone poi risultate mafiose, ma anche di altri "noti imprenditori mai
coinvolti in episodi giudiziari", e come Lei abbia prestato consulenze non
solo per comuni poi sciolti per mafia, ma anche per altri enti locali mai
sciolti per mafia).



Ora, sul merito della controversia, decideranno i giudici. Ma non Le
sfuggirà la sproporzione delle forze in campo, sulla bilancia della
Giustizia, fra la seconda carica dello Stato e un umile cronista: i giudici,
già abbondantemente vilipesi e intimiditi negli ultimi anni da Lei e dai
Suoi sodali, sapranno che dar torto a Lei significa dar torto al secondo
politico più importante del Paese, mentre dar torto a me è davvero poca
cosa. E' questo oggettivo squilibro che, in tempi e in paesi normali,
consiglia a chi ricopre importanti cariche pubbliche di spogliarsi delle
proprie liti private, per dedicarsi in esclusiva agli interessi di tutti i
cittadini. Lei invece non solo non si è spogliato delle Sue liti private, ma
ne ha addirittura ingaggiata una nuova (con me) dopo aver assunto la
presidenza del Senato. Ora però quello squilibrio diventa davvero abissale
in conseguenza della Sua sopraggiunta invulnerabilità. In pratica, se io
volessi querelarLa per le infamanti accuse che Lei mi muove nel Suo atto di
citazione, non avrei alcuna speranza di ottenere giustizia in tempi
ragionevoli, perché il Lodo Alfano La mette al riparo da qualunque
conseguenza penale delle Sue parole e azioni, imponendo la sospensione degli
eventuali processi a Suo carico. Lei può dire e fare ciò che vuole, e io no.
Riconoscerà che, dal mio punto di vista, la situazione è quantomai
inquietante.



Ma c'è di più e di peggio. L'anno scorso l'ex presidente del consiglio
comunale di Villabate, Francesco Campanella, indagato per mafia a causa dei
suoi rapporti con la cosca Mandalà e con Bernardo Provenzano, ha raccontato
ai giudici antimafia di Palermo che il nuovo piano regolatore di Villabate
era stato addirittura "concordato" da lei e dal senatore La Loggia con il
solito Mandalà. Lei e La Loggia annunciaste subito querela. E da allora i
magistrati antimafia stanno verificando se Campanella si sia inventato tutto
o magari dica la verità. Io Le auguro e mi auguro, visto che Lei ora
rappresenta l'Italia ai massimi livelli, che prevalga la prima ipotesi. Ma,
nella malaugurata evenienza che prevalesse la seconda, il Lodo Alfano
impedirebbe alla magistratura di processarLa, almeno per i prossimi cinque
anni, finchè terminerà la legislatura e, con essa, svanirà il Suo
preziosissimo scudo spaziale. Converrà con me, Signor Presidente, che nella
causa civile che Lei mi ha intentato la conclusione di quelle indagini
sarebbe comunque decisiva per valutare la mia posizione: sia che le accuse
di Campanella trovino conferma, sia che trovino smentita, sarebbe difficile
sostenere che io non abbia esercitato il mio diritto-dovere di cronaca,
segnalando ai cittadini una vicenda di così bruciante attualità e interesse
pubblico. Detta in altri termini: non vorrei che la causa civile da Lei
intentatami si concludesse prima delle indagini sul caso
Campanella-Villabate, magari in conseguenza del blocco di quel procedimento
per via del Lodo Alfano. Essere condannato a versarle 1 milione o anche 1
euro, e poi scoprire a cose fatte di aver avuto ragione, sarebbe per me
estremamente seccante.



L'altro giorno, con nobile gesto, il presidente della Camera Gianfranco Fini
ha rinunciato preventivamente al Lodo, dando il via libera al processo che
lo vede imputato per diffamazione ai danni del pm Henry John Woodcock. Mi
rivolgo dunque a Lei, e alla prima carica dello Stato che quel Lodo ha così
rapidamente promulgato, affinchè rassicuriate noi cittadini su un punto
fondamentale: o ritirate le vostre denunce penali e civili finchè sarete
protetti dallo scudo spaziale, oppure rinunciate preventivamente al Lodo in
ogni eventuale processo che potesse eventualmente influenzare, direttamente
o indirettamente, l'esito di quelle cause. In attesa di un Suo cortese
riscontro, porgo i miei più deferenti saluti.


da spaziolibero

Spaziolibero mailing list


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Tronchetti Dov'era
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2008, 09:08:53 am
Marco Travaglio


Tronchetti Dov'era


Se i tuoi collaboratori più fidati ti prendono per il naso, creano un'associazione a delinquere che spia mezzo mondo con migliaia di dossier illegali, un po' ti vergogni e chiedi scusa, o ti lodi e ti lasci imbrodare?  Marco Tronchetti ProveraCominciò Romiti nel '93: confessò che la Fiat pagava i politici, ma lui, l'ad, non ne aveva mai saputo niente. Fu condannato lo stesso. Poi arrivò Berlusconi: era all'oscuro di fondi neri, false fatture, mazzette ai finanzieri, ai politici e persino ai giudici. I suoi manager non gli dicevano mai nulla, anzi carpivano la sua fiducia. Poi confessavano e/o venivano condannati. Ma lui, anziché licenziarli, li ha portati tutti in Parlamento (Sciascia, Berruti, Previti, Dell'Utri).

Ora è la volta di Marco Tronchetti Dov'era. Si dice "molto contento e soddisfatto della conclusione dei giudici di Milano" che, per i dossier illegali di Tavaroli & C., vogliono processare 30 fra dirigenti, dipendenti e consulenti della sua Telecom e della sua Pirelli, nonché le due società, ma non la sua persona fisica. E lamenta "sconcertato" la "campagna" di stampa ai suoi danni. Subito si complimenta con lui la garrula Emma Marcegaglia: "Apprendo con piacere della totale estraneità all'indagine di Tronchetti, vittima di pregiudizi senza un pur minimo beneficio del dubbio. Gli rinnovo l'apprezzamento e la stima come persona e come imprenditore".

I festeggiamenti proseguono su vari giornali, che attaccano chi - come 'L'espresso' - svelò prim'ancora dei pm lo scandalo Security Telecom e costrinsero il pover'uomo a cedere la compagnia. Nicola Porro sul 'Giornale' parla di "storia allucinante", ma per colpa di "carte di Procura, media solerti, politici ostili" e "venticelli accusatori inconsistenti" (sic). Franco Debenedetti, sul 'Sole-24 ore', lacrima perché "a leggere i giornali sembrava che nell'azienda si fosse installata una Spectre". Ma va?

Sergio Romano, sul 'Corriere', esulta col suo editore: "Il 'teorema', direbbe Berlusconi, è stato smontato", nonostante le "responsabilità dei mezzi d'informazione" che alimentano "sospetti e supposizioni". Pigi Battista e Panebianco si uniscono al cin-cin. Per carità, Tronchetti e i suoi corifei fan benissimo a brindare allo scampato pericolo. Ma questa ricorda tanto le assoluzioni per incapacità di intendere e volere. Se i vertici dei primi tre gruppi privati italiani non s'accorgono di quel che accade intorno e sotto di sé, il nostro capitalismo ha poco da stare allegro.


Oltre alla responsabilità penale c'è la 'culpa in vigilando'. Se i tuoi collaboratori più fidati ti prendono per il naso, ti spillano 50-60 milioni di euro l'anno per creare un'associazione a delinquere che spia mezzo mondo con migliaia di dossier illegali "nell'interesse della società", un po' ti vergogni e chiedi scusa, o ti lodi e ti lasci imbrodare? Delle due l'una: o questi top manager proclamano che lo scopo dell'impresa è realizzare la perfetta anarchia, e allora possono continuare a cascare dal pero e a vantarsene in giro; o farebbero meglio a confessare almeno qualcosina, anche se non si son mai accorti di nulla. Così, tanto per evitare la figura dei pirla.


(01 agosto 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - L’editoriale preventivo
Inserito da: Admin - Agosto 03, 2008, 12:22:34 pm
L’editoriale preventivo


Marco Travaglio


«Una minoranza prepotente e chiassosa decide per tutti chi debba essere abilitato o meno alla commemorazione delle vittime della strage di Bologna... Esplode il coro minaccioso... Hanno vinto i professionisti della minaccia, le minoranze guastatrici incapaci di rinunciare a un rito violento... lo scatenamento della piazza... chi del fischio in piazza ha fatto un mestiere mediaticamente remunerativo... il pregiudizio e l’odio politico».

Insomma, «il 2 agosto è stato macchiato ancora una volta da una minoranza prepotente. Le vittime della strage non meritavano di essere trattate così nella memoria collettiva».

Uno, magari di prima mattina, magari spaparanzato sulla spiaggia, legge queste allarmanti parole sulla prima pagina del Corriere della Sera di ieri, sotto il titolo «L’arma della minaccia» e a firma nientemenochè del vicedirettore Pierluigi Battista, e si inquieta, si angoscia, si rovina la giornata. Oddìo, dov’è successo il fattaccio? E chi è stato? E ci saranno dei superstiti? E quante le vittime di cotanta, e ovviamente cieca, violenza? Ci saranno dei feriti, dei contusi? E i colpevoli sono già stati assicurati alla giustizia o magari ancora latitano, liberi di ridare sfogo allo scatenamento, alla minaccia, alla prepotenza, al pregiudizio, all’odio politico e ­ Dio non voglia ­ al fischio in piazza? Poi il lettore si inoltra nella lettura del giornale e scopre che non è successo niente di niente. La strage di Bologna non è ancora stata commemorata, Piazza Maggiore è ancora deserta, nessuno ha fischiato nessuno (a parte un paio di vigili urbani alle prese con qualche motociclista in senso vietato). Ma Pigi, sempre previdente, ha pensato bene di anticipare gli eventi con un editoriale preventivo. È, costui, una sorta di estintore a mezzo stampa, sempre intento a spegnere fuochi prim’ancora che le fiamme divampino. Al primo fil di fumo, magari fuoriuscito dal sigaro di un turista tedesco, balza sul primo Canadair disponibile e scarica sul luogo del fattaccio tonnellate d’acqua. Ultimamente lo sgomentano molto i fischi, che nelle democrazie normali, ma anche nei loggioni dei teatri lirici, sono strumenti di ordinaria espressione del dissenso. Ma lui vi intravede “un rito violento” e li denuncia prima ancora che partano. Ricorda un po’ quei ciclisti che s’imbottiscono di Epo in estate, con largo anticipo sulla stagione agonistica, e poi son costretti a dare ogni tanto una pedalata, anche in ferie, per diluire il sangue ridotto a Nutella.

L’altro giorno, da uno delle migliaia di inutili lanci d’agenzia che si ammonticchiano nelle redazioni attanagliate dalla canicola, che alcuni esponenti bolognesi di Rifondazione si appresterebbero a fischiare il ministro Alfano, nel caso in cui si presentasse a commemorare il 28° anniversario della strage di Bologna a nome del governo Berlusconi. E dove sarebbe la notizia? A parte il fatto che uno come Alfano va contestato ogni volta che apre bocca, viste le corbellerie che ne escono a getto continuo, ci sarebbe da meravigliarsi se la sinistra radicale annunciasse per lui applausi e festeggiamenti. Alfano è l’ex segretario di Berlusconi, ora suo ministro della Giustizia ad personam, che gli ha confezionato su misura la legge blocca-processi e poi il Lodo dell’impunità e ora, non contento, annuncia per settembre altre mirabolanti “riforme della giustizia”: dalla separazione della carriere alla fine dell’ obbligatorietà dell’azione penale all’asservimento politico del Csm, tutta roba copiata di sana pianta dal Piano di rinascita democratica della loggia P2. Quella loggia che, col suo maestro venerabile Licio Gelli, depistò le indagini sulle stragi e alla quale erano affiliati il premier Silvio Berlusconi e il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto. Ci sarebbe dunque qualcosa di strano se, dalla piazza, si levasse qualche fischio all’indirizzo del signorino? A ciò si aggiunga che uno stuolo di parlamentari di An avevano chiesto ad Alfano di cogliere l’occasione della ricorrenza per ribaltare, in piazza, la sentenza definitiva della Cassazione che ha condannato Giusva Fioravanti e Francesca Mambro come esecutori materiali della strage di Bologna, sposando bislacche “piste alternative” come quella palestinese. Che avrebbero dovuto fare, i bolognesi: annunciare applausi entusiasti, ricchi premi e cotillons?

Di tutte queste provocazioni, però, Battista s’è dimenticato di scrivere. Anzi, forse non se n’è neppure accorto. La sua concezione pompieristica del giornalismo lo porta a tralasciare le travi governative per concentrarsi sulle pagliuzze dell’opposizione. Non vede nulla di quel che accade (Lodo, impunità, revisionismo, razzismo, piduismo di ritorno), ma in compenso vede benissimo quel che non accade (i fischi). Tant’è che sul Lodo, la bloccaprocessi, la legge bavaglio alla stampa, la schedatura dei bambini rom, le denunce dell’Europa contro l’Italia e le altre vergogne dei primi tre mesi di governo non ha ancora scritto una riga, mentre agli eventuali fischi non ancora accaduti ha già dedicato un vibrante editoriale. Berlusconi chiama “eroe” Mangano e “metastasi” la magistratura, Gasparri dà della “cloaca” al Csm, Bossi infila il dito medio nell’Inno nazionale e annuncia 300 mila fucili pronti a sparare, ma Pigi si sveglia soltanto quando un anonimo rifondarolo bolognese annuncia qualche fischio al ministro Alfano: questa sì è “violenza”, questa sì è “minaccia”. Si ripete così, paro paro, la pantomima della presunta “cacciata del Papa dalla Sapienza”: un gruppo di studenti e insegnanti annunciò di voler contestare il Pontefice, il quale preferì rinunciare alla visita, e subito il coro dei tromboni cominciò a suonare la grancassa su una “censura” mai avvenuta. Ora Alfano, ben sapendo di essere quello del Lodo e della guerra alla Giustizia, annusa l’aria che tira a Bologna e, coraggiosamente, se la dà a gambe di fronte al rischio di quattro fischi in piazza. Il governo gli copre la ritirata con un tragicomico comunicato in cui gli chiede “il sacrificio di rinunciare”. E, al suo posto, manda l’incolpevole ministro Rotondi, nella speranza che non venga riconosciuto. Per chi non lo sapesse, è quello che l’altro giorno svelava a La Stampa il principio ispiratore della prossima riforma della magistratura: «Colpirne uno per educarne cento». Un “uomo del dialogo”, direbbe Battista. Oggi si prega vivamente di applaudirlo. Anzi, possibilmente, di fargli la ola.

Pubblicato il: 02.08.08
Modificato il: 02.08.08 alle ore 12.46   
© l'Unità.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Lavoro duro giovedì gnocca
Inserito da: Admin - Agosto 03, 2008, 07:51:05 pm
Lavoro duro giovedì gnocca

Marco Travaglio


Questo è un elogio sperticato a Silvio Berlusconi. Una dichiarazione, se non d’amore, di ammirazione totale, sincera e incondizionata al politico più trasparente che l’Italia abbia mai avuto. Più trasparente e più frainteso.

Lui fa di tutto per mostrarsi per quello che è. E quelli che gli stanno intorno fanno a gara a scambiarlo per un altro.

Così l’altroieri, stufo dei continui equivoci che lo gabellano ora per uno statista, ora per un riformatore, ora per un cultore del dialogo sulla giustizia e sulla legge elettorale, ora per un marito modello e un padre esemplare, ha voluto smentirli tutti insieme mostrando ai fotografi l’agenda di una sua giornata-tipo a Palazzo Chigi (quella di mercoledì 30 luglio). Una sorta di auto-intercettazione in diretta: non potendo più esser processato grazie all’auto-immunità, ha pensato bene di auto-intercettarsi, divulgando il calendario della dura vita da premier (“Vedete come mi fanno lavorare!?”). “Berlusconi ­ diceva Montanelli - non delude mai: quanto ti aspetti che faccia una scempiaggine, la fa”. Ma sempre oltrepassando le peggiori aspettative. Non si riesce mai a pensarne abbastanza male: lui riesce sempre a trasformare il più accanito detrattore in un ingenuo minimalista. L’Agenda del Presidente è doppia, nel solco della tradizione di Milano2, della P2, di Olbia2 e prossimamente di Arcore2.

L’Agenda 1, curata dal suo staff, è riconoscibile da due caratteristiche: è scritta al computer e contiene appuntamenti con soggetti di esclusivo sesso maschile, in genere molto noiosi (Schifani, Letta, Fini, Scajola). Nell’Agenda 2 invece, annotata di Suo pugno, gran preponderanza del genere femminile. Pochissimi i maschi, perlopiù avvocati (Ghedini) o pregiudicati (Bossi e Previti). Col vecchio Cesarone, che si ripropone sempre come la peperonata, l’appuntamento è alle ore 16. Seguono un paio d’ore di assoluto relax con “Manna”, nel senso di Evelina, la grande attrice oggetto di frenetiche trattative con Saccà; e poi con “Troise”, nel senso di Antonella, la nota artista anch’essa raccomandata a Raifiction perché stava “diventando pericolosa” (s’era messa a parlare). Così ritemprato dal doppio incontro al vertice, il premier ha potuto affrontare alle 19 un altro summit: con Nunzia Di Girolamo, la procace neodeputata di 32 anni, già destinataria di pizzini amorosi in pieno emiciclo. Completa la giornata dell’insigne latrin lover, alle 20.30, una tipa dal nome più che promettente: Selvaggia. Manca la Carfagna, ma è anche vero che la settimana è fatta di sette giorni e questo è solo il programma del mercoledì.

Segue il giovedì (gnocca). Chi aveva pensato di agevolargli il Lodo Alfano perché “un primo ministro non ha tempo per governare e seguire i processi”, è servito: ora che è libero dai processi, egli si dedica come prima e più di prima al suo passatempo preferito. Che non è proprio quello di governare. Così la stampa della servitù, tipo “Chi” e “Il Giornale”, la pianterà finalmente di screditarlo con quelle umilianti foto della Sacra Famiglia piccolo-borghese, lui mano nella mano con Veronica e tutto il cucuzzaro riunito intorno al focolare. Marito esemplare un par di palle, lui riceve anche quattro ragazze al giorno, alla facciazza dei bacchettoni che gli ronzano intorno. Ce n’è anche per la cosiddetta opposizione che astutamente ha smesso da un pezzo di ricordargli il conflitto d’interessi perché pare brutto demonizzare. Ad essa ha dedicato un paio di appuntamenti: quello col produttore di Endemol Marco Bassetti e quello con il consigliere Rai Marco Staderini (Udc), incerto fino all’altroieri sul caso Saccà. Come a dire: lo vedete o no che continuo a occuparmi delle mie tv, Mediaset e soprattutto Rai?

Devo proprio insegnarvelo io come si fa l’opposizione? Completa il papello una noticina autografa a pie’ di pagina: “Il Presidente N°1. Al Presidente con più vittorie/più vittorioso nella storia del calcio. Milan A.C. Campione del Mondo. N°1 nella storia del calcio”.

Se l’è scritto da solo: un caso di auto-training vagamente inquietante, almeno dal punto di vista psichiatrico.

In compenso, nemmeno un cenno ai temi che tanto appassionano il resto, cioè la parte inutile, del mondo politico e della stampa al seguito: dialogo sulle riforme, modello alla tedesca corretto all’austro-ungarica, bicameralismo imperfetto, federalismo fiscale, simposii e seminari delle fondazioni, patti della spigola sulla “fase costituente”.

Lui non ha tempo per simili menate. “Ore 16, Previti”. Poi “Manna-Troise”. La sua Bicamerale. La sua fase ricostituente.

Pubblicato il: 03.08.08
Modificato il: 03.08.08 alle ore 14.25   
© l'Unità.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Forza Israele
Inserito da: Admin - Agosto 05, 2008, 10:35:46 pm
Forza Israele

Ora d'aria


L’altra sera, in quella parodia di telegiornale che si fa chiamare Tg1, il ridanciano Attilio Romita annunciava giulivo come quarta notizia del giorno che “prende sempre più piede la moda dell’aperitivo in spiaggia… e allora cin-cin in riva al mare!”. In compenso, a una settimana di distanza, si attende ancora un servizio che metta a confronto Italia e Israele in relazione a una straordinaria coincidenza (entrambe le democrazie hanno il premier sott’accusa per corruzione) e a un’altrettanto straordinaria differenza: in Israele salta il premier sotto processo, in Italia saltano i processi al premier. Per legge.

Ora, visto che i servi sparsi per giornali e tg hanno raccontato per un mese che il Lodo Alfano “esiste in tutte le democrazie del mondo”, il giornalismo anglosassone di cui Johhny Raiotta è maestro (come si può notare dalla camicia bianca) imporrebbe una qualche rettifica. Del tipo: “Gentili telespettatori, vi è stato raccontato che, nelle altre democrazie, il premier è coperto da immunità: bene, siamo lieti di informarvi che non è vero, l’immunità ce l’ha solo il nostro”. Lo stesso potrebbero fare i giornali, come il Corriere, popolato di fans sfegatati di Israele nonché denunciatori indefessi della presunta “anomalia” costituita dai processi a Berlusconi. Invece niente, silenzio di tomba. E dire che, tra il caso Olmert e il caso Al Tappone, c’è un abisso. Il primo avrebbe mille ragioni in più del secondo per restare al suo posto. Olmert non è stato ancora formalmente incriminato, Al Tappone è imputato in seguito a due rinvii a giudizio e a una terza richiesta di rinvio a giudizio. Il reato contestato a Olmert è infinitamente meno grave di quelli contestati ad Al Tappone: nessuna corruzione di testimoni o di dirigenti televisivi, nessuna compravendita di senatori, nessuna frode fiscale, ma una modesta vicenda di finanziamenti elettorali non dichiarati (la miseria di 150 mila dollari ricevuti, secondo l’accusa, dal magnate americano Morris Talsunky). L’indagine a suo carico è nata dopo la sua ascesa alla guida del governo, non prima. I fatti contestati riguardano la sua attività politica, non i suoi affari privati (Olmert non ne ha). Israele, poi, è un paese in guerra da quand’è nato e nei prossimi mesi potrebbe giungere finalmente alla pace con i palestinesi.

Insomma, almeno per i canoni italioti, non sarebbe stato affatto scandaloso se Olmert si fosse presentato in tv per annunciare che sarebbe rimasto al suo posto per non lasciare senza guida il suo Paese in un momento così delicato. Invece il pensiero non l’ha neppure sfiorato. Con un discorso pieno di dignità e di senso dello Stato, che andrebbe affisso su tutte le pareti del Parlamento e del governo italiano e studiato a memoria dai nostri sedicenti rappresentanti, il premier israeliano ha detto quanto segue: “Sono fiero di appartenere a uno Stato in cui un premier può essere investigato come un semplice cittadino. Un premier non può essere al di sopra della legge, ma nemmeno al di sotto. Se devo scegliere fra me, la consapevolezza di essere innocente, e il fatto che restando al mio posto possa mettere in grave imbarazzo il Paese che amo e che ho l’onore di rappresentare, non ho dubbi: mi faccio da parte perché anche il primo ministro dev’essere giudicato come gli altri. Dimostrerò che le accuse di corruzione sono infondate da cittadino qualunque. Errori ne ho commessi e me ne pento. Per la carica che occupo ero consapevole di poter finire al centro di attacchi feroci. Ma nel mio caso si è passata la misura”.

Parole nobili che, dunque, non sono piaciute al Foglio di Giuliano Ferrara. Ammiratore fanatico di Israele, stavolta il Platinette Barbuto commenta incredulo: “La stampa israeliana è terribile, quando ha un pezzo di carne tra i denti è difficile che lo molli. Neppure se si chiama Olmert. Maariv e Yedioth Ahronot hanno pubblicato le deposizioni del premier, parola per parola… Verbali devastanti per Olmert… Dalla procura spiegano che le prove acquisite vanno ben oltre la testimonianza di Talansky... Olmert dovrà testimoniare per la quarta volta”.

Capite la gravità della situazione? La stampa israeliana fa il suo dovere e pubblica i verbali senza che nessuno chieda una legge per silenziarla. La procura spiega le prove senza che nessuno chieda l’arresto o il trasferimento dei pm. Il premier viene convocato per quattro volte dai magistrati senza che nessuno strilli all’”uso politico della giustizia”, anzi Olmert si presenta ogni volta dinanzi ai suoi accusatori anziché rispondere che ha di meglio da fare. Il capo dello Stato, anziché tuonare contro la “giustizia spettacolo” o salmodiare su presunti “scontri fra politica e magistratura”, se ne sta zitto e buono. E, udite udite, sia le opposizioni sia i vertici del partito Kadima premevano da tempo perché Olmert si dimettesse. Roba da matti. In Israele gli oppositori si oppongono senza che nessuno si sogni di accusarli di giustizialismo, dipietrismo o anti-olmertismo. Anche perché Israele non conosce fenomeni come Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino, Battista, Romano, Franco & Franchi, Polito El Drito e gli altri trombettieri del Lodo. Che infatti, alla notizia delle dimissioni di Olmert, si son subito messi in ferie.


da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Lodo Thailandia
Inserito da: Admin - Agosto 05, 2008, 10:39:13 pm
Marco Travaglio


Lodo Thailandia

"Il tribunale criminale tailandese ha dichiarato colpevole di evasione fiscale la moglie dell'ex Primo ministro Thaksin Shinawatra, la signora Pojaman, condannandola a tre anni di detenzione. La sua cauzione è stata fissata a circa 220.000 euro. La moglie di Thaksin avrebbe evaso le tasse, nel 1997, per milioni di dollari. Coinvolti anche suo fratello, Bhanapot Damapong e la segretaria, condannati rispettivamente a tre e due anni di prigione. Si è così concluso il primo dei numerosi casi di corruzione che coinvolgono Thaksin - al potere in Thailandia dal 2001 al 2006 - e la sua famiglia" (Ap, Bangkok, 31 luglio 2008).

"Ieri il tribunale penale ha riconosciuto la colpevolezza di Khunying Potjaman (moglie dell'ex Primo ministro Thaksin Shinawatra), di suo fratello Bannapot Damapong e della sua segretaria Karnchanapa Honghern per il reato di associazione a delinquere finalizzata all'evasione fiscale, nel corso di un passaggio di azioni. La corte ha stabilito che la transazione non è effettivamente avvenuta sul mercato azionario, ma è stata simulata per evitare il fisco. Bannapot e Khunying Potjaman sostenevano che le azioni fossero un dono, ma il tribunale ha dichiarato che l'affermazione non è plausibile. Anche se Bannapot non era ricco tanto quanto Khunying Potjaman, il tribunale non si è convinto che avesse bisogno di aiuto finanziario. Secondo la Corte, Khunying Potjaman e Bannapot avevano volontariamente omesso di pagare 546 milioni di Baht di tasse per il trasferimento di 4.5 milioni di azioni nella Shinawatra Computer and Communications, ora Shin Corp. Entrambi sono stati condannati a due anni di prigione per associazione finalizzata all'evasione fiscale e ad un ulteriore anno per aver fornito false testimonianze alle agenzie statali allo scopo di evadere le tasse... La Corte ha anche ammonito i tre imputati, e in modo particolare Khunying Potjaman, per non aver dato un buon esempio al pubblico: 'I tre imputati sono di alto status economico e sociale. Al tempo in cui il reato é stato commesso il secondo imputato [Khunying Potjaman] era la moglie del detentore di una carica politica. Gli imputati non solo dovrebbero essere tenuti a comportarsi da cittadini per bene, ma da loro ci si aspetterebbe anche che dessero il buon esempio. Eppure gli imputati si sono accordati per evadere le tasse, agendo contro la legge e in modo disonesto nei confronti della società e del fisco'. Un portavoce di Mr Thaksin Shinawatra ha confermato l'intenzione di proporre appello e di battersi fino ad arrivare alla Corte Suprema" (BangkokPost.com, 31 luglio 2008).

"Il rilievo dato alle attuali condizioni di vita sociale ed individuale del soggetto (Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, ndr) valutato dalla Corte come decisivo (per concedere le attenuanti generiche e la conseguente prescrizione del reato, ndr), non appare per nulla incongruo" (dalle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che rende ddfinitiva la prescrizione per Silvio Berlusconi, imputato di corruzione giudiziaria nel caso Mondadori, 2002).

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Dal Loft al Lost
Inserito da: Admin - Agosto 09, 2008, 06:43:02 pm
da Marco Travaglio


Dal Loft al Lost


Veltroni stronca Di Pietro sul referendum per abrogare il lodo Alfano, ma delle motivazioni addotte nessuna convince realmente  Antonio Di Pietro ha depositato il quesito referendario per abrogare il lodo Alfano: servono 500 mila firme entro il 30 settembre per votare nel 2009 insieme al referendum elettorale, altrimenti tutto slitta al 2010. Intanto il Pd tenta di raccogliere 5 milioni di firme sotto l'appello 'Salva l'Italia'. In un paese serio le due opposizioni si aiuterebbero nelle rispettive raccolte. Invece Uòlter ha subito stroncato l'iniziativa dell'(ex?) alleato, che pure nel Pd aveva già riscosso importanti adesioni (Parisi e Monaco) e pre-adesioni (Bersani e Tenaglia). Le spiegazioni del Loft, sempre più Lost, sono curiose.

1. "Non si deve ridare centralità alla polemica antiberlusconiana". Chissà perché: da novembre, quando scelse il dialogo con Berlusconi, il Pd non ha avuto che guai. Il dialogo porta sfiga;

2. "Le priorità sono altre: salari, crescita". Sta di fatto che, sondaggi alla mano, la misura più impopolare del governo è stata finora l'impunità alle alte cariche osteggiata dal 70-80 per cento degli italiani, che ha fatto crollare del 10 per cento la fiducia nel premier;

3. "La giustizia nel suo complesso non si affronta coi referendum". Ma qui nessuno vuol affrontare la giustizia nel suo complesso: solo cancellare una legge immonda con l'unico strumento possibile, visto il rapporto di forze in Parlamento;

4. "Poi non si fa il quorum e lui diventa invincibile". Più invincibile di così, sarà difficile. E poi perché non provarci? Un pacchetto referendario per restituire potere di scelta agli elettori e per una giustizia uguale per tutti diventerebbe un formidabile testa d'ariete contro i privilegi di Casta. Schiaccerebbe sulla Casta la destra, che prevedibilmente tra pochi mesi sarà in difficoltà per la crisi economica. Mobiliterebbe un fronte trasversale di cittadini. E riconcilierebbe il Pd con elettori insoddisfatti, girotondi e grillini, bollati come 'antipolitici' sol perché chiedono una politica diversa;


5. "Non si va a rimorchio di Di Pietro". Ma, se sposasse il referendum, sarebbe il Pd ad assumere il comando, visto che Idv ha (per ora) un settimo dei suoi voti. Perché non usare per le firme 'utili' del referendum la macchina organizzativa messa in piedi dal Pd per una petizione inutile?

6. "È un autogol che fa il gioco di Berlusconi". Strano: i leader e gli house organ del Pdl sparano a palle incatenate su Di Pietro e sul referendum, mentre elogiano il Pd che si oppone. Sanno bene che, da imputato, il premier ha sempre dato il peggio di sé: dal 2004, cassato il lodo Schifani, perse tutte le elezioni fino al 2006. Tutt'oggi la sola idea di tornare imputato lo fa uscire di testa. Dice: "Mi hanno assolto per gli abusi a Villa Certosa e in Spagna per Telecinco". Ma nel primo processo lui non era nemmeno imputato (lo era un amministratore, Giuseppe Spinelli, che l'ha sfangata grazie ai condoni); e nel secondo hanno assolto solo i coimputati, mentre la sua posizione, stralciata nel 2002, è ancora da giudicare. Insomma, lodo o non lodo, millanta processi e sentenze inesistenti. Per fargli perdere definitivamente la trebisonda, nulla di meglio che restituirlo al suo habitat naturale: i tribunali.

(08 agosto 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Un Lodo tira l'altro
Inserito da: Admin - Agosto 11, 2008, 10:25:40 am
Marco Travaglio


Un Lodo tira l'altro


"L'immagine dell'Italia nel mondo sono io" (Silvio Berlusconi, 15 luglio 2008).



"Un politico sudafricano, Jacob Zuma, accusato di corruzione, vorrebbe evitare il processo e far poi approvare una legge costituzionale che garantisca
l'immunità al capo dello Stato in modo da non aver nulla da temere qualora dovesse vincere le prossime elezioni presidenziali.

Zuma - presidente del partito Congresso Nazionale Africano (African National Congress, Anc, ndr) - è apparso ieri davanti all'Alta corte di Pietermaritzburg e ha cercato di dichiarare nullo il processo per corruzione nei suoi confronti, un caso che potrebbe bloccargli la strada verso la presidenza, essendo egli il candidato del partito alle elezioni presidenziali
del mese di aprile 2009... Gli avvocati di Zuma insistono sul fatto che il caso dovrebbe essere annullato, sostenendo che la Procura nazionale non ha informato il politico che era sotto indagine, una indagine in realtà partita nei confronti del suo ex consulente finanziario. I legali affermano che tale azione dei magistrati è in contrasto con la Costituzione.

Il consulente finanziario di Zuma è stato condannato a 15 anni di carcere per frode e corruzione. Lo scandalo ha indotto il Presidente sudafricano, Thabo Mbeki, a destituire Zuma da vicepresidente a giugno 2005 e, sei giorni dopo, il giudice nazionale ha portato accuse contro di lui... Se la richiesta di Zuma non sarà accolta dalla Corte di Pietermaritszburg, egli probabilmente
chiederà alla Corte Suprema di respingere il caso di corruzione. Dopo la sua comparsa dinanzi al giudice, Zuma ha affrontato migliaia di sostenitori che
aveva raccolto per protestare in suo favore, ha cantato, ballato e arringato la folla.

Secondo i commentatori locali, la strategia di difesa di Zuma è di prolungare il processo oltre le elezioni di aprile 2009, in modo da approfittare del nuovo
governo - molto probabilmente diretto da lui - per sollecitare in Parlamento una riforma costituzionale che conceda l'immunità per il Capo dello Stato"
(osservatoriosullalegalita.org, 4 agosto 2008)

"Il "principio Berlusconi" é il titolo di un articolo firmato da Raenette Taljaard per il Times/South Africa.
Due i sottotitoli in evidenza. Il primo: 'Vi sono richieste per ottenere una qualche forma di sospensione del procedimento giudiziario che coinvolge Jacob Zuma, presidente dell'ANC'. Quindi il secondo: 'Il primo ministro italiano, con l'approvazione di nuove regole sull'immunità, ha stabilito un preoccupante
precedente'.

La Taljaard é attualmente Senior Lecturer presso la University of the Witwatersrand ed è stata la più giovane donna mai eletta al parlamento sudafricano, dove ha ricoperto l'incarico di portavoce dell'opposizione in importanti commissioni, prima di lasciare la carica, nel 2004.

Spiega Raenette Taljaard che 'il primo ministro italiano Silvio Berlusconi ha ringraziato i politici italiani con le parole: "Mi avete liberato", e prosegue:
'Il principio Berlusconi, che è stato approvato definitivamente in Italia la settimana scorsa, potrebbe avere gravi conseguenze per la lotta alla corruzione
in tutto il mondo. Esso non solo stabilisce un preoccupante precedente in un paese sviluppato, che sarebbe tenuto ad adottare standard più elevati nella
vita pubblica, ma crea ora un esempio da prendere come scusa per i leader dei paesi in via di sviluppo che desiderassero emulare tale principio, i quali
potrebbero usare come pretesto il fatto che si é creato un precedente, in termini di diritto comparato, che si può e si deve imitare".

L'autrice dell'articolo stabilisce poi un paragone con il proprio paese: "Questi fatti avvenuti in Italia ricordano alcuni sviluppi in Sudafrica, in particolare riguardo alle indagini sulla corruzione nel traffico di armi... si
sente parlare di richieste di amnistia, di accordo con modifica dell'imputazione o di qualche altra forma di sospensione del procedimento per il presidente dell'ANC Jacob Zuma, accusato di corruzione".

Taljaard aggiunge, caso strano: 'Recentemente, Zuma, davanti all'Alta Corte di Pietermaritzburg, non é riuscito a dimostrare con prove valide l'esistenza di
una congiura politica contro di lui".
(osservatoriosullalegalita. org, 7 agosto 2008)

"Pietermaritzburg (Sudafrica). È stato aggiornato al 12 settembre il processo per corruzione, frode e riciclaggio contro Jacob Zuma, in pole position per
diventare il prossimo presidente sudafricano nonché popolare leader dell'African National Congress (Anc), il partito al potere in Sudafrica.

Il giudice della corte di Pietermaritzburg, Chris Nicholson, nella seconda udienza del processo ha detto che si riserverà di decidere per quella data in merito al ricorso presentato dalla difesa di Zuma, che chiede l'annullamento del procedimento adducendo presunte 'irregolarità procedurali'. La decisione sul ricorso 'é in fase di deliberazione e sarà proclamato il 12 settembre', ha detto il giudice.

Zuma, 66 anni, ex vicepresidente sudafricano che in dicembre ha umiliato il rivale Thabo Mbeki nella corsa per la leadership dell'Anc, è accusato di aver
intascato centinaia di migliaia di dollari in tangenti dal gruppo francese Thales quand'era vicepresidente (1999-2005). Se verrà condannato, Zuma, già
assolto nel 2006 in un processo per stupro, ha promesso che si ritirerà dalla politica. I sostenitori di Zuma ritengono il loro beniamino vittima di un
complotto politico per impedirgli di essere eletto presidente. La difesa cerca di dilazionare il processo per evitare una possibile condanna prima delle
elezioni presidenziali della primavera 2009" (swissinfo. ch, 5 agosto 2008).

(8 agosto 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - La bomba venusiana
Inserito da: Admin - Agosto 14, 2008, 05:23:06 pm
Marco Travaglio


La bomba venusiana


Il revisionismo dell'editoriale di Piero Ostellino sulla strage di Bologna lascia perplessi. Non meno curioso che il giornalista, tra una sentenza della Cassazione e una congettura di Paolo Guzzanti, scelga di delegittimare la prima  L'esplosione del 2 agosto 1980
alla stazione di BolognaPiero Ostellino merita le nostre scuse. Ultimamente, soprattutto quando annunciava urbi et orbi la morte del suo cane o collegava l'arresto di Del Turco alla storica inimicizia tra Pci e Psi, l'avevamo un po' preso in giro. Ma ora, dopo lo strepitoso editoriale sulla strage di Bologna, abbiamo finalmente capito la sua diabolica manovra. Lui non crede a una parola di quel che scrive: le spara sempre più grosse apposta per vedere fin dove può arrivare la deriva revisionista del 'Corriere della Sera'.

Sinora nessuno se n'era accorto, tant'è che gli avevano sempre pubblicato tutto. Così ha deciso di esagerare, anche rispetto ai suoi notevoli standard di delirio. Ha esordito elogiando Rossana Rossanda e gli altri esponenti della "sinistra radicale" che non credono alla colpevolezza dei neofascisti Fioravanti, Mambro e Ciafardini (condannati in Cassazione), rifuggendo dalla "visione ideologica della storia" e dall'"ortodossia ufficiale" comunista. Fin qui tutto normale, a parte il fatto che non si capisce cosa c'entrino l'ideologia e l'ortodossia con le otto sentenze sulla strage.
 
Poi Ostellino fa una capatina in Urss, nella "Berlino del 1953", nell'"Ungheria del 1956", nella "Praga del '68", che per lui sono intercalari fissi: li cita anche in gelateria, quando ordina un doppio cono. Poi il colpo da maestro: "Oggi, come dice Paolo Guzzanti.". Qualunque cosa dica Guzzanti su Bologna o su qualsiasi altro argomento, è chiaro che qui si cela la trappola ostelliniana. Pare di vederlo, il vecchio Piero, tutto compiaciuto davanti al computer: "Ora gli cito Guzzanti, così finalmente lo capiranno al 'Corriere' che li sto prendendo per i fondelli".

Guzzanti è il leggendario presidente della commissione Mitrokhin che pendeva dalle labbra del 'superconsulente' Mario Scaramella a proposito del ruolo-chiave di
Romano Prodi nel Kgb e nel delitto Moro. Scaramella, per un'altra impresa truffaldina, ha poi patteggiato quattro anni per calunnia. Ma che dice Guzzanti? Che "alla sentenza per la strage di Bologna nessuno crede". E Ostellino lo cita come un ipse dixit.
Ora, è mai possibile che, tra le Sezioni unite della Cassazione e Guzzanti, uno sano di mente scelga Guzzanti? Anche un bambino fiuterebbe la provocazione e gli farebbe uno squillo: "Scusa, Piero, ma ti senti bene?". Invece niente: anche stavolta il 'Corriere' pubblica tutto. Così i lettori apprendono dalla penna di Ostellino che la Rossanda, contestando la sentenza di Bologna, "si sottrae all'uso strumentale delle verità giudiziarie e si interroga in piena libertà su cosa sia realmente accaduto", mentre "la sinistra ufficiale (cioè, par di capire, la Cassazione, ndr.) resta preda dell'obiettivo di delegittimare chi governa (Fioravanti e Mambro, com'è noto, sono ministri, ndr.)".
 
È una bella idea, comunque: sottrarre i processi per strage alle corti d'Assise e di Cassazione per affidarli a Ostellino, giudici a latere Rossanda e Guzzanti. Ne verrà fuori che la bomba a Bologna la piazzarono i Venusiani. La sentenza la pubblicherà il 'Corriere', a puntate. Ma, stavolta, dopo ampio dibattito.

(14 agosto 2008)


da espresso.repubblica.it


Titolo: Travaglio: «Non ho capito il motivo del cambio di direttore dell'Unità»
Inserito da: Admin - Agosto 25, 2008, 06:22:49 pm
L'editorialista attacca Veltroni e il Pd

Travaglio: «Non ho capito il motivo del cambio di direttore dell'Unità»

Spera di continuare ancora la collaborazione, ma ci sono voci di un progetto di un settimanale

 

«Scusate, ma non ho capito». Il titolo già dice molto, se non tutto. Marco Travaglio, sull'Unità di lunedì, ha scritto un lungo articolo in cui spiega di non riuscire a trovare una ragione del cambio di direzione del quotidiano, da Antonio Padellaro a Concita De Gregorio, «ottima giornalista e persona squisita». Travaglio afferma di non capire il motivo del cambio di panchina, visto che il giornale, «morto nel 2000, è risorto grazie al duo Colombo-Padellaro» nonostante «il partito che l'aveva ucciso». Secondo Travaglio le «chiacchiere» sulla scarsa «multimedialità» di Padellaro sono solo una scusa.

NORMALIZZAZIONE - Travaglio fa risalire la decisione del cambio di direttore a un lavoro «negli ultimi tre mesi sottotraccia e negli ultimi tre giorni alla luce del sole» direttamente ai vertici del Partito democratico e in particolare al suo segretario Walter Veltroni. Per il giornalista tutto parte dall'intervista rilasciata da Veltroni al Corriere della Sera dopo l'acquisizione dell'Unità da parte di Renato Soru. Veltroni, dice Travaglio, già allora «auspicava un "direttore donna". Perché, si chiede Travaglio, il segretario di un partito avanza la proposta di un cambio di direzione di un giornale che «non appartiene né a lui né al suo partito»? Secono il giornalista è il completamento di un «disegno avviato nel 2005, quando Furio Colombo fu defenestrato dopo mesi di mobbing praticato da ben noti ambienti Ds, insofferenti per la linea troppo autonoma, troppo aperta, diciamo pure troppo libera del giornale».

I VERI NOMI DELLE COSE - E per quale motivo ai Ds, e ora al Pd, non andava bene questa linea? Perché, secondo Travaglio, l'Unità è l'unica «a dire le cose che non si possono dire e a vedere le cose che si preferisce non vedere». In particolare a chiamare «le cose con il loro nome e non con gli pseudonimi berlusconiani e "riformisti». Tra questi «chiamare guerra la guerra e non missione di pace; separatismo il separatismo e non federalismo fiscale; razzismo il razzismo e non sicurezza; inciucio l'inciucio e non riformismo», e così via. Travaglio dice quindi che l'Unità è l'unica a fare una vera opposizione «al Caimano», tanto che lo stesso Berlusconi «riconosce subito i veri oppositori» e lo dimostrò «nei giorni delle ultime elezioni» quando «tornò a sventolare minacciosamente l'Unità additandola a nemico pubblico numero uno... anziché Il riformista o Europa». Poi l'accusa politica più dura nei confronti del Pd e di Veltroni: «Mentre la gran parte dell'opposizione dialogava o andava a rimorchio, l'Unità ha continuato pervicacemente a proporre un'altra agenda, un altro pensiero, un altro vocabolario».

COLLABORAZIONE - Continuerà Travaglio a collaborare con l'Unità? Il giornalista non si chiude tutte le porte alle spalle: «È stata una splendida avventura. Speriamo che continui ancora a lungo», termina l'articolo, anche perché prima aveva scritto che la neodirettrice De Gregorio gli aveva «garantito massima continuità e libertà». In ogni caso, le lettere dei lettori pubblicate dall'Unità sono in gran parte schierate con l'ex direttore Padellaro, e non sanno spiegarsi le ragioni del cambio. La stessa tesi di Travaglio. Del futuro di Travaglio ne parla Repubblica: il direttore di Chiarelettere, Lorenzo Fazio, starebbe lavorando al progetto di un «settimanale di denuncia» che dovrebbe «riunire Di Pietro e i transfughi dell'Unità, gli ex direttori Colombo e Padellaro». Fazio afferma a Repubblica che «con Travaglio ne abbiamo parlato tante volte e ci siamo detti che sarebbe bello avere anche uno strumento giornalistico per ospitare reportage critici contro il potere».


25 agosto 2008

da corriere.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Scusate ma non ho capito
Inserito da: Admin - Agosto 25, 2008, 06:28:25 pm
Scusate ma non ho capito

Marco Travaglio


Leggo e rileggo il comunicato dell’editore e, lo confesso, continuo a non capire. Una sola cosa capisco: il licenziamento di Antonio Padellaro da direttore de l’Unità non dipende dal fatto che Padellaro non è abbastanza «multimediale». Sgombero subito il campo da un paio di equivoci.

Primo: sono molto affezionato al principio di autorità, nonché al motto lombardo "offelè, fa el to mestè". Dunque riconosco agli editori il potere di nominare i direttori che più li aggradano e non penso affatto che l'umile collaboratore di un giornale debba metter becco nelle loro decisioni. Ma, siccome a questo giornale collaboro fin dal 2002, avrei preferito che qualcuno spiegasse ai lettori e ai giornalisti dell'Unità perché l'avventura di questo giornale morto nel 2000 e risorto nel 2001 grazie al duo Colombo-Padellaro, a una redazione tenace disposta a ogni sacrificio e a un pugno di editori coraggiosi debba concludersi così bruscamente e inspiegabilmente.

Secondo: sono abituato a basarmi sui fatti e dunque non farò processi alle intenzioni, ergo non dirò una parola sul nuovo direttore, Concita De Gregorio, se non che è un'ottima giornalista e una persona squisita, che ho avuto modo di sentirla un paio di volte nelle ultime settimane, che mi ha garantito massima continuità e libertà, che le auguro i migliori successi.

Ma il punto è ciò che è accaduto finora, negli ultimi tre mesi sottotraccia e negli ultimi tre giorni alla luce del sole. Prima le voci. Poi l'intervista di Walter Veltroni al Corriere della Sera che, all'indomani dell'acquisto dell'Unità da parte di Renato Soru, auspicava un "direttore donna", cioè il licenziamento di Padellaro (che purtroppo è maschio). Lì s'è avvertita la prima, violenta rottura: non è usuale che un segretario di partito licenzi un direttore di giornale e indichi le caratteristiche del successore, specie se quel giornale non appartiene né a lui né al suo partito. Se, nell'autunno del 2002, pur provenendo da tutt’altra storia e tradizione, accettai con gioia la proposta di Colombo e Padellaro, mediata dal comune amico Claudio Rinaldi, di collaborare all'Unità con una rubrica quotidiana, fu proprio perché l'Unità non era più un giornale di partito, ma un giornale libero, che rispondeva soltanto ai suoi editori, direttori e lettori. Infatti in questi sei anni mi sono sentito libero di scrivere in assoluta autonomia, senza mai subire la benchè minima censura. Ora quel fatto da troppi trascurato -­ l'intervista di Veltroni - comporta una svolta non da poco, un peccato originale destinato inevitabilmente a incombere sul futuro.

Il secondo fatto è che l'uscita di scena di Padellaro segue, a tre anni di distanza e in qualche modo completa, quella di Colombo, l'altro direttore che aveva resuscitato l'Unità. E attende spiegazioni più plausibili delle chiacchiere sulla "multimedialità". Il giornale va male? Pare di no, anche se paga le scarse risorse finanziarie (e pubblicitarie) e, politicamente, la grande depressione seguita al biennio della cosiddetta Unione al governo. Se dunque non è un problema di copie (la media giornaliera di 48 mila, con 274 mila lettori, è tutt'altro che disprezzabile, visti i chiari di luna, e speriamo di non doverla mai rimpiangere), è un problema "di linea". Lo stesso che era stato sollevato nel 2005, quando fu allontanato Colombo.

Ora l’esperienza nata sette anni fa dalla straordinaria alchimia di questi due direttori, capaci di coinvolgere e coalizzare in una sorta di campo-profughi collaboratori delle più varie provenienze e culture, oggettivamente si chiude. Si finisce il lavoro e si completa il disegno avviato nel 2005, quando Furio fu defenestrato dopo mesi di mobbing praticato da ben noti ambienti Ds, insofferenti per la linea troppo autonoma, troppo aperta, diciamo pure troppo libera del giornale. Tre anni fa il disegno si compì a metà, magari nella segreta speranza che Antonio capisse l’antifona e riconsegnasse il giornale al partito che l'aveva ucciso. Padellaro, pur con la sua diversa sensibilità rispetto a Colombo, l'antifona non la capì. Continuò a scrivere e a farci scrivere in assoluta libertà. Beccandosi le reprimende più o meno sotterranee di molti politici del Pd e quelle pubbliche del Caimano. Il quale avrà tanti difetti, ma non quello di nascondere simpatie e antipatie. Lui i veri oppositori li riconosce subito e, a suo modo, li onora molto meglio di chiunque altro. Infatti, a dimostrazione del nostro successo, nei giorni delle ultime elezioni tornò a sventolare minacciosamente l'Unità additandola a nemico pubblico numero uno (chi sostiene che l'antiberlusconismo fa il gioco di Berlusconi, mentre le vere spine nel fianco del Cavaliere sono i "riformisti", spiegherà forse un giorno perché lui abbia continuato a sventolare l’Unità, anziché Il Riformista o Europa, semprechè ne abbia notata l'esistenza).

Ora, è evidente che la chiusura di questo ciclo non si deve a lui. E’ il padrone di quasi tutto, ma non ancora di tutto. Lo si deve a chi, nel centrosinistra, vedeva in questa Unità una minaccia. Salvo poi, si capisce, meravigliarsi insieme a Nanni Moretti se l'opinione pubblica latita (o forse, più propriamente, non trova sponde politiche, punti di riferimento, occasioni di manifestarsi e manifestare). Nell'Agenda Unica del Pensiero Unico del Padrone Unico, mentre la gran parte dell'opposizione dialogava o andava a rimorchio, l'Unità ha continuato a proporre pervicacemente un'altra agenda, un altro pensiero, un altro vocabolario. A dire le cose che, altrove, non si possono dire e a vedere le cose che, altrove, si preferisce non vedere. Nel paese dove, come ha detto efficacemente Gianrico Carofiglio all’Espresso, «da 15 anni Berlusconi è il padrone delle parole della politica», perché «ha scelto lui i nomi con cui chiamare le cose e gli argomenti», l’Unità portava ogni giorno in prima pagina altre parole, continuando ostinatamente a chiamare le cose col loro nome, non con gli pseudonimi berlusconiani e dunque "riformisti": su questa Unità la guerra è guerra, non missione di pace; il separatismo è separatismo, non federalismo fiscale; il razzismo è razzismo, non sicurezza; il monologo è monologo, non dialogo; l’inciucio è inciucio, non riformismo; il regime è regime, non governo di destra con cui dialogare; i mafiosi sono mafiosi e i corrotti corrotti, non vittime del giustizialismo; i processi sono processi, non guerra tra giustizia e politica; le leggi incostituzionali sono leggi incostituzionali, non risposte eccessive a problemi reali; Mangano era un mafioso e chi lo beatifica non «fa una gaffe»: è come lui.

Mentre scrivo, ho appena letto l'addio di Padellaro. E mi tornano alla mente le nostre mille telefonate all'ora di pranzo (mi sveglio tardi) per decidere insieme la rubrica del giorno. Scambi di battute e trovate che nascevano cazzeggiando e ridendo fra noi fino alle lacrime e poi finivano regolarmente nel "Bananas", poi nell'"Uliwood Party", infine nell'"Ora d'aria". Articoli che, come spesso ci ripetevamo, potevano uscire su un solo quotidiano: questo. Quello che dava il nome alle celebri feste estive, dalle quali sono bandito da quattro anni, pur scrivendo sull'Unità quasi ogni giorno da sei (ma ora han cambiato opportunamente nome). «Un giorno - mi diceva spesso Antonio, tra il serio e il faceto - me le faranno pagare tutte insieme, le tue rubriche, insieme al resto. Ma scrivi tutto, è troppo divertente». Ora che quel giorno è arrivato, mi sento soltanto di dirgli grazie. Per avermi sopportato, da gran signore e da liberale autentico, a suo rischio e pericolo. È stata una splendida avventura. Speriamo che continui ancora a lungo.

Pubblicato il: 25.08.08
Modificato il: 25.08.08 alle ore 13.26   
© l'Unità.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - I dolori del giovane Letta
Inserito da: Admin - Agosto 26, 2008, 06:39:34 pm
I dolori del giovane Letta


Per il politico è ora archiviare l'antiberlusconismo. Ma non si accorge che in questo modo si rischia di dimostrare ancora di più la vitalità del berlusconismo   Il giovane Enrico Letta lancia due idee fulminanti per "una opposizione netta e intransigente". 1. "Prendere Pippo Baudo come portavoce". 2. "Archiviare l'antiberlusconismo", perché "con l'antiberlusconismo non vinceremo più: tutti si interrogano sul post berlusconismo e noi dobbiamo essere tra quelli".

La prima è notevole, specie per un politico di 42 anni: affidare un partito neonato a un signore di 72, coetaneo del premier. La seconda ricorda il 'fàmolo strano' di Carlo Verdone: opporsi a Berlusconi, ma senza opporsi. Il Cavaliere ha stra-rivinto le elezioni, ha approvato la Finanziaria in 9 minuti netti, s'è autoimmunizzato dai processi in 25 giorni, dispone di una maggioranza schiacciante e di una opposizione inesistente, prende applausi persino quando finge di spazzare Napoli con la ramazza (passo successivo, come da profezia di D'Alema, lo scolapasta in testa). Intanto dal Pd si librano Amato e Bassanini, atterrano nei pressi di statisti come Alemanno e Calderoli e vincono l'oro nello sport nazionale del salto sul carro del vincitore.

In questo panorama Letta jr. che t'inventa? La fine del berlusconismo, ergo dell'antiberlusconismo. Senza accorgersi che proprio chi parla di antiberlusconismo dimostra la vitalità del berlusconismo. L'ha detto Gianrico Carofiglio a 'L'espresso': "Il Cavaliere è padrone di tutto, anche delle parole". I democratici Usa sono contro Bush, i popolari spagnoli contro Zapatero, i socialisti francesi contro Sarkozy. Ma nessuno s'interroga sull'antibushismo, antizapaterismo, antisarkozismo delle opposizioni. In Italia, oltretutto, l'establishment di centrosinistra non è mai stato antiberlusconiano. Mentre Silvio & C. fabbricavano calunnie contro i leader del centrosinistra (campagne anti Di Pietro, commissioni Telekom Serbia e Mitrokhin) o tentavano ribaltoni comprando ministri e senatori, l'altra parte predicava il dialogo. Per cinque volte Berlusconi è stato eletto sebbene ineleggibile: nel '96 e nel 2006 la maggioranza di centrosinistra ratificò la sua elezione illegittima. La fine dell'antiberlusconismo data almeno dal 7 luglio '95, quando Berlusconi, Previti e Letta senior furono invitati al congresso del Pds. "Basta demonizzare l'avversario", disse D'Alema, "basta cultura del nemico. Col Polo ci vuole rispetto e dialogo sulle regole". "Basta uso strumentale della magistratura", fece eco Veltroni, "mai più alleanze contro Berlusconi". Infatti, nel 1996-2001 e nel 2006-2008, Ulivo e Unione vararono tutte le leggi contro la Giustizia richieste dal Cavaliere, promosso padre costituente in Bicamerale, ed evitarono di risolvere il conflitto d'interessi e di attuare le sentenze della Consulta sull'antitrust tv. Il giovane Letta, politicamente più anziano dello zio Gianni, c'era già. Vuol essere così gentile da indicarci quando mai il centrosinistra fu antiberlusconiano? Se poi si dovesse scoprire che non lo è mai stato, il Pd potrebbe provare a diventarlo almeno una volta. Tanto per cambiare un po'. E vedere di nascosto l'effetto che fa.

(26 agosto 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Garanti a modo loro
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2008, 11:26:12 pm
Marco Travaglio


Garanti a modo loro


Il Garante della Privacy ha stabilito che periti e consulenti tecnici non possono conservare informazioni acquisite durante l'incarico. Una decisione discutibile perchè le idagini si possono riaprire  Il Tribunale di MilanoI periti dei tribunali e i consulenti tecnici dei pm non possono più tenere nei loro archivi i dati e i documenti raccolti per un'indagine dopo che questa è terminata, ma devono restituirli ai magistrati o 'cancellarli'. Rigorosamente vietato "conservare, in originale o in copia, in formato elettronico o su supporto cartaceo, informazioni personali acquisite nel corso dell'incarico".

L'ha stabilito il Garante della Privacy con la delibera n. 178, pubblicata sulla 'Gazzetta ufficiale' il 31 luglio scorso. La decisione è molto discutibile: chiusa o archiviata un'indagine, se ne può sempre aprire un'altra se emergono elementi nuovi. E spesso è molto utile che il consulente conservi i dati vecchi per riusarli e incrociarli con quelli nuovi, senza dover ripartire da zero. Ora non si potrà più farlo. Chissà perché: le banche dati dei periti non presentano alcun rischio per la privacy, visto che questi sono pubblici ufficiali tenuti alla massima riservatezza.

Ma le perplessità aumentano se si guarda al relatore della delibera destinata a svuotare le indagini cancellando la memoria storica di tanti scandali: quella del vicepresidente dell'Autorità garante, Giuseppe Chiaravalloti. Ex magistrato, ex governatore forzista della Calabria, Chiaravalloti è indagato a Catanzaro per associazione a delinquere nell'inchiesta Poseidone del pm Luigi de Magistris (anche se il nuovo pm ha chiesto la sua archiviazione) e a Salerno per corruzione giudiziaria e minacce. Ora, si dà il caso che a entrambe le indagini abbia collaborato uno dei più celebri consulenti giudiziari d'Italia: il vicequestore Gioacchino Genchi, un mago nell'incrocio dei tabulati telefonici, già preziosissimo nei processi sulle stragi mafiose del 1992-93, più volte attaccato da politici e imputati, soprattuttoda politici imputati.


Ed è piuttosto curioso che a impartire le nuove direttive ai consulenti, lui compreso, sia proprio uno dei suoi 'clienti' più illustri. Possibile che il Garante Franco Pizzetti abbia designato proprio Chiaravalloti come relatore, in barba al suo plateale conflitto d'interessi? Forse la scelta è caduta su di lui per la competenza maturata in fatto di indagini giudiziarie (a carico). O magari per le sue doti profetiche. In una telefonata intercettata due anni fa con la segretaria, Chiaravalloti così parlava di De Magistris: "Questa gliela facciamo pagare. Lo dobbiamo ammazzare. No, gli facciamo cause civili per danni e ne affidiamo la gestione alla camorra napoletana... Saprà con chi ha a che fare... C'è quella sorta di principio di Archimede: a ogni azione corrisponde una reazione... Siamo così tanti ad avere subìto l'azione che, quando esploderà, la reazione sarà adeguata!. Vedrai, passerà gli anni suoi a difendersi". Infatti De Magistris è stato trasferito dal Csm lontano da Catanzaro. I pm che l'hanno rimpiazzato hanno subito revocato ogni incarico a Genchi. In compenso l'indagato Chiaravalloti continua imperterrito a vice-garantire la nostra privacy, e soprattutto la sua. E ora dà perfino gli ordini ai consulenti dei giudici. Giustizia è fatta.

(29 agosto 2008)


da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - I Mastella’s
Inserito da: Admin - Agosto 30, 2008, 11:44:02 pm
30 agosto 2008, in Marco Travaglio


I Mastella’s

Ora d'aria
l'Unità, 29 agosto 2008

Un caso umano si aggira per le cronache politiche. Il suo nome è Clemente Mastella. Lo statista ceppalonico, in astinenza da poltrone da quando in gennaio rovesciò il governo Prodi abboccando alle lusinghe del Cainano (che poi non candidò neppure lui e la sua signora), ha lanciato dal suo blog uno straziante appello: “Chi crede nel Centro si faccia avanti”. Nemmeno un commento. Allora s’è trasferito in Abruzzo, proponendo un “patto” al Pd per una candidatura innovativa (la sua), come se il Pd abruzzese non avesse abbastanza noie giudiziarie. Infatti, nessuna risposta. “La campagna elettorale dell’Udeur inizia da Ovindoli”, ha annunciato indomito in un comizio dinanzi a se stesso.

Anche la sua signora, Sandrina Lonardo, indagata a Napoli per tentata concussione e dunque regolarmente al suo posto di presidente del consiglio regionale della Campania, miete successi a piene mani. La Cassazione ha appena respinto il suo ricorso contro l’ordinanza del Gip di Napoli, che le aveva trasformato gli arresti domiciliari (disposti al Gip di S.M.Capua Vetere) in obbligo di dimora, poi revocato. La signora chiedeva di dichiarare quel provvedimento infondato, per farsi risarcire dallo Stato i danni per l’ingiusta detenzione. Purtroppo la Corte ha stabilito che la detenzione era giusta e “tutte infondate” erano le sue lagnanze, condannandola a pagare le spese processuali: avevano ragione i pm e i giudici di Santa Maria, vilipesi da Mastella & C. come “macchiette politicizzate” e complottarde.

Purtroppo, a parte qualche cittadino armato di microscopio elettronico, nessuno ha saputo della sentenza, relegata in alcuni trafiletti comparsi su un paio di quotidiani (dai principali tg, invece, silenzio di tomba). La sentenza integrale illustra il sistema clientelare illegale messo in piedi dai Mastella’s. E fa a pezzi le scombiccherate teorie con cui fior di politici e commentatori assolsero l’allora ministro della Giustizia e i suoi cari nella standing ovation in Parlamento e in decine di editoriali. La tesi è nota: raccomandare e lottizzare non è reato perché “così fan tutti” e se i magistrati se ne occupano “invadono il campo” della politica. Secondo la Cassazione invece “sussistono i gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’ art. 273 Cpp sull’ipotizzato reato di tentata concussione”. Lady Mastella è “accusata di avere, nella sua qualità di presidente del Consiglio regionale della Campania, in concorso con il marito Clemente Mastella” e di altri esponenti Udeur, “tentato di costringere Luigi Annunziata, direttore generale dell’azienda ospedaliera S.Sebastiano di Caserta, nominato nel 2005 su indicazione dell’Udeur, a sottostare alle indicazioni del partito”. Ma Annunziata rifiuta e nomina gente brava, anziché di partito. Apriti cielo. “Quello è un uomo morto”, strilla la signora al telefono col consuocero. E tenta di “defenestrarlo”, “anche con una campagna di stampa”.

Nell’aprile 2007 promuove un’interpellanza Udeur “con cui si chiedono spiegazioni al governo regionale circa il possesso dei requisiti dell’Annunziata per la nomina a dg”. Poi però l’interpellanza viene congelata: “la Lonardo e gli altri coindagati fanno giungere all’Annunziata un messaggio di possibile riconciliazione, facendogli intendere che l’interpellanza può essere ritirata qualora nomini De Falco e Viscusi, ‘graditi’ alla Lonardo, primari di neurochirurgia e cardiologia del S.Sebastiano. Annunziata non accetta l’imposizione. In risposta, la Lonardo ripropone l’interpellanza”. E incontra l’assessore alla Sanità per far cacciare Annunziata. “Nella ricostruzione appaiono tutti gli elementi costitutivi del reato di concussione. L’abuso consiste nella strumentalizzazione da parte dell’indagata dei suoi poteri di presidente del Consiglio regionale: in tale veste ha esercitato in maniera distorta le attribuzioni del suo ufficio, piegandone finalità e obiettivi per interessi particolari, estranei all’interesse pubblico, violando i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione pubblica posti dall’art. 97 della Costituzione”, il tutto per “rafforzare la presenza del partito nelle istituzioni pubbliche, perpetuando una politica di occupazione e spartizione clientelare nei posti di responsabilità nelle pubbliche amministrazioni, secondo criteri di appartenenza politica e non di competenza tecnica”. Ecco perché è stata arrestata e dovrebbe risarcire lo Stato, anzichè batter cassa dallo Stato. Ed ecco perché si vuole riformare la Giustizia e la Costituzione.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Al cittadino non far sapere
Inserito da: Admin - Agosto 31, 2008, 10:37:03 pm
31 agosto 2008, in Marco Travaglio

Al cittadino non far sapere

Ora d'aria
l'Unità, 31 agosto 2008

Grazie alle intercettazioni giustamente pubblicate da Panorama, sappiamo come si comportava il premier Romano Prodi dinanzi a richieste di raccomandazione. Cioè all'opposto di Berlusconi. Quando il consuocero, primario a Bologna, chiese fondi pubblici per una struttura pubblica di ricerca biomedica, Prodi girò la pratica al ministro competente Mussi, che liberamente decise di no. Idem quando un amico industriale farmaceutico chiese agevolazioni fiscali per una fondazione scientifica: la pratica passò al Tesoro che, avendo già deliberato per il 2007, suggerì di rifarsi vivo nel 2008 (nulla di fatto anche in quel caso). Quando invece un nipote chiedeva consigli privati per una società privata, Prodi privatamente glieli dava. Grazie, poi, alle dichiarazioni di Prodi, abbiamo almeno un politico (purtroppo in pensione) che non ha nulla da nascondere e dunque chiede di pubblicare tutte le sue telefonate intercettate. E rifiuta la solidarietà pelosa di chi, a destra e a sinistra, vorrebbe il silenzio stampa per legge: così si saprà che esistono intercettazioni su Tizio o Caio, ma queste resteranno nel cassetto, così Tizio o Caio rimarranno sospettati a vita anche se non han fatto nulla di male.

Anche stavolta, come ciclicamente accade da qualche anno, cioè da quando le intercettazioni hanno svelato ai magistrati (e ai cittadini italiani) gravissimi scandali, s’è messa in moto la compagnia di giro di politici e commentatori specializzati nell’invocare “una legge sulle intercettazioni”: guinzaglio ai giudici e bavaglio ai cronisti. Solo che stavolta lorsignori non si sono accorti di un particolare non da poco: quelli pubblicati da Panorama non sono atti pubblici, cioè già depositati a indagati e avvocati, dunque raccontabili dalla stampa. Sono atti ancora coperti da segreto, custoditi - come scrive un po’ comicamente Panorama - in una cassaforte della Procura di Roma, cui li ha trasmessi per competenza quella di Bolzano che indaga su tutt’altro (Siemens-Italtel). Dunque chi li ha passati a Panorama - Guardia di Finanza, o magistrati o personale di Procura - ha commesso un reato: art. 326, rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Il quale è punito col carcere da 6 mesi a 3 anni, insieme al giornalista che concorre nel suo reato (questi però è tenuto al segreto professionale e non rivela la fonte, difficilissima da individuare). Dunque è già vietato dalla legge vigente divulgare notizie segrete e non c’è bisogno di farne un’altra per vietarlo di nuovo. Si dirà: ma le notizie segrete continuano a uscire. Vero: il mondo è pure pieno di rapinatori, stupratori, spacciatori, scippatori, omicidi che continuano a delinquere anche se è già vietato rapinare, stuprare, spacciare, scippare, ammazzare. Ma a nessuno salterebbe in mente di fare ogni volta una nuova legge che proibisca comportamenti già proibiti.

Resta da capire, allora, di che vadano cianciando Sergio Romano sul Corriere e il consueto stuolo di politici bipartisan che anche ieri hanno invocato una nuova legge: il ddl Berlusconi-Alfano varato in giugno dal governo (fino a 5 anni di galera per i giudici che dispongano intercettazioni per reati puniti fino a 10 anni; fino a 3 anni di galera per i cronisti che le raccontino), o qualcosa di simile. Quella legge infatti, che per i giornalisti riprende peggiorandola la Mastella votata un anno fa da tutta la Camera (447 sì e 9 astenuti), non vieta di pubblicare atti segreti (è già vietato). Vieta di pubblicare atti pubblici: cioè verbali, avvisi di garanzia, ordini di cattura, decreti di perquisizione anche contenenti intercettazioni, già depositati alle parti, dunque non più segreti, dunque raccontabili. Atti che non c’entrano con le telefonate di Prodi, ancora segrete, come lo era la famosa conversazione Fassino-Consorte sul caso Unipol, anche allora in mano alla Guardia di Finanza e pubblicata dallo stesso cronista Nuzzi sul Giornale allora diretto dallo stesso Belpietro.

La nuova legge guinzaglio-bavaglio non servirà a impedire l’uscita di atti segreti (già vietata e punita col carcere), ma di atti pubblici. Come quelli che hanno consentito ai cittadini di essere doverosamente e tempestivamente informati sui casi Telecom, Calciopoli, Bancopoli, Sismi, Cuffaro, Del Turco e persino sui delitti nella clinica Santa Rita. Con la legge che Berlusconi da destra, l’avvocato Calvi da sinistra e Romano sul Corriere invocano a gran voce, non sapremmo ancora nulla di nulla, visto che (Cuffaro a parte) i processi non sono ancora iniziati. E i vari Moggi, Fazio, Fiorani, Consorte, Gnutti, Pollari, Pompa sarebbero ancora tutti ai posti di combattimento, liberi di continuare indisturbati, come prima e più di prima. Per la serie: al cittadino non far sapere quanti scandali nasconde il potere.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Basta leggi, per carità
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2008, 12:13:09 pm
2 settembre 2008, in Marco Travaglio

Basta leggi, per carità

Ora d'aria
l'Unità, 2 settembre 2008


Dice bene Anna Finocchiaro all’Unità: “Il Pd non deve andare a rimorchio di Berlusconi”. L’agenda delle priorità e delle emergenze, finora, l’ha dettata Al Tappone, che se le canta e se le suona (anzi, ce le suona) grazie a tv e giornalisti al seguito. Resta allora da capire perché mai il Pd si sia affrettato a presentare in Parlamento un ddl sulle intercettazioni, visto che nessun italiano onesto e sano di mente ne avverte il bisogno. In Italia ogni anno vengono intercettate 15-20 mila persone, lo 0,02% della popolazione. Se si pensa che ogni anno nei tribunali giungono 3 milioni di notizie di reato, se ne deduce facilmente che le intercettazioni sono troppo poche, non troppe. Il Pd, per differenziarsi dal Pdl, sostiene che i magistrati devono continuare a farle con le regole attuali (per i reati puniti con pene superiori ai 5 anni, mentre il Pdl porta il tetto a 10 anni, con durata massima di 3 mesi). E, fin qui, ok. Ma aggiunge che bisogna impedire di pubblicarle fino al processo, non è chiaro se tutte o solo quelle che riguardano persone non indagate.

Il programma elettorale del Pd copiava pari pari la legge Mastella (approvata da destra e sinistra un anno fa alla Camera): fino a 100 mila euro di multa a chiunque pubblichi atti di indagine, anche non segreti (intercettazioni comprese), prima del processo. Ora il ddl sembra restringere il divieto alle intercettazioni che riguardano persone estranee all’inchiesta. E’ già qualcosa, ma non basta. Intercettazioni o altri atti investigativi possono contenere notizie interessanti su vicende pubbliche di personaggi pubblici che magari non costituiscono reato, ma che i cittadini han diritto di conoscere e i giornalisti hanno il dovere di raccontare. Come dice il lettore citato nell’ultimo editoriale di Concita De Gregorio, “male non fare, paura non avere”. Se un estraneo alle indagini viene intercettato indirettamente a colloquio con un indagato, e non dice e non fa nulla di male, nell’eventualità che la conversazione venga pubblicata risulterà che s’è comportato bene. E morta lì. Il caso Prodi è emblematico: non è indagato, qualche sua telefonata col consulente Ovi (intercettato) viene ascoltata e finisce sui giornali, ma lui ci fa un’ottima figura: amici e i parenti che chiedevano favori non hanno avuto alcun favore. Tant’è che lui stesso ha chiesto di pubblicare tutto: una richiesta che può essere avanzata solo da chi se lo può permettere. Dunque, per dire, non Al Tappone.

Nell’inchiesta Abu Omar, la spia del Sismi Marco Mancini tenta di salvarsi dai magistrati raccomandandosi a due ex capi dello Stato, Cossiga e Scalfaro. Cossiga, contattato direttamente, si mobilita subito attaccando e denunciando a Brescia i pm Pomarici e Spatato che indagano sul sequestro. Scalfaro, contattato tramite un amico agente di scorta, non muove un dito: anzi fa sapere a Mancini che, se ha qualcosa da dire, lo riferisca ai magistrati, che lo ascolteranno. Forse che Scalfaro si lamenterà perché, pur non essendo indagato, ha visto pubblicate le sue conversazioni? No, perché s’è comportato bene, da vero uomo delle istituzioni.

Nell’inchiesta campana sui coniugi Mastella, il consuocero della coppia è accusato di aver pilotato il concorso per l’assunzione di geologi in un consorzio, vinto da alcuni somari raccomandati, grazie all’esclusione truffaldina di un giovane geologo molto competente, risultato il migliore all’esame e dunque bocciato. Si chiama Vittorio Emanuele Iervolino (omonimo della sindaca di Napoli). Il quale non solo non è indagato, ma è addirittura vittima del reato. La sua vicenda finisce nelle intercettazioni e dunque, quando le carte diventano pubbliche, sui giornali. Lui potrebbe lagnarsi per il suo nome sbattuto in prima pagina. Invece è felicissimo. Non ha fatto nulla di male, anzi ha subìto un abuso e ora tutti sanno che era il più bravo. Tant’è che ha ricevuto diverse offerte di lavoro da aziende private (il settore pubblico quelli bravi non li vuole). Fosse già in vigore la legge del Pd, non sapremmo nulla di lui, di Scalfaro, di Prodi. Ma sapremmo che sono stati intercettati o citati nelle intercettazioni senza conoscerle, così un alone di sospetto li avvolgerebbe ingiustamente per anni, fino al processo a carico degli indagati. Insomma, la vecchia normativa va bene così: la privacy è già tutelata dalla legge sulla privacy, il segreto investigativo e la reputazione già preservati dal Codice penale. Se Al Tappone vuol intervenire, lo faccia senza proposte “migliorative” del Pd. Più le sue leggi sono incostituzionali, più aumentano le speranze che la Consulta le rada al suolo.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Niente conflitto solo interessi
Inserito da: Admin - Settembre 05, 2008, 11:00:31 pm
Marco Travaglio


Niente conflitto solo interessi

Archiviato come un tema non più centrale, non occupa più gli interventi dei politici all'opposizione alla ricerca di alleanze con Pdl. Quindi meglio tacere. 

Archivio Ansa, quattro mesi di governo Berlusconi. Maggio: 36 dichiarazioni dall'opposizione sul conflitto d'interessi del premier (19 Di Pietro & C., 11 Pd, 4 Sinistre, 2 Udc). Giugno: il conflitto d'interessi è citato 16 volte (7 Idv, 7 Pd, 1 Pdci, 1 Udc). Luglio: sarà il caldo, ma nel mese del lodo Alfano le citazioni scendono a 7 (4 Pd, 2 Di Pietro, 1 Diliberto). Agosto, appena 5: 3 Idv, 2 Pd. Una è di Veltroni, ma per costrizione: il 4 agosto, presentando la fantomatica tv Youdem, a domanda risponde: "Non serve questa occasione per rilanciare un tema che va affrontato come regola del gioco democratico e non come un coltello da brandire contro qualcuno". Il perché è noto: il conflitto d'interessi ha stufato, meglio cose più concrete.

Già, ma intanto i conflitti d'interessi impediscono di parlar chiaro anche su quelle. Tipo la berluscordata Alitalia, che è tutta un conflitto d'interessi. Si attende la vibrante denuncia del ministro-ombra all'Industria. Ma arrivano solo balbettii e pigolii, perché il ministro-ombra è Matteo Colaninno, figlio del capo della berluscordata. Dimettersi, manco a parlarne. Poi c'è la giustizia: difficile trovare qualcosa di più concreto della necessità di processi più rapidi, indagini più efficienti, pene più certe. Il governo parla d'altro: separazione delle carriere, reati scelti dal Parlamento, più politici (ancora!) nel Csm, niente intercettazioni sulla criminalità diffusa (e dunque su quella dei colletti bianchi). Tutta roba che non abbrevia di un minuto i processi.

Qui il ministro-ombra, Lanfranco Tenaglia, parla abbastanza chiaro. Ma la sua voce si perde nel chiacchiericcio dei troppi esternatori piddini che fanno a gara a 'dialogare' col governo, dunque sono ricercatissimi dai giornali. I più loquaci sono Luciano Violante, Nicola Latorre e Guido Calvi. Violante strapazza l'Anm e lancia l'idea, subito raccolta dal ministro Alfano, di ribaltare il rapporto politici-magistrati nel Csm: oggi i primi sono solo un terzo, lui vuole raddoppiarli con un altro terzo "indicato dal capo dello Stato" (che potrebbe presto essere Berlusconi: non è meraviglioso?). Violante è candidato alla Corte costituzionale, ma gli occorrono voti dal Pdl. Se ce la farà, dovrà valutare la costituzionalità delle norme che oggi suggerisce. Basta, come conflitto d'interessi? Non ancora: Latorre attacca l'Anm ("Esagera", "Minacce corporative" al povero governo, "Stendiamo un velo pietoso"). Invoca sul 'Giornale' "un accordo sul garantismo" con Berlusconi. E chiede, con Calvi, una stretta su intercettazioni e diritto di cronaca.

Opinioni rispettabilissime, se non fosse che Latorre, sorpreso nel 2005 a trafficare al telefono con Consorte e Ricucci nel pieno delle scalate illegali a Bnl ed Rcs, è stato salvato sei mesi fa dal Senato, che ha rispedito al mittente la richiesta del Tribunale di Milano di usare contro di lui le conversazioni. Richiesta ancora pendente all'Europarlamento per D'Alema: difeso, guarda un po', dall'avvocato Calvi. Ecco, meglio stendere un velo pietoso anche sul conflitto d'interessi

(05 settembre 2008)


espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Malpensa vergogna, firmato Bossi (lo squallido ndr).
Inserito da: Admin - Settembre 06, 2008, 09:04:48 am
Marco Travaglio


Malpensa vergogna, firmato Bossi


"L'ampliamento di Malpensa deciso dalla Regione Lombardia è un affare colossale che rischia di far precipitare la vivibilità della zona. A chi non interessano la qualità della vita del cittadino? La salvaguardia dell'ambiente? Il bene sociale?

Non interessano a quei partiti che sanno che con Malpensa gonfieranno le loro casse intrallazzando con la speculazione. Nell'interesse del popolo lombardo, la Lega Autonomista si impegna a intervenire perché i megaaeroporti imposti da questa vergognosa classe politica non possano più oltre degradarre l'uomo" (Umberto Bossi, leader della Lega Autonomista Lombarda, "Lombardia Autonomista", 1982. Citato in "Romanzo Padano", di Parenzo e Romano, ed. Sperling & Kupfer in uscita a metà settembre).

"La musica purtroppo non cambia mai per il Nord: schiavi di Roma eravamo e schiavi restiamo. Per questo Malpensa è la madre di tutte le battaglie per noi.
E' necessaria una reazione forte a questa nuova violenza dello Stato romano che alza il tiro. Vogliono il Nord in ginocchio, penalizzato e più schiavo. Non bisogna cedere, però. Ora più che mai vogliamo al nostro fianco anche la società civile" (Umberto Bossi, leader della Lega Nord, "La Padania", 27 dicembre 2007).

(4 settembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Visto, si indaghi
Inserito da: Admin - Settembre 06, 2008, 06:53:27 pm
5 settembre 2008, in Marco Travaglio

Visto, si indaghi

Ora d'aria

l'Unità, 4 settembre 2008


La notizia che la Procura di Milano intende indagare Nicola Latorre, vicecapogruppo del Pd al Senato, per l’ipotesi di reato di concorso nell’aggiotaggio contestato a Ricucci e Consorte nelle scalate del 2005 non è nuova. Almeno per i pochi che si sono ostinati a tenersi informati. Purtroppo, mai come nel caso di quest’indagine bipartisan, la politica s’è rivelata incompatibile con la verità delle carte.

Breve riepilogo. Il 20 luglio 2007 il gip Clementina Forleo chiede al Parlamento, su istanza della Procura di Milano, l’autorizzazione a usare 60 telefonate intercettate fra alcuni furbetti del quartierino e sei parlamentari, 3 di Forza Italia (Cicu, Comincioli e Grillo) e 3 Ds (D’Alema, Fassino e Latorre). Di questi solo Grillo è già indagato, perché contro di lui pendono elementi diversi dalle telefonate. Su Fassino, Cicu e Comincioli, nessun sospetto: le telefonate con le loro voci servono a corroborare le accuse a Consorte e a Ricucci, ma la presenza di quelle voci rende necessario - in base alla demenziale legge Boato - l’ok del Parlamento anche per usarle contro non parlamentari.

Restano D’Alema e Latorre, che per il gip Forleo potrebbero essere “consapevoli complici del disegno criminoso”: l’aggiotaggio contestato a Consorte per la scalata Bnl e a Ricucci per l’assalto al Corriere. Dunque la gip chiede al Parlamento di autorizzarne l’uso a carico sia dei due furbetti, sia dei due politici. La Casta insorge come un sol uomo, accusando la Forleo di aver abusato del suo potere, “scavalcando” la Procura nell’accusare due politici non ancora indagati. Il pm Greco dichiara al Sole-24 ore che la Procura è sulla stessa linea del Gip: senza l’ok delle Camere, non si possono indagare due politici in base a telefonate non ancora autorizzate. Ma contro la Forleo, abbandonata dall’Anm e costretta a difendersi da sola, continua l’iradiddio di attacchi culminati al Csm in un procedimento disciplinare e in una procedura per trasferirla. Dal primo viene assolta, la seconda viene accolta a gentile richiesta della Casta, tant’è che oggi Clementina sta traslocando a Cremona.

Intanto le giunte di Camera e Senato autorizzano l’uso delle telefonate per Fassino e Cicu (che non rischiano di esser indagati) e salvano gli “indagabili” D’Alema e Latorre. Per D’Alema si ricorre a un cavillo: siccome nel 2005 era europarlamentare, la richiesta va inoltrata a Bruxelles, dov’è ancora pendente in commissione (presieduta dal forzista Gargani). Per Latorre il Senato, dopo 10 mesi di melina, decide di non decidere e rispedisce la richiesta al mittente. Cioè ai giudici di Milano. Qui, a fine luglio, la Procura ha chiesto e ottenuto dal gip Gamacchio (Forleo era assente per malattia) una nuova istanza al Senato per usare le telefonate di Latorre con Ricucci e Consorte “al fine di valutare la posizione del senatore Latorre”, visto che esse sono l’unica fonte per “l’innesco di una investigazione”. Non si può indagare su Latorre finchè il Senato non sbloccherà le intercettazioni. Su Ricucci e Consorte, invece, l’ok del Parlamento non serve più in quanto nel frattempo la Consulta ha dichiarato incostituzionale la legge Boato là dove richiedeva il permesso delle Camere anche per le telefonate contro i privati cittadini a colloquio con parlamentari. Il che dimostra che la Forleo era in perfetta linea con le richieste della Procura e non aveva scavalcato nessuno né commesso alcun abuso. Sarebbe il caso che qualcuno le chiedesse scusa, a cominciare dal Pg della Cassazione e dal Csm che l’han cacciata in malomodo, trattandola come una mezza matta. Ma soprattutto sarebbe il caso che il Senato accogliesse quanto prima la richiesta, consentendo alla Procura di fare le indagini necessarie a stabilire se Latorre abbia commesso reati o no.

L’interessato si rimette al voto del Senato, “qualunque cosa deciderà per me va bene”. Eh no, troppo comodo. La maggioranza l’ha il Pdl che prevedibilmente, con la consueta e pelosa solidarietà di casta, tenterà di salvare Latorre perché una mano lava l’altra, cane non morde cane, oggi a te domani a noi. Il Pd dovrebbe, per mostrarsi davvero alternativo, respingere il gentile omaggio sulla linea Prodi: “Nulla da nascondere, si indaghi pure”. Un anno fa Veltroni dichiarò a MicroMega: “Fassino e D’Alema han chiesto alla Camera di autorizzare le intercettazioni che li riguardano. Dunque nessun limite verrà frapposto all'azione dei giudici”. Dunque anche per Latorre il Pd chiederà il via libera del Senato, o è cambiato qualcosa?



Titolo: Marco TRAVAGLIO - Lo Schifani pero' passava il suo tempo ad insultare ...
Inserito da: Admin - Settembre 08, 2008, 08:42:34 am
29/07/2008



Renato Schifani, impelagato con la mafia ed ora ripagato per questo suo
"impegno" con la seconda carica dello Stato, ha querelato Marco Travaglio
per quanto detto dal giornalista durante la trasmissione "Che tempo che fa",
come voi gia' sapete.



Lo Schifani pero' passava il suo tempo ad insultare gli altri, prima di
diventare "rispettabile". Ecco alcune chicche ripescate dal grande Marco
Travaglio (su micromega.net potete leggere l'articolo completo)



-- inizio inoltro



...molti l'han già dimenticato, nel Paese dei Senza Memoria. Ma Schifani è
lo stesso che per dodici anni, prima da semplice senatore forzista (dal 1996
al 2001) e poi da capogruppo azzurro al Senato (dal 2001 al 2008), passava
le sue giornate a insultare magistrati onesti e giornalisti liberi; ad
architettare leggi-vergogna (suo il lodo dell'impunità per le cinque alte
cariche dello Stato, varato nel 2003 e cancellato dalla Consulta nel 2004;
sua la proposta di ripristinare l'immunità parlamentare e di estenderla
addirittura ai consiglieri regionali, nonché quella di abrogare il concorso
esterno in associazione mafiosa); ad attaccare il capo dello Stato
Napolitano, il presidente del senato Marini, il presidente della Camera
Bertinotti, l'ex presidente della Repubblica Scalfaro, il Csm e la Corte
costituzionale; a cavalcare le peggiori calunnie su Telekom Serbia e
Mitrokhin contro i leader del centro-sinistra, a negare l'evidenza e a
mentire spudoratamente in difesa di Berlusconi e dei suoi complici, a
coprire i peggiori misfatti come la mattanza del G8 di Genova, e soprattutto
a infangare con epiteti irriferibili tutti i principali esponenti del
centro-sinistra e chiunque osasse formulare anche la più timida critica al
Cavaliere e alla sua banda. Compresi in senatori a vita che osavano votare
per Prodi (Schifani l'anno scorso firmò un disegno di legge per privarli del
diritto di voto), compreso il grande poeta Mario Luzi, comprese Maria
Falcone e Rita Borsellino. E compresi pure i Violante e le Finocchiaro e i
Gentiloni, che oggi, in preda a una galoppante sindrome di Stoccolma,
corrono a dargli la solidarietà contro il diritto-dovere di cronaca. La
parola, dunque, a Renato Schifani, statista per caso.

«La polizia a Genova ha dato prova di grande efficienza, mentre Vittorio
Agnoletto [il mitissimo leader del Genoa Social Forum] ha coperto in modo
diretto o indiretto gli anarchici insurrezionalisti e i violenti. Dietro di
lui c'è un disegno politico. Il centro-sinistra cerca di offuscare i
positivi esiti del G8 con altre vicende» (Ansa, 27-7-2008).

«Fassino bara sapendo di barare» (Ansa, 1-8-2001).

«D'Alema ha una impudenza inaccettabile. I Ds, per coprire la propria
inconsistenza politica e le drammatiche divisioni interne, sono ricorsi agli
appelli di piazza e alle dichiarazioni cilene dal sapore eversivo. L'opposizione
estremista è la malattia senile di un post-comunismo senza identità né
progetto. Sono stati i Ds a contrapporsi frontalmente alle forze dell'ordine
con le loro oscillazioni guidate dalla rincorsa verso gli antiglobal» (Ansa,
2-8-2001).

«La sinistra tenta di destabilizzare le istituzioni e continua ad essere
suddita e cortigiana di certe Procure della Repubblica, che temono di dover
ripetere inchieste perché queste si basano su acquisizioni irregolari di
prove, quindi potenzialmente false, la cui autenticità non è assolutamente
provata. Con le fotocopie false non si può condannare nessuno» (Ansa,
3-10-2001. Offesi dall'accusa di inviare ai colleghi italiani carta straccia
e prove false, i giudici svizzeri protestano e il governo elvetico congela
la ratifica del trattato di collaborazione giudiziaria con l'Italia).

«La macchina della disinformazione italiana contagia anche la Svizzera.
Magistrati e politici di Berna purtroppo si sono lasciati ingannare dai
professionisti italiani della menzogna» (Ansa, 10-10-2001).

«Il sedicente moderato Fassino non ha perso l'occasione per usare le vecchie
tecniche di mistificazione legate ai sistemi totalitari del socialismo
reale» (Ansa, 25-10-2001).

«Massimo Brutti e gli esponenti dell'Ulivo fanno i sovietici. E nella
migliore tradizione dell'Urss pretendono di scrivere la storia a uso e
consumo della loro parte politica. Ma i fatti sono chiari: dal 1992 al 1994
l'intera classe dirigente dei partiti democratici, quella che aveva
garantito libertà e benessere agli italiani lottando proprio contro il Pci
finanziato da Mosca, fu spazzata via dalle inchieste di alcuni pm. E dal
1994 alcune procure hanno prescelto come loro bersagli prediletto il leader
di Forza Italia che aveva la colpa di aver rotto le uova nel paniere della
sinistra» (Ansa, 31-10-2001).

«Nelle parole di Angius c'è odore di disinformacija leninista» (Ansa,
1-11-2001).

«Di Pietro è un patetico buffone. Anziché vergognarsi del suo passato zeppo
di coni d'ombra, cerca disperatamente la prima pagina seminando veleni e
menzogne. Questo comunque non lo salverà dal naufragio che lo ha già
travolto. È stato condannato dalla Storia e bocciato dagli italiani » (Ansa,
2-11-2001).

«Rutelli mente sapendo di mentire: dà i numeri e cerca di intorbidire le
acque e di truccare i conti» (Ansa, 21-11-2001).

«Ci eravamo illusi che Fassino fosse di un'altra pasta. Invece in pochi
giorni ha già vestito il solito abito del terrorista mediatico e del
comunista mistificatore» (Ansa, 23-11-2001).

«Se il Csm dovesse davvero sindacare un atto sovrano del parlamento, ci
troveremmo di fronte a una violazione della Costituzione. Ciò ci conferma
ancora una volta l'estrema urgenza di una riforma elettorale di questo
organo al fine di superare il suo sistema correntizio. Questo Csm, alla
vigilia della scadenza del suo mandato conferma le nostre perplessità sulla
sua esasperata politicizzazione che oggi rischia di portarlo ad assumere
clamorose iniziative contro il parlamento democraticamente eletto dai
cittadini» (Ansa, 6-12-2001).

«L'unica vera vergogna dell'Italia è D'Alema. Il presidente dei
post-comunisti, servendosi di una bassa disinformazione di stampo sovietico,
getta fango sul presidente Berlusconi e sull'Italia, con menzogne di infimo
livello. Le sue affermazioni non sono degne di replica, ma danno la conferma
di un fatto ormai incontestabile: l'esistenza del filo diretto tra
Pci-Pds-Ds e i procuratori militanti, meglio conosciuti come toghe rosse,
dediti all'uso politico della giustizia. C'è una guerra intergalattica della
sinistra post-comunista, fondata anche sull'uso politico della giustizia,
contro Berlusconi e il governo della Cdl fatta solo di mistificazioni,
menzogne e bugie, in cui D'Alema, da buon compagno del Cominform stalinista,
è un vero professionista» (Ansa, 7-12-2001).

«Nel palazzo di Giustizia di Milano, con il processo Sme, si sta
organizzando un tentativo di golpe che Forza Italia denuncerà in tutte le
sedi internazionali. Si calpestano clamorosamente le regole di democrazia e
di giustizia. Si vuole attentare alla volontà degli italiani. Ormai tutto il
paese ha capito come certi giudici, con la spudorata complicità delle
sinistre, vogliono mettere in discussione il risultato del 13 maggio con uno
scandaloso uso politico della giustizia. Siamo in presenza di un processo
politico. Denunceremo presso tutte le comunità internazionali il tentativo
di golpe che si sta organizzando nelle plumbee stanze dell'ormai famoso
palazzo di giustizia di Milano, protagonista indiscusso dei più grandi
errori ed orrori giudiziari nella storia del nostro paese. Quanto basta per
denunciare il pericolo di una diagnosi letale per la nostra democrazia e per
il nostro Stato di diritto» (Ansa, 3-1-2002).

«Ormai Rutelli naviga tra cialtronate e comicità talmente pacchiane da non
meritare quasi risposta» (Ansa, 5-1-2002).

«Fassino e Violante dovrebbero solo vergognarsi. Le loro menzogne di oggi
non fanno altro che coprire le spalle a chi ha commesso un vero e proprio
atto d'insurrezione» (Ansa, 13-1-2002, il riferimento è al discorso del
triplice «resistere» di Borrelli all'inaugurazione dell'anno giudiziario).

«Con le proprie trasmissioni in campagna elettorale la Rai fece calare l'indice
di consenso e di fiducia del paese nei confronti di Berlusconi di ben 17
punti percentuali. Le trasmissioni faziose di quei due mesi sono sotto gli
occhi di tutti. In Rai nessuno deve sentirsi intoccabile: il consenso su
Biagi è calato perché il verdetto inappellabile è dei telespettatori.
Personalmente penso che se questo verdetto c'è stato, è probabilmente dovuto
alla concorrenza di Striscia la notizia. Ma anche perché i cittadini hanno
cominciato a rendersi conto che dietro al tentativo baricentrico di
informazione di Biagi, vi è ormai una silente e sempre più evidente
faziosità dell'informazione» (Ansa, 1-2-2002).

«Rutelli fa terrorismo mediatico e dice bugie. Quando si perde il controllo
delle parole, si diventa un pericolo per la democrazia» (Ansa, 20-2-2002).

«Ieri sera ho visto Sciuscià e devo dire che Michele Santoro ha fatto un uso
criminoso della tv pubblica pagata con i soldi di tutti i contribuenti»
(Ansa, 1-3-2002, anticipando di 40 giorni l'editto bulgaro di Berlusconi
contro Biagi, Santoro e Luttazzi).

«Fassino è il direttore del grande menzognificio della sinistra» (Ansa,
15-7-2002).

«Li abbiamo fregati! Siamo cresciuti e siamo diventati più furbi di loro!»
(Ansa, 1-8-2002, commentando l'approvazione al Senato della legge Cirami).

«Rutelli dimostra il volto antidemocratico di chi, come la sinistra, non
riesce ad accettare le regole della democrazia» (Ansa, 31-8-2002).

«Il regista Moretti straparla. Le sue affermazioni su una presunta e
fantomatica estraneità del presidente del Consiglio alla democrazia sono
pericolose e pesano come macigni. Il regista dimostra una totale ignoranza
delle regole. Per agitare la piazza si atteggia a capopopolo, calunniando
Berlusconi che è la naturale espressione della democrazia» (Ansa, 14-9-2002,
sulla manifestazione dei girotondi contro la legge Cirami).

«Se c'è qualcuno che non conosce la democrazia è proprio Scalfaro, visti i
suoi precedenti. Scalfaro ha avallato il più grande tradimento della volontà
popolare. Ha cambiato la storia d'Italia consentendo che venissero
politicamente ingannati i cittadini. Quindi non accettiamo lezioni da chi è
troppo abituato alle congiure di palazzo, ai "non ci sto" su vicende che
sono ancora avvolte da fitte nebbie. Lui è l'ultimo che può fare la predica.
Non ci sono dubbi il senatore Scalfaro sta invecchiando male» (Ansa,
26-9-2002).

«Rutelli ormai è peggio di una comare. La sua falsa indignazione è tipica di
un trombone che strilla solo per il gusto di strillare» (Ansa, 26-11-2002).

«D'Alema farebbe meglio a pensare alle sue scarpe. Non accettiamo lezioni da
chi, come lui, ha condiviso l'ideologia comunista e le atrocità di questa
dittatura sanguinaria e spietata che ha seminato lutti e provocato centinaia
di milioni di morti nel mondo. Evidentemente non sa che le scarpe le ha chi
lavora. Questo sfugge a D'Alema che quando era presidente del Consiglio
grazie a congiure di Palazzo, invece, si vantava di portare scarpe pagate
fior di milioni» (Ansa, 10-5-2003).

«Il modello italiano di propaganda ulivista esportato in Europa. Il vero
scandalo di oggi è che, per la sinistra, all'europarlamento c'è libertà di
killeraggio politico, ma non c'è diritto di replica. Il presidente del
Consiglio ha doverosamente risposto agli attacchi inaccettabili e
premeditati inscenati dai compagni ulivisti di Strasburgo» (Ansa, 2-7-2003,
a proposito di Berlusconi che ha dato del «kapò nazista» al
socialdemocratico Martin Schulz che aveva osato evocare il suo conflitto d'interessi).

«D'Alema è un pubblico mentitore di professione» (Ansa, 4-7-2003).

«Se l'onorevole Fassino avesse rispetto per la verità, dovrebbe chiedere
scusa al presidente del Consiglio. Le sue gravissime insinuazioni non
serviranno a nascondere lo scandalo politico dell'operazione Telekom-Serbia
firmata dal governo Prodi, che ha aiutato direttamente o indirettamente l'azione
criminale di Milosevic´ passata alla storia per le sue campagne di pulizia
etnica» (Ansa, 31-8-2003).

«Prodi non poteva non sapere. Comincia a crollare il castello "omertoso" dei
grandi silenzi dei governanti dell'epoca sulla vicenda. Dini scarica Fassino
e si tira fuori sostenendo che Fassino sapeva e lui no. Fassino viene poi
smentito dall'ambasciatore americano dell'epoca. Da questa sinistra non
accettiamo lezioni di moralità: è buona ad infangare ma poi si chiude a
riccio quando viene travolta dagli scandali assumendo atteggiamenti
omertosi. [.] Quelle di Lamberto Dini [sempre su Telekom Serbia] sono tesi
semplicemente incredibili. Lui mi invita poi a tacere, ma forse dovrebbe
rendersi conto che invece del mio silenzio gli italiani si aspettano una sua
ampia ed articolata spiegazione sul reale accadimento dei fatti. Giorno dopo
giorno le difese dei protagonisti dello scandalo Telekom Serbia diventano
sempre più imbarazzate, contraddittorie ed incredibili. Quanto durerà?»
(Ansa, 5-9-2003).

«Sono disgustato e amareggiato. Le signore Maria Falcone e Rita Borsellino,
con le loro dichiarazioni [sull'intervista di Berlusconi allo Spectator, in
cui il premier ha dato dei "mentalmente disturbati e antropologicamente
diversi dal resto della razza umana" a tutti i magistrati], hanno offeso la
memoria dei loro eroici fratelli. Le due signore, entrambi militanti a
sinistra, non solo hanno finto di non avere capito che il presidente
Berlusconi si è chiaramente riferito ad una ristrettissima cerchia di
magistrati ma, con una disinvoltura che preferisco non commentare, hanno
strumentalizzato due eroi civili che, per fortuna di tutti, sono patrimonio
della collettività. La signora Rita Borsellino, infine, nella sua
dichiarazione ospitata senza contraddittore al Tg3 e registrata in via D'Amelio,
ha detto di trovarsi sul luogo in cui era stato ucciso un uomo che il
presidente del Consiglio aveva definito un matto. Lascio a chiunque abbia
libertà di pensiero giudicare l'iniziativa della signora» (Ansa, 5-9-2003.
Le sorelle dei due giudici assassinati querelano Schifani per diffamazione).

«Oggi più che mai è evidente che la Corte costituzionale [che ha appena
cancellato il suo lodo dell'impunità] è un organo politico a maggioranza
ulivista. Molti magistrati della Consulta sono di nomina presidenziale, di
presidenti eletti dal centro-sinistra. È un verdetto politico contro Silvio
Berlusconi. Prendiamo atto che una grossa componente di poteri forti del
nostro paese è contro Berlusconi. Ma per fortuna la gente è con Berlusconi»
(Ansa, 13-1-2004).

«Fassino, anziché attaccare il premier con metodi maniacali, anziché fuggire
nascondendosi dietro scuse e pretesti, vada a deporre in commissione Telekom
Serbia, a dire la verità con un atto di onestà politica. O forse vuole
nascondere il malaffare firmato dal governo Prodi che ha fatto finire 900
miliardi pubblici nei conti del dittatore sanguinario Milosevic´?» (Ansa,
26-2-2004).

«Il contenuto e il tono incendiario di Prodi lo mettono purtroppo alla
sinistra di Bertinotti. La richiesta di ritiro dei nostri militari dall'Iraq
contrasta con il buon senso etico e politico. È un gravissimo regalo al
terrorismo internazionale» (Ansa, 11-10-2004).

«Le parole di Mario Luzi [il poeta e senatore a vita ha criticato
Berlusconi] sono gravi quanto l'aggressione fisica a piazza Navona perché
alimentano un pericoloso clima d'odio che non va affatto incoraggiato.
Parole pronunziate da un parlamentare di sinistra che, non essendo stato
eletto, non rappresenta una parte politica, ma dovrebbe testimoniare solo
valori alti ed esemplari. Di conseguenza questa gravissima intolleranza
verbale ci deve far riflettere sull'opportunità di rivedere l'istituzione
dei senatori a vita. Fa male alla democrazia concedere una totale
irresponsabilità a chi, come oggi Luzi, manifesta tutt'altro che alta
statura morale» (Ansa, 3-1-2005).

«Se c'è qualcosa di diabolico è il non pensiero del professor Prodi» (Ansa,
26-4-2005).

«Un piccolo tribuno senza avvenire. Così è apparso il professor Prodi a
piazza del Popolo. La violenza delle sue parole e la volgarità dei concetti
espressi sono state senza precedenti. Non sappiamo se sia frutto di
irresponsabilità o di disperazione, ma questo sostanziale incitamento allo
scontro civile di cui il paese non ha bisogno è respinto dalla maggioranza
degli italiani. Non crediamo che l'Unione meriti un leader così estremista»
(Ansa, 9-10-2005).

«Prodi è un coniglio, ha paura di andare in tv e confrontarsi con
Berlusconi. È un coniglio e i conigli non possono governare il paese» (Ansa,
28-1-2006).

«Il presidente Berlusconi non ha mai avuto a che fare con la mafia. Se
Violante tira fuori in campagna elettorale la vecchia storia dello stalliere
vuol dire davvero che è a corto di argomenti seri. Sa fare solo chiacchiere.
Un vizio di oggi e di ieri, quando fu costretto a dimettersi da presidente
della commissione Antimafia per aver anticipato alla stampa la notizia di un'indagine
in corso» (Ansa, 22-3-2006).

«Il vero Bertinotti oggi si è presentato con il suo preoccupante pensiero
politico liberticida. Disprezza la volontà popolare espressa con un
referendum e delinea la soppressione di reti Mediaset e la loro libertà di
palinsesto, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro. Le battaglie di
religione di Bertinotti, con il loro oscuro sapore fondamentalista e
veterocomunista dimenticano di non potere contare su una maggioranza al
Senato e ci motivano ancor di più per una opposizione durissima e senza
sconti. Bertinotti inizia male il suo ruolo preteso di presidente della
Camera» (Ansa, 23-4-2006).

«Quel che sta succedendo al Senato [per l'elezione del presidente Franco
Marini] è sconcertante. Il presidente facente funzioni della seduta, il
senatore Scalfaro, con un colpo di mano ha disposto d'autorità il rinvio di
una seduta già precedentemente fissata alle 20.15 per consentire a numerosi
parlamentari del centro-sinistra di tornare in tempo per votare. Un
atteggiamento gravissimo, che prosegue il vulnus di elezioni già inficiate
da irregolarità. Noi lanciamo un allarme, pensiamo alle regole che sono
state violate. Vogliamo che questa fase si svolga in un clima di regolarità,
trasparenza, serenità. Un clima che non c'è» (Ansa, 28-4-2006).

«Un atto di profonda ingiustizia. La sentenza che ha visto la condanna di
Cesare Previti si basa su teoremi che non hanno riscontri e motivazioni
credibili. La sua unica colpa è evidentemente quella di appartenere a Forza
Italia. L'estraneità di Previti alla vicenda è dimostrata anche dalla sua
coraggiosa decisione di dimettersi da parlamentare. A lui va tutta la mia
solidarietà personale e politica» (Ansa, 5-5-2006).

«Con l'elezione di Napolitano, l'Unione, anziché dare un segnale di
unificazione del paese, ha ritenuto di dover eleggere al Quirinale,
solamente con i propri voti, un personaggio la cui storia e la cui militanza
politica parlano chiaro» (Ansa, 10-5-2006).

«Il governo Prodi è il figlio più becero della più violenta partitocrazia»
(Ansa, 19-5-2006).

«La presidente Finocchiaro cambia la realtà delle cose. Inaccettabili sono i
toni dei signori della sinistra. Berlusconi, vorrei ricordare alla collega
Finocchiaro, ha il consenso della maggioranza degli elettori italiani, è il
vero vincitore delle ultime politiche» (Ansa, 25-5-2006).

«Come parlamentare non mi sento più garantito al Senato. L'Unione ha mandato
un commissario [Marini] per soffocare la democrazia parlamentare. Siamo di
fronte a un colpo di Stato. In aula mi è stato impedito di parlare sull'ordine
dei lavori, cosa inaudita. Un fatto gravissimo. È a rischio la nostra
democrazia parlamentare. Reiteriamo la nostra richiesta di essere ricevuti
dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano» (Ansa, 28-6-2006).

«Ove il disegno di legge Gentiloni non dovesse essere sostanzialmente
modificato alla Camera, Forza Italia in Senato si difenderà in tutti i modi
ricorrendo anche ad atteggiamenti che vorrebbe evitare, come quello di
rallentare l'iter legislativo di qualunque provvedimento. Il ddl Gentiloni è
un vero e proprio esproprio da parte del governo contro Mediaset, azienda
che dà lavoro ad oltre trentamila dipendenti. Dobbiamo difenderci da un'aggressione
che non ha precedenti» (Ansa, 13-10-2006).

«Rispettiamo il presidente Napolitano, ma ciò non ci esime dal confermare
che la sua è stata una dichiarazione politica [un blando auspicio al
pluralismo nell'informazione]. Dispiace doverlo ribadire, ma le parole del
presidente Ciampi sui principi di libertà e pluralismo furono precedenti
alla legge Gasparri e quindi in assenza di una aggiornata disciplina della
materia televisiva. Oggi invece quella legge esiste ed il nuovo richiamo a
quei princìpi da parte del presidente Napolitano è una evidente affermazione
critica nei confronti della legge vigente. E che i problemi di libertà e
pluralismo sussistano è quindi una dichiarazione politica» (Ansa,
14-10-2006).

«Che le più alte cariche dello Stato [Napolitano] oggi entrino all'unisono
nel dibattito politico per dare un sostegno al disegno di legge Gentiloni è
un fatto grave. Questo atteggiamento «conferma come l'occupazione delle più
alte cariche dello Stato l'indomani delle elezioni costituisca un preciso
disegno strategico della sinistra. Espropriare una rete televisiva al leader
dell'opposizione è un gesto che verrà contrastato in parlamento in maniera
decisa e determinata» (Ansa, 14-10-2006).

«Il voto dei senatori a vita è un diritto costituzionalmente garantito, ma
ci sono delle perplessità sull'opportunità politica dell'esercizio di questo
voto nel momento in cui c'è un'aula divisa in due, così come lo è stato il
paese alle elezioni politiche» (Ansa, 22-11-2006, presentando la proposta di
legge per togliere il diritto di voto ai senatori a vita).

«La sinistra non può dare alcuna lezione di moralità. Il senatore De
Gregorio [eletto con la maggioranza, ma votando contro la finanziaria con l'opposizione]
si è comportato con una coerenza che nella maggioranza è mancata a tanti.
Non si può criticare la Finanziaria come hanno fatto molti senatori dell'Unione
e poi votarla come se niente fosse» (Ansa, 18-12-2006).

«Follini, votando per il governo Prodi, tradisce il patto con gli elettori»
(Ansa, 1-3-2007).

«La decisione del governo di sfiduciare il consigliere della Rai Angelo
Maria Petroni sarebbe un golpe senza precedenti, in palese contrasto con la
legge. Di fronte ad una simile gravissima iniziativa saremmo costretti a
rispondere paralizzando i lavori del Senato» (Ansa, 11-5-2007).



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Titolo: Brescia, provincia di Reggio Calabria
Inserito da: Admin - Settembre 09, 2008, 09:56:06 am
Brescia, provincia di Reggio Calabria


"Dopo il federalismo bisogna passare anche alla riforma della scuola. Non possiamo lasciare martoriare i nostri figli da gente (i professori ndr) che non viene dal Nord" (Umberto Bossi, ministro delle Riforme per il Federalismo, 20 luglio 2008)

"La scuola deve alzare la propria qualità abbassata dalle scuole del Sud. In Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata organizzeremo corsi intensivi per gli insegnanti" (Mariastella Gelmini, ministro dell'Istruzione, Apcom, 24 agosto 2008)


"La mia famiglia non poteva permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l'esame per ottenere l'abilitazione alla professione. La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati ed altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l'esame. Per gli altri, nulla. C'era una logica di casta, per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente rivisto. Allora, ad esempio, anche le modalità in base alle quali veniva corretto il compito erano molto opinabili. E, allora, insieme
con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l'esame a Reggio Calabria... Si faceva così: molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi. Ma ho una lunga consuetudine con il Sud, una parte della mia famiglia ha parenti in Cilento. Non mi sono posta il problema di dove andare... Abbiamo poi sostenuto l'esame, ed è stato assolutamente regolare" (Mariastella Gelmini da Leno, Brescia, ministro dell'Istruzione, spiega perché scelse la sede di Reggio Calabria, e non quelle di Brescia o Milano, al momento di dare l'esame per ottenere l'abilitazione alla professione di avvocato, La Stampa. it, 27 agosto 2008).

(8 settembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - "Buongiorno a tutti.
Inserito da: Admin - Settembre 09, 2008, 04:07:43 pm
Marco Travaglio su BeppeGrillo.it


Riporto il testo dell'intervento di Marco Travaglio.



"Buongiorno a tutti.

Alcuni amici di Voglioscendere e del blog di Beppe mi chiedono: “Non darci sempre brutte notizie, dacci ogni tanto qualche buona notizia!”. Io oggi ve la vorrei dare, perché sono davvero estasiato. Abbiamo un ministro che è fantastico. È vero che il governo lascia un po’ a desiderare, ma ce n’è uno che, veramente, li recupera tutti perché è un grande. È Angelino Jolie, detto Alfano. Lui è veramente un genio. L’abbiamo trattato male negli scorsi “passaparola”, ma questa volta bisogna ricredersi. Abbiamo di fronte un cervello superiore. Un grande riformatore, un innovatore. Un uomo che inventa soluzioni avveniristiche per problemi che purtroppo nessuno era mai riuscito a risolvere.
Pensate, ieri, così di domenica fra l’altro - ci regala le sue domeniche gratis - gli è venuto in mente come si fa a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Che naturalmente si ripropone esattamente come due anni fa, nonostante il mega indulto extra large, che lui stesso votò, tra l’altro, dato che era una specialità del centro-sinistra, in realtà lo votò una parte del centro-sinistra e una parte del centro-destra, compresa Forza Italia e compreso Alfano. Anzi, fu proprio Forza Italia a pretendere che l’indulto fosse di tre anni, altrimenti Previti sarebbe ancora agli arresti domiciliari – e non sta bene, pover’uomo.
Che cosa ha pensato, di domenica? Così, appena sveglio, gli vengono queste fulminanti illuminazioni geniali. Ha pensato che espellendo i detenuti extracomunitari e dotando di braccialetto elettronico una serie di condannati a pene basse, o che comunque debbano scontare ancora pochi anni prima di uscire, si potrebbe sfollare le carceri e riportarle a una presenza che sia proporzionata alla capienza. Voi sapete che le nostre carceri a dir tanto posso contenere 40-45.000 detenuti, e siamo già quasi a 60.000 e si calcola che entro un paio d’anni si arriverà addirittura a 70-75.000, quasi il doppio rispetto alla capienza, rispetto ai posti cella.

Partiamo dall’inizio. Perché in Italia ogni anno si ripropone il problema del sovraffollamento delle carceri, sebbene l’Italia abbia conosciuto una quarantina di provvedimenti di amnistia a indulto in sessant’anni. Altrimenti, ovviamente, avremmo “esplosioni” nelle carceri se non avessimo sfiatato ogni tanto la pressione con provvedimenti di amnistia e indulto, con questa frequenza che – voi capite – è la frequenza di una volta ogni anno e mezzo. Una volta ogni anno e mezzo, in Italia, si ha la certezza che si liberano migliaia di criminali. Il che è, tra l’altro, un invito criminogeno. Vuol dire che se uno si fa prendere a intervalli regolari non sconta mai la sua pena, perché scatta sempre un’amnistia o un indulto.

In ogni caso, Alfano è pentito dell’indulto. “Non è servito a niente”; glielo dicesse a Previti che non è servito a niente. A Previti è servito molto! Anche a tutti i delinquenti che sono usciti e hanno potuto tornare alle vecchie abitudini e in parte, solo in parte, sono stati riacciuffati, l’indulto è servito molto. È servito meno alle vittime dei loro reati. Proprio l’altro giorno si calcolava che oltre un terzo di coloro uscirono per l’indulto grazie a Mastella che magnificò quel provvedimento e ci tenne a dargli il suo nome, erano tornati a delinquere, sono già stati presi e riportati dentro. Il che ci fa pensare che altrettanti, almeno un altro terzo, siano tornati a delinquere, siano recidivi, e non siano stati presi. Immaginate su quasi 50.000 persone che uscirono di carcere oppure si videro revocare le pene alternative, dell’affidamento ai servizi sociali o degli arresti domiciliari, che festa! Bene, ora sono tutti pentiti. “Basta con gli indulti, facciamo il braccialetto elettronico e l’espulsione degli extra-comunitari”. Che idea! Non ci aveva mai pensato nessuno! Almeno così crede Angelino Jolie, il quale è come un marziano appena atterrato sulla Terra: non ha la più pallida idea del fatto che ciò nel quale sta mettendo le mani in questo momento è argomento sul quale si è già dibattuto da decenni. Ci sono suoi illustri, o quasi, predecessori, che avevano già detto: “espulsioni e braccialetti!” Perché nessuno ci tiene, salvo poi doverlo fare per Previti, a mandare fuori i delinquenti. Il problema è che le due soluzioni individuate da Alfano, non solo erano già state esaminate, ma erano già state scartate, perché non servono. Siamo all’ennesimo annuncio di una cosa che non verrà mai fatta, almeno speriamo, perché se verrà fatta significherà un indulto mascherato. Voi sapete che questo governo è geniale nei lifting, del resto il suo presidente, tra trapianti e lifting è tutto finto e non ha più un centimetro quadrato di pelle originale. Ma il lifting legislativo è la specialità di questo governo. Voi sapete che hanno abolito l’ICI, adesso la chiamano in un altro modo e ce la reintroducono. Il fallimento Alitalia, hanno detto di averlo risolto e lo pagheremo due volte, come avete saputo, mentre una quindicina di furbetti intascheranno l’azienda pulita dai debiti e dagli esuberi. Non parliamo della “monnezza” a Napoli: chiunque vada in Campania sa che è stata rimossa solo da alcuni quartieri. Non è sparita la “monnezza” dalla Campania, sono spariti i giornalisti e i fotografi e soprattutto le telecamere.

Quindi abbiamo un nuovo lifting legislativo, questa volta per far sparire i detenuti, senza farcene accorgere. In realtà, niente sparisce. Noi trattiamo il tema dei detenuti sempre con l’ideologia anziché con i dati scientifici e partendo dalla concreta e brutale realtà. Ci stiamo raccontando da anni che l’Italia ha il problema di avere troppi detenuti. È una bella espressione: “abbiamo troppi detenuti … abbiamo troppi detenuti”. Abbiamo troppi detenuti, un corno! Cosa vuol dire “troppi detenuti”? In base a cosa? Quale sarebbe il numero perfetto di detenuti? Non esiste! Il numero dei detenuti dipende direttamente dal numero delle persone che violano la legge, vengono prese e vengono condannate a una pena che, secondo la legge, prevede il carcere. Quindi non esiste né il “troppi”, né il “troppo pochi”. Ci sono quelli che riusciamo a prendere. In un Paese che, tra l’altro, per certi tipi di reati i livelli di impunità sono quasi al 90%, immaginate che cosa succederebbe se conquistassimo 1% di efficienza in più all’anno. Esploderebbero le carceri. Meno male che siamo un Paese inefficiente e non li prendiamo. Perché se ne prendessimo un po’ di più non sapremmo dove metterli. Non abbiamo troppi detenuti. Abbiamo troppi delinquenti eventualmente e abbiamo troppo pochi posti cella in rapporto ai delinquenti. Siccome il carcere deve mettere le persone in condizione di non nuocere per un certo periodo, o farle riflettere e possibilmente rieducarle – così dice la nostra Costituzione – il carcere non deve essere una tortura. Non bisogna, oltre alla privazione della libertà, infliggerli una pena supplementare che è quella della promiscuità, del vivere accatastati, vivere in dieci in una cella che ne dovrebbe contenere due e cose di questo genere. E quindi in quel senso abbiamo troppi detenuti, ma non in rapporto al fabbisogno delle celle, ma in rapporto alle poche celle che abbiamo. Vi basti un dato. La Gran Bretagna celebra ogni anno trecentomila processi e ha circa sessantamila detenuti. In Italia si celebrano circa tre milioni di processi, il decuplo, e abbiamo sessantamila detenuti, stessa cifra.

Allora, vi pare? Sono stupidi gli inglesi che hanno lo stesso numero di detenuti come risultato di un decimo dei nostri processi, o siamo fessi noi che abbiamo il decuplo dei processi e lo stesso numero di detenuti della Gran Bretagna. È evidente che siamo fuori di testa noi. Abbiamo pochi posti, naturalmente si dovrebbero costruire nuove carceri. Tutti ne parlano, nessuno le costruisce. Sapete che le ultime costruite sono le famose “carceri d’oro”. Quelle che poi furono inaugurate dagli stessi politici che le avevano costruite. A cominciare, se non ricordo male, dai famosi social-democratici Nicolazzi & C. coinvolti nello scandalo De Mico. Oggi abbiamo un sacco di caserme dismesse, un sacco di edifici industriali abbandonati, basterebbe un piano per riattarli, almeno per contenere i detenuti non pericolosi, si potrebbero usare questi. E poi non si è mai capito per quale ragione si siano chiuse Pianosa e l’Asinara, a parte la ragione di farci fare le vacanze a qualche ministro, magari accompagnato dai Vigili del Fuoco. Ma Pianosa e l’Asinara andavano benissimo per tenere i boss mafiosi al 41bis e credo che quello sia uno dei tanti favori che la politica ha fatto alla mafia, anche perché la chiusura delle carceri del 41bis stava nel “papello” che Riina distribuì durante le trattative mentre l’Italia esplodeva tra una bomba e l’altra nel ’92 e ’93, negli anni delle stragi.

Troppi reati inutili? È un’altra verità. Quando parleremo, la settimana prossima probabilmente, della riforma della giustizia, vi farò qualche esempio di comportamenti che in Italia sono ancora puniti penalmente e richiedono tre gradi di giudizio. Però sulla popolazione carceraria i reati da depenalizzare non influiscono, perché? Perché non c’è nessuno in carcere per reati minori. La leggenda del ladro di mela che sta in carcere non è vera perché, come ben sapete, ce ne vogliono un sacco di mele rubate per andare in galera in quanto da noi si entra in carcere soltanto per pene superiori ai tre anni, e sotto i tre anni, se uno lo chiede, di solito ottiene l’affidamento ai servizi sociali. Semmai, ci sono molti extracomunitari che non lo possono ottenere perché non hanno fissa dimora, non si sa dove abitano, non si sa nemmeno da dove vengano, non si sa nemmeno come si chiamano e quindi i giudici di sorveglianza ritiene poco sicuro darli in affidamento. È su questo che si dovrebbe eventualmente agire, ma non è che la depenalizzazione ci porterebbe a una diminuzione dei detenuti. Abbiamo gente in carcere per reati per i quali è bene che la gente in carcere ci stia, almeno un po’. L’unico problema, ma io su questo non ho soluzione, è quello della droga. Ci sono tutta una serie di reati collegati con la droga, nessuno è in galera perché si droga però ci sono persone che per drogarsi spacciano, commettono altri reati, dunque per quei reati è previsto che sia chi si droga sia chi non si droga finisca dentro, un po' come per i reati degli extracomunitari. Nessuno è in carcere perché extracomunitario, per fortuna ancora non ci sono riusciti, ma se è uno è extracomunitario non deve essere punito più severamente di un italiano ma nemmeno deve essere trattato più con i guanti rispetto a un italiano. Ciascuno dovrebbe pagare in proporzione al danno che ha provocato. C'è poco da fare, insomma, su depenalizzazioni e cose del genere fermo restando che il tossicodipendente deve essere aiutato a uscirne, compatibilmente con le comunità che sono quasi tutte private. Il problema è che questa classe politica, soprattutto questo centrodestra, continua ad aumentare il numero dei detenuti con leggi che ci raccontano essere fatte per la nostra sicurezza - in realtà con la nostra sicurezza non c'entrano niente - e allungano il periodo del carcere a persone che magari sarebbero uscite prima ma che avrebbero scontato la loro pena. La ex Cirielli cosa faceva? Ai recidivi provocava con una serie di meccanismi una detenzione più lunga mentre agli incensurati garantiva di fatto l'impunità con il dimezzamento della prescrizione. Per cui abbiamo uno come Berlusconi che è un incensurato seriale perché ogni volta è prescritto e non si riesce mai a condannarlo per la prima volta, quindi non diventerà mai recidivo. Mentre chi prima della legge aveva già una condanna rischia di non uscire quasi mai più se commette uno o due reati nuovi perché c'è questo meccanismo infernale che allunga la sua detenzione. In più aggiungete tutta questa miriade di reati collegati alla clandestinità: pensate all'aggravante razziale di cui abbiamo già parlato che punisce più severamente un irregolare extracomunitario per lo stesso reato per cui un italiano è punito molto meno. E' così che oltre al normale ingresso di delinquenti in carcere si è forzata la mano e si è aumentata la media. Aumentando i reati puniti col carcere e allungando i tempi di detenzione per quelli già dentro. Ed è questo governo che è responsabile dell'esplosione delle carceri, che naturalmente è più grave perché loro ci mettono del proprio. Ma abbiamo questo gigante del pensiero, questo genio del diritto, questo giureconsulto di scuola agrigentina Angelino Jolie che ha pronto il bracciale: mettiamo il bracciale al polso o alla caviglia del detenuto e lo controlliamo anche in libertà vita natural durante. Possiamo, dice Angelino, liberarci di ben 7.400 detenuti. Pensate, presto avremo 75.000 detenuti, lui ne tira fuori col braccialetto 7.000 e pensa di aver risolto il problema. Ne avremo 68.000 cioè 23.000 in più della capienza stabilita. Pensate che idea geniale. Ma è meglio seguirlo, l'avete anche visto a reti unificate ieri sera in TV che annunciava - dietro una siepe, forse si nasconde perché non lo sentano - questa geniale trovata.

Io ricordo che il braccialetto era un'invenzione del ministro Bianco che nel 2000 l'aveva già sperimentata, poi non se ne è più saputo niente. Poi arrivò il governo Berlusconi II. Avevamo quell'altro gigante del pensiero, il ministro Castelli, anche allora iniziarono una geniale sperimentazione del braccialetto, nel 2003. Nel 2005, alla vigilia di andarsene, avevano già finito la sperimentazione, già naufragata. Sulla Stampa e su Repubblica si spiega il perché: avevano testato 400 braccialetti, convenzionati con un'azienda a caso. Indovinate quale: la Telecom. Sapete quanto era costata allo Stato italiano questa convenzione per i test dei braccialetti? Undici milioni di euro, 22 miliardi di lire. Quattrocento braccialetti. Li hanno provati - tenetevi forte perché i numeri sono spettacolari - su tre detenuti: uno al polso, due alle caviglie. Il primo è subito evaso, non si è più saputo dov'è andato. Eppure è evaso col suo bel braccialettino. Sapete perché? I braccialetti applicati fin'ora non hanno nemmeno il collegamento satellitare, scrive la Stampa. L'apparecchio è controllato da una centralina collegata al telefono in casa della persona agli arresti domiciliari. Lo metti agli arresti col suo bel braccialetto, c'è una centralina presso gli uffici di Polizia e tieni il collegamento. Ma se il detenuto si allontana oltre il raggio di captazione dell'antenna - come quando uno con il cordless si allontana di qualche decina di metri dall'appartamento - in questura scatta l'allarme perché non si sa dove sia finito. Tutto qui, da quel momento il bracciale non rivela alcuno spostamento dell'evaso. In altri termini le forze dell'ordine sanno che è scappato ma non hanno la minima idea di dove si nasconda. Questo è il braccialetto che hanno testato. Ci vorrebbe il collegamento via satellite ma ci costerebbe ancora di più di quello che già costano queste cialtronate già testate per undici milioni di euro. In più c'è una normativa europea che impone alle case produttrici di braccialetti di fabbricarli con materiali che non danneggino il soggetto: non possono mettertelo in ghisa o in acciaio. Il materiale deve essere morbido a cominciare dalla fibbia perché lo devi portare per anni. Ciò significa che un detenuto intenzionato a evadere può tagliare il braccialetto senza alcun problema con un colpo di forbice nella fettuccia e andarsene. L'allarme scatta, ma non si sa più dove sia finito, magari ad ammazzare, rapinare o violentare qualcuno. Bene, il braccialetto ha fatto una brutta fine, nel 2005 l'uso di questi dispositivi è stato interrotto. Repubblica, con un'altra statistica, parla di 15 milioni all'anno di spesa. La centralina che conferma la presenza del detenuto in casa salta anche quando viene spolverata o sfiorata da un bambino. Il meccanismo diventa muto se il detenuto si immerge in una vasca da bagno o scende in cantina, con un fiorire di falsi allarmi che mobilitano senza costrutto le forze dell'ordine. Eh già, è sceso in cantina, non si sente più, sarà sparito, arriva la Polizia, dov'è il detenuto? In cantina che prende una bottiglia di vino. Le forze di Polizia giustamente non ne vogliono più sapere di quell'aggeggio infernale.

Se poi il ministro invece di sperimentarlo su 400 volesse mettere in atto questo geniale provvedimento per 8.000, come ha promesso ieri dietro la siepe, la spesa salirebbe a tre miliardi di euro, sei mila miliardi di lire per mandare in giro 8.000 persone col braccialetto. Una cosa dell'altro mondo.

Espulsione, seconda trovata. Perché tenere in carceri italiane detenuti stranieri che rubano il posto ai nostri, direbbe qualche leghista? Mandiamoli via così abbiamo risolto il problema! Ma come hanno fatto a non pensarci prima? E' una cosa talmente geniale. Non ci hanno pensato prima perché? Perché ci hanno pensato prima solo che non funzionava nemmeno quella! Cosa succede? Per espellere un extracomunitario gli dici "vai via", che abbia commesso reati o no, magari lo espelli semplicemente perché non ha il permesso di soggiorno. Quello, di solito, con le sue gambe non se ne va. Allora lo accompagni coattivamente alla frontiera. Quello passa la frontiera poi torna, soprattutto se è uno già condannato, un delinquente, magari inserito in un'organizzazione criminale. Appena lo metti fuori e ti giri torna dentro. Allora gli fai il foglio di via, e quello non se ne va. Allora gli chiedi perché non è andato via, e lui ti dice "non vado via perché non ho i mezzi per tornarmene in Marocco". Se uno da Milano deve andare in Marocco come fa, a piedi e poi a nuoto? No, bisognerebbe caricarlo su un aereo, pagando il biglietto: se non ha una lira come fa a pagarsi il biglietto aereo? Comunque anche se ha i soldi è difficile dimostrarlo, visto che di solito le attività dei clandestini sono clandestine e non ricevono regolare stipendio su un conto in banca.

Allora bisogna trovare i soldi per pagare il biglietto a migliaia di persone da espellere: lo Stato italiano non ha neanche gli occhi per piangere, non abbiamo i soldi per le volanti della Polizia figuriamoci i soldi per pagare le espulsioni. E anche se li avessimo, com'è noto, gli Stati - quasi tutti - da cui provengono gli extracomunitari più dediti al delitto non li vogliono indietro perché non avendo documenti certi non si è sicuri che provengano da quel Paese, quindi perché quel Paese se li deve riprendere? Se poi sono stati condannati e devono scontare la pena, non c'è nessun Paese che se li riprende nelle sue carceri perché tocca a quel Paese mantenerli, anziché a noi. Quindi, a meno che non abbiamo accordi bilaterali, ma non mi pare salvo rare eccezioni, ci chiederanno il costo del mantenimento del detenuto nel loro carcere. Allora che senso ha? Anche culturalmente, come segnale, far sapere all'extracomunitario "guarda se ammazzi qualcuno, se rapini o se stupri io ti mando via"... è la stessa cosa che dici a quelli che non hanno niente, "ti mando via", solo perché non hanno il documento. Che messaggio mandi? Che siamo il Paese di Pulcinella. Il messaggio da mandare è che se violi le leggi del nostro Paese verrai arrestato come gli italiani vengono arrestati e pagherai lo stesso prezzo. Questa è sicurezza. No: "bada che se ammazzi qualcuno ti mando via!" Ma quelli vengono subito, essere mandati via non è mica una punizione.
Vi rendete conto in quali mani siamo? E questi sarebbero il governo della sicurezza.
In più questo riguarderebbe 4700 persone condannate, extracomunitarie da rimpatriare, e noi stiamo parlando di un problema enorme come quello delle carceri che, se arriviamo a 75.000 detenuti, toglierne 5.000 vuol dire arrivare a 70.000. Cosa abbiamo risolto? Niente, perché poi ce ne restano in più ancora quasi 30.000. E a quelli che gli facciamo? Voi vi rendete conto che ci vorrebbe serietà, olio di gomito, una politica che studia i problemi in base ai dati scientifici e non in base alle frottole e soprattutto che non si affida ai marziani. Dovremmo, insomma, diventare un Paese serio governato da gente seria. Questi sono pagliacci che purtroppo mettono le mani sulla nostra vita e sulla nostra sicurezza. Passate parola."
 
 
da www.forumista.com


Titolo: Marco TRAVAGLIO - D'Avanzo: ecco quello che non dice
Inserito da: Admin - Settembre 11, 2008, 08:51:27 am
LA POLEMICA

Travaglio: "La verità sulle mie vacanze"

D'Avanzo: ecco quello che non dice

Marco Travaglio alla trasmissione di Fazio: la polemica è partita dalle dichiarazioni su Schifani



ROMA (Ansa) - Marco Travaglio mette on line (www.voglioscendere.it) l'assegno e l'estratto conto della carta di credito con cui pagò la vacanza del 2002 all'Hotel Torre Artale di Trabia (Palermo), dove soggiornò con la sua famiglia nell'estate del 2002. E' la coda di una polemica scoppiata a maggio di quest'anno quando Giuseppe D'Avanzo, su Repubblica, rivelò di aver saputo da fonti investigative siciliane che il costruttore Michele Ajello, poi arrestato e condannato in primo grado per mafia, aveva pagato la vacanza di Travaglio su richiesta. La "notizia falsa" - ricorda il giornalista e scrittore - rimbalzò sui principali media italiani.

"Bene - dice Travaglio - sono spiacente di informare lorsignori che, dopo lunghe ricerche, ho finalmente trovato l'assegno e l'estratto conto della carta di credito Diners con cui pagai il conto di quella vacanza all'hotel Torre Artale di Trabia. L'assegno, emesso il 19 agosto 2002 dal mio conto presso il San Paolo-Imi di Torino e poi negoziato dal Banco di Sicilia (che lo conservava nei suoi archivi di Palermo), ammonta a 2.526,70 euro. I restanti duemila euro li pagai con la carta Diners (versamento datato 18 agosto 2002)".
"So che nessuno mi chiederà scusa per aver messo in circolo quelle menzogne sul mio conto. Ma - conclude Marco Travaglio - spero almeno che, in cuor suo, si vergogni".


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La risposta di Giuseppe D'Avanzo

Ricapitoliamo, una buona volta questo affare, le questioni che sono in discussione e i benedetti "fatti" che, per Marco Travaglio, dovrebbero farmi vergognare.

Partiamo dai "fatti".

Travaglio non parla mai di Giuseppe Ciuro, come se la presenza di questo signore fosse marginale. Al contrario, è essenziale. E non per sostenere che l'integrità di Travaglio è compromessa dalle vacanze comuni con un infedele poliziotto poi definito da una sentenza "criminale" e condannato a quattro anni e mezzo di galera. Quando vi ho fatto cenno in maggio, volevo dimostrare quanto fragile e pericoloso fosse un metodo di lavoro che - abusando della parola "verità" - declina la conoscenza di Schifani con un tizio, quattro anni dopo indagato per mafia, come prossimità alla mafia. Come mafiosità.

Travaglio sembra non comprendere di che cosa voglio discutere. O forse non ne ha voglia. Gli interessa soltanto difendere se stesso (lo capisco) e insultare e invitare i suoi lettori a farlo (lo capisco meno).

Purtroppo anche la sua difesa, presentata come definitiva, come esaustiva, è alquanto debole, se si deve proprio parlarne. Cincischia un po' sulle mie fonti. Fa confusione. Fa credere che la mia fonte sia l'avvocato di Michele Aiello. Chi lo ha mai detto o scritto?

Ho scritto: "Marco [travaglio] e Pippo [Ciuro] sono in vacanza insieme, concludono per approssimazione gli investigatori di Palermo. Che, durante le indagini, trovano un'ambigua conferma di quella villeggiatura comune. Prova maligna perché intenzionale e non indipendente. Fonte, l'avvocato di Michele Aiello. Il legale dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo, Aiello ha pagato l'albergo a Marco. Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia". E' di tutta evidenza che l'avvocato di Aiello non è la mia fonte, nonostante gli sforzi di confondere le acque.

Ma queste, come direbbe Michele Santoro, sono "quisquilie". Travaglio vuole dimostrare, "carta canta", che si è pagato di tasca sue le sue vacanze siciliane.

Travaglio tiene, soprattutto, a smentire una frase del mio articolo.

Questa: "[Dice l'avvocato che] Aiello ha pagato l'albergo a Marco".

Con enfasi, annuncia dal suo sito: "Ho finalmente trovato l'assegno e l'estratto conto della carta di credito Diners con cui pagai il conto di quella vacanza all'hotel Torre Artale di Trabia. L'assegno, emesso il 19 agosto 2002 dal mio conto presso il San Paolo-Imi di Torino e poi negoziato dal Banco di Sicilia (che lo conservava nei suoi archivi di Palermo), ammonta a 2.526,70 euro. I restanti 2 mila euro li pagai con la carta Diners (versamento datato 18 agosto 2002)".

Ora Travaglio sa - e lo ha ammesso - che con il "criminale" Giuseppe Ciuro ha trascorso una vacanza nel 2003.

Racconta al Corriere della Sera (15 maggio 2008): " [L'anno successivo, mese di agosto del 2003] Andai con la famiglia per dieci giorni al residence Golden Hill di Trabìa [si confonde: il Golden è ad Altavilla Milicia] dove di solito alloggiavano Ciuro e Ingroia [è un pubblico ministero del pool di Palermo] e ci fu quella buffa storia dei cuscini poi finita nei brogliacci delle intercettazioni".

"Ma al Golden Hill chi pagò il conto?", chiede il Corriere.

Risponde Travaglio: "Io ho pagato la prima volta il doppio di quanto stabilito e per il residence ho saldato il conto con la proprietaria. Tutto di tasca mia, fino all'ultima lira e forse se cerco bene trovo pure le ricevute".

E' il saldo del soggiorno al Golden Hill, dunque, a dover essere confermato, se proprio si vuole. Perché l'avvocato di Aiello indica, come pagato dal suo assistito a vantaggio di Travaglio, il soggiorno al residence di Altavilla (2003) e non le vacanze all'Hotel Artale di Trabìa (2002).

Dice infatti al Corriere (15 maggio 2008) l'avvocato Sergio Monaco, difensore di Aiello (e naturalmente le sue parole, come quelle di Aiello, non sono oro colato): "Posso solo dire che l'ingegner Aiello conferma che a suo tempo fece la cortesia a Ciuro di pagare un soggiorno per un giornalista in un albergo di Altavilla Milicia. In un secondo momento, l'ingegnere ha poi saputo che si trattava di Travaglio".

Ora sono sicuro che Travaglio, come ha trovato i cedolini del pagamento del 2002, possa agevolmente rintracciare anche quelli dell'anno successivo.

E' quel che mi auguro perché Travaglio dovrebbe sapere, come lo so io, che vivere delle colpe altrui è un po' "come vivere a spese altrui".

Per vergognarsi c'è allora tempo. Più urgente è ragionare. Non di Aiello, ma di Ciuro e di un modello giornalistico.

Vediamo qual è, a mio avviso, il nocciolo della discussione.

Marco Travaglio, in maggio, è ospite a Che tempo che fa.

Questo è l'esordio (il video è su Youtube).
Travaglio: "L'elemento di originalità [della situazione italiana] è che noi non siamo stati sempre così. E' molto istruttivo quando vengono elette le alte cariche dello Stato. Tutti i giornali pubblicano tutti i nomi dei personaggi che hanno ricoperto quella carica. E uno si rende conto che una volta avevamo De Gasperi, Einaudi, De Nicola, Merzagora, Parri, Pertini, Nenni, Fanfani. Possiamo fare una lunga lista, poi uno arriva e vede Schifani. E' la seconda carica dello Stato... Schifani... Mi domando chi sarà quello dopo. In questa parabola a precipizio c'è soltanto la muffa; probabilmente, il lombrico (applausi scoscianti)... dalla muffa si ricava la penicillina: era dunque un esempio sbagliato (nuovi applausi con rumorose risate, ride anche Travaglio)".

Sarà dunque un lombrico, il successore di Schifani. Il lombrico è il nome comune dei vermi della famiglia dei Lombricidi. Le parole di Travaglio significano dunque questo: dopo Schifani, soltanto un verme potrà fare il presidente del Senato.

Temo che quest'affermazione - che marca l'altro come indegno - non possa essere considerata "un fatto" da nessuno - sia che faccia giornalismo o che con il giornalismo non abbia nulla a che fare. Non è neanche un'opinione sostenuta da un argomento, più o meno condivisibile.

Il prossimo presidente del Senato non sarà un uomo magari più screditato e opaco di Schifani. No, Schifani è già ai bordi dell'umanità. Già annuncia l'arrivo dell'inumano, la "parabola a precipizio" nel regno animale.

La logica di valore e disvalore dispiega qui tutta la sua distruttiva consequenzialità. Crea una definitiva svalutazione nel non-umano: è il disvalore assoluto. Io non so se Travaglio se ne renda conto (non credo), ma forse si potrà convenire che in questa logica di guerra "per una justa causa" che non riconosce "un justus hostis" si odono echi - questi, sì - inquietanti. Era Grigorj Pjatakov a gioire della condanna di Zinov'ev e Kamenev dalle pagine della Pravda (21 agosto 1936) con queste parole: "Questa gente ha perduto l'ultima sembianza di umanità. Essi devono essere distrutti come carogne".


Bollare la parte avversa come disumana, anzi come prossima alla non-umanità, consente sempre di scatenare una guerra assoluta, di coltivare un'inimicizia assoluta contro un nemico assoluto. In questo contesto "emozionale" (e chi lo sa perché in studio si rideva e sghignazzava: anche questo meriterebbe "un'analisi a sé"), Travaglio affronta le "amicizie mafiose" di Schifani.

Mi chiedo può essere considerato giornalismo, buon giornalismo, andare in televisione e presentare non il presidente del Senato, ma semplicemente un uomo, come un quasi-verme? Davvero è "giornalismo dei fatti" sostenere, a freddo e fino a quel momento senza alcuna delucidazione (e quale poi poteva essere?) che un tipo è poco più di un verme? Non è neanche un'opinione. E' soltanto un nudo insulto, una consapevole offesa, un rito di degradazione. Davvero avrebbe diritto di cittadinanza in un altro paese occidentale alla voce giornalismo? Io penso che sia soltanto un'operazione vocale sulla psiche altrui, una sofisticazione del "malumore dilagante".

Le spiegazioni infatti, a Che tempo che fa, verranno soltanto dopo qualche domanda, quando Travaglio dirà: "E' chiaro che se il clima politico induce a un rapporto di distensione tra l'opposizione e la nuova maggioranza... Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi. Io devo fare il giornalista. Io devo raccontarlo. Lo ha raccontato Lirio Abbate, nel libro che ha scritto con Gomez e viene celebrato, giustamente, come un giornalista eroico minacciato dalla mafia. Ora o si ha il coraggio di dire che Lirio Abbate è un mascalzone e un mentitore o hanno il coraggio di prendere nota di quello che scrive e chiedere semplicemente alla seconda carica dello Stato di spiegare i rapporti con quei signori che sono poi stati condannati per mafia".

Non solo Schifani è poco più che un verme, è anche uno vicino alla mafia. Questa è la "verità" di Schifani che Travaglio ha voluto raccontare.

Si vedono qui gli abissi sopra i quali si svolgono le accorte e sapientissime requisitorie del processo politico: già Schifani era un "quasi verme", volete che non sia anche un criminale, un mafioso? Evocare "la mafia" dopo la non-umanità di quell'uomo non è "pescare nel medium sublogico" (come forse direbbe Franco Cordero): non solo Schifani è poco più che un verme, come vi ho già detto, è anche uno vicino alla mafia. E ora giudicatelo voi!

Questa è la "verità" di Schifani che Travaglio ha voluto raccontare. Ma un decente giornalismo può davvero considerare quelle parole accettabili come "la verità" (di "verità" parla in lettere, interviste, conferenze stampa)? Di che cosa è fatta quella "verità"?

Avere incrociato un mafioso - meglio un tipo che soltanto dopo è stato indagato e condannato per mafia - vuol dire davvero essere, sempre e in ogni caso, necessariamente, complice della mafia?

Molto mi è stato (e mi è ancora) rimproverato il ricordo della vacanza sconsiderata di Travaglio. Le carinerie che mi sono state riservate oscillavano e oscillano tra il "maiale" e il "venduto".

In realtà, ho voluto soltanto applicare (Travaglio sembra non comprendere le mie obiezioni) il cosiddetto principio tu quoque: atti uguali vanno valutati a uguali parametri. Chiedo: aver trascorso una vacanza con un tipo che poi si è rivelato un criminale, e dunque in piena innocenza e senza alcuna consapevolezza, vuol dire davvero essere per riflesso un criminale?
Mi sembrava (e ancora mi sembra) che il tu quoque potesse svelare di quale grana era fatta la perfomance di Travaglio, il suo giornalismo, la sua deprecazione, l'approccio alla realtà che è chiamato a raccontare. A me sembra che Travaglio ne abbia un'immagine artificiale, stretta in un ordine rigido. Tutto il bene da una parte, tutto il male dall'altra. Ne consegue una morale assoluta, incompatibile con il caso, l'imprevisto, il dubbio, l'ambivalenza, l'innocenza (e non dimentico che anche il mio lavoro si è mosso spesso lungo quelle strade).

Questa convinzione di Travaglio - una volta lontana dal rendiconto di un esito processuale - riduce ogni cosa alla coppia amico/nemico, buono/cattivo, bene/male, interno/esterno. Crea le particolari condizioni per cui egli (o chi come lui) "può provare tutto ciò che crede e credere a tutto ciò che può provare" perché, se è lecito citare in un'occasione come questa Hannah Arendt, confonde la logica formale con il "pensiero" e la coerenza con la "verità". Alla fine, per far tornare i conti, è un modello che deve "aggiustare" le carte perché non è sempre vero che il giornalismo di Travaglio sia fatto soltanto di "dati concreti" e di "fatti". A volte, è costruito con disinvoltura e anche con qualche omissione, come questa sua ultima e infelice replica.

(11 settembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - "Così ho pagato le vacanze"
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2008, 04:55:58 pm
LA LETTERA

Travaglio: "Così ho pagato le vacanze"

di MARCO TRAVAGLIO


Caro Direttore, per la quarta volta da quando ho raccontato in tv una serie di fatti veri sul passato del presidente del Senato, Renato Schifani, sono costretto a difendermi dagli attacchi di Giuseppe D'Avanzo (altro che "polemicuzza personale"). Il quale, anziché delle strane amicizie del presidente del Senato, continua a occuparsi delle mie vacanze. Io indico la luna, lui parla del dito. Nel suo articolo del 14 maggio, svelava uno scoop sensazionale: "L'avvocato di Michele Aiello (un costruttore arrestato nel 2003 e poi condannato in primo grado per mafia, ndr)... dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo (Ciuro, un maresciallo della Direzione antimafia di Palermo, arrestato nel 2003 per mafia, poi assolto dalla mafia ma condannato per favoreggiamento di Aiello, ndr), Aiello ha pagato l'albergo a Marco (Travaglio, ndr).

Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia". Poi citava una clamorosa telefonata dell'"8 agosto del 2002" fra me e il sottufficiale, che mi prestava un cuscino. Siccome nel 2002 passai le vacanze in un hotel di Trabia, il "Torre Artale", segnalatomi da Ciuro, ritenni che quella voce falsa e calunniosa divulgata da D'Avanzo si riferisse alle mie vacanze del 2002 nell'hotel di Trabia. Dissi subito che me le ero pagate io, visto che sono abituato così e che non ho mai visto né sentito questo Aiello. E promisi di dimostrarlo con le carte. Dopo lunghe ricerche, ho rintracciato l'estratto conto della mia carta di credito Diners con cui pagai la metà del conto (2 mila euro) e la fotocopia dell'assegno con cui saldai il resto (2.526,70 euro). Li ho pubblicati sul mio blog, per evitare di annoiare ancora i lettori di Repubblica con questa penosa faccenda.

Speravo che fosse finita, ma mi sbagliavo. Ieri D'Avanzo mi ha dedicato tre quarti di pagina, cambiando le carte in tavola. Dopo aver sempre parlato del 2002 e di Trabia, ora sostiene che "quei documenti provano poco": stavolta devo dimostrare che pagai anche la vacanza del 2003 in un residence di Altavilla Milicia ("è il saldo del soggiorno al Golden Hill a dover essere confermato"). E butta lì un simpatico "anche se quei documenti saltassero fuori...".

Bene, sono felice di comunicargli che il mio soggiorno di dieci giorni in un villino del residence Golden Hill ad Altavilla lo saldai con la proprietaria (il cui nome, se vuole, gli fornirò in privato) in data 21 agosto 2003 con un assegno della mia banca, San Paolo-Imi di Torino: assegno di 1000 euro numero 3031982994.

Per la fotocopia, farò subito richiesta alla banca e spero di averla tra qualche settimana, come l'altra. Casomai D'Avanzo gradisse qualche ragguaglio sulle mie ferie precedenti o successive (le faccio tutti gli anni), posso fornirgli la documentazione completa, onde evitare di dovergliene render conto a rate, per la gioia - immagino - dei lettori. Dopodiché, visto che "per vergognarsi c'è tempo", il collega potrà procedere a piè fermo. E poi, magari, occuparsi anche lui del passato di Schifani. Sarebbe la prima volta.

Due parole, infine, sulla nuova lezione di giornalismo che D'Avanzo ha voluto impartirmi dopo una lunga arringa difensiva pro Schifani, della quale il presidente del Senato gli sarà senz'altro grato (mi ha fatto causa civile chiedendomi un paio di milioni di euro). Egli sostiene di aver tirato in ballo le mie vacanze a proposito (si fa per dire) di Schifani per "applicare il principio 'tu quoque': atti uguali vanno valutati a uguali parametri". Bene, vediamoli questi "atti uguali".

A) Io conosco, come decine di cronisti giudiziari, un sottufficiale della Guardia di Finanza che lavora all'antimafia fin dai tempi di Falcone e che mi suggerisce un albergo a Trabia e un residence ad Altavilla. Io ci vado e, ovviamente, pago il conto (anzi, in albergo pago il doppio del prezzo inizialmente pattuito). Poi il maresciallo viene arrestato e condannato per aver passato notizie riservate a un indagato (Aiello).

B) L'avvocato Renato Schifani, alla fine degli anni 70, entra nella "Sicula Brokers"in società con l'amministratore dei cugini Salvo (arrestati di lì a poco per mafia da Falcone), con Benny D'Agostino (arrestato e condannato per mafia negli anni 90) e con Nino Mandalà (arrestato e condannato come boss di Villabate sullo scorcio degli anni 90). Non li incontra per il lavoro che fa: ci entra in società, ci fa soldi, affari, lucro. Prima di essere arrestato, Mandalà si sposa e Schifani presenzia al suo matrimonio. Poi diventa consulente urbanistico del comune di Villabate, nominato da una giunta considerata dai magistrati "nelle mani" di Bernardo Provenzano e Nino Mandalà. Poco tempo dopo, il comune di Villabate verrà infatti sciolto due volte per mafia.

Dimenticavo. A) Io sono un privato cittadino. B) Schifani, già capogruppo di Forza Italia al Senato, è la seconda carica dello Stato. Qualcuno davvero può pensare che A è uguale B? Qualcuno può davvero sostenere che non si dovessero raccontare, in vari libri e in tv, le frequentazioni del presidente del Senato?

Era poi tanto campata in aria una battuta, quella su lombrichi e muffe, che intendeva semplicemente segnalare lo scadimento della nostra classe politica e rammentare il principio universale secondo cui chi ricopre alti incarichi pubblici non dev'essere nemmeno chiacchierato? Troppo spesso, in Italia, "si guarda al dito anziché alla luna" perché "l'informazione che racconta la malattia del Paese, dei veleni che lo inquinano, dei detriti che ne condizionano le decisioni diventa, in questa interpretazione, addirittura una patologia e non una delle possibili terapie per immunizzare il discorso pubblico".

Ma "pensare che l'informazione sia la malattia del Paese e non una delle necessarie terapie alle patologie della politica può essere una strada senza ritorno alla vigilia di una stagione che, in modo esplicito, vuole attenuare i contrappesi di un potere che non riconosce alcun limite a se stesso. Dove si canta una sola nota, le parole... non conteranno più". Sono parole che condivido in pieno. Le ha scritte Giuseppe D'Avanzo su Repubblica il 1° agosto 2008. Chissà se le condivide anche lui.

Ciuro che tacerò. (G. D. A.)


(12 settembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Cattive compagnie (di bandiera)
Inserito da: Admin - Settembre 13, 2008, 12:35:07 am
Marco Travaglio


Cattive compagnie (di bandiera)

Per accontentare Silvio Berlusconi Emma Marcegaglia si è cacciata in un bel guaio.
Per Alitalia ha rinnegato principi come libero mercato e concorrenza  Emma MarcegagliaS'è cacciata in un guaio, Emma Marcegaglia, nell'ansia di portare la sua razioncina d'oro alla Patria. Cioè il suo oboletto all'AliSilvio. Strapazzata perfino sul giornale confindustriale dall'economista liberale Alberto Alesina, concorre col penultimo predecessore Antonio D'Amato al record di servilismo filogovernativo in viale dell'Astronomia. Quando parlerà di libero mercato, qualcuno le ricorderà che è entrata in una compagnia aerea nata dalla sospensione delle regole antitrust con modifica ad hoc di tre leggi.

Quando esalterà il rischio d'impresa, qualcuno le rammenterà che il governo le ha consegnato la nuova Alitalia ripulita da debiti ed esuberi.
Quando siederà a trattare col governo per conto degli imprenditori sarà sospettata di ripagare il governo della grazia ricevuta. Quando un socio di Confindustria rischierà il crac, Emma dovrà spiegargli come mai la sua impresa deve fallire, mentre Alitalia no. Solo pochi mesi fa, sotto Montezemolo, l'associazione degli industriali aveva mollato alla classe politica uno schiaffo morale, cominciando a espellere i soci che pagano il pizzo anziché denunciare il racket mafioso.

Ora quel patrimonio di legalità va rapidamente evaporando. Questione di coerenza.
Il gruppo Marcegaglia, pochi mesi fa, ha patteggiato per corruzione al Tribunale di Milano a proposito di una tangente pagata nel 2003 a un manager dell'Enipower in cambio di un appalto: pena pecuniaria 500 mila euro e 250 mila di confisca alla Marcegaglia Spa, pena pecuniaria di 500 mila euro e 5 milioni di confisca alla controllata NE Cct Spa, 11 mesi di reclusione patteggiati dal vicepresidente Antonio Marcegaglia (fratello di Emma). Il padre Steno, invece, è stato condannato dal Tribunale di Brescia a 4 anni per la bancarotta Italcase-Bagaglino. Nello stesso processo di primo grado, sono stati condannati Roberto Colaninno (4 anni) e Cesare Geronzi.

Colaninno è il presidente della nuova Alitalia, mentre Geronzi è indicato fra i grandi sponsor dell'operazione.
Ma la cordata è impreziosita da un altro condannato in primo grado, il costruttore Marcellino Gavio (già arrestato nel '93 per Tangentopoli, dopo mesi di latitanza all'estero, s'è appena buscato 6 mesi per violazione di segreto investigativo) e dal pregiudicato Salvatore Ligresti (2 anni e mezzo definitivi per Tangentopoli). Ora, espellere chi non denuncia il racket mafioso è un'ottima idea. Ma chi paga il pizzo in Sicilia, di solito, ha la lupara alla tempia. Chi paga mazzette in Lombardia no. Con che faccia la Confindustria caccia chi subisce il racket (e per la legge è vittima di un reato) e non chi sgancia tangenti (e per la legge è colpevole di un reato)? Sarebbe come se il ministro Gelmini denunciasse le promozioni facili al Sud e poi volasse a Reggio Calabria per dare l'esame da avvocato. Per dire.

(12 settembre 2008)


da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Casta canta
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2008, 06:17:22 pm
13 settembre 2008, in Marco Travaglio

Casta canta

Ha ragione Simone Collini quando, sull'Unità, paragona il battage anti-Casta di un anno fa al silenzio di oggi. Ma Stella& Rizzo, o Beppe Grillo, non c’entrano: denunciavano allora, denunciano oggi. Gli esami calabresi della Gelmini, i bagni giannutresi di Fini, le marchette degli scalatori Alitalia e il ripristino berlusconiano degli aerei di Stato à gogò: nulla è cambiato, anzi molto è peggiorato. Ma il padrone della tv, con i Johnny Raiotta, i Mazza, i Fede, i Mimun al seguito, se le canta e se le suona. E chi non ha risolto il suo conflitto d’interessi, anziché piagnucolare, dovrebbe fare mea culpa. Anche perché finora, della Casta, si è sottolineato l’aspetto più superficiale, cioè i superstipendi, gli sprechi e gli status symbol. E non, invece, il tratto più profondo: la convinzione dei mandarini di appartenere a un club esclusivo, di essere diversi dagli altri, di non essere sottoposti alle leggi e alle regole. Che, com’è noto, valgono solo per gli altri.

Le parole di Ottaviano Del Turco, intervistato da Repubblica, illustrano bene il fenomeno. La legge vigente affida al gip il compito di arrestare gli indagati che minaccino di ripetere il reato, e poi di interrogarli nell’”incidente probatorio” (che ha valore di prova al dibattimento). Ma ciò che vale per tutti i comuni mortali è, per Del Turco, inaccettabile. Infatti ha ricusato il gip, accusandolo di essere “prevenuto” contro di lui. La prova? Il gip ha espresso “giudizi di colpevolezza” nell’ordine di custodia. Oh bella: se il gip fosse convinto della sua innocenza, non l’avrebbe arrestato. Se l’ha arrestato è perché - come prevede la legge - ha ritenuto fondati i “gravi indizi di colpevolezza” addotti dai pm. Ogni giorno i gip esprimono giudizi di colpevolezza su migliaia di arrestati e poi li interrogano. Ma Del Turco è speciale: pretende un gip nuovo di pacca, magari convinto della sua innocenza. Perché? “Il gip De Maria ha sostenuto che il sottoscritto, dopo essersi dimesso da tutto, sarebbe ancora in grado di reiterare il reato e dunque deve continuare a esser privato della libertà” con gli arresti domiciliari. Ma dove sta scritto che le dimissioni dalla carica cancellano il pericolo di nuovi reati? Quella ipotizzata dai magistrati è una ragnatela di corruzione che durava da anni, addirittura dalla vecchia giunta di centrodestra, che poi avrebbe passato il testimone delle mazzette a quella di centrosinistra. Un presunto clan con decine di indagati. Solo confessando l’indagato rompe i rapporti con gli altri, si rende inaffidabile nei loro confronti e dunque si può pensare che non delinquerà più. Altrimenti il rischio permane.

Nel processo “carceri d’oro”, a fine anni 80, si scoprì che i funzionari del Provveditorato delle opere pubbliche di Milano intascavano le mazzette a rate: a mano a mano che i costruttori incassavano i pagamenti dallo Stato, versavano l’obolo a chi aveva procurato loro gli appalti. E siccome i pagamenti andavano a rilento, alcuni continuarono a prendere tangenti anche quando erano in pensione e non contavano più nulla. Ma nessuno si sognò di interrompere i versamenti, altrimenti sarebbe divenuto inaffidabile coi funzionari in servizio. Del Turco ammette poi, con la massima naturalezza, di aver chiesto udienza al Comando generale della Guardia di Finanza quando partirono le indagini sulla sua giunta: “Certo che volevo lamentarmi”, perché gli inquirenti indagavano anche su “denunce anonime”, mentre “io gli anonimi li ho sempre cestinati”. Ma se un investigatore riceve un anonimo che fa i nomi di qualche assassino o di qualche tangentaro, perché non dovrebbe verificare se dice il vero o no? E quale cittadino comune potrebbe andare al Comando generale della Gdf per lamentarsi delle indagini a suo carico? Giusto Del Turco, che un comune cittadino non era, anche perché era stato ministro delle Finanze.

L’ultima “prova” della prevenzione del gip citata da Del Turco è spettacolare: “Avevo chiesto di trascorrere due settimane in Sardegna con mia moglie. Mi è stato detto che era possibile, a patto che fossi sorvegliato giorno e notte”. Ora, immaginiamo che sarebbe accaduto se un gip avesse concesso i domiciliari in Costa Smeralda a un normale detenuto accusato di aver rubato 6 milioni, con l’unica restrizione di qualche agente alle calcagna. Avremmo i giornali e i politici che strillano per il lassismo delle toghe rosse, che consentono la bella vita ai ladri. Se invece la stessa cosa accade per un mandarino della casta, accusato di aver rubato 6 milioni alla sanità pubblica, allora i giudici sono prevenuti. Da ricusare

da forumista.net


Titolo: Marco TRAVAGLIO - L'uomo del dialogo
Inserito da: Admin - Settembre 16, 2008, 04:00:56 pm
Marco Travaglio


L'uomo del dialogo

"Il piano Fenice per salvare l'Alitalia non si può che accettare. Alla fine non si può andare contro una cosa assolutamente giusta. E poi è l'unica soluzione possibile. Non si può andare contro. Non credo che i sindacati possano accettare che vadano a casa in 20 mila, mi sembra una cosa così fuori dalla realtà che non ho dubbi che accada. Ciò che accada è che ci sia un accordo. Da una parte ci sono 20 mila persone a casa, dall'altra tutto il resto che è molto positivo" (Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, votaberlusconi. it, 2 settembre 2008)

"Se l'opposizione non vi seguirà andrete avanti lo stesso? In altre parole, farete la riforma federale, quella della giustizia e quella elettorale con o senza l'opposizione?". "Certamente e inevitabilmente" (Silvio Berlusconi, intervista a "Tempi", 21 agosto 2008)

"Io sono amico di tutti e debbo sempre gettare acqua sul fuoco. Anche Bush sa che non si può tornare indietro con la storia. C'è scritto che c'è stata una provocazione a cui è seguita una reazione. Qualcuno ha voluto la parola 'sproporzionata', ma io ho chiesto quale reazione può essere definita proporzionata. Comunque la cosa importante è che non ci sono state né le sanzioni, né l'interruzione del dialogo. Vediamo che situazione maturerà. Dobbiamo tenere conto del sentimento russo che considera ancora la Nato come un'organizzazione contraria alla Russia e della sua sensazione di sentirsi accerchiata. Io e George ci capiamo al volo: non conviene né a noi, né agli americani che Mosca sposti il suo sguardo dall'Occidente all'Oriente" (Silvio Berlusconi commenta la bozza del documento approvato al termine del Consiglio europeo straordinario sulla Georgia tenutosi a Bruxelles, La Stampa, 2 settembre 2008).

"Milan. Biglietti Atene, Berlusconi parla con ultrà. Silvio Berlusconi ha promesso ai tifosi di risolvere il problema dei biglietti per la finale di Champions che sembrano introvabili. 'Atene: presidente non abbandonare i tuoi tifosi' è lo striscione che un centinaio di milanisti della curva hanno sventolato fuori dal Teatro Del Verme. Berlusconi si è fermato a parlare con un paio di loro. 'Ci ha detto che si interesserà lui - ha spiegato il 'Barone', storico ultras - e poi ci ha salutato dicendo 'ciao ragazzi, ci sentiamo domani'..." (Calciomercato.com, 14 maggio 2008)

"Napoli, tifosi padroni del treno. I supporter azzurri diretti nella Capitale 'sfrattano' i passeggeri. Quattro dipendenti delle Fs contusi, 500 mila euro di danni alle carrozze. La rabbia dei 250 diretti a Torino. Trenitalia: la prefettura ci ha detto di far partire l'Intercity. 'Una stazione sotto assedio per colpa di una partita di calcio'. È la rabbia dei passeggeri dell'Intercity. Stanchi e provati dall'esperienza ma soprattutto inferociti per essere stati 'cacciatì dal loro convoglio le persone che avrebbero dovuto partire da Napoli per Torino, commentano increduli l'assalto dei tifosi, che li ha convinti ad accogliere la richiesta di Trenitalia, ossia scendere dal convoglio per far posto ai supporter azzurri. 'Una scena incredibile', racconta Cinzia Vettosi, in viaggio con due bambini: 'Ho avuto finanche paura di scendere dal treno, di fronte a centinaia di tifosi che inveivano pretendendo di salire, in un'atmosfera che è facile immaginare'. Daniela Terrazzano, impiegata, deve tornare a Torino per riprendere domani il lavoro dopo le ferie: 'Dovevo partire alle 9.24, ho già perso oltre tre ore e non so quando potrò prendere il prossimo treno. Scendere? In pratica non c'erano alternative: prima i tifosi hanno cominciato a chiedercelo urlando, poi sono saliti sul treno gli addetti di Trenitalia ribadendo la richiesta. Cosa dovevamo fare?" (Corriere della Sera, 31 agosto 2008)

(12 settembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Questione di accento
Inserito da: Admin - Settembre 16, 2008, 04:02:33 pm
Marco Travaglio



Questione di accento


"Riforme: 'Pronunciatelo alla francese, ricorda Attali'. Ecco il piano di Tremonti: liberalizzazioni e federalismo. Il ministro Giulio Tremonti lavora alla Finanziaria triennale e al piano di sviluppo che l'accompagnerà. Un piano che, parafrasando i francesi e la Commissione Attali, già è stato battezzato 'piano Tremontì', con l'accento sulla 'i'. Liberalizzazioni. Come il suo omologo francese, il piano del ministro dell'Economia farà perno sulle liberalizzazioni: servizi pubblici locali, acqua potabile, professioni, diritti di stabilimento delle società commerciali e di servizi". (Corriere della Sera, 9 giugno 2008).

"Le liberalizzazioni sono nel Dna del Governo Berlusconi... Crediamo che le liberalizzazioni siano un potente fattore di crescita economica e la crescita è indispensabile per rilanciare i redditi, il potere d'acquisto e i consumi dei cittadini".
(Claudio Scajola, ministro dello Sviluppo Economico, all'Assemblea di Confesercenti, Adnkronos, 25 giugno 2008).

"Farmacie, dietrofront sulle coop e parafarmacie. Gasparri e Tomassini stracciano la lenzuolata di Bersani. Farmaci da banco solo in farmacia, salvo poche eccezioni. Le parafarmacie già protestano". (Italia Oggi, 2 settembre 2008).

(15 settembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Toccata e fuga
Inserito da: Admin - Settembre 18, 2008, 04:02:34 pm
Marco Travaglio


Toccata e fuga

Ora d'aria

l'Unità, 17 settembre 2008

Annunciato con squilli di trombette e rulli di tamburi, la prima della quattordicesima edizione di “Porta a Porta” con Al Tappone trionfante è stato vista da una media di un milione 355 mila telespettatori, appena il 16,62% di quelli davanti al video. Quattro gatti. Strano: a sentire i sondaggi del Cainano, il 70% degli italiani stravedono per lui. Ora, essendo gli italiani 56 milioni, i suoi fans dovrebbero essere grosso modo 35 milioni. Tutti, fra l’altro, in spasmodica crisi di astinenza, se è vero quel che ha detto lui, e cioè che da mesi e mesi rifugge le telecamere. Eppure meno di uno su 30 ha voluto assistere al suo esordio chez Vespa. Gli altri han preferito evitare. Lo adorano, ma preferiscono non vederlo. Lontan dagli occhi, vicino al cuore. Colpa sua o colpa dell’insetto? Diciamo di entrambi.

Nonostante la presenza della campionessa di fioretto Valentina Vezzali e della nuova Miss Italia fresca fresca di flop televisivo, nel tentativo disperato di ravvivare il consueto, torrenziale soliloquio del Cainano intervallato di tanto in tanto dagli spot e dalle rarissime domande di De Bortoli e Orfeo, la trasmissione era di una noia mortale. Al Tappone ha fatto di tutto, nel suo piccolo, per ravvivare il mortorio. Un’occhiata furtiva al lato B della Miss. Un siparietto con la Vezzali, versione moderna dell’atleta di regime, una sorta di Primo Carnera in gonnella, anzi in tuta bianca, l’olimpionica gli ha donato il suo fioretto, l’ha ringraziato perché “l’Italia ha tanti problemi, ma con Lei quei problemi possono essere risolti” e gli ha confidato, lei “mamma di famiglia”, il suo desiderio di “farmi toccare da Lei, ma veramente, Presidente” (lui però, per il momento, ha preferito evitare). Un annuncio patriottico a proposito dell’acquisto della nuova villa sul lago Maggiore che “apparteneva al patriota Cesare Correnti e rischiava di finire in mani straniere, dunque mi sono sentito in dovere…” (un po’ come l’Alitalia: si attende apposita cordata, in nome dell’italianità delle ville). Il resto è una rassegna di miracoli, da Napoli all’Alitalia, dall’Ici agli straordinari, dall’accordo con quel sincero democratico di Gheddafi.

Ogni tanto Al Tappone chiama freudianamente Vespa “dottor Fede”. L’insetto mellifluamente protesta (“se continua a chiamarmi Fede, la fiducia in questo studio crolla”), ma il premier spiega che “non sono rincretinito, altrimenti Confalonieri mi avrebbe avvertito, a meno che non sia rincretinito anche lui… Il lapsus dipende dalla mia eccessiva velocità di ragionamento”. Ecco: quando vede un servo, pensa subito a Fede. Qui però a protestare dovrebbe essere non Bruno, ma Emilio. Forse persino lui avrebbe esitato qualche istante prima di mandare in onda il servizio sulle ferie della Sacra Famiglia di Arcore amorevolmente riunita in Sardegna, a dispetto delle tante “voci cattive”, intorno a “nonno Silvio”, anzi a “nonno Superman” come l’ha ribattezzato l’inviato vespiano da riporto. “Come lo vede come nonno?”, ha domandato Vespa, ficcante, alla Miss. Lei ha pigolato che magari: averne di nonni così, “è una fortuna averlo come nonno”.

A quel punto, non potendone più nemmeno lui, il Cainano imbarazzato ha preso le distanze da quel lungo scampolo di piaggeria: “Eh eh, dottor Vespa, lei lo sa che cosa scriverà l’Unità domani di questo suo servizio? Le daranno addosso…”. Previsione azzeccata. Intanto l’insetto affonda un altro colpo accendendo sul megaschermo un sole sfavillante: sono “le previsioni del tempo per il governo”, meravigliose. E domanda al Cainano “Lei che voto si dà?” (è tornato il voto in condotta, ma qui se lo dà direttamente l’interessato). Lui, ormai alle corde, replica: “Un buon voto. Con lode. So di avere conquistato molti crediti per l’Aldilà”. Ma forse voleva dire “con Lodo”. Si può fare di meglio, però: infatti è allo studio una guerra senza quartiere contro i graffitari da strada, categoria pericolosa quant’altre mai. I razzisti che uccidono neri al grido di “muori, negro di merda”, invece, non preoccupano: “Il razzismo non c’entra”. E i fascistelli di ritorno che elogiano Italo Balbo, il mandante del delitto don Minzoni, non preoccupano: anche perché, a riabilitare Italo Balbo, è stato lui, sempre in nome dell’italianità. Non sia mai che i gerarchi e i quadrumviri finiscano in mani straniere. Dopo quasi due ore di sbadigli, a notte fonda,la musichetta di Via col vento pone fine allo strazio. “Più che Porta a Porta, questa ormai è Bocca a Bocca”, ha detto Antonello Piroso qualche giorno fa. Una volta tanto, ne ha detta una giusta. Infatti si è subito scusato


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Medico, cura te stesso
Inserito da: Admin - Settembre 19, 2008, 05:37:15 pm
Marco Travaglio


Rubriche » Carta Canta   


 Medico, cura te stesso


"Se il male è stato l'assenza di regole, la cura può essere solo nella costruzione di regole. La sostanza del male è stata nei tempi e nel metodo della globalizzazione, fatta troppo di colpo e tutta a debito. Abbiamo le regole che non ci servono, ad esempio le regole suicide che costringono a scrivere i bilanci in modo che la crisi si moltiplica con la crisi stessa. Non abbiamo le regole che ci servono. Regole che vietino i contratti speculativi, i paradisi legali, gli strumenti atipici, i bilanci opachi. La crisi si supera ristabilendo la fiducia, e la fiducia può essere ristabilita solo su nuove regole".
(Giulio Tremonti, Pdl, ministro dell'Economia, Corriere della Sera, 18 settembre 2008).

"E' operativa dal 16 aprile 2002 la riforma degli illeciti penali ed amministrativi delle società commerciali. Il nuovo testo - il decreto legislativo è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale 88 del 15 aprile - ha sostituito il Titolo XI del libro V del codice civile, contenente disposizioni penali in materia di società e di consorzi, modificando vecchie figure di reato ed introducendone delle nuove, con l'espressa previsione - e questa è la principale novità - di cause di non punibilità, di estinzione del reato e di circostanze attenuanti in alcuni casi particolari. Questi i punti salienti della riforma. - È stato modificato il reato di false comunicazioni sociali, consistente nell'esposizione, da parte di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, di "fatti materiali non rispondenti al vero", al fine di ingannare i soci o il pubblico e conseguire "per sé" un ingiusto profitto, e nell'omissione di informazioni sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società imposte dalla legge. È stata inoltre prevista una speciale causa di esclusione della punibilità, che ricorre ogniqualvolta "le falsità o le omissioni non alterino in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società" (la punibilità è comunque esclusa se la falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o
una variazione del patrimonio netto non superiore all'1%). In caso di false comunicazioni sociali a danno dei soci e dei creditori, il reato è perseguibile a seguito di querela di questi ultimi...
(Decreto legislativo 11 aprile 2002, n.61 Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, a norma dell'articolo 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366., Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15-4-2002) (...) Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto
obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 11 aprile 2002. Firmato: Ciampi, Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri; Castelli, Ministro della giustizia; Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze; Marzano, Ministro delle attività produttive; Visto, il Guardasigilli: Castelli".

(kataweb.it, aprile 2002).

(19 settembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - "Vespa? Come Fede"
Inserito da: Admin - Settembre 21, 2008, 11:28:26 am
21/9/2008 (7:55) - L'INTERVISTA

Travaglio: "Vespa? Come Fede"
 
«In un paese dove lui passa per giornalista, io sono un'anomalia»

ANDREA SCANZI
ROMA


Il corpo è esile, ma spara bordate. Marco Travaglio non è un guru della tv, ma tutti i guru della tv che abbiamo intervistato nelle ultime settimane lo chiamano in causa. L’intervista va in scena dopo mezzanotte, «l’unico mio momento libero».

Travaglio, le sue non sono interviste, ma interrogatori.
«In un Paese dove Vespa passa per giornalista, chi fa domande è un’anomalia. In Italia la realtà è così drammatica che se racconti i fatti passi per fazioso: ma sono i fatti a essere faziosi. All’estero Vespa neanche lavorerebbe. Qui il massimo dissenso tollerato è il chiacchiericcio, la battutina alla Mentana. Santoro e io facciamo nomi e cognomi. E il potere ci odia».

Per Lerner, volete solo dimostrare che «ce l’avete più lungo».
«Noi ce l’abbiamo normale, sembra lungo perché gli altri ce l’hanno troppo corto. Mi spiace che a dire questo sia Gad, il migliore dopo Santoro. Ancora rivendica di avere rifiutato l’ultima vera intervista a Borsellino, nella quale - due giorni prima di Capaci - parlava di indagini sui rapporti tra Mangano, Dell’Utri e Berlusconi. Comunque, in un Paese decente, i tre tg nazionali sarebbero diretti da Lerner, Santoro e Feltri».

Feltri?
«Il fuoriclasse del giornalismo di centro-destra. Neanche difficile, ci sono solo lui e Belpietro. Con il centro-sinistra al governo, un tg di Feltri lo guarderei: gli farebbe le pulci».

Chi va in tivù certo di avere la verità in tasca risulta antipatico.
«Lo dice Costanzo. Non mi sono mai posto il problema della simpatia, mi interessa che ciò che dico sia vero. Costanzo non l’ho mai capito. Appena lo nomini, la gente sbianca: ha un potere enorme, nella P2 era “maestro” e Berlusconi “apprendista muratore”. Però Costanzo ha anche rischiato la pelle per la mafia. L’attentato fu legato anche al suo “no” alla nascita di Forza Italia, ne sono convinto, ma capisco che lui non abbia voluto inoltrarsi su questo terreno».

Non è una tesi da nulla.
«Ho letto qualche tonnellata di atti giudiziari sulle stragi del ‘93. Servivano a “destabilizzare per stabilizzare”, a sollecitare la nascita di nuove forze politiche gradite alla mafia. In quei mesi Dell’Utri stava inventando Forza Italia, in stretto contatto con Mangano».

Cambiamo argomento. Ormai lei è il giornalista di riferimento della satira.
«Grillo è un comico straordinario, ma ormai fa politica dall’esterno. Sabina Guzzanti ha uno spirito civico formidabile. Luttazzi è un genio e un purista. La sua scelta, opposta a Beppe e diversa da Sabina, è di essere soltanto un satirico. Non partecipa a eventi politici per non alimentare confusioni. Tutti e tre non mediano, dicono tutto. Come se l’Italia fosse davvero una democrazia».

Grillo preferisce i nemici veri agli amici finti. È lo stesso per lei e Santoro?
«Michele ha capito troppo tardi chi sono i burocrati della sinistra. Così ha prestato la sua faccia a chi non lo meritava al Parlamento europeo, permettendo ai D’Alema di sventolare fintamente la bandiera della libertà. Per me è diverso, ho sempre ritenuto i gerarchi comunisti il peggio del peggio. Poi è arrivato Berlusconi e mi ha costretto a mutare le gerarchie. Il centro-sinistra non fa paura: fa ridere. Vuole quello che vuole Berlusconi, ma non sa realizzarlo: lui sì».

Oggi è dipietrista?
«Per colpa del “cainano” Berlusconi e dei suoi alleati, non posso votare destra. Mi accontento di votare l’unico antiberlusconiano vero, Di Pietro».

Quante querele ha collezionato?
«Le querele per diffamazione non fanno paura: a 44 anni sono ancora incensurato. Ma Berlusconi e i suoi fanno cause civili, vogliono soldi, puntano a rovinarti. Ho deciso di ripagarli della stessa moneta: chi mi diffama lo porto in tribunale».

Per Vespa è impensabile che uno come lei stia in Rai.
«Premesso che io faccio cinque minuti alla settimana e lui otto ore, Vespa ha ragione: se il giornalista tipo in Rai è lui, io sono incompatibile. Berlusconi non mi chiamerebbe mai “dottor Fede”. Vespa ha una strana concezione di servizio pubblico: fino al ‘93 si vantava di avere come editore di riferimento la Dc, ora serve i partiti che contano. Se Santoro viene da “Servire il popolo”, Vespa è di “Servire il popolo delle libertà”. Berlusconi ha il 60 per cento di consensi, ma da lui fa solo un milione di spettatori: appena la gente vede Vespa, scappa. Ha detto che la colpa è di King Kong: “Berlusconi contro King Kong” è come Totò contro Maciste, con tutto il rispetto per Totò».

Floris, almeno, le piacerà.
«È il “Vespino de sinistra”. Il Vespa di nuova generazione. Il Vespa restyling».

Ha mai pensato che lei convince i già convinti?
«Il mio scopo è informare, non far vincere il centro-sinistra. Mi rispettano anche gli elettori di Lega e An. Magari mi maledicono, ma mi rispettano.
Quando spieghi il tema giustizia, capiscono che la sicurezza di Berlusconi è inversamente proporzionale alla loro».

E gli elettori di Forza Italia?
«Non ne vogliono sapere. Loro Berlusconi se lo meritano. Noi, un po’ meno».

da lastampa.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Di Borghezio non posso che dire bene, sa è uno che ...
Inserito da: Admin - Settembre 22, 2008, 06:38:02 pm
Marco Travaglio


"Di Borghezio non posso che dire bene, sa è uno che colleziona libri antichi. Poi in pubblico si trasforma"

(Roberto Maroni, all'epoca capogruppo Lega Nord alla Camera, ora ministro dell'Interno, 10 gennaio 2007)



"Al congresso contro la moschea sarà presente un po' tutta la galassia dell'estrema destra europea. Tra gli altri interverranno il fiammingo Vlaams Belang, nato sulle ceneri del Vlaams Blok, partito sciolto dall'Alta Corte belga per incitamento alla discriminazione e all'odio razziale, e l'Npd, organizzazione orgogliosamente neonazista che in certe regioni del nord della Germania supera il 30 per cento dei consensi. L'Npd, per intenderci, è quel partito i cui deputati, un paio di anni fa, uscirono dall'aula mentre l'Assemblea osservava un minuto di silenzio in memoria delle vittime di Auschwitz, e che, in occasione del 60° anniversario della fine delle seconda guerra mondiale, pretendeva di poter andare a sventolare bandiere uncinate nei pressi della Porta di Brandeburgo, a pochi metri dal Memoriale della Shoah. Aderiscono lFpo austriaco, sempre di estrema destra, e il Front National francese di Jean Marie Le Pen, per l'Italia sarà presente Mario Borghezio in rappresentanza della Lega Nord"
(www. rainews24. rai. it)

"Troppa tensione. La manifestazione anti-islamica di Colonia indetta da un cartello di forze xenofobe è stata vietata dalla polizia... La presenza di persone molto vicine alla galassia neonazista ha messo in allarme non solo le migliaia di partecipanti alla contromanifestazione ma anche i servizi segreti tedeschi"
(euronews. net, 20 settembre 2008)

"Io protesto vivamente perché questa di oggi è una sconfitta e una ulteriore conferma che vi è una strategia di criminalizzazione di chi vuole parlare e dimostrare pacificamente e democraticamente contro il totalitarismo islamico. Una sconfitta della libertà perché questa doveva essere una manifestazione di libertà, nelle mie intenzioni. Io avevo appena cominciato a parlare quando è arrivato l'ordine dell'autorità di cessare la manifestazione per questioni di ordine pubblico. Io sono riuscito solo a pronunciare il nome di Oriana Fallaci e a mostrare il libro La Rabbia e l'Orgoglio, perché avevo considerato questa mia adesione una risposta all'appello disperato di Oriana Fallaci che disse 'Tirate fuori i coglioni se volete combattere contro questo pericolo numero Uno di questo secolo'..."
(Mario Borghezio, eurodeputato Lega Nord, Ansa, Colonia, 20 settembre 2008)

"Ho preso parte alla manifestazione a titolo personale. Credo sia stata un'iniziativa simile a cento di quelle che la Lega tiene in Italia contro la costruzione di nuove moschee"
(Mario Borghezio, eurodeputato Lega Nord, al telefono con Apcom, mentre da Colonia rientrava in treno a Bruxelles, 20 settembre 2008)

(22 settembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - C'è la casta al telefono
Inserito da: Admin - Settembre 22, 2008, 06:51:01 pm
Marco Travaglio

C'è la casta al telefono


Il centrodestra non ama i processi ai politici. Così anche le intercettazioni a D'Alema e Latorre rimarranno nei cassetti dei Pm, lasciando l'ombra del sospetto  Massimo D'AlemaS'odono a sinistra gemiti e lamenti perché, ora che al governo c'è Berlusconi, non si parla più di Casta. Vero. Se però, da sinistra, partissero segnali concreti anti Casta, se ne tornerebbe a parlare.

L'esempio l'ha dato Prodi, quando 'Panorama' ha sbattuto in copertina le sue telefonate top secret e prive di rilevanza penale: "Pubblicate tutto, indagate pure, nulla da nascondere". Si attende con ansia che la stessa frase pronuncino Massimo D'Alema e Nicola Latorre prima delle decisioni del Parlamento europeo e del Senato sulle loro telefonate con Giovanni Consorte (e, per Latorre, anche con Stefano Ricucci) nel pieno delle scalate dei furbetti, estate 2005.

Telefonate, secondo il Gip di Milano, penalmente rilevanti anche per i due politici, sospettati di concorso nell'aggiotaggio dei due furbetti. Ma per usarle, in base alla legge Boato, occorre l'ok del Parlamento. Il peggio che possa capitare ai nostri eroi è che Bruxelles e Palazzo Madama rispondano picche con maggioranze trasversali destra-sinistra, salvandoli dalle indagini e lasciandoli avvolti per sempre dall'ombra del sospetto.

Sospetto di impunità di Casta. Se, come dicono, non hanno nulla da temere, i due dovrebbero precipitarsi nei rispettivi parlamenti e implorare i colleghi di concedere l'autorizzazione, per essere indagati e poi prosciolti. Purtroppo, finora, han fatto il contrario. D'Alema ha annunciato che il 7 ottobre, quando si riunirà la commissione giuridica di Bruxelles, non si presenterà, con una lettera al presidente forzista Giuseppe Gargani: "Mi rimetto con fiducia alle decisioni del Parlamento europeo".

Idem Latorre: "Qualunque cosa deciderà il Senato, per me va bene". Frasi che avrebbero senso se il centrosinistra, in Europa e in Italia, avesse la maggioranza. Invece ce l'ha il centrodestra
, che i processi ai politici non vuole neppure sentirli nominare. Infatti Forza Italia ha già annunciato il doppio No ai giudici. A buon rendere. Solo un'esplicita richiesta degli interessati e del Pd può evitare l'imbarazzante diniego. Ma dal Pd giungono dichiarazioni ai confini della realtà.

Ermete Realacci tuona contro "la divulgazione impropria delle telefonate" (pubbliche dal luglio 2007). Per Gianni Cuperlo "le telefonate sono roba vecchia" (in realtà sono di tre anni fa e la prescrizione per l'aggiotaggio è di sette anni e mezzo; e poi, perché il Senato non le autorizzò l'anno scorso quando erano nuove?). Giorgio Tonini sentenzia: "Deciderà Nicola": cioè l'indagabile, alla faccia del conflitto d'interessi. Tonini, Cuperlo e Realacci, come Russo Spena e Pisapia del Prc, affermano poi che "le telefonate non hanno rilevanza penale".

Può darsi, ma non spetta a loro deciderlo. Il Parlamento deve solo vagliare l'eventuale fumus persecutionis, molto improbabile visto che contro D'Alema e Latorre ci sono le loro parole incise su nastro. La rilevanza penale la stabiliscono i giudici, se li lasciano lavorare. Non il Parlamento. A meno che non sia stata abrogata la divisione dei poteri, all'insaputa dei più.

(21 settembre 2008)


da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - C'era o non c'era?
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2008, 12:00:40 pm
Marco Travaglio


C'era o non c'era?

"La storia non si replica per identità perfette, ma per analogie. Nel 1929 la crisi finanziaria scoppiò in America e impattò sul continente Europa impoverito e annichilito dalla Grande Guerra; non c'erano Fed e Bce, c'era la Germania sconfitta. Ora è diverso; ma è pur sempre crisi" (Giulio Tremonti, Corriere della Sera, 23 agosto 2007)

"Che cos'è il Federal Reserve System? Il Federal Reserve System, spesso chiamato Federal Reserve, o più semplicemente Fed, é la banca centrale degli Stati Uniti. E' stato istituito dal Congresso per dotare la nazione di un sistema monetario e finanziario più flessibile e stabile. Nel corso degli anni il suo ruolo ha subito un'evoluzione e un'espansione. Quando é stato istituito il Federal Reserve System? La Federal Reserve fu istituita il 23 dicembre 1913, con la firma del Federal Reserve Act da parte del Presidente Woodrow Wilson" (www.federalreserve.gov, sezione Frequently Asked Questions)

(23 settembre 2008)

da repubblica.it



Titolo: Marco TRAVAGLIO - Tv della Libertà (di fallire)
Inserito da: Admin - Settembre 26, 2008, 06:28:06 pm
Marco Travaglio


Tv della Libertà (di fallire)


Il Cavaliere si vanta di essere un imprenditore. Perché allora applica all'azienda Italia criteri che non applicherebbe alle sue aziende?  Michela Vittoria BrambillaIl 10 maggio Giovanni Sartori analizzava la competenza (si fa per dire) dei principali ministri del neonato governo Berlusconi e concludeva: "Sono pronto a scommettere che se all'attuale squadra del governo Berlusconi venissero affidate Mediaset, Eni, Fiat, Luxottica, in poco tempo diventerebbero altrettante Alitalia. Il Cavaliere si vanta di essere un imprenditore. Perché allora applica all'azienda Italia criteri di reclutamento che non applicherebbe alle sue aziende?".

Il premier gli ha risposto indirettamente venerdì scorso, tutto giulivo, inaugurando a Rovigo il rigassificatore del governo Prodi: "Ho una squadra straordinaria, mi pare di esser tornato in azienda". Escludendo che si riferisse al Milan e sorvolando sullo stato comatoso della Fininvest nel '93, quando lui finse di abbandonarla (4.500 miliardi di lire di indebitamento contro 1.000 di capitale netto), una domanda sorge spontanea: chissà se nella "squadra straordinaria" il premier include anche Michela Vittoria Brambilla, viceministra del Turismo, cioè della prima azienda italiana.

Perché la signora salmonata è reduce da una performance manageriale davvero spettacolare: in un anno ha bruciato 20 milioni con la 'Tv delle Libertà', che trasmetteva - all'insaputa dei più - via satellite (Sky 818) e in chiaro (su 40 emittenti locali) dai faraonici studi di Euroscena e poi da quelli più modesti di Odeon, e che tre mesi fa ha chiuso bottega lasciando per strada 13 giornalisti. In maggio i due proprietari, Michela la Rossa e Salvatore Sciascia (l'ex manager Fininvest condannato per le mazzette alla Guardia di Finanza), sono stati prontamente premiati: lei al governo, lui alla Camera. E han ceduto la proprietà per un euro simbolico a Forza Italia, che ha ripianato i debiti con 20 milioni cash. In attesa di ripartire - minaccia la Brambilla - come "tv ufficiale del Pdl, ma con organici più snelli". Pare che i 13 giornalisti siano troppi.

Sono quasi tutti precari provenienti da Mediaset (Tg4, Studio Aperto, Videonews, Verissimo), che però s'è ben guardata dal riprenderli indietro. Molto meglio assumere a 'Mattino 5' Elisa Triani, 'letterina' di Gerry Scotti a 'Passaparola' e protagonista di un eccitante calendario. E al Tg4 Francesca Cenci, fidanzata di Mauro Fabris (l'ex Udeur passato al Pdl giusto in tempo per rovesciare il governo Prodi), che ora è in maternità, sostituita da Federica Federici, nota per uno strepitoso sito Internet e per l'amicizia con Confalonieri, Rossella e Mimun.

Anche Francesca Impiglia, la bionda fotografata qualche estate fa nel parco di Villa Certosa mano nella mano col premier, suo futuro testimone di nozze, è una rinomata giornalista del Tg4: in redazione la vedono di rado, ma risulta sempre presente, anche per l'ufficio stipendi. Al cospetto di simili fuoriclasse, è ovvio che i 13 professionisti di TeleBrambilla rimangano a spasso. A proposito: ma Berlusconi non era quello che "non ho mai licenziato nessuno in vita mia"?

(26 settembre 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Lui è pronto
Inserito da: Admin - Settembre 28, 2008, 04:48:42 pm
da Marco Travaglio



Lui è pronto


"Serve una nuova generazione di politici cattolici dotati di grande rigore morale... capaci di coltivare le virtù della fedeltà, della dignità, della riservatezza, della sobrietà e del senso del dovere... contro il consumismo e gli idoli del guadagno e del successo... in difesa della famiglia, oggi minacciata da troppi divorzi..." (Papa Benedetto XVI, Cagliari, 7 settembre 2008)

"Sono pronto a mettere in lista per le regioni e al governo le nuove leve di credenti che ci verranno indicati... Ringrazio il santo padre per l'incoraggiamento alla nostra azione di governo" (Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, Cagliari, 7 settembre 2008).


Berlusconi - ... Senti, tu mi puoi fare ricevere due persone...
Saccà - Assolutamente...
Berlusconi - ... Perché io sono veramente dilaniato dalle richieste di coso...
Saccà - Assolutamente...
Berlusconi - Con la Elena Russo non c'era più niente da fare? Non c'è modo...?
Saccà - No... c'è un progetto interessante... adesso io la chiamo...
Berlusconi - Gli puoi fare una chiamata? La Elena Russo; e poi la Evelina Manna. Non c'entro niente io, è una cosa... diciamo... di...
Saccà - Chi mi dà il numero?
Berlusconi - Evelina Manna... io non ce l'ho...
Saccà - Chiamo...
Berlusconi - No, guarda su Internet...
Saccà - Vabbè, la trovo, non è un problema... me la trovo io...
(da una telefonata intercettata dalla procura della repubblica di Napoli fra Silvio Berlusconi e l'allora direttore di Raifiction Agostino Saccà il 21 giugno 2007).


"Berlusconi è un grande innovatore con un'energia disumana per il lavoro. Ma anche con il passatempo della gnocca" (Evelina Manna, attrice, intervista a "Libero", 5 settembre 2008).

(9 settembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - I pompieri di Viggiù
Inserito da: Admin - Ottobre 02, 2008, 01:57:00 pm
1 ottobre 2008, in Marco Travaglio

I pompieri di Viggiù

Ora d'aria

l'Unità, 1 ottobre 2008



Negli Stati Uniti il Parlamento, libero e sovrano, boccia sonoramente il piano di salvataggio della finanza tossica americana a spese dei contribuenti, firmato dal presidente Bush con l’accordo dei vertici dei partiti democratico e repubblicano. In Italia il Parlamento è una pròtesi del presidente del Consiglio, che lo convoca e lo sconvoca a seconda delle scadenze dei suoi processi e dei finti impedimenti dei suoi onorevoli avvocati, per il resto bypassandolo allegramente con continui decreti legge (su 12 leggi approvate finora, 11 sono dl e solo uno è un ddl, la porcata Alfano, ovviamente incostituzionale). E le possibilità che il Parlamento bocci il piano delinquenziale che scarica sui contribuenti i debiti dell’Alitalia per regalarne la parte sana a una compagnia di giro di profittatori di regime, capitanata da Colaninno condannato dal Tribunale di Brescia a 4 anni per la bancarotta del gruppo Italcase-Bagaglino, è pari a zero. Anzi, una volta tanto che il Pd non c’entrava nulla in una sciagura, Veltroni s’è precipitato a rivendicarne il merito.

Negli Usa la gente scende in piazza da Denver a Washington contro i profittatori di regime al grido di “Aiuti a Main Street, non a Wall Street”, “Niente salvagente, per questi ci vuole la galera”. In Italia manifestare in piazza è considerato eversione e invocare la galera per i ladri di Stato non si usa più: sarebbe giustizialismo. Negli Usa Obama e Mc Cain se le suonano di santa ragione. In Italia, se il leader del Pd comincia con quattro mesi di ritardo a fare opposizione al governo più indecente della terra, si becca subito i rimbrotti del Corriere della sera per la penna, anzi l’estintore, del pompiere di Viggiù, al secolo Pigi Battista. E viene subito sbugiardato dai suoi compagni di partito. Per Enrico Letta, “non si vincono le elezioni del 2013 con l’antiberlusconismo”: infatti ha appena perso quelle del 2008 dialogando con Berlusconi (che intanto monologava, chiamava Veltroni “maschera di Stalin” e vinceva a mani basse). Ma c’è di meglio: tal Giorgio Tonini del Pd, in un convegno a Orvieto, lancia con Enrico Morando l’idea di “separare le carriere di pm e giudici”, che sarebbe anche originale, se non l’avessero già lanciata Gelli, Craxi e Berlusconi. Più innovativa un’altra trovata del Tonini: la deriva putiniana denunciata da Veltroni non sarebbe colpa di Berlusconi ma, pensate un po’, di Prodi. Il quale, essendo l’unico ad aver battuto Berlusconi, è stato spedito a casa anzitempo, così impara a non perdere le elezioni come tutti gli altri.

Intanto Al Tappone, sempre spiritoso, annuncia: “Basta dialogo con Veltroni”. Un po’ come se Putin annunciasse “basta dialogo con la Georgia”. D’Alema, per punizione, lo candida subito al Quirinale: “Se si arrivasse a un sistema presidenziale, Berlusconi potrebbe concorrere alla massima carica della Stato perché ci sarebbero quei pesi e quei contrappesi che consentirebbero anche a lui di governare meglio il Paese”. Frattanto, in Francia, il presidente Sarkozy è bersagliato dalle polemiche per aver osato partecipare all’assemblea condominiale e interessarsi della nuova rete fognaria della villa della suocera in Costa Azzurra, non per procurarle privilegi, ma solo perché siano rispettati la legge e l’ambiente.

In Italia il premier attacca i giornali altrui, essendo proprietario di giornali. Attacca le tv altrui, essendo proprietario di tv. Attacca i giudici, essendo imputato. Confessa, dopo aver mentito promettendo di non usarlo, che il Lodo Alfano gli serve “contro i giudici politicizzati”. Ma il pompiere Battista trova che la colpa della fine del dialogo sia tutta di Veltroni, che osa addirittura descrivere il premier come “nemico ontologico della democrazia”, cioè per quello che è, mentre il Cainano sarebbe colpevole soltanto di qualche “reazione sgarbata”. Ma certo, uno che minaccia la Consulta di rappresaglie se oserà dichiarare incostituzionale una legge incostituzionale, uno che definisce “nemici” i giudici che si occupano dei suoi reati, uno che passeggia quotidianamente con le scarpe chiodate (con tanto di rialzo interno) sulla Costituzione, uno che annuncia con l’apposito Ghedini la riforma del Csm di cui il capo dello Stato non sarà più presidente, uno che vola sull’elicottero di Stato in una beauty farm chiusa per lavori ma fatta riaprire apposta per lui e ci trascorre tre giorni anziché andare all’Onu a rappresentare l’Italia, ecco, uno così è soltanto un po’ sgarbato. Birichino.


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Mai dire mai / 2
Inserito da: Admin - Ottobre 03, 2008, 10:35:08 am
Marco Travaglio.


Mai dire mai / 2

"Mai insultato Veltroni, io ricevo da sempre insulti, ma io non ne ho mai fatti. Io ho un grande rispetto per gli altri, se poi i giornali si inventano cose non è colpa mia. Insultando il presidente del Consiglio dandogli dell'imbroglione si insulta un'istituzione dello Stato" (Silvio Berlusconi, 2 ottobre 2008).

"I Ds sono i mandanti delle toghe rosse. Noi non attacchiamo la magistratura, ma pochi giudici che si sono fatti braccio armato della sinistra per spianare a questa la conquista del potere. Questa sinistra continua a sostenere questa parte della magistratura e le dichiarazioni di D'Alema, Veltroni, Folena, Angius e Mussi hanno dimostrato che c'è una collusione diretta e precisa. Sono loro i mandanti? Credo che sia un'evidenza solare. Chi sono i beneficiari dell'azione politica delle toghe rosse? Noi vediamo che le dichiarazioni di Veltroni, Angius e Mussi costituiscono un vero manuale pratico della scuola comunista, quella di far fuori con tutti i mezzi l'avversario politico: con la mistificazione, la demonizzazione e la criminalizzazione" (Silvio Berlusconi, Corriere della Sera, 1° dicembre 1999).

"Chi salverei tra Bertinotti, D'Alema, Veltroni e Prodi? Butterei giù la torre e mi candiderei al Nobel per la pace: sarebbe garantito" (Silvio Berlusconi, 28 ottobre 1995).

"Vediamo che le dichiarazioni di Veltroni, Angius e Mussi... costituiscono un vero manuale pratico della scuola comunista: quella di far fuori con tutti i mezzi l'avversario politico, con la mistificazione, la demonizzazione e la criminalizzazione" (Silvio Berlusconi a "Radio anch'io", 30 novembre 1999).

"La loro cultura è quella di sempre. Una cultura comunista, marxista, statalista, dirigista. Pensate che nella stanza di Veltroni campeggia ancora il ritratto di Togliatti. Ah no, quello di Berlinguer? Va be', è la stessa cosa, metodi e cultura sono quelli di sempre. A forza di dire bugie, finiscono per crederci, come Tartarin di Tarascona" (Silvio Berlusconi, 5 maggio 1995).

"Veltroni è un coglione" (Silvio Berlusconi, 3 settembre 1995).

"Veltroni è un miserabile" (Silvio Berlusconi, Ansa, 4 aprile 2000).

"Veltroni è una maschera di Stalin" (Silvio Berlusconi, 30 marzo 2008)



(3 ottobre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Pd di Letta e di governo
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2008, 12:19:48 am
Marco Travaglio


Pd di Letta e di governo


Il nuovo motto di chi si dice di sinistra è: "Berlusconi è migliore". E intanto Veltroni riempie di complimenti Gianni Letta  Gianni Letta "Sono di sinistra, ma Berlusconi è il migliore". L'ha detto a 'L'espresso' Riccardo Scamarcio, ma è il motto di un'epoca. Questa. Veltroni invece preferisce Gianni Letta, "un uomo che ha il mio stesso senso delle istituzioni". Definizione quantomeno azzardata, se si pensa che questo Cavour redivivo, negli anni Ottanta quando dirigeva 'Il Tempo', fu coinvolto nei fondi neri Iri e nel '93, vicepresidente Fininvest, rischiò l'arresto per presunti maneggi sulla legge Mammì. Ma il vero mistero è perché mai Uòlter abbia messo il cappello sulla Cai, la cordata alitaliota dei Colaninno Boys.

Dopo averne detto tutto il peggio possibile, è andato a 'Porta a Porta' a rivendicare il successo dei 16 Fratelli Bandiera. Rivelando di aver fatto incontrare Colaninno ed Epifani "per favorire un'intesa che impedisse la catastrofe" e "far fare un passo avanti a Cai". Se è vero, non si comprende perché Veltroni non si sia schierato subito con Cai, cioè col governo. Se è falso, non si vede perché il capo dell'opposizione abbia levato le castagne dal fuoco al governo che, incartato nella guerra ai lavoratori Alitalia, era a un passo dalla prima disfatta.

"Senso di responsabilità", spiega Uòlter, ma così dà implicitamente ragione al governo sulla mancanza di alternative alla Cai (che invece di alternative ne aveva, se si fosse messa sul mercato l'Alitalia senza debiti né esuberi, anziché regalarla in esclusiva alla Cai).

In entrambi i casi, prendersi il merito di uno sbocco sempre criticato disorienta vieppiù gli elettori del Pd. Conferma le accuse di Berlusconi alla Cgil, che avrebbe "remato contro" pilotata dal Pd. E delegittima Guglielmo Epifani, mettendo in ombra i vantaggi strappati in extremis dalla Cgil per
i lavoratori rispetto al pessimo accordo siglato inizialmente da Cisl e Uil. Non contento, Veltroni dichiara al 'Corriere' che con questo governo rischiamo una svolta autoritaria, poi però rivela i dettagli dell'imbarazzante mediazione:
Colaninno (padre) ed Epifani "si sono seduti qui in casa mia su quei due divani là in fondo e han trovato l'accordo". In gran segreto, fuorché per Letta e per i segretari di Cisl e Uil. Intanto Colaninno figlio, Matteo, ministro-ombra del Pd, taceva. E Letta nipote, Enrico, metteva alle strette Epifani definendo "l'errore del secolo" il no alla Cai.

È proprio sicuro Veltroni, noto giramondo, che una simile scena potrebbe mai accadere in una democrazia normale? Se l'immagina Obama che convoca nel suo salotto un affarista e un sindacalista per propiziare la svendita di un'azienda di Stato decisa da Bush a spese dei contribuenti? Certo che no, infatti Uòlter poco sotto dichiara: "Ho un giudizio pessimo di come il governo ha gestito la vicenda Alitalia, compresa la scelta di una cordata non si sa in base a quali principi. che ha scaricato i debiti sui contribuenti". Già. Ma in quel pessimo governo c'è pure l'ottimo Gianni Letta. E la pessima cordata, a sentire Veltroni, l'ha salvata Veltroni. L'ottimo capo dell'opposizione.

(03 ottobre 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Troppe prove niente arresti
Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2008, 06:55:31 pm
Marco Travaglio


Troppe prove niente arresti


Nicola Di Girolamo è un senatore "abusivo". E' stato eletto tra gli italiani all'estero inventandosi una residenza all'estero e il gip di Roma ha disposto per lui gli arresti domiciliari per nove reati, tra cui la falsa dichiarazione di identità  Nicola Di GirolamoA Palazzo Madama, da sei mesi, siede un senatore abusivo: Nicola Di Girolamo. È stato eletto tra gli italiani all'estero nella lista Pdl collegio Europa, ma non poteva neppure candidarsi, perché s'è inventato una residenza in Belgio mentre risiedeva in Italia. A giugno il gip di Roma ha disposto per lui gli arresti domiciliari per nove reati (attentato ai diritti politici del cittadino, falsa dichiarazione d'identità, falso ideologico, abuso d'ufficio) e ha chiesto il nullaosta alla giunta per le autorizzazioni. Ma il nostro eroe seguita imperterrito a circolare fra l'aula del Senato e la commissione Esteri. C'era pure il 24 settembre, quando i compari di casta l'han salvato con un plebiscito, ben nascosti dietro il voto segreto: 204 no all'arresto (Pdl, Lega, Pd, Udc), soltanto 43 sì (IdV e qualche pidino sciolto).
 
Impossibile sapere se ha votato anche lui per sé, o se ha avuto il buon gusto di astenersi. Ora, com'è noto, c'è un solo motivo che può consentire al Parlamento di derogare al principio di eguaglianza, bloccando l'ordinanza di un giudice: il fumus persecutionis, quando le accuse si rivelano inconsistenti al punto da far sospettare un complotto politico. Ma tutti gli intervenuti in giunta e in aula, compresi i compagni di partito, l'hanno escluso, complimentandosi anzi con i giudici per l'ottimo lavoro. Costituzione alla mano, avrebbero dovuto fermarsi lì: spetta al gip stabilire le esigenze cautelari, non ai colleghi dell'arrestando. Questi invece si sono sostituiti al giudice, sentenziando che il pericolo d'inquinamento delle prove non esiste.

E pazienza se il gip cita un bel po' di testimoni avvicinati da emissari del senatore perché mentissero ai magistrati. Per il relatore Francesco Sanna (Pd) e il leghista Sandro Mazzatorta, l'arresto comprometterebbe "il plenum del Senato", che scenderebbe da 315 a 314 inquilini. E poi i suoi reati, aggiunge Sanna, "non hanno gravità paragonabile a quelli per i quali, negli unici quattro precedenti nella storia repubblicana, il Parlamento ha approvato misure cautelari nei confronti di propri membri". In effetti gli unici quattro parlamentari arrestati in 60 anni di storia repubblicana erano accusati di "omicidio plurimo, insurrezione armata contro lo Stato e sequestro di persona". E Di Girolamo non ha ammazzato nessuno: rischia solo dieci anni. Il dipietrista Luigi Li Gotti prova a spiegare: l'arresto è proprio "a difesa del plenum e della legittimità di quanti han diritto a farne parte"; i pm devono ancora sentire diversi testimoni, che potrebbero essere a loro volta subornati; e ogni volta che Di Girolamo entra in Senato reitera il reato di attentato ai diritti del suo partito e degli elettori presi per i fondelli. Ma anche i senatori del Pdl appaiono felici di essere stati buggerati. E poi, come osserva spiritoso Luigi Lusi (Pd), "le prove sono talmente evidenti che non c'è bisogno di arrestarlo". Giampiero D'Alia (Udc) si associa. Ecco: se le prove sono poche, non si arresta. Se sono tante, non si arresta lo stesso.

(10 ottobre 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - La retromarcia su Roma (in attesa di pubblicazione)
Inserito da: Admin - Ottobre 11, 2008, 06:01:37 pm
10 ottobre 2008, in Marco Travaglio

La retromarcia su Roma


Ora d'aria

l'Unità, 11 ottobre 2008 (in attesa di pubblicazione)

Le manifestazioni della sinistra e dell’Italia dei Valori, oggi, e quella del Pd il 25 ottobre non potrebbero cadere in un momento migliore. La macchietta di Palazzo Chigi, tra una visita al Bagaglino e quattro salti in discoteca, è l’emblema del dilettantismo con cui il governo sta affrontando la crisi. Non passa giorno, anzi minuto, senza che Al Tappone si e ci copra di ridicolo. Garantisce ciò che non può garantire (“non fallirà una sola banca italiana, i risparmiatori non perderanno un soldo”). Organizza strane adunate a Palazzo Chigi col governatore di Bankitalia e un banchiere privato, il plurimputato per bancarotta Cesare Geronzi, a cui due berluscloni tentano nottetempo di garantire l’impunità nei processi per bancarotta nei casi Cirio, Parmalat e Italcase (a proposito: dov’era l’opposizione mentre passava l’emendamento, visto che a scoprirlo è stata una giornalista, Milena Gabanelli?).

Invita la gente a investire nelle società più solide, cioè “Eni, Enel e Mediaset”, che guardacaso è sua. Annuncia per l’ennesima volta “il taglio delle tasse”, eventualità catastrofica, visto che - come nota Salvatore Bragantini sul Corriere - “la crisi gonfierà un debito pubblico già debordante”. Promette di “estirpare la corruzione”, essendo imputato in tre processi per corruzione appena sospesi dalla porcata Alfano. Minaccia la Consulta che dovrà giudicare la porcata e tenta d’infilarci il suo avvocato Pecorella al posto di un altro suo avvocato, Vaccarella. Proclama: “Si può governare solo con i decreti”. Annuncia “un G8 straordinario”, subito smentito persino dall’amico Bush. Esalta le virtù democratiche dell’amico Vladimur nel senso di Putin, massacratore di ceceni e di georgiani, giustificando con false versioni l’illegale invasione russa della Georgia e facendo infuriare persino Paolo Guzzanti (subito manganellato da orde di forzisti a comando). Compila liste di proscrizione per la Vigilanza Rai (“né Orlando né Giulietti”), pretendendo di decidere anche le cariche spettanti all’opposizione. Senza contare i tagli selvaggi alla scuola, alla giustizia, alle forze dell’ordine, alla ricerca e persino agli italiani all’estero.

Bene: di fronte a questo spettacolo da repubblichetta delle banane, il Pd che fa? Anziché impegnarsi allo spasimo per portare in piazza quanta più gente possibile,e magari rimangiarsi la scriteriata decisione di sabotare il referendum anti-Alfano, si divide addirittura sull’opportunità di scendere in piazza. Ha cominciato il solito Follini sul Corriere, invitando il Pd a suonare la ritirata in vista del 25 ottobre. Posizione comprensibile, visto che fino a due anni fa Follini stava con Al Tappone e votava tutte le leggi vergogna. Meno comprensibile l’uscita di Rutelli sul Riformatorio: “La piattaforma della manifestazione è superata, occorre un corteo non centrato sulla contrapposizione al governo, ma sulle nostre proposte aggressive per uscire dalla crisi”. Aggressive, Rutelli: vabbè.

Ma il bello deve ancora venire: l’intervista di Enrico Morando al Giornale di Berlusconi, in cui l’esponente del Pd lancia, restando serio, l’idea di una bella manifestazione “non anti-governativa”, anzi, di più: per “incoraggiare e sostenere il governo nello sforzo che sta facendo per fronteggiare l’emergenza”. In piazza, la gente del Pd dovrà “stringersi intorno al governo”, perché “i cittadini hanno un atteggiamento di fiducia nel governo. I calcoli di parte sarebbero infondati oltre che sbagliati. L’opposizione deve fare la sua parte…”.
Spettacolare questa idea dell’opposizione che deve chiamare la gente in piazza per sostenere il governo. Figurarsi l’entusiasmo con cui gli elettori del Pd, soprattutto quelli che han firmato l’appello per “Salvare l’Italia” dal “governo che la sta distruggendo”, si sveglieranno all’alba per salire su auto, treni, aerei e pullmann verso Roma, con la prospettiva di “stringersi intorno al governo” Berlusconi, mentre dal palco i Morando e i Rutelli li inviteranno a non essere antigovernativi e Follini, da casa, li sgriderà per non essersene rimasti a casa. Prospettiva elettrizzante, che potrebbe indurre molti a non muoversi, col rischio di far fallire la manifestazione. Per scongiurarlo, non resta che una strada: se l’obiettivo è stringersi intorno al governo, tanto vale invitare anche gli elettori del Pdl, e magari lo stesso Al Tappone. Lui la gente in piazza (“contro il regime delle sinistre”, s’intende) ha già dimostrato di saperla portare. Pienone assicurato.


da forumista.net


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Da Vaccarella a Pecorella
Inserito da: Admin - Ottobre 18, 2008, 12:13:47 pm
Marco Travaglio


Da Vaccarella a Pecorella


Fa scandalo che il Parlamento non abbia ancora sostituito alla Corte costituzionale Romano Vaccarella, dimissionario da un anno e mezzo. Non fa scandalo invece che il favorito a succedergli sia Gaetano Pecorella, già legale del piduista Berlusconi dagli anni Novanta  Gaetano PecorellaFa scandalo che il Parlamento non abbia ancora sostituito alla Corte costituzionale il prof. avv. Romano Vaccarella, già civilista di Previti e Berlusconi, dimissionario da un anno e mezzo. Non fa scandalo invece che il favorito a succedergli sia il prof. avv. on. Gaetano Pecorella, già legale della sinistra extraparlamentare negli anni Settanta, del piduista Bruno Tassan Din negli anni Ottanta e del piduista Berlusconi dagli anni Novanta. Eppure il giureconsulto milanese è forse il candidato meno indicato per la Corte. 1. Come deputato dal '96 e presidente della commissione Giustizia nel 2001-2006, Pecorella è stato autore o coautore di una serie di leggi ad personam di dubbia costituzionalità. Una volta, in un lampo di autocoscienza,

lo ammise pure lui: "È vero, sono state fatte leggi funzionali a determinati processi. Abbiamo fatto il lodo Schifani, poi dichiarato incostituzionale e che in effetti in qualche parte lo era, per consentire a Berlusconi di governare" (9 ottobre 2004). Sulla legittimità delle altre,

la Consulta potrebbe essere chiamata a pronunciarsi in qualsiasi momento. Meglio che lui

ne stia alla larga. 2. Nel 2005 passò una legge che portava il suo nome e abrogava il grado

di appello, ma solo per il pm. Il presidente Ciampi la respinse al mittente per manifesta incostituzionalità. Pecorella la ripresentò pressoché identica e la Corte la bocciò. Non s'è mai visto l'autore di leggi incostituzionali diventare giudice costituzionale. 3. A luglio, con tutti

i parlamentari Pdl, Pecorella ha approvato la legge Alfano che regala l'impunità al premier suo cliente. Nei prossimi mesi, su quella legge, la Consulta dovrà pronunciarsi due volte: sull'eccezione di incostituzionalità sollevata dai giudici di Milano e Roma, e sull'ammissibilità

del referendum abrogativo indetto da Di Pietro. Figurarsi l'imbarazzo in cui si troverebbe la Corte se vi sedesse chi ha votato la legge. 4. Pecorella è imputato per un'accusa gravissima: favoreggiamento del primo sospettato delle stragi di Piazza Fontana e Piazza della Loggia. Secondo la Procura di Brescia, che nel 2007 ha chiesto il suo rinvio a giudizio prima che il processo passasse per competenza a Milano, Pecorella avrebbe corrotto un pentito di Ordine nuovo, Martino Siciliano,


testimone-chiave nei processi per le stragi nere, perché ritrattasse le accuse contro Delfo Zorzi, cliente di Pecorella, imputato

per Piazza Fontana (poi assolto con formula dubitativa) e Piazza della Loggia. È stato lo stesso Siciliano a raccontare che Zorzi

gli versò 115 mila dollari tramite il suo ex difensore Fausto Maniaci, previo accordo con Pecorella. Accusa tutta da verificare al processo. Ma forse un giudice costituzionale imputato

per favoreggiamento in una storia di stragi potrebbe sembrare eccessivo persino in Italia. Resta da capire perché l'opposizione non abbia obiettato nulla sul presepe Vaccarella-Pecorella.

Si dirà: se passa Pecorella coi voti del Pd, poi passa Violante

con quelli del Pdl. Appunto: motivo in più per evitare.

(17 ottobre 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Task force in acciaio Inox
Inserito da: Admin - Ottobre 24, 2008, 10:19:54 pm
Marco Travaglio


Task force in acciaio Inox


 Agostino SaccàRicordate Giancarlo Innocenzi? Ex dirigente Fininvest, ex sottosegretario alle Telecomunicazioni del governo Berlusconi 2, ora commissario dell'Autorità garante delle comunicazioni (Agcom), fu intercettato un anno fa al telefono con Agostino Saccà: "Sono reduce da un incontro col Grande Capo (il Cavaliere, ndr). Si è deciso a dare una spallata a questi qua (il governo Prodi, ndr). Io sto lavorando con Tex (Willer Bordon, senatore Pd, ndr). che ha una moglie che fa quel mestiere (l'attrice, ndr)". In sintesi: lui e il Grande Capo avevano pensato di sistemarla in una fiction Rai tramite il produttore Guido De Angelis, nella speranza che il marito passasse al Pdl. Dalle telefonate emergono frenetici incontri fra Innocenzi (per gli amici 'Inox') e De Angelis, De Angelis e Bordon, De Angelis e Berlusconi, Inox e Berlusconi.

Tutti in conflitto d'interessi, ma soprattutto il membro della cosiddetta Authority, che dovrebbe vigilare su Rai e Mediaset e invece sembra usarle per regalare un senatore al Grande Capo. Quando, a giugno, 'L'espresso' svela la tresca, il presidente dell'Agcom Corrado Calabrò deferisce Inox ai tre saggi del Comitato etico. Non se n'è più saputo nulla, anche perché di recente uno dei saggi, Leopoldo Elia, è mancato. Intanto Inox, con il resto dell'Agcom, continua a vegliare sul sistema televisivo, distribuendo moniti e multe a questo e quello. L'altro giorno l'illustre consesso ha avuto un'altra bella pensata, in coproduzione col governo: visto che Europa7, la tv di Francesco Di Stefano, da nove anni ha la concessione a trasmettere ma non le frequenze analogiche per farlo, mentre Rete 4 ha perso la concessione ma continua a occupare le frequenze, si toglie una frequenza a Raiuno. Geniale.

Siccome Mediaset, per la Corte costituzionale, ha una rete di troppo, si toglie un canale di trasmissione alla Rai. Il popolare Inox merita proprio un viaggio premio. Ad Abu Dhabi. Qui le cronache di domenica scorsa segnalano un certo Giancarlo Innocenzi in missione col ministro degli Esteri Franco Frattini, in qualità di membro del neonato Comitato strategico per l'interesse nazionale in economia, definito dal 'Sole 24 Ore' "la task force di 12 esperti costituita dal governo per attrarre gli investimenti di paesi amici e cercare per quanto possibile di tenere alla larga quelli sgraditi, specie in settori sensibili, come energia, difesa e telecomunicazioni". Frattini, Inox & C. hanno incontrato i vertici di Adia, il fondo sovrano degli Emirati, che è il primo del mondo ed è pronto a investire in Italia.

Strano: solo tre giorni prima Berlusconi aveva lanciato l'allarme sui "fondi sovrani, soprattutto arabi" che minacciano "Opa ostili su aziende italiane". Evidentemente Adia fa eccezione. Forse perché possiede il 2 per cento di Mediaset. Quando si dice la combinazione. Se l'Innocenzi che vigila sul fondo arabo è lo stesso che veglia così bene sulle tv, allora è una garanzia. Siamo in una botte di ferro. Anzi, d'acciaio. Inox.


(24 ottobre 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il conflitto innominato
Inserito da: Admin - Ottobre 31, 2008, 03:47:42 pm
Marco Travaglio.


Il conflitto innominato


 Silvio BerlusconiNell'ottimo e abbondante Circo Massimo, Uòlter ha tenuto fede al suo tic di non nominare Berlusconi. L'ha sempre chiamato "il presidente del Consiglio". Bel progresso rispetto alla campagna elettorale, quando evocava un imprecisato "principale esponente dello schieramento a noi avverso". Purtroppo non ha mai citato neppure il conflitto d'interessi. Che sarà anche un'espressione riduttiva, come dice Michele Serra. Ma allora troviamole al più presto un sinonimo che renda l'idea. Chiamiamola Pippo, o Gigetto, ma chiamiamola. Perché intanto gli interessi privati dell'Innominato in conflitto con i nostri si moltiplicano di giorno in giorno. L'ha scritto il 'New York Times': "Ci sono due tipi di italiani: quelli che lavorano per lui e quelli che lo faranno".

Con la scusa della crisi, Berlusconi annuncia "aiuti di Stato alle imprese", e lui guardacaso possiede imprese. Il governo stanzia somme enormi per garantire le banche, e lui guardacaso ha una banca, Mediolanum (impegolata nell'affaire Lehman), e una figlia nel cda di Mediobanca, che controlla quote decisive in Telecom, Generali e Rcs. Intanto la Libia investe in Unicredit (socio di Mediobanca), dopo che il premier ha regalato 5 miliardi di dollari (in vent'anni) al regime di Gheddafi, in cambio di non si sa cosa. Insomma quei soldi pubblici potrebbero rientrare in italianissime e privatissime tasche, magari anche sue. Mediaset è in crisi di share e di Borsa, e lui che fa? Prima invita a investire in titoli di aziende italiane, segnalando - bontà sua - "le tre più sottovalutate: Iri, Eni e Mediaset". Poi incontra gli industriali, sempre per parlare di crisi, e pensa bene di aggravare quella della Rai sua concorrente: giustifica chi non paga il canone e domanda: "Come fate ad accettare che la Rai inserisca i vostri spot in programmi che diffondono panico e sfiducia?". Un modo come un altro per invitarli a dirottare gli spot su Mediaset.


Intanto seguita a controllare due reti Rai su tre. Infatti Tg1 e Tg2 - secondo l'Agcom - dedicano al governo rispettivamente il 58 e il 65 per cento degli spazi politici, per non parlare delle reti Mediaset (64,5 il Tg5, 80 il Tg4). Confalonieri annuncia il taglio degli show troppo costosi, sperando in un "disarmo bilaterale" con la Rai? Ecco Maurizio Gasparri scatenato contro l'unica fiction da esportazione di viale Mazzini, il commissario Montalbano, che sbaraglia Mediaset anche con le repliche. Il resto lo fanno gli house organ di famiglia, 'Il Giornale' in testa. Attacchi furibondi alle poche bestie nere del premier, da Di Pietro a Giorgio Bocca ai soliti magistrati. Critiche alla Rai perché, per la tournée del premier in Cina, non ha mobilitato battaglioni di inviati, ma "ha preferito la via della parsimonia e l'ha fatta seguire solo dal corrispondente locale". E perfino un paginone sulla "statura dei politici" ('Viaggio nella Lilliput del Palazzo') con le foto di tutti quelli sotto il metro e 65, tranne uno. Indovinate chi. Perché lui non è basso: è diversamente longilineo.

(31 ottobre 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Al Senato c'è Ponzio Pilato
Inserito da: Admin - Novembre 07, 2008, 04:09:31 pm
Marco Travaglio.


Al Senato c'è Ponzio Pilato


Dice il presidente del Senato, Renato Schifani, che quando viene sciolto un Comune per mafia, bisogna cacciare non solo sindaci e consiglieri, ma pure "i burocrati, che sono e rimangono collusi". Parole coraggiose, visto che fino al 1996 Schifani era consulente urbanistico del Comune di Villabate, poi sciolto due volte per mafia. Resta da capire se la regola vale anche per il Senato. Se deve sloggiare un burocrate ritenuto colluso dal Viminale, non dovrebbe andarsene a maggior ragione un senatore giudicato colluso da un tribunale? È il caso di Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Per una coincidenza, lo stesso 30 ottobre, mentre Schifani pronunciava le sacrosante parole, la giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato rinviava al mittente la richiesta del gip di Palermo di autorizzare i giudici d'appello a usare una telefonata fra Dell'Utri e la sorella di un boss, Vito Roberto Palazzolo.

Condannato al processo Pizza Connection (istruito da Falcone) per traffico di droga, Palazzolo vive da anni in Sudafrica, dov'è stato raggiunto da un'altra condanna in primo grado per mafia (9 anni anche a lui). La telefonata dimostra, secondo la Dda di Palermo, che "Dell'Utri accetta di incontrarsi con Palazzolo, uomo d'onore di Partinico allora latitante, tramite la sorella Sara". E "Palazzolo afferma di sapere con certezza che Dell'Utri ha rapporti risalenti con Cosa Nostra e sa dunque cosa fare. Utilizza la frase convenzionale: 'Non devi convertirlo, è già convertito'". A Cosa Nostra. Perché Palazzolo cerca Dell'Utri? Perché, tramite lui e "il Presidente" (Berlusconi), conta di "alleggerire la sua posizione processuale e ammorbidire le richieste di rogatoria e di estradizione" pendenti sul suo capo. La telefonata-clou è quella intercettata fra Dell'Utri e Sara Palazzolo (anche lei imputata per mafia) sull'utenza della donna il 26 giugno 2003.

Ma per la legge Boato, incredibilmente approvata sei giorni prima, il 20 giugno 2003, la conversazione non può essere trascritta né usata senza il permesso del Senato. Ora, qualche ingenuo potrebbe pensare che Palazzo Madama abbia dato l'ok all'utilizzo del nastro: se non c'è nulla di grave, tanto meglio; in caso contrario, Schifani potrebbe chiedere le dimissioni del senatore che era pronto a incontrare un boss latitante. Invece no. La giunta, con la sola (e solita) eccezione del dipietrista Luigi Ligotti, ha proposto all'aula di rispedire al mittente la richiesta del gip, sostenendo che avrebbe dovuto inoltrarla la Corte d'appello. Peccato che la legge Boato parli inequivocabilmente di gip (art.6: ". il giudice per le indagini preliminari decide... e richiede l'autorizzazione delle Camere."). Così, grazie a un cavillo, la telefonata resterà un mistero per tutti: Senato, cittadini, giudici. A meno che non giunga una vibrante protesta del presidente Schifani. Ci contiamo?


(07 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Semaforo rosso
Inserito da: Admin - Novembre 14, 2008, 10:27:41 pm
Marco Travaglio.


Semaforo rosso


Sentendo parlare della crisi finanziaria Giulio Tremonti, così colto ed etico, vien quasi voglia di dargli ragione. Ultime perle di saggezza, distillate al 'Corriere della Sera': "La tecnofinanza si è radicata, con la sua dinamica degenerativa, fuori da ogni controllo. E sullo sfondo si profila il supermostro: i derivati". Parole sante. Senonché la legge che consentì agli enti locali di indebitarsi a vita nel tunnel dei derivati è la n. 448 del 2001, art. 41: la prima finanziaria del governo Berlusconi-2. Firmata da Tremonti. Ancora: "Puoi anche scrivere un codice della strada di mille articoli, ma non funziona se non hai i semafori, i vigili e le multe.

Per questo si devono vietare i paradisi legali". Insomma occorre tornare a "princìpi simili a quelli del New Deal". Poesia pura. Ma chi varò, nel 2001, lo 'scudo fiscale' che consentiva agli esportatori di capitali e alle grandi organizzazioni criminali di rimpatriare i loro miliardi dai paradisi fiscali, in forma anonima e pagando il 2,5 per cento allo Stato? Sempre Tremonti. E chi, secondo la Kpmg e i giudici di Milano, nascondeva 64 società extrabilancio nei paradisi fiscali? Silvio Berlusconi, il capo di Tremonti. Un sistema, più che da New Deal, da New Dillinger. Ora però il ministro convertito ha la grande occasione di redimersi. Basta infilare nella legge salva-banche una clausoletta di due-righe-due: niente aiuti di Stato agli istituti impegnati in paesi offshore o che prestino denaro a società con filiali caraibiche.

Gliel'ha suggerito il pm Francesco Greco sulla 'Stampa', dopo aver chiesto 13 anni per Calisto Tanzi e spiegato come il crack Parmalat sarebbe stato impossibile senza i paradisi fiscali e la totale mancanza di controlli: "Chi ha accettato i meccanismi di (non) tassazione delle stock options e delle operazioni in paradisi fiscali?". Già, indovinate un po' chi è stato. All'ultimo vertice europeo, quando Sarkozy ha annunciato guerra aperta ai paradisi fiscali, Berlusconi - restando serio - gli è andato dietro: "I paradisi fiscali sono illegali, e noi da sempre siamo assolutamente contrari, sono scappatoie punibili dalla legge. Combatteremo l'evasione fiscale".


Parola di intenditore, imputato nel processo Mediaset (appena sospeso dal lodo Alfano) per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita, con l'accusa di aver gonfiato i costi di film acquistati negli Usa facendoli fittiziamente passare da una società offshore all'altra. Intanto a New Haven (Connecticut) sta per chiudersi il processo ai manager dei colossi assicurativi Aig e General Re: accusati di frode, falso in bilancio e false comunicazioni all'autorità di Borsa, gli imputati rischiano addirittura l'ergastolo. In Italia, grazie alla controriforma dei reati societari, rischierebbero al massimo una prescrizione. E chi era ministro dell'Economia nel 2002, ai tempi della controriforma? Tremonti. Quello che ora invoca semafori, vigili e multe. Che fa, concilia?

(14 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - La P2 è viva e lotta con noi
Inserito da: Admin - Novembre 16, 2008, 10:01:50 am
MARCO TRAVAGLIO E LA P2: CONSIDERAZIONI

La P2 è viva e lotta con noi

L’intervento di Marco Travaglio sul blog di Beppe Grillo

 

"Buongiorno a tutti.

Stavo scartabellando tra le mie carte che riguardando la P2, perché voi sapete che la P2 non dico che sta tornando, bisognerebbe presupporre che se ne sia mai andata e in realtà è sempre stata qui e lotta sempre insieme a noi.
Forse sarebbe interessante capire le ragioni della preoccupazione di alcuni a proposito del ritorno di Licio Gelli in televisione al posto di Aldo Biscardi - l'evoluzione della specie è notevole - e che cosa fosse la P2.
Purtroppo chi è nato dopo il ritrovamento delle liste ne ha sentito parlare ma non ha vissuto quel clima.
Ricordo che le liste della P2 furono ritrovate negli uffici di Castiglion Fibocchi del venerabile maestro Licio Gelli nel marzo del 1981 dalla guardia di finanza, mandata da due magistrati milanesi, Giuliano Turone e Gherardo Colombo.
Che cos'era la P2, anzitutto? Era una loggia partita regolare del Grande Oriente d'Italia, divenuta border line e alla fine, dopo la scoperta di quello che aveva combinato, addirittura sconfessata dal Grande Oriente d'Italia.
Licio Gelli fu considerato un deviazionista rispetto alle regole: era una loggia non soltanto riservata ma super segreta.
Era una loggia "atlantica", cioè di fedelissimi dell'alleanza atlantica e quindi molto gradita agli Stati Uniti: Gelli presenziò ai festeggiamenti per l'elezione di Carter, quindi dell'elezione di un Presidente del Partito Democratico, era molto legato ai generali argentini e ai dittatori del Sudamerica.
Ai tempi della guerra di liberazione in Italia era contemporaneamente fascista e antifascista, naturalmente si fingeva antifascista ma svolgeva il ruolo di doppiogiochista che poi è sempre stato il suo.
La P2 non era affatto un'organizzazione eversiva nel senso che volesse rovesciare l'ordine costituito: in realtà voleva conservare e stabilizzare l'ordine costituito.
Non a caso il Piano di Rinascita, racconta Gelli, era un po' il programma politico-istituzionale stilato da Gelli e dai suoi consulenti alla fine degli anni Settanta, in gran segreto.
Fu consegnato al Capo dello Stato di allora, Giovanni Leone, e Gelli era intimo di molti uomini politici come Andreotti, incontrò spesso Claudio Martelli, ebbe rapporti con Bettino Craxi.
Non era affatto un'avversario dell'ordine costituito per rovesciarlo: era una loggia eversiva in quanto, per conservare e cristallizzare lo status quo era disposta a svuotare dall'interno la Costituzione e la democrazia italiane per trasformarle in qualcosa d'altro, in un modello di Stato autoritario moderno sempre governato dagli stessi: Democrazia Cristiana, Partito Socialista e alleati e impedire l'avvento dei comunisti.
Questo era il suo scopo: leviamoci dalla testa che volessero rovesciare lo status quo per metterci qualche militare.
Assolutamente no, non ce n'era bisogno: tentavano di mantenere le cose come stavano impedendo quel ricambio al vertice del governo che avrebbe potuto finalmente regalare anche all'Italia un'alternanza e quindi bonificare un po' l'aria fetida che si respirava negli stessi palazzi dopo 50 anni che erano occupati dalle stesse persone.
Questa è la premessa.
Qual era il Piano di rinascita democratica? Oggi va così di moda ma soltanto perché Gelli l'altro giorno ha ripetuto quello che aveva già detto a me, in un'intervista che gli avevo fatto per il Borghese di Daniele Vimercati e poi aveva ripetuto a Concita De Gregorio in una famosa intervista di quattro anni fa a Repubblica: "il Piano di Rinascita è ormai il modello seguito dal centrodestra e da una parte del centrosinista.
Non c'è più bisogno di tenerlo nascosto, perché tutti dicono le stesse cose che dico io ma lo dicono pubblicamente mentre io ero costretto a nascondermi" a fare tutto "aumma aumma".
Non è un caso se il Piano di Rinascita fu ritrovato, credo nel 1983 se non ricordo male, per puro caso durante una perquisizione a Fiumicino nel doppio fondo della valigia della figlia di Gelli.
Non era un documento pubblico, non circolava, non veniva annunciato e proclamato in televisione: oggi invece è stato completamente sdoganato e anzi Gelli, sia a me che a Concita De Gregorio disse che aspettava il copyright da coloro che lo stavano copiando e si chiedeva "perché a me davano del golpista mentre adesso i politici, da D'Alema a Boato - era il periodo della bicamerale quando lo intervistai - a Berlusconi ovviamente sono dei sinceri democratici. Voglio il risarcimento dei danni e i diritti d'autore".
Il Piano di Rinascita Democratica era appunto la trasformazione della democrazia costituzionale italiana, l'involuzione dall'interno per svuotarla mantenendo le parvenze di uno Stato democratico.
Non c'è più molto tempo, lo trovate naturalmente su internet il Piano di Rinascita Democratica.
E' databile intorno al 1976 ed era accompagnato da un memorandum, dice Gelli: "sullo stato della Nazione, il nostro punto di vista sull'andamento generale del Paese", ed era ovviamente il Paese scosso dai movimenti studenteschi, dall'ascesa del Partito Comunista.
Questa era la ragione per cui bisognava cristallizzare il sistema.
Si parlava di ritocchi alla Costituzione, ma fondamentalmente era il tentativo di lasciarla come tappezzeria e grattare via tutto quello che c'era dietro: i partiti politici democratici andavano sostenuti, i giornali andavano infiltrati.
Si pensava di pagare alcuni giornalisti per ogni giornale per fare da punti di riferimento e diffondere le disinformazioni che la P2 voleva diffondere.
In realtà poi avete visto che si può ottenere lo stesso risultato gratis, ci sono miei "colleghi" che si prestano anche senza pagarli.
La Rai TV va dimenticata, questo è molto importante; i sindacati vanno spaccati in modo da prendere la CISL e la UIL e alcuni autonomi, separarli dalla CGIL e portarli, anche pagando il prezzo di una scissione, sulle posizioni del governo, cioè trasformarli in sindacati gialli.
Guardate cosa succede non tanto con Alitalia quanto con il contratto del pubblico impiego e vedrete che anche da questo punto di vista Licio Gelli non può che essere molto soddisfatto.
Il governo va ristrutturato, la magistratura ricondotta alla funzione di garante della corretta applicazione delle leggi - poi vediamo cosa vuol dire - il Parlamento deve essere più efficiente.
Ma più efficiente nel senso che non rompe le palle al governo, esattamente al contrario della funzione che hanno i parlamenti nelle democrazie e anche nelle monarchie costituzionali, cioè quello di essere il primo controllore del governo.
Pagare i giornalisti...
Politica: costituzione di un club, di natura rotariana, per l'eterogeneità dei componenti dove siano rappresentati ai migliori livelli operatori imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici.
Dei club, esattamente come Forza Italia fece nel 1994 quando nacque.
Dei club, non delle sezioni: non un partito democratico con i congressi. Dei club dove si mettano insieme, proprio in forma massonica, persone che vengono da mondi diversi e che di solito dovrebbero stare in mondi diversi perché magari gli uni devono controllare gli altri.
Ecco, li si mette tutti intorno a un tavolo.
Naturalmente Gelli, un po' ingenuo - questo è l'aspetto più datato del Piano di Rinascita - diceva: "gli uomini che ne fanno parte devono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale".
Questo, diciamo, è stato superato. Se voi guardate Forza Italia oggi, se dovessero rispettare questi parametri si svuoterebbe il partito, il Club. Ma non solo Forza Italia, avete ben presente da chi è composto una bella fetta del Parlamento Italiano.
Dunque nei confronti del mondo politico occorre selezionare gli uomini fedeli e quindi cava dei nomi: Mancini, Mariani, Craxi per i socialisti; Visentini e Bandiera per i repubblicani; Orlandi e Amidei per i socialdemocratici; Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia per la democrazia cristiana; per i liberali due che non conosciamo Cottone e Quilleri; per la destra nazionale, una scissione favorita da ambienti piduisti e andreottiani nei confronti del Movimento Sociale per avvicinare una parte degli ex fascisti alla DC che aveva bisogno di voti in Parlamento.
Acquisire alcuni settimanali di battaglia; Berlusconi poi acquisirà addirittura la Mondadori grazie alla sentenza di un giudice comprato da Previti.
Coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso un'agenzia centralizzata; coordinare molte TV via cavo con l'agenzia per la stampa locale.
Queste sono proprio istruzioni per la nascita di Canale5 che è iniziata come TV via cavo a Milano2 poi è diventata via etere Canale 5 e consorziò in un network televisioni regionali che trasmettevano in simultanea come poi fecero Italia1, che Berlusconi comprò da Rusconi, e Rete4 che comprò da Mondadori, questo succedeva all'inizio degli anni Ottanta.
Indicazione di Gelli preziosissima, profetica: coordinare molte TV via cavo.
Dissolvere la Rai TV in nome della libertà di antenna: vedete che di passi avanti se ne sono fatti, ormai la Rai TV che all'epoca era la televisione pubblica quindi la più guardata, adesso si spartisce il mercato dell'audience fifty fifty con Mediaset mentre il mercato pubblicitario è un terzo Rai e due terzi Mediaset.
Magistratura: si pensava di procedere per gradi, non si pensava di poter fare tutto insieme.
Gelli era un minimalista, era un po' troppo prudente: "qualora le circostanze permettessero di contare sull'ascesa al governo di un uomo politico o di una equipe in sintonia con lo spirito del club, è chiaro che i tempi sarebbero più rapidi", scrive Gelli.
Non gli veniva nemmeno in mente che un affiliato alla P2 potesse diventare presidente del consiglio, invece vedete che ci siamo riusciti già tre volte!
Berlusconi, tessera P2 1816, grado apprendista muratore, è al governo per la terza volta e se non fosse stato per Odeon TV che ha portato in televisione Gelli nessuno avrebbe ricordato che Berlusconi stava nella P2.
Avevamo rimosso tutti, soprattutto la cosiddetta opposizione del Partito Democratico che di P2 proprio non parla. Non parlano nemmeno di conflitto di interessi, figuriamoci di P2.
Meno male che c'è Odeon che porta in televisione Gelli, ed è una specie di promemoria per tutti.
Io infatti sono favorevole alla trasmissione di Licio Gelli, non capisco le polemiche: in TV vediamo molto peggio di Gelli.
Vediamo intanto molti suoi seguaci, come fra un attimo vi dirò, e soprattutto almeno lui quando va in televisione parla di cose che conosce, è persona informata sui fatti quindi bisognerà seguirlo con attenzione.
Ordinamento giudiziario: responsabilità civile per i magistrati. Sapete che minacciare il magistrato che nel caso in cui uno arresta una persona perché ci sono dei gravi indizi e poi quella per mille motivi viene assolta, ne abbiamo parlato settimana scorsa a proposito di Mannino, se il magistrato è chiamato a pagare di tasca sua per il fatto che un suo collega ha deciso diversamente da lui, e non stiamo parlando di un errore giudiziario ma di una diversa interpretazione di elementi concreti, qual è il risultato?
Che non arresteranno mai più nessuno potente.
Non metteranno più le mani su nessuno che poi sia in grado di far loro pagare il cosiddetto errore, che in realtà è una diversa interpretazione di elementi assodati.
Divieto di nominare sulla stampa i magistrati, così uno li può mandare via più facilmente.
Pensate: Forleo e De Magistris li hanno mandati via ma almeno abbiamo potuto sapere che cosa era successo, chi erano, che cosa avevano fatto, quali erano i meriti in base ai quali venivano cacciati.
Invece qui vietano proprio di nominare il magistrato, in modo che li mandi via e i giornali non possono più scrivere niente.
E' una proposta che ha ripreso Feltri recentemente.
Modifiche alle norme sugli accessi alla carriera: come entrano i magistrati, chi entra in magistratura? Esami psicoattitudinali preliminari. Chi li fa? Qualche incaricato del governo.
La riforma Castelli prevedeva esami psicoattitudinali, quindi anche li Gelli era stato assolutamente profeta.
Eppoi, andando avanti, si chiedeva la modifica dei regolamenti del Parlamento per rendere più veloce l'approvazione delle leggi volute dal governo.
E' quello che chiede Berlusconi che si lamenta sempre che in Parlamento si perde tempo perché per lui discutere vuol dire perdere tempo, infatti Gelli parla di "tendenze assemblearistiche" del Parlamento che vanno bloccate.
Poi un po' di altre regole per la magistratura comprese, attenzione, la responsabilità del Ministro della Giustizia nei confronti del Parlamento sull'operato delle procure.
Le procure controllate dal ministro che è responsabile di quello che fanno e riferisce al Parlamento cosa fanno i pubblici ministeri.
I pubblici ministeri che prendono gli ordini dal ministro della giustizia, una cosa dell'altro mondo.
Infatti lui segnava prudentemente "modifica costituzionale".
Riforma del Consiglio superiore della Magistratura, anche questo deve essere responsabile nei confronti del Parlamento.
Anche il cosiddetto autogoverno in realtà dipende dal Parlamento, cioè dai partiti. E' esattamente la direzione verso la quale stiamo andando.
E infine, riforma dell'ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito della promozione dei magistrati.
I magistrati selezionati per merito, chi decide chi è meritevole per andare avanti in carriera? Ovviamente governo o Parlamento.
Addirittura esperimento di elezione dei magistrati fra gli avvocati con 25 anni di funzioni, che ne so Taormina, Pecorella, cose di questo genere.
Separazione delle carriere: nella bicamerale si andò addirittura al di là con le bozze Boato che tanto erano piaciute a Gelli. Diciamo bozze Gelli-Boato votate da tutti i partiti tranne Rifondazione nel 1998.
Si era pensato addirittura a un doppio CSM, uno per i PM e uno per i giudici, esattamente quello che propone Angelino Jolie, detto Alfano, nella futura riforma della giustizia.
Infine, e questo è l'aspetto più positivo del Piano di Rinascita, si parlava di una legislazione di antimonopolio sul modello Stati Uniti.
Cosa vuol dire? che se fosse stato approvato così com'era il Piano di Rinascita oggi Berlusconi non potrebbe essere il monopolista della televisione commerciale.
Almeno un vantaggio l'avremmo ricavato.
Insomma, il Piano di Rinascita in quella parte era addirittura più ardimentoso e coraggioso del centrosinistra, che infatti non ha mai voluto nemmeno sfiorare i monopoli di Berlusconi, anzi glieli ha sempre custoditi con cura.
Questo per dire che Gelli era molto prudente, se confrontato con quello che si può dire e fare oggi.
Del resto, e qui veniamo all'ultima parte del Passaparola di oggi, non c'è soltanto Gelli in circolazione. Gelli diffonde i suoi ricatti, le sue allusioni, le sue strizzatine d'occhio eccetera.
Ma è una notizia il fatto che faccia notizia. In questi anni abbiamo sentito dire le stesse cose che dice lui, ma se le dice qualcun altro allora va bene.
Io mi domando sempre come possiamo scandalizzarci se Gelli ha un programma in una piccola televisione, mentre non ci scandalizziamo se il suo allievo prediletto è a Palazzo Chigi.
Eppure dice e fa delle cose che nemmeno Gelli si era mai sognato di dire o fare.
E non è dei piduisti, Gelli, l'unico in attività. Io non sono per le epurazioni, bisogna valutare caso per caso, ma è interessante sapere quali sono i personaggi che facevano parte della loggia P2.
Perché se uno viene a sapere chi sono, almeno si può regolare e può cercare di capire per quale motivo stanno ai posti in cui stanno.
In ordine alfabetico, ve ne cito soltanto qualcuno: Silvio Berlusconi, tessera 1816, versamento quota - pagava anche l'iscrizione - 1978, primo grado apprendista.
Chi l'aveva presentato a Gelli? Roberto Gervaso.
Fabrizio Cicchitto, tessera 2232, domanda di iscrizione autografa, tessera sospesa per mancanza di foto. Questo c'era scritto.
Ora Cicchitto è capogruppo del Popolo delle Libertà alla Camera e parla tutte le sere nei principali telegiornali. Perché lui si e Gelli no?
Era nella sinistra socialista, che quando il povero Riccardo Lombardi scoprì che uno dei suoi allievi prediletti stava nella P2 lo mise alla porta e lo fece piangere.
Maurizio Costanzo, tessera 1819 - era a tre posizioni di distanza dalla tessera di Berlusconi - ma lui era di terzo grado: maestro. Era il più alto in grado sotto Gelli.
Mentre Berlusconi era solo un apprendista muratore.
Questa è l'intervista che Costanzo fece sul Corriere della Sera a Licio Gelli: "Parla per la prima volta il signor P2, il fascino discreto del potere nascosto".
Una foto di Garibaldi, una foto di Cagliostro.
Questa invece è l'intervista che Costanzo qualche giorno dopo fece a un altro piduista famoso, Silvio Berlusconi, sempre sul Corriere della Sera che guardacaso era controllato dalla P2 tramite gli editori Tassandin, il direttore Franco Di Bella e Umberto Ortolani che era il braccio destro di Licio Gelli.
Donelli Massimo, tessera 2207, grado primo apprendista muratore anche lui. Bene, questo Donelli è molto importante oggi, è il direttore di Canale5.
Capito?
Pubblio Fiori, non è più in Parlamento quindi ne parliamo alla memoria, ma anche lui stava nella P2, poi era nella DC, poi in Alleanza Nazionale, poi ha fondato una delle tante nuove Democrazie Cristiane che ci sono.
Roberto Gervaso, quello col farfallino che vedete su Rete4, era addirittura maestro come Costanzo ed era un reclutatore, fu lui a mettere in contatto Berlusconi con Licio Gelli.
Nella lista di Gelli c'era anche Enrico Manca, un altro socialista. Lui però ha sempre negato, è riuscito addirittura a vincere una causa contro Galli Della Loggia che l'aveva descritto come piduista ma registriamo il fatto che nella lista c'era anche lui e oggi sta nel centrosinistra e ha un centro studi per valutare la qualità dei programmi televisivi ed era, ai tempi, presidente della Rai.
Antonio Martino, è parlamentare di Forza Italia, ex ministro della difesa e ancora prima degli esteri. Antonio Martino aveva fatto domanda di iscrizione alla P2 ma non ebbe il tempo di ricevere la tessera perché nel frattempo furono trovate le liste e rimase con le mutande in mano.
Rolando Picchioni, tessera 2095, grado primo apprendista. Anche lui era un deputato andreottiano, sottosegretario, poi è diventato presidente del Salone del Libro di Torino.
Oggi è una delle persone più importanti della città di Torino.
Duilio Poggiolini, tessera 2247, era il direttore del ministero della sanità, coinvolto in tangentopoli, uscito due anni fa dal carcere grazie all'indulto.
Angelo Rizzoli, era l'ultimo erede della dinastia dei Rizzoli, la grande dinastia degli editori milanesi, che fu pure in galera per il fallimento della Rizzoli, che passò di mano, e oggi ha una bella e avviata casa di produzione che lavora per RaiFiction.
C'era Vittorio Emanuele di Savoia, tessera 1621.
C'era Gustavo Selva, tessera 1814, quello che stava in Alleanza Nazionale e che l'anno scorso per andare in uno studio televisivo ha preso un'ambulanza fingendosi moribondo.
C'era, infine, Giancarlo Elia Valori, fascicolo 0283, che fu espulso per indegnità da Licio Gelli. Un caso più unico che raro, uno ritenuto indegno di stare nella P2. Giancarlo Elia Valori, chi sta a Roma lo sa, è stato presidente delle Autostrade, vicepresidente della SME, boiardo dell'IRI e presidente dell'unione industriali di Roma.
E' un personaggio molto importante e influente, molto trasversale, molto amato sia a destra che a sinistra.
Nella lista della P2 c'erano anche 13 magistrati che furono sanzionati dal Consiglio Superiore ma non tutti mandati via: ce n'è uno a Roma che si chiama Giuseppe Renato Croce che è alla sezione delle esecuzioni immobiliari del Tribunale di Roma.
Qualche anno fa chiese più volte l'archiviazione per un processo che stava molto a cuore a Dell'Utri contro un giudice che stava giudicando Dell'Utri in Cassazione e aveva confermato la condanna definitiva per frode fiscale.
Anche lui stava nelle liste, tessera 2071, iscrizione 1979.
Questo è in pillole il quadro della P2. Oggi non c'è più la P2, restano i piduisti.
Qualcuno dirà a volte ritornano: no direi a volte rimangono!
Quindi, domandiamoci come mai negli Stati Uniti stanno per eleggere un Presidente che, chiunque sia Obama o McCain, è nuovo, fino all'anno scorso ignoto alle cronache politiche e noi siamo ancora qua, nel 2008, a rimestare con i Cossiga, con la strategia della tensione, con gli Andreotti marmorizzati in televisione come abbiamo visto ieri, con i Licio Gelli imbalsamati.
Per quale motivo da noi il passato non passa mai?
Passate parola." 

3 novembre 2008

 
da blog.libero.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Balle a Ballarò
Inserito da: Admin - Novembre 19, 2008, 05:58:05 pm
Balle a Ballarò


"Di Pietro? Sì che mi piacerebbe averlo con me, come ministro" (Silvio Berlusconi, Maurizio Costanzo Show, 22 febbraio 1994).

"E' in corso a Roma, secondo quanto ha appreso l'Ansa, un incontro tra il presidente del Consiglio incaricato Silvio Berlusconi e il giudice Antonio Di Pietro" (Ansa, 7 maggio 1994, ore 14.53).

"'Ho fatto presente che non potrò accettare il pur prestigioso incarico di ministro'. Lo ha affermato il giudice Antonio Di Pietro conversando con i giornalisti al termine dell'incontro con Silvio Berlusconi. 'Ho avuto l'onore di incontrare il presidente del Consiglio incaricato - ha fra l'altro detto Di Pietro - al quale ho confermato che in questo momento ritengo doveroso rimanere al fianco dei colleghi della Procura di Milano per portare a compimento il lavoro iniziato. Coerentemente ho fatto presente che non potrò accettare l'incarico di ministro dell'Interno... All'on. Berlusconi ho formulato i miei auguri affinché possa svolgere questo lavoro con serenità e possa conseguire i risultati sperati nell'interesse del Paese'. Di Pietro ha infine reso noto che stava per rientrare alla Procura di Milano" (Ansa, 7 maggio 1994, ore 15.37).

"Avevo una rosa, ora è caduto un petalo e mi restano le spine" .(Silvio Berlusconi, dopo il no di Di Pietro, 7 maggio 1994)

"Eh, se Di Pietro avesse dato retta a me e fosse entrato nel mio governo..." (Silvio Berlusconi, dopo le dimissioni di Di Pietro dal pool Mani Pulite, 7 dicembre 1994)

"Non ho mai offerto a Di Pietro il ministero dell'Interno. Di Pietro mi fa orrore perché sbatteva in galera gli innocenti" (Silvio Berlusconi, 10 aprile 2008).

"E' vero che nel 1994 ho chiesto di incontare Di Pietro perché volevo fargli fare il ministro. Ma allora non sapevo che da magistrato aveva messo in prigione tante persone innocenti. Quando l'ho saputo ho subito cambiato idea" (Silvio Berlusconi, Ballarò, Rai3, 18 novembre 2008. Per la cronaca, le uniche persone arrestate su richiesta di Di Pietro dopo l'incontro con Berlusconi del 7 maggio 1994 erano alcuni imprenditori e finanzieri per l'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di Finanza, conclusasi con una raffica di condanne e patteggiamenti. Di Pietro si dimise dal pool Mani Pulite il 6 dicembre di quell'anno).

(19 novembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Amerikani a targhe alterne
Inserito da: Admin - Novembre 21, 2008, 11:00:13 am
Marco Travaglio.

Amerikani a targhe alterne


Mariastella GelminiIl genere letterario più esilarante sui giornali è quello dei Sos: Suggerimenti per un'Opposizione Soft. Molti commentatori sono convinti che il Pd sia troppo scalmanato e, per tornare a vincere, debba moderarsi ancora un po'. Il fatto che questo sia anche l'auspicio di Berlusconi non li tange. Il fatto che Berlusconi, in sei mesi di governo, sia sceso nei sondaggi solo dopo la manifestazione di piazza Navona contro il Lodo Alfano e dopo le proteste del mondo della scuola contro i tagli del Duo Manidiforbice (Tremonti e Gelmini, anch'essi precipitati nei consensi), non li sfiora. Insistono.

Angelo Panebianco non gradisce le "campagne di stampa contro Brunetta", cioè l'inchiesta giornalistica de 'L'espresso'. E fa sapere sul 'Corriere della sera' che il Pd, per sfondare, "dovrebbe cercare punti di incontro con i ministri Brunetta e Gelmini", noti "riformisti" e "modernizzatori". Teoria affascinante: l'opposizione dovrebbe aiutare il governo a sedare la rivolta di insegnanti, studenti, genitori, ricercatori e bidelli contro la Gelmini e insultare con Brunetta i lavoratori "fannulloni", ovviamente "di sinistra". Il bello è che gli alfieri del Sos, autonominatisi 'riformisti', sono anche dei filoamericani sfegatati. Ma a targhe alterne. Infatti ora si guardano bene dall'indicare al Pd il modello Usa. Anzi, nella lunga campagna elettorale Obama-McCain, si son messi in ferie per non dover commentare gli attacchi sanguinosi che si scambiavano i due contendenti e le prime mosse dell'abbronzatissimo presidente eletto: l'annunciata cancellazione di 200 leggi di Bush (i riformisti de noantri han sempre raccomandato al centrosinistra di non abrogare le leggi vergogna di Berlusconi, prontamente ascoltati) e il questionario distribuito agli aspiranti collaboratori della nuova Casa Bianca.

Obama vuol sapere tutto, ma proprio tutto, di loro: situazione penale, fiscale, matrimoniale, patrimoniale, finanziaria, conflitti d'interessi, eventuali idee discriminatorie, email o diari privati che possano imbarazzare l'amministrazione. Per molto meno - dai referendum di Grillo sull'ineleggibilità dei condannati alle norme di Padoa Schioppa e Visco contro l'evasione fiscale - i Panebianchi strillano al 'giustizialismo', al 'giacobinismo', alla 'violazione della privacy'. Tre mesi fa, quando fu arrestato Ottaviano Del Turco, accusato di tangenti sanitarie per sei milioni di euro, Panebianco gridò all'"invasione di campo" dei pm ed esortò il Pd a prendere le distanze (dai pm, non da Del Turco). "A parte l'esigenza di massimo impatto mediatico", domandò, "c'è qualche altra ragione dietro l'arresto della massima autorità politico-amministrativa d'Abruzzo?". Anche Obama, nel suo questionario, si occupa di manette: "Sei mai stato arrestato o indagato?". Lui però lo vuol sapere per prendere le distanze dagli arrestati, non dai giudici. Poco riformista. Poco americano.

(21 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - C'è la casta al telefono
Inserito da: Admin - Novembre 27, 2008, 10:18:00 pm
Marco Travaglio.


C'è la casta al telefono

A sinistra ci si lamenta che, con Berlusconi al governo, non si parla più di Casta. Se però, da sinistra, partissero segnali concreti, se ne tornerebbe a parlare  S'odono a sinistra gemiti e lamenti perché, ora che al governo c'è Berlusconi, non si parla più di Casta. Vero. Se però, da sinistra, partissero segnali concreti anti Casta, se ne tornerebbe a parlare. L'esempio l'ha dato Prodi, quando 'Panorama' ha sbattuto in copertina le sue telefonate top secret e prive di rilevanza penale: "Pubblicate tutto, indagate pure, nulla da nascondere".

Si attende con ansia che la stessa frase pronuncino Massimo D'Alema e Nicola Latorre prima delle decisioni del Parlamento europeo e del Senato sulle loro telefonate con Giovanni Consorte (e, per Latorre, anche con Stefano Ricucci) nel pieno delle scalate dei furbetti, estate 2005. Telefonate, secondo il Gip di Milano, penalmente rilevanti anche per i due politici, sospettati di concorso nell'aggiotaggio dei due furbetti.

Ma per usarle, in base alla legge Boato, occorre l'ok del Parlamento. Il peggio che possa capitare ai nostri eroi è che Bruxelles e Palazzo Madama rispondano picche con maggioranze trasversali destra-sinistra, salvandoli dalle indagini e lasciandoli avvolti per sempre dall'ombra del sospetto. Sospetto di impunità di Casta. Se, come dicono, non hanno nulla da temere, i due dovrebbero precipitarsi nei rispettivi parlamenti e implorare i colleghi di concedere l'autorizzazione, per essere indagati e poi prosciolti. Purtroppo, finora, han fatto il contrario. D'Alema ha annunciato che il 7 ottobre, quando si riunirà la commissione giuridica di Bruxelles, non si presenterà, con una lettera al presidente forzista Giuseppe Gargani: "Mi rimetto con fiducia alle decisioni del Parlamento europeo".

Idem Latorre: "Qualunque cosa deciderà il Senato, per me va bene". Frasi che avrebbero senso se il centrosinistra, in Europa e in Italia, avesse la maggioranza. Invece ce l'ha il centrodestra, che i processi ai politici non vuole neppure sentirli nominare. Infatti Forza Italia ha già annunciato il doppio No ai giudici. A buon rendere. Solo un'esplicita richiesta degli interessati e del Pd può evitare l'imbarazzante diniego. Ma dal Pd giungono dichiarazioni ai confini della realtà. Ermete Realacci tuona contro "la divulgazione impropria delle telefonate" (pubbliche dal luglio 2007).

Per Gianni Cuperlo "le telefonate sono roba vecchia" (in realtà sono di tre anni fa e la prescrizione per l'aggiotaggio è di sette anni e mezzo; e poi, perché il Senato non le autorizzò l'anno scorso quando erano nuove?). Giorgio Tonini sentenzia: "Deciderà Nicola": cioè l'indagabile, alla faccia del conflitto d'interessi. Tonini, Cuperlo e Realacci, come Russo Spena e Pisapia del Prc, affermano poi che "le telefonate non hanno rilevanza penale".

Può darsi, ma non spetta a loro deciderlo. Il Parlamento deve solo vagliare l'eventuale fumus persecutionis, molto improbabile visto che contro D'Alema e Latorre ci sono le loro parole incise su nastro. La rilevanza penale la stabiliscono i giudici, se li lasciano lavorare. Non il Parlamento. A meno che non sia stata abrogata la divisione dei poteri, all'insaputa dei più.

(27 novembre 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Nessuno tocchi Baffino
Inserito da: Admin - Novembre 28, 2008, 10:28:01 pm
Marco Travaglio.


Nessuno tocchi Baffino


La gravità politica del rapporto malato che Nicola Latorre e il suo capo Massimo D'Alema intrattenevano con la finanza più spregiudicata è sotto gli occhi di tutti dal luglio 2007  Massimo D'AlemaPer liberarsi di Nicola Latorre, il Pd non aveva bisogno del pizzino a Bocchino. Né delle teorie di Cesare Lombroso, che pure in molti casi aiutano. Bastava leggere le sue telefonate con Giovanni Consorte e addirittura con Stefano Ricucci, furbetto dalle tortuose fortune, durante l'assalto a Bnl e al 'Corriere della Sera'. L'eventuale rilevanza penale di quelle conversazioni la stabiliranno i giudici di Milano, se e quando il Senato si deciderà ad autorizzarne l'uso per l'ipotesi di concorso nell'aggiotaggio contestato a Consorte.

Ma la gravità politica del rapporto malato che Latorre e il suo capo D'Alema intrattenevano con la finanza più spregiudicata è sotto gli occhi di tutti dal luglio 2007, quando le telefonate trasmesse al Senato dal gip Clementina Forleo divennero di pubblico dominio. "Stefano!", esclamava Latorre con l'immobiliarista di Zagarolo alleato con l'Unipol. E Ricucci: "Eccolo! Il compagno Ricucci all'appello!... Questa mattina a Consorte gliel'ho detto: datemi una tessera (dei Ds, ndr) perché io non gliela faccio più, eh!". Latorre: "Ormai sei diventato un pericoloso sovversivo. rosso oltretutto".

Il compagno Ricucci non fece in tempo a ricevere la tessera Ds, anche perché fu arrestato e i Ds confluirono nel Pd. Il Pd fra l'altro fu affidato dai fassiniani e dai dalemiani, scottati dalle intercettazioni, all'odiatissimo Veltroni. Segno evidente che si resero conto essi stessi dello scandalo suscitato nella base dalla loro sconcertante condotta. Ora pare tutto dimenticato, tant'è che i dalemiani si apprestano a riprendersi il Pd. Come se nulla fosse accaduto. Eppure nell'estate 2005 Consorte confidava a Latorre, D'Alema e Fassino le sue furberie nel rastrellare il pacchetto di controllo Bnl tramite prestanomi, per aggirare la legge Draghi ed evitare l'Opa. Consorte a Latorre: "È una cosa che voglio parlare con te e con Massimo a parte... Queste quote le devono comperare terzi". Latorre: "E certo, non le potete prendere voi". Consorte: "Esatto, le banche, le cooperative... Ho un problema di gara contro il tempo, perché sto convincendo questi qui, ma ognuno di loro ha un problema". Latorre: "Deve fare una telefonata Massimo all'ingegnere (Caltagirone, altro azionista Bnl, ndr)?". Consorte: "È meglio che Massimo fa una telefonata". E Massimo, cioè D'Alema, aveva pure parlato con Vito Bonsignore, eurodeputato Udc e socio Bnl, perché desse una mano a Unipol. Ma, rivelò Baffino a Consorte, "Bonsignore voleva altre cose, diciamo... a latere su un tavolo politico. Io ho regolato da parte mia".

La Procura di Milano ha chiesto di poter usare i nastri anche contro D'Alema. Ma il 18 novembre l'Europarlamento, debitamente imbeccato dalla Commissione giuridica presieduta dal forzista Gargani, ha risposto picche (543 no, 43 sì, 90 astenuti). Tutti gli italiani presenti - Pd, Pdl, Lega e sinistra, a parte Pannella e Cappato - hanno salvato D'Alema. Compreso Bonsignore. Sempre "a latere, su un tavolo politico".

(28 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il tedesco che fa paura ai partiti
Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2008, 10:57:33 pm
Marco Travaglio.


Il tedesco che fa paura ai partiti


Berlusconi scioglie Forza Italia dopo 15 anni con un discorsetto di mezz'ora. Veltroni annuncia la rottura con Di Pietro a 'Che tempo che fa', da Fabio Fazio, ma poi si scopre che era uno scherzo. D'Alema commissaria Veltroni e auspica un leader di nuova generazione a 'Crozza Italia', e il suo non è uno scherzo. Chissà l'invidia di Bruno Vespa, abituato a ospitare le svolte politiche a 'Porta a Porta'. Partiti, leadership e alleanze nascono e muoiono in tv, senza congressi né dibattiti interni. Dopodiché, tutti a interrogarsi sul discredito della classe politica e sulle grandi riforme necessarie per uscirne. Ne basterebbe una piccola piccola, ma rivoluzionaria: una legge sulla responsabilità giuridica dei partiti, che regoli la democrazia interna e la gestione trasparente degli enormi finanziamenti pubblici.

Non occorrono voli pindarici: basta copiare dalla Germania, dove i deputati guadagnano la metà dei nostri, sono uno ogni 112.502 abitanti (da noi, uno ogni 60.371), e i partiti devono rispettare regole ferree: l'articolo 21 della Costituzione del 1949 e la legge sui partiti del 1967. Strano che D'Alema, grande supporter del modello (elettorale) tedesco, non ne parli mai. In Germania ogni partito, per essere tale, deve riunire il congresso almeno una volta ogni due anni, dandosi un programma, uno statuto e un vertice. E ha diritto a finanziamenti statali solo se supera il 5 per cento dei voti alle elezioni europee o federali e il 10 alle regionali. Sennò, nemmeno un euro. I partiti devono pubblicare rendiconti annuali con le entrate (pubbliche e private) e le uscite. Come da noi.

Solo che in Germania chi presenta bilanci nebulosi o falsi è costretto dal presidente del Bundestag a restituire tutti i fondi statali. E se un partito riceve soldi illegalmente, deve pagare una multa del triplo della somma incassata, più il doppio se non l'ha messa a bilancio. Le multe vengono poi devolute dal Bundestag a enti assistenziali o scientifici. I bilanci dei partiti sono equiparati a quelli delle società: se falsi o poco trasparenti, chi li firma rischia 3 anni di galera. Con queste regole, i partiti italiani sarebbero fuorilegge o avrebbero già chiuso per fame. E molti dei loro tesorieri sarebbero in carcere. Da noi i congressi o non si fanno (Forza Italia ne ha tenuti due in 15 anni di vita); o, se si fanno, sono finti (si sa chi vince in anticipo) o finiscono in risse sulle regole malcerte, le tessere fasulle e l'uso disinvolto dei cosiddetti 'rimborsi elettorali' (usati addirittura per stipendiare i leader).

D'Alema, sempre da Crozza, ha spiegato il discredito dei partiti italiani con la presenza di "troppa società civile: medici, imprenditori, avvocati anziché politici di professione". Strano: Obama è avvocato ma, essendo popolarissimo, ha raccolto fondi da centinaia di migliaia di cittadini, senza prendere un dollaro dalle casse dello Stato. In Italia, senza i soldi dello Stato, i partiti sarebbero tutti morti: dagli elettori non prenderebbero un euro. E provare a darsi una regolata, o almeno qualche regola?

(05 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Al servizio del catering
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2008, 06:10:38 pm
Marco Travaglio.


Al servizio del catering

"Mi auguro che questa vicenda (il caso De Magistris tra Salerno e Catanzaro, ndr) e la ferma, quanto responsabile presa di posizione di Napolitano, faccia aprire gli occhi al Pd e lo induca a votare con noi riforme costituzionali che, senza finalità ritorsive, siano al servizio del Paese" (Angelino Alfano, ministro della Giustizia, repubblica.it, 4 dicembre 2008).


"Venticinque centesimi per ogni cittadino: tanto è costata a Busto Arsizio la visita di Angelino Alfano. La notizia è in una delibera adottata dal consiglio comunale della città varesina lo scorso 20 ottobre per iniziativa del sindaco, Gianluigi Farioli, esponente del Popolo delle libertà, lo stesso partito del ministro della Giustizia.

Tutto nasce da una telefonata che il presidente del tribunale, Antonino Mazzeo, aveva fatto qualche giorno prima allo stesso sindaco per informarlo che il ministro della Giustizia sarebbe passato per una visita agli uffici giudiziari il 18 novembre. Farioli ha colto immediatamente la palla al balzo valutando, come si legge nella delibera, 'in sintonia con Mazzeo che tale eventò poteva costituire 'circostanza ideale per l'inaugurazione del nuovo tribunale'.

Ma per una occasione del genere si dovevano 'diramare inviti alle autorità civili e militari', e poi si sarebbero resi necessari 'allestimenti microfonici e ornamentali'. E si poteva poi rinunciare a un bel buffet? Che figura ci avrebbe fatto la città? Fatti i conti, sarebbero serviti 20 mila euro, che sono sempre circa 40 milioni di lire. Nel capitolo di spesa 'Cerimonie, ricevimenti, manifestazioni, onoranze,
solennità civilì non c'era però un centesimo. Così si sono dovuti prendere i soldi dal fondo di riserva. Si attende ora la risposta a un'interrogazione parlamentare presentata alla Camera da Silvana Mura, Italia dei valori" (Sergio Rizzo, laderiva.corriere.it, 3 dicembre 2008).


(5 dicembre 2008)
da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Non poteva non ricordare
Inserito da: Admin - Dicembre 12, 2008, 11:47:25 am
Marco Travaglio


Non poteva non ricordare

"Il principio secondo il quale il segretario di un partito 'non poteva non sapere', per me, è un principio incivile: e poi non si può addebitare ai dirigenti il finanziamento illecito..." (Carlo Nordio pm a Venezia, Corriere della Sera, 10 dicembre 2008).

"La combinazione logica di questi elementi non consente una soluzione diversa da quella di ritenere che gli onorevoli Occhetto e D'Alema, unitamente al defunto onorevole Stefanini, fossero al corrente di questo flusso di risorse gestito da Fontana (amministratore di alcune coop rosse, ndr), visto che il partito lo aveva colà collocato e mantenuto... [perché provvedesse] all'illecito finanziamento del partito... e che in quanto massimi dirigenti ne siano stati i percettori finali" (dall'invito a comparire per illecito finanziamento dei partiti notificato dal pm veneziano Carlo Nordio, titolare dell'inchiesta sulle 'tangenti rossè ai leader dell'allora Pds Massimo D'Alema e Achille Occhetto il 14 settembre 1994, inchiesta poi finita nel nulla).


(12 dicembre 2008)
da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Presidente, perché si stupisce?
Inserito da: Admin - Dicembre 12, 2008, 03:40:07 pm
Marco Travaglio.

Presidente, perché si stupisce?


Con tutto il dovuto rispetto, una domanda va posta al presidente Giorgio Napolitano: ma davvero mercoledì 3 dicembre è caduto dalle nuvole quando la Procura di Salerno ha perquisito quella di Catanzaro? Eppure il 9 gennaio scorso i procuratori salernitani Apicella, Verasani e Nuzzi erano stati ascoltati per ore dalla I commissione del Csm (presieduto dal capo dello Stato), preannunciando quanto sarebbe accaduto. Le loro indagini sulle denunce presentate da magistrati e indagati contro il pm Luigi De Magistris si erano rivelate infondate: "Nessun reato da parte sua", anzi, "solo indagini corrette". Di più: le fughe di notizie addebitategli dai superiori che gli avevano scippato Poseidone e Why Not non erano opera sua, ma dei superiori stessi. Le sole denunce fondate erano quelle di De Magistris contro il network di giudici calabro-lucani, inquisiti, avvocati, politici, faccendieri che s'erano attivati per "ostacolarlo", "isolarlo", "intimidirlo", "screditarlo" e "allontanarlo".

De Magistris ha lavorato "in un contesto giudiziario fortemente condizionato da interessi extragiurisdizionali, talvolta illeciti". Tant'è che - aggiunsero i pm campani, facendo nomi e cognomi - una decina fra magistrati calabro-lucani e ispettori ministeriali erano indagati per reati gravissimi: dalla corruzione giudiziaria alla rivelazione di segreti all'abuso alla calunnia. Reati che consentono la custodia cautelare. Chi ha in mente quel verbale può stupirsi di un solo fatto: che nessuna delle presunte toghe vendute sia finita in manette. Invece si è preferito affettare meraviglia per elementi marginali: il decreto di 1.700 pagine, dunque "troppo lungo" (come se gli atti giudiziari si misurassero a peso); la presunta perquisizione corporale su un pm in pigiama (normalissime nelle operazioni di polizia, se si cercano oggetti minuscoli come i pen-drive da pc); il sequestro del fascicolo originale di Why Not.


Quest'ultima mossa "eccezionale" e "senza precedenti" ha fatto saltare la mosca al naso del Presidente, che ha subito chiesto gli atti a Salerno. Mossa, questa sì, eccezionale e senza precedenti. Ora, è vero che sequestrare un fascicolo in originale paralizza le indagini (che peraltro, una volta scippate a De Magistris, languivano da mesi); ma lo stallo sarebbe durato pochi giorni, il tempo di fare le fotocopie. E poi Salerno aveva chiesto quegli atti a Catanzaro sette volte in dieci mesi, ma invano, informandone costantemente il Csm e il Pg della Cassazione. Ma né il Csm né il Pg avevano mosso un dito per sbloccare l'impasse e trasferire o sospendere le toghe inquisite. Salvo, si capisce, De Magistris: cioè la vittima del presunto complotto.

I complottardi invece sono rimasti tutti al loro posto. Se il blitz e gli avvisi di garanzia li avessero colti già a casa, o in altre sedi, il Csm e il capo dello Stato potrebbero rivendicare di aver fatto pulizia, anziché inseguire trafelati gli eventi.
Non l'han fatto, peccato. Ma lo stupore, almeno quello, potrebbero risparmiarcelo.

(12 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Appello Fini-Travaglio
Inserito da: Admin - Dicembre 13, 2008, 05:03:11 pm
12 dicembre 2008, in Marco Travaglio

Appello Fini-Travaglio

di Massimo Fini e Marco Travaglio

Con l’annuncio di Silvio Berlusconi di voler cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza si è giunti al culmine di un’escalation, iniziata tre lustri fa, che porta dritto e di filato a una dittatura di un solo uomo che farebbe invidia a un generale birmano.

Da un punto di vista formale la cosa è legittima. La nostra Carta prevede, all’articolo 138, i meccanismi per modificare le norme costituzionali. Ma farlo a colpi di maggioranza lede i fondamenti stessi della liberal-democrazia che è un sistema nato per tutelare innanzitutto le minoranze (la maggioranza si tutela già da sola) e che, come ricordava Stuart Mill, uno dei padri nobili di questo sistema, deve porre dei limiti al consenso popolare. Altrimenti col potere assoluto del consenso popolare si potrebbe decidere, legittimamente dal punto di vista formale, che tutti quelli che si chiamano Bianchi vanno fucilati. Ma la Costituzione non ha abolito la pena di morte? Che importa? Si cambia la Costituzione. Col consenso popolare. Elementare Watson. Senza contare che a noi la Costituzione del 1948 va bene così, e non si vede un solo motivo per stravolgerla (altra cosa è qualche ritocco sporadico per aggiornarla).

Com’è possibile che in una democrazia si sia giunti a questo punto? Non fermando Berlusconi sul bagnasciuga, permettendogli, passo dopo passo, illiberalità e illegalità sempre più gravi. Prima il duopolio Rai-Fininvest (poi Mediaset) che è il contrario di un assetto liberal-liberista perché ammazza la concorrenza e in un settore, quello dei media televisivi, che è uno dei gangli vitali di ogni moderna liberaldemocrazia. Poi un colossale conflitto di interessi che si espande dal comparto televisivo a quello editoriale, immobiliare, finanziario, assicurativo e arriva fino al calcio. Quindi le leggi “ad personas”, per salvare gli amici dalle inchieste giudiziarie, “ad personam” per salvare se stesso, il “lodo Alfano”, che ledono un altro dei capisaldi della liberaldemocrazia: l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Infine una capillare, costante e devastante campagna di delegittimazione della Magistratura non solo per metterle la mordacchia (che è uno degli obbiettivi, ma non l’unico e nemmeno il principale della cosiddetta riforma costituzionale), ma per instaurare un regime a doppio diritto: impunità sostanziale per “lorsignori”, “tolleranza zero”, senza garanzia alcuna, per i reati di strada, che sono quelli commessi dai poveracci.

Presidente del Consiglio, padrone assoluto del Parlamento e di quei fantocci che sono i presidenti delle due Camere, padrone assoluto del centro-destra, se si eccettua, forse, la Lega, padrone di tre quarti del sistema televisivo, con un Capo dello Stato che assomiglia molto a un Re travicello, Silvio Berlusconi è ormai il padrone assoluto del Paese e si sente, ed è, autorizzato a tutto. Recentemente ha avuto la protervia di accusare le reti televisive nazionali, che pur controlla nella stragrande maggioranza (ieri, in presenza del suo inquietante annuncio, si sono occupate soprattutto della neve), di “insultarlo”, di “denigrarlo”, di essere “disfattiste” (bruttissima parola di fascistica memoria), di parlare troppo della crisi economica e quasi quasi di esserne la causa (mentre lui, il genio dell’economia, non si era accorto, nemmeno dopo il crollo dei “subprime” americani, dell’enorme bolla speculativa in circolazione).

Poi, non contento, ha intimidito i direttori della Stampa e del Corriere (il quale ultimo peraltro se lo merita perché ha quasi sempre avvallato, con troppi silenzi e qualche adesione, tutte le illegalità del berlusconismo) affermando che devono “cambiare mestiere”.

Questa escalation berlusconiana ci spiega la genesi del fascismo. Che si affermò non in forza dei fascisti ma per l’opportunismo, la viltà, la complicità (o semplicemente per non aver capito quanto stava succedendo) di tutti coloro che, senza essere fascisti, si adeguarono.

Ma sarebbe ingeneroso paragonare il berlusconismo al fascismo. Ingeneroso per il fascismo. Che aveva perlomeno in testa un’idea, per quanto tragica, di Stato e di Nazione. Mentre nella testa di Berlusconi c’è solo il suo comico e tragico superego, frammisto ai suoi loschi interessi di bottega.

Una democrazia che non rispetta i suoi presupposti non è più una democrazia. Una democrazia che non rispetta le sue regole fondamentali non può essere rispettata. A questo punto, perché mai un cittadino comune dovrebbe rispettarla, anziché mettersi “alla pari” col Presidente del Consiglio? “A brigante, brigante e mezzo” diceva Sandro Pertini quando lottava contro il totalitarismo. O per finirla in modo più colto: “Se tutto è assurdo”, grida Ivan Karamazov “tutto è permesso”.

Massimo Fini
Marco Travaglio


Titolo: Marco TRAVAGLIO - La giustizia della Santa Prescrizione
Inserito da: Admin - Dicembre 19, 2008, 12:48:34 am
Marco Travaglio

La giustizia della Santa Prescrizione

Ma di che parlano, i cantori della riforma costituzionale della giustizia? Gli unici che hanno le idee chiare, purtroppo, sono Silvio Berlusconi e Luciano Violante. Entrambi vogliono sottomettere le Procure all'esecutivo: uno direttamente, facendo decidere al Parlamento (leggi: maggioranza) i reati da perseguire; l'altro indirettamente, sganciando la polizia giudiziaria (che dipende dal governo) dal pm (che resterebbe autonomo ma inerte, nella vana attesa di notizie di reato sui colletti bianchi). Tutto il resto è gargarismo. Chi dice che la riforma impedirebbe scontri fra procure, tipo Salerno-Catanzaro, non sa quel che dice: nessuna riforma potrà mai impedire a una procura di perseguire i reati commessi in quella su cui è competente. Salvo, si capisce, stabilire che i magistrati, come le quattro cariche dello Stato, hanno licenza di delinquere.

Chi parla di modificare la Carta del 1948 per "accorciare i tempi dei processi" mente sapendo di mentire. Le lungaggini sono dovute a leggi ordinarie: i tagli di fondi e di organici nelle varie finanziarie e i cavilli che infarciscono il codice di procedura, più qualche reato di troppo nel codice penale. Per sveltire la macchina occorre riempire i vuoti, destinare più risorse, abolire i tribunali inutili, cancellare il grado d'appello salvo in presenza di nuove prove, scoraggiare il contenzioso con sanzioni ai ricorsi infondati, informatizzare le notifiche, bloccare la prescrizione dopo il rinvio a giudizio così da togliere ai colpevoli l'aspettativa di farla franca tirando in lungo e rendere più conveniente patteggiare subito una pena ridotta.

Ma può questa maggioranza, zeppa di inquisiti devoti a Santa Prescrizione, permettersi una giustizia svelta e inflessibile? No: senza le prescrizioni, il premier non sarebbe a Palazzo Chigi, ma in carcere. Resta da capire quale margine di dialogo con un governo sfascia-giustizia intravedano D'Alema, Finocchiaro, Tenaglia & C. "per avere processi più veloci". Non basta che la prima legge del Pdl in questa legislatura sia stata la blocca-processi, che avrebbe paralizzato 100 mila dibattimenti per congelare quelli del premier? Si dirà: il Csm fa acqua da ogni parte. Verissimo: vedi la lunga inerzia sulle incompatibilità emerse a Catanzaro.

Ma la colpa è dei giochi tra correnti togate e membri laici (cioè politici). Violante, subito copiato da Alfano, vorrebbe sostituire uno dei due terzi togati con un terzo nominato dal Quirinale (cioè dalla politica). Roba da matti. Un vero "organo di autogoverno della magistratura" dev'essere - come ripeteva Indro Montanelli - composto per tre terzi da magistrati. E i giochetti correntizi? Il pm torinese Bruno Tinti suggerisce di spezzarli sorteggiando tutti i componenti fra le 10 mila toghe in servizio. Sempreché si voglia un organo indipendente. Se invece lo si vuole ancor più politicizzato, si abbia il coraggio di chiamarlo "organo di etero-governo". Così almeno è tutto chiaro.

(18 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it


Titolo: L'omaggio di Travaglio a Prodi in platea: ho nostalgia di lei
Inserito da: Admin - Dicembre 23, 2008, 11:54:20 am
A Bologna

L'omaggio di Travaglio a Prodi in platea: ho nostalgia di lei

Il giornalista dal palco del suo show ringrazia l'ex premier seduto in dodicesima fila.

E la sala applaude
 

MILANO — «Presidente, sento spesso nostalgia di lei». Il destinatario del sospiro è, sorpresa, Romano Prodi. Il «nostalgico» è Marco Travaglio. Il giornalista di Bananas e Uliwood party l'altra sera era in quel di Bologna per la sua ultima «chiacchierata teatrale», Promemoria, con cui dal luglio scorso gira i palcoscenici nazionali con gran successo: proprio nel capoluogo emiliano Travaglio ha dovuto fare alcuni spettacoli extra per soddisfare la domanda del pubblico.

Domanda non poi così scontata, visto che si tratta di oltre tre ore di one man show, uno spettacolo che ripercorre gli ultimi quindici anni di storia patria muovendo da un assunto: «La prima Repubblica muore affogata nelle tangenti, la seconda esce dal sangue delle stragi, ma nessuno ricorda più niente. La storia è maestra, ma nessuno impara mai niente». E forse, allora, la prima sorpresa è che in platea ci sia Romano Prodi, che non è detto condivida la sconsolante visione che ha Travaglio dell'Italia recente. Tra l'altro, si sa, il Professore è l'anti vip per eccellenza. E la sua presenza avrebbe potuto fin passare inosservata. Perché lui si trova sì al teatro delle Celebrazioni, ma non certo in prima fila: per trovare l'ex presidente del Consiglio bisogna risalire le poltroncine su su fino alla dodicesima. A quel punto, eccolo lì con la moglie Flavia, la deputata ulivista di Cesena Sandra Zampa e alcuni altri amici. Marco Travaglio racconta, il «promemoria» è diviso in sette quadri dedicati soprattutto a Tangentopoli, alla mafia e ai governi Berlusconi.

Ma son quadri e quadretti per nulla accomodanti anche con la «sinistra dell'inciucio» o con le «leggi vergogna bipartisan». L'ultimo atto è «Avanti il prossimo: se non vi son bastati Andreotti, Craxi, Berlusconi e D'Alema, ora magari arrivano Lele Mora e Fabrizio Corona... ». A quel punto, il sipario dovrebbe abbassarsi. E invece no, arriva la seconda sorpresa. Il giornalista, prima di concludere, si esibisce in un fuori programma che è un omaggio all'ex premier, del tutto inatteso anche per i tecnici del teatro: «Ringrazio il presidente Prodi che è in platea. E voglio dirgli che sento spesso la nostalgia di lui». Gli applausi sono scroscianti, e solo a quel punto il sipario cala per davvero. L'ex premier, pubblicamente, non dice nulla. Ma l'abbrivio di Travaglio ha suscitato l'emozione degli spettatori, che circondano il professore e riprendono ad applaudirlo.

In realtà, il tributo non è poi una sorpresa. Il giornalista piemontese molto spesso ha separato, magari con qualche generosità, Romano Prodi dai suoi governi. E anche quando ha usato parole dure, ha sempre trovato all'ex presidente del consiglio una giustificazione. Come quando, nell'ottobre dello scorso anno, l'allora premier aveva aspramente criticato la puntata di Annozero dedicata al caso De Magistris. In quell'occasione Travaglio aveva sì dichiarato che «il giudizio di Prodi su Annozero è un diktat di sapore bulgaro emanato da Torino anziché da Sofia». Salvo poi precisare che la responsabilità era probabilmente del «quotidiano ricatto» di Clemente Mastella: «Non penso che Prodi abbia la stessa concezione della libertà di informazione che alberga nella testa di Berlusconi».

Marco Cremonesi
23 dicembre 2008

da corriere.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - La questione è immorale e asimmetrica
Inserito da: Admin - Dicembre 25, 2008, 10:04:55 am
Marco Travaglio.

La questione è immorale e asimmetrica


C'è un che di surreale, nel dibattito sulla questione morale che sta travolgendo parecchi amministratori del Pd. L'ha fatto notare Gustavo Zagrebelsky in un incontro a Torino di Libertà e Giustizia, di cui è presidente onorario: "Dice la destra: che bello, anche la sinistra è corrotta (e vi raccomando quell''anche'). Risponde la sinistra: ma voi siete più corrotti di noi. Il dibattito è asimmetrico perché gli elettori di destra non si scandalizzano per le corruzioni della propria parte, quelli di sinistra sì". Poi c'è l'asimmetria informativa: se 'L'espresso' dedica un'inchiesta i malaffari targati Pd, la stampa 'indipendente', 'Corriere della Sera' in testa, la rilancia. Il che non accade mai sull'altro fronte: non si ricordano inchieste di 'Panorama' o del 'Giornale' sui malaffari targati Pdl. Anzi, chi non ha mai scritto una riga sulla vergogna di un Previti che compra la sentenza Mondadori con soldi Fininvest o di un Dell'Utri che frequenta mafiosi e 'ndranghetisti (gli manca solo la camorra), pontifica contro il sindaco di Firenze che incontra Ligresti in un hotel. Condotta poco trasparente, ma imparagonabile con le indecenze di cui sopra. Sulle quali ancora si attende, dopo anni, un editoriale del 'Corriere'.

Questa asimmetria, fra l'altro, regala un comodo alibi a chi nel Pd non vuol fare autocritica e si rifugia nel "voi siete più corrotti di noi". Tutti ricordano il "facci sognare" di D'Alema e l'"abbiamo una banca" di Fassino nei giorni della scalata Unipol-Bnl. Nessuno sa dei parlamentari forzisti e leghisti imputati per aver reso soldi da Fiorani nella scalata pl-Antonveneta. A fine novembre, presentando l'aspirante governatore d'Abruzzo Gianni Chiodi, Silvio Berlusconi dichiarava: "Sapete com'è andata col ponte sullo Stretto? Avevamo impiegato cinque anni a metter d'accordo le imprese italiane perché non si presentassero separate alla gara d'appalto, ma in consorzio. Eravamo andati dai nostri colleghi chiedendo che le imprese non si presentassero in modo molto aggressivo, proprio perché volevamo una realizzazione di mano italiana, e poi avremmo saputo ricompensarli con altre opere pubbliche. La gara d'appalto è stata vinta dal consorzio italiano: poi la sinistra ha distrutto tutto in cinque minuti".


Se le parole hanno un senso, il premier spiega di avere - non si sa a che titolo - aggiustato una gara internazionale per far vincere Impregilo sui concorrenti stranieri, invitando quelli italiani a farsi da parte in cambio di altri appalti (pilotati anche quelli?). Ma non è successo niente: siamo mitridatizzati al peggio, anche se in teoria il Codice penale vieterebbe le turbative d'asta. Ma immaginiamo quelle parole in bocca a un Sarkozy, a un Brown, a una Merkel, a uno Zapatero, a un Bush, a un Obama. Ammesso e non concesso che, dopo averle pronunciate, fossero rimasti a piede libero, si sarebbero ben guardati dal rinfacciare la questione morale ai loro avversari politici. Berlusconi invece l'ha fatto. E gliel'hanno lasciato fare.

(24 dicembre 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - ... l'ultimo appuntamento con il Passaparola del 2008...
Inserito da: Admin - Dicembre 30, 2008, 05:27:47 pm
Marco Travaglio



"Buongiorno a tutti.


Questo è l'ultimo appuntamento con il Passaparola del 2008, quindi è un'occasione per farci gli auguri e per raccontarci un paio di cose che oggi riguardano i processi e le indagini che stanno investendo in varie parti d'Italia il Partito Democratico e la sua reazione.

La reazione iniziale di Veltroni, va detto, era stata buona e civile, quella che ci si attende da un leader di una democrazia normale, e cioè massima fiducia nella magistratura, facciamo autocritica, poniamoci la questione morale, evitiamo i complottismi.
Poi via via col passare dei giorni siamo arrivati alle ultime esternazioni, che sono iniziate quando è stato scarcerato dagli arresti domiciliari Luciano D'Alfonso, sindaco di Pescara.

Allora la posizione del PD ha cominciato a declinare verso non dico una posizione berlusconiana ma molto vicino.
Nel frattempo, hanno pizzicato il figlio di Di Pietro e alcuni collaboratori campani di Di Pietro nell'inchiesta napoletana, dalle quali è risultato che il figlio e alcuni suoi collaboratori segnalavano amici per incarichi a questo provveditore per le opere pubbliche.
Non è reato segnalare amici per incarichi, è però malcostume, quindi bene ha fatto Di Pietro a tirare le orecchie a suo figlio.
Nel suo, come negli altri partiti, ci dovrebbe essere immediatamente l'intervento del collegio dei probiviri che esamina i casi non penalmente rilevanti - quelli li segue la magistratura - e decide sanzioni possibilmente tipizzandole e stabilendo in anticipo cosa rischia chi si comporta in un certo modo.
Non bastano le lavate di capo, ci vogliono anche i provvedimenti concreti, soprattutto in un partito che vuole presentarsi ai cittadini come un partito diverso dagli altri.

E' chiaro che gli altri, non facendo mai niente, autorizzando anche chi vuole essere diverso a vantarsi di esserlo semplicemente in presenza di piccoli segnali, ma bisognerebbe cominciare a ragionare come se ci si trovasse non in Italia ma in Germania, negli Stati Uniti o in Inghilterra e infischiarsene del fatto che gli altri partiti non fanno nulla e cominciare a fare delle cose forti in casa propria.
Detto questo, abbiamo vari tipi di reazioni: se viene preso un politico di centrodestra è un complotto, se viene preso un politico di centrosinistra dipende dai giorni, dal tasso di umidità: rispetto per la magistratura, quasi complotto, complotto a metà.
Quando viene preso, sia pure non a commettere reati, qualcuno del giro di Di Pietro lui fa una sfuriata, alla quale però, come ho detto, dovrebbero seguire delle sospensioni temporanee o definitive dal partito a seconda della gravità dei comportamenti.
E' interessante però un punto, e cioè chi deve decidere sugli arresti di un politico.
Perché su questo ci sono molte discussioni e in realtà non c'è motivo perché che ne siano.
Due avvenimenti degli ultimi giorni ci aiutano a capire bene come stanno le cose.
Voi sapete che fino al 1993, in base all'articolo 68 della Costituzione della Repubblica Italiana, il parlamentare non poteva essere nemmeno processato senza l'autorizzazione del Parlamento, tant'è che l'autorizzazione era per "procedere".
Il magistrato era obbligato, quando riceveva una notizia di reato a carico di un parlamentare, a iscriverlo nel registro degli indagati e poi non più tardi di un mese dopo, se non ricordo male, doveva mandare l'incartamento alla camera di cui faceva parte il parlamentare e chiedere l'autorizzazione ad andare avanti nelle indagini.
Questo articolo 68 copriva i parlamentari anche dagli arresti, dalle intercettazioni, dalle perquisizioni, per cui non si poteva, senza il permesso del Parlamento, mettere in carcere - o meglio in custodia cautelare - o in altre misure cautelari tipo i domiciliari, il divieto di espatrio, l'obbligo di firma, un parlamentare.
E non si può nemmeno perquisirgli la casa o intercettargli il telefono.
Questa seconda garanzia è rimasta: ancora oggi non si può fare nessuna di queste cose al parlamentare. Invece si può indagarlo senza più il bisogno del permesso del Parlamento.
Ma sulla sua libertà personale, sul suo diritto a non essere intercettato, perquisito, arrestato, non è cambiato nulla.
Il politico che, invece, non sta dentro il Parlamento ma sta nel governo è sottoposto alla giurisdizione del Tribunale dei Ministri se il reato che gli viene contestato è collegato con la sua attività ministeriale. Se non è un parlamentare il ministro può essere arrestato, naturalmente, anche se è raro il caso di ministri tecnici non parlamentari, almeno per quanto riguarda quest'ultimo governo.
Se invece uno non è nemmeno ministro è sottoposto alla giurisdizione normale: se uno è sindaco, per esempio, non ci sono problemi. Presidente di regione idem.
Dico questo perché recentemente i magistrati hanno chiesto l'autorizzazione al Parlamento per poter arrestare un deputato ex Margherita, ora PD, della Basilicata, Salvatore Margiotta, e hanno invece arrestato ai domiciliari l'ex sindaco di Pescara, Luciano D'Alfonso, sempre ex Margherita e ora PD.
Il primo è accusato di avere ricevuto o comunque di essersi fatto promettere 200.000 euro per un appalto petrolifero in Basilicata, Margiotta.
L'altro, cioè D'Alfonso, è accusato di vari episodi di corruzione o finanziamento illecito per avere fatto fare gratis dei lavori in due sue abitazioni da imprese che poi hanno vinto appalti o avuto incarichi nella sua amministrazione, per costruire cimiteri o fare altre opere pubbliche, e per essersi fatto pagare l'auto blu e l'assistente da un imprenditore privato: Carlo Toto, il proprietario dell'AirOne, abruzzese anche lui.
L'accusa dice che il sindaco girava con un autista portaborse su una Lancia di alta cilindrata, che non erano a spese sue o dell'amministrazione ma a spese di questo simpatico imprenditore, che evidentemente aveva investito su questo sindaco facendogli questo genere di favori in cambio di, ipotizza l'accusa, altri favori.
Queste sono le due vicende: uno è finito dentro perché è sindaco e non ha nessuna protezione, l'altro non è finito dentro perché quando i giudici hanno chiesto l'autorizzazione ad arrestarlo la giunta delle autorizzazioni a procedere della Camera ha negato l'autorizzazione.
Ed è interessante vedere le motivazioni perché, come vi ho detto, è vero che il Parlamento può negare l'autorizzazione all'arresto, alla perquisizione o alle intercettazioni.
Pensate, bisogna chiedere al Parlamento persino il permesso per intercettare un parlamentare, così lo si avverte preventivamente e lui, ovviamente, su quel telefono, se non è proprio stupido, non parla più.
In ogni caso qui ci interessa la richiesta di autorizzazione alla custodia cautelare; peraltro lo volevano mettere ai domiciliari, non in carcere. Semplicemente lo volevano isolare, ritenendo che possa inquinare le prove, cioè concordare versioni di comodo con le persone indagate con lui per avergli, nell'ipotesi accusatoria, promesso o dato dei soldi.
Il Parlamento può negare l'autorizzazione all'arresto soltanto se dimostra che questa richiesta di autorizzazione non dipende da elementi di indagine normali ma dalla volontà persecutoria del magistrato nei confronti del parlamentare.
In questo caso la volontà persecutoria dovrebbe essere non soltanto del PM che chiede gli arresti ma anche del giudice che poi li accorda.
Ci dovrebbero essere, a Potenza, un GIP e un PM che ce l'hanno con Margiotta e lo vogliono mettere in galera per fini di persecuzione politica: questa è l'unica ragione per cui il Parlamento può dire di no.
Perché a decidere sulla gravità delle accuse e sull'esigenza di tutelare l'indagine con gli arresti di una persona deve essere il giudice, infatti il giudice ha già arrestato alcuni dei presunti complici di questo Margiotta, che non avevano la fortuna di essere parlamentari.
Dato che i fatti sono gli stessi o li arresti tutti o non ne arresti nessuno.
In ogni caso, Woodcock - il PM - e il GIP di Potenza hanno ritenuto che Margiotta debba stare agli arresti domiciliari: bisognerebbe dimostrare che ce l'hanno con Margiotta.
In Parlamento manco si sono posti il problema, anzi hanno escluso quasi tutti coloro che si sono espressi in giunta per le autorizzazioni che ci sia una persecuzione giudiziaria ai danni di Margiotta, eppure hanno detto di votare no.
L'unico che ha detto che voterà sì è l'Italia dei Valori.
Perché vi rendiate conto: cito dal verbale della seduta che si è tenuta in giunta per le autorizzazioni a procedere il 17 dicembre, una settimana prima di Natale.
Destra e sinistra si ritrovano amorevolmente insieme.
Il relatore, nonché presidente della giunta, è Castagnetti, compagno di partito di Margiotta, ex Margherita ora PD. Prima curiosità.
Castagnetti riassume molto puntualmente tutta la vicenda petrolifera con la presunta promessa di tangenti a Margiotta.
Notate che io non conosco Margiotta, non ho la più pallida idea se sia giusto o meno mandarlo in galera: sia chiaro, non ho nessun interesse e non me ne importa niente.
Stabilisco un principio: è il giudice che deve decidere se Margiotta e i suoi complici presunti tali devono finire ai domiciliari oppure no.
Gli altri ci sono finiti, Margiotta no perché è un Mandarino della Casta.
Allora vediamo con quali motivazioni gli hanno dato questo privilegio.
Parla Margiotta, il quale dice che potrebbe dimostrare il fumus persecutionis perché Woodcock non è la prima volta che si occupa di lui.
Cioè, secondo lui è una persecuzione il fatto che un magistrato a Potenza si occupi più di una volta di un politico.
Sarebbe come dire, mutatis mutandis, che ogni tanto c'è un tipo che viene preso perché scippa le vecchiette e la terza volta che lo prende lo stesso poliziotto dicesse: "ah ma lei ce l'ha con me, è la terza volta che mi prende!". E l'altro, giustamente, potrebbe dire: "ma se lei smettesse di scippare le vecchiette...".
Secondo lui il fatto che Woodcock si sia già occupato di lui in altre inchieste non è sinonimo del fatto che lui tiene dei comportamenti border line, ma del fatto che Woodcock ce l'ha con lui. E' fantastico come ragionamento!
Dice: "Sempre il dott. Woodcock, in altro procedimento, avanzò richiesta al GIP di inoltrare alla giunta altre conversazioni telefoniche riguardanti me...".
Tra l'altro questo Margiotta, che opera e viene eletto in Basilicata, a Potenza ha la moglie che faceva il Capo della Squadra Mobile, cioè che teoricamente avrebbe dovuto indagare su di lui: immaginate il conflitto di interessi.
Questa sarebbe la separazione delle carriere da fare: il parlamentare non può avere la moglie Capo della Polizia nel posto dove svolge le sue funzioni.
Si potrebbero separare queste carriere, le hanno separate dopo queste indagini, naturalmente, non prima.
Quindi Margiotta dice: "potrei dire che c'è il fumus persecutionis, ma sono un signore e non lo dico.
Potrei dire che ce l'hanno con me, ma sono un signore e non lo dico.
Preferisco dire - meno male - che non ho preso tangenti".
Interviene Brigandì, della Lega. Notate che questi sono quelli che nel '92-'93 sventolavano le forche.
Adesso nessuno vuole le forche, per carità: si vorrebbe semplicemente che difendessero il principio "La legge è uguale per tutti" e "Gli arresti li decide il giudice e non l'interessato".
Brigandì è fantastico... leghista eh!
Chiede a Margiotta: "Lei ritiene che la vicenda sia caratterizzata da un fumus persecutionis nei suoi confronti?".
Risposta di Margiotta: "Si.".
Fantastico, è l'autocertificazione: il fumus persecutionis lo fanno decidere dall'interessato.
A questo punto interviene - seduta successiva, 18 dicembre, hanno lavorato troppo, si ritrovano il giorno dopo esausti da questa prima audizione - Paniz, del Popolo delle Libertà, e dice: "La linea seguita dalla nostra parte politica è stata e sarà costante, a prescindere dall'appartenenza dei deputati interessati.
Il nostro schieramento sarà sempre a guardia delle garanzia di libertà che la Costituzione e la legge assicurano ai parlamentari e ai cittadini".
Ai cittadini un par di palle, come si direbbe in inglese raffinato, perché queste sono garanzie che si danno ai parlamentari.
Il cittadino non può rivolgersi alla giunta della Camera per farsi tutelare, il cittadino finisce in galera e basta.
Lui si vanta: "orgoglio di appartenere a uno schieramento politico..." che ogni volta che il giudice chiede di procedere nei confronti di un parlamentare risponde sempre di no, a prescindere dal colore così non ci sbagliamo.
Questo è l'ottimo Paniz di Forza Italia.
E dice che "la libertà personale può essere limitata solo in caso di pericolo di fuga o di circostanze che possono mettere a repentaglio la genuinità delle prove".
E in effetti proprio per questo si chiede di mettere Margiotta ai domiciliari, ma Paniz dice: "nel caso dell'On. Margiotta mi sembra evidente la carenza di questi presupposti".
Decide lui: invece del giudice, i presupposti per la custodia cautelare li decide Paniz.
Antonio Leone, sempre Popolo della Libertà, va anche oltre. Dice - sentite questa che è meravigliosa - che Woodcock non è nuovo a iniziative di questo genere, è un persecutore di politici.
Già in passato ha indagato su politici e questo, secondo lui, è già un indice di devianza. Poi aggiunge: "Il Woodcock avanzò altresì domanda di utilizzo di intercettazioni telefoniche di conversazioni tra il Margiotta medesimo e la di lui moglie, in barba al motto popolare per cui 'tra moglie e marito non mettere il dito'".
Questi sono atti parlamentari, sono parlamentari della Repubblica che rappresentano noi e che citano dei proverbi per dire che non bisogna arrestare o intercettare una persona.
C'è un'indagine sulla moglie, capo della Mobile di Potenza, dell'On. Margiotta. Woodcock giustamente manda le telefonate perché quando coinvolgono il marito bisogna chiedere il permesso al Parlamento, se il marito è parlamentare.
Bene, secondo Leone se una moglie indagata parla con il marito bisogna interrompere le intercettazioni perché lo dice il proverbio: "tra moglie e marito non mettere il dito".
Questi sono grandi giuristi, grossi giureconsulti. La prossima volta dirà "tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino" oppure "campa cavallo che l'erba cresce"... cose del genere.
"Finiamola con questi processi, se il processo dura da un anno lo chiudiamo perché campa cavallo che l'erba cresce".
Uno potrebbe fare di tutto con i proverbi, questo usa un proverbio per dire la sua stronzata, dato che non gli veniva in mente nessuna massima giuridica.
Ma andiamo a Pierluigi Mantini, Partito Democratico, il quale naturalmente accusa i giudici di disinvoltura, non il Margiotta.
"I giudici sono di una disinvoltura incredibile" e poi aggiunge che bisogna riflette sull'anomalia italiana per cui un avviso di garanzia si trasforma immediatamente in una condanna definitiva.
Questo non so dove l'abbia letto, ma tutti sanno la differenza che c'è tra un avviso di garanzia e una condanna definitiva.
Qui peraltro c'è una richiesta di arresto alla quale lui vota no, e conclude il suo intervento dicendo che bisogna riequilibrare il rapporto fra magistratura e politica, facendo pagare ai magistrati nei casi di colpa grave.
Dopodiché, quando la procura di Salerno va a vedere i reati della procura di Catanzaro, questi invece di applaudire e dire "bene, finalmente i magistrati pagano in caso di loro colpe", se la prendono con la procura di Salerno perché ha innescato una guerra fra procure.
Guardate che sono singolari, questi signori.
Interviene Luca Rodolfo Paolini, un altro leghista, uno che dovrebbe difendere la trasparenza, "La legge è uguale per tutti".
"Mi ha colpito l'incongruenza per cui viene chiesta oggi una misura cautelare per fatti avvenuti tra il dicembre 2007 e il gennaio 2008".
Gli sfugge che prima i fatti succedono, poi il magistrato li deve scoprire, poi quando li ha scoperti prende la decisione di chiedere l'arresto di una persona, poi lo chiede al GIP, poi nel frattempo passano le vacanze, poi il GIP risponde e lo mandano alla Camera.
E alla Camera cosa fanno? Cincischiano, invece di essere veloci, e continuano a rimpallare la cosa.
Tenete presente che quando si fanno le cose subito si dice: "ma perché l'hanno chiesta subito senza esaminare bene gli atti?".
Quando invece esaminano bene gli atti dicono: "ma perché ce lo chiedete dopo?".
E quando, alla fine, qualcuno dice "state impedendo l'arresto di un parlamentare" loro rispondono: "ma se il magistrato non è d'accordo, può sollevare davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato".
Cioè: per riuscire ad arrestare questa persona che nell'ipotesi di accusa deve essere arrestata, magari vai a fare un ricorso alla Corte Costituzionale che si pronuncerà fra un anno o due.
Ma a questo signore, che ha tanta fretta, non viene in mente.
Alla fine interviene Formisano, di Italia dei Valori, e dice che loro voteranno a favore dell'arresto, e rimane l'unico come, del resto, fa sempre Li Gotti nella giunta del Senato.
Donatella Ferranti, del PD, dice: "chi pensa all'esistenza di un complotto o a trame eversive sarebbe in errore". Bontà sua, dice che non c'è ma a questo punto interviene Giachetti, sempre del PD, che dice: "i parlamentari, fino a prova contraria, sono tutti onesti".
Qui si sta discutendo di uno che è accusato di cose e l'altro dice che, per definizione...
Antonio Leone interviene e se la prende con questa povera Ferranti per aver detto una cosa sensata, cioè che qui non c'è nessun complotto. Dice: "lei parla in qualità di deputato o di magistrato?".
Se parlasse in qualità di magistrato sarebbe un brutto personaggio.
Notate che stanno parlando di un indagato che dev'essere arrestato e stanno salvandolo, no?
Quando qualcuno dice che non c'è un complotto, si alza un altro e dice: "ma lei parla come un magistrato! Si vergogni!", come se avesse detto che bisogna andare a rubare.
E, infine, Antonino Lopresti, sempre del PDL, dice: "nessuno finora ha parlato di complotti, ma il Parlamento deve pur tutelarsi dalle iniziative estemporanee della magistratura".
Eh già, peccato che non si possa tutelare dalle iniziative della magistratura, il Parlamento, salvo che non ci sia la prova di un complotto, cioè di una persecuzione politica.
Questi dicono: "non c'è il complotto, ma l'autorizzazione non la diamo lo stesso", cioè confessano di abusare dell'articolo 68 della Costituzione.
Anche la Samperi, del PD, dice: "non mi pare che esistano i presupposti per la misura cautelare" e anche questo non lo può dire, perché i presupposti li decide il giudice, loro devono decidere solo se c'è o non c'è la persecuzione.
Poi interviene un altro bell'elemento, un certo Vittorio Belcastro della MPA, il partito del governatore della Sicilia Lombardo, il quale dice che c'è una piaga nazionale.
Uno dice la corruzione? No, "il protagonismo della giustizia penale che, quindici anni fa, ha portato alla fine di un'era". Pensate, questo rimpiange ancora Andreotti, Craxi, Forlani...
Ha colto l'occasione di lacrimare in diretta per cotante perdite di quindici anni fa.
Pierluigi Castagnetti, presidente e relatore, tira le somme e dice anche lui una cosa che non potrebbe dire, cioè che il quadro indiziario appare limitato e frammentario.
I politici giudicano se le prove sono sufficienti o no, esattamente quello che non potrebbero fare.
L'altro caso, e così andiamo a conclusione, è quello del sindaco di Pescara.
Voi sapete che viene interrogato in segreto dieci giorni prima delle elezioni regionali, in Abruzzo.
Gli sciorinano davanti gli elementi di accusa su quei lavori da parte di imprese che vincevano poi gli appalti.
Sul fatto che circolava su una macchina con autista pagati da un imprenditore privato che, gentilmente, glieli aveva messi a disposizione.
Che aveva ricevuto dei finanziamenti per il partito della Margherita da gente che poi otteneva incarichi e commesse dalla sua giunta.
Lui si rende conto, evidentemente, che c'è qualcosa che non va, tant'è che annuncia ai magistrati che si dimetterà dopo le elezioni.
I magistrati lo arrestano la sera stessa delle elezioni, dopo che si sono chiuse le urne per non influenzare il voto.
Lui si dimette, anche perché il sindaco arrestato è automatico che poi la giunta cada e venga commissariato il comune.
Si va di nuovo a votare, non è un bel gesto che fa lui, è un gesto che sarebbe stato imposto dopo qualche tempo.
In ogni caso se ne va, a quel punto i magistrati fanno un giro di interrogatori per mettere al sicuro le versioni dei vari personaggi e, alla vigilia di Natale, scarcerano D'Alfonso - ripeto, era agli arresti domiciliari non in galera, ma a casa sua - per le feste di Natale.
Un giornalista, D'Avanzo, scrive che i magistrati si sono smentiti, rimangiati l'ipotesi accusatoria che è crollata, che c'è stata leggerezza da parte del Pubblico Ministero e del GIP.
Francamente, non si capisce quale ordinanza di quale giudice abbia letto questo signore, perché basta leggere l'ordinanza per rendersi conto che è stato scarcerato perché si è dimesso da sindaco e non può più inquinare le prove e ripetere reati della stessa specie.
Se non è più sindaco non può più dare appalti, ovviamente.
Certamente si guarderà bene, pensano i giudici, dall'avvicinare persone per concordare versioni di comodo.
Invece, basandosi su quell'anticipazione giornalistica farlocca, anziché leggere l'ordinanza, intervengono politici del PD e purtroppo cominciano a strillare alla maniera vagamente berlusconiana.
Veltroni dice: "è un fatto gravissimo"; Tenaglia, ministro ombra del PD per la giustizia, dice: "è un fatto grave, è necessaria più prudenza nell'arrestare i politici, perché poi ci sono conseguenze gravi come le dimissioni del sindaco di Pescara".
"Quando si prendono queste decisioni ci vuole prudenza, i magistrati facciano presto", eccetera.
Poi interviene l'ottimo Violante, che ormai è diventato una specie di consulente del centrodestra, parla come un Alfano o un Gasparri qualunque: "non esistevano le ragioni per le quali è stato arrestato il sindaco di Pescara, credo ci voglia molta prudenza perché il sindaco di Pescara e la giunta sono caduti per ragioni, a quanto pare, insussistenti".
Il centrodestra, ovviamente, è entusiasta perché dice: "finalmente anche voi attaccate i giudici, finalmente siete come noi, finalmente rubate anche voi e poi attaccate i giudici, siamo tutti uguali, mettiamoci d'accordo" per la controriforma.
Il giudice che cosa ha scritto? Ha scritto che l'ha scarcerato perché le accuse erano venute meno? Manco per sogno!
L'ordinanza la trovate sul nostro blog, voglioscendere.it: "in relazione al D'Alfonso, in termini di gravità indiziaria, il quadro accusatorio già integralmente condiviso dal GIP - questo scrive il GIP nell'ordinanza che toglie gli arresti domiciliari all'ex sindaco - nel momento dell'adozione delle misure cautelari rimane, nel suo complesso, confermato e anzi sotto taluni aspetti rafforzato, sulle due principali vicende di corruzione e sull'associazione per delinquere.
Le acquisizioni successive all'interrogatorio del sindaco hanno in gran parte eliso - cancellato - il valore del suo costituto difensivo" cioè la sua difesa è crollata di fronte a quello che è venuto fuori dopo il suo arresto.
Anzi, hanno fatto bene a metterlo ai domiciliari perché appena l'hanno messo ai domiciliari sono riusciti a interrogare e a trovare della roba che ha fatto crollare la sua linea difensiva.
Questo dice il GIP.
"L'interrogatorio del Paolini - il portaborse pagato da Toto - ha offerto piena conferma dell'impianto accusatorio in relazione al fatto che Paolini era una sorta di assistente del sindaco stipendiato da Toto e fornito di autovettura di alta gamma" senza che sia possibile documentare quali prestazioni abbia svolto per l'imprenditore Toto questo Paolini.
Lavorava pagato da Toto per il sindaco.
"Ribadita la gravità del quadro indiziario, come originariamente nell'ordinanza, occorre a questo punto farsi carico delle sopravvenienze intervenute in relazione al pericolo di inquinamento probatorio ascritto al D'Alfonso.
Le preannunciate e poi effettivamente eseguite dimissioni costituiscono un'apprezzabile sensibilità istituzionale e il commissariamento del comune determina un ulteriore indebolimento della rete di rapporti intessuti dal D'Alfonso nell'esercizio della propria attività politico amministrativa e della sua conseguente capacità di manipolare persone informate e documenti.
Quanto alla possibile costituzione di tesi difensive di comodo - mettersi d'accordo con altri - va rilevato che esse sono già state in parte disvelate - cioè si è già scoperto che D'Alfonso s'era messo d'accordo per concordare versioni di comodo con altri, che però quando è stato arrestato hanno confessato che quello che avevano detto era falso, fatto per difendere se stessi e lui -.
E comunque il dettagliato sviluppo del costituto difensivo del sindaco - e i confronti già fatti con altre persone coimputate con lui - alla luce della notevole mole di materiale acquisito, rende meno probabili ulteriori manipolazioni delle prove".
Per questi motivi il GIP revoca le misure cautelari applicate a carico di D'Alfonso.
Questo c'è scritto nell'ordinanza, come si fa a dire che sono crollate le accuse, che non lo dovevano arrestare?
Qui si dice il contrario: loro dicono "hanno fatto dimettere una giunta in base a fatti insussistenti".
In realtà è il contrario! Il giudice dice che i fatti sono sussistenti e proprio grazie al fatto che il sindaco e la giunta si sono dimessi si possono togliere gli arresti all'ex sindaco, proprio perché è diventato ex.
Se non si fossero dimessi, cioè se non fossero stati arrestati, oggi non sarebbero stati scarcerati.
Se D'Alfonso fosse ancora al suo posto sarebbe ancora agli arresti.
Vedete come si falsificano le cose, forse sarebbe meglio leggerle le ordinanze, sono anche 8 pagine, è abbastanza facile, ce la possono fare anche i nostri politici e certi nostri maestri di giornalismo.
Naturalmente, tutto ciò viene usato da Berlusconi per abbracciare il centrosinistra nella speranza che lo coprano sulla legge sulle intercettazioni che ha di nuovo minacciato in questi giorni.
Perché la legge sulle intercettazioni è molto impopolare, la gente le vuole le intercettazioni per i potenti!
E dato che riguardano soltanto i delinquenti e i potenti che hanno rapporti con i delinquenti, perché un cittadino normale non rischia certamente di essere intercettato o il rischio è infinitesimale, è evidente che la gente le intercettazioni le vuole anche e soprattutto per questi reati.
Come ci sono in America, vedi l'arresto del governatore dell'Illinois.
Berlusconi ha bisogno della copertura del centrosinistra, perché se ha Di Pietro e il PD che tuonano contro questa legge la gente che vuole più sicurezza e più legalità comincerà a rendersi conto che Berlusconi ha un conflitto di interessi giudiziario che rende impossibile la sicurezza.
Infatti, vuole distruggere uno strumento fondamentale come le intercettazioni.
Ecco perché bisogna impegnarsi, in questo anno, a far sapere ai parlamentari del centrosinistra ma anche di quel centrodestra che ancora non ci sta - sapete che sulle intercettazioni la Lega e una parte di AN non ci vogliono stare -, bisogna rafforzare le posizioni di chi vuole fare opposizione sia all'interno della maggioranza di centrodestra sia, ovviamente, nei banchi della minoranza.
L'unico modo è quello di scrivere ai rappresentanti parlamentari, intasare le loro caselle di posta elettronica - se andate sul sito di Camera e Senato le trovate tutte - per far sapere: "noi non vi votiamo più se vi rassegnate o non contrastate questo devastante progetto sulle intercettazioni, contro la sicurezza dei cittadini".
Questo è l'augurio che vi faccio: che prendiamo in mano la situazione ciascun cittadino singolarmente e tutti collettivamente.
Che ci facciamo carico del principio di eguaglianza, facciamo sapere loro che vogliamo ancora essere tutti uguali di fronte alla legge senza nessuna eccezione.
E speriamo di ritrovarci, questo è l'unico augurio che mi sento di fare, fra un anno a festeggiare la nascita del 2010 in un Paese dove la legge è ancora uguale per tutti.
Passate parola. Auguri."

dal blog di Beppe Gillo


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Niente cimici siamo italiani
Inserito da: Admin - Gennaio 01, 2009, 10:37:58 am
Marco Travaglio.


Niente cimici siamo italiani


Berlusconi ha annunciato che bisogna riformare le intercettazioni e uno stuolo di giornalisti al seguito ha cominciato a ripeterlo a pappagallo. Senza peraltro spiegare il perché  Bruno VespaÈ bastato che Berlusconi strillasse per qualche mese che bisogna riformare le intercettazioni, perché uno stuolo di giornalisti al seguito cominciasse a ripeterlo a pappagallo. Senza peraltro spiegare il perché. Bruno Vespa scrive su 'Bresciaoggi' (imperversa pure lì) che "è sempre più urgente sanare la piaga delle intercettazioni", dopo averne sciorinate a centinaia nei tele-processi di Cogne, Erba, Garlasco e Perugia. Il 'Corriere' gli fa eco in prima pagina: "Riforma condivisa delle intercettazioni" in base al "testo del Consiglio dei ministri". Si spera che quel testo, al 'Corriere', non l'abbiano letto: altrimenti non si vede come possano sollecitare una legge che manda in galera (pena da 1 a 3 anni) i cronisti, anche del 'Corriere', che citano o riassumono intercettazioni o altri atti d'indagine, anche "non più coperti da segreto", prima del processo (potranno farlo solo 4-5 anni dopo la scoperta dei fatti). Alla prossima conferenza stampa uno dei fortunati giornalisti accreditati potrebbe domandare al premier: "Scusi, perché mai vuole riformare le intercettazioni?".

Se dice che sono troppe, obiettare che ogni anno si fanno 3 milioni di nuovi processi e s'intercettano appena 15-20 mila persone. Se dice che costano troppo, obiettare che nel 2007 sono costate 224 milioni, ma han fatto recuperare allo Stato svariati miliardi da mafiosi, narcotrafficanti, finanzieri furbetti, corrotti, rapinatori, truffatori; comunque per risparmiare basta acquistare le apparecchiature anziché affittarle da privati, o imporre tariffe scontate alle compagnie telefoniche. Se dice che all'estero ne fanno di meno, obiettare che ne fanno di più, ma non risultano nelle statistiche perché non
le dispongono solo i giudici, ma anche le polizie e i servizi segreti senza render conto a nessuno. Se dice che all'estero si fanno solo per mafia e terrorismo, obiettare che l'Fbi ha appena intercettato e arrestato il governatore dell'Illinois, Rod Blagojevic, e centinaia di top manager di Wall Street coinvolti nei mutui subprime.
 
Se dice che all'estero i giornali non le pubblicano, esibire un giornale Usa a piacere con le telefonate di Blagojevic & C., compresi i non indagati Jesse Jackson jr. e Rahm Emanuel, braccio destro di Obama. Se dice che vanno escluse per i reati minori, obiettare che il testo governativo le vieta per associazione a delinquere, sequestro i persona, rapina, stupro, furto, spaccio, estorsione, truffa, frode fiscale, bancarotta, omicidio colposo, sfruttamento della prostituzione. Reati minori? Che ne pensano An e la Lega? Se dice che bastano e avanzano gli altri mezzi d'indagine, obiettare che tutti i più recenti scandali sono emersi grazie alle intercettazioni: Bancopoli, Calciopoli, Vallettopoli, casi Cuffaro e Saccà, clinica-horror Santa Rita, Abu Omar e Sismi deviato, Tangentopoli a Firenze, Pescara, Napoli, Potenza.

Se dice che la riforma serve appunto per coprire gli scandali, ringraziarlo per la squisita sincerità. Poi avvertire Vespa e il 'Corriere'.

(31 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il pm fa l'uomo ladro
Inserito da: Admin - Gennaio 09, 2009, 04:47:47 pm
Marco Travaglio


Il pm fa l'uomo ladro


Il Riesame di Potenza ha annullato gli arresti domiciliari al deputato Pd Salvatore Margiotta. Decisione del tutto superflua: alla vigilia di Natale la Camera unanime (tranne i soliti dipietristi e Furio Colombo) si era già sostituita al Tribunale bloccando l'arresto disposto dal gip Pavese su richiesta del pm Woodcock per associazione a delinquere, turbativa d'asta e corruzione. Ennesimo abuso di potere: i deputati non possono bloccare il provvedimento di un giudice entrando nel merito delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, salvo in presenza di fumus persecutionis contro il candidato alle manette. Fumus escluso dal grosso della giunta per le autorizzazioni a procedere.

Il verbale dell'illustre consesso raggiunge vette di umorismo involontario finora ineguagliate. Puro cabaret. Margiotta è chiamato in causa da intercettazioni: una documenta un suo incontro clandestino, in un vicolo appartato, con un imprenditore interessato ad appalti petroliferi in Lucania; il quale poi confida a un altro di aver promesso a "Salvato'" 200 mila euro per i suoi buoni uffici nella gara truccata.

Davanti alla giunta, Margiotta nega soldi e promesse, "ammesso che Salvato' sia io, cosa di cui dubito fortemente". Ma come fa a sapere che l'imprenditore non millantava? Il leghista Matteo Brigandì gli domanda acutamente: "Ritiene la vicenda viziata da fumus persecutionis?". La risposta del testimone super partes è sorprendente: "Sì". La prova della persecuzione di Woodcock (del gip nessuno parla, come se gli arresti li facesse il pm)? "Io e la mia famiglia non siamo nuovi a iniziative di questo pm".

Infatti Woodcock aveva già inviato alla Camera altre sue intercettazioni con la moglie Luisa Fasano, capo della Mobile di Potenza (il collegio elettorale del marito), indagata per abuso. Dunque, se un pm indaga due volte sul marito e una sulla moglie, diventa automaticamente persecutore. Chi lo dice? L'indagato, marito dell'indagata. Elio Belcastro (Mpa) sfodera un altro argomento formidabile: siccome "15 anni fa Mani pulite segnò la fine di un'era", allora niente arresto. Il forzista Maurizio Paniz assicura: il Pdl dirà sempre no alla cattura di parlamentari, "a prescindere dal partito". Pierluigi Castagnetti, ex margherito come Margiotta, estrae l'alibi decisivo: è inverosimile "una tangente di 200 mila euro per un appalto nientemeno che di 35 milioni".

Un deputato non si vende per così poco, questione di dignità. Colpo di genio finale: Antonio Leone, Pdl, denuncia che Woodcock "chiese di usare intercettazioni tra Margiotta e la moglie, in barba al motto popolare per cui 'tra moglie e marito non mettere il dito'". Ecco: oltreché al codice penale, i pm devono attenersi pure ai proverbi. E meno male che nessuno ha citato stanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino", o "l'occasione fa l'uomo ladro", o "se bello vuoi apparire, un poco devi soffrire". Altrimenti il povero Salvato' lo fucilavano su due piedi.

(09 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Scappellamento a destra
Inserito da: Admin - Gennaio 14, 2009, 05:33:34 pm
Zorro di Marco Travaglio



Scappellamento a destra



Oh gaudio, oh meraviglia! I capigruppo del Pdl, sostenuti dai presidenti delle due Camere, invitano il senatore voltagabbana Riccardo Villari a dimettersi da presidente della Vigilanza Rai. Che squisitezza! Cotanta sensibilità istituzionale merita un plauso: infatti la cosiddetta opposizione è tutta uno sdilinquirsi in complimenti, ringraziamenti, scappellamenti.

Sono trascorsi meno di tre mesi dall’elezione di Vinavillari e nessuno ricorda più chi l’ha eletto (i parlamentari del Pdl, gli stessi che oggi gli chiedono di dimettersi) e perchè.La carica spetta all’opposizione che, quando esiste (cioè quand’è rappresentata dal centrodestra), ha sempre scelto chi le pare e piace: Storace, Landolfi, personcine così. Stavolta l’opposizione aveva scelto Leoluca Orlando dell’Idv. Ma il Pdl decise che non gli andava bene: la carica spettava, sì, a uno dell’opposizione, purchè scelto dalla maggioranza. Dunque non uno dell’Idv, “partito eversivo”.

Il Pd tenne duro qualche settimana, poi cominciò a disunirsi, con i soliti Follini & frollini vari inclini all’inciucio. A quel punto il Pdl trovò sul mercato il Villari di turno e se lo comprò in saldo, anzi –pare- addirittura gratis. Il leggendario pizzino di Latorre a Bocchino aggiunse all’operazione un’impronta digitale dalemiana.

Ora Vinavillari ha esaurito il suo compito e viene scaricato dai suoi stessi sponsor che, bontà loro, concedono al Pd di nominare un nuovo presidente gradito al Pdl. Come già per il lodo Alfano e le leggi anti-giudici, Berlusconi fa tutto quel che vuole. Ma a patto che glielo si chieda per favore e lo si ringrazi molto.

da unita


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Al di sotto di ogni sospetto
Inserito da: Admin - Gennaio 14, 2009, 05:47:08 pm
Zorro di Marco Travaglio



Al di sotto di ogni sospetto



Mentre salutiamo con giubilo l’avvento del vero leader dell’opposizione Gianfranco Fini, segnaliamo una notiziola da niente pubblicata il 4 dicembre sulle pagine palermitane di Repubblica. Riguarda l’esimio presidente dell’altro ramo del Parlamento. Titolo: «Le rivelazioni dell’ex deputato Mercadante: “Dal cassiere di Provenzano voti a Schifani”».

Svolgimento: «L’ex deputato regionale Giovanni Mercadante, detenuto ai domiciliari per associazione mafiosa, rivela un particolare sulla campagna elettorale del 1996: “Ero passato nelle file di Forza Italia e chiesi ai miei amici, tra i quali Di Miceli (arrestato nel 2002 e condannato come cassiere di Provenzano, ndr), di appoggiare Renato Schifani al Senato e, alle regionali, Dore Misuraca. Non lo dico per danneggiare i miei ex colleghi di partito, ma chiesi ai miei amici di votare per l’uno e per l’altro”... ». «L’ex deputato è accusato di essere stato il medico di Provenzano», che è imputato insieme a lui.

È una vera fortuna che Mercadante non abbia chiesto a Di Miceli di appoggiare Di Pietro, o un figlio di Di Pietro, o un cugino di Di Pietro, o la colf di Di Pietro, e soprattutto che non l’abbia poi dichiarato in tribunale. Altrimenti da un mese e mezzo tutti i tg e giornali non parlerebbero d’altro. Porta a Porta andrebbe in onda in versione Telethon non stop. E Il Giornale uscirebbe con allegata una Treccani a dispense sul caso. In alternativa, Di Pietro sarebbe presidente del Senato. Invece niente, silenzio assoluto. La libertà d’informazione e il prestigio delle istituzioni sono salvi.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Pierdalemando
Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2009, 11:35:04 pm
Zorro di Marco Travaglio

Pierdalemando

Oggi ­ annuncia La Stampa - le fondazioni “Italianieuropei” di D’Alema e “Liberal” di Casini lanceranno le loro proposte congiunte per la riforma della giustizia. Anzi, dei giudici, visto che nessuna di quelle anticipate sveltirebbe di un nanosecondo i tempi biblici dei processi, anzi alcune li allungherebbero ancora. La trovata, poi, di studiare la riforma dei giudici col partito di Cuffaro, Cesa, Bonsignore e altri noti galantuomini, partito che nel 2001-2006 ha votato tutte le leggi vergogna berlusconiane, è destinata a entusiasmare l’elettorato Pd. Ma vediamo cosa bolle in pentola.

1) Anziché dai singoli pm, le intercettazioni dovranno essere richieste dai capi delle procure (è più facile controllare 150 procuratori che 2 mila sostituti), rispettando un rigoroso “budget annuale”. Geniale: se la Procura di Palermo arriva a esaurire il budget per gli ascolti a settembre, negli ultimi tre mesi dell’anno sospende la caccia ai mafiosi latitanti. I boss, opportunamente avvertiti, potranno incontrarsi, chiacchierare e telefonare indisturbati fino a Capodanno.

2) Se i giornali raccontano intercettazioni ­ com’è lecito, una volta depositati gli atti ­ gli editori incorreranno nelle sanzioni previste dalla legge 231 sulla responsabilità penale delle imprese: così, per evitare la rovina dell’impresa, nessuno pubblicherà più nulla (a meno che le notizie non facciano comodo agli interessi politici o affaristici dell’editore).

3) Sulla carriera del pm, un’idea ottima e una balzana. Quella ottima è l’obbligo per ciascun magistrato di fare esperienza sia come pm sia come giudice (il contrario della demenziale separazione delle carriere); quella balzana è l’immissione periodica di avvocati nei ranghi della magistratura saltando i concorsi. Non si vede perché mai un laureato in legge, per diventare magistrato, debba sostenere un concorso, e un iscritto all’albo forense no.

4) Netta separazione fra pm e polizia giudiziaria (copyright Violante-Alfano). In pratica il pm se ne resta in ufficio ad aspettare che la polizia gli porti le notizie di reato. E se non gliele porta? Non può sollecitarle o agire d’iniziativa. Così addio alle indagini sui potenti, specie se politici o amici degli amici: le forze di polizia dipendono dal governo e difficilmente indagheranno autonomamente, senza ordini del pm, sui reati di membri o sostenitori o alleati dei governi. Tantomeno sui delitti commessi da poliziotti. Senza gli impulsi dei pm, non avremmo mai avuto i processi per le sevizie degli agenti al G8, per le deviazioni del Sisde, per la mancata cattura di Provenzano da parte del Ros del generale Mori, e così via. La controriforma svuota dall’interno l’indipendenza del pm e anche del giudice, che resterebbero formalmente autonomi, ma non potrebbero più occuparsi dei reati dei colletti bianchi, perché le relative notizie verrebbero bloccate alla fonte. Un abominio incostituzionale.

5) A decidere sulle misure cautelari non sarebbe più un solo Gip, ma un organo di 3 giudici “in contraddittorio con la difesa dell’indagato”, cioè dell’arrestando. Strepitoso: prima di arrestare qualcuno, lo si avverte, così può scappare. E si impegnano tre giudici al posto di uno anche per infliggere l’obbligo di firma. Mentre un solo gip continuerà a infliggere ergastoli col rito abbreviato.

6) Le responsabilità disciplinari dei magistrati vengono affidate a un’Alta Corte di Giustizia esterna al Csm, un plotone d’esecuzione per un solo terzo formato da toghe per due terzi da politici. Così sarà più facile punire i magistrati sgraditi ai politici. D’Alema e gli amici di Casini sanno già dove mettere le mani.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il gran consiglio dei partiti
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2009, 12:38:57 am
Zorro di Marco Travaglio

Il gran consiglio dei partiti


Chissà come hanno dormito i membri della Disciplinare del Csm (Mancino, Saponara, Berruti, Mannino, Cesqui e Fresa) dopo aver fucilato i pm di Salerno, rei di aver disposto un decreto di perquisizione e sequestro a Catanzaro giudicato legittimo dal Riesame, ma sgradito al governo, ai partiti, all'Anm e agli indagati eccellenti di "Why Not".

Il procuratore Apicella viene degradato sul campo, come si fa con i traditori in tempo di guerra: espulso dalla magistratura e privato dello stipendio (salvo un piccolo "assegno di sussistenza"). I sostituti Nuzzi e Verasani vengono cacciati da Salerno. Molto più blando il trattamento riservato alle toghe di Catanzaro: solo trasferiti il Pg Iannelli e il pm Garbati, e soltanto loro; salvi invece i pm Curcio e De Lorenzo, che avevano fatto la stessa cosa illegittima, sequestrando le carte appena sequestrate e indagando i colleghi che indagano su di loro. Curcio e De Lorenzo, sospettati a Salerno di aver insabbiato gran parte di Why Not (abuso, falso e favoreggiamento), potranno continuare l'opera, mentre i pm salernitani dovranno lasciare l'inchiesta sull'insabbiamento.

Ciliegina sulla torta: a Iannelli subentra ad interim l'Avvocato generale Dolcino Favi, colui che scippò Why Not a De Magistris ed è per questo indagato per corruzione giudiziaria. Nessuno ha nemmeno pensato di trasferirlo. Così da oggi è ufficiale: se un magistrato firma un decreto o una sentenza che non piace al governo, viene fulminato dal Csm tra gli applausi dell'Anm. In barba alla Costituzione e alla divisione dei poteri. Che aspettano i magistrati onesti a protestare?

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Consigli di Stato
Inserito da: Admin - Gennaio 23, 2009, 12:54:49 pm
Zorro di Marco Travaglio



Consigli di Stato

Cantava De André: «Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio».

Il Consiglio di Stato, sempre ben consigliato, ha deciso di dare un pessimo esempio con la sentenza che chiude il caso Europa7, riconoscendo a Francesco Di Stefano un risarcimento ridicolo e offensivo: 1 milione per 10 anni di mancati introiti e negate frequenze (quelle occupate abusivamente da Rete4).

Oltre al danno, la beffa di leggere che aveva ragione lui: Rete4 andava spenta dal 2004, invece restò accesa in barba a due sentenze della Consulta e alla perdita della concessione, grazie alla salva-Rete4 e alla Gasparri astutamente confermate dall’Unione anche dopo che la Corte di giustizia europea le giudicò «contrarie al diritto comunitario». Sentenza sollecitata dallo stesso Consiglio di Stato, che ora allegramente la disattende. Di recente il governo Mediaset ha assegnato a Europa7 una frequenza finta. Ma i giudici amministrativi se la son bevuta.

Avendo investito almeno 1 miliardo in 10 anni per allestire studi, acquistare programmi, vincere la concessione ed esser pronto al momento dell’ agognato via libera, Di Stefano aveva chiesto le frequenze che gli spettano per legge e 2 miliardi di danni. Gli han dato 1 milione, il «piccolo risarcimento» di cui parlava da mesi il sempre profetico Confalonieri. Di Stefano ha ragione, ma non deve impicciarsi di tv. Quella è roba dei partiti, e lui non ne ha neppure uno. Quindi prenda la mancetta, si compri le caramelle e la smetta di rompere i coglioni ai padroni d’Italia. O non lo sa che, ormai, si scrivono loro anche le sentenze?

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Quell'incubo chiamato Tonino
Inserito da: Admin - Gennaio 23, 2009, 01:12:33 pm
Marco Travaglio

Quell'incubo chiamato Tonino


A casa Berlusconi sono terrorizzati da Di Pietro. È bastato che toccasse il 15 per cento in Abruzzo perché “Il Giornale” scatenasse una campagna forsennata per gabellarlo come l'epicentro dell'inchiesta “Global Service” a Napoli  A casa Berlusconi devono essere terrorizzati da Di Pietro. È bastato che toccasse il 15 per cento in Abruzzo e collezionasse un milione di firme contro la legge Alfano, perché ?Il Giornale? di famiglia diretto da Mario Giordano scatenasse una campagna forsennata per gabellarlo come l'epicentro dell'inchiesta Global Service a Napoli.

Peccato che, a parte un paio di sciagurate raccomandazioni tentate dal figlio Cristiano, l'ex pm sia del tutto estraneo all'indagine, che coinvolge invece gente del Pd e del Pdl.
Dal 19 dicembre all'11 gennaio Il Giornale gli ha dedicato titoloni in 17 prime pagine su 21, mentre in Italia e nel mondo accadeva di tutto. Fior da fiore, fra i titoli più succulenti:  Tutti gli intrallazzi del clan Di Pietro;
Gasparri: Di Pietro coniglio;
Rivolta dei fan di Di Pietro;
Di Pietro jr. si dimette, ora tocca a Tonino;
Bondi: non vorrei mai mio figlio in politica;
Di Pietro, il giallo dei rimborsi elettorali;
Di Pietro nei guai vuol depistare e sforna referendum;
La verità sulle case di Di Pietro?.

Come se i presunti intrallazzi su rimborsi e immobili non fossero già stati archiviati dal Gip di Roma il 14 marzo 2008.

Il Giornale anzi scrive il contrario: «La Procura decise di rinviare a giudizio anche la tesoriera di Idv, Silvana Mura», più Di Pietro. Invece la Procura chiese di archiviarlo, mentre la Mura non fu nemmeno indagata. In fatto di case, poi, gli editori di nome e di fatto dovrebbero suggerire al Giornale un pizzico di prudenza. Paolo Berlusconi confessò proprio a Di Pietro le stecche pagate alla Cariplo per rifilarle tre immobili Edilnord invenduti (alla fine fu ritenuto concusso). E sulle magioni di Silvio c'è materia per una Treccani. La villa di Arcore soffiata a prezzi stracciati a un'orfana minorenne, per giunta assistita da Previti. Il falso in bilancio amnistiato per i terreni di Macherio.
Gli abusi edilizi a Villa Certosa, sanati dal condono varato dal padrone di casa. Eppoi questa campagna ne ricorda un'altra, sferrata nel 1995-97 sempre dal Giornale, allora diretto da un maggiorenne, Vittorio Feltri. Di Pietro minacciava di entrare in politica con un partito tutto suo, dopo aver respinto le offerte di destra e sinistra.


Il 23 dicembre '95 l'house organ sparò in prima pagina un'intervista al faccendiere craxiano latitante Maurizio Raggio: Dal Messico gravi accuse a Di Pietro. Raggio: Pacini Battaglia diede una valigetta con 5 miliardi a Lucibello per Di Pietro. E così per due anni: corrotto, concussore, venduto. Nel '97, subissato di cause perse in partenza, Paolo risarcì l'ex pm con 400 milioni di lire. Feltri si scusò in prima pagina: Caro Tonino, ti stimavo e non ho cambiato idea. In seconda e terza pagina un lungo autodafè (Dissolto il grande mistero: non c'è il tesoro di Di Pietro) informava i lettori che «Di Pietro è immacolato», la campagna del Giornale era una «bufala», una «ciofeca». E la nota provvista miliardaria Mai esistita.
Ma ormai l'immagine del simbolo di Mani Pulite era devastata. Infatti ora si replica.

(22 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il padrone delle parole
Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2009, 04:29:01 pm
Marco Travaglio.


Il padrone delle parole


 Silvio BerlusconiUn anno fa cadeva il governo Prodi e l'Italia precipitava nelle elezioni anticipate. Tv e giornali non parlavano che di criminalità in aumento vertiginoso, immigrati clandestini in ogni dove e tasse in crescita incontrollabile. Tutta colpa del centrosinistra, ovviamente. Oggi la criminalità è davvero in salita (nel 2007 era in calo), gli sbarchi di clandestini sono raddoppiati, il gettito fiscale segna il nuovo record nonostante l'abolizione dell'Ici ai ricchi. Ma siccome Berlusconi, il padrone delle parole, non vuole (ora governa lui), non ne parla nessuno. Ecco, se il Pd si deciderà a stilare il bilancio del suo primo anno di vita (si fa per dire) sperando che al primo ne segua un secondo, dovrà partire di qui: dalla desolante incapacità di imporre i propri temi forti all'attenzione dei media e dunque dell'opinione pubblica.

In una parola: di dettare la sua agenda. Finora nessuno l'ha capito, quale sia la sua agenda. Tant'è che il 50 per cento dei suoi elettori si dicono tentati da Di Pietro, che batte su poche idee, popolari e comprensibili: legalità, sicurezza, opposizione dura. Proprio su questi fronti il Pd perse le elezioni politiche e le comunali a Roma. La settimana precedente il ballottaggio Alemanno-Rutelli, le reti Mediaset cavalcarono lo stupro di un'africana alla Storta e l'omicidio di un'anziana ai Parioli, attribuendoli al "lassismo della sinistra". Il 20 aprile il Tg5 riuscì a dedicare sei servizi all'"ermergenza criminalità", l'Italia come un film di Dario Argento. E il Tg1 di Riotta, sempre a vento, non fu da meno. Per com'è congegnata la cosiddetta informazione politica in tv, che pende dalle labbra dei politici, era inevitabile: tutto il Pdl, come un sol uomo, si mise a cannoneggiare sull'"emergenza criminalità", e le tv dietro. Ora a Capodanno Roma è stata funestata da una serie di delittacci, compreso lo stupro a una festa patrocinata dal Comune alla Fiera.


Ma nessuno l'ha notato: il governo comprensibilmente taceva, la presunta opposizione era troppo impegnata a guardarsi l'ombelico e a blaterare delle solite astruserie politichesi: il caso Villari, il dialogo sulla giustizia, l'arrapante dilemma delle alleanze (Casini o Di Pietro?). Lo stesso è avvenuto con gli strepitosi assist regalati dal governo con i pasticciacci dell'Alitalia, della scuola, della social card: tutte occasioni sprecate, lasciate cadere con qualche frasetta qua e là, per non dispiacere ai sapientoni 'riformisti' e corrieristi che consigliano un'opposizione pallida, possibilmente invisibile. Ormai il Pd è sotto il 25 per cento: ha perso 10 punti in un anno, avendo contro il peggior governo mai visto (che perde punti anch'esso). Che aspetta Uòlter a elaborare una strategia di comunicazione? Una purchessia: un paio di idee e slogan originali che 'bùchino', un pizzico di sano populismo che scaldi i cuori degli elettori depressi e offra ai delusi del centrodestra la percezione che c'è vita oltre la siepe. O almeno l'illusione.

(23 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Scuola di giornalismo
Inserito da: Admin - Gennaio 26, 2009, 10:02:56 pm
Zorro di Marco Travaglio



Scuola di giornalismo



Annozero trasmette tutte le intercettazioni che chiamano in causa Di Pietro jr. e due uomini Idv per alcune raccomandazioni, ma pure vari esponenti Pd e Pdl per associazione a delinquere. Il Giornale di casa Berlusconi titola: «Santoro beatifica Di Pietro». Di Pietro dice che il figlio Cristiano «non è imputato di niente e non ha ricevuto avvisi di garanzia». Infatti è iscritto nel registro indagati come «atto dovuto» (parole della Procura), ma non ha ricevuto avvisi e per essere imputato dovrebbe subire una richiesta di rinvio a giudizio. Il Giornale di casa Berlusconi titola: «Di Pietro racconta bugie in diretta». Di Pietro dice di aver trasferito nel luglio 2007 il provveditore alle opere pubbliche di Napoli, Mario Mautone, perché «chiacchierato» in base a esposti e indagini interne da lui affidate al capitano Scaletta, senza saper nulla dell'inchiesta di Napoli. Il Giornale di casa Berlusconi intervista Scaletta: «Di Pietro fa riferimento a lei sulle circostanze intorno alla fuga di notizie su Mautone. Ha rivelato lei a Di Pietro che il provveditore era sotto inchiesta?». Scaletta ovviamente risponde di no: Di Pietro non ha mai detto che Scaletta o altri l'abbiano informato dell'inchiesta. Dunque Scaletta conferma Di Pietro. Il Giornale di casa Berlusconi titola a tutta prima pagina: «Di Pietro smentito anche dal suo 007. L'ultima versione di Tonino su Mautone: ho saputo che era indagato dai miei ispettori. Il capo della squadra: 'Non gli ho mai detto niente del genere'. E non è l'unica bugia». Infatti ci sono le balle quotidiane del Giornale di casa Berlusconi.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Europa7, quello strano caso
Inserito da: Admin - Gennaio 27, 2009, 10:11:29 am
Europa7, quello strano caso

di Marco Travaglio


Tutto comincia nel 1996. Il ministro delle Comunicazioni del governo Prodi, Antonio Maccanico, presenta il ddl 1138 con una norma antitrust: entro il 28 agosto, come ha stabilito nel 1994 la Corte costituzionale, Mediaset dovrà cedere una rete o mandarla sul satellite. Ma subito dopo annuncia un decreto salva-Rete4: proroga di 5 mesi in attesa della riforma complessiva del sistema, che non arriverà mai, bloccata dall’ostruzionismo della destra in commissione Lavori pubblici e Telecomunicazioni del Senato (presidente Claudio Petruccioli). A fine anno la proroga di agosto sta per scadere. Ma niente paura: Maccanico ne concede un’altra. Intanto D’Alema diventa presidente della Bicamerale coi voti di Forza Italia: due anni di inciucio sfrenato.
Il Parlamento approva una piccola parte della riforma Maccanico: nessun operatore può detenere più del 20% delle frequenze nazionali, dunque Rete4 è di troppo. Ma a far rispettare il tetto dovrà essere la nascente Agcom, e solo quando esisterà “un effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei programmi via satellite o via cavo”. Solo allora Rete4 andrà su satellite e Rai3 trasmetterà senza spot. Cioè mai. Che vuol dire «congruo sviluppo» del satellite? Nessuno lo sa.

Nell’ottobre ’98 cade il governo Prodi, rimpiazzato da D’Alema. L’Agcom presenta il nuovo piano per le frequenze e bandisce la gara per rilasciare le 8 concessioni televisive nazionali che si divideranno le frequenze analogiche disponibili, in aggiunta alle tre reti Rai. Oltre a Mediaset e Tmc, si presenta un outsider: Francesco Di Stefano, imprenditore abruzzese proprietario di un network di tv locali: Europa7. La commissione ministeriale esamina le offerte e stila la graduatoria: Canale5, Italia1, Rete4, Tele+ bianco, Tmc, Tmc2, Tele+ nero, Europa7. Quest’ultima è 8° in totale, ma addirittura 1° per qualità dei programmi. E passerà al 6° posto appena Rete4 e Tele+nero traslocheranno su satellite dopo il famoso “congruo sviluppo” delle parabole. Il 28 luglio ‘99 un decreto del governo D’Alema le assegna la concessione. Di Stefano apre un mega-centro produzione di 22 mila mq sulla Tiburtina, 8 studi di registrazione, uffici, library di 3mila ore di programmi e tutto quanto occorre per una tv nazionale con 700 dipendenti. Non sa che sta iniziando un calvario infinito: diversamente che per le altre reti, già attive da anni, il decreto ministeriale non indica le frequenze di Europa7: sono occupate da Rete4 e Tele+ nero.

Nel 2002 si rifà viva la Consulta: basta proroghe a Rete4, che dovrà emigrare su satellite entro il 1° gennaio 2004. Così le frequenze andranno a Europa7. Ma Berlusconi, tornato al governo, salva la sua tv con la legge Gasparri: il tetto del 20% va calcolato sui programmi digitali e le reti analogiche, cioè sull’infinito. Dunque Rete4 non eccede la soglia antitrust e può restare dov’è. Il 16 dicembre 2003, però, Ciampi respinge la legge al mittente. Ma a fine anno Berlusconi firma il decreto salva-Rete4: altri 6 mesi di proroga. Intanto scatta la Gasparri-2: per mantenere lo status quo in barba alla Consulta, si stabilisce che nel 2006 entrerà in vigore il digitale terrestre moltiplicando i canali per tutti e vanificando ogni tetto antitrust. Nel frattempo i «soggetti privi di titolo» che occupano frequenze in virtù di provvedimenti temporanei, cioè a Rete4, possono seguitare a trasmettere. Chi ha perso la gara (Rete4) vince, chi ha vinto la gara (Europa7) perde. Di Stefano non demorde. Respinge gl’inviti a ritirarsi o a “mettersi d’accordo” e nel luglio 2004 si rivolge al Tar Lazio. Che però nel 2005 gli dà torto. Si va al Consiglio di Stato, per avere le frequenze negate e un risarcimento danni di 2 miliardi di euro (con le frequenze) o di 3 (senza). Il Consiglio di Stato passa la palla alla Corte di giustizia europea di Lussemburgo perchè valuti la compatibilità delle norme italiane con il diritto comunitario.
Nel maggio 2006 il centrosinistra torna al governo. Ma non fa nulla per sanare l’illegalità legalizzata dai berluscones. E si guarda bene dal modificare le regole d’ingaggio all’Avvocatura dello Stato, che seguita a difendere la Gasparri in Europa. Come se governasse ancora Berlusconi.

Il 31 gennaio 2008, finalmente, la sentenza della Corte di Lussemburgo: le norme italiane che consentono a Rete4 di trasmettere al posto di Europa7 sono “contrarie al diritto comunitario”, dunque illegali: la Maccanico, il salva-Rete4, la Gasparri,ma anche il nuovo ddl Gentiloni.Tutte infatti concedono un infinito“regime transitorio” a Rete4, che va spenta subito, dando a Europa7 ciò che è di Europa7. Le norme comunitarie “ostano a una normativa nazionale che impedisca a un operatore titolare di una concessione di trasmettere in mancanza di frequenze assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”. Uno tsunami che spazza via vent’anni di tele-inciuci. O almeno dovrebbe.

La sentenza è immediatamente esecutiva e il governo Prodi –pur dimissionario- dovrebbe applicarla ipso facto. Ma il ministro Gentiloni ci dorme sopra, e intanto finisce anticipatamente la legislatura. Quella nuova si apre con un’ennesima legge salva-Rete4, poi ritirata da Berlusconi. Non ce n’è più bisogno. Il governo assegna a Europpa7 una frequenza della Rai, peraltro inattiva. Ma l’altro giorno il Consiglio di Stato, dopo 10 anni di soprusi, si beve anche l’ultima truffa.
Ed emette la sentenza-beffa: Europa7 ha ragione (Rete4 andava spenta fin dal 2004). Ma ha diritto alla miseria di 1.041.418 euro di danni, anche perché "non poteva ignorare i caratteri specifici della situazione di fatto nella quale maturò il bando": avrebbe dovuto "dubitare seriamente" che le frequenze gliele dessero davvero e rassegnarsi, abbandonando il settore tv, anziché proseguire la battaglia legale. Dove si credeva di vivere, questo ingenuo signore: in una democrazia?

23 gennaio 2009
da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Chi è Stato
Inserito da: Admin - Gennaio 29, 2009, 09:16:26 am
Zorro di Marco Travaglio

Chi è Stato


L’altro ieri, a Sky, l’on.avv.imp. Gaetano Pecorella interloquiva con Gioacchino Genchi a proposito del presunto scandalo del suo inesistente archivio. Genchi spiegava di non possedere alcun archivio, di non aver mai intercettato nessuno e di aver sperimentato un metodo che consente di sventare stragi, risolvere omicidi impuniti e scagionare innocenti (fra cui due clienti dell’On.Avv.Imp.).

Il noto garantista però insisteva. Come se fosse Genchi a dover dimostrare di non aver violato la legge, e non chi l’accusa a provare il contrario. L’On. Avv. Imp. domandava sprezzante a che titolo «un privato» conservi tabulati telefonici. Genchi notava di non essere «un privato», ma un vicequestore di polizia da 25 anni al servizio dei magistrati. Un «servitore dello Stato». E qui Pecorella lo guardava tra l’incredulo e lo sbigottito, anche perché lui - come avvocato e come deputato – ha sempre servito il cliente che lo paga meglio.

Quello che definisce la giustizia «un cancro da estirpare», accusa la sinistra di essere «collusa con la giustizia» e ora ce l’ha pure con Giulia Bongiorno, avvocato di An e presidente della commissione Giustizia, perché non vuol abolire le intercettazioni e dunque viene linciata dal solito mechato sull’apposito Giornale per collaborazionismo coi magistrati. Come se questi intercettassero per sfizio. La Bongiorno ha risposto così: «Mi allarmerei se mi accusassero di stare dalla parte dei mafiosi: stare con i magistrati non mi pare un insulto». È bello sapere che, a destra, sopravvive qualcuno che sa cos’è lo Stato. Ora si attende la sinistra.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Silenzi casalesi
Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2009, 10:45:13 pm
Zorro di Marco Travaglio

Silenzi casalesi


A proposito di silenzi omertosi, anzi mafiosi: l´altroieri la Camera ha bocciato la mozione dell´opposizione Pd-Idv-Udc che chiedeva gentilmente al governo di «invitare alle dimissioni il sottosegretario all´Economia Nicola Cosentino», Pdl, accusato da sei pentiti del clan dei Casalesi (vedi la grande inchiesta dell´Espresso) e indagato per camorra dalla Dda di Napoli, in quanto «lede gravemente non solo il prestigio del governo, ma anche la dignità del Paese».

La mozione era firmata dai capigruppo del Pd Antonello Soro, dell´Idv Massimo Donadi e dell´Udc Michele Vietti, oltreché dagli on. Sereni, Bressa, Ciriello e Garavini. Quest´ultima, una maestra elementare eletta con gli italiani all’estero, ha illustrato la mozione in aula. Purtroppo però le astensioni e le assenze nelle file del Pd han superato quelle del Pdl e salvato l’ottimo Cosentino. Mozione respinta con 236 no (Pdl più Lega), 138 sì e 33 astensioni.

Decisivi dunque i 26 astenuti Pd (fra i quali Cuperlo, Madia e i radicali), i 47 Pd usciti dall’aula perlopiù solo per quella votazione e poi subito rientrati (compresi Enrico Letta, il ministro molto ombra della Giustizia Lanfranco Tenaglia e perfino Marina Sereni, firmataria della mozione stessa), i 22 Pd assenti ingiustificati (compresi D´Alema, Gentiloni e Veltroni, che sull´Espresso aveva chiesto le dimissioni di Cosentino) e i 2 Pd addirittura contrari (fra cui il tesoriere Ds Ugo Sposetti).

Erano troppo impegnati a salvare le istituzioni repubblicane minacciate da un paio di migliaia di persone in piazza Farnese.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Siete ridicoli/2
Inserito da: Admin - Febbraio 01, 2009, 11:43:34 pm
Zorro di Marco Travaglio



Siete ridicoli/2



Il Copasir, che dovrebbe controllare i servizi segreti e invece s’impiccia di indagini in corso, ha torchiato il giudice De Magistris e il suo ex consulente Genchi. Fortuna che i due si sono attenuti al segreto sulle vicende top secret, perché poche ore dopo le loro parole, debitamente distorte, erano già su tutti i giornali. In barba al segreto cui è tenuto il Copasir. Corriere e Repubblica hanno scritto che De Magistris «scarica» e «prende le distanze» da Genchi. Falso. Delle due l’una: o chi ha spifferato illegalmente la notizia mente sapendo di mentire, o non capisce quel che ha ascoltato.
Più probabile la seconda, vista la crassa ignoranza dilagante su intercettazioni e tabulati. Gli onorevoli del Copasir domandano scandalizzati come mai si siano acquisiti tabulati di persone non indagate: non sanno che la legge consente pure di intercettarli, i non indagati (nei sequestri di persona si controllano i telefoni dei familiari dell’ostaggio). Altri han domandato a De Magistris se avesse chiesto lui a Genchi di acquisire questo o quel tabulato. L’ex pm ha risposto che i tabulati da acquisire li proponeva Genchi, esattamente come, nelle indagini per riciclaggio, è il consulente finanziario a chiedere questo o quel conto bancario. A questo servono i consulenti tecnici: a suggerire, da esperti, al pm le mosse giuste per acchiappare una prova. Il pm, fidandosi di loro, li autorizza. Dunque De Magistris ha ribadito la sua totale fiducia in Genchi. Titolo dei giornali: «De Magistris scarica Genchi». Forse ci vorrebbero dei consulenti tecnici anche per i giornali.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Caso Sanjust, Berlusconi esce indenne. Archiviato
Inserito da: Admin - Febbraio 02, 2009, 05:43:41 pm
Caso Sanjust, Berlusconi esce indenne. Archiviato

di Marco Travaglio


Silvio Berlusconi esce indenne da un altro processo: quello aperto a suo carico dal Tribunale dei ministri di Roma per «abuso d’ufficio e maltrattamenti commessi da soggetto investito di autorità» (cioè per mobbing) ai danni di un agente del Sisde, Federico Armati, figlio di un noto magistrato romano, che l’aveva denunciato il 29 gennaio 2008, attribuendo i suoi guai professionali alla relazione sentimentale avviata dal premier con la sua ex moglie Virginia Sanjust di Teulada, giovane annunciatrice Rai, figlia dell’attrice Antonellina Interlenghi.

Il 26 gennaio i giudici Anna Battisti, Andrea Fanelli e Paolo Emilio De Simone hanno archiviato il caso, accogliendo le due richieste avanzate dal pm il 13 febbraio e il 6 novembre 2008. Il processo era proseguito nonostante la legge Alfano, che copre soltanto i reati contestati alle alte cariche dello Stato al di fuori dell’esercizio delle funzioni, ma non quelli “funzionali”.

E il Cavaliere era indagato, appunto, per aver abusato del suo potere in veste di capo del governo. Secondo i giudici, «la notizia di reato a carico del Presidente del Consiglio in carica all’epoca dei fatti, Berlusconi Silvio, deve ritenersi nel suo complesso infondata o comunque non supportata da idonei elementi atti a sostenere l’accusa in un eventuale giudizio di merito, per cui ne va disposta l’archiviazione». La motivazione, logicamente faticosa e scritta in un italiano incerto, lardellato di errori grammaticali e sintattici, dichiara dimostrata soltanto la «stretta relazione intrecciata» dal Cavaliere con Virginia, peraltro ormai stranota da quando i giornali pubblicarono la denuncia di Armati.

Tutto cominciò nella penultima legislatura, anno 2003, quando Berlusconi andò in tv a presentare la sua politica economica, e lì conobbe l’annunciatrice, perdendo la testa per lei. Un mazzo di fiori, un biglietto galante, un invito a pranzo a Palazzo Chigi, una storia durata mesi fino all’acquisto da parte di una società del focoso Cavaliere (Immobiliare Idra) dell’appartamento in piazza Campo de’ Fiori abitato dalla ragazza che prima lo affittava.

Nel novembre 2003 Armati ottiene l’agognata promozione a funzionario del Sisde. Poi nel 2004 divorzia da Virginia, che entra in aspro conflitto con lui a proposito dell’affidamento del figlio minore e – secondo Armati – nel mese di settembre lo minaccia di farlo “rovinare”, ridurre sul lastrico, per “farlo diventare così povero da non poter più accudire e tenere con sé il bambino”. Un anno dopo Armati, dopo vari “maltrattamenti, vessazioni e azioni di mobbing” inflittigli – a suo dire - dai superiori su pressione del premier, viene improvvisamente trasferito dal Sisde al ministero della Giustizia, dove avrebbe guadagnato un terzo dello stipendio precedente. «Un trasferimento punitivo», dice lui. A quel punto l’agente segreto minaccia di denunciare tutto alla magistratura e ai giornali, in piena campagna elettorale: quella in vista delle elezioni dell’aprile 2006, che vedeva Berlusconi in svantaggio sull’Unione di Prodi.

Così il 1° aprile 2006 il trasferimento viene revocato in fretta e furia e Armati, con due colleghi, viene assegnato al Cesis dove tuttoggi presta servizio. Il Tribunale dei ministri ha ascoltato il prefetto Del Mese, tagliando gli altri testimoni indicati dal denunciante. E Del Mese avrebbe fornito «una chiara spiegazione di quanto accaduto all’Armati», portato al Cesis per rimpinguarne gli organici allo scopo, addirittura, di «affrontare nuove minacce terroristiche» con l’apporto di «professionalità maggiormente operative»: più che dal timore della denuncia di Armati e dalla «volontà del premier di evitare lo scandalo», influì nel reintegro dell’agente la volontà di Mori di «valorizzare la sua professionalità» (!).

Insomma, secondo i giudici, il caso Sanjust non c’entra nulla: i «nominativi assegnati al Cesis furono indicati da Mori», non da Berlusconi. Il Tribunale conclude che è «arduo ritenere i dissapori e i contrasti esistenti tra Armati e la sua ex moglie, la quale contestualmente a tali fatti aveva indubbiamente stretto una relazione personale con il presidente del Consiglio in carica (per come pare desumersi in maniera pressochè univoca dalla documentazione allegata alla querela e, segnatamente, dalla documentazione bancaria, dalle dichiarazioni della Sanjust in altro procedimento penale, nonché dai vari passaggi di proprietà della casa familiare di piazza Campo de’ Fiori), possano aver determinato e deciso le sorti lavorativo-professionali del medesimo denunciante».

Le presunte minacce della Sanjust sarebbero troppo lontane (“oltre un anno”) dal trasferimento dell’ex marito dal Sisde al ministero per poter collegare i due fatti. I trasferimenti di Armati furono siglati da Mori, Del Mese e Letta (peraltro “delegato dal premier”), e non da Berlusconi, anche se costoro erano «in linea puramente teorica influenzabili» dal Cavaliere. Eppoi Armati non fu il solo a essere trasferito, il che smentirebbe un “trattamento speciale” nei suoi confronti. È vero che Berlusconi, visti i suoi legami con la Sanjust, poteva aver interesse ad assecondarne i capricci; ma la nuova legge sull’abuso d’ufficio gli avrebbe imposto di astenersi dal decidere sull’ex marito della donna solo «in presenza di un interesse proprio o di un proprio congiunto», appartenente alla sua «cerchia familiare, nella quale non può essere ricompresa anche la persona che, sebbene priva di legami parentali col pubblico ufficiale, abbia con quest’ultimo instaurato uno stretto legame».

Quanto al presunto mobbing, è vero che i dipendenti dei servizi sono «sottoposti all’autorità del premier», ma “in concreto” Armati dipendeva da Mori.
E comunque le angherie da lui denunciate non presentano quei “caratteri di frequenza e durata nel tempo” necessari per far scattare il reato.
Ergo, il Tribunale dei ministri «dichiara non doversi promuovere l’azione penale nei confronti di Berlusconi Silvio».

02 febbraio 2009
da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Tecnica di un colpo di Stato
Inserito da: Admin - Febbraio 09, 2009, 08:57:15 am
Zorro di Marco Travaglio

Tecnica di un colpo di Stato

A lui non frega nulla di Eluana.

A lui interessa affermare il principio che una sentenza definitiva può essere ribaltata per decreto, o per legge ordinaria, o per legge costituzionale. A lui non frega nulla della vita e della morte. A lui interessa compiacere il Vaticano con un decreto impopolare ma a costo zero, fatto già sapendo che il Quirinale non lo firmerà, dunque senza pagare alcun prezzo di impopolarità. A lui non frega nulla delle questioni etiche.

A lui interessa coprire il colpo di mano contro la giustizia e la civiltà: i medici trasformati in questurini e delatori contro i malati clandestini; le ronde illegali legalizzate; le intercettazioni legali proibite; gli avvocati promossi a padroni del processo, che faranno durare decenni convocando migliaia di testimoni inutili per procacciare ai clienti ricchi l'agognata prescrizione; i pm degradati ad «avvocati dell’accusa», come negli stati di polizia, dove appunto la polizia, braccio armato del governo, fa il bello e il cattivo tempo senza controlli della magistratura indipendente; dulcis in fundo, abolito l'appello del pm contro l'assoluzione o la prescrizione in primo grado, ma non quello del condannato (non hai vinto? Ritenta, sarai più fortunato), sempre all'insegna della «parità fra difesa e accusa».

Tutte leggi incostituzionali che, dopo il no del Quirinale al decreto contra Eluanam, hanno molte possibilità in più di passare. Per giunta, inosservati. Parlare di colpo di Stato è puro eufemismo. E poi, che sarà mai un colpo di Stato? Se la Costituzione non lo prevede, si cambia la Costituzione.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Morta a morta
Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2009, 12:39:45 am
Zorro di Marco Travaglio

Morta a morta


Si dice che gli uomini si svelano fino in fondo solo di fronte alla morte. È stato così anche di fronte alla morte di E.E. (come Michele Serra, non voglio neppur nominare quella povera ragazza usata come scudo umano dai peggiori avvoltoi).

Che ha costretto politici e giornalisti a dare il meglio o il peggio di sé. Berlusconi ha mostrato fino all'ultimo quanto gl'interessasse «salvare una vita»: dopo l'assalto al Colle, ora confida al fido Minzolini: «Abbiamo tutto l'interesse ad andar d'accordo con Napolitano, potrebbe crearci problemi»: per esempio non firmare le leggi incostituzionali sulla giustizia.

Intanto le sue tv, che lui controlla fotogramma per fotogramma, hanno sciacallato finchè han potuto, poi han mandato in onda quattro ore di «Grande Fratello». Così Canale 5 ha fatto il pieno di ascolti e di introiti pubblicitari e Mentana è rimasto in naftalina, per non disturbare Vespa.

Il quale, un'ora dopo la morte di E.E., aveva già riaperto il set di Cogne, di Erba e di Perugia, con qualche ritocco ad hoc per evitare confusioni, ma sempre sul filone «giallo». Infatti, al secondo minuto di «Morta a Morta», c'era già un «esperto» che lanciava sospetti sulle «vere cause» del decesso e invocava «esami tossicologici» per trovare le prove dell'omicidio.

Fatica sprecata: bastava interpellare Quagliariello, Gasparri, Fede o Giordano, che l'assassino l'han già scovato da giorni: Napolitano o, in alternativa, Peppino. Mancava solo il plastico della clinica «La Quiete», ma gli scenografi dell'insetto necrofilo ci stanno lavorando. Poi dice che uno guarda il Grande Fratello.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Autobavaglio
Inserito da: Admin - Febbraio 14, 2009, 12:14:10 pm
Zorro di Marco Travaglio

Autobavaglio

Il Parlamento sta allegramente abolendo il diritto di cronaca. I giornalisti non potranno più pubblicare, nemmeno in maniera «parziale o per riassunto o nel relativo contenuto, atti di indagine preliminare, nonché quanto acquisito al fascicolo del pm o del difensore, anche se non sussiste più il segreto» fino al processo, che di solito inizia 4-5 anni dopo le indagini. Se lo fanno, rischiano l’arresto fino a 1 anno o una multa fino a 10 mila euro. Con questa porcata, non sapremmo ancora nulla del perché degli arresti di politici napoletani nello scandalo Romeo, del governatore De Turco, del sindaco D’Alfonso, di Angelucci, ma anche dei giovinastri che hanno stuprato ragazze e incendiato immigrati a Roma e dintorni (per citare gli ultimi fatti).
Niente di niente: né le tesi dell’accusa, né quelle della difesa. Così, se ci sono errori giudiziari, la stampa non potrà più svolgere la sua funzione di controllo. E, se ci sono prove schiaccianti di condotte scorrette di personaggi pubblici, non si potrà mandarli subito fuori dai piedi (come si fece con Fazio, Fiorani, Moggi, Saccà). Bruno Vespa esulta: «Ho sempre usato intercettazioni di vicende giunte a dibattimento». Balle: un mese fa dedicò un intero Porta a Porta alle telefonate del caso Romeo. Ma sentite quest’altra, che è strepitosa: «Bisogna evitare di processare le persone in tv prima che lo facciano i giudici». A parte i processi di Cogne, Erba, Rignano Flaminio, Garlasco e Perugia, celebrati e ricelebrati in anteprima a Porta a Porta, l’insetto ha ragione: lui, prima del processo, processa direttamente i giudici.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Come t'invento il vilipendio
Inserito da: Admin - Febbraio 22, 2009, 03:25:28 pm
Marco Travaglio


Come t'invento il vilipendio


La vicenda del presunto vilipendio del capo dello Stato da parte di Antonio Di Pietro si è rivelata, più che un equivoco, una figura barbina per l'Unione Camere Penali  Antonio Di PietroBei tempi, quando la Lega Nord voleva "abolire i reati di opinione, residui del codice fascista". Ora il ministro leghista Maroni querela 'Famiglia Cristiana' che ha definito "razzista" non lui, ma una norma dell'ennesimo pacchetto sicurezza. E Gasparri, il noto stilnovista che definisce "cloaca" il Csm, dà il benvenuto a Obama dicendo che "la sua elezione farà contenta Al Qaeda" e incolpa Napolitano per la morte di Eluana, fa fuoco e fiamme per una vignetta di Vauro. Ma in questo revival di intolleranza colpisce la vicenda del presunto vilipendio del capo dello Stato da parte di Antonio Di Pietro durante la manifestazione del 28 gennaio in piazza Farnese. L'epilogo è noto: la fulminea richiesta di archiviazione della Procura di Roma, cui è bastato ascoltare il discorso integrale del leader dell'Idv per stabilire che s'è trattato di un gigantesco "equivoco".

Più che un equivoco, una figura barbina per l'Unione Camere Penali, che aveva denunciato l'ex pm per aver definito "omertoso e mafioso" il Quirinale. Ma, soprattutto, una figuraccia per l'intera stampa italiana, che aveva avallato quell'assurda interpretazione pur disponendo del filmato del discorso. Bastava un'occhiata per scoprire che Di Pietro aveva "rispettosamente" criticato il Quirinale per la firma al Lodo Alfano e più avanti, a proposito degli scandali che si susseguono in Parlamento, aveva aggiunto: "Il silenzio uccide, è un comportamento mafioso, per questo voglio dire quel che penso".

Parlava del proprio eventuale silenzio, non di quello di altri. Ma un'agenzia di stampa, manipolando e associando le due frasi, aveva scatenato una piccata quanto irrituale replica del Quirinale alle presunte "espressioni offensive" che in piazza nessuno aveva pronunciato. Col solito strascico di dichiarazioni sdegnate di politici di destra, centro, sinistra e persino dell'Idv, tutti ignari di quanto realmente accaduto.


Così la bufala aveva iniziato a galoppare travolgendo ogni rettifica e rimbalzando di tg in tg, di sito in sito, di giornale in giornale. 'Corriere della Sera': "Attacco al Colle, bufera su Di Pietro", "Una brutta deriva". 'Libero': "La mafia di Di Pietro. Accusa il Quirinale di atteggiamenti degni di Cosa Nostra". 'Il Giornale': "Questi han perso la testa. L'ex pm dà del mafioso a Napolitano". 'Il Riformista': "Vergogna Di Pietro. Definisce mafioso il comportamento di Napolitano".

Nel 2004 uno studio dell'Isimm, commissionato dalla Vigilanza Rai, accertò che "la maggior parte delle notizie politiche dei tg nasce dalle dichiarazioni dei politici": Tg1, Tg2 e Tg3 dedicano il 62,4 per cento dello spazio alle dichiarazioni dei politici, il 28,2 alle notizie e solo il 9,4 ai contenuti. In Francia la proporzione è di 23, 21 e 54; in Spagna di 20, 45 e 35; in Germania di 32, 49 e 19. In Italia insomma la notizia non è quel che accade nella realtà, ma ciò che dicono i politici. E se ciò che dicono i politici non corrisponde alla realtà, è sbagliata la realtà.

(20 febbraio 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - L'articolo Battista, il Corriere!
Inserito da: Admin - Marzo 06, 2009, 12:00:52 am
Zorro

di Marco Travaglio


L'articolo Battista, il Corriere!


Il vicedirettore del Corriere, Pierluigi Battista, se la prende con Federazione della stampa e Ordine dei giornalisti (dimenticando prudenzialmente la Federazione editori) che osano contestare la legge-bavaglio: quella che vieta di raccontare le indagini in corso, «anche se non sussiste più il segreto». A lui il bavaglio piace da matti (anche se non ne ha bisogno), in nome del «diritto alla riservatezza» e «a non vedere distrutta la reputazione»: forse ignora che il primo diritto è già tutelato dalla legge sulla privacy del ’96 e il secondo dal Codice penale, che fin da Zanardelli punisce la diffamazione.

«Avete una pallida idea ­ si legge nello psichedelico articolo - di come sia rigidamente applicato il diritto alla riservatezza in Gran Bretagna?».

Sì, l’abbiamo.

I tabloid inglesi pubblicarono financo le telefonate («vorrei essere il tuo tampax») del principe Carlo con Camilla, registrate illegalmente da un maggiordomo.

E nel 2008 il governo Brown ha comunicato che nel Paese s’intercettano 1000 nuove persone al giorno, a opera di ben 653 organismi: non solo servizi e polizia, ma pure uffici finanziari e fiscali, direttori di carceri, comuni, poste, servizio ambulanze e pompieri.

In Italia si fanno (e si pubblicano) solo quelle disposte dai giudici. Poi c’è lo spionaggio illegale. Come quello su migliaia di persone a opera di Giuliano Tavaroli, capo della security Telecom di Tronchetti Provera, azionista del Corriere. Tra gli spiati c’era un vicedirettore del Corriere, Massimo Mucchetti.

L’altro vicedirettore, invece, ha difeso Tronchetti Provera: indovinate chi è.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Silvio, Agostino e il Comma 22
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2009, 12:29:41 am
Marco Travaglio


Silvio, Agostino e il Comma 22


 Silvio BerlusconiDopo la fantasmagorica richiesta di archiviazione della Procura di Roma per l'inchiesta su Silvio Berlusconi e Agostino Saccà, vien da chiedersi perché il premier non si rilassi e continui a martellare le toghe. Sono dieci anni che, a parte pochi cani sciolti, decine di giudici di ogni ordine e grado fanno i salti mortali per salvarlo da se stesso. Nella famosa telefonata del 2007 Berlusconi raccomanda a Saccà cinque ragazze per Raifiction, "poi ti ricambierò dall'altra parte quando sarai un libero imprenditore". Ma, nelle cinque paginette della Procura già demolite da Marco Lillo sul sito dell''Espresso', si legge che "non vi è certezza del do ut des". E poi Saccà non sarebbe incaricato di pubblico servizio (strano: è un dirigente del "servizio pubblico radiotelevisivo"). Pur di liberarsi del fascicolo, i pm sostengono che le "segnalazioni" del Cavaliere ebbero "esito negativo": dimenticano che una favorita di Silvio rubò la parte in 'Incantesimo' a Sara Zanier, più brava ma senza santi in paradiso. Inoltre, per i pm, il rapporto fra i due è talmente "stretto e asimmetrico" che "Berlusconi non ha necessità di garantire indebite utilità per avere favori da Saccà".

Il ragionamento reggerebbe se nella telefonata non si sentisse il primo garantire indebite utilità al secondo. Cotanto argomentare ricorda quello della II Corte d'appello di Milano che nel maggio 2007 assolse Berlusconi per il doppio bonifico svizzero di 434 mila dollari passato nel 1991 da un conto Fininvest alimentato con soldi del Cavaliere a uno dell'avvocato Previti fino a uno del giudice Squillante. Bonifico accertato, come la sua "funzione corruttiva", ma non si vede "perché mai un imprenditore avveduto come Berlusconi, dotato di immense disponibilità finanziarie, avrebbe dovuto effettuare (meglio, far effettuare) un pagamento corruttivo attraverso una modalità (bonifico bancario) destinata a lasciare traccia, anziché con denaro contante". Ecco: Silvio è innocente 'a prescindere'. Se non lascia tracce, manca la prova; se lascia tracce, è impossibile che le abbia lasciate.


I giudici non devono credere neppure ai propri occhi. Esaminando poi due pagamenti brevi manu da Previti a Squillante raccontati da Stefania Ariosto, gli stessi giudici esprimono "ovvie perplessità" sulla "tesi, deviante rispetto all'esperienza, che persone accorte e professionalmente qualificate come Previti e Squillante si spartissero mazzette coram populo". Triplo salto mortale carpiato: se Berlusconi lascia tracce su un bonifico svizzero, ciò è impossibile perché è più probabile che pagasse cash; se Previti viene visto pagare cash, ciò è impossibile perché è più probabile che usasse sistemi più sicuri. Tipo i bonifici svizzeri? Insomma, la corruzione esiste solo quando non viene scoperta. Ergo non è mai punibile. Come nel romanzo 'Comma 22' di Joseph Heller: i piloti militari possono essere esonerati dai voli di guerra solo se pazzi; ma chi chiede l'esonero dai voli di guerra non può essere pazzo; quindi è impossibile essere esonerati dai voli di guerra.

(06 marzo 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Auto blu e polvere bianca
Inserito da: Admin - Marzo 13, 2009, 03:45:01 pm
Auto blu e polvere bianca


Secondo quanto disposto dalla legge Alfano, gli indizi raccolti in un'intercettazione non bastano più per prorogarla o per disporne un'altra. Occorrono elementi diversi, esterni  Uno degli aspetti più demenziali (e oscurati) della legge Alfano sulle intercettazioni
è questo: si può intercettare solo in base a "elementi non limitati ai soli contenuti
di conversazioni intercettate nel medesimo procedimento".

Traduzione: gli indizi raccolti in un'intercettazione non bastano più per prorogarla o per disporne un'altra. Occorrono elementi diversi, esterni. Che combinazione: proprio come nel caso avvenuto qualche mese fa a Palermo. La squadra Mobile intercetta un pusher della Palermo bene, Stefano Greco. E con ascolti, appostamenti e pedinamenti, smaschera una rete di spacciatori e consumatori che, di fatto, finanziano il traffico di droga. Uno dei destinatari, stando alle intercettazioni, è Ernesto D'Avola, autista di Gianfranco Miccichè (uomo forte di Forza Italia in Sicilia e sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al Cipe, appena incaricato da Berlusconi di "gestire il passaggio da Forza Italia al Popolo della libertà" insieme ad Alfano).

D'Avola comunica col pusher tramite un intermediario, che il 5 dicembre scorso
gli passa la 'roba'. Gli agenti, presenti sul posto, bloccano l'auto di D'Avola, accompagnato da un amico, subito dopo la consegna. E vi sequestrano una busta piena di cocaina con su scritto 'On. Gianfranco Miccichè'. Quel che accade dopo lo raccontano due informative della Mobile al Questore e alla Procura: "Il D'Avola consegnava spontaneamente il plico, dicendo che il tutto era di pertinenza dell'on. Miccichè. All'interno risultavano custoditi grammi 5 di sostanza, che a seguito di accertamento risultava essere cocaina".

Poi però D'Avola e l'amico cambiano idea e sostengono che la coca era per uso personale. Ancora qualche mese e, approvata la 'riforma', la trafila dal pusher all'intermediario all'autista del sottosegretario sarebbe rimasta sepolta per sempre. Non solo, ma l'intricato giro di spaccio non sarebbe mai stato scoperto: per intercettare l'intermediario e poi il destinatario ultimo (o penultimo?), gli agenti avrebbero dovuto fermarsi e cercare elementi 'esterni' a quelli contenuti nelle intercettazioni del pusher. Mission impossible. Inchiesta bloccata a metà, sul più bello. Nelle indagini di droga, come in tutte quelle sui reati 'in itinere', le varie consegne emergono dalle intercettazioni.

Si risale dal basso verso l'alto, dall'ultimo spacciatore ai vertici e ai finanziatori dell'organizzazione. Una tecnica investigativa che presto sarà proibita dal governo dei pacchetti sicurezza e della tolleranza zero. Chissà che ne dice l'altro sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, quello con delega alla lotta alla droga, autore della legge che punisce anche l'uso personale, impegnato in questi giorni a Trieste nella Conferenza nazionale sulle droghe.

Ancora pochi mesi fa tuonava: "La linea del governo è chiara: drogarsi è illecito". Ora non vorremmo che organizzasse una ronda sotto la sede del Cipe.

(12 marzo 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Tutti alla corte del Sultano di Arcore
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2009, 10:09:15 am
Marco Travaglio.

Tutti alla corte del Sultano di Arcore

Mentre il premier continua ad affidarsi alla strategia della demonizzazione dell'avversario politico, il Pd sembra incapace di reagire  Silvio BerlusconiNel congresso che l'ha incoronato all'unanimità (nemmeno un delegato pagato per votargli contro), il Sultano di Arcore ha confermato ciò che scriveva Claudio Rinaldi. Lui non dimentica mai il precetto di Gustave Le Bon: "Il candidato avversario si tenterà di schiacciarlo dimostrando che è l'ultimo dei farabutti" ('Psychologie des foules', 1895). Demonizzazione pura.

Lo stesso non si può dire dei presunti avversari del Pd, che per tre giorni l'han lasciato scorrazzare indisturbato per tv e giornali, opponendogli i soliti impercettibili pigolii. Franceschini - che finora l'aveva incalzato su temi a presa rapida, come l'assegno ai precari disoccupati e l'election day per risparmiare 500 milioni - s'è attardato sul fiacco argomento della candidatura-truffa alle Europee: una polemicuzza politichese che interessa a pochi.

Quel gran genio di Violante ha pensato bene di ricordare che nel '94 gli ex Pci "non avevano capito nulla di Berlusconi", regalandogli un'altra freccia per infilzarli. D'Alema e Marini hanno abboccato all'amo dell'ennesima "riforma costituzionale", come se non fossero bastate la Bicamerale del '96 e la "grande riforma" di veltroniana memoria: il Cavaliere avrebbe dovuto premiarli al congresso del Pdl come soci fondatori ad honorem.

Anche stavolta, con i suoi balbettii, il Partito Disperati ha perso ottime occasioni per seminare pepe e zizzania in campo avverso. Ad esempio sulla beatificazione di Craxi, subito fulminata da Beppe Grillo con un nuovo acronimo: Partito del Latitante.

Tre settimane fa, ad 'Annozero', il leghista Castelli aveva maledetto "Craxi, Andreotti e Forlani che ci hanno regalato questo debito pubblico". Perché non ricordare che, se ogni anno paghiamo 80 miliardi di interessi sul debito, lo dobbiamo anche allo spirito guida del premier?


E fu proprio Bettino, non i comunisti, a sponsorizzare il referendum del 1987 contro le centrali nucleari che ora il suo figlioccio vuole ricostruire, gettando al vento
una ventina di miliardi. Perché, invece di inseguire i doppigiochi di Fini, non rammentargli qualche verità scomoda?

Autosciogliendosi nell'acido, Fini ha ricordato Paolo Borsellino, "un esempio da seguire non perché fosse nel Fuan, ma perché sacrificò la vita in nome del dovere". È lo stesso Borsellino che il 23 maggio 1992, due giorni prima di Capaci e 59 giorni prima di Via d'Amelio, rivelò a Canal Plus che si stava ancora indagando sui rapporti fra Berlusconi, Dell'Utri e Mangano, l'ex fattore di Arcore che lui definì "testa di ponte di Cosa Nostra al Nord per il traffico di eroina" e il riciclaggio.

Volendo poi esagerare, si poteva pure stuzzicare Tremonti, che s'è dipinto come un forzista antemarcia. Se è vero - come ha svelato al congresso - che nel luglio '93 partecipò alle riunioni di Arcore, come mai nel '94 definì le promesse di Berlusconi "panzane" e "miracolismo finanziario" e si candidò contro di lui nel Patto Segni? Era per caso un infiltrato in incognito? Così, tanto per sapere.

(03 aprile 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Sciacalli e leccapiedi
Inserito da: Admin - Aprile 09, 2009, 11:22:45 pm
Zorro di Marco Travaglio 


Sciacalli e leccapiedi


Due futuri premi Pulitzer, sul Giornale e a Radio24, mi danno gentilmente dello «sciacallo» perché ho ricordato quali danni aggiuntivi ai terremoti avrebbero comportato il “piano casa” e il ponte di Messina (in una delle zone più sismiche d’Europa) se sciaguratamente fossero già stati realizzati.

I servi furbi sono così accecati dalla saliva delle loro lingue da non accorgersi che a liquidare il ponte, all’indomani della sciagura abruzzese, è stato il sottosegretario alle Infrastrutture del loro adorato governo, il leghista Roberto Castelli; e che a rinviare sine die il “piano casa” è stato il ministro forzista Raffaele Fitto, con la soave espressione dorotea della «pausa di riflessione».

Intanto il ministro Claudio Scajola annuncia che nel decreto saranno inserite precise «misure antisismiche»: fino a domenica non ci aveva pensato nessuno.

La parola “terremoto” non compariva mai nella proposta inviata a giugno dal governo alle regioni, nella bozza di un mese fa e men che meno nell’intesa del 31 marzo.
Anzi, lì un cenno c’era, ma per smantellare i divieti (art.6: «Semplificazioni in materia antisismica»). Solo due giorni fa, mentre l’Abruzzo crollava, si son ricordati che siamo il paese più a rischio d’Europa e hanno cancellato l’art.6 e, al posto, hanno infilato qualche riga di «misure urgenti in materia antisismica»: gli ampliamenti delle case non saranno autorizzati «ove non sia documentalmente provato il rispetto della normativa antisismica». Ci son voluti 260 morti, per ripristinare la legalità.

A proposito di sciacalli. Vergogniamoci per loro, e per i loro servi.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Politica estera: non pervenuta
Inserito da: Admin - Aprile 10, 2009, 10:51:57 am
Marco Travaglio


Politica estera: non pervenuta

Il Cavaliere continua a collezionare gaffes all'estero. E non è un caso. Superati i confini italiani, il premier infatti non può più contare sui media - giornali e tv - di sua proprietà. 

Forse non è un caso se le peggiori figuracce Silvio Berlusconi le colleziona all'estero. Appena oltrepassa i confini patrii, perde tutti i paracadute che in Italia lo salvano da tutto, specie da se stesso. All'estero non può contare su giornali e tv di sua proprietà: lì non si usa. Gli basta fare o dire molto meno di quel che fa o dice in Italia per scatenare il finimondo.

Un giorno qualcuno traccerà finalmente un bilancio della sua lunga stagione politica e risponderà a una domanda semplice semplice: cosa lascia di memorabile in eredità ai posteri il premier più longevo della storia repubblicana? Roberto Benigni provò a rispondere nel 2005 in un celebre sketch a 'Rockpolitik': a parte la patente a punti, non gli venne in mente nulla. Ma restò isolato. In politica estera invece la nullaggine berlusconiana si nota a occhio nudo, anche perché fra i giornalisti che la raccontano al mondo non ci sono dipendenti Mediaset.

Tre anni fa, dopo aver contribuito a esportare a suon di bombe la democrazia in Afghanistan, il Cavaliere esaltò il regime fantoccio di Hamid Karzai come "il primo governo finalmente democratico": infatti proseguono torture ed esecuzioni capitali, col contorno della legge che autorizza gli stupri in famiglia. Roba da rimpiangere i talebani. Il piccolo esportatore di democrazia è riuscito a non dire una parola sul regime russo dell'amico Vladimir, sullo sterminio di 100 mila ceceni, sull'attacco alla Georgia e sulla mattanza dei giornalisti d'opposizione (l'altro giorno è morto ammazzato il 48 dell'èra Putin). Anzi, ora s'è messo in testa di fidanzare l'autocrate di Mosca con Obama.

Poi c'è il filo diretto con Tripoli. Il 24 marzo è uscita sul 'Corriere della sera' una notizia che, come tutte le notizie, in Italia non ha fatto notizia: "Il governo italiano proverà a mettere pace nel contenzioso che oppone la Libia alla Svizzera dopo l'arresto nel luglio scorso a Ginevra di
Hannibal Gheddafi, figlio del colonnello Muhammar, accusato di maltrattamenti ai danni di due persone di servizio". Il ministro degli Esteri Franco Frattini annuncia giulivo che "l'Italia è pronta a fare la sua parte con parole di rasserenamento a favore della Svizzera in virtù della particolare amicizia con Tripoli".

Ecco: perché mai l'Italia è "particolarmente amica" di una tirannide che calpesta i diritti civili e umani e usa il traffico degli schiavi moderni per ingannare il nostro governo, che in cambio le regala 5 miliardi di dollari? La risposta è in un'illuminante dichiarazione di Abdulhafed Gaddur, ambasciatore libico a Roma: "Vogliamo mettere a disposizione delle imprese italiane una zona franca, anche dal punto di vista fiscale, vicino a un porto e a un aeroporto".

Casomai il premier capitasse dalle parti del Parlamento, un'eventuale opposizione potrebbe domandargli se sappia niente del progetto. Che parrebbe lievemente incompatibile con la guerra ai paradisi fiscali da lui dichiarata al G20 di Londra.
O è stato frainteso anche su questo?

(09 aprile 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il Residente del Consiglio
Inserito da: Admin - Aprile 15, 2009, 09:00:53 am
Zorro di Marco Travaglio 

Il Residente del Consiglio


Fervono alacremente - informa il Corriere della sera - i preparativi di Al Tappone per alloggiare alcune famiglie terremotate «in almeno tre case di sua proprietà».

Ma, garantisce Lui, «sto vedendo di trovare altre mie case da offrire». Non si può mica pretendere che se le ricordi tutte a memoria, data l’età e il numero delle magioni.
«Ho due o tre idee in mente di quelle giuste – minaccia il Residente del Consiglio – se mi riescono trasformeremo un male in un bene».

Non si esclude di paracadutare qualche senzatetto nelle ville alle Bermuda e ad Antigua: due paradisi fiscali che consentiranno ai fortunati vincitori di depositare i loro miliardi presso conti cifrati.

Per ora appare certo che i primi estratti andranno ad acquartierarsi a Villa Certosa che, essendo mezza abusiva, li farà sentire come a casa propria.
Lo spazio non manca: ci sono il forno a legna per le pizze, il chiosco per i gelati, l’anfiteatro greco, il finto nuraghe affrescato, la collezione di cactus, senza dimenticare le piscine condonate per la talassoterapia.

Casomai gli sfollati sentissero nostalgia di casa, è pronto a entrare in funzione il finto vulcano che, azionato con apposita pulsantiera, erutta lava artificiale con scossa sismica incorporata.

Poi c’è Villa San Martino ad Arcore, dove da anni è disabitata la dépendance a suo tempo occupata dallo stalliere mafioso Vittorio Mangano. Da qualche tempo s’è liberato anche l’alloggio della servitù, da quando James Bondi ha traslocato in Parlamento. Senza contare il comodo mausoleo funerario in stile assiro-milanese, ancora desolatamente disabitato.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Udc, Unione dei casini
Inserito da: Admin - Aprile 21, 2009, 11:27:28 am
Zorro

di Marco Travaglio


Udc, Unione dei casini


Già deputato del Pli e poi di FI, aspirante alleato della Lega, sottosegretario di due governi Berlusconi, autocandidato per il centrosinistra, assessore comunale col centrodestra a Milano e sindaco centrista di Salemi, Vittorio Sgarbi sarà in lista con l’Udc per le europee.

L’ha annunciato sul Giornale: «Una scelta di coerenza». Sempre stato un fan di Casini. Infatti nel 2001, quando Piercasinando esordì alla Camera invocando la Madonna di San Luca, Sgarbi lo prese per i fondelli: «Vorrei sapere chi scrive i discorsi a questo qui. Questo è un Parlamento democristiano monocolore sotto giurisdizione del Vaticano, ma il riferimento alla Madonna sembra fatto apposta per scatenare l’ironia».

Pier replicò tre anni dopo: «Sgarbi è straordinario, ma quando non parla di politica: ah, se parlasse sempre solo d’arte…». Sgarbi intanto, superato quello azzurro, quello bianco e quello verde, era entrato nel periodo rosè. E invitò Casini a «passare subito al centrosinistra per costruire un grande centro» (testuale).

Ora, se andrà a Bruxelles, sarà interessante seguirlo sul fronte della difesa della «famiglia tradizionale», cavallo di battaglia dell’Udc.

Il suo contributo al tasso di natalità è di tutto rispetto, anche se con donne diverse: «Io – ha svelato nel 2003 - di figli ne ho tre ufficiali e uno dubbio: c’è pure un bambino che mi ha visto e mi ha chiamato papà, ma non so bene come stanno le cose... Ma, se una ragazza rimane incinta, mica può disfarsi di un figlio di Sgarbi: è un patrimonio». Parole che non hanno lasciato insensibili i promotori del Family Day: abile e arruolato.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Miglio col bene che ti voglio
Inserito da: Admin - Aprile 25, 2009, 10:10:39 am
Marco Travaglio.


Miglio col bene che ti voglio


Ci vuole un bel coraggio, alla Lega Nord, per riesumare il professor Gianfranco Miglio e attribuirgli la paternità della cosiddetta Riforma federalista firmata da Roberto Calderoli, grande esperto di leggi 'porcata'. Una riforma che - come ha spiegato, anzi minacciato Renato Brunetta - ci regalerà "20 regioni a statuto speciale".

Miglio invece - l'ha ricordato Massimo Cacciari in un convegno opportunamente disertato da Umberto Bossi - proponeva quattro o cinque macroregioni, per evitare sprechi e particolarismi. Eppure il Carroccio prepara un controconvegno di appropriazione indebita, alla presenza nientemeno che di Bobo Maroni. Per dimostrare, scrive 'La Padania', restando seria, che "il professore ha anticipato tempi, pensiero e polpa dell'azione della Lega". Lo stesso Bossi, il 7 febbraio, si era avventurato in ardite analisi politologiche su 'La Provincia' di Como: "Per me Miglio è sempre stato una specie di punto di sicurezza. Con lui potevo parlare e ragionare". Sempre stato? Mica tanto. I due si conobbero nel 1990 (Miglio però non prese mai la tessera della Lega) e divorziarono rumorosamente nei primi mesi del 1994, quando il Carroccio si alleò con Berlusconi, "questo riccone che piace tanto ai cafoni del Sud perché sa far tintinnare i suoi soldi, guadagnati non importa come" (5 febbraio).
Lo studioso testimoniò al processo Enimont contro Bossi, imputato per la stecca di 200 milioni targata Ferruzzi-Montedison, e contribuì a farlo condannare.

La sentenza Enimont ricorda come Miglio "ha riferito che, all'approssimarsi delle elezioni del '92, aveva chiesto a Bossi se disponesse di risorse finanziarie sufficienti per la campagna elettorale e questi gli aveva risposto: 'Non ti preoccupare, ci penso io... Ho stabilito buoni rapporti con i Ferruzzi, ci aiuteranno'. Miglio ha detto di essere a conoscenza che la Lega reperiva risorse finanziarie da imprenditori che effettuavano finanziamenti illeciti direttamente a Bossi per ingraziarselo".

Poco prima Umberto gli aveva preferito come ministro delle Riforme il pittoresco Enrico Speroni. "Il governo", sentenziò Miglio, "ha un programma demenziale, roba da restaurazione" (17 maggio '94). Bossi, con la consueta eleganza, gli diede del "poveraccio", "vecchio fuori di testa che fa un putiferio perché non gli han dato la poltrona". Replica a stretto giro del Prufesùr: "Bossi è un incolto, buffone, arrogante, isterico, arabo levantino mentitore, lo schiaccerò come una sogliola. Se mi si ripresenta lo caccio a pedate nel sedere" (18 maggio), "Un botolo ringhioso attaccato ai pantaloni di Berlusconi", "Se gli dicessero che, per entrare nella stanza dei bottoni, deve travestirsi da donna, correrebbe a infilarsi la gonna e a darsi il belletto" (10 agosto). E il Senatùr, in dolce stil novo: "Me ne fotto delle minchiate di Miglio", "Arteriosclerotico, traditore", "Ideologo? No, panchinaro", "Una scoreggia nello spazio".

Ora urge convegno, in rime baciate.

(24 aprile 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Indrorepellenti
Inserito da: Admin - Aprile 27, 2009, 11:43:35 am
Zorro

di Marco Travaglio


Indrorepellenti


Il Giornale e Littorio Feltri non han gradito la puntata di Annozero su Montanelli e quel che resta dell'informazione. «Manipolatore. Santoro stravolge Montanelli», tuona quel che resta del Giornale. «Indro si rivolta nella tomba» titola Libero, giornale-ossimoro. Poveretti, vanno capiti. Speravano di cavarsela con le solite appropriazioni indebite.
Gli è andata buca: Santoro ha resuscitato Montanelli mostrando con i filmati quel che diceva e pensava di Berlusconi, del fu Giornale e di Feltri, sbugiardato in diretta al Raggio Verde. Mario Giordano, che Montanelli non l'ha mai visto neppure in cartolina, ne parla come di un vecchio amico e si scortica le ginocchia con un'intervista-scendiletto a un testimone super partes: Fedele Confalonieri. Domande ficcanti: «Mi commuovo anch'io», «Voi gli volevate bene?», «Sciacallaggio?».

Altro titolo memorabile: «Santoro, giù le mani da Montanelli» (sul Giornale da cui fu cacciato nel '94). Feltri non s'è ancora riavuto dalla figuraccia del Raggio Verde.
Dimentica di raccontare che, sei mesi prima della cacciata di Montanelli, si accordò con Berlusconi per prenderne il posto. E spara elegantemente sulla tomba: «Montanelli inconsapevolmente si vendette alla sinistra. Sull'ultimo capitolo della sua vita, quando non era più lui ma un novantenne esacerbato dal rancore, conviene sorridere».

Ridi, ridi.

Annozero voleva confrontare il giornalismo di Montanelli con quello di oggi. Grazie a Giordano e Feltri, ci è riuscito. «Il disprezzo ­ diceva Indro citando Chateaubriand ­ va usato con parsimonia, in un paese così pieno di bisognosi».

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Lodo Veronica
Inserito da: Admin - Maggio 05, 2009, 05:45:07 pm
Zorro

di Marco Travaglio


Lodo Veronica


L’improvvisa comparsa dell’avvocato Ghedini sulla scena del divorzio preannuncia avvincenti sviluppi nella guerra dei Roses brianzola. È allo studio un Lodo Veronica in 4 articoli che verrà tosto comunicato al ministro Al Fano e all’occorrenza spiegato con l’ausilio di disegnini, dopodiché sarà sottoposto alle opposizioni per il necessario dialogo bipartisan:

" 1) Le cause di divorzio che coinvolgano le quattro alte cariche dello Stato sono sospese fino alla scadenza dei rispettivi mandati, sospensione prorogata in caso passaggio da una carica all’altra; la sospensione non vale in caso di divorzio attivo (alta carica che molla la moglie), ma solo di divorzio passivo (alta carica mollata dalla moglie).

2) Vietato divorziare in prossimità di elezioni di ogni ordine e grado: ogni causa avviata nei 40 giorni precedenti il voto è da considerarsi nulla e mai più reiterabile.

3) Le cariche di cui all’art. 1 sono dispensate dal divieto di frequentare ragazze minorenni; anzi, se lo fanno riceveranno la comunione direttamente dalle mani del Santo Padre (previa deroga ai Patti Lateranensi).

4) Le notizie sulla vita privata delle quattro cariche sono coperte da segreto di Stato e punite con severissime pene detentive, eccezion fatta per quelle commissionate dalle cariche medesime per autoritrarsi in idilliaci quadretti familiari; il gossip può invece proseguire serenamente sulle testate di proprietà di una delle alte cariche quando riguardi privati cittadini o esponenti dell’opposizione (vedi caso Sircana o bacio tra Di Pietro e un’amica).

5) Io so’ io e voi nun siete un cazzo "

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - L'Europa che piace a Casini
Inserito da: Admin - Maggio 08, 2009, 04:50:49 pm
Marco Travaglio.


L'Europa che piace a Casini

Il leader dell'Udc, in un'intervista rilasciata a 'L'espresso' nel 2006, era stato categorico: "Non ricandideremo nessun inquisito". Ora nelle sue liste svettano personaggi come Ciriaco De Mita e Giuseppe Naro  Pier Ferdinando CasiniNel 2005, da presidente della Camera "ma soprattutto da padre", Pier Ferdinando Casini invocò "il rispetto dei bambini, obiettivo cui nessuno può sottrarsi" perché "non si può cedere alle necessità del mercato", ergo "giornalisti e garante della privacy devono fare di più" e "innalzare gli argini". Ora che lo stesso Casini compare sui megamanifesti elettorali dell'Udc ('Un disegno comune') in compagnia di bambini, qualcuno potrebbe pensare che abbia ceduto alle necessità del mercato.

Chissà che ne dice il garante della privacy. Lo stesso Casini, con 'L'espresso' (23 febbraio 2006), era stato categorico: "Non faremo sconti: a parte Cuffaro, non ricandideremo nessun inquisito". E l'anno scorso, a 'Ballarò', convenne col giudice Piercamillo Davigo: "I partiti devono fare pulizia al proprio interno". Ora deve aver cambiato rapidamente e radicalmente idea. Nelle sue liste per l'Europa infatti svettano personaggi dal curriculum giudiziario di tutto rispetto. Ciriaco De Mita vanta una notevole collezione di prescrizioni per vari episodi di Tangentopoli.

Giuseppe Naro da Messina ha al suo attivo un arresto, una condanna definitiva per abuso d'ufficio (acquistò con denaro pubblico 462 ingradimenti fotografici alla modica cifra di 800 milioni di lire) e due prescrizioni per la Tangentopoli messinese e per le spese folli di Taormina Arte (peculato). Ferdinando Pinto, arrestato e poi assolto per mancanza di prove dall'accusa di aver incendiato il teatro Petruzzelli, è stato condannato in sede civile a risarcire i proprietari per 57 miliardi di lire (mai pagati). E ora è di nuovo imputato a Bari per aver depistato le indagini, accusato di falso, contraffazione di pubblici sigilli, calunnia, falso giuramento, falsa testimonianza e violenza, con l'aggravante di aver favorito il clan Capriati.

Saverio Romano è indagato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa e sotto osservazione per le rivelazioni di Massimo Ciancimino, che sostiene di avergli allungato un 'contributo' di 100 mila euro. Angelo Sanza invece si salvò da Tangentopoli perché un finanziamento in nero di 200 milioni da Florio Fiorini, pur dimostrato, fu ritenuto non punibile in quanto proveniente dall'estero. Infine

Ivo Tarolli, intimo del governatore Antonio Fazio, è stato indagato a Milano e poi a Lodi per appropriazione indebita dopo le rivelazioni di Gianpiero Fiorani su un gentile omaggio di 30 o più mila euro in piena scalata Antonveneta. La sua posizione è stata poi stralciata in vista dell'archiviazione.

Ed è una fortuna che l'Mpa abbia soffiato all'Udc Vittorio Sgarbi (pregiudicato per truffa allo Stato) e il Pdl le abbia strappato gli eurodeputati uscenti Vito Bonsignore (pregiudicato per tentata corruzione) e Aldo Patriciello (pregiudicato per finanziamento illecito e bi-imputato per due truffe). Altrimenti Piercasinando contenderebbe a Berlusconi la palma del partito a più alta densità di inquisiti. Un disegno comune. Ovvero: Unione dei condannati.

(07 maggio 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Toghe & rifiuti
Inserito da: Admin - Maggio 13, 2009, 10:20:53 am
Zorro

di Marco Travaglio 


 Toghe & rifiuti


Siccome in Italia vige la meritocrazia e si premiano i migliori, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta dall’on. prof. avv. imp. Gaetano Pecorella ha scelto come consulenti due magistrati fra i più meritevoli: Francesco Castellano e Cesare Martellino.

Affinché le due toghe possano dispiegare il loro balsamico contributo all’insigne consesso 24 ore su 24, senza distrazioni, il Csm sta provvedendo a collocarli «fuori ruolo».
La scelta appare più che azzeccata. Martellino, ex procuratore di Terni ed ex presidente della Caf (corte d’appello della giustizia sportiva), poi rappresentante italiano a Eurojust al posto di Caselli, è indagato a Napoli per Calciopoli (abuso d’ufficio per il presunto aggiustamento di una pratica che stava a cuore alla Reggina su pressione di Franco Carraro).

I laici del centrosinistra chiesero al Csm di occuparsi di lui per i presunti consigli forniti a don Pierino Gelmini, indagato per pedofilia a Terni. Castellano, ex giudice a Milano poi trasferito a Torino, oltre ad aver assolto Berlusconi nel processo Sme dopo averlo difeso in varie interviste, è stato sanzionato con la censura dal Csm e dalla Cassazione per essersi «intromesso nella vicenda Unipol», «fornendo la propria competenza e spendendo la propria persona per sostenere le ragioni dell’amico Giovanni Consorte con i colleghi milanesi» e «accreditandosi presso Consorte come canale di penetrazione per acquisire informazioni e condizionare le indagini», con «grave lesione del prestigio dell’ordine giudiziario».

Gli uomini giusti per la commissione rifiuti.

da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Mills di questi giorni
Inserito da: Admin - Maggio 20, 2009, 10:40:32 am
Mills di questi giorni


di Marco Travaglio

Per il Tribunale di Milano l'avvocato David Mills, ex consulente della Fininvest di Berlusconi, è stato corrotto con 600 mila dollari provenienti dalla Fininvest di Berlusconi per testimoniare il falso in due processi a carico di Berlusconi. Notizia davvero sorprendente, visto che Mills aveva confessato tutto al suo commercialista («ho tenuto Mr B. fuori da un mare di guai nei quali l'avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo») e alla Procura di Milano.

Mistero fitto sull'identità di Mr.B, cioè del corruttore. Il sito del Corriere, attanagliato da dubbi atroci, titola: «I giudici di Milano: Mills fu corrotto».
Da chi, non è dato sapere. Voci di corridoio parlano di un nano bitumato, che poi era l'altro imputato nel processo, ma è riuscito a svignarsela appena in tempo con una legge incostituzionale, dunque firmata in meno di 24 ore dal Quirinale nell'indifferenza della cosiddetta opposizione.

Ora Mills dichiara: «Mi è stato raccomandato di non fare commenti». Da chi, è un mistero. Purtroppo l'ignoto raccomandatore s'è scordato di tappare la bocca anche ai suoi portavoce, che han commentato la sentenza come il condannato fosse lui: «Condanna politica e a orologeria». Anche la Rai s'è regolata come se il corruttore fosse il padrone, cioè il premier: infatti non ha inviato nemmeno una videocamera amatoriale a riprendere la lettura della sentenza. Uomini di poca fede: non hanno capito che Berlusconi non c'entra, che Mills s'è corrotto da solo. Infatti, subito dopo la sentenza, non s'è dimesso il presidente del Consiglio. S'è dimesso il capo dell'opposizione.

18 febbraio 2009
da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - In quel processo la realtà degli ultimi 15 anni
Inserito da: Admin - Maggio 20, 2009, 06:20:48 pm
In quel processo la realtà degli ultimi 15 anni

di Marco Travaglio


«Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno». Lo dice Gesù all’apostolo Tommaso, che ha dovuto infilare la mano nella piaga del costato per credere nella resurrezione. Il processo Berlusconi-Mills (noto a tutti, grazie a un’informazione serva, solo come il «processo Mills»: si diceva il corrotto, ma non il corruttore) non ha nulla di spirituale né di trascendente.

È una sporca storia di corruzione, il paradigma del modus operandi di Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio della Repubblica Italiana. Un grande corruttore che ha sempre comprato tutto e tutti, avendo sempre avuto la fortuna di incontrare gente comprabile. Il suo gruppo comprava la Guardia di Finanza perché chiudesse gli occhi sui libri contabili taroccati. Comprava politici, da Craxi in giù, in cambio di leggi à la carte. Comprava giudici, da Vittorio Metta in giù, per vincere cause civili perdute in partenza, come quella che scippò la Mondadori a De Benedetti per regalarla al Cavaliere.

Pagava persino la mafia, per motivi facilmente immaginabili. Per sapere tutto questo non era necessario attendere la sentenza di ieri: bastavano tutte le altre, emesse negli ultimi 15 anni nella beata indifferenza della quasi totalità della stampa e della totalità della televisione, per non parlare della cosiddetta opposizione. Ora il Tribunale di Milano ci informa che il Cavaliere comprò con 600 mila dollari anche un falso testimone, il suo ex consulente inglese David Mackenzie Mills (che gli aveva costruito un sistema di 64 società offshore), per garantirsi «l’impunità e i profitti» nei processi GdF e All Iberian.

Il tutto nel 1998-99, quando era già travestito da politico, aveva già guidato un governo e si accingeva a guidarne altri due. Ma anche questo si sapeva da anni. O meglio: lo sapeva chiunque volesse o potesse conoscere le carte del processo. La sentenza doveva semplicemente sanzionare una condotta già assodata. Perché uno dei due protagonisti, David Mills, aveva confessato tutto al suo commercialista Bob Drennan, in una lettera che pensava sarebbe rimasta top secret: «La mia testimonianza (non ho mentito ma ho superato curve pericolose, per dirla in modo delicato) aveva tenuto Mr B. fuori da un mare di guai nei quali l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo. Nel 1999 mi fu detto che avrei ricevuto dei soldi. 600mila dollari furono messi in un hedge fund. A mia disposizione».

Purtroppo per lui (e per «Mr B.»), Drennan lo denunciò al fisco inglese, così la lettera finì sul tavolo dei pm milanesi. Interrogato, Mills confessò che era tutto vero, salvo poi ritrattare con una tragicomica retromarcia. La sentenza di ieri conferma un fatto notorio: il nostro premier è, per l’ennesima volta, un corruttore, per giunta impunito per legge. Ha comprato un testimone in cambio di una falsa testimonianza. Un reato commesso per occultarne altri, a loro volta commessi per nasconderne altri ancora. Ora che è di nuovo al governo, per garantirsi l’impunità non ha più bisogno di corrompere nessuno: gli basta violare la Costituzione con leggi come la Alfano, approvata e promulgata nell’indifferenza di chi avrebbe dovuto contrastarla e respingerla. La stessa indifferenza, salvo rare eccezioni, ha accolto un verdetto che in qualunque altro paese avrebbe portato su due piedi all’impeachment. Lo stesso silenzio di Mills. Che però, almeno, si faceva pagare bene.

20 maggio 2009
da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Tenero Pd si taglia con un Fassino
Inserito da: Admin - Maggio 24, 2009, 11:27:16 am
Marco Travaglio.


Tenero Pd si taglia con un Fassino


Dario Franceschini, dopo un inizio incoraggiante, non è riuscito a contrastare il Cavaliere nè sulla disastrosa gestione della prevenzione sismica in Abruzzo nè sull'inspiegabile trasloco del G8 all'Aquila  Piero FassinoDev'esserci qualcosa di tossico nell'aria, dalle parti del Pd. Da Uòlter a Franceschini, i leader partono benino, poi si guastano subito. Dario aveva esordito giurando sulla Costituzione e ponendo fine al lungo inciucio dalemian-veltronianio sulla 'grande riforma'. Gli eran bastati un paio di colpi ben assestati per interrompere il trafelato inseguimento al Cavaliere e prenderlo in contropiede.

La sfida dell'election day per risparmiare 400 milioni da girare alle forze dell'ordine aveva seminato zizzania fra Pdl e Lega, mentre il premier perdeva 3 punti di consenso e il Pd ne guadagnava 4.

Da allora, forse spaventato dal successo inatteso (soprattutto dai colonnelli che preparano la resa dei conti in autunno), Franceschini non ne ha più azzeccata una. Dinanzi alla disastrosa gestione della prevenzione sismica in Abruzzo, dopo sei mesi di scosse, non ha trovato di meglio che salvare il governo: "Non è il momento delle polemiche" (come se i democratici americani avessero risparmiato Bush per il fiasco sull'uragano Kathrina).

Quando Berlusconi ha negato l'election day accorpando il referendum ai ballottaggi, s'è acconciato anche lui, rinnegando una campagna che aveva portato consensi. Altra inspiegabile resa sul trasloco del G8 all'Aquila, con tanti saluti ai 2-300 milioni già spesi alla Maddalena. Talvolta Dario lancia il sasso nella direzione giusta, ma poi nasconde la mano.

Che senso ha denunciare "le nomine Rai fatte in casa Berlusconi", se si continua a trattare sulla Rai? E che fine ha fatto la sfida al Pdl, durata poche ore, di pubblicare le fedine penali dei candidati? Certo, la sfida sarebbe riuscita meglio evitando di candidare due assessori campani indagati per corruzione e uno calabrese imputato per peculato, abuso e truffa. Roba da Tafazzi le candidature dei "pensionati di lusso" (definizione di Mercedes Bresso) alle europee e di un plotone di ex Dc alle comunali nelle regioni più rosse.


L'invito al Cavaliere per il 25 aprile gli ha regalato anche l'unico giorno dell'anno in cui se ne stava zitto in casa. Da Tafazzi a Fantozzi: il Sì al referendum che regalerebbe al Pdl il 55 per cento col 35 per cento dei voti; e il primo commento a caldo al divorzio annunciato da Veronica: "Tra moglie e marito non mettere il dito".

Due giorni prima, mentre la first lady denunciava il "ciarpame" delle euroveline, Franceschini elogiava la Carfagna "brava e preparata". E dire che l'effetto Veronica ha rubato al premier-marito ben 5 punti nei sondaggi: ha fatto più lei in un giorno che il Pd in un anno. Dario naturalmente non è solo, purtroppo.

L'autocandidatura della Finocchiaro, i flirt di Letta e Rutelli con l'Udc, le minacce di D'Alema ("Ho l'energia per nuove responsabilità") segnalano l'allarmante ritorno dei perditori di sempre. L'ultimo colpo di genio è di Fassino, che plaude ai respingimenti di immigrati in alto mare mentre il governo si scontra col Vaticano e persino con l'Onu. L'opposizione del Pd è così tenera che si taglia con un Fassino.

(22 maggio 2009)
da repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Ora d'aria settimanale: Memento Mori
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2009, 04:56:09 pm
Ora d'aria settimanale: Memento Mori

di Marco Travaglio

L'ultima Ora d’aria sulle trattative Stato-mafia del 1992-‘93 si chiudeva con un invito ai signori delle istituzioni: «Per favore, ci raccontate qualcosa?».
In sette giorni Mancino, Violante, Ayala e Martelli han raccontato qualcosa, lasciando intendere che in certi palazzi si sa molto più di quanto non sappiano i magistrati e i cittadini. Ogni tanto se ne distilla una goccia. Quando non se ne può fare a meno.

Ciancimino jr. racconta che nell’autunno ’92 il padre Vito, per trattare col colonnello Mori, pretendeva una «copertura politica» dal ministro dell’Interno Mancino e dal presidente dell’Antimafia Violante.

A 17 anni di distanza, Violante ricorda improvvisamente che Mori voleva fargli incontrare Ciancimino, ma lui rifiutò. Peccato che non l’abbia rammentato 10 anni fa, quando Mori fu indagato a Palermo (favoreggiamento mafioso) per la mancata perquisizione del covo di Riina (assoluzione) e la mancata cattura di Provenzano (processo in corso). Mancino nega da anni di aver incontrato Borsellino il 1° luglio ’92, esibendo come prova la propria agenda e smentendo così quella del giudice assassinato. Ma ora viene sbugiardato da Ayala: «Mancino mi ha detto che ebbe un incontro con Borsellino il giorno in cui si insediò al Viminale (1° luglio ’92, come segnò il giudice, ndr): glielo portò in ufficio il capo della polizia Parisi. Mi ha fatto vedere l’agenda con l’annotazione». Intanto Mancino svela a Repubblica che nel ’92 disse no a trattative con la mafia, ma senza rivelare chi gliele propose. Poi, sul Corriere, fa retromarcia: «Nessuna richiesta di copertura governativa». E l’incontro con Borsellino? Prima lo nega recisamente: «Non c’è stato. Ricordo la chiamata di Parisi dal telefono interno: “Qualcosa in contrario se Borsellino viene a salutarla?”. Risposi che poteva farmi solo piacere, ma poi non è venuto». Poi si fa possibilista: «Non posso escludere di avergli stretto la mano nei corridoi e nell’ufficio… non ho un preciso ricordo». Cioè: ricorda un dettaglio marginale (la chiamata di Parisi), ma non quello decisivo (l’erede di Falcone appena assassinato si perse nei meandri del Viminale o trovò la strada del suo ufficio?).

Poi torna a negare: «È così,ho buona memoria. Del resto c’è la testimonianza del pentito Mutolo: Borsellino interruppe l’interrogatorio con lui per andare al Viminale e tornò stizzito perché anziché Mancino aveva visto Parisi e Contrada». Scarsa memoria: Mutolo afferma che Borsellino tornò sconvolto perché gli avevano fatto incontrare Contrada, non perché non avesse visto Mancino (anzi, scrisse nel diario di averlo visto). Resta poi da capire perché, fra Capaci e via d’Amelio, mentre partiva la trattativa Ros-Ciancimino, ci fu il cambio della guardia al governo. «Io e Scotti – ricorda l’allora Guardasigilli Claudio Martelli - eravamo impegnati in uno scontro frontale con la mafia. Ma altre parti di Stato pensavano che le cose si potevano aggiustare se la mafia rinunciava al terrorismo e lo Stato evitava di darle il colpo decisivo. In quel clima qualcuno sposta Scotti dall’Interno alla Farnesina e pensa pure di levare dalla Giustizia Martelli, che però dice no». Signori delle istituzioni, siamo sulla buona strada, ma si può fare di più. A quando la prossima puntata?

27 luglio 2009
da unita.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Max e la Bicamerale a ore
Inserito da: Admin - Settembre 18, 2009, 11:59:15 pm
Max e la Bicamerale a ore

di Marco Travaglio


D'Alema si è confermato una garanzia per il centrodestra. La cena elettorale a Bari pagata dal pappone ufficiale di Palazzo Grazioli, Giampi Tarantini, e il viaggetto sulla di lui barca non sono paragonabili a quanto emerge sul conto del premier, ma consentono agli house organ azzurri di intonare il 'così fan tutti' 

Appena deflagrò lo scandalo delle ragazze a tassametro chez Berlusconi, si cominciò a scommettere su quale leader del Pd si sarebbe precipitato questa volta in soccorso del Cavaliere. Pochi, in ossequio al principio dell'alternanza, puntavano sul solito D'Alema, che già aveva dato tanto alla causa berlusconiana (i 20 milioni in nero presi da un imprenditore malavitoso, la 'merchant bank' del caso Telecom, la Bicamerale, le bombe sulla Serbia, il pellegrinaggio a Mediaset "grande risorsa del Paese", il ribaltone anti-Prodi). Invece, con una prontezza inversamente proporzionale alla fantasia, l'ottimo Max s'è confermato una garanzia. Per il centrodestra. La cena elettorale a Bari pagata dal pappone ufficiale di Palazzo Grazioli, Giampi Tarantini, e il viaggetto sulla di lui barca non sono paragonabili a quanto emerge sul conto del premier.

Ma consentono agli house organ azzurri di intonare il 'così fan tutti'. E dire che era stato proprio il Tafazzi baffuto, con l'aria di chi la sa lunga, ad anticipare in tv lo scandalo barese con la famosa 'scossa' annunciata all'Annunziata. Una mossa machiavellica, visto quel che si è scoperto dopo: una sorta di Bicamerale a ore, un giro di squillo che nei giorni pari prestavano servizio a casa Berlusconi e, in quelli dispari, in un appartamentino affittato dal dalemiano Sandro Frisullo, allora vicepresidente della giunta Vendola. Dopo giorni passati a negare ("Mai conosciuto Tarantini") e a insinuare ("È un'inchiesta di cui non si capisce granché"), quando s'è capito fin troppo, D'Alema ha dovuto ammettere che qualcosa nella sua regione non ha funzionato. Ma battendo il mea culpa sul petto altrui: di Frisullo e degli altri 'amici' beccati a "frequentare gli stessi amici di Berlusconi".

Poi, alla festa della Giovine Italia, se n'è uscito con un imbarazzante sexy-calcolo: Berlusconi 18 incontri con 30 ragazze, noi molto meno. Cioè: lui è peggio di noi. Elettori in delirio. Ora, la prima qualità di un leader è quella di sapersi scegliere i collaboratori. D'Alema ne azzecca pochini. Il suo braccio destro è
Nicola Latorre, quello che passava i pizzini al berlusconiano Bocchino in diretta tv, quello sorpreso nel 2005 dai giudici di Milano a trescare al telefono non solo con Giovanni Consorte, ma anche con Stefano Ricucci, quello che il 4 agosto proclamava sul 'Corriere' "in Puglia nessuna questione morale".

Un'altra celebre scoperta del talent scout di Gallipoli è Claudio Velardi, già portavoce a Palazzo Chigi, poi lobbista dai multiformi clienti, infine assessore di Bassolino e 'curatore dell'immagine' di Alfredo Romeo, arrestato per tangenti a Napoli. E l'assessore pugliese alla Sanità Alberto Tedesco, ex Psi, ora indagato per corruzione e cacciato da Vendola dunque promosso senatore, l'aveva imposto Max.

Resta solo da capire cos'altro debba combinare un leader del Pd per essere accompagnato alla porta.

A parte battere Berlusconi due volte su due e chiamarsi Romano Prodi.

(17 settembre 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Dimissioni a targhe alterne
Inserito da: Admin - Novembre 04, 2009, 03:21:36 pm
Dimissioni a targhe alterne

di Marco Travaglio


E' stato necessario il caso Marazzo, scandalo targato centrosinistra, affinché Pigi Battista e Piero Ostellino scoprissero sul 'Corriere della Sera' la parola 'dimissioni', finora inedita nel loro vocabolario

C'è voluto uno scandalo targato centrosinistra, il caso Marrazzo, perché Pigi Battista e Piero Ostellino scoprissero sul 'Corriere della Sera' una parola finora inedita nel loro vocabolario: dimissioni. Per una volta, non essendoci di mezzo Berlusconi, sono riusciti a guardare la luna invece del dito. Anziché prendersela con l''invadenza della magistratura', strillare alla privacy violata e alla 'guerra fra giustizia e politica', si sono concentrati sul fatto. Battista: "Un governatore sotto ricatto è politicamente dimezzato e azzoppato, impossibilitato a svolgere con serenità e responsabilità istituzionale le sue funzioni" e "deve valutare se fare un passo indietro". Ostellino: "In discussione non dovrebbero essere mai gli stili di vita, ma gli eventuali comportamenti pubblici 'accertabili e difformi' che ne conseguissero, per qualsiasi carica, premier compreso. Marrazzo ha ceduto al ricatto e pagato i ricattatori. Il ricatto è un reato, al quale mai si deve sottostare, tanto meno un uomo pubblico". Ben detto. "Premier compreso".

Poi però Ostellino liquida come "dichiarazioni moralistiche" le critiche a Berlusconi per i sexy-scandali: come se la difesa della Sacra Famiglia cattolica, le leggi antidroga e antiprostituzione non fossero "comportamenti pubblici accertabili e difformi" da quelli di un premier che è pappa e ciccia con un prosseneta-spacciatore, riceve a domicilio prostitute e - come dice la sua signora - frequenta minorenni e mette in lista le girl del suo harem. Ma sorvoliamo sul sesso e restiamo sul ricatto, "un reato al quale mai si deve sottostare, tanto meno un uomo pubblico".

Nel 1975 Berlusconi subisce un attentato mafioso in una delle sue ville e non lo denuncia. Nel 1986, replay: stessa villa, stessa bomba; stavolta se ne accorgono i carabinieri; il Cavaliere, al telefono con Dell'Utri, parla di "segnale estorsivo" del suo ex 'stalliere' Mangano e rivela di aver detto ai militari: "Se mi avesse telefonato, 30 milioni glieli davo!". Nel
1988 confida all'amico immobiliarista Renato Della Valle: "Mi han fatto estorsioni in maniera brutta. Mi è capitato altre volte, dieci anni fa, e son tornati fuori. Mi han detto che, se entro una certa data non faccio una roba, mi consegnano la testa di mio figlio ed espongono il corpo in piazza Duomo. Se fossi sicuro di togliermi questa roba dalle palle, pagherei tranquillo, così non rompono più i coglioni". Nel 1990 la Standa di Catania è bersagliata da attentati mafiosi, finché i dirigenti berlusconiani pagano il pizzo (180 milioni di lire); ma la Fininvest nega tutto e non denuncia gli estorsori, nemmeno quando vengono arrestati e processati. Due anni fa una gang di paparazzi minaccia di diffondere foto compromettenti di Barbara Berlusconi: Papi cede al ricatto e paga 20 mila euro. Da allora Battista e Ostellino tentano invano di pubblicare sul 'Corriere' due vibranti editoriali in cui chiedono le dimissioni del premier con le stesse parole usate per Marrazzo. Aiutiamoli: con il nostro sostegno, ce la possono fare.

(30 ottobre 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Editorialisti acrobatici
Inserito da: Admin - Novembre 26, 2009, 04:03:28 pm
Editorialisti acrobatici


di Marco Travaglio


In un suo intervento sul Corriere della Sera, Ernesto Galli Della Loggia si arrampica sugli specchi di via Solferino pur di non chiamare i processi a Berlusconi con il loro nome. Il 2 novembre Ernesto Galli della Loggia si scagliava sul 'Corriere della Sera' contro Michele Placido, reo di aver insultato a 'Che tempo che fa' i bersaglieri piemontesi scesi al Sud nel 1860, e contro Fabio Fazio che non li aveva difesi a dovere. "Quel che è grave", tuonava il Galli nonchè della Loggia, "mi verrebbe da scrivere vergognoso, è che a questa ignoranza presti i suoi mezzi il servizio pubblico. Con presentatori non saprei se più ignoranti o più timorosi di opporsi ai luoghi comuni accreditati". Sante parole, è ora di finirla.

Il 15 novembre però un editorialista dal doppio cognome si arrampica sugli specchi di Via Solferino pur di non chiamare i processi a Berlusconi col loro nome. Il free climber della parola definisce i fondi neri Mediaset e la corruzione di Mills "corto circuito politica-giustizia", "impasse politica paralizzante" e "vicolo cieco". Chiamarli processi per frode fiscale e corruzione gli pare brutto. Né lo sfiora l'idea che, se Mills non fosse stato corrotto e Mediaset non avesse accumulato milioni di euro in società off-shore, quei processi non sarebbero mai nati. Infatti auspica che "Bersani e il Pd si muovano per disinnescare il corto circuito, contribuendo a una seria riforma della giustizia". Come se quest'ultima potesse abolire due processi per reati comuni.

Lo spericolato commentatore li attribuisce non alle seriali illegalità del premier, ma a una sua fantomatica "vulnerabilità giudiziaria", insomma a un evento atmosferico, che trasformerebbe la magistratura in "attore di fatto politico" con cui è impossibile "un accordo" (Previti sì che li sapeva trovare gli accordi con i giudici: estero su estero). In un empito di lucidità, l'ardito editorialista si auto-obietta che Berlusconi potrebbe "mettersi da parte facendosi processare".

Ma è un attimo: si auto-risponde subito che "l'obiezione tradisce una straordinaria ingenuità sul modo in cui funzionano le cose nelle società reali: pensare che un capo politico di straordinario successo si faccia mettere fuori gioco da un tribunale senza combinare sfracelli" è "una favola". Chissà in quale "società reale" vive costui.

In quella d'Israele il premier di straordinario successo Olmert, indagato per finanziamento illecito, s'è dimesso e, anziché combinare sfracelli, s'è fatto processare.

Idem decine di popolarissimi politici Usa, da Nixon al governatore di New York Eliot Spitzer, eletto dal popolo ma subito dimissionario per un sexy-scandalo.

In Francia De Villepin, indagato nel caso Claistream, ha rinunciato all'Eliseo. Sarà che non conoscevano Galli della Loggia. Già, perché il nostro acrobatico editorialista è proprio lui. Ora, è vero che si occupa di faccende molto meno attuali dei bersaglieri del 1860.
 
Ma non vorremmo che qualcuno definisse grave - verrebbe da scrivere vergognoso - il suo editoriale e lui "ignorante o timoroso di opporsi ai luoghi comuni accreditati".

Anche perché l'una non esclude l'altra.

(20 novembre 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Bugiardi al talk show
Inserito da: Admin - Novembre 28, 2009, 03:57:54 pm
Bugiardi al talk show

di Marco Travaglio


Manualetto di autodifesa per il telespettatore contro le principali bugie governative nei dibattiti sulla (anzi, contro la) giustizia  Aula di tribunale1. "I processi sono lenti perché i magistrati italiani lavorano 4 ore al giorno". I magistrati italiani vantano la più alta produttività d'Europa. Ogni anno ciascuno definisce in media 1.400 procedimenti: 4 al giorno (lavorativo). Secondo il rapporto 2008 della Commissione europea per l'efficienza della giustizia (Cepej), il giudice civile italiano di primo grado smaltisce 411,33 procedimenti civili all'anno e quello penale 181,09: il doppio dei francesi, spagnoli e portoghesi, il quintuplo dei tedeschi.

2. "I magistrati non pagano mai i loro errori". In realtà, non godono di alcun tipo di immunità: se commettono un reato, finiscono sotto processo come ogni altro cittadino. Quando un giudice scopre un collega che ruba, lo arresta; quando si scopre un politico che ruba, i colleghi lo coprono (in 60 anni le Camere hanno sempre negato l'autorizzazione all'arresto di propri membri per mafia e corruzione). Per le infrazioni disciplinari, il Csm infligge molte più sanzioni di qualunque ordine professionale (quello degli Avvocati non ha ancora espulso Previti, a tre anni dalle condanne definitive per due corruzioni giudiziarie). Sempre secondo il Cepej, il nostro Csm nel 2006 ha aperto 92 procedimenti disciplinari e sanzionato 66 toghe, 7,5 ogni mille. In Francia solo 14 sanzioni disciplinari (0,5 su mille), in Germania 29 (1 su mille), in Spagna 24 (3,5 su mille).

3. "I processi a Berlusconi sono politici: gliene hanno aperti oltre cento, tutti dopo la sua discesa in campo". Berlusconi ha subìto 16 processi e la magistratura si era occupata di lui anche prima del '94. Nel 1983 fu indagato dalla Guardia di Finanza per traffico di droga, indagine poi archiviata. Nel 1984 tre pretori sequestrarono gli impianti che consentivano alle reti Fininvest di trasmettere su scala nazionale in 'interconnessione', con l'effetto-diretta consentito solo alla Rai. Craxi sanò l'illegalità con due decreti ad personam. Nello stesso anno il giudice
Renato Squillante interrogò Berlusconi, assistito da Previti, in un processo per antenne abusive, poi lo archiviò. Squillante aveva un conto in Svizzera comunicante con quelli di Previti e della Fininvest. Nel 1989 il Cavaliere giurò il falso al pretore di Verona a proposito della P2 e fu processato per falsa testimonianza, ma lo salvò l'amnistia del 1990. Quanto a Tangentopoli - come scrive il gip bresciano Carlo Bianchetti, archiviando una denuncia di Berlusconi contro il pool di Milano - "risulta dagli atti che le iniziative giudiziarie del pool Mani pulite verso il dottor Berlusconi e le sue aziende avevano preceduto, non seguito la sua discesa in campo.

Nel gennaio '94 la Procura di Milano aveva già avviato svariati procedimenti su di lui e/o le sue aziende". Berlusconi non è stato indagato perché era sceso in campo. È sceso in campo perché lo stavano indagando.

(26 novembre 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Tanto fumo e niente arresto
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2009, 08:15:59 pm
Tanto fumo e niente arresto

di Marco Travaglio


Già è singolare un presidente del Consiglio che, ogni due per tre, vanta le migliaia di perquisizioni e di udienze subite, le decine di processi affrontati (in realtà sono 16), le centinaia di magistrati che si sono occupati di lui, come se quelle medie da delinquente incallito fossero un titolo di merito. Ora poi che s'è messo a vantarsi dei mafiosi arrestati e dei beni sequestrati come se fossero opera sua, non ci si capisce più niente. Anche perché nel frattempo, in tandem con Dell'Utri, ha ribadito che Mangano fu un "eroe" perché in carcere non parlò di nessuno dei due, mentre Spatuzza che parla di entrambi, oltreché di se stesso e dei suoi complici, è un pentito prezzolato e dice "minchiate".

Ma i nove decimi dei boss e killer della mafia, della camorra e della 'ndrangheta arrestati e dei loro patrimoni sequestrati sono stati individuati grazie ai pentiti che parlano anziché esercitare la virtù dell'omertà (pardon, dell'eroismo). O grazie alle intercettazioni che il governo sta per ridurre al lumicino. Che facciamo? Tagliamo i pentiti in due, come fa Silvan con la sua valletta: buoni quando parlano di se stessi e dei loro pari, cattivi quando parlano dei livelli superiori? L'affare si complica vieppiù se si considera che i magistrati che arrestano i mafiosi e sequestrano i beni sono gli stessi che a Palermo processano Dell'Utri per concorso esterno e due ufficiali del Ros per la mancata cattura di Provenzano, e indagano sulle trattative Stato-mafia. Gli stessi che a Caltanissetta e Firenze hanno riaperto le indagini sui mandanti occulti delle stragi del 1992-93. Gli stessi che a Napoli han chiesto e ottenuto un ordine di custodia per il sottosegretario Cosentino, subito stoppato dalla Camera.

Se Montecitorio avesse dato il via libera, le statistiche sventolate da Berlusconi, Alfano e Maroni avrebbero potuto arricchirsi di un bel +1: invece niente, anzi -1. Come ci regoliamo allora? Tagliamo a fette anche i magistrati antimafia, buonissimi quando arrestano i quacquaracquà e cattivissimi quando arrestano (o almeno ci provano) i politici loro amici? Possibile che la Dda di Napoli sia una squadra di fuoriclasse quando ingabbia la bassa manovalanza e si trasformi un covo di schiappe quando prende i colletti bianchi, salvo tornare a rifulgere d'infallibilità quando sequestra il tesoro dei Casalesi rimpinguando le statistiche del governo? A proposito di soldi sequestrati: tre anni fa Clementina Forleo recuperò dai furbetti del quartierino 300 milioni, subito usati dal governo per costruire asili e tappar buchi nel bilancio della Giustizia: come mai il Csm la premiò cacciandola da Milano anche col voto del Pdl che si fa bello con quelle cifre?

Gianfranco Fini è stato crocifisso dai berluscones per collusione con la Giustizia, avendo osato rivolgere la parola al procuratore di Pescara, Nicola Trifuoggi, che aveva osato far arrestare Ottaviano Del Turco. Ma, se gli arresti sono merito del governo, il premier e tutti i ministri dovrebbero correre da Trifuoggi per congratularsi. O no?

(16 dicembre 2009)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - D’Alema, l’ex capo del Sismi e gli strani Servizi
Inserito da: Admin - Dicembre 26, 2009, 11:22:27 pm
Cronaca | Marco Travaglio 

D’Alema, l’ex capo del Sismi e gli strani Servizi

L'ex premier in pole per il Copasir: è l'uomo giusto?



Siamo sicuri che Massimo D’Alema sia l’uomo giusto per subentrare a Rutelli alla presidenza del Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti? Alcuni trascorsi del suo passato prossimo e remoto farebbero pensare il contrario.

Missili da Picconatore. Nel novembre 1991 D’Alema è numero 2 del Pds subito sotto il fondatore Achille Occhetto. Il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, in due interviste a Federico Orlando sul Giornale di Montanelli, chiama in causa il partito (che ha appena chiesto il suo impeachment) a proposito di strane visite di agenti cecoslovacchi a Botteghe Oscure.
Poi parla di presunte operazioni finanziarie fra Kgb e Pds: "Venimmo a sapere che il Kgb sottraeva fondi alle autorità sovietiche per trasferirli in Occidente. Ho temuto che il nuovo Pds potesse cadere nel gioco (magari per trascinamento dei vecchi tempi, quando il Pci riceveva finanziamenti dall’Est)… Ho mandato a chiamare il ‘freddo D’Alema’. Mi ha detto che avevano preso contatto con le autorità sovietiche. L’impressione è che D’Alema avesse tenuto all’oscuro Occhetto. E poi dicono che sono io che ho i dossier… Voglio sapere chi ha proposto a D’Alema o a chi per lui illeciti trasferimenti di soldi dall’Urss; perché l’on.D’Alema non ha informato di questo i servizi di sicurezza italiani e la magistratura". D’Alema replica a muso duro: “Sono stato un ragazzotto a fidarmi di Cossiga. Ma non è riuscito a spaventarci. Ha convocato al Quirinale i capi dei servizi segreti. Il governo chiarisce il rapporto tra presidente e servizi e l'uso degli apparati a fini di lotta politica e personale”. Nel bailamme di quei giorni convulsi, il caso finisce nel dimenticatoio. Ma per un paio d’anni rallenta la carriera di Max. Il quale poi diventerà amicone di Cossiga, grande sponsor del suo governo nel 1998.

Il virus dei Pollari. Nel 2006 scoppiano gli scandali che travolgono il Sismi di Niccolò Pollari, indagato per il sequestro di Abu Omar e per le schedature di politici di centrosinistra (fra cui i dalemiani Violante, Visco e Bargone, ma non il leader), giornalisti e pm. D’Alema, vicepremier e ministro degli Esteri del governo Prodi-2, partecipa a tutte le riunioni ristrette per decidere la riforma dei servizi e riesce a non dire mai una parola sulle responsabilità di Pollari. Ma Cossiga, altro protettore del generale, non è ancora soddisfatto e il 10 luglio lo richiama all’ordine: "D'Alema mi disse 'Pollari non si tocca'. Però quando poi ha incontrato Pollari ha allargato le braccia e non lo ha neppure salutato". Due giorni dopo D’Alema dichiara: "Conosco e stimo il gen. Pollari da molti anni e credo che lui abbia considerazione per la mia persona in ragione della cooperazione istituzionale che abbiamo avuto in passato. Non mi risulta che il Sismi abbia avuto una politica di violare i diritti umani. Mi pare una sciocchezza". Il 20 novembre Pollari è avvicendato al Sismi, ma D’Alema ne loda "l’efficienza" e auspica "giudizi equilibrati per salvaguardare strutture composte da servitori dello Stato che hanno pagato con la vita". Quando poi la querelle fra governo e giudici finisce alla Consulta, rivendica "il dovere di difendere il segreto di Stato, importante per la sicurezza dei cittadini".

Da Telecom al fondo Quercia. Indagando sullo spionaggio illegale della Security Telecom guidata da Giuliano Tavaroli, la Procura di Milano scopre migliaia di dossier che finivano in parte sulla scrivania di Pollari. Il numero 2 del Sismi, Marco Mancini, intimo di Tavaroli, confida ai pm di aver ricevuto nel 2003 un fascicolo della Security su presunti conti esteri legati ai Ds e dice di averli mostrati al dalemiano Nicola Latorre (che smentisce tutto) su suggerimento di Pollari. Impossibile, per ora, accertare se le notizie del dossier siano vere o false: si tratta di estratti conto di banche estere riferibili al presunto fiduciario di un importante leader Ds e di documenti sull'Oak Fund, un fondo delle Cayman socio di Bell, la holding lussemburghese creata dal finanziere Emilio Gnutti per dare la scalata a Telecom con Consorte e Colaninno (i famosi "capitani coraggiosi" benedetti da D’Alema). Max & C. han sempre querelato chiunque facesse cenno alla faccenda: curiosamente però, non appena uscì la notizia del sequestro dei dossier Telecom, destra e sinistra s’affrettarono a varare un decreto che ne ordinava l’immediata distruzione prim’ancora di sapere che cosa contenevano.

Chat line Unipol. Intanto D’Alema finisce nei guai per i suoi rapporti con Consorte. Il 14 luglio 2005, in piena scalata Unipol alla Bnl, telefona all’amico assicuratore alle 9.46 del mattino: "Io poi ti devo dire una cosa...ah...se tu trovi un secondo...direttamente…Volevo dirti...delle prudenze che devi avere. Forse... ti è arrivata la voce, diciamo… Devo farti l’elenco... delle prudenze che devi avere… sì, delle comunicazioni". Nell’ordinanza con cui chiede invano al Parlamento di autorizzare l’utilizzo delle intercettazioni, il gip Forleo spiega: "È evidente che la ‘prudenza delle comunicazioni’ non può che essere riferita a notizie avute in ordine a possibili, anzi a probabili intercettazioni in corso…verosimilmente alludendo alla notizia in quel periodo circolata negli ambienti in questione – delle operazioni di intercettazione innescate dagli inquirenti". Per quelle telefonate la Procura di Milano non ha potuto indagare D’Alema, protetto dall’immunità europea. Chissà se il processo Unipol che si apre a Milano il 1° febbraio riuscirà ad appurare chi lo informò delle intercettazioni sul cellulare di Consorte. Ma, di quella fuga di notizie, potrebbe sempre occuparsi il Copasir.

Da Il Fatto Quotidiano del 24 dicembre

 


Titolo: Marco TRAVAGLIO - I craxiani sono peggio di Bettino
Inserito da: Admin - Gennaio 08, 2010, 11:46:00 pm
I craxiani sono peggio di Bettino

di Marco Travaglio


Quanti Stati esistono in Italia, se uno condanna un corrotto e un altro lo celebra come statista?
 
Tra le fumisterie politichesi che precedono il decennale della morte di Bettino Craxi, nessuno è ancora riuscito a dare una risposta sensata a una semplice domanda: perché bisognerebbe riabilitarlo? Secondo Piero Fassino, "al di là delle responsabilità penali, a dimensione giudiziaria ha sovrastato a riflessione politica". Come se non fosse un fatto politico gravissimo che un presidente del Consiglio infranga le leggi che lui stesso pretende di imporre agli altri. Fassino definisce Craxi "un capro espiatorio" perché "il problema del finanziamento illegale non riguardava solo il Psi, ma l'intero sistema politico". Se le parole hanno un senso, sta confessando di essere stato complice del "problema": cioè di un reato.

Filippo Penati definisce Craxi "un grande statista", ma statista deriva da Stato: quanti Stati esistono in Italia, se uno condanna un corrotto e un altro lo celebra come statista? Bobo, figlio d'arte, parla di "pacificazione", ma non spiega chi dovrebbe far la pace con chi: le guardie con i ladri? I ladri con i derubati? Il ministro degli Esteri Franco Frattini andrà addirittura in pellegrinaggio ad Hammamet: è lo stesso Frattini che protesta perché qualcuno, in America, critica la condanna di Amanda Knox a Perugia. Ma come può un governo invocare il rispetto della giustizia italiana se i suoi ministri sono i primi a delegittimarla? Letizia Moratti paragona le condanne di Craxi a quelle di Garibaldi e Giordano Bruno, come se questi intascassero tangenti miliardarie su conti svizzeri. Paolo Franchi, sul 'Corriere della Sera', sostiene che Craxi non si assoggettò alla giustizia perché "erano tempi in cui non si facevano prigionieri". In realtà Craxi doveva finire in carcere per scontare due condanne definitive a 10 anni emesse da un regolare tribunale al termine di regolari processi.

Per Carlo Tognoli, pure lui pregiudicato, è ora di "riscrivere la storia" perché "è falso che la classe politica fosse totalmente corrotta". Ma che rubassero tutti lo disse proprio Craxi alla Camera: mentiva Craxi o mente Tognoli? Carlo Ripa di Meana definisce Craxi "un gigante fra i lillipuziani", mentre "Mani Pulite non portò alcuna redenzione": ma le indagini giudiziarie servono a punire chi commette reati, non a impedire che altri ne commettano. Ripa paragona Craxi a Kohl. Forse gli, sfugge che dieci anni fa il patriarca della Germania unita fu indagato per i fondi neri della Cdu, ammise di aver incassato 1 milione di euro in nero, si scusò in lacrime, lasciò la presidenza del partito, pagò 300 mila marchi per chiudere il suo processo, ipotecò la casa e raccolse 3 milioni di euro per risarcire la multa pagata a causa sua dalla Cdu. Due mesi fa la sua erede Angela Merkel l'ha escluso dalle celebrazioni per i 10 anni dalla caduta del muro di Berlino.

A proposito di giganti e di nani.

(08 gennaio 2010)
da espresso.repubblica.it
 


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il Massimo del minimo
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2010, 09:56:27 am
Il Massimo del minimo

di Marco Travaglio
 

Due anni fa, in pieno scandalo Unipol, il Signornò domandò cosa dovesse ancora fare Massimo D'Alema contro il centrosinistra per essere accompagnato alla porta. D'Alema ha risposto con i fatti. Nel giro di un mese ha riabilitato l'inciucio con Berlusconi, ha riabilitato per l'ennesima volta quel Craxi a cui 10 anni fa offrì i funerali di Stato e soprattutto ha devastato alla velocità della luce il centrosinistra nella sua Puglia, una delle poche regioni in cui il Pd conservava una vocazione maggioritaria. Ha sacrificato il governatore Nichi Vendola sull'altare dell'Udc, ha lanciato al suo posto il sindaco appena rieletto di Bari Michele Emiliano senza passare per le primarie, poi l'ha cambiato in corsa con Francesco Boccia irridendo alle primarie, poi le ha riesumate ("Le ho sempre volute") ma a patto che le vinca Boccia, poi si è meravigliato del fatto che Vendola non si ritiri tutto giulivo dalla corsa. Infine, con l'aria di chi passa di lì per caso e vola alto su una distesa di cadaveri e macerie, ha commentato schifato: "Non ci capisco più niente".

Il tutto in una regione dove non muove foglia che lui non voglia. La Volpe del Tavoliere, come lo chiama 'il manifesto', aveva già tentato di imporre Boccia quattro anni fa: purtroppo però le primarie le vinse Vendola. D'Alema, furibondo con gli elettori che non lo capivano, commentò: "La mia pazienza ha un limite" e scaricò il suo sarcasmo su Nichi: "Vincere le primarie è facile, battere Fitto è un'altra cosa". Naturalmente Vendola batté Fitto. Allora Max gli diede una mano delle sue, regalandogli due assessori coi fiocchi: il vicepresidente Sandro Frisullo e il responsabile della Sanità, l'ex socialista Alberto Tedesco. Sarà un caso, ma il primo s'è scoperto cliente di Giampi Tarantini, ras delle protesi sanitarie e fornitore privilegiato delle Asl pugliesi, esattamente come la famiglia di Tedesco, assessore in pieno conflitto d'interessi. Sia Frisullo sia Tedesco sono stati indagati dalla Procura e dimissionati da Vendola, che ha azzerato l'intera giunta. Tedesco è passato al Senato col Pd, cioè al sicuro, grazie al dalemiano Paolo De Castro, spedito a Strasburgo per liberargli il seggio.

Ora, dopo l'ennesimo passaggio dell'Attila di Gallipoli, si contano i morti e i feriti: Emiliano, uno dei sindaci più popolari d'Italia, deve far dimenticare l'autocandidatura e la richiesta di una legge ad personam per correre alla Regione senza lasciare il Comune; Boccia, dopo aver detto "primarie mai", deve tentare di vincerle contro Vendola, il quale è riuscito a far dimenticare gli errori politici degli ultimi mesi (come la lettera aperta contro il pm Desirée Di Geronimo che indaga sulla sua ex giunta), ma ormai ha col Pd rapporti talmente conflittuali da rendere impossibile qualunque ricucitura.

Sabato scorso, Max pareva avere finalmente capito: "In certi momenti", ha detto, "un leader deve fare un passo indietro". Ma l'illusione è durata poco: parlava di Vendola.

(21 gennaio 2010)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Viva il giudice quando sbaglia
Inserito da: Admin - Marzo 14, 2010, 03:16:16 pm
Viva il giudice quando sbaglia

di Marco Travaglio
 

Nella migliore tradizione, i magistrati italiani vengono attaccati solo quando fanno cose giuste e ragionevoli. È accaduto al Tribunale di Milano che non ha accolto l'impedimento invocato da Silvio Berlusconi per il Consiglio dei ministri convocato in extremis, senz'alcun reale motivo di urgenza, per il 1 marzo: proprio la data che lui stesso aveva indicato ai giudici del processo Mediaset come sgombra da impegni istituzionali. Apriti cielo: botte da orbi al Tribunale, non solo da politici e giornali berlusconiani, ma anche dal 'Corriere della sera'. Invece, quattro giorni dopo, silenzio di tomba sulla sconcertante motivazione con cui la Corte d'appello di Palermo impegnata nel processo Dell'Utri ha rigettato per la seconda volta la richiesta dell'accusa di ammettere la testimonianza di Massimo Ciancimino. La decisione, visto che il processo è agli sgoccioli, in piena requisitoria, le fonti di prova non mancano di certo e la Procura sta ancora 'riscontrando' le parole del dichiarante, è ragionevole.

Ma per motivarla bastavano poche righe. Invece i giudici hanno partorito un'ordinanza-fiume di 9 pagine, del tutto irrituale anche per il suo contenuto: parole durissime sulla attendibilità del teste per la "progressione, l'irrisolta contraddittorietà" e la "genericità" delle sue dichiarazioni. Ma come può un giudice stabilire che un testimone è inattendibile se non lo ascolta nemmeno per 30 secondi? Le cose dette dinanzi al pm, per il codice di procedura, non hanno alcun valore se non vengono ripetute in aula. Ma se la Corte tiene Ciancimino fuori dall'uscio, come fa a dire che non è credibile? Infatti, ascoltandolo, i giudici del processo Mercadante (vedi 'Signornò' del 4 marzo) ne hanno tratto "un giudizio di alta credibilità" per il suo "racconto fluido e coerente, senza contraddizioni". Invece quelli del processo Dell'Utri sentenziano il contrario in sua assenza, a prescindere. E fanno addirittura le pulci alle sue dichiarazioni sul pizzino inviato al padre da Provenzano intorno al 2000 a proposito del "nostro Sen.": che - racconta lui - don Vito gli confidò essere Dell'Utri. Ma questa per la Corte è una bugia perché nel 2000 Dell'Utri era deputato: divenne senatore solo nel 2001.

E se il pizzino fosse del 2001? E se Provenzano avesse confuso 'Sen.' con 'On.'? E se Ciancimino riferisse semplicemente quel che gli disse, sbagliando, il padre? In fondo, se avesse voluto rendere più credibile una bugia, gli sarebbe bastata una verifica su Google. E i processi servono proprio per saggiare l'attendibilità dei testimoni. Ma, per farlo, bisognerebbe interrogarli. Tantopiù che i giudici lamentano i troppi 'omissis' apposti sui verbali dalla Procura. Quale migliore soluzione, per riempire quei buchi, che sentire Ciancimino in aula? L'ordinanza che dà del "contraddittorio" a Ciancimino non potrebbe essere più contraddittoria. E non promette nulla di buono sulla serenità dei giudici che, fra qualche mese, giudicheranno Dell'Utri.

(11 marzo 2010)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Reality Show Confindustria
Inserito da: Admin - Aprile 26, 2010, 11:43:29 am
Reality Show Confindustria

di Marco Travaglio
 

Ogni tanto Emma Marcegaglia sventola la bandiera della legalità. Ma poi, a parte la minaccia di espellere gl'imprenditori che pagano il pizzo alle mafie, si ferma lì. Soprattutto quando, alle adunate di Confindustria, le tocca ospitare Silvio Berlusconi. Evocare la legalità in sua presenza è come parlare di corda in casa dell'impiccato. Infatti l'argomento viene pudicamente accantonato. Almeno da lei. Lui invece ne parla eccome, come ha fatto al recente forum di Parma, dove ha arringato la platea confindustriale contro i magistrati e la Consulta. Risultato: 26 applausi in meno di un'ora, uno per ogni menzogna. Ha subito promesso "una legge che darà il diritto di parlare al telefono con riservatezza", perché "il presidente del Consiglio è stato intercettato 18 volte da una magistratura periferica" (quella di Trani).

Falso: Berlusconi non è mai stato intercettato in vita sua. Né prima del 1994, né dopo che fu eletto deputato (e come tale non intercettabile senza l'autorizzazione della Camera). Se la sua voce è stata talvolta registrata è perché i pm intercettavano persone sospettate di commettere reati e queste parlavano con lui: Dell'Utri, l'immobiliarista Della Valle, Cuffaro, Saccà e - ultimamente a Trani - Innocenzi e Minzolini. Per evitare che il premier venga intercettato non c'è bisogno di nuove leggi: basta che lui selezioni meglio gli interlocutori. Non è difficile. Ogni anno gli italiani intercettati sono 15-20 mila: perché non prova a parlare con gli altri? Sono decine di milioni. Sempre dinanzi agl'imprenditori plaudenti, il premier ha fornito dati falsi sulla Corte costituzionale: gli "11 membri su 15 nominati da tre presidenti della Repubblica vicini alla sinistra" (Scalfaro, Ciampi, Napolitano) esistono solo nella sua fantasia. Nessuno dei 15 giudici costituzionali è stato nominato da Scalfaro; quattro li ha indicati Ciampi e uno solo Napolitano (un giurista fiorentino vicino alla destra cattolica). Farlocca anche la cifra di "2.550 udienze" processuali subìte dal Cavaliere.

Solo 10 dei suoi 16 processi sono approdati al dibattimento: per giungere a quel totale iperbolico, avrebbero dovuto protrarsi ciascuno per una media di 255 udienze. Cosa mai accaduta in nessuno dei dieci. Per chiudere degnamente l'arringa, Berlusconi ha domandato agl'imprenditori: "Quanti di voi non hanno mai rischiato di essere intercettati?". Silenzio. E lui: "Avete tutti uno scheletro nell'armadio, eh?". A parte la stranezza di un premier che si vanta spudoratamente delle sue statistiche giudiziarie da criminale incallito ("Sono il più grande imputato di tutti i tempi nell'universo"), l'ultima domanda avrebbe raccolto fischi e pernacchie persino nell'ora d'aria di San Vittore. Anche lì qualcuno avrebbe ribattuto, offeso a morte: "Scusi, ma lei come si permette? Parli per sé". Invece la platea confindustriale s'è abbandonata, forse comprensibilmente, alla più sfrenata ilarità. Si attende con ansia la prossima lezione di legalità della sora Emma.

(22 aprile 2010)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il Paese dei senza vergogna
Inserito da: Admin - Maggio 08, 2010, 02:53:31 pm
Il Paese dei senza vergogna

di Marco Travaglio
 

Più che per i comportamenti indecenti della classe dirigente, la nostra epoca verrà ricordata per l'uso ancor più indecente delle parole usate per coprirli. Prendete Claudio Scajola: tirato in ballo da documenti ormai pubblici dei giudici di Perugia a proposito degli 80 assegni dell'impresario Diego Anemone che, secondo quattro testimoni, sarebbero serviti a pagargli un appartamento di 180 metri quadri con vista sul Colosseo, il ministro parla di "un mezzanino". Si dice "disgustato che il segreto istruttorio finisca sui giornali".

Poi aggiunge: "Non posso dire nulla sul merito per rispetto alla magistratura che sta lavorando". Come se un ministro accusato di rubare potesse difendersi dicendo: "È un segreto". E restare al suo posto perché, beninteso, "non mi lascio intimidire" (ma da chi?). Questa disinvoltura verbale che porta personaggi di primo piano a dire qualunque cosa, nell'assoluta certezza che non saranno mai chiamati a risponderne, contagia anche un'istituzione bimillenaria come la Chiesa.

In pieno scandalo dei preti pedofili, il portavoce vaticano padre Federico Lombardi ribatte che "ci sono pedofili anche fra i laici": il classico così fan tutti dei vari Craxi, Mastella e Moggi. Il premier, due volte sposato e due volte separato, fa la comunione a favore di telecamera ai funerali di Vianello? Monsignor Rino Fisichella si precipita a giustificarlo con queste parole: "Rimosso l'ostacolo di Veronica, il Berlusconi poteva prendere la comunione". Insigni teologi e prelati assicurano che, diritto canonico alla mano, le cose non stanno così, ma passi.

È molto più grave che un uomo di Chiesa degradi un essere umano, una moglie, una madre a "ostacolo" da "rimuovere", manco fosse un oggetto, un ingombro, un'escrescenza, un ferrovecchio. Dinanzi a tanto cinismo anticristiano nessuno, cattolico o ateo, ha avuto nulla da obiettare (a parte Peppino Caldarola sul 'Riformista'). Marco Belpoliti spiega bene le radici di questa deriva fin dal titolo del suo ultimo libro, 'Senza vergogna': la società dell'immagine inghiotte e digerisce parole e cose terribili senza neppure emettere un ruttino.

Due mesi fa il ministro Giulio Tremonti disse: "Quando incontri un assessore, non sai mai se è un assessore o un camorrista".
Si pensava che qualcuno delle migliaia di assessori sarebbe insorto, invece tutti zitti. Silenzio anche sulla denuncia del governatore siciliano Raffaele Lombardo appena indagato per mafia: "C'è un tavolo trasversale ai partiti dove si è progettato di eliminarmi fisicamente". Silenzio sulle parole del procuratore di Napoli, Giandomenico Lepore, all'Antimafia: "Un terzo dei politici campani sono collusi con la camorra".

Silenzio sulla confessione del ministro Roberto Maroni: "Scarico illegalmente musica da Internet". Parola del responsabile della polizia che, per legge, dovrebbe denunciare chi fa ciò che fa lui. Senza vergogna, appunto.

(06 maggio 2010)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-paese-dei-senza-vergogna/2126500/18


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Panebianco e Montalbano
Inserito da: Admin - Giugno 19, 2010, 02:47:03 pm
Panebianco e Montalbano

di Marco Travaglio

L'attacco del politologo ed editorialista del 'Corriere della Sera' contro il personaggio di Camilleri è più demenziale di "Fracchia contro Dracula"

(18 giugno 2010)


Più travolgente di "Totò contro Maciste", più demenziale di "Fracchia contro Dracula", ecco a voi "Panebianco contro Montalbano". Panebianco Angelo è l'impettito politologo bolognese che scrive sul "Corriere della Sera". Montalbano Salvo è il commissario di polizia uscito dalla fantasia di Andrea Camilleri. La singolar tenzone comincia quando Panebianco, guardando un telefilm di Montalbano, lo scopre "intrattenere rapporti telefonici con un vecchio capo mafia" e addirittura "convocare i capi cosca in una località segreta e obbligarli a stipulare un accordo". Sgomento, s'interroga su "Sette": "Non ce n'è abbastanza per attirarsi addosso un "concorso esterno in associazione mafiosa", quel famoso reato che non esiste in nessun codice... ed è stato tuttavia alla base di tutti i processi per mafia a personaggi eccellenti (Andreotti, Contrada, Dell'Utri e altri)?".

Conclusione: "Montalbano (o Contrada?), quando si muove nelle questioni di mafia, opera inevitabilmente in una zona grigia dove il confine fra legalità e illegalità è sempre incerto". Ma l'importante sono "le intenzioni onestissime" di Montalbano e dei suoi presunti emuli Andreotti, Contrada e Dell'Utri. Dunque, se si assolve il commissario, si assolva almeno Dell'Utri (Contrada è stato già condannato e Andreotti, imputato non di concorso esterno ma di associazione interna a Cosa Nostra, prescritto fino al 1980). Naturalmente Panebianco parla di Montalbano perché Camilleri intenda: lo scrittore siciliano è reo di sostenere i giudici antimafia, dunque è un "giustizialista". Peccato mortale, agli occhi del professore "garantista". Camilleri risponde ironico su "l'Unità", dimostrando che il suo critico non solo non ha capito, ma non ha neppure letto la storia di cui si occupa (già Cesare Garboli, nel 2001, aveva liquidato un attacco del politologo con un definitivo "se Panebianco leggesse i libri di cui parla..."). Immediata la replica del prof sul "Corriere": Camilleri "non è un vero signore", ma un tipo "cupo e arrogante" e - aridaje - "giustizialista".

Ora, a parte il fatto che il primo ad applicare alla mafia il concorso esterno fu Falcone nel 1987, l'aspetto più comico di questa lezione di garantismo è che a impartirla sia Panebianco. A meno che non sia un omonimo del Panebianco che, sul "Corriere" del 13 agosto 2006, citando il sequestro Abu Omar da parte della Cia con l'aiuto del Sismi, attaccava i critici degli arresti illegali e delle torture in nome della "lotta al terrorismo"; irrideva all'"apologia della legalità" fatta da chi pensa che "cose come i diritti umani e lo Stato di diritto debbano sempre avere la precedenza su tutto"; definiva "feticcio" lo Stato di diritto perché "dalla guerra non ci si può difendere con mezzi legali ordinari"; e proponeva di legalizzare la "zona grigia a cavallo tra legalità e illegalità, ove gli operatori della sicurezza possano agire per sventare le minacce più gravi". Prossimo film: "Torquemada contro Cesare Beccaria".

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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Storici che ignorano la storia
Inserito da: Admin - Luglio 18, 2010, 10:52:53 am
Storici che ignorano la storia

di Marco Travaglio

(14 luglio 2010)

"I magistrati avrebbero dovuto rendersi conto che le loro azioni giudiziarie colpivano alcuni partiti più di altri: Tangentopoli sarebbe stata una decimazione, con quel tanto di casualità che una tale giustizia comporta. Ma tirarono dritto per la loro strada".

Così parlò l'ambasciatore Sergio Romano, invitato da Laterza, Comune di Milano e Fondazione Corriere della sera a tenere una lezione su Tangentopoli. Romano non spiega che avrebbe dovuto fare il pool Mani Pulite dinanzi alle confessioni di centinaia di imprenditori e politici coinvolti in un sistema di corruzione che (dati del Centro Einaudi) si mangiava 10-15 mila miliardi di lire l'anno. Voltarsi dall'altra parte? Cestinare le migliaia di notizie di reato giunte sui loro tavoli? Ignorare l'obbligatorietà dell'azione penale sancita dalla Costituzione? Il tutto perché sapeva di non poter incastrare tutti i corrotti e corruttori attivi in Italia? Oh bella: in ogni indagine per traffico di droga il magistrato sa che non riuscirà a scovare tutti i trafficanti, ma solo quelli che si son fatti scoprire.

Dovrebbe dunque lasciarli liberi per evitare di "colpirli più di altri" con una "decimazione", in attesa di acciuffare tutti quelli esistenti in natura? In ogni caso è falso che il Pool ignorasse la naturale selettività delle indagini, circoscritte inevitabilmente ai casi supportati da prove. Infatti prima Gherardo Colombo (su "Micromega", estate 1992) poi l'intero pool (proposta di Cernobbio, settembre '94) suggerirono una soluzione che facesse affiorare tutto il sommerso, liberando la politica dai ricatti incrociati: una clausola di non punibilità a chi confessava tutto, revocabile nel caso in cui si scoprisse che il tutto era solo una parte. Ma furono presi a male parole dall'intera Casta, terrorizzata dall'emersione dell'iceberg tangentizio.

Strano che lo storico Romano l'abbia dimenticato. Del resto, nella stessa lezione, l'ambasciatore sostiene che il decreto Conso del marzo '93 che depenalizzava il finanziamento illecito fu affossato dal "grave pronunciamento televisivo dei procuratori di Milano", roba da colpo di Stato.

In realtà è il decreto Biondi del '94 che fu ritirato per la retromarcia di Fini e Bossi dopo un comunicato letto in tv da Di Pietro circondato dal resto del pool. Il decreto Conso, un anno prima, fu respinto dal presidente Scalfaro perché interferiva col referendum sul finanziamento ai partiti fissato per il mese seguente: Borrelli si limitò a comunicare che, contrariamente a quanto detto dal premier Amato, il pool non aveva mai chiesto di depenalizzare i fondi neri. Romano conclude che anche oggi la magistratura "non fa il suo mestiere" perché fa "delle sue azioni giudiziarie contro Berlusconi la ragione della propria esistenza". Bella battuta: in Italia s'iniziano ogni anno tre milioni di nuovi processi penali e di questi solo tre (un milionesimo) riguardano il premier, peraltro bloccati da due anni (lodo Alfano e legittimo impedimento). La prossima volta, anziché di storia, potrebbero invitarlo per una lezione di satira.

   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Balle spaziali ma garantiste
Inserito da: Admin - Luglio 18, 2010, 10:55:40 am
Balle spaziali ma garantiste

di Marco Travaglio

(15 luglio 2010)

Ogni giorno un nuovo scandalo. Dell'Utri mafioso anche in appello. Vecchie P2 e nuove P3 in azione. Ma ecco un libello che fin dal titolo mette il dito sulla vera piaga d'Italia: "Il morbo giustizialista" (Marsilio). L'hanno scritto Giovanni Fasanella, giornalista di "Panorama", e Giovanni Pellegrino, avvocato, già senatore Ds, presidente della commissione Stragi e difensore di Previti: a loro avviso le anomalie italiane sarebbero i pm troppo indipendenti, il loro "indubbio accanimento" contro B. e una sinistra succube del "partito delle Procure" che, anziché separare le carriere come richiesto da Gelli, Craxi e B., si attarda in una "sterile" difesa della Costituzione. La parte più avvincente è quella che si addentra nella recente storia giudiziaria per avvalorare la tesi dei due Giovanni. Si parte dal "processo Mills in cui Berlusconi era imputato" (falso: è ancora imputato, congelato dal legittimo impedimento): "Qualsiasi persona dotata di un minimo di conoscenza della giustizia prevedeva che sarebbe andato in prescrizione" (falso: la prescrizione sarebbe scattata nel 2014, ma fu retrodatata al 2009 grazie alla legge ex Cirielli approvata dall'imputato B.). Altra rivelazione: "Nessuna iniziativa delle Procure contro Berlusconi è mai arrivata a una sentenza di condanna, nemmeno di primo grado" (falso: B. fu condannato in primo grado tre volte, nei processi Macherio, All Iberian e Guardia di Finanza).

Per far saltare la Bicamerale, il pm Gherardo Colombo l'avrebbe "paragonata sul "Corriere della Sera" addirittura al Piano di rinascita nazionale di Gelli" (falso: il Piano era di rinascita democratica e Colombo nell'intervista non vi accennò neppure). Ancora: il governatore abruzzese Del Turco e il sindaco pescarese D'Alfonso furono "arrestati, costretti alle dimissioni e abbandonati" dal Pd, poi si scoprì che per il primo "le accuse erano del tutto inconsistenti" e il secondo era "del tutto estraneo" (doppio falso: Del Turco e D'Alfonso sono imputati in udienza preliminare). Pura psichedelia la caduta del secondo governo Prodi: tutta colpa dell'inchiesta Why Not del pm De Magistris, "che notificò a Prodi un clamoroso avviso di garanzia". Falso pure questo: non ci fu avviso di garanzia, Prodi fu soltanto iscritto nel registro degl'indagati nel 2007; il suo governo cadde nel 2008 quando il ministro Mastella, appena indagato a Santa Maria Capua Vetere con la moglie arrestata, fece il ribaltone.

Ma, secondo i due fantasiosi autori, "De Magistris fece in modo di essere ascoltato 17 volte dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere e di lì partì un avviso di garanzia per Mastella. Il quale si dimise, il governo andò in crisi, poi l'inchiesta finì in una bolla di sapone" (falso: De Magistris fu più volte sentito a Salerno, mentre l'inchiesta di Santa Maria sui Mastella & C. è in udienza preliminare a Napoli). E via delirando per 122 pagine. Ora, può darsi che i giustizialisti soffrano di un terribile morbo. Quel che è certo è che i garantisti stanno poco bene.


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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Farepassato
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2010, 06:18:48 pm
Farepassato

di Marco Travaglio

Sarebbe facile maramaldeggiare sui finiani di Farefuturo che, a 16 anni e mezzo dalla cacciata di Montanelli dal Giornale che aveva fondato e non voleva trasformare in quel che è diventato, riabilitano il grande Indro. Facile irridere alla scoperta tardiva della vera natura del berlusconismo: un mix di “dossieraggio, ricatti, menzogna per distruggere l’avversario, propaganda stupida e intontita, slogan, signorsì e canzoncine ebeti”. Facile farsi beffe di chi, dal 1994 a oggi, ha scambiato B. per un potenziale “grande politico e statista”, un “leader atipico ma liberale”. Facile ricacciare questa parte della destra italiana nelle fogne del neofascismo da cui molti suoi esponenti provengono. Facile, ma anche ingiusto. Per diversi motivi.

1) Il brusco distacco, non solo politico ma anche culturale, dal Caimano e dalle sue putride paludi non è roba da voltagabbana a caccia di prebende e poltrone: anzi, se cercassero quelle, i finiani sarebbero rimasti con B., ben protetti dai suoi scudi giudiziari e mediatici, anziché offrire il petto ai suoi killer catodici e a mezzo stampa. Quando uno cambia idea, bisogna sempre controllargli la bottega e verificare se gli conviene o no. Ai finiani non conviene affatto, anzi conveniva restare dov’erano.

2) L’autocritica, almeno a giudicare dalle parole di Farefuturo, non è una disinvolta operazione di facciata, come quella di tanti che dall’oggi al domani cominciano a dire il contrario di quel che dicevano ieri, con l’aria spocchiosa dei maestri che hanno sempre ragione anche se hanno sempre avuto torto. Farefuturo riscrive il recente passato, confessa un “senso di colpa per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa”, riconosce che “oggi che gli editti toccano da vicino, è fin troppo facile cambiare idea” e persino che “ha ragione chi dice: perché non ci avete pensato prima?”, infine ammette che “non c’è una risposta che non contempli un pizzico di vergogna. Un vergogna che, però, non prevede ora il silenzio, il ripetersi di un errore”. Chi parla così merita un’apertura di credito: cioè di essere giudicato non da quel che ha fatto ieri, ma da quel che farà domani (specie in tema di libertà d’informazione e legalità).

3) I finiani non si limitano a difendere Fini, ora che il killeraggio colpisce lui (troppo comodo), ma hanno il coraggio di ricordare il punto più basso del regime: “Il pensiero corre all’editto contro Biagi, Luttazzi e Santoro”. Citano cioè tre personaggi lontanissimi dal mondo della destra, che nel 2002 subirono insieme al loro pubblico l’affronto più sanguinoso: il divieto di lavorare in tv per averne fatto un “uso criminoso” (lesa maestà), divieto che per Luttazzi perdura tuttora.

4) L’autocritica non proviene dai killer, tutti rimasti per selezione naturale alla corte di B., ma da chi appunto ha taciuto per troppi anni sui killeraggi, senza osare “alzare la testa”, e ora che lo fa ne assaggia le prime conseguenze.

5) L’autocritica dei finiani, per quanto tardiva, è comunque in anticipo rispetto a tanti “intellettuali” sedicenti “liberali” e/o “terzisti” che da 16 anni tengono il sacco e fanno da palo a B. paraculeggiando e pompiereggiando con una finta indipendenza che è anche peggio del berlusconismo, perché non ci mette neppure la faccia. Per non parlare dei dirigenti e delle teste d’uovo del centrosinistra “riformista” e della sinistra “radicale” che hanno screditato il valore dell’antiberlusconismo come “demonizzazione” e “giustizialismo”, l’hanno sacrificato sull’altare delle bicamerali, del “dialogo” sulle “riforme condivise”, delle ospitate a Porta a Porta e dei libri Mondadori, non riuscendo o non volendo immaginare una destra diversa da quella abusiva di B. e garantendo lunga vita a B. Oggi dovrebbe vergognarsi e chiedere scusa una vasta e variopinta compagnia. I finiani, con tutte le loro magagne, lo stanno facendo mentre B. è vivo e potente. D’Alema & C. e il Pompiere della Sera aspettano il referto del medico legale.

http://ilfattoquotidiano.it/2010/08/20/sarebbe-facile-maramaldeggiare-sui-finiani-di/51612/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Berlinguer, chi era costui?
Inserito da: Admin - Settembre 04, 2010, 09:37:31 am
Berlinguer, chi era costui?

di Marco Travaglio

(03 settembre 2010)

Come se non ci fosse abbastanza confusione sotto i cieli della politica, giunge a proposito la polemica di mezza estate intorno a Enrico Berlinguer. L'ha innescata quel diavolo di Tremonti, elogiando i suoi "scritti del 1977 sull'austerity". Tarantolata come il vampiro dinanzi all'aglio, la sempre equilibrata sottosegretaria Stefania Craxi ha versato litri di bile sul ministro dell'Economia del suo governo in una lettera al "Corriere della sera": "Berlinguer non credeva una parola (sic, ndr) di quello che scriveva", il suo "Pci ha sempre rappresentato il partito della spesa", poi fu "messo ko da Craxi" e allora "inventò l'austerità e il moralismo per nascondere l'isolamento in cui la sua fobia verso i socialisti aveva condotto il Pci". L'indomani Emanuele Macaluso le ha ricordato qualche data che, nella fretta, le era sfuggita: "Berlinguer pronunciò quel discorso il 16 gennaio 1977, quando Craxi era segretario del Psi da soli sei mesi" e nemmeno volendo avrebbe potuto metterlo ko. Intanto però un'altra autorevole vestale del socialismo, Fabrizio Cicchitto, aveva scritto alla "Stampa" per associarsi alla Craxi e dissociarsi da Tremonti.

A suo dire, Berlinguer "cavalcò la questione morale, poi tradotta dai suoi eredi in giustizialismo, malgrado il Pci fosse finanziato irregolarmente dal Pcus e altre fonti eterodosse" e "negli anni Settanta spingeva per forti aumenti di spesa pubblica".
Altro che austerity. Parola di un signore che, grazie alla tessera P2 numero 2232, di finanziamenti eterodossi dovrebbe intendersi un bel po'. Ma la leggenda nera di Berlinguer capo del "partito della spesa", antiquato e passatista, messo ko dal più "moderno" Craxi è molto diffusa anche a sinistra. Basti pensare alle corbellerie pro-Craxi e anti-Berlinguer pronunciate in questi anni da Fassino, D'Alema, Violante e Veltroni.

La storia insegna l'opposto: negli anni Settanta, compresi i due del compromesso storico, il debito pubblico era sotto controllo: 50-60% del Pil.

Fu negli anni Ottanta, col Caf al governo e il Pci all'opposizione, che balzò al 120: il maggior incremento lo registrò proprio nei quattro anni del governo Craxi (dal 70 al 92%). Il ko di Craxi a Berlinguer, poi, è pura barzelletta. Se l'ex Pci sopravvisse alla Prima Repubblica, lo deve essenzialmente al ricordo di Berlinguer, unico leader della sinistra rimasto nel cuore degli italiani. Intanto il Psi veniva annientato dalle ruberie craxiane. E ora quel poco che ne resta è annesso al Pdl, dove la signora Craxi siede comodamente in poltrona, scambiando Storace per Turati e la Santanchè e la Mussolini per la Kuliscioff. Significativamente il dibattito su Berlinguer è circoscritto entro i confini del Pdl. Il Pd ha altro da fare: perso per strada Tony Blair, faro dei "riformisti" nostrani (dopo i trionfi irakeni ed elettorali, ha appena fondato una banca per super-ricchi), si accapiglia intorno a un rovello epocale: invitare o no alla sua festa il leghista Cota? Vivo entusiasmo nella base.

   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Silvio, Fini e la Tulliani
Inserito da: Admin - Settembre 17, 2010, 02:10:06 pm
Silvio, Fini e la Tulliani

di Marco Travaglio

(17 settembre 2010)

Non sono bastate 45 prime pagine de "Il Giornale" e altrettante di "Libero" per spiegare cosa diavolo dovrebbe spiegare Elisabetta Tulliani. Quale sarebbe la colpa, il reato, il peccato mortale o veniale che giustifica tante copertine di quotidiani, settimanali e tg di casa Berlusconi e adiacenze varie. Ha un fratello, Giancarlo, sgomitante e desaparecido? Si chieda al fratello. Ha una madre titolare di una società che lavora per la Rai? Si chieda alla madre e soprattutto alla Rai, dove gli appalti più lucrosi (vedi inchiesta sul penultimo "L'espresso") sono sempre legati a politici o parenti di politici, compreso Berlusconi che tramite Endemol vende format al "servizio pubblico" essendo il padrone della concorrenza. Ha litigato con l'ex fidanzato Luciano Gaucci per certe proprietà e una schedina dell'Enalotto? Affari suoi e di Gaucci. Lavorava come valletta alla Rai? Ha smesso prima di fidanzarsi con Fini.

Da allora, cioè da quando è diventata la compagna di un personaggio pubblico, non c'è nulla di opaco o di men che lecito che le si possa attribuire. E allora perché, come giustamente osserva Pigi Battista sul "Corriere", viene massacrata da due mesi anche per "il modo di fare, la seduzione, le ambizioni, le scalate sociali, persino le altre (supposte) relazioni" con un continuo "ammiccare all'immagine convenzionale della disinvolta e cinica femmina mangiauomini e sfasciafamiglie"? Le ministre del governo Berlusconi hanno negato la benché minima solidarietà alla "donna del nemico". E tacciono, a parte appunto Battista, i paladini della privacy in servizio permanente effettivo. Eppure basterebbe ripetere ciò che dissero Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri tre anni fa, quando "Striscia la notizia" trasmise un perfido filmatino sulla Tulliani e Gaucci avvinti come l'edera, con gli sberleffi di Ezio Greggio alla "timida e schiva principessa del foro". Confalonieri si affrettò a scomunicare "Striscia": "La derisione che diventa dileggio non è accettabile nei confronti di scelte sentimentali che non hanno alcuna attinenza con la vita pubblica".

Basta "eccessi giornalistici e satirici, anche in programmi Mediaset, che colpiscono la vita privata di Fini". Ma guai a insinuare che ci fosse lo zampino di Mister B: "Ipotesi del genere fanno un torto all'autonomia di Silvio Berlusconi e da Silvio Berlusconi. A volte semplicemente la polifonia editoriale che ha sempre contraddistinto il Gruppo rischia di trasformarsi in cacofonia. Sono i rischi della libertà". Durissimo anche il Cavaliere-editore: "Ho chiamato Fini per dirmi addolorato dal servizio di "Striscia". Sono cose che non si fanno". Tutto questo per un programma satirico. Ora che invece gli house organ della ditta fanno terribilmente sul serio, Silvio e Fidel hanno perduto di colpo la favella. Forse perché nel frattempo il fidanzato di Elisabetta ha rotto con il premier? Per carità: ipotesi del genere fanno un torto all'autonomia di Silvio Berlusconi e da Silvio Berlusconi.

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http://espresso.repubblica.it/dettaglio/silvio-fini-e-la-tulliani/2134378/18


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Ghedini sull'orlo di una crisi d'identità
Inserito da: Admin - Ottobre 08, 2010, 12:59:00 pm
Ghedini sull'orlo di una crisi d'identità

di Marco Travaglio

(08 ottobre 2010)

Che l'on. avv. Niccolò Ghedini avesse un concetto della verità piuttosto elastico, si era capito nel 2003 quando giurò al "Corriere" che "Berlusconi ha interesse a chiudere il processo Sme-Ariosto in tempi rapidi perché ne auspica una soluzione positiva": tre mesi dopo votò il lodo Schifani che sospendeva i processi al premier. E nel 2008, quando assicurò a "Repubblica": "Non c'è nessuna volontà di fermare il processo Mills: siamo alla fine, aspettiamo l'assoluzione, sospenderlo sarebbe un suicidio processuale": due mesi dopo votò il lodo Alfano che ricongelava i processi al premier. Che avesse un rapporto problematico con la logica aristotelica, lo si era intuito in agosto, quando sostenne che la sentenza di Cassazione su Mills corrotto da Berlusconi non significa che Berlusconi ha corrotto Mills: "Si potrebbero anche avere due sentenze confliggenti sullo stesso fatto".

Ora però sorge il dubbio che, non bastandone uno, di Ghedini ne esistano addirittura due. Il primo è quello che il 19 maggio, commentò sul "Corriere" le voci sull'uscita di Michele Santoro dalla Rai: "Santoro è un grande professionista, l'apprezzo, fa molto bene il suo mestiere. Sarà pure fazioso, ma lo fa con chiarezza. Non inganna il telespettatore. Era una battaglia faticosissima, ma bella. La preferivo a tante trasmissioni farisaiche". Il 2 agosto confermò alla "Stampa": "Sono stato ad "Annozero" una decina di volte. Santoro mi innervosisce perché combatte un mio amico. Ma apprezzo la sua professionalità. Vespa o Santoro? Da Santoro mi diverto di più". Il secondo Ghedini è quello che il 30 settembre s'è confessato con "Repubblica": "Non mi piace andare ad "Annozero" a rivestire quel ruolo, e non mi piace quel ring dove ti chiamano solo perché vogliono sbranarti. Ci vado, è un mio dovere, ma sento che soffia l'alito dell'odio". E chissà che alito soffiava a Cattolica nel 2000, quando l'avv. (non ancora on.) Ghedini, segretario dell'Unione Camere penali, esaltò "la nostra assoluta trasversalità e lontananza da qualsiasi partito", perché "l'Avvocatura penale è sempre stata scevra da qualsiasi condizionamento di natura politica o partitica" e spiegò "perché gli avvocati danno fastidio: perché non abbiamo colore politico" e "combattiamo tutti i giorni per una giustizia più equa al servizio della collettività".

Chissà che direbbe oggi il Ghedini-1 al Ghedini-2 che, per accentuare l'assoluta lontananza dai partiti, milita nel Pdl e, per regalare una giustizia più equa alla collettività, fabbrica leggi per uno solo. Se invece sono la stessa persona, c'è il rischio che soffra della sindrome del personaggio di Alberto Sordi nel film "Troppo forte" di Carlo Verdone: quello che ogni tanto si scordava di essere un avvocato e si credeva un ballerino. Nel qual caso, non vorremmo essere nei panni del premier: se riparte il processo Mills e l'on. avv. si scorda che il Cavaliere è innocente, è capace di chiedere la sua condanna al massimo della pena.

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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il Codice dello zio Ostellino
Inserito da: Admin - Novembre 12, 2010, 03:24:26 pm
Il Codice dello zio Ostellino

di Marco Travaglio

Finché parlava di Moggi o del suo cane, l'ex direttore del Corriere sembrava solo un vecchio zio picchiatello. Adesso invece scrive di cose più grandi di lui, dimostrando di non saperne nulla


(29 ottobre 2010)

Per anni le rubriche di Piero Ostellino sul "Corriere" erano considerate come i borbottii del vecchio zio un po' bizzarro e picchiatello dei romanzi di Jerome, tipo "Lo zio Piero appende un quadro". Quello che attacca bottoni infiniti, ma in fondo, a piccole dosi, mette buonumore. Ultimamente però l'incontinente zio Piero ha preso a tracimare con editoriali e articolesse, in cui parla a nome del giornale ("noi del Corriere..."). E la faccenda s'è fatta terribilmente seria. Finchè difendeva Moggi e Ricucci, dedicava articoli luttuosi alla morte del suo cane, tuonava contro lo Stato illiberale ("il Leviatano oppressore") che perseguita i pirati della strada perché "il limite di velocità è diventato una forma di lotta di classe, le auto di grossa cilindrata sono il Palazzo d'Inverno da assaltare e l'autovelox l'incrociatore Aurora che dà il via alla rivoluzione egualitaria", si poteva assecondarlo con qualche sorriso imbarazzato.

Ma, da quando si crede il direttore del "Corriere", c'è poco da ridere. Un giorno chiede "le dimissioni di Fini da presidente della Camera in quanto incompatibile con la nuova veste di oppositore del governo", ma dimentica di specificare quando mai Fini si è opposto a un atto del governo e come mai noti oppositori come Pertini e la Jotti diventarono presidenti della Camera. Un'altra volta se la prende con l'inchiesta di "Report" sulle ville acquistate dal premier ad Antigua da una misteriosa offshore e sul suo conto corrente all'Arner Bank indagata per riciclaggio ("cattivo giornalismo", "propaganda politica"). E scrive ben tre pezzi per difendere il vicedirettore del "Giornale", Nicola Porro, indagato per le minacce alla Marcegaglia: a suo dire le intercettazioni sono illegali in quanto il di lei "portavoce Arpisella, non essendo inquisito, poteva essere intercettato solo se avesse contattato e/o venisse contattato da un inquisito". Forse non sa che il giudice può pure intercettare non indagati che parlano con altri non indagati, se depositari di notizie utili alle indagini (per esempio i familiari di un sequestrato).

Il pover'uomo parla di "indagine preventiva su un'inchiesta giornalistica di là da venire e già immaginata come reato". Forse gli sfugge che un'inchiesta giornalistica si scrive e si pubblica, non si tiene nel cassetto per minacciare di tirarla fuori quando l'interessato critica il governo. Altrimenti è un ricatto, cioè un reato. Nessuno dovrebbe saperlo meglio di Ostellino, che proprio un anno fa invocò giustamente le dimissioni di Marrazzo perchè "ha ceduto al ricatto e pagato i ricattatori. Il ricatto è un reato, al quale mai si deve sottostare, tanto meno un uomo pubblico". Ora, per il nostro codice, il ricatto è reato per chi lo commette, mentre chi lo subisce di solito è vittima di estorsione. Invece, per il Codice Ostellino, chi lo subisce deve dimettersi e chi lo fa è un paladino della "libera informazione che fa il proprio mestiere". Perché "a noi del Corriere non piace il giornalismo militarizzato". Ben detto, zio.

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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Salvate il pensionato Silvio
Inserito da: Admin - Novembre 19, 2010, 09:41:44 am
L'opinione

Salvate il pensionato Silvio

di Marco Travaglio

(19 novembre 2010)
Bruno Tabacci Bruno TabacciNel 2006, dopo la risicata vittoria dell'Unione, qualche furbetto dalemiano (Latorre, Caldarola, Rondolino) propose di nominare senatore a vita Berlusconi, dato ormai per spacciato. Due anni dopo era già risorto. Ora ci risiamo. Il Cavaliere non se n'è ancora andato ("piuttosto la guerra civile", minaccia il leader dei "moderati") e già gli offrono un "salvacondotto" giudiziario per un'"uscita morbida" contro una "nuova piazzale Loreto". Il primo ad auspicare l'happy end è Giuliano Ferrara, passato armi e bagagli con Fini coi soldi della famiglia Berlusconi. Gli fa eco sul "Riformista" il professore finiano Alessandro Campi: Fli eviti l'"antiberlusconismo... malattia dello spirito, febbre infantile che alimenta le peggiori frustrazioni... già tomba della sinistra riformista". Campi non spiega quando mai la sinistra riformista avrebbe contratto l'"antiberlusconismo viscerale", ma se lo dice lui dev'essere vero. Un altro prof, Rocco Buttiglione, vuole "evitare a Berlusconi la fine di Craxi".

"Se il Cavaliere", spiega Roberto Rao, portavoce di Casini, "accettasse di fare un passo indietro, si potrebbe pensare a un salvacondotto per lui". Secondo "La Stampa", "in diversi ambienti - di maggioranza, di opposizione e fuori della politica - si studia un pacchetto che gli eviti un accanimento fuori misura: reintroduzione dell'immunità parlamentare o forme "aggiornate" di prescrizione". Secondo il rutelliano Bruno Tabacci, "questo è un Paese crudele, che per mondarsi delle proprie colpe, una volta che Berlusconi è caduto, è capace di accusarlo di nefandezze inaudite. Si può ragionare su una uscita senza vendette e senza equivoci". Ma gli equivoci sono tutti nelle scombiccherate giustificazioni al salvacondotto.

"Se Berlusconi accettasse di fare un passo indietro...": ma se il premier cade non è una gentile concessione da contraccambiare, è la conseguenza del venir meno della maggioranza. "Evitargli la fine di Craxi": ma Craxi non fu condannato per vendetta da un tribunale del popolo, bensì per reati comuni, corruzione e finanziamento illecito, in regolari processi normati dal codice voluto dal suo partito (lo scrisse il socialista Vassalli). "Paese crudele capace di accusarlo di nefandezze inaudite": ma il premier è già da tempo imputato per corruzione giudiziaria, frode fiscale, falso in bilancio, nonchè indagato a Palermo per mafia e riciclaggio e a Firenze per strage. Il salvacondotto non gli eviterebbe dunque le accuse né le relative indagini (già in corso), ma gli eventuali processi (che riprenderanno non appena lascerà Palazzo Chigi) e le possibili condanne. E come si potrebbe ottenere un simile risultato? L'immunità parlamentare lo coprirebbe solo dai procedimenti futuri, non certo da quelli già avviati. Ci vorrebbe una fantasmagorica riedizione del lodo Alfano: nato per lasciar lavorare il premier finchè è in carica, ora dovrebbe lasciarlo lavorare anche da pensionato, quando non lavorerà più. Parola d'ordine: "Lei non sa chi ero io".

   
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Titolo: Marco Travaglio. Casi a confronto: Marrazzo e B.
Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2011, 04:54:37 pm
Casi a confronto: Marrazzo e B.

di Marco Travaglio

Quando scoppiò il caso del governatore, nessuno accusò i Pm di «spiare dal buco della serratura».
Nessuno disse che doveva restare al suo posto «in quanto eletto dal popolo».
Anzi, la stampa di destra urlò: «Dimissioni, sparire».

E lui non era neanche indagato...

(11 febbraio 2011)

"Un governatore sotto ricatto è politicamente dimezzato e azzoppato, impossibilitato a svolgere con serenità e responsabilità istituzionale le funzioni che vanno ben al di là delle sue privatissime vicende... Le istituzioni devono essere messe al riparo da ogni sospetto e interferenza... Marrazzo deve valutare se fare un passo indietro non sia l'unico gesto pieno di dignità...".

Così scriveva il 24 ottobre 2009 Pierluigi Battista nel suo editoriale sul "Corriere della sera". Tre giorni prima erano finiti in carcere tre carabinieri che il 3 luglio erano entrati illegalmente nell'alloggio del trans Natalì, in via Gradoli 96, filmando l'allora governatore del Lazio in un festino di sesso e coca per poi ricattarlo. Marrazzo non era indagato, eppure giustamente il "Corriere" chiese le sue dimissioni. Anche Renato Farina alias Betulla, sul "Giornale" allora di Vittorio Feltri, intimò: "Dimissioni, sparire. Se ci saranno processi, si vedrà, ma intanto abbandonare auto blu e doppiopetto, cambiare itinerario".

E Maurizio Belpietro, su "Libero", tuonò: "È evidente a chiunque che il governatore non può stare al suo posto un giorno di più... Le ragioni per rimuoverlo in fretta sono note: è stato colto in una situazione imbarazzante, ma in seguito il suo comportamento è stato tutt'altro che limpido... Ha cercato di confondere le acque fornendo versioni di comodo che non trovano riscontri e che ora gli inquirenti stanno cercando di verificare... È impresentabile. Il buon senso avrebbe suggerito di toglierlo di mezzo al più presto".

Marrazzo si dimise nel giro di tre giorni. Era la vigilia delle primarie del Pd per il candidato governatore e Marrazzo, senza lo scandalo, le avrebbe vinte a mani basse. Invece uscì di scena e, grazie allo scandalo, il Pd perse il Lazio, conquistato da Renata Polverini. Eppure nessuno strillò alla "giustizia a orologeria". Nessuno disse che Marrazzo doveva restare al suo posto in quanto "eletto dal popolo" (i governatori, diversamente dal premier, lo sono davvero). Nessuno accusò pm e giornalisti di "spiare" il pover'uomo "dal buco della serratura" violando la sua "privacy" (eppure, senza lo spionaggio dei tre carabinieri, nessuno avrebbe potuto ricattarlo).

Ora la domanda è semplice, quasi banale: perché ciò che valeva per Marrazzo, ricattato ma non indagato, non vale per Berlusconi, indagato e ricattato o ricattabile da decine di ragazze armate di foto e filmati sui festini in villa, molte delle quali hanno ricevuto soldi o promesse di denaro in cambio del loro silenzio? Che aspetta il "Giornale" a intimargli: "Dimissioni, sparire"? E Belpietro a spiegare che "è evidente a chiunque che ormai non può stare al suo posto un giorno di più"? E Battista a suggerire al Cavaliere "un passo indietro" giacché un premier "sotto ricatto è politicamente dimezzato e azzoppato"? Attendiamo fiduciosi: non vorremmo mai dover sospettare che il "Giornale", Belpietro e Battista non siano imparziali. O, addirittura, che abbiano un debole per Berlusconi.

   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Sulla giustizia profumo d'intesa
Inserito da: Admin - Febbraio 27, 2011, 05:51:27 pm
Sulla giustizia profumo d'intesa

di Marco Travaglio

Tutte le controriforme minacciate da Berlusconi sono figlie legittime del centrosinistra.

E le sirene dell'immunità parlamentare hanno subito trovato udienza nei leader storici

(25 febbraio 2011)

Se non avesse portato in Parlamento due volte Totò Cuffaro, attualmente in carcere per favoreggiamento mafioso, verrebbe spontaneo applaudire Pierferdinando Casini. Che liquida così le nuove fregole di immunità parlamentare: "I politici non rubino e rispettino le leggi". Una frase di puro buonsenso, che però diventa quasi eversiva al confronto con i balbettii del Pd. Che parla, come al solito, una dozzina di lingue diverse, tutte peraltro incomprensibili alla gran parte dei suoi elettori. Con buona pace di Angelo Panebianco, che sul "Corriere della sera" dipinge il vertice piddino "ispirato da procure e giornali di riferimento", le sirene immunitarie hanno subito trovato udienza in leader storici come Franco Marini, oltrech? nel senatore ed ex portavoce di Prodi, Silvio Sircana. E lo stesso "Corriere" ricorda le "aperture di Violante, Ceccanti e Latorre".

Marini e Sircana si fanno scudo della "volontà dei padri costituenti" e in quello spirito difendono la proposta bipartisan presentata in Senato da Franca Chiaromonte (Pd) e Luigi Compagna (Pdl), firmata anche da Sircana, Morando e dall'Udc D'Alia, subito dopo la bocciatura del lodo Alfano. Infatti è un superlodo Alfano allargato dalle alte cariche dello Stato a tutti i membri del Parlamento: al termine delle indagini, per rinviare a giudizio un parlamentare, il giudice dovrebbe chiedere il permesso alla Camera di appartenenza, che avrebbe 90 giorni per bloccare il processo. Un privilegio medievale, che andrebbe ben oltre il sistema costituzionale abolito nel 1993. Fino ad allora, infatti, non è affatto vero che i padri costituenti avessero garantito l'immunità ai parlamentari: le Camere potevano negare l'autorizzazione a procedere solo in casi eccezionali, quelli in cui fosse provato il "fumus persecutionis" (nessuna notizia di reato, acclarata ostilità politica del magistrato inquirente).

Come emerge dai lavori preparatori della Costituente, il vecchio articolo 68 fu concepito per mettere al riparo esponenti dell'opposizione da accuse tipicamente "politiche": diffamazioni, comizi troppo accesi, scioperi, picchettaggi, occupazioni delle terre, blocchi stradali. Non certo per salvare parlamentari corrotti, mafiosi, grassatori, malversatori. Nel testo Chiaromonte-Compagna, invece, non si fa alcun cenno al fumus persecutionis: è tutto automatico. Ora, se c'è un tema (questo sì bipartisan) che manda il sangue agli occhi alla stragrande maggioranza degli italiani, è proprio l'impunità della Casta. Gli ultimi sondaggi sul tema danno gli italiani (compresi quelli di destra) contrari fra l'80 e il 90 per cento. Possibile che un'opposizione a caccia di voti (ed ex voti) rinunci a farne un cavallo di battaglia, anzi cincischi e inciuci? Sì.

Del resto tutte le controriforme della giustizia minacciate dal premier negli ultimi giorni sono figlie legittime del centrosinistra. Il bavaglio con galera per i giornalisti che pubblicano intercettazioni è plagiato dal ddl Mastella del 2007. La separazione del Csm e dunque delle carriere fra pm e giudici è copiata dalla bozza Boato della Bicamerale presieduta da D'Alema. L'idea di aumentare i membri politici del Csm e di far giudicare i magistrati da una sezione disciplinare esterna è di Violante. Tutti frutti avvelenati della ventennale sudditanza culturale del centrosinistra nei confronti del berlusconismo, dell'idea folle che Berlusconi si batta inseguendolo sul suo terreno.

Intanto uno studioso serio come Luca Ricolfi dimostra sulla "Stampa", dati alla mano, che "il berlusconismo è sempre stato un fenomeno marginale: fatto 100 il corpo elettorale, il voto al partito di Berlusconi non è mai andato oltre il 20 per cento e il sostegno esplicito al leader, espresso in un voto di preferenza, si aggira intorno al 6 per cento", mentre oggi "il Pdl attira circa il 18 per cento del corpo elettorale". Come diceva Montanelli, "Berlusconi è solo il sintomo". La malattia è tutto quel che c'è dall'altra parte. Anzi, non c'è.

   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Gheddafi mon amour
Inserito da: Admin - Aprile 09, 2011, 03:06:03 pm
Gheddafi mon amour

di Marco Travaglio

I potenti italiani hanno fatto a gara nello schierarsi a favore del colonnello libico che ora attaccano. Ecco una carrellata di dichiarazioni per rendersi conto che la nostra politica più che estera è estemporanea

(24 marzo 2011)


C'è qualcuno peggio di Gheddafi?

«Gheddafi è disponibile ad ascoltare, appassionato quando parla. signori, è da 33 anni alla guida del governo. Gliel'ho detto: lei è un vero professionista, io sono solo un dilettante...» (Silvio Berlusconi, 28 ottobre 2002).

«Gheddafi mi ha promesso la costruzione di una villa sulla costa libica. ho accettato volentieri, purché le spese siano a carico mio» (Silvio Berlusconi,10 febbraio 2004).

«Gheddafi è un grande amico mio e dell'Italia. è il leader della libertà, sono felice di essere qui» (Silvio Berlusconi a Tripoli, 7 ottobre 2004).

«Il ministro degli Esteri libico regala una piccola ma robusta verità: l'Italia avvertì la Libia dell'attacco deciso dagli americani contro Tripoli per "punire" Gheddafi dell'attentato alla discoteca La Belle di Berlino. Una decisione presa dal premier di allora, Bettino Craxi... Il 15 aprile dell'86 45 aerei avevano sganciato 232 bombe e 48 missili contro sei diversi obiettivi... Morti una decina di civili, tra i quali una figlia adottiva di Gheddafi. Ma il leader, avvertito dagli italiani, era riuscito a salvarsi. «Non credo di svelare un segreto», dice Mohammed Abdel- Rahman Shalgam alla Farnesina, «se annuncio che il 14 aprile 1986 l'Italia ci informò che ci sarebbe stata un'aggressione americana contro la Libia» ("Corriere della sera", 31 ottobre 2008).

«Mio padre era stato avvertito dal premier spagnolo Felipe González che gli aerei americani si erano levati in volo... Poi aveva subito fatto avvertire Gheddafi» (Bobo Craxi, ibidem).

«In tempo reale il nostro servizio segreto informò il governo libico dell'imminente attacco » (Francesco Cossiga, all'epoca presidente della Repubblica, ibidem).

«Io ritengo di sì, l'avvertimento ci fu. Del resto quella degli americani fu un'iniziativa improvvida» (Giulio Andreotti, all'epoca ministro degli Esteri, ibidem).

«Caro Muammar, siamo felici per il tuo arrivo in Italia al G-8 della Maddalena. Con l'ambasciatore siamo andati a cercare il posto migliore dove posizionare la tenda... � un onore per me essere stato invitato il prossimo anno in Libia il 30 agosto per la Giornata di amicizia tra popolo italiano e popolo libico, e sarò lieto di rimanere con voi per festeggiare il 40° anniversario della vostra grande Rivoluzione» (Silvio Berlusconi, 3 marzo 2009).

«A Gheddafi mi lega una vera e profonda amicizia, al leader riconosco grande saggezza» (Silvio Berlusconi, 10 giugno 2009).

«Non trovo affatto scandaloso che Gheddafi parli in Senato: è il leader dell'Unione africana e di un paese da cui dobbiamo farci perdonare qualcosa» (Massimo D'Alema, prima di ospitare Gheddafi alla fondazione Italianieuropei, 10 giugno 2009).

«Siamo di fronte a una svolta che ci condurrà a una intensa e strutturata collaborazione bilaterale» (Emma Marcegaglia, mano nella mano a Gheddafi, Roma, 12 giugno 2009).

«Credo si debbano sostenere con forza i governi di quei Paesi, dal Marocco all'Egitto, nei quali ci sono regimi laici tenendo alla larga il fondamentalismo... Faccio l'esempio di Gheddafi. Ha realizzato una riforma dei "Congressi provinciali del popolo": distretto per distretto si riuniscono assemblee di tribù e potentati locali, discutono e avanzano richieste al governo e al leader... Ogni settimana Gheddafi va lì e ascolta. Per me sono segnali positivi» (Franco Frattini, "Corriere della sera", 17 gennaio 2011).

«Non chiamo Gheddafi perché le cose sono ancora in corso, non lo voglio disturbare» (Silvio Berlusconi mentre Gheddafi inizia la repressione sui libici in rivolta, 19 febbraio 2011).

«Gheddafi ha ancora un rapporto solido con una parte della società libica e la crisi economica qui non ha colpito come in altri Paesi. La Libia ha pochi abitanti e un Pil pro capite elevato. Cosa può fare l'Italia? Incoraggiare Gheddafi a fare le riforme» (Massimo D'Alema, "Il Sole-24 ore", 20 febbraio 2011).

«L'Unione europea non deve interferire nei processi in corso in Libia» (Franco Frattini, 21 febbraio 2010). Sì, c'è.

 
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Toni Negri strizza l'occhio a B.
Inserito da: Admin - Maggio 03, 2011, 11:07:19 am
Il caso

Toni Negri strizza l'occhio a B.

di Marco Travaglio


(29 aprile 2011)

Gli psichiatri la chiamano "proiezione": il paziente attribuisce agli altri quel che sta facendo e pensando lui. Silvio Berlusconi ne è un caso di scuola. Soprattutto quando accusa i magistrati (non tutti, si capisce: solo quelli che indagano su di lui e sui suoi amici) di "brigatismo giudiziario". e quando telefona la sua affettuosa solidarietà al candidato milanese Roberto Lassini, strapazzato dal presidente Napolitano e dal sindaco Moratti per i manifesti "via le Br dalla procura", scaricato per forza e scandidato per finta dal pdl lombardo. In realtà furono proprio i terroristi i primi a non riconoscere la "giustizia borghese" dei tribunali della repubblica e a difendersi non nei processi, ma dai processi.

Lui si limita a copiarli, anche se lo fa non da un covo clandestino, ma dalla presidenza del Consiglio, e non con volantini ciclostilati, ma con comunicati ufficiali targati Palazzo Chigi e in comizi assortiti. Della prodigiosa analogia si era accorta per tempo una delle teste più fini dell'eversione rossa: Toni Negri, già leader dell'Autonomia a Padova, poi latitante in Francia, poi condannato per partecipazione a banda armata, poi finalmente rientrato in Italia e arrestato.

Il 3 maggio 2003, mentre il premier faceva il diavolo a quattro per sfuggire al processo Sme con leggi Cirami e lodi Schifani, Negri rilasciò illuminanti dichiarazioni a "L'Infedele" di Gad Lerner, riprese due giorni dopo da Alessandro Trocino sul "Corriere della sera". Anzitutto elogiò la buonanima di San Bettino perché «ero a Parigi e Craxi, allora presidente del Consiglio, mi fece sapere che i servizi stavano architettando qualcosa su di me, consigliandomi di essere cauto. Per questo ancora gli sono grato» (quel "qualcosa" che i servizi architettavano era il tentativo di assicurarlo alla giustizia italiana, a cui era sfuggito grazie all'elezione in Parlamento gentilmente offerta da Pannella).

Poi l'ex leader di Autonomia operaia tributò tutta la sua amorevole solidarietà al Cavaliere perseguitato dai giudici in processi per corruzione giudiziaria: «Pur essendo Berlusconi un mio avversario politico, io sono solidale con lui e con chiunque venga condannato ad anni di carcere da una magistratura come quella italiana che si è di volta in volta alleata con la destra e con la sinistra. Le operazioni giudiziarie, condotte contro di me e contro l'Autonomia negli anni Settanta con la complicità della sinistra, sono state una premessa alle successive cospirazioni giudiziarie contro i socialisti ieri e contro i berlusconiani oggi». Solidarietà non solo a Berlusconi, ma anche al compagno Cesare Previti, «perché io non auguro la galera a nessuno».

Sempre sul "Corriere", lo scrittore Claudio Magris commentò quelle tutt'altro che stupefacenti convergenze e invitò il premier a respingere al mittente quell'imbarazzante solidarietà: «Secondo Negri, leader di Autonomia operaia e condannato per partecipazione a banda armata, vi sarebbe una voluta e pianificata continuità tra le persecuzioni inflitte dalla magistratura italiana ai terroristi negli anni di piombo e le persecuzioni inflitte ora da essa a Berlusconi, al quale Negri ha espresso pubblicamente solidarietà e che evidentemente egli considera "vittima della giustizia borghese" come i condannati per la lotta armata, lotta che ha visto cadere assassinati tanti galantuomini. E' strano che un capo di governo non si senta offeso da tale accostamento e non senta il bisogno di respingerlo».

Ma, perfetto allievo del cattivo maestro, Berlusconi non raccolse l'invito di Magris.

Del resto, nemmeno nell'estate del 2009 provò alcun imbarazzo quando Negri tornò a solidarizzare con lui per lo scandalo D'Addario, la escort pugliese che dopo due notti a Palazzo Grazioli si era ritrovata candidata alle elezioni comunali di Bari in una lista fiancheggiatrice del Pdl sponsorizzata dal ministro Fitto. «Mi spiace per Berlusconi. Le persone che si dichiarano perseguitate mi sono simpatiche», disse Negri al "Riformista" il 27 luglio 2009. E anche quella volta il premier, tutt'altro che imbarazzato, incassò (poi, qualche mese dopo, finse di indignarsi perché il governo del Brasile non ci riconsegnava il pluriomicida latitante Cesare Battisti). Dio li fa poi li accoppia.

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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Chi sono i veri giustizialisti
Inserito da: Admin - Maggio 21, 2011, 10:20:02 am
L'opinione

Chi sono i veri giustizialisti

di Marco Travaglio

1995: Berlusconi cerca di portare Di Pietro a processo a Brescia. 1997: tentano di far riaprire le indagini su Prodi per la Sme. 2006: viene organizzata la bufala su Telekom Serbia. 2011: Moratti si inventa una condanna di Pisapia. E poi accusano gli avversari di ricorrere ai tribunali per sbarazzarsi di loro

(20 maggio 2011)

Grattando un po' dietro il polverone delle false accuse della Moratti a Pisapia e dietro gli ammuffiti luoghi comuni sulla "macchina del fango", viene fuori uno dei più spettacolari ribaltamenti della realtà mai visti nella storia recente. Quello che da 17 anni costringe la sinistra sulla difensiva dall'accusa di «uso politico della giustizia». qualche anno fa berlusconi disse financo che «la sinistra è collusa con la giustizia». e la sinistra, anziché vantarsene o rammentargli che lui è colluso con mafiosi, piduisti,corrotti e corruttori, s'affrettò a smentire di aver nulla a che spartire con la giustizia. La storia insegna che, al contrario, sono sempre stati Berlusconi e i suoi cari a tentar di coinvolgere gli avversari in vicende giudiziarie. Mai viceversa. Il Cavaliere cominciò nel 1995 contro il più temibile rivale di allora: Di Pietro, che si affacciava sulla scena politica dopo aver rifiutato i ruoli di suo ministro e di suo vice in Forza Italia.

Il giustizialista di Arcore lo denunciò a Brescia per «attentato organo costituzionale» (il suo primo governo) e disse: «Un altro al posto suo sarebbe già in galera». Ad adiuvandum, spedì in omaggio ai pm bresciani due«testimoni» dei fantomatici reati commessi dal pool di Milano: i marescialli Strazzeri e Corticchia che furono arrestati per calunnia e patteggiarono la pena evitando ulteriori indagini su eventuali ricompense. Ma nel '97 Berlusconi ci riprovò, svelando alla Procura bresciana che il costruttore D'Adamo gli aveva parlato di una tangente di 4 miliardi e mezzo dal banchiere Pacini Battaglia «destinata a Di Pietro, pienamente consapevole e consenziente ».
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/chi-sono-i-veri-giustizialisti/2151923/18http://espresso.repubblica.it/dettaglio/chi-sono-i-veri-giustizialisti/2151923/18E fece produrre una bobina in cui D'Adamo avrebbe svelato il tutto: senonché si scoprì che era un taglia e cuci di parole in libertà e Di Pietro fu prosciolto. Ma da allora le denunce contro Di Pietro e gli altri pm milanesi e palermitani che si occupano del Cavaliere non si contano. Intanto Prodi si era rivelato l'unico politico in grado di batterlo: così il centrodestra fece di tutto per far riaprire le indagini sulla pretesa "svendita" della Sme quando il Professore era presidente dell'Iri, in barba al proscioglimento già deciso dai giudici di Roma nel '97. Ancora nel 2003, nelle dichiarazioni spontanee al processo Sme, il premier alluse a presunte tangenti finite alla sinistra Dc (cui apparteneva Prodi).

E, mentre i leader del centrosinistra sorvolavano sulle notizie di reato emerse via via a suo carico, anzi inseguivano inutili tavoli bipartisan e bicamerali assortite, lui seguitava imperterrito a tentare di mandarli in galera. Nel 2003 la commissione Telekom Serbia estraeva dal cilindro Igor Marini, "supertestimone" di fantasiose tangenti a Prodi, Fassino e Dini, e l'on. avv. Carlo Taormina chiedeva addirittura l'arresto dei tre leader. Nel 2006, alla vigilia delle elezioni che avrebbero riportato Prodi al governo, la commissione Mitrokhin lo dipingeva come un avamposto del Kgb in Italia e lo denunciava ai pm di Roma insieme a Dini e a D'Alema per aver manipolato l'omonimo dossier. Inchiesta, naturalmente, archiviata. L'estate scorsa tocca a Fini: Storace, appena rientrato all'ovile berlusconiano, lo denuncia in Procura per l'alloggio monegasco affittato al cognato. Ennesima archiviazione. Ora ci risiamo. Il premier annuncia una «commissione d'inchiesta sull'associazione a delinquere dei magistrati». Svela un «pactum sceleris tra Fini e l'Anm» confidatogli da un giudice di cui si scorda di fare il nome.

E plaude alla Moratti che ha trasformato in condanna l'assoluzione di Pisapia in un vecchio processo per storie di terrorismo. Intanto il Cavaliere ha quattro processi per falso in bilancio, appropriazione indebita, frode fiscale, corruzione, concussione, prostituzione minorile e un'indagine aperta a Firenze per strage, mentre il presidente del Senato è indagato per mafia, il coordinatore del Pdl campano Cosentino è imputato per camorra e in Parlamento siedono 20 pregiudicati e un centinaio fra imputati e indagati, quasi tutti nel Pdl. Ma la sinistra non ne parla. Sennò l'accusano di uso politico della giustizia.

     
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - B. e don Verzè, la vera storia
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2011, 06:38:02 pm
Mala Italia

B. e don Verzè, la vera storia

di Marco Travaglio

La carriera del prete affarista è sempre stata intrecciata a quella del Cavaliere. Da quando trafficavano insieme per spostare le rotte Alitalia da Milano 2. Il marcio iniziò così e proseguì per decenni. Sempre con i due a braccetto

(01 agosto 2011)

Don Verzè con Silvio Berlusconi Don Verzè con Silvio BerlusconiA proposito di don Luigi Verzè, già cappellano di Craxi ("in lui vedo Cristo") e di Berlusconi ("un dono di Dio all'Italia"), ma anche ben ammanicato con Nichi Vendola che gli ha spalancato le porte della Puglia ("uno dei pochissimi politici italiani ad avere un fondo di santità"), l'unico sentimento che non si può provare davanti al disastro del suo San Raffaele è lo stupore. La carriera di questo prete simoniaco è indissolubilmente legata a quella del premier: naturale che, se il Cav declina, il Don si senta poco bene.

Chi volesse saperne di più non ha che da leggere "L'Unto del Signore" di Gumpel e Pinotti (Bur) e "Dossier Berlusconi anni Settanta" (Kaos). I due libri raccontano la storia di un giovane costruttore brianzolo, schermato da strani paraventi svizzeri, che 40 anni fa compra per quattro soldi 700 mila metri quadri di terreni a Segrate e inizia a costruirvi la città satellite Milano2. Sventuratamente la quiete di quel paradiso è turbata dal frastuono di oltre 100 decibel degli aerei che decollano ogni 90 secondi dalla vicina Linate. Il che dovrebbe sconsigliare vivamente la costruzione di insediamenti residenziali e tanto più ospedalieri. Ma il palazzinaro regala un pezzo di terreni a un prete più spregiudicato di lui, sospeso a divinis dalla Curia milanese, perché vi eriga una bella clinica privata con soldi pubblici: il San Raffaele. Poi il gatto e la volpe, cioè il palazzinaro e il cappellano piagnucolano: non si possono ammorbare i malati con quel rumore.

E così, ungendo le giuste ruote, ottengono da governo e Alitalia il dirottamento delle rotte aeree dalla nuova città pressoché disabitata e dal nuovo ospedale ancora semideserto sui comuni vicini, popolati da decenni. Risultato: il prezzo degli appartamenti di Milano2 triplica in un battibaleno. Già che ci sono, le autorità aeronautiche falsificano pure le carte di volo gabellando l'intera zona residenziale per "ospedaliera", così gli aerei girano al largo. Proteste, denunce, battaglie legali, processi. Anche perché don Verzè offre a uno dei pochi politici che gli resistono, l'assessore regionale alla Sanità Vittorio Rivolta, una tangente del 5 per cento sul miliardo e mezzo di lire di fondi pubblici che stanno per piovergli da Roma. Per questo nel 1977 sarà condannato in primo grado a un anno e quattro mesi per istigazione alla corruzione (condanna poi prescritta in appello) e definito dal Tribunale "imprenditore abile e spregiudicato, inserito in ambienti finanziari e politici privi di scrupoli sul piano etico e penale". I giudici collegheranno la deviazione delle rotte aeree ai sospetti di "pressioni illecite, non esclusa la corruzione, sulle competenti autorità locali e centrali".

Fin dal 1975 Giorgio Bocca si occupa, sul "Giorno", del prete affarista: "Quello che allontana gli aerei e cura non solo i malanni fisici, ma anche 'le anime preternaturali' dei pazienti", intanto "il prezzo al metro quadro passa dalle 150 mila alle 400 mila lire. L'arte dei grandi speculatori è avere molti complici". Ma già nel 1973 "il manifesto" aveva denunciato lo scandalo. Titolo: "Per portare avanti la speculazione Milano2 prima rendono sordi i segratesi con i jet, ora li vogliono appestare con un immondezzaio". Svolgimento: "Il problema vero non è quello 'sonoro', ma la puzza di marcio che ci sta dietro, le aree, la speculazione edilizia: è una barca molto grande, in cui ci son dentro tutti, la Regione, i democristiani e anche i socialisti... Ma la più sporca di tutte l'ha fatta il Vaticano che, con l'aiuto delle banche svizzere, ha appoggiato l'operazione Milano2 con l'insediamento, nella zona, dell'ospedale San Raffaele... Dal 1972 è riconosciuto da un decreto del ministero della Sanità 'Istituto di ricovero a carattere scientifico'... Ma è privo persino dei servizi di base: non dispone di pronto soccorso e ha difficoltà a occuparsi delle operazioni di appendicite... Ma se i segratesi sono sordi, non sono anche ciechi e si stanno ribellando con molta forza a quel che gli (sic, ndr) succede sopra la loro testa".

L'autrice di questa prosa tanto sgangherata quanto generosa è Tiziana Maiolo, giovane cronista del "manifesto", non ancora folgorata sulla via di Arcore. Come passa il tempo.

da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/b-e-don-verze-la-vera-storia/2157316


Titolo: Marco Travaglio. Quelli che 'Bossi è un figo'
Inserito da: Admin - Aprile 28, 2012, 05:32:18 pm
Quelli che 'Bossi è un figo'

di Marco Travaglio

Adesso lo scaricano tutti, ma per un decennio molti autorevolissimi commentatori sembravano folgorati dal Senatur. Qualche nome? Angelo Panebianco, Andrea Romano, Stefano Folli, Antonio Polito...

(16 aprile 2012)

Raduno della Lega a Venezia Raduno della Lega a VeneziaFacile prendersela oggi con Bossi e il suo clan. Come prendersela col duce nel 1945 e con Craxi nel 1993. Sono almeno dieci anni che della Lega delle origini, quella che contribuì ad abbattere la prima Repubblica e a salvare Mani Pulite da sicuro affossamento, s'è perso persino il ricordo. Eppure fior di intellettuali e opinionisti "indipendenti" hanno fatto finta di niente sino all'ultimo. Ancora nel 2008, ultima vittoria elettorale di Bossi e Berlusconi, davano mostra di credere alle magnifiche sorti e progressive del "federalismo", ciechi e sordi dinanzi alla satrapia dell'anziano leader menomato e agli scandali della Credieuronord, dell'amico Fiorani e delle quote latte.

Stefano Folli predicava il 15 aprile 2008 sul "Sole-24 ore": "Silvio Berlusconi è il leader che riesce a rappresentare la sintesi di un Paese moderato, ma voglioso di modernità... e sempre più insofferente verso i vincoli, i freni e le incongruenze di chi diffida del cambiamento. Ma non si comprende il senso della vittoria berlusconiana... se si sottovaluta il dato politico che l'accompagna: vale a dire l'impronta nordista che l'affermazione della Lega porta con sé... La Lega è un partito leale agli accordi di coalizione, anche perché ha tutta la convenienza a esserlo. La lealtà paga, visto che oggi tra Lombardia e Veneto abbiamo quasi una seconda Baviera, con Bossi nei panni che furono di Strauss e Stoiber. E la "questione settentrionale", anche quando significa timore della globalizzazione e inquietudine verso gli immigrati, è incarnata dalla Lega... Bossi ha citato la priorità del federalismo fiscale. Ecco un esempio di riforma, certo urgente, che tuttavia esige un alto senso di responsabilità politica per non danneggiare una parte del Paese". Sappiamo com'è poi finita, la seconda Baviera. Ma Folli è sempre lì a spiegare come va il mondo. Advertisement

Un altro folgorato sulla via di Gemonio fu Andrea Romano, già direttore del samizsdat dalemiano Italianieuropei, poi editor della berlusconiana Einaudi, ora testa d'uovo della montezemoliana Italia Futura e columnist prima de "La Stampa", poi del "Riformista", infine del "Sole", lo stesso che l'altra sera pontificava in tv sull'ineluttabile fine del bossismo. Ecco cosa scriveva sulla "Stampa" il 16 aprile 2008: "La Lega potrebbe diventare il motore riformatore del governo Berlusconi... è un movimento politico ormai lontano dalla rappresentazione zotica e valligiana... ha accantonato definitivamente il teatrino secessionista... giustamente Stefano Folli sul "Sole-24ore" rimanda all'esempio della Csu bavarese": insomma la Lega è un modello di "buona amministrazione locale", piena di "giovani preparati come il piemontese Roberto Cota" (l'attuale catastrofico governatore del Piemonte), ergo sarà "il reagente indispensabile a una vera stagione di rinnovamento". Certo, come no: vedi alla voce cerchio magico.

Se Romano citava Folli, Angelo Panebianco l'indomani sul "Corriere" citava Romano che citava Folli, in una travolgente catena di Sant'Antonio, anzi di Sant'Umberto: "Come ha osservato Andrea Romano, non si capisce la Lega Nord se non si tiene conto della capacità che Bossi ha avuto nel corso degli anni di fare crescere una classe dirigente locale, di giovani amministratori, spesso abili, e capaci di tenersi in sintonia con le domande dei loro amministrati". Tipo Belsito, per dire.

L'altro giorno, sul "Corriere", Antonio Polito rivelava di aver capito tutto da un pezzo (ovviamente all'insaputa degli eventuali lettori): "Già da tempo la Lega aveva dato segni evidenti di essersi trasformata da movimento in regime, con i tratti sovietici dell'inamovibilità del gruppo dirigente... Ma nessuno aveva immaginato che il regime fosse diventato una satrapia. Nemmeno Berlusconi". Che strano: lo stesso Polito, direttore del "Riformista", nell'aprile 2008 invitava il centrosinistra a rifuggire da un'opposizione severa e intransigente contro il nuovo governo Berlusconi-Bossi, e ad "aprire il dialogo con l'Italia berlusconiana" e naturalmente bossiana. E' grazie a simili illuminazioni che Polito ha guadagnato la prima pagina del "Corriere".

 
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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/quelli-che-bossi-e-un-figo/2178410/18


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Zero tituli
Inserito da: Admin - Agosto 10, 2012, 12:48:59 pm
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Zero tituli

di Marco Travaglio
 9 agosto 2012


Il regime dei Cinque dell’Apocalisse (Quirinale, Avvocatura dello Stato, Procura della Cassazione, Csm e Governo) che assedia la Procura di Palermo può ritenersi soddisfatto. La notizia anticipata dal Fatto sul procedimento disciplinare contro i pm Messineo e Di Matteo, rei del terribile delitto di intervista, ha raccolto l’audience mediatica auspicata: omertà assoluta di politici, giornali e tg. Fa eccezione il Foglio che, per quanto clandestino, fa il suo sporco mestiere: plaude al Pg della Cassazione e lo esorta a radere al suolo la Procura, “luogo di mille abusi”, anche con processi penali per “violazione del segreto istruttorio”.

Pazienza se il segreto istruttorio è stato abrogato nel 1989 e se per le toghe – lo dimostreremo domani – rilasciare interviste non è illecito disciplinare, ergo l’unico “abuso” è proprio il procedimento disciplinare contro Messineo e Di Matteo. Quanto agli altri quotidiani – direbbe José Mourinho –, “zero tituli”. Compresi il Giornale e Libero che forse, per la prima volta nella storia, provano un filo d’imbarazzo. Ma anche Repubblica, sempre in prima linea a protestare quando i governi B. promuovevano od ottenevano azioni disciplinari contro i pm più impegnati (nelle indagini su B. & his band).

Munendosi di microscopio elettronico, si rinvengono su Repubblica alcune righe riservate alla notizia, pudicamente nascoste in fondo a un articolo dedicato a tutt’altro dal titolo “Caso Mancino-Quirinale, no alla legge ad hoc”, per evitare che qualcuno le noti. Problemi di spazio, probabilmente, in una giornata dominata da notizione come il pensiero di Brunetta su Monti, “Porcellum, la battaglia solitaria del soldato Giachetti”, “L’Italia dei borghi a 5 stelle”. Sul Corriere, neanche tre righe camuffate dietro la siepe: in compenso, ampio spazio al pensiero di Follini, alla gigantografia della famiglia reale Giorgio & Clio sulla sdraio a Stromboli, agli alti lai del nuovo Pellico, il ciellino Simone detenuto per corruzione dunque “prigioniero della politica e dei magistrati”.

Seguono le polemiche sullo spot agreste di Aldo, Giovanni e Giacomo e gli scoop del giorno: “La collanina del primo amore” dello scrittore Buzzi, “Il gossip non è più quello di una volta”, “Gli ultimi ciak dei Soliti idioti” e la “caccia ai polpi di Ponza”. Roba forte, altro che la caccia ai pm della trattativa. Non manca, sul Corriere, il diario di un cane che risponde all’angosciante interrogativo: “Perché nascondono sempre il mio osso?”. E non è mica l’unico cane a scrivere sui giornali. La Stampa regala un paginone su “le vacanze misurate degli onorevoli”, poi s’avvicina pericolosamente alla trattativa: “Tanti indagati, poche condanne”. Allusione a Stato e mafia? No, ai finti ciechi, vera emergenza nazionale. E volete mettere, poi, la ricomparsa del “maschio alfa fra i lupi dei Monti Sibillini”? Si dirà: almeno l’Unità, con la sua centenaria tradizione antimafia, gliene dirà quattro a chi vuol fermare i pm. Invece no. Siccome non c’è peggior Sardo di chi non vuol sentire, c’è ben altro in menu: “Bersani: i progressisti non si chiudono nell’autosufficienza”, “Sui valori della Carta d’intenti si può ricostruire la politica”, “Geografie dell’utopia” (ma anche, volendo, utopie della geografia) e l’imprescindibile “Elogio del ‘non so’”. Più che un titolo, un piano editoriale.

da Il Fatto Quotidiano del 9 agosto 2012

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/09/zero-tituli-2/321269/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - La Repubblica e Il Fatto, Zagrebelski e Scalfari: quello che..
Inserito da: Admin - Agosto 26, 2012, 05:19:08 pm
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La Repubblica e Il Fatto, Zagrebelski e Scalfari: quello che Ezio Mauro non dice
Lo scontro tra il fondatore del quotidiano di Largo Fochetti e il presidente emerito della Consulta, la favola del "tutti abbiamo ragione" e l'attacco ai pm e alla Costituzione: rassegna - punto per punto - dei trucchi per mettere d'accordo capra e cavoli

di Marco Travaglio | 25 agosto 2012


Mica facile salvare capra e cavoli, anzi Zagre e Scalfari. Ieri Ezio Mauro ha provato, con abilità dialettica e qualche maligna allusione al Fatto, a mettere d’accordo gl’illustri litiganti di Repubblica: il fondatore Eugenio Scalfari e il presidente emerito della Consulta Gustavo Zagrebelsky. Ma, a nostro modesto avviso, ci è riuscito solo in parte. Perché ha dovuto sacrificare un bel po’ di quell’“obbligo alla verità” e al “giornalismo” a cui si è richiamato.

1. Duello a uno
“Il caso della trattativa Stato-mafia e del contrasto tra la Procura di Palermo e il Quirinale… La manovra contro il Quirinale…”. Non c’è mai stato alcun “contrasto” tra Procura e Quirinale, né tantomeno alcuna “manovra” contro il Colle. Anzi, tutto il contrario. La Procura ha chiesto e ottenuto dal Gip di intercettare Nicola Mancino, applicando la legge e scoprendo poi che Mancino parlava col consigliere giuridico di Napolitano, Loris D’Ambrosio, e con lo stesso Napolitano. E’ stato Napolitano ad attaccare la Procura di Palermo, accusandola di aver leso sue presunte prerogative costituzionali e trascinandola dinanzi alla Consulta.

2. Nessun attacco
“L’indagine è meritoria, come dicevo due mesi fa. Ma oggi – aggiungo – chi la ostacola? La Procura l’ha conclusa con le richieste di rinvio a giudizio, in piena libertà, com’è giusto, ora tocca al Gip decidere sugli indagati eccellenti. E allora? È un falso palese dire che si vuole bloccare il lavoro di Palermo, anzi è un inganno ai cittadini in buona fede”. Quindi i 130mila e più cittadini (compresi Zagrebelsky, Barbara Spinelli e altri editorialisti di Repubblica) che hanno firmato l’appello del Fatto a favore dei pm siciliani sono stati ingannati: la Procura di Palermo ha potuto indagare “in piena libertà” e quel che è accaduto dopo non ha alcun riflesso sul processo, che ormai è in mano al Gup (non al Gip) e che proseguirà serenamente senza intoppi. Le cose non stanno così. Contro l’indagine “meritoria”, Scalfari ha scritto parole di fuoco, accusando i pm che l’hanno condotta di ogni sorta di “abusi”, “illegalità”, “scarsa professionalità” e soprattutto di non aver combinato nulla in vent’anni di lotta alla mafia (“Ci sarebbero da esaminare i risultati delle inchieste che da vent’anni si svolgono a Palermo e Caltanissetta e che finora hanno dato assai magri risultati”). Inoltre, dalle telefonate fra Mancino e D’Ambrosio risulta che D’Ambrosio – che diceva di agire in nome e per conto, anzi su disposizione del “Presidente” Napolitano – si dava da fare per neutralizzare l’inchiesta di Palermo tramite il Pg della Cassazione e il procuratore antimafia Grasso. E solo il diniego di Grasso a quelle pressioni ha consentito che l’inchiesta si chiudesse “in piena libertà”. Non lo diciamo noi: l’hanno scritto su Repubblica Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo (“D’Ambrosio seguiva l’inchiesta sulla trattativa, sperava in un ‘coordinamento’ che di fatto sfilasse ogni potere d’indagine ai pm siciliani e ragionava sul da farsi con Mancino… Le telefonate intercettate stanno scoprendo un eccessivo attivismo al Quirinale sulla delicata inchiesta di Palermo e sfiorano più di una volta il nome di Napolitano”). Inoltre Mauro dimentica che, appena chiusa l’indagine, il Colle ha trascinato la Procura alla Consulta tramite l’Avvocatura dello Stato con accuse gravissime. E i pm Messineo e Di Matteo si son visti aprire dal Pg della Cassazione (lo stesso attivato da Napolitano e D’Ambrosio) un fascicolo disciplinare. Lo scorso anno Berlusconi trascinò alla Consulta il Tribunale di Milano che pretendeva di giudicarlo per il caso Ruby, anziché passare la palla al Tribunale dei ministri (anzi alla Camera, che avrebbe negato l’autorizzazione a procedere), in quanto Ruby era la nipote di Mubarak e il reato era ministeriale.

Bene, anzi male: anche allora l’inchiesta era già stata conclusa “in piena libertà” e spettava al Gip prendere le sue decisioni. Eppure Repubblica polemizzò giustamente col Cavaliere e col centrodestra, accusandoli di attaccare, isolare e delegittimare i magistrati milanesi. Evidentemente perché è difficile per un magistrato celebrare un processo “in piena libertà” sapendo di aver contro il governo e il Parlamento (caso Ruby), e a maggior ragione sapendo di avere contro il governo, il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il Pg della Cassazione, un pezzo del Csm, l’Avvocatura dello Stato e la grande stampa (caso trattativa). Infatti non il Fatto, ma Zagrebelsky, ha scritto che, senza volerlo, Napolitano col suo conflitto è divenuto il “perno di un’operazione di discredito, isolamento morale e intimidazione di magistrati che operano per portare luce su ciò che, in base a sentenze definitive, possiamo considerare la ‘trattativa’ tra uomini delle istituzioni e uomini della mafia”.

3. Improprio a chi?
“Il comportamento dei consiglieri di Napolitano secondo quelle telefonate è imprudente e improprio perché sembrano consigliare più il testimone Mancino che il Presidente”. Già, ma siccome i consiglieri (che poi sono uno soltanto: D’Ambrosio, poi scomparso) confidano a Mancino di agire su ordine del “Presidente”, che poi firma una lettera ufficiale ma segreta al Pg della Cassazione, ne dovrebbe derivare che “imprudente e improprio” non è il consigliere che obbedisce agli ordini, ma il Presidente che li dà.

4. La fuga che non c’è
“Il Presidente non ritiene che i testi delle sue conversazioni private debbano essere divulgati, a tutela delle sue prerogative più che del caso specifico”. Intanto, nessuno li ha divulgati: la Procura li ha segretati e non se n’è saputo nulla. Quindi la prerogativa della riservatezza, ove mai esistesse, non sarebbe stata violata da nessuno. Il caso però vuole, come ha spiegato e rispiegato Franco Cordero su Repubblica, che quella prerogativa non esista. Nessuna norma costituzionale o procedurale vieta di intercettare né direttamente, né tantomeno indirettamente il capo dello Stato. E’ vietato soltanto processarlo per gli “atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”: e infatti nessuno l’ha neppure indagato. Ma lo dice lo stesso Mauro che quelle tra Mancino e Napolitano sono “conversazioni private”: dunque non rientrano nell’esercizio delle funzioni presidenziali. Dunque i magistrati potevano benissimo intercettarle, sul telefono di Mancino. Ma avrebbero potuto intercettarle anche su quello del Presidente se, per assurdo, avessero sospettato un Presidente della Repubblica di reati commessi al di fuori dell’esercizio delle funzioni (puta caso: bancarotta, omicidio, traffico di droga o di armi).

5. Il buco che non c’è
“(Napolitano) solleva un conflitto di attribuzione su un ‘buco’ normativo: può il Capo dello Stato essere intercettato, sia pure indirettamente?”. Abbiamo già spiegato, sulla scia di Cordero, che non esiste alcun buco normativo: il costituente e il legislatore non hanno proibito di indagare sul Capo dello Stato per fatti estranei alle sue funzioni non per una dimenticanza, ma perché convinti che sia giusto così. Ma paradossalmente quel “buco” normativo lo nega anche Napolitano. Il quale, sollevando il conflitto contro la Procura di Palermo, sostiene che la norma che vieta le sue intercettazioni indirette, la loro valutazione da parte dei pm, il loro esame in contraddittorio fra le parti davanti al gip, esista eccome e la Procura di Palermo l’abbia violata. Nel decreto del 16 luglio, accusa i pm di “lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione”.

6. Intercettata la Merkel?
“Sollevo una questione di semplice buon senso repubblicano… Il lavoro del Presidente della Repubblica, fuori dagli impegni istituzionali solenni e pubblici, è in gran parte fatto di colloqui, incontri, conversazioni (anche telefoniche)… E’ interesse di Napolitano (posto che non si parla in alcun modo di reati) o è interesse della Repubblica che queste conversazioni non vengano divulgate? Secondo me è interesse di tutti, con buona pace di chi allude senza alcuna sostanza a misteriosi segreti da proteggere, già esclusi da tutti gli inquirenti. Facciamo un’ipotesi astratta, di scuola. Quante telefonate avrà dovuto fare il Capo dello Stato nelle due settimane che hanno preceduto le dimissioni di Berlusconi da palazzo Chigi? Quante conversazioni avrà avuto, quando le cancellerie europee non parlavano più con il governo, i mercati impazzivano, il Paese era allo sbando senza una guida esecutiva e molti di noi temevano il colpo di coda del Caimano? Se quelle conversazioni – che hanno necessariamente preceduto e preparato l’epilogo istituzionale di vent’anni di berlusconismo – fossero diventate pubbliche, quell’esito sarebbe stato più facile o sarebbe al contrario precipitato nelle polemiche di parte più infuocate, fino a rivelarsi impossibile?”. A parte il fatto che, ripetiamo, le due telefonate Mancino-Napolitano non sono state divulgate, ancora una volta lo dice Mauro stesso: conversazioni nell’ambito del “lavoro del Presidente… fuori dagli impegni istituzionali solenni e pubblici”. La risposta è nella Costituzione: fuori dall’esercizio delle funzioni, il Presidente è un cittadino come gli altri. E non è affatto una minaccia, anzi è una garanzia per i cittadini e per la democrazia tutta il fatto che il capo dello Stato sappia di poter essere intercettato dalla magistratura: così sa in partenza che un giorno potrebbe dover rispondere di quel che fa e dice, e starà molto attento ad attenersi a uno stile e a un contegno consoni all’alta carica che ricopre.

Male non fare, paura non avere. Non abbiamo sempre detto, citando i paesi anglosassoni (negli Usa tutti i colloqui del Presidente vengono addirittura registrati), che le istituzioni sono “case di vetro” sottoposte alla massima trasparenza? Perché questo, improvvisamente, non dovrebbe valere per il Quirinale? Se per caso fossero stati legittimamente intercettati colloqui del Presidente relativi all’ultima crisi di governo che ha portato alla fine del terzo governo Berlusconi, noi non troveremmo nulla di scandaloso che fossero resi noti: anzi se, come Napolitano ha sempre assicurato, si è attenuto scrupolosamente al dettato costituzionale, sarebbe suo interesse dimostrare che le cose stanno davvero così e che abbiamo almeno un politico che dice in privato le stesse cose che dice in pubblico. L’obiezione è nota: e se il Presidente affronta temi di sicurezza nazionale, insomma segreti di Stato? Ma intanto le intercettazioni non avvengono a opera dello Spirito Santo: per essere intercettati bisogna essere sospettati di un reato o parlare con qualcuno coinvolto in un reato. Dunque si può tranquillamente parlare con la Merkel e con Hollande senza essere ascoltati (da un pm, almeno). Qui però Napolitano non parlava con Hollande o Merkel, ma con Mancino: e sarebbe stato sommamente incauto a trattare questioni di Stato al telefono, peggio ancora con un privato cittadino (qual è Mancino, per giunta coinvolto nel caso trattativa).

Peraltro lo stesso problema si pone per i membri del governo: quanti segreti trattano il presidente del Consiglio, i ministri dell’Interno, della Difesa e degli Esteri che oltretutto, a differenza del Capo dello Stato, sono responsabili dei loro atti? Eppure nessuno di essi è coperto da alcuna immunità, in quanto membro del governo (salvo che sia parlamentare). Tranne Monti (senatore a vita), tutti i ministri dell’attuale governo sono intercettabili, indirettamente e anche direttamente, e le eventuali intercettazioni, quando cade il segreto, possono essere divulgate. Tutti i giornali, Repubblica in testa, hanno diffuso fiumi di “conversazioni private” dell’ex premier indirettamente intercettate (direttamente non si poteva, lui è deputato). E non abbiamo cambiato idea, noi: era giusto pubblicarle, perché avevano, anche quelle sulla sua vita sessuale, un rilievo pubblico.

7. Diversamente concordi
Su un punto Mauro ha ragione: “Fare di ogni erba un fascio” e dire che “destra e sinistra sono uguali” è qualunquismo. Ma se chi ha difeso il diritto-dovere della stampa di diffondere conversazioni private e in certi casi prive di rilevanza penale, ma di enorme interesse pubblico, quando c’era di mezzo Berlusconi, oggi sostiene il contrario solo perché la voce intercettata è quella di Napolitano, beh, la tentazione di fare di ogni erba un fascio e dire “tutti uguali” sorge spontanea.

8. Diversamente alti
Può darsi che in quella che Mauro recinta come “la nostra metà del campo (che noi chiamiamo sinistra)”, “il campo ‘democratico’” (tutti gli altri sono totalitari), si siano infiltrate in nome dell’antiberlusconismo “forze, linguaggi comportamenti e pulsioni oggettivamente di destra”. Direbbe Troisi: “Mo’ me lo segno”. Ma è un po’ ingeneroso, oltreché falso, affermare che per costoro “Berlusconi non è mai stato il vero avversario, ma semplicemente lo strumento per suonare la propria musica”. In questi vent’anni han fatto molto più male a Berlusconi avversari irriducibili non di sinistra come Montanelli, Sartori e l’Economist che la sinistra politica e giornalistica, troppo impegnata nelle libagioni bicamerali da cui non s’è mai riavuta (non sto a ricordare chi fu il primo a raccontare in tv i rapporti fra Berlusconi e la mafia e tra Schifani e alcuni tipetti poi condannati per mafia, e l’atteggiamento assunto nelle due circostanze da Repubblica). Quanto a chi “canzonava il Cavaliere in un linguaggio da Bagaglino, con un ‘calandrinismo’ che rompeva la cornice drammatica in cui stava avvenendo quella prova di forza, deridendo i nomi (incolpevoli, almeno loro) delle persone, scherzando coi loro difetti fisici”, ullallà, che seriosità. Suvvia, Ezio, un po’ di satira non ha mai fatto male a nessuno. E per trovare chi deride i nomi (te lo dice un Travaglio) o i difetti fisici, non c’è bisogno di scomodare “la destra peggiore” del “Borghese degli anni più torvi”: bastano le vignette di Forattini su Repubblica (Fanfani basso, Andreotti gobbo e Spadolini grasso); i migliori spettacoli di Benigni su Ferrara ciccione e Berlusconi nano; e le strepitose collezioni del Cuore diretto da Michele Serra, coniatore di definizioni memorabili come “Bottino Craxi”, “Craxitustra”, “Mario Seni”, la Dc “Grande Troia”, i politici con “la faccia come il culo”, fino al “nano ridens” e al “fratello scemo”. Comunque giuriamo solennemente che in futuro ci atterremo al più rigoroso politically correct stile Repubblica: mai più nani e Cainani, solo verticalmente svantaggiati e diversamente alti.

da Il Fatto Quotidiano del 25 agosto 2012

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/25/repubblica-e-fatto-zagrebelski-e-scalfari-quello-che-ezio-mauro-non-dice/333737/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Ricapitolando
Inserito da: Admin - Febbraio 23, 2013, 11:01:51 pm
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Ricapitolando

di Marco Travaglio | 22 febbraio 2013


A due giorni dalle elezioni, si vanno chiarendo anche gli ultimi trascurabili dubbi sulle alleanze e i programmi delle principali forze in campo. Berlusconi, avendo annunciato il sorpasso del Pdl sul Pd, conta di tornare premier dopo aver detto che non farà più il premier, ma il ministro dell’Economia. Intende allearsi “con il Pd per cambiare la Costituzione”, proseguendo la proficua collaborazione già avviata nella Bicamerale e al Monte dei Pascoli. Ma solo quando avrà smaltito la sbornia che vuole prendersi se, come prevede, il Trio Sciagura (Monti-Fini-Casini) con cui è alleato da un anno e mezzo non entrerà in Parlamento. Intanto s’è già ubriacato per lo scandalo che ha colpito l’odiato Giannino, dimessosi perché non laureato (Nicole Minetti invece è laureata, e anche Sara Tommasi, e pare persino Alfano). Nel primo consiglio dei ministri restituirà l’Imu da lui stesso votata ed elogiata ai proprietari di prima casa in contanti, in comode buste ritirabili presso l’ufficio del ragionier Spinelli in via dell’Olgettina a Milano. Dopodiché, se resterà tempo, dichiarerà guerra alla Germania.

Sosterrà il governo Berlusconi anche la Nuova Lega di Bobo Maroni, che aveva giurato “mai più con Berlusconi” e annunciato che il suo candidato premier era Alfano, oppure Tremonti che a Berlusconi non rivolge la parola da un anno e mezzo. Monti, dal canto suo, prevede che resterà a Palazzo Chigi, forte della maggioranza assoluta che i sondaggi, affidati al Mago Otelma, sembrano tributargli sia alla Camera sia al Senato. Infatti, nei giorni pari, esclude di allearsi sia con Berlusconi (“statista”, anzi “cialtrone”) sia col Pd (“nato nel 1921”, cioè comunista). Però nei giorni dispari non esclude la “grande coalizione” con Berlusconi se si libera di Berlusconi e/o col centrosinistra se si libera di Vendola (o se Vendola smette di essere Vendola e diventa Ichino) e anche di Bersani perché la Merkel non lo vuole (lei smentisce, ma lui conferma: la Merkel non vuole Bersani, ma non lo sa ancora).

Casini, o il suo ologramma, annuncia sul Corriere che una delle prime mosse del governo Monti sarà l’abolizione delle Province: infatti Monti candida in Veneto il leader del movimento “Salviamo la Provincia di Bolzano”, che resterà dunque l’unica provincia d’Italia. Fini: non pervenuto. Poi c’è Beppe Grillo, che prega di non vincere le elezioni perché altrimenti non saprebbe chi mandare a Palazzo Chigi ed è terrorizzato perché rischia di vincerle per davvero, suo malgrado. Ingroia invece spera di superare il quorum e di intavolare una trattativa con Grillo, che però non tratta, oppure con Bersani, che però non gli parla proprio perché Napolitano non vuole, a causa delle sue indagini sulla trattativa.

Infine il centrosinistra, formato da Pd, Sel e – secondo alcuni radar particolarmente sensibili – anche Socialisti, Moderati e Centro Democratico (così chiamato per distinguerlo dal Centro Totalitario). Qui, per fortuna, regna la limpidezza più cristallina da tempo immemorabile. Il Pd, anche se dovesse avere la maggioranza al Senato, farà comunque un governo con Monti, ma per cambiare le politiche del governo Monti che il Pd ha votato fino all’altroieri. Vendola s’è impegnato per iscritto a governare col Pd e col Centro di Monti, ma si dice incompatibile col Centro di Monti e dunque annuncia che col Centro di Monti non governerà. Il roccioso governo così coerentemente formato s’impegna a varare nel primo Consiglio dei ministri la legge sul conflitto d’interessi che né il centrosinistra in cinque legislature, né Monti in un anno e mezzo, hanno mai varato per pura sbadataggine. Inoltre, siccome Grillo è “un fascista del web”, “populista”, “antipolitico”, “come Berlusconi”, “eterodiretto” da forze oscure e “un pericolo per la democrazia”, bisogna dialogare con Grillo perché è “un interlocutore prezioso”.

Tutto chiaro?

Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/22/ricapitolando/509266/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Il vero condono tombale non è quello fiscale o edilizio che...
Inserito da: Admin - Febbraio 23, 2013, 11:06:20 pm
Ci sarà anche un condono tombale sulle tangenti se vince Berlusconi.

Che prima confessa di aver manipolato l'appalto per il Ponte sullo Stretto.

Poi difende Scaroni sull'affaire algerino. A tutto detrimento della credibilità del sistema Italia.


di Marco Travaglio, da L'Espresso, 15 febbraio 2013


Il vero condono tombale non è quello fiscale o edilizio che Berlusconi promette, ma non avrà mai più i voti per realizzare. Il vero condono tombale è quello politico e culturale che gli consente di dire le più ciclopiche enormità senza mai pagare pegno. E non parlo tanto delle bugie, che non sono certo una sua esclusiva, specie in campagna elettorale. Ma di tutto il resto, che è anche peggio.

Domenica sera, in diretta tv, il Cavaliere ha confessato un reato (una turbativa d'asta) da arresto immediato e ne ha giustificato uno non suo (una corruzione internazionale) mostrandosene molto, troppo informato. La turbativa d'asta l'ha commessa lui e, se lo dice lui, c'è da credergli: «Per i lavori del Ponte sullo Stretto ho parlato personalmente con i principali operatori internazionali perché non partecipassero alla gara, così il mio governo li ha appaltati a un'azienda italiana (Impregilo, ndr), che poi ha affidato i subappalti a ditte italiane». Ora, per opere di quell'entità (roba da 7-8 miliardi di euro), è arcinoto che si richiedono gare internazionali per coinvolgere le migliori imprese e scegliere l'offerta più convincente e conveniente. L'idea che un governo possa dissuadere le imprese straniere dal concorrere è non solo un plateale delitto, punito in tutto il mondo, ma anche il sintomo di una concezione sovietica, da gosplan, dell'economia; nonché un segnale devastante ai mercati, visto che l'Italia dovrebbe far di tutto per attrarre capitali e investimenti dall'estero, non certo bloccarli alla frontiera.

La corruzione internazionale è quella di cui è accusato il gruppo Eni e per cui è indagato l'amministratore delegato Paolo Scaroni in una storia di presunte tangenti al governo algerino in cambio di appalti a Saipem. Berlusconi si guarda bene dallo scagionare l'Eni dell'amico Scaroni, anzi, dà per scontate le mazzette. Ma le giustifica e le elogia, sostenendo che la magistratura non dovrebbe occuparsene per non «danneggiare l'economia» (diversamente dal caso Montepaschi, per cui invece invoca qualche bell'arresto elettorale). Perché - sostiene testualmente - «a livello internazionale, quando si contratta con governi non democratici, ci sono delle combinazioni da attivare» per sbaragliare la concorrenza. Insomma, se i pm italiani pretendono che le aziende italiane non sborsino bustarelle in giro per il mondo, gli appalti se li pappano le aziende straniere che invece pagano senza rischiare nulla.

Debole in diritto, nonostante la laurea in legge, Berlusconi non sa, o finge di non sapere, che la corruzione (tanto più quella internazionale) è punita in tutto il mondo, e molto più severamente che da noi. Grazie a lui, in Italia le aziende possono tranquillamente falsificare bilanci e accumulare fondi neri per pagare mazzette: il che scredita tutto il nostro sistema imprenditoriale, anche chi eventualmente avesse bilanci regolari e non pagasse tangenti in cambio di appalti: perché nessun concorrente straniero si azzarda a sfidare i gruppi italiani partecipando a una gara che lui non può truccare, mentre i nostri sì. Ecco un altro fattore che respinge gli investimenti esteri di cui avremmo bisogno come del pane.

La doppia confessione di Berlusconi non ha suscitato alcun moto di sdegno fra i suoi avversari in campagna elettorale. Anche perché Scaroni ha sempre goduto di appoggi trasversali, da destra al centro a sinistra. Un altro manager ambidestro, Cesare Geronzi, nel libro "Confiteor", vaticinava pochi mesi fa che «un eventuale Monti bis potrebbe comportare la nomina di Scaroni come ministro degli Esteri». Eppure, a prescindere dalla fondatezza o meno di quest'accusa di corruzione, nessuno è autorizzato a meravigliarsene. La prima volta che Scaroni balzò agli onori delle cronache giudiziarie fu nel 1992, quando era amministratore della Techint e il pool Mani Pulite lo fece arrestare per aver pagato tangenti da centinaia di milioni di lire al Psi in cambio di appalti dall'Enel. Patteggiò 1 anno e 4 mesi, poi Berlusconi lo promosse amministratore delegato dell'Enel. Per competenza specifica.

(15 febbraio 2013)

da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-cavaliere-si-che-se-nintende/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Lo schiaffo di Grillo e la retromarcia del centrosinistra
Inserito da: Admin - Febbraio 26, 2013, 10:09:09 pm
Lo schiaffo di Grillo e la retromarcia del centrosinistra
   

di Marco Travaglio, da Il Fatto quotidiano, 26 febbraio 2013

La domanda era: riusciranno i nostri eroi a non vincere le elezioni nemmeno contro un Caimano fallito e bollito? La risposta è arrivata ieri: ce l’han fatta un’altra volta. Come diceva Nanni Moretti 11 anni fa, prima di smettere di dirlo e di illudersi del contrario, “con questi dirigenti non vinceremo mai”. Del resto, a rivedere la storia del ventennio orribile, era impossibile che gli amici del giaguaro smacchiassero il giaguaro.

L’abbiamo scritto fino alla noia: nel novembre 2011, quando B. si dimise fra le urla e gli sputi della gente dopo quattro anni di disastri, era dato al 7%: bastava votare subito, con la memoria fresca del suo fallimento, e gli elettori l’avrebbero spianato, asfaltato, polverizzato. Invece un’astuta manovra di palazzo coordinata dai geniali Napolitano, Bersani, Casini e Fini, pensò bene di regalarci il governo tecnico e soprattutto di regalare a B. 16 mesi preziosi per far dimenticare il disastro in cui ci aveva cacciati.

Il risultato è quello uscito ieri dalle urne. Che non è la rimonta di B: è la retromarcia del centrosinistra. Che pretende di aver vinto con meno voti di quando aveva perso nel 2008. Il Pdl intanto ha incenerito metà dei voti di cinque anni fa, la Lega idem. E meno male che c’era Grillo a intercettarli, altrimenti oggi il Caimano salirebbe per la quarta volta al Quirinale per formare il nuovo governo. Il che la dice lunga sulla demenza di chi colloca M 5 S all’estrema destra o lo paragona ad Alba Dorata.

Il centrodestra è al minimo storico, sotto il 30%, che però è il massimo del suo minimo: perché B. s’è alleato con tutto l’alleabile, mentre gli strateghi del Pd con la puzza sotto il naso han buttato fuori Di Pietro e quel che restava di Verdi, Pdci, Prc e hanno schifato Ingroia: altrimenti oggi avrebbero almeno 2 punti e diversi parlamentari in più, forse addirittura la maggioranza al Senato. Ma credevano di avere già vinto, con lo “squadrone” annunciato da Bersani dopo le primarie: l’ennesima occasione mancata (oggi, col pur discutibile Renzi, sarebbe tutta un’altra storia).

Erano troppo occupati a spartirsi le poltrone della nuova gioiosa macchina da guerra per avere il tempo di fare campagna elettorale. I voti dovevano arrivare da sé, per grazia ricevuta e diritto divino, perché loro sono i migliori e con gli elettori non parlano. Qualcuno ricorda una sola proposta chiara e comprensibile di Bersani? Tutti hanno bene impresse quelle magari sgangherate di Grillo e quelle farlocche di B. (soprattutto la restituzione dell’Imu, tutt’altro che impossibile, anche se pagliaccesca visto che B. l’Imu l’aveva votata). Di Bersani nessuno ricorda nulla, a parte che voleva smacchiare il giaguaro.

Anche questo l’abbiamo scritto e riscritto: nulla di particolarmente brillante, tant’è che ci era arrivato persino D’Alema. Ma non c’è stato verso: la campagna elettorale del Pd non è mai cominciata, a parte i gargarismi sulle alleanze con SuperMario (da ieri MiniMario) e i formidabili “moderati” di Casini (tre o quattro in tutto). Col risultato di uccidere Vendola, mangiarsi l’enorme vantaggio conquistato con le primarie e regalare altri voti a Grillo, non bastando l’emorragia degli ultimi anni.

Ora è ridicolo prendersela col Porcellum (peraltro gelosamente conservato): chi, dopo 5 anni di bancarotta berlusconiana, non riesce a convincere più di un terzo degli elettori non può pretendere di governare contro gli altri due terzi. Anzi, dovrebbe dimettersi seduta stante per manifesta incapacità, ponendo fine al lungo fallimento di un’intera generazione: quella degli ex comunisti che non ne hanno mai azzeccata una. Ma dalle reazioni fischiettanti di ieri sera non pare questa l’intenzione: tutti resteranno al loro posto e, lungi dallo smacchiare il giaguaro, proveranno ad allearsi col giaguaro in una bella ammucchiata per smacchiare il Grillo e soprattutto evitare altre elezioni. Auguri. Quos Deus vult perdere, dementat prius.


da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/lo-schiaffo-di-grillo-e-la-retromarcia-del-centrosinistra/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Grillo e il papello
Inserito da: Admin - Marzo 02, 2013, 11:01:17 pm
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Grillo e il papello

di Marco Travaglio | 1 marzo 2013


Nessuno riesce a entrare nella testa di Grillo. Forse nemmeno Grillo. Difficile capire se prevalga la soddisfazione o la preoccupazione. Soddisfazione nel vedere i politici che l’hanno sempre schifato strisciare ai suoi piedi e implorarlo di salvarli con la fiducia. Preoccupazione per una politica allo sbando che rischia di far pagare ai cittadini l’ennesimo scotto della propria incapacità.

Eppure, dai messaggi che l’ex comico invia tramite il blog e le interviste alla stampa estera, una cosa si può dire: l’Antipolitico fa politica più o meglio dei professionisti della politica. Il gioco di questi ultimi è chiarissimo: non avendo capito nulla di quanto sta accadendo, s’illudono di padroneggiare ancora la situazione ingabbiando gl’ingenui “grillini” in un governo minoritario che prometta di fare tutto ciò che chiedono, ottenendone la fiducia e poi torni alle pratiche consociative di sempre, ricattandoli con la minaccia del voto anticipato che ricadrebbe sulle loro spalle, con annesse accuse di sfascismo e irresponsabilità lanciate da stampa e tv di regime. Una trappola che somiglia al vecchio trucco del cerino: l’ultimo si brucia le dita. Solo un campione di ingenuità suicida può pensare che un movimento rivoluzionario possa votare la fiducia a un governo altrui. E, con buona pace della stampa di regime, non esiste alcuna “rivolta del web” contro i No di Grillo.

Il web è una zona franca dove scrivono tutti, anche i troll dei partiti camuffati da “base di 5 Stelle”. I partiti dell’ammucchiata Monti non vedono l’ora di rimettersi insieme per evitare le urne, cioè un altro balzo di Grillo. Ma hanno un problema: i loro elettori. Il Pd finge di dialogare con M5S, per poi allargare le braccia: “Purtroppo Grillo non vuole e ci costringe alla grande coalizione per eleggere il Presidente, tranquillizzare i mercati, lo spread e l’Europa”. D’Alema ha già avviato contatti con Letta, prigioniero di quella Bicamerale mentale che lo porta a una continua coazione a ripetere. Grillo sa che lì si andrà a parare e deve evitare di restare col cerino in mano: cioè di essere additato domani come il colpevole dell’inciucione o di nuove elezioni. Perciò ricorda ossessivamente il programma di M5S e sfida i partiti a farlo proprio. Ora, per smascherare il bluff, deve fare un passo in più: presentare un papello semplice, fattibile e al contempo rivoluzionario, in cambio dell’uscita dall’aula dei senatori “grillini” che consentirebbe la nascita “condizionata” del governo. Abolire i rimborsi elettorali. Dimezzare i parlamentari e i loro compensi. Legge elettorale maggioritaria con doppio turno francese. Anti-corruzione e anti-evasione con pene doppie e prescrizione bloccata al rinvio a giudizio, nuovi reati come autoriciclaggio, falso in bilancio, collusione mafiosa. Ineleggibilità per condannati, portatori di conflitti d’interessi e concessionari pubblici. Antitrust su tv e pubblicità. Cancellazione di Tav Torino-Lione, Terzo Valico, Ponte sullo Stretto e altre opere inutili, nonché dell’acquisto degli F-35. Ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Divieto per ex eletti o iscritti a partiti di entrare nei Cda di banche e fondazioni. Via gli aiuti di Stato a banche, imprese e scuole private. Via le esenzioni fiscali a edifici ecclesiastici e bancari. Ilva e Mps nazionalizzati. Patrimoniale. Reddito di cittadinanza o sussidio di disoccupazione. Tetto alle pensioni d’oro. Abolizione immediata delle province e potatura di consulenze e poltrone delle società miste. Sgravi fiscali alle imprese che assumono giovani. Detraibilità delle spese di sussistenza. Wi-fi libero e gratis. Più fondi a scuola pubblica, università e ricerca.

A questo punto possiamo anche svegliarci dal sogno, perché un programma del genere i partiti non se lo possono permettere: si condannerebbero al suicidio. Ma almeno sarebbero costretti ad ammetterlo e tutto sarebbe finalmente chiaro.

Il Fatto Quotidiano, 1 Marzo 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/01/grillo-e-papello/517018/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Penne Tricolori
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2013, 11:26:28 am
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Penne Tricolori

di Marco Travaglio | 9 marzo 2013

Patrioti di tutt’Italia, unitevi. Un pericoloso agente dello straniero, probabilmente allevato in una birreria bavarese (la giacca a vento da uomo mascherato nasconde certamente la camicia nera o bruna), osa evitare i giornalisti italiani che molto professionalmente bivaccano sotto casa sua e lo inseguono anche sulla spiaggia durante il jogging implorando “’a Gri’, dicce quarcosa, ‘na dichiarazzzione!”. E, per sfuggire all’accusa di non rispondere alle domande, si fa pure intervistare da tv e giornali esteri, notoriamente incapaci di fare domande (nonché vergognosamente non finanziati dallo Stato).

Costringendo così i giornalisti italiani a manipolare quel che ha detto per non far la figura dei copioni passacarte. Urge dunque una reazione della stampa nazionale, possibilmente proporzionata all’offesa ricevuta: per lavare l’onta, si attivi subito una pattuglia di Penne Tricolori che stanino l’agente nemico in ogni dove e lo costringano a sottoporsi al classico, impietoso terzo grado che tv e giornali italiani sono soliti riservare ai potenti. Si recluti un manipolo di intrepidi giornalisti, sull’esempio dei capitani coraggiosi benedetti da D’Alema che scalarono la Telecom senza soldi, degl’impavidi patrioti arruolati da B. che mandarono allo sfascio l’Alitalia, dei benemeriti del quartierino racimolati da Fazio che tentarono di papparsi due banche per salvaguardarne “l’italianità”.

Si faccia dunque muro, si rafforzino gli argini, si presidino i confini per salvare l’italianità dell’informazione, che rischia di emigrare lontano dal sacro suolo patrio (dopo la fuga dei cervelli, quella delle interviste). Nessuno può tirarsi indietro. Si elevino mòniti dai colli più alti e si approntino opportuni slogan per sensibilizzare l’opinione pubblica. L’eversore dà un’intervista a un giornale di Londra? “Dio stramaledica gli inglesi”. Il fellone parla con una tv tedesca? “Fottutissimi crucchi mangia-crauti e ciucciawürstel”. Il traditore risponde a un inviato giapponese? “Musi gialli ballate l’alligalli”. Il disertore colloquia con una cronista malgascia? “Penne malgasce tutte bagasce”.
Il vile si concede a un rotocalco guatemalteco? “Chi scrive in Guatemala ci ha la mamma maiala”. Che poi non si capisce bene quali sarebbero, queste famose colpe del giornalismo italiano. Ancora ieri la stampa nazionale ha dato luminosa prova di indipendenza e completezza dell’informazione.

Sul caso Durnwalder-Quirinale, silenzio di tomba. Sul rinvio a giudizio di politici, carabinieri e mafiosi per la trattativa e sulla condanna di B. per il cd-rom rubato con la telefonata segretata Fassino-Consorte e passato al Giornale, il Corriere titola in prima pagina: “Si riapre il caso giustizia” (in effetti è un caso che ogni tanto in Italia, nonostante tutto, si appalesi ancora la Giustizia). L’Unità spara a tutta prima: “Il nastro della vergogna. Fassino: fummo denigrati” (ma il reato non è diffamazione, è violazione del segreto: l’unico a denigrare Fassino fu Fassino, sponsorizzando la scalata illegale Bnl-Unipol). Intanto relega il processo sulla trattativa a pagina 12 e s’inventa “critiche all’inchiesta” da parte del Gup (che invece ha solo segnalato l’eccessiva sintesi della richiesta di rinvio a giudizio e la mancanza di un indice ai 90 faldoni di atti).

Per Messaggero e Stampa, la trattativa non merita un rigo in prima pagina. E neppure per Libero e Giornale, che in compenso assolvono B. (“Abbiamo una carognata”, “Follie giudiziarie”), ma non la Boccassini (“è fuori legge”). E sbattono il mostro Grillo in prima pagina, scambiandolo per l’autista (“Soldi e società: affari a 5 stelle off-shore”, “Strani affari all’estero e discorsi in stile Hitler”).

E con una stampa così libera e credibile in casa, il populista esterofilo va in cerca di giornalisti stranieri? Vallo a capire. Oltreché nazista, fascista e off-shore, dev’essere pure matto.

Il Fatto Quotidiano, 9 Marzo 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/09/penne-tricolori/525499/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Camere di sicurezza
Inserito da: Admin - Marzo 17, 2013, 05:41:09 pm
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Camere di sicurezza

di Marco Travaglio | 16 marzo 2013


Sta finendo tutto come ampiamente previsto: con le retate e i rastrellamenti. Come nel 1994. Si aprono le Camere e soprattutto le camere di sicurezza. Gli ex onorevoli De Gregorio, Cosentino, Tedesco e Nespoli, appena decaduti e dunque privi dell’immunità raggiungono le patrie galere, dove avrebbero dovuto soggiornare da anni se i partiti non li avessero protetti con scudi reciproci. Altri a breve li seguiranno, anche fra i neoeletti, perché in Parlamento, almeno sulla carta, non c’è più una maggioranza che possa permettersi i soliti giochetti. Il capogruppo di 5 Stelle al Senato, Vito Crimi, rispondendo l’altro giorno con aria serafica alla domanda di un giornalista, ha innescato una slavina che nemmeno lui probabilmente immaginava: ha detto che il suo gruppo, dopo aver contestato per anni la sindrome da immunodelinquenza acquisita delle Camere, è prontissimo a votare l’ineleggibilità di B., ineleggibile da 19 anni esatti, cioè da quando fu eletto la prima volta, dinanzi alla giunta per le elezioni di Palazzo Madama; ed è altrettanto pronto a votare sì a eventuali richieste di arresto nei suoi confronti.

A quel punto il Pd, reduce da un terrificante salasso di voti verso 5 Stelle, ha dovuto rispondere tramite il Migliavacca di turno che è pronto a fare altrettanto, onde evitare di regalare qualche altro milione di voti a Grillo. Il Migliavacca è lo stesso che ancora pochi mesi fa s’incontrava in gran segreto con Verdini al tavolo della legge elettorale, dunque è impossibile che sia rinsavito all’improvviso: semplicemente sente addosso il fiato della gente e reagisce di conseguenza. Per questo, oltreché per guadagnare qualche altro giorno prima delle sentenze del caso Mediaset e del caso Ruby, e – si capisce – per curare la gravissima forma di uveite bilaterale con scappellamento a destra che l’ha colpito da quando ha esaurito i legittimi impedimenti elettorali, il Cainano se ne sta asserragliato con gli occhiali scuri da visita fiscale in una stanza del San Raffaele, che è sempre meglio di San Vittore: perché non sa che pesci pigliare. I sempre geniali on. avv. Ghedini e Longo, dopo lunghe e meditate riflessioni, gli hanno partorito un’ideona mica da ridere: chiedere il trasloco dei processi da Milano a Brescia. La stessa baggianata che avevano sfoderato già dieci anni fa, con apposita legge Cirami incorporata, perché il Tribunale milanese non sarebbe sereno. Dieci anni fa c’erano i Girotondi. Ora c’è un’orda di parlamentari del Pdl, compresi gli stessi Ghedini e Longo, che marcia sul Tribunale medesimo infettandolo irreparabilmente di grave pregiudizio.

Possiamo facilmente immaginare l’accoglienza che avrà questa proposta indecente quando sarà esaminata dalla Corte d’appello e dalla Cassazione: una doppia pernacchia. Ma intanto si guadagnerà qualche settimana prima delle sentenze (che lui – conoscendosi – prevede di sicura condanna), in attesa di un qualcosa che nessuno, nemmeno loro, riesce a immaginare. Potrebbero travestirlo da marò e spedirlo in India: al confronto dei suoi reati, l’omicidio colposo di due pescatori è un divieto di sosta. O potrebbero offrire ai giudici 3 milioni a testa come a De Gregorio, col rischio però di regalargli un altro processo. Oppure potrebbero chiedere a Mancino di chiamare il Quirinale per mobilitare la Procura della Cassazione, sperando che s’inventi qualcosa. La via maestra, cioè la fuga all’estero sulle orme di Craxi, non viene proprio considerata: in un’intervista alla lingua di Giorgio Mulè per Panorama e Giornale, il Cainano definisce “inimmaginabile” l’opzione B (come Bettino): significherebbe “consegnarsi a una damnatio memoriae”. Che peraltro è la sua salvezza: se ci fosse un po’ di memoria, Napolitano non gli regalerebbe tanti moniti e lui non prenderebbe tanti voti.

Il Fatto Quotidiano, 16 marzo 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/16/camere-di-sicurezza/532893/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Quirinale 2013. Madonna Bonino
Inserito da: Admin - Aprile 11, 2013, 05:30:41 pm
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Quirinale 2013. Madonna Bonino

di Marco Travaglio | 10 aprile 2013


Quando ho scritto “Si fa presto a dire Bonino”, la sapevo apprezzata da molti italiani per le caratteristiche che illustravo nelle prime righe: donna, competente, onesta, impegnata per i diritti civili, umani e politici in tutto il mondo. Non la sospettavo, però, circondata di persone adoranti che la guardano con gli occhi che dovevano avere i pastorelli di Fatima davanti alla Madonna. A questi innamorati che non sentono ragioni, anzi preferiscono non conoscere o non ricordare le zone d’ombra (solo politiche, lo ripeto) della sua lunghissima carriera politica, non so che dire: al cuore non si comanda. Rispondo invece alle cortesi obiezioni del segretario radicale Mario Staderini, il quale – diversamente da me – la ritiene il presidente della Repubblica ideale. E, per nobilitarla e dipingerla come antropologicamente estranea al berlusconismo, cita alcuni suoi imbarazzanti avversari (Ferrara, Gasparri, Libero). Potrei rispondere che invece Mara Carfagna la vuole al Quirinale, ma preferisco concentrarmi sulla biografia della Bonino.

Chi auspica un Presidente estraneo alla casta, tipo Zagrebelsky, Settis, Gabanelli, Caselli, Guariniello, Strada e altri, non può certo sostenere la Bonino, 8 volte parlamentare italiana e 3 volte europea. I suoi amici la raffigurano come un’outsider estranea all’establishment. Che però non è d’accordo: altrimenti la Bonino non sarebbe stata invitata a una riunione del gruppo Bilderberg, o almeno non ci sarebbe andata. Sulla sua vicinanza, “fra alti e bassi”, al Polo berlusconiano dal 1994 (quando fu eletta con Forza Italia fino al ’96, senza dire una parola contro le prime violenze alla Giustizia e alla Costituzione) al 2006, ci sono tonnellate di articoli di giornale, lanci di agenzia, esternazioni, vertici, incontri, tavoli, inseguimenti, corteggiamenti, ammuine. Il tutto mentre il Caimano ne combinava di tutti i colori, nel silenzio-assenso della Bonino (che ancora nel 2004 veniva proposta da Pannella per un posto di ministro; e nel 2005 dichiarava: “Con Berlusconi abbiamo iniziato un lavoro molto serio… apprezziamo ciò che sta facendo come premier, ma la posizione degli alleati è nota”: insomma cercava disperatamente l’alleanza con lui, che alla fine la scaricò per non inimicarsi “gli alleati” e il Vaticano). Poi la Emma passò armi e bagagli col centrosinistra e cambiò musica. Un po’ tardi, a mio modesto avviso. Ma neppure in seguito, sulle questioni cruciali del berlusconismo (leggi vergogna, rapporti con la mafia, corruzioni, attacchi ai magistrati e alla Costituzione, conflitti d’interessi, editti bulgari e postbulgari), risulta un solo monosillabo della Bonino. Forse perché, pur con motivi molto diversi, sulla giustizia B&B hanno sempre convenuto: separazione delle carriere, abolizione dell’azione penale obbligatoria (altro che difesa della “Costituzione più bella del mondo”, caro Staderini), per non parlare dell’idea intimidatoria e pericolosa della responsabilità civile dei magistrati che non esiste in nessun’altra democrazia.

La corrispondenza di amorosi sensi con B. si estende al No radicale all’arresto di Cosentino perché “siamo contro l’immunità parlamentare, però esiste”. Al fastidio per i sindacati, definiti in blocco “barbari, oscurantisti e retrogradi” (Ansa, 22-1-2000). E alla lettura dell’inchiesta Mani Pulite come operazione politica filocomunista: per la Bonino le tangenti di Craxi furono solo “errori” e occorre “una rivisitazione seria di cosa è successo dal ’90 in poi: la mia analisi è che indubbiamente, soprattutto nel ’92, si è cercato di risolvere alcuni problemi politici per vie giudiziarie, un po’ orientate perchè poi se n’è salvato uno solo di partito” (Ansa, 19.11.99). Per non parlare dello scandalo delle frequenze negate per dieci anni a Europa7 per non disturbare Rete4 che le occupava abusivamente.

Il 1° aprile 2007, ministro delle Politiche europee del governo Prodi-2, la Bonino porta in Consiglio dei ministri tutte le sentenze della Corte di giustizia europea per darne finalmente attuazione. Tutte, tranne una: quella che dà ragione a Europa7 e torto al gruppo B. Una cronista le chiede il perché, e lei risponde che non c’è alcuna urgenza (in effetti Europa7 attende le frequenze negate solo dal 1999, quando vinse la concessione e Rete4 la perse).

C’è poi il bilancio di Commissario europeo dal 1994 al ’99 su nomina di B., quando, insieme a battaglie sacrosante, la Bonino sponsorizza i cibi Ogm senza etichettatura.E soprattutto sostiene l’insensata sospensione degli aiuti all’Afghanistan, dopo una sfortunata missione a Kabul in cui è stata fermata dalla polizia religiosa perché i suoi collaboratori fotografano e filmano il volto delle donne, in barba alla legge islamica. Durante la guerra in Afghanistan – da lei appoggiata come quelle nell’ex Jugoslavia e in Iraq (“Io credo che non ci fosse alternativa per sconvolgere la rete terroristica: se mandiamo il messaggio che dopo le torri di New York possono bombardare, senza colpo ferire, anche il Colosseo e la Torre Eiffel, non ci dà sicurezza”) – la Bonino si oppone alla sospensione dei bombardamenti proposta dall’Ulivo per aprire un corridoio umanitario agli aiuti ai profughi (“servirebbe solo ai talebani per riorganizzarsi”, Ansa 2-11-2001).

Nel 2007, poi, durante il sequestro Mastrogiacomo, non trova di meglio che prendersela con Gino Strada, accusandolo di trescare con i talebani col suo “atteggiamento ambiguo, tra l’umanitario e il politico, che si può prestare a qualunque illazione”, perché “scientemente o incoscientemente – che sarebbe ancora peggio – finisce per giocare un ruolo che è sempre un ruolo ambiguo, tra torturati e torturatori. Quando uno si mette a praticare una linea così ambigua, così poco limpida, si presta a qualunque gioco altrui. Nell’illusione di tirare lui le fila, finisce che il burattinaio non è lui” (Ansa, 9.4.2007). A proposito di ambiguità fra torturati e torturatori, ho cercato disperatamente nell’archivio Ansa una parola della Bonino su Abu Ghraib e su Guantanamo. Risultato: non pervenuta.

Il Fatto Quotidiano, 10 aprile 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/10/quirinale-2013-madonna-bonino/558444/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - E B. diventò un 'bugiardo sincero'
Inserito da: Admin - Maggio 24, 2013, 04:32:14 pm
E B. diventò un 'bugiardo sincero'

di Marco Travaglio

Grazie al Pd, il leader del centrodestra sta completando la sua trasformazione, riuscendo a realizzare le impossibili sparate elettorali. Un altro esempio di come l'inciucio sia a tutto suo vantaggio

(15 maggio 2013)

Montanelli lo definiva «un bugiardo sincero», ma solo nel senso che «mente così bene da finire col credere alle sue stesse bugie». Ora Berlusconi rischia di diventare un bugiardo sincero anche nel senso che le sue menzogne riesce persino a realizzarle. Non è un paradosso, è peggio. In campagna elettorale molti, lui compreso, sapevano benissimo che la sua promessa di abolire l'Imu per il futuro e di restituire quella già pagata era totalmente assurda: sia perché manca la copertura finanziaria, sia perché la tassa sulla casa, almeno per i redditi medio-alti, è un'equa patrimoniale, un buon inizio di federalismo fiscale e un ottimo antidoto all'evasione di massa (i fabbricati sono l'unico bene impossibile da nascondere).

Ma su quella promessa il Caimano ha costruito la sua piccola rimonta alle elezioni (il grosso, com'è noto, l'ha fatto la decrescita infelice del centrosinistra). E su quella promessa costruisce la sua prossima campagna elettorale, dove il politico più bugiardo di tutti i tempi si presenterà come un uomo di parola, mentre gli altri faranno la figura dei bugiardi voltagabbana (a parte Grillo, fin troppo ligio agli impegni elettorali). Monti s'era impegnato a non candidarsi e s'è candidato. Napolitano aveva giurato di non farsi rieleggere e s'è fatto rieleggere. Il Pd aveva strillato "mai con Berlusconi" e poi con Berlusconi s'è accordato sul Quirinale e sul governo. Invece il Cavaliere, sapendo di perdere, aveva chiesto la grande coalizione col Pd e l'abrogazione dell'Imu: ha ottenuto la prima e otterrà almeno in parte la seconda. E se l'otterrà solo in parte, potrà usare la vittoria mutilata come pretesto per rovesciare il governo contro la solita "sinistra delle tasse": cioè senza pagare pegno, anzi lucrando voti. Intanto il governo Letta si sarà tarpato le alucce, sperperando miliardi inutili per inseguire le mattane del Caimano e precludendosi la possibilità di alleggerire il peso del fisco in settori ben più cruciali (tipo il lavoro). Così l'inciucio si rivela ancora una volta - come sempre, in questi vent'anni - asimmetrico e sbilanciato pro Berlusconi. Lui ci guadagna, gli altri ci rimettono. Nel "do ut des", il "do" del Pd al Pdl si vede benissimo, mentre si stenta ad afferrare l'"ut des" del Pdl al Pd.

In attesa di stabilire se il Cavaliere sia il politico più abile del ventennio o i leader del centrosinistra i più stupidi (o ricattabili) del millennio, nessuno considera l'abissale differenza dei due elettorati. Quello del Pdl, almeno nel suo zoccolo duro, è uguale al suo signore e padrone e lo segue ciecamente ovunque vada: sia se va alla guerra contro il centrosinistra, sia se ci va al governo. Quello del Pd è molto meglio dei suoi dirigenti e, quando se ne sente tradito, cioè quasi sempre, reagisce. Perciò ora il Pdl, che aveva straperso le elezioni, arrivando terzo dietro Pd e M5S e smarrendo per strada 6,5 milioni di elettori, cresce nei sondaggi. Il Pd, che di voti ne aveva persi la metà ed era arrivato primo, è in caduta libera. Eppure si è pappato le prime quattro cariche dello Stato e al Pdl ha lasciato le poltrone di vicepremier e ministro dell'Interno per l'imbarazzante Alfano e un pugno di dicasteri. Il che consentirà a Berlusconi di presentarsi, quando vorrà, agli elettori travestito da statista che non bada alle cadreghe. E nessuno (almeno si spera) oserà più contestargli il conflitto d'interessi, visto che se c'è una certezza in questa legislatura è che una legge in materia il Pd non oserà neanche proporla, né tantomeno votare per l'ineleggibilità dell'ineleggibile.

Poi c'è la ciliegina sulla torta. Nel governo il Pdl non ha infilato neppure un indagato, mentre il Pd ha piazzato due imputati: Filippo Bubbico, rinviato a giudizio per abuso d'ufficio, e Vincenzo De Luca, che vanta tre processi in corso (truffa e falso peculato; associazione a delinquere e concussione), una condanna poi prescritta per reati contro l'ambiente e un'indagine per falso ideologico e abuso d'ufficio. Così, quando torneremo a votare, il Pd non potrà più nominare la questione morale: anche quella gliela scipperà Berlusconi. Bugiardo sincero e disonesto onesto, per grazia ricevuta.


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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Che idiozia 'la guerra dei 20 anni'
Inserito da: Admin - Maggio 24, 2013, 04:33:14 pm
Che idiozia 'la guerra dei 20 anni'

di Marco Travaglio

Politici e intellettuali fanno a gara nello spiegarci che in Italia c'erano due fronti armati l'uno contro l'altro e ora c'è bisogno di pacificazione. Invece c'è stato solo un imputato che ha usato la politica per non farsi giudicare

(20 maggio 2013)

Va di moda la scemenza della "guerra dei vent'anni", una lunga "guerra civile" combattuta fra berlusconiani e antiberlusconiani (che curiosamente le han date tutte vinte a Berlusconi) e chiusa dal provvidenziale governo Letta.

Dalla scemenza principale discendono poi altre bizzarrie. Urge la «provvisoria e parziale messa tra parentesi del conflitto alla luce di un interesse superiore» (Michele Salvati, "Corriere"). La sinistra «recuperi l'identità smarrita nella confusione dell'antiberlusconismo viscerale, cioè della contrapposizione alla persone dell'avversario più che alla visione del mondo di cui lo stesso era (sic, ndr.) portatore» (Giovanni Pellegrino, "l'Unità"). «Non si misura su Berlusconi la nostra identità» (Emanuele Macaluso, "l'Unità"). «Tutti dovremmo imparare ad abbassare la voce, a rispettare gli avversari, a guardare in faccia la realtà di un Paese che, nella maggioranza della sua opinione pubblica, è stanco della politica urlata e concepita come scontro continuo» (Giovanni Belardelli, "Corriere").

Queste e altre lezioncine terziste dimostrano una sola cosa: a vent'anni dalla sua discesa in campo, gran parte degli intellettuali italiani continuano a far finta di non sapere chi è Berlusconi. E così i presunti belligeranti del Pd. Il giorno della condanna in appello del Cavaliere a 4 anni per frode fiscale, il viceministro Bubbico dichiarava che la sentenza «finché non diventa definitiva è nulla».

In realtà quello di appello è l'ultimo giudizio di merito e ha stabilito che la vittima della guerra civile è tecnicamente un delinquente, avendo mostrato «particolare capacità di delinquere nell'architettare» e «ideare una scientifica e sistematica evasione fiscale di portata eccezionale» che gli ha procurato «un'immensa disponibilità economica all'estero, ai danni non solo dello Stato, ma anche di Mediaset e, in termini di concorrenza sleale, delle altre società del settore».
Ora la Cassazione dirà se i giudici d'appello hanno rispettato il diritto. Ma i fatti sono definitivamente cristallizzati. Così come in un'infinità di altri processi, chiusi per amnistia o prescrizione (previo accertamento di colpevolezza), oppure per non doversi (anzi potersi) procedere perché «il fatto non è più previsto dalla legge come reato», essendo stato depenalizzato dall'imputato.

Nel caso Guardia di Finanza la Cassazione ha stabilito che la Fininvest pagò tre mazzette per addomesticare verifiche fiscali: non si sa se ad autorizzarle fu Paolo o Silvio Berlusconi (assolti), ma si sa chi le pagò (Salvatore Sciascia, condannato e promosso senatore) e chi depistò le indagini (Massimo Berruti, condannato e promosso deputato). Al processo Mondadori la Cassazione ha stabilito che la Fininvest corruppe il giudice Metta tramite gli avvocati Previti, Pacifico e Acampora (condannati), nell'interesse e con soldi di Berlusconi (prescritto). Al processo Mills la prescrizione gli ha risparmiato la condanna per aver corrotto con 400 mila dollari il teste inglese in cambio del suo silenzio.

Al processo All Iberian la Cassazione ha stabilito che Berlusconi finanziò illegalmente Craxi con 21 miliardi di lire (condannati in primo grado, i due compari si salvarono poi per prescrizione). Al processo sul consolidato Fininvest, la prescrizione tagliata dalla sua controriforma l'ha miracolato dal reato documentato di aver falsificato i bilanci per occultare ben 1.550 miliardi di lire su 64 offshore. Stessa scena per i bilanci falsi del Milan nell'acquisto di Lentini. L'amnistia del 1990 gli ha risparmiato due sicure condanne per falsa testimonianza sulla P2 e falso in bilancio sui terreni di Macherio.

Dunque, senz'attendere i giudizi di primo grado su Ruby, d'appello sulla divulgazione del nastro Fassino-Consorte e di Cassazione sui diritti tv, si può già affermare senza tema di smentite che Berlusconi è uno spergiuro, pluricorruttore, multifalsario di bilanci ed evasore. Ora rileggete le frasi all'inizio di quest'articolo e vedete se riuscite a restare seri.

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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Pd, metodo Jolie
Inserito da: Admin - Maggio 27, 2013, 04:48:29 pm
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Pd, metodo Jolie

di Marco Travaglio | 25 maggio 2013


L’altra sera, ascoltando le parole di Walter Veltroni a Servizio Pubblico sulla trattativa e su B. e i silenzi del Pd sulle sentenze della Corte d’appello di Milano sui diritti Mediaset e della Cassazione sul no al trasloco dei processi a Brescia, mi ronzava in testa una domanda: ma cosa potrà mai dire il Pd, casomai esista ancora, quando si tornerà a votare?

Non potrà criticare il governo precedente: è presieduto dal suo Letta. Non potrà attaccare B.: è suo alleato. Non potrà neppure sfiorare il conflitto d’interessi: anche stavolta non ha neppure provato a risolverlo per legge, anzi si accinge a calpestare per la sesta volta la 361/1957. Non potrà promettere norme più severe contro le tangenti: l’unica legge che ha contribuito a partorire in vent’anni è quella che ha ridotto le pene e la prescrizione della concussione per induzione, salvando Penati e risparmiando a B. guai peggiori nel processo Ruby.

Non potrà nemmeno impegnarsi a combattere l’evasione, il riciclaggio e la criminalità organizzata: anche su questi tre fronti – cruciali non solo per la legalità, ma anche per il recupero di enormi bottini – l’alleanza Pd-Pdl non produrrà nulla di nulla. Non potrà rivendicare la “questione morale”, dopo aver mandato al governo due imputati come De Luca e Bubbico (mentre il Pd indicava miracolosamente solo ministri intonsi da processi ), votato l’imputato Formigoni a presidente della commissione Agricoltura e garantito l’elezione di Nitto Palma al vertice della commissione Giustizia, onde evitare visite notturne del fantasma incazzatissimo di Enrico Berlinguer.

Anche le parole “mafia” e “P2” saranno ovviamente proibite, dopo la festosa alleanza col partito fondato da Dell’Utri; dopo la difesa degli imputati Conso e Mancino accusati di falsa testimonianza sulla trattativa e dei maneggi di Napolitano contro le indagini; e dopo l’elezione del piduista Cicchitto al vertice della commissione Esteri per migliorare le esportazioni. Bandita anche la parola “ambiente”, impronunciabile dopo le battaglie campali in difesa dei Riva e di quella cloaca che è l’Ilva. Insomma quasi tutte le battaglie tipiche della sinistra italiana, che aveva avuto la fortuna di poterle combattere per decenni in esclusiva, almeno a parole, grazie a una destra impresentabile, le saranno precluse per motivi di decenza.

Dunque alle prossime elezioni, che si terranno quando B. deciderà che gli conviene staccare la spina al governo, avremo una sinistra afasica, o meglio ancor più afasica di sempre, che non potrà dire nulla perché non avrà nulla da dire e regalerà a Grillo tutte le sue parole d’ordine storiche. Dall’altra parte imperverserà B., loquacissimo contro “la sinistra delle tasse”: anche perché in autunno cadrà la maschera dell’Imu e si capirà che l’annunciata (molto incautamente) abrogazione dell’imposta sulla prima casa era solo un ridicolo rinvio di pochi mesi.

E tutto ciò non accadrà a sorpresa, ma in seguito a precise scelte politiche che Veltroni l’altra sera, a parte alcuni vuoti mnemonici davvero allarmanti, ha avuto il merito di illustrare e rivendicare: “Siamo andati al governo con B. perché l’alternativa era tornare al voto e far vincere B.”; “Votando l’ineleggibilità di B. alimenteremmo l’antiberlusconismo di cui B. da sempre si nutre per vincere”. A parte il fatto che, se B. fosse dichiarato ineleggibile, non potrebbe vincere, resta da capire perché mai B. abbia vinto per vent’anni contro un centrosinistra che meno antiberlusconiano non si poteva.

Ma è probabile che il Pd abbia scelto il metodo Angelina Jolie che, temendo un tumore ai seni, se li è fatti asportare. Siccome B. potrebbe andare al governo dopo le prossime elezioni, tanto vale portarcelo subito noi. E siccome alle prossime elezioni potremmo perdere i nostri elettori rimasti, li mettiamo in fuga subito e ci leviamo il pensiero. Come quel tale che, temendo di diventare impotente, si evirò. Furbo, lui.

il Fatto Quotidiano, 25 maggio 2013

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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Per salvare B. faranno l'amnistia .
Inserito da: Admin - Giugno 07, 2013, 07:11:50 pm
Opinione

Per salvare B. faranno l'amnistia

di Marco Travaglio

Il Cavaliere rischia la condanna definitiva e l'interdizione dai pubblici uffici. Con conseguenze pesanti per il governo delle 'larghe intese'.
Ecco perché, zitti zitti, si preparano a usare l'arma finale

(04 giugno 2013)

L'11 aprile Ignazio La Russa, che ogni tanto confessa, disse con l'aria di scherzare: «Il prossimo capo dello Stato sarà una donna: si chiama Salva di nome e Condotto di cognome». Pensava alla ministra della Giustizia uscente Severino, che già aveva ben meritato agli occhi di Berlusconi tagliando pene e prescrizione della concussione e dicendosi favorevole all'amnistia. Poi invece restò Napolitano che il 7 febbraio disse: «Se mi fosse toccato mettere una firma sull'amnistia, l'avrei fatto non una, ma dieci volte».

Comunque la battutaccia di La Russa piacque molto al Cavaliere, che promosse l'amico ?Gnazio a presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, ora chiamata a decidere su cinque suoi processi per diffamazione e cause per danni. Ma nulla può contro l'eventuale condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale nel processo Mediaset, con automatica interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Nel qual caso il condannato dovrebbe lasciare il Parlamento entro un anno, rinunciare a candidarsi alle prossime elezioni e trascorrere 12 mesi agli arresti domiciliari (gli altri tre anni sono condonati dall'indulto del 2006, che però salterebbe in caso di nuova condanna al processo Ruby).

Eppure dal Pdl e dal Pd si continua a ripetere che una condanna non avrebbe effetti sul governo. Assurdità allo stato puro, visto che difficilmente il centrodestra terrebbe ferme le mani mentre il suo leader viene defenestrato dal Senato e accompagnato dai carabinieri a scontare la pena a domicilio.

Ma, se tutti ostentano sicurezza, significa che nei protocolli segreti dell'inciucio sul governo Letta è previsto un salvacondotto. Già, ma quale? Si è parlato della nomina di Berlusconi, magari in tandem con Prodi, a senatore a vita. Sarebbe uno scandalo: il laticlavio è previsto dalla Costituzione per chi ha "illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario".


Ma soprattutto non sarebbe un salvacondotto: i senatori a vita, se condannati, scontano le pene detentive e accessorie come i comuni mortali. I falchi del Pdl ogni tanto minacciano una norma che cancelli le pene accessorie, ma difficilmente passerebbe: anche Pietro Maso, ora che ha scontato la pena, potrebbe candidarsi a un ufficio pubblico. E il Pd, votando una legge ad personam per il Caimano dopo averlo riportato al governo, perderebbe pure i pochi elettori rimasti. Anche la grazia, nonostante la manica larga con cui Napolitano la elargisce, sarebbe improponibile: per la Consulta è un "provvedimento umanitario" per lenire una pena detentiva oltremodo sofferta; e in base all'ex Cirielli il Cavaliere, avendo più di 70 anni, le galere non può vederle neppure in cartolina.

L'unico salvacondotto in grado di risparmiare a lui l'interdizione e al governo Letta la morte prematura è l'amnistia. Anche se nessuno ha il coraggio di nominarla, anzi proprio per questo. La guardasigilli Cancellieri insiste ogni due per tre sull'"emergenza carceri". Specie dopo che l'ha citata un Berlusconi sull'orlo delle lacrime in un passaggio ignorato da tutti del comizio anti-pm a Brescia. Siccome l'uomo non è un apostolo degli ultimi e dei diseredati, è probabile che l'improvvisa commozione non riguardasse tanto gli attuali detenuti, quanto quelli futuri. Soprattutto uno: lui. Del resto, nei dati sulla popolazione carceraria, non risulta mezzo evasore fiscale.

Dunque prepariamoci alle prossime mosse: qualche rivolta di detenuti nei mesi estivi; campagne "garantiste" contro il sovraffollamento sugli house organ di destra, seguiti a ruota dai finti ingenui di sinistra; i soliti moniti del Colle; le consuete giaculatorie cardinalizie. Poi, come per l'indulto bipartisan del 2006, una bella amnistia urbi et orbi, estesa ai reati dei colletti bianchi e alle pene accessorie. Così migliaia di detenuti usciranno per qualche mese (poi le celle torneranno a riempirsi: i delinquenti sono tanti e, per chi non lo è, nessuno ha interesse a cambiare le leggi che producono troppi reclusi). E uno non uscirà dal Parlamento: lui.

   
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Anche tra gli evasori ci sono buoni e cattivi
Inserito da: Admin - Giugno 19, 2013, 11:57:58 am
Anche tra gli evasori ci sono buoni e cattivi

di Marco Travaglio

A condannarci alla recessione perpetua sono le somme sottratte al fisco, soprattutto dai grandi gruppi. Che, quando vengono scoperti e condannati, trovano persino dei paladini. Come insegna il caso Dolce & Gabbana

(07 giugno 2013)

Mentre il governo cerca una manciata di miliardi per abolire l'Imu sulla prima casa, rifinanziare la Cassa integrazione e magari non aumentare l'Iva, l'Agenzia delle Entrate farebbe cosa buona e giusta pubblicando la somma delle imposte evase dai grandi gruppi imprenditoriali e bancari negli ultimi anni. L'anno scorso "l'Espresso" calcolò che le principali banche (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Montepaschi giù giù fino all'Italease) si erano scordate di versare tributi per un totale di 5 miliardi. Sommando poi le evasioni ed elusioni contestate agli Agnelli, a Berlusconi, a Passera, a Profumo, a Del Vecchio, a Briatore, a Mediolanum, a Bell, a Telecom Sparkle, a Bulgari, a Marzotto, a Brachetti Peretti, ai Riva, a Dolce & Gabbana e così via, i miliardi superano i 10. Che cosa ci condanna, dunque, alla recessione perpetua? Non la Costituzione da cambiare, ma un sistema che condanna i poveri e gli onesti (che non sempre, ma spesso coincidono) a mantenere i ricchi e i ladri (che non sempre, ma spesso coincidono).

Un sistema che non potrà essere nemmeno sfiorato dal governo di larghe intese con Berlusconi, appena condannato in appello a 4 anni nel processo Mediaset per una frode fiscale di 7 milioni di euro che in origine - prima di venire decimati dalla prescrizione abbreviata da varie leggi ad personam - erano 368 milioni di dollari. Nella sentenza i giudici ricordano le decine di società offshore create dall'avvocato Mills per il Cavaliere, servite a occultare fondi neri per 1.500 miliardi di lire, tutti prescritti dalla controriforma del falso in bilancio fatta dall'imputato medesimo. Le motivazioni del verdetto Mediaset (l'ultimo di merito: la Cassazione ne valuterà solo la correttezza formale) avrebbero dovuto scatenare un aspro dibattito nella politica e sui media: può un colossale evasore sedere a capotavola nella maggioranza di governo? In Francia s'è appena dimesso il ministro del Bilancio perché aveva un conto in Svizzera (uno, non decine). Invece in Italia - primatista europea dell'evasione (180 miliardi su mille) - tutti zitti. Come se questa fosse un'afflizioncella passeggera e non la prima causa della crescita sottozero.

I pm e l'Agenzia delle Entrate , nonostante un diritto penale tributario scritto su misura per gli evasori, continuano a scoprire e a processare i ladri di tasse. Ma in un isolamento politico, mediatico e culturale spaventoso. Nessuna reazione neppure alla scoperta che i Riva, oltre a devastare con l'Ilva l'ambiente a Taranto, avrebbero evaso 1,2 miliardi sbiancandoli poi con lo scudo fiscale Berlusconi-Tremonti ma lasciandoli all'estero (si può fare anche questo). Qualche sussulto ha suscitato il processo d'appello a Dolce & Gabbana, che la Procura di Milano ha chiesto di condannare a 2 anni e mezzo per un'evasione di 1 miliardo. Ma non per isolarli dal consesso civile in caso di condanna, come fanno i paesi che l'evasione la combattono: per elogiarli.

Ha provveduto quel gran genio di Nicola Porro, vicedirettore del "Giornale" e conduttore di La7 in procinto di passare a Rai2 con un programma tutto suo. A suo avviso, i due stilisti sarebbero perseguitati dai pm perché «ricchi e bravi», perché «ce l'hanno fatta». E i pm, si sa, sono invidiosi. Mica come in America: lì sì che gli evasori «sanno difenderli». Infatti li buttano in galera e gettano la chiave. Ma Porro non lo sa, e fa anche degli esempi: «Negli ultimi quattro anni la Apple ha fatto 74 miliardi di utili e ha pagato tasse per 44 milioni, meno del 3 per cento, grazie alle sue strutture irlandesi». Ne avesse azzeccata una: i 74 miliardi non sono l'utile, ma l'evasione contestata alla Apple dal Congresso Usa sugli ultimi quattro anni. Sfortuna poi ha voluto che lo stesso "Giornale" dello stesso giorno, due pagine prima dell'inno di Porro a Dolce & Gabbana, plaudisse all'arresto di Massimo Ciancimino per una sospetta evasione di 30 milioni (un decimo di Berlusconi, un trentesimo di Dolce & Gabbana). E' l'unico presunto evasore italiano finito in manette a memoria d'uomo. Ma da qualcuno bisognava pur cominciare. E finire.

 
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Titolo: Marco TRAVAGLIO - La spia della Cia difende la Cia
Inserito da: Admin - Giugno 26, 2013, 05:35:37 pm
Opinione

La spia della Cia difende la Cia

di Marco Travaglio

Dopo aver strillato per anni che «l'Italia è il Paese più intercettato del mondo», Giuliano Ferrara si schiera dalla parte dell'agenzia Usa che metteva il naso nelle mail e nelle telefonate di milioni di persone. E con lui, un'intera schiera di doppiopesisti

(21 giugno 2013)

Da una decina d'anni i meglio berlusconiani del bigoncio (compresi quelli travestiti da terzisti e da progressisti) ci rompono i timpani, e non solo quelli, con la leggenda dell'Italia "paese più intercettato del mondo". Nel 2009 Alfano dichiarò alla Camera: «Secondo un mio calcolo empirico e non scientifico (sic, ndr.), è probabilmente intercettata una grandissima parte del Paese: nel 2007, ben 124.845 persone. Ma poi ciascuna fa o riceve in media 30 telefonate al giorno. Così si arriva a 3 milioni di intercettazioni».

Il poveretto confondeva il numero dei bersagli (non più di 10 mila persone all'anno) con quello delle loro utenze e dei loro interlocutori, e sommava le proroghe dello stesso decreto d'ascolto (che dura 20 giorni ed è reiterabile fino a 2 anni). «Oltre 100 mila persone l'anno intercettate in Italia», aggiunse l'Alfano, «contro 1.700 negli Usa, 1.300 in Svizzera, 5.500 in Gran Bretagna».

Altra scemenza sesquipedale: in Italia le intercettazioni legali sono solo quelle giudiziarie (in presenza di indizi di reato), mentre negli altri paesi la gran parte è opera di polizie o servizi e sfugge alle statistiche ufficiali. Ora, con lo scandalo Datagate che terremota la Casa Bianca e il Congresso, casca l'asino: milioni di americani (e non solo) intercettati senza essere sospettati di nulla con la scusa della lotta al terrorismo. Dunque che gli italiani sono stati presi per i fondelli per anni da politici e commentatori al seguito.

Ma gli asini non ci cascano: nessuno ammette le bugie né chiede scusa. Tacciono Ostellino, Panebianco, Galli della Loggia e Polito, eterne vestali della privacy violata e del "modello Usa" dove, com'è noto, non s'intercetta quasi nessuno. «Siamo il Paese più intercettato del mondo occidentale», scriveva Panebianco in pieno scandalo furbetti&scalate: «Uno degli aspetti più illiberali (e disgustosi) della nostra vita pubblica. L'intercettazione, che dovrebbe essere uno strumento eccezionale da usare con la massima parsimonia (accade così nei Paesi di vera e antica libertà), è diventata in Italia l'abusatissimo condimento di quasi ogni inchiesta». Colpa di certi pm da "Paese autoritario".

Ora, escludendo che gli Usa rientrino nel novero delle tirannidi, sarebbe interessante conoscere l'illuminato parere del Panebianco, ma sul Datagate purtroppo ha perso la favella. "Tutti gli italiani sono intercettati", titolò a tutta prima pagina "il Giornale". Ora, sul caso Usa, ironizza: "Ossessione privacy". Ma il più accaldato cultore del genere è sempre stato Giuliano Ferrara.

Da quando il padrone è nei guai con la giustizia, cioè da sempre, ci spiega sul "Foglio" che siamo uno Stato di polizia, «il Paese più intercettato del mondo», la culla delle «intercettazioni a raggiera, a pioggia, a strascico, a grappolo», «limitazione grave della libertà civile», perché «in uno Stato di diritto impicciarsi delle vite degli altri è l'eccezione motivata alla regola, non il metodo investigativo esteso a tutti gli indagati e i reati come in uno Stato di polizia»: «il principio di base della giustizia è che s'indaga su notizie di reato» e «responsabilità personali», mentre il motto dei nostri pm è «intercettate, origliate, spiate: qualcosa resterà».

Figurarsi che cosa dovrebbe scrivere delle spiate americane senza indizi di reato, per vedere se Tizio non sia per caso un terrorista. Altro che strascico, grappolo, raggiera, pioggia. Invece, sorpresa: per Ferrara sono «intercettazioni e origliamenti virtuosi». E perché mai? Perché «da noi si intercetta per ordine delle procure e col vaglio dei giudici», mentre «il Congresso Usa è stato messo al corrente della legge di spionaggio interno» e «la sovranità popolare» è salva.

Il "garantista" Ferrara ribalta i principi del garantismo: meglio essere intercettati aumma aumma, senz'alcun controllo imparziale, da una polizia attivata dal potere politico, che da un giudice terzo con le garanzie dello Stato di diritto. Anni fa Ferrara confessò di essere stato una spia della Cia, ma questo ovviamente è solo un dettaglio.

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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Stato-mafia, è partita la carica
Inserito da: Admin - Luglio 05, 2013, 11:54:24 am
Opinione

Stato-mafia, è partita la carica

di Marco Travaglio

Dall'Unità a Libero, dal Corriere al Foglio, è un gigantesco fiorire di balle a sostegno del generale Mori, a processo per la mancata cattura di Provenzano.

Il motivo? Questo processo ne influenzerà un altro, molto più importante

(27 giugno 2013)

Entro fine luglio, con la sentenza di primo grado a Palermo sulla mancata cattura di Provenzano nel 1995 da parte del Ros, sapremo se per il Tribunale il generale Mario Mori favorì il boss in seguito alla trattativa avviata nel '92 tramite Vito Ciancimino. Il pm Nino Di Matteo ha chiesto la sua condanna a nove anni. E la sentenza, sia pur circoscritta a quel singolo episodio, influenzerà il processo appena iniziato contro cinque esponenti dello Stato e cinque di Cosa Nostra accusati di aver ricattato i governi Amato, Ciampi e Berlusconi-1 perché spuntassero le armi dell'antimafia in cambio della fine delle stragi.

LA POSTA IN PALIO insomma è enorme. Come dimostra l'intensificarsi del bombardamento di bugie sui due processi. In perfetto clima di larghe intese, i siluri sono rigorosamente bipartisan. Sull'"Unità" li sganciano Giovanni Pellegrino e Pino Arlacchi. Sul "Foglio" si scatenano nell'ordine: Giuliano Ferrara, Claudio Cerasa, Massimo Bordin, il giurista progressista Giovanni Fiandaca (con un saggio dal titolo metagiuridico "La trattativa è una boiata pazzesca") e il neo-deputato renziano Alfredo Bazoli. Il quale sente il bisogno di assolvere in blocco gli imputati della trattativa con tre decisive prove della loro innocenza: lo dice Fiandaca, lo dice Macaluso e sappiamo com'è finito il processo Andreotti (lui però non lo sa: la Cassazione accertò che il senatore era colpevole di associazione a delinquere con la mafia "fino alla primavera 1980", reato "commesso" ma prescritto).

Un genio, questo Bazoli: farà strada. L'indomani, sempre sul "Foglio", il testimone passa a Emanuele Macaluso, che taglia e incolla la memoria difensiva del generale Mori. E, incurante del fatto che in Italia l'imputato ha il diritto di mentire, mentre il pm ha il dovere di cercare la verità, prende tutto per oro colato. Ricorda il "depistaggio, ai fini della cattura di Provenzano, compiuto dai sottufficiali Giuseppe Ciuro e Giorgio Riolo. Il primo distaccato presso l'ufficio del dott. Ingroia e l'altro... alla sezione palermitana del Ros, arrestati e condannati per concorso esterno... In una "Memoria" della procura di Palermo del 2004 si legge che il noto mafioso Aiello, Ciuro e Riolo "da molti anni" fornivano "notizie segrete e rivelazioni sulle indagini del Ros per la cattura di Provenzano e Messina Denaro... Quindi Di Matteo, ora principale accusatore di Mori e Obinu, sapeva e scriveva che Provenzano non veniva catturato perché uno stretto collaboratore di Ingroia lo informava di tutte le mosse di Ros e pm". Inoltre, nell'indagine "Grande Mandamento" del 2005 su alcuni favoreggiatori di Provenzano, Di Matteo "esalta le indagini della Squadra Mobile e dei Ros". E allora- domanda Macaluso, subito ripreso da "Libero" e "Corriere" - se il Ros cercava indefessamente Provenzano, salvato però dal maresciallo di Ingroia, perché prendersela col povero Mori? Se questi presunti esperti controllassero almeno le date, eviterebbero qualche figuraccia inutile. Il favoreggiamento a Provenzano contestato a Mori riguarda il biennio 1995-96: che c'entrano Ciuro e Riolo, arrestati nel 2003 per fatti del 2002-2003, quando Mori aveva lasciato il Ros da 4 anni? Ciuro poi, finanziere in servizio presso Ingroia, non fu condannato per concorso esterno, ma per favoreggiamento semplice al costruttore Aiello (che non era un "noto mafioso", ma un incensurato, poi condannato per concorso esterno): per fughe di notizie non sulle ricerche di Provenzano, ma sulle indagini su Aiello.

RIOLO INVECE FU condannato per concorso esterno e, lui sì, svelava notizie sulle indagini del Ros (di cui faceva parte) su Provenzano: ma quando al vertice del Ros non c'era più Mori. E' lo stesso Ros rinnovato e de-morizzato che nel 2005 Di Matteo elogia per l'indagine "Grande Mandamento". La miglior prova che la Procura di Palermo non guarda in faccia nessuno: incrimina e fa processare chiunque favorisca i mafiosi. E non perseguita nessuno: se il Ros lavora bene, lo elogia; se non cattura i latitanti, lo incrimina. Spiace per i pur generosi Macaluso & C., finiti un'altra volta come i pifferi di montagna: andarono per suonare e finirono suonati.

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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/stato-mafia-e-partita-la-carica/2210011/18


Titolo: Marco TRAVAGLIO -
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2013, 10:29:13 am
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Evasione fiscale, Letta dura senza paura

di Marco Travaglio | 27 luglio 2013

Brrr che paura: Enrico Letta minaccia lotta dura senza paura, “con forza e determinazione”, contro l’evasione fiscale: “Gli italiani che hanno portato i soldi fuori dall’Italia devono sapere che non è più come 5 o 10 anni fa: conviene anche a loro riportare i soldi in Italia e pagare il dovuto”. E questo perché “il clima è cambiato” e “non ci sono più le coperture di qualche anno fa”. Quindi gli evasori verranno inseguiti e catturati ovunque siano, “nei paradisi fiscali o in Svizzera”.

Non è meraviglioso? Il clima è talmente cambiato che B., dopo aver perso le elezioni, è di nuovo al governo. Pare incredibile, ma ha lo stesso nome e lo stesso cognome di quello che nel 2001, nel 2003 e nel 2009 varò tre scudi fiscali per consentire a chi aveva portato i soldi fuori di rimpatriarli clandestinamente, anonimamente, impunemente e pressoché gratuitamente (il terzo scudo passò anche grazie alle assenze di 59 deputati Pd).

Anche il presidente della Repubblica è cambiato, anche se per un’altra curiosa combinazione si chiama esattamente come quello che promulgò il terzo scudo e, quando un cittadino lo fermò per la strada e gli domandò il perché di quella firma vergognosa, lo redarguì severamente.

C’è poi un’ultima, prodigiosa coincidenza: un certo S. B. fra quattro giorni comparirà al processo Mediaset in Cassazione dopo la condanna in primo e secondo grado a 4 anni per frode fiscale. I giudici d’appello hanno sottolineato il suo indefesso impegno antievasione: “Con una strategia originata in anni in cui Silvio Berlusconi era incontestabilmente il gestore diretto di tutte le attività, il gruppo Fininvest, e più precisamente il suo fondatore e dominus, con l’aiuto dell’avvocato Mills ha costituito una galassia di società estere, alcune delle quali occulte, che occulte dovevano restare, tanto da corrompere la Guardia di Finanza che rischiava di scoprirle. Anche perché parte di tali fondi era utilizzata per scopi illeciti: dal finanziamento occulto di uomini politici alla corruzione di inquirenti, dalla corresponsione di somme a testi reticenti alla elusione della normativa italiana (specie della legge Mammì che dettava limiti al possesso di reti tv)”.

In quel sistema, “interponendo fra le major statunitensi e il gruppo Fininvest-Mediaset una serie di società estere che operavano adeguati ricarichi nella compravendita dei diritti” tv, furono “creati costi fittizi destinati a diminuire gli utili del gruppo e quindi le imposte da versare all’erario”. E dire che quei diritti “Mediaset avrebbe potuto averli al costo a cui le majors li vendevano”: invece B. mise in mezzo una miriade di intermediari “vicini, anche personalmente, al proprietario della società, Berlusconi”.

Risultato: i diritti tv “pervenivano a Mediaset con un differenziale di prezzo altissimo e del tutto ingiustificato, in una operatività proseguita per anni, sempre a opera degli stessi uomini che sempre avevano mantenuto la fiducia del proprietario”. Niente attenuanti generiche per B., colpevole di “un sistema di società e conti esteri portato avanti per molti anni, proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti, e condotto in posizione di assoluto vertice”. La condanna riguarda 7,3 milioni di euro, ma solo perché il grosso delle accuse s’è prescritto grazie a leggi fatte dallo stesso imputato (falso in bilancio e Cirielli): il totale delle “maggiorazioni di costo” è di “368 milioni di dollari”.

Quando il Letta nipote ha ammonito “gli italiani che han portato i soldi fuori dall’Italia”, a B. devono essere fischiate le orecchie. Qualcuno ha addirittura temuto un duro attacco del premier al principale di suo zio. Ma è stato un attimo: poi Fassina ha spiegato che “esiste un’evasione di sopravvivenza”, dettata da “ragioni profonde e strutturali che spingono molti soggetti a comportamenti di cui farebbero volentieri a meno”.

Ecco, risolto il problema: B. evadeva per sopravvivere. E Fassina spara cazzate per lo stesso motivo. Che s’ha da fa’, pe’ campa’.

Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2013

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Evasione fiscale, Letta dura senza paura

di Marco Travaglio | 27 luglio 2013


Brrr che paura: Enrico Letta minaccia lotta dura senza paura, “con forza e determinazione”, contro l’evasione fiscale: “Gli italiani che hanno portato i soldi fuori dall’Italia devono sapere che non è più come 5 o 10 anni fa: conviene anche a loro riportare i soldi in Italia e pagare il dovuto”. E questo perché “il clima è cambiato” e “non ci sono più le coperture di qualche anno fa”. Quindi gli evasori verranno inseguiti e catturati ovunque siano, “nei paradisi fiscali o in Svizzera”.

Non è meraviglioso? Il clima è talmente cambiato che B., dopo aver perso le elezioni, è di nuovo al governo. Pare incredibile, ma ha lo stesso nome e lo stesso cognome di quello che nel 2001, nel 2003 e nel 2009 varò tre scudi fiscali per consentire a chi aveva portato i soldi fuori di rimpatriarli clandestinamente, anonimamente, impunemente e pressoché gratuitamente (il terzo scudo passò anche grazie alle assenze di 59 deputati Pd).

Anche il presidente della Repubblica è cambiato, anche se per un’altra curiosa combinazione si chiama esattamente come quello che promulgò il terzo scudo e, quando un cittadino lo fermò per la strada e gli domandò il perché di quella firma vergognosa, lo redarguì severamente.

C’è poi un’ultima, prodigiosa coincidenza: un certo S. B. fra quattro giorni comparirà al processo Mediaset in Cassazione dopo la condanna in primo e secondo grado a 4 anni per frode fiscale. I giudici d’appello hanno sottolineato il suo indefesso impegno antievasione: “Con una strategia originata in anni in cui Silvio Berlusconi era incontestabilmente il gestore diretto di tutte le attività, il gruppo Fininvest, e più precisamente il suo fondatore e dominus, con l’aiuto dell’avvocato Mills ha costituito una galassia di società estere, alcune delle quali occulte, che occulte dovevano restare, tanto da corrompere la Guardia di Finanza che rischiava di scoprirle. Anche perché parte di tali fondi era utilizzata per scopi illeciti: dal finanziamento occulto di uomini politici alla corruzione di inquirenti, dalla corresponsione di somme a testi reticenti alla elusione della normativa italiana (specie della legge Mammì che dettava limiti al possesso di reti tv)”.

In quel sistema, “interponendo fra le major statunitensi e il gruppo Fininvest-Mediaset una serie di società estere che operavano adeguati ricarichi nella compravendita dei diritti” tv, furono “creati costi fittizi destinati a diminuire gli utili del gruppo e quindi le imposte da versare all’erario”. E dire che quei diritti “Mediaset avrebbe potuto averli al costo a cui le majors li vendevano”: invece B. mise in mezzo una miriade di intermediari “vicini, anche personalmente, al proprietario della società, Berlusconi”.

Risultato: i diritti tv “pervenivano a Mediaset con un differenziale di prezzo altissimo e del tutto ingiustificato, in una operatività proseguita per anni, sempre a opera degli stessi uomini che sempre avevano mantenuto la fiducia del proprietario”. Niente attenuanti generiche per B., colpevole di “un sistema di società e conti esteri portato avanti per molti anni, proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti, e condotto in posizione di assoluto vertice”. La condanna riguarda 7,3 milioni di euro, ma solo perché il grosso delle accuse s’è prescritto grazie a leggi fatte dallo stesso imputato (falso in bilancio e Cirielli): il totale delle “maggiorazioni di costo” è di “368 milioni di dollari”.

Quando il Letta nipote ha ammonito “gli italiani che han portato i soldi fuori dall’Italia”, a B. devono essere fischiate le orecchie. Qualcuno ha addirittura temuto un duro attacco del premier al principale di suo zio. Ma è stato un attimo: poi Fassina ha spiegato che “esiste un’evasione di sopravvivenza”, dettata da “ragioni profonde e strutturali che spingono molti soggetti a comportamenti di cui farebbero volentieri a meno”.

Ecco, risolto il problema: B. evadeva per sopravvivere. E Fassina spara cazzate per lo stesso motivo. Che s’ha da fa’, pe’ campa’.

Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2013


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Processo Mediaset: Tartuffe a Corte
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2013, 10:59:45 am
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Processo Mediaset: Tartuffe a Corte

di Marco Travaglio | 31 luglio 2013


Nel Paese di Tartuffe, che con buona pace di Molière non è la Francia ma l’Italia, si attende con ansia spasmodica la sentenza della Cassazione sul caso Mediaset per sapere finalmente se B. è un delinquente matricolato o un innocente perseguitato per fini politici.

Pare infatti, ma si tratta soltanto di voci di corridoio, che parte del Pd avrebbe qualche difficoltà a convivere ancora al governo con il partito guidato, anzi posseduto da un condannato per frode fiscale. E, per capire se B. sia un giglio di campo o un criminale incallito, attendono la sentenza Mediaset in Cassazione. Tutte le precedenti è come se non fossero mai state pronunciate, solo perché non erano condanne definitive. Poco importa se lo dichiaravano responsabile di reati gravissimi, come la falsa testimonianza sulla P2 (amnistiata), le tangenti a Craxi (cadute in prescrizione), svariati falsi in bilancio (reato depenalizzato da lui), la corruzione giudiziaria (prescritta sia per lo scippo della Mondadori a De Benedetti sia per le mazzette a Mills). Per non parlare delle sentenze sulle tangenti alla Guardia di Finanza (i suoi manager pagavano i militari con soldi suoi perché non mettessero il becco nei libri contabili delle sue aziende, ma a sua insaputa). E su Dell’Utri e sui mafiosi stragisti, che dipingono B. come un vecchio amico dei boss.

Bastava leggere uno dei tanti verdetti che in questi vent’anni l’hanno riguardato per farsi un’idea del personaggio: conoscerlo per evitarlo.

Invece, dopo vent’anni di malavita al potere, siamo qui appesi a una sentenza di Cassazione sul reato forse meno grave –  al confronto degli alt i– commesso dal Caimano: la frode fiscale. Più che un delitto, un’abitudine. Una specialità della casa. In fondo andò così anche per Al Capone: era il capo della mafia americana, ma riuscirono a incastrarlo solo per evasione fiscale. Solo che in America l’evasione è galera sicura, dunque non occorse altro per togliere il boss dalla circolazione. Da noi un evasore che tentasse di entrare in galera verrebbe respinto dalle leggi, che sono inflessibili. Per finire in carcere, sottrarre milioni all’erario non basta: bisogna rubare almeno un limone.

Eccoli dunque lì, i politici di destra, centro e sinistra, che con Al Tappone han fatto affari, inciuci, libri, comparsate tv, bicamerali, riforme bipartisan, alleanze più o meno mascherate, e i giornalisti e gl’intellettuali al seguito, tutti tremanti sotto la Cassazione. Paradossalmente, il meno preoccupato è proprio lui: B. lo sa chi è B. e non ne ha mai fatto mistero. E ha costruito un sistema politico-mediatico perfetto: se lo assolvono, sarà la prova che era un innocente perseguitato; se lo condannano, sarà la prova che è un innocente perseguitato. A tremare sono tutti gli altri: gli ipocriti che lo circondano da vent’anni, fingendo di non vedere e tacendo anziché parlare. Infatti del merito del processo Mediaset, delle prove schiaccianti sul ruolo centrale di B. nella costruzione di una macchina perfetta di decine di società offshore per frodare il fisco e portare fondi neri all’estero da usare per corrompere politici, giudici, forze dell’ordine e funzionari pubblici, non parla nessuno.

È il trionfo di Tartuffe: tutti aspettano che i giudici della Cassazione dicano ciò che tutti sanno benissimo, anche se nessuno osa dire nulla. Oppure delirano, come Letta e Boldrini, che escludono conseguenze sul governo in caso di condanna: come se il pericolo fosse che B. molli il Pd, e non che il Pd resti avvinghiato a un evasore pregiudicato. Viene in mente la storiella raccontata da Montanelli per sbertucciare un’altra ipocrisia italiota, quella dell’intellighenzia “de sinistra” che negli anni 70 negava il terrorismo rosso: “Un gentiluomo austriaco, roso dal sospetto che la moglie lo tradisse, la seguì di nascosto in albergo, la vide dal buco della serratura spogliarsi e coricarsi insieme a un giovanotto. Ma, rimasto al buio perché i due a questo punto spensero la luce, gemette a bassa voce: ‘Non riuscirò dunque mai a liberarmi da questa tormentosa incertezza?’”.

Il Fatto Quotidiano, 30 luglio 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/31/processo-mediaset-tartuffe-a-corte/672199/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Se Berlusconi non fosse italiano
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2013, 11:23:44 am
Se Berlusconi non fosse italiano

di Marco Travaglio

In Europa ci sono altri due casi di premier coinvolti in vicende giudiziarie (molto meno gravi di quelle del Cavaliere). Uno si è già dimesso, l'altro viene invitato ad andarsene dal suo stesso partito. Solo da noi la reazione è attaccare i magistrati e ricattare l'opinione pubblica in nome della 'stabilità'

(30 luglio 2013)

Se i giornali e i tg sostituissero la politica italiana con quella estera, capiremmo tutti in quale gabbia di matti ci tocca vivere. Da quando la Cassazione ha fissato per il 30 luglio l'udienza per la sentenza definitiva del processo Mediaset a carico di Silvio Berlusconi, tutti trattengono il fiato in attesa della data fatidica, da cui sembrano dipendere i destini non solo del governo Letta, ma dell'intera nazione. Lo stesso governo e la stessa nazione che sono rimasti appesi per giorni alle sorti del cosiddetto ministro dell'Interno Angelino Alfano, protagonista a sua insaputa della deportazione della moglie e della figlioletta di un dissidente kazako. Sarebbe bastato che la provincialissima stampa italiana raccontasse col dovuto risalto quel che accadeva in Lussemburgo e in Spagna per mostrarci come si regolano gli altri paesi con scandali giudiziari o politici simili a quelli che terremotano il nostro orticello.

In Lussemburgo governava ininterrottamente dal 1995 Jean-Claude Juncker. Poi la commissione parlamentare d'inchiesta che dal 2004 indagava su un vecchio scandalo del servizio segreto del Granducato, sospettato di spiare e intercettare illegalmente migliaia di cittadini, ha consegnato una relazione finale che conferma le accuse. Nessun reato, almeno a carico del premier: "solo" la responsabilità politica di non aver vigilato a dovere sull'intelligence. Junker s'è difeso in Parlamento dagli attacchi dell'opposizione, ma è stato scaricato anche dal Partito socialista alleato. E, prima di essere sfiduciato, s'è dimesso, convocando le elezioni anticipate. Intanto in Italia Alfano, costretto ad ammettere di non aver controllato i funzionari del suo ministero che avevano sequestrato Alma e Alua, restava al suo posto. E i presidenti della Repubblica e del Consiglio lo difendevano, sostenendo che non esiste per i ministri una "responsabilità oggettiva": ma esiste la responsabilità politico-istituzionale almeno di culpa in vigilando (articolo 95 della Costituzione: "I ministri sono responsabili individualmente degli atti dei loro dicasteri").

In Spagna infuria l'inchiesta giudiziaria sull'affare Gurtel: una storiaccia di mazzette e finanziamenti occulti che ruota intorno al faccendiere Francisco Correa, nata nel 2009 e costata la carriera al giudice Baltazar Garzòn, che ha investito prima l'ex tesoriere del Partito popolare Luis Bàrcenas, detto Luis el Cabròn, e poi il premier Mariano Rajoy. Nel gennaio 2013 "El Pais" pubblica la contabilità parallela del Pp; poi Barcenas rivela dal carcere di aver girato a Rajoy 90 mila euro in contanti; infine, a giugno, "El Mundo" divulga una miriade di sms fra l'ex cassiere e il primo ministro che provano un'inquietante intimità fino a tre mesi fa. Sulle prime Rajoy si difende all'italiana, gridando al complotto e accusando Bàrcenas di essere addirittura al soldo dei socialisti. Poi è costretto a dare le prime spiegazioni. Anche perché non solo le opposizioni di sinistra chiedono le sue dimissioni e le elezioni anticipate, ma anche nel Pp lo chiamano "delinquente" e gli chiedono di farsi da parte. Il tutto in assenza non solo di una sentenza, ma persino di un'incriminazione.

Intanto in Italia Berlusconi, condannato in appello a 4 anni per frode fiscale e in primo grado a 7 anni per concussione e prostituzione minorile e a 1 anno per rivelazione di segreti, viene difeso dal Pdl che parla di «uso politico della giustizia» mentre da vent'anni fa un uso giudiziario della politica; e il Pd tace imbarazzato, o invita a «separare le sentenze dalla politica» e sotto sotto spera nella clemenza della Corte di Cassazione per salvare il governo. Come se la presenza nella maggioranza di uno che i popolari spagnoli chiamerebbero "delinquente" o peggio, fosse un dettaglio trascurabile. Modesta proposta: affiancare alle cronache sull'attesa del 30 luglio quelle sui casi Rajoy e Junker. Chissà che a qualcuno non venga in mente una soluzione semplice semplice per evitare le ricadute politiche del verdetto: anziché separare le sentenze dal governo, cacciare dalla maggioranza i politici imputati in Cassazione.

 
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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/se-berlusconi-non-fosse-italiano/2211879/18


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Riforma della giustizia, la nuova Leva
Inserito da: Admin - Agosto 11, 2013, 05:06:50 pm
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Riforma della giustizia, la nuova Leva

di Marco Travaglio
10 agosto 2013


Per diventare responsabile giustizia del Pd, i requisiti sono essenzialmente due: 1) non sapere nulla di giustizia; 2) esordire sul Foglio di Ferrara&B. per rassicurare il padrone d’Italia. Una specie di prova d’amore. Nel 2010 Andrea Orlando, appena nominato responsabile giustizia da Veltroni in virtù del diploma di maturità scientifica che ne faceva un giureconsulto di chiara fama, debuttò con un paginone sul Foglio dal memorabile titolo: “Caro Cav, il Pd ti offre giustizia”.
Le proposte, anzi supposte, erano copiate pari pari dal programma Pdl: “Ridefinire l’obbligatorietà dell’azione penale… individuando le priorità” dei reati da perseguire o ignorare; “riforma del sistema elettorale del Csm che diluisca il peso delle correnti”, accompagnata da “una sezione disciplinare distinta” per fa giudicare i magistrati da un plotone d’esecuzione a maggioranza politica; “rafforzare la distinzione dei ruoli tra magistrati dell’accusa e giudici”; “limitare l’elettorato passivo dei magistrati, in particolare quelli che hanno svolto attività requirenti” (cioè: rendere ineleggibili non i delinquenti, ma i pm).
Per fortuna le suddette boiate restarono nella testolina di Orlando, ora promosso ministro dell’Ambiente (sempre per via della maturità scientifica). Al suo posto è arrivato dal Molise l’avvocato e neodeputato Danilo Leva, di cui ieri abbiamo narrato le gesta di dalemiano ma anche bersaniano ma anche franceschiniano, nonché di perditore di tutte le elezioni a cui abbia partecipato nella sua breve vita. Uno dice: almeno è avvocato, qualcosa di giustizia capirà. È lecito dubitarne, a leggere la sua intervista d’esordio, ovviamente al Foglio. L’attacco è incoraggiante: “Non ci faremo dettare l’agenda da qualcun altro”. Peccato che l’“agenda delle priorità” sia un fritto misto riscaldato di supposte altrui. Nella migliore tradizione.

“Abolire l’ergastolo” è un’idea di Totò Riina, lanciata nel papello del ’92, quasi tutto realizzato da destra e sinistra, a parte appunto ergastolo e dissociazione dei boss. “Responsabilità civile dei magistrati”, “rimodulare l’obbligatorietà dell’azione penale individuando priorità” e “riformare la custodia cautelare” invece sono tre cavalli di battaglia di B. Bel modo per non farsi dettare l’agenda.

Ma le idee, oltreché copiate, sono anche confuse. La responsabilità civile delle toghe esiste già per legge, con l’ovvio limite – previsto in tutte le democrazie – che gli errori giudiziari li risarcisce lo Stato e può rivalersi sul magistrato solo in caso di dolo o colpa grave. L’azione penale obbligatoria è prevista dalla Costituzione ed esclude che qualcuno possa indicare quali reati perseguire e quali no. Quanto alla custodia cautelare, “limitarne l’utilizzo improprio in assenza di sentenze passata in giudicato” è una corbelleria bella e buona: la custodia cautelare riguarda appunto il periodo precedente le condanne definitive, altrimenti è espiazione della pena.

Ma, incassato il viatico del Foglio, Leva rincara la dose sull’Unità con altre perle di rara saggezza. Vuole “eliminare la custodia cautelare obbligatoria per titolo di reato, eccetto ovviamente i reati più gravi, ad esempio mafia, terrorismo, violenza sessuale, stalking”: forse non sa che le manette preventive, dal ’95, non sono più obbligatorie nemmeno per mafia, e quando il Parlamento provò a reintrodurle per la mafia e lo stupro (ma non per l’omicidio!), fu sconfessato dalla Consulta. Quindi ciò che Leva vuole levare è già stato levato, e pure ciò che vuole lasciare. Siccome poi insiste sull’ergastolo, dovrebbe sapere che di fatto non esiste più, se non per i boss irriducibili (ergastolo “ostativo” ai benefici penitenziari: permessi, semilibertà, lavoro esterno): gli altri ergastolani escono dopo 25-30 anni. Abolire l’ergastolo avrebbe dunque un solo effetto: l’uscita di centinaia di boss, compresi quelli delle stragi del 1992-‘93, detenuti da quasi vent’anni. Bel programma di giustizia progressista, non c’è che dire. Senza contare il rischio che Riina reclami i diritti d’autore.

Il Fatto Quotidiano, 10 Agosto 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/10/riforma-della-giustizia-la-nuova-leva/681866/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - B. prepara il nuovo imbroglio
Inserito da: Admin - Agosto 31, 2013, 08:24:06 am
La strategia

B. prepara il nuovo imbroglio

di Marco Travaglio

Per non farlo decadere da senatore, i pidiellini cercano in tutti i modi di distorcere il dettato della legge Severino.
Che invece è chiarissima. E lo sanno anche loro, che infatti non hanno candidato Dell'Utri e Brancher

(19 agosto 2013)

Per la serie "Oggi le comiche", ecco la retromarcia sulla legge Severino, approvata dall'intero Parlamento appena sette mesi fa per dare una ripulita alle Camere. La legge è la numero 235 del 31 dicembre 2012.
Art. 1: «Chi ha riportato condanne definitive a pene superiori a 2 anni di reclusione» decade da parlamentare se lo è già ed è incandidabile se non lo è ancora.
Art.3: «Le sentenze definitive di condanna sono immediatamente comunicate... alla Camera di appartenenza» che «delibera ai sensi dell'art. 66 della Costituzione» sui «titoli di ammissione dei suoi componenti» e sulle «cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità».

ORA, BERLUSCONI è stato condannato definitivamente a 4 anni, cioè a più di 2, dunque al Senato non rimane altra scelta che dichiararlo decaduto, accompagnarlo alla porta e intimargli di non ripresentarsi prima di sei anni. Il tutto, indipendentemente dalla durata dell'interdizione dai pubblici uffici che la Cassazione ha chiesto alla Corte d'appello di Milano di ricalcolare, da un minimo di un anno a un massimo di tre. Ma naturalmente al Pdl non va bene neppure una legge da esso stesso approvata meno d'un anno fa.

Alcuni buontemponi hanno cominciato a dire che la condanna a 4 anni è coperta per 3 dall'indulto: 4 meno 3 fa uno, ergo Berlusconi è sotto il tetto di 2 e non deve decadere. Cretinata abissale: se la legge consentisse di detrarre dalle condanne il bonus dell'indulto, l'avrebbe previsto esplicitamente, dichiarando decaduti e incandidabili i titolari di pene effettive superiori ai 2 anni: invece parla di «condanne». Fallito il primo tentativo, ecco subito il secondo. Che, quando lo azzardò Carlo Giovanardi, noto giurista per caso, suscitò l'ilarità generale. Poi però lo seguirono a ruota Francesco Nitto Palma, magistrato e presidente della commissione Giustizia, più il costituzionalista di destra Paolo Armaroli e quello di sinistra Giovanni Guzzetta. La loro tesi è avvincente: la legge Severino si applica solo alle condanne relative a reati commessi dopo che è stata approvata. Se invece si applicasse anche a chi il reato l'ha commesso prima del 31 dicembre 2012, sarebbe incostituzionale. Motivo: nel processo penale prevale sempre la norma più favorevole al reo ed è vietato cambiare le regole del gioco a partita iniziata, se non per trattarlo meglio. Il che è vero, ma appunto nel processo penale. Qui il processo è finito, l'imputato è un pregiudicato e il Parlamento è liberissimo di vietargli l'accesso per legge. Del resto, se fossero esistiti profili di incostituzionalità della norma, i 945 parlamentari che l'anno scorso l'approvarono alla Camera e al Senato se ne sarebbero accorti e li avrebbero sollevati al momento di votare la pregiudiziale di costituzionalità nell'apposita commissione. Invece nessuno disse nulla. Del resto - specificò l'autrice, l'allora Guardasigilli Severino - la legge estendeva a Camera e Senato una regola già vigente dal 1999 nei consigli comunali, provinciali e regionali, dove i condannati a più di due anni non possono mettere piede. E nessuno ha mai eccepito nulla sulla legittimità di un principio che, se vale per gli enti locali, deve valere a maggior ragione per il Parlamento.

MA C'E' DI PIU' . Alle ultime elezioni, proprio in base alla nuova legge Severino, Berlusconi escluse dalle liste Pdl i pregiudicati del suo cerchio magico: Marcello Dell'Utri, Aldo Brancher, Salvatore Sciascia e Massimo Maria Berruti. «Non sono io che li ho esclusi», si giustificò, temendo di passare per onesto, «sono i giudici che li hanno condannati». Dell'Utri per false fatture risalenti ai primi anni 90 (oltreché, in appello, per mafia fino al 1993). Brancher per i soldi che gli girò Fiorani nel 2005. Sciascia per tangenti pagate tra il 1989 e il 1994. Berruti per un favoreggiamento del 1994. Evidentemente lo sapeva anche il Cavaliere che la Severino si applicava a tutti i reati, pre o post 2012. Poi hanno condannato lui e ha scoperto all'improvviso che vale solo per i post. Non gli resta che spiegarlo a Dell'Utri, Brancher, Sciascia e Berruti. E sperare che la prendano con filosofia.


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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Perché B. può attaccare ancora
Inserito da: Admin - Settembre 06, 2013, 09:25:22 am
Polemica

Perché B. può attaccare ancora

di Marco Travaglio

Siamo costretti a discutere di cose assurde: dall'applicabilità della legge Severino all'esistenza di un quarto grado di giudizio solo per lui. È l'effetto del conflitto d'interessi: di cui non si parla proprio perché c'è e 'funziona'

(02 settembre 2013)

Nel 1995 l'Italia votò i referendum per una severa antitrust nel mercato della tv e della pubblicità. Ma il combinato disposto fra il solito disimpegno della sinistra per il Sì e il bombardamento delle reti Fininvest per il No li fece fallire: il 55-57 per cento degli italiani votò per lasciare le cose come stavano.

Norberto Bobbio osservò amaro: «Il motivo principale per cui Berlusconi ha vinto il referendum che tendeva a diminuire il suo potere televisivo è stato il fatto stesso che aveva questo potere» e invitò i promotori a continuare la lotta contro la legge Mammì, perché l'esito dei referendum «è la prova che avevano ragione coloro che vi si sono opposti... e continueranno a opporsi con maggiore abilità, spero, per la sorte della nostra democrazia».

Sono trascorsi 18 anni e il predominio berlusconiano sui mezzi di comunicazione ha continuato a far danni. Non tanto per la propaganda a favore del Cavaliere. Ma per la creazione di un "comune sentire" ad personam che ha stravolto tutto: la Costituzione, le leggi, la logica, perfino il buonsenso.

La prova decisiva è proprio quanto sta accadendo dopo la sua prima condanna definitiva, al termine di un lungo inseguimento dei giudici iniziato ben prima del suo ingresso in politica. Oggi, per dire, si discute animatamente sulla sua permanenza o meno in Parlamento, in base a una legge Severino che ha visto spuntare dal nulla un nugolo di critici non appena s'è posto il problema di applicarla a lui. Senza il supporto dei suoi giornali e tv, il Cavaliere pregiudicato sarebbe disarmato di argomenti: nessun giornale indipendente sarebbe andato a scovare presunti giuristi disposti ad affermare che il decreto varato otto mesi fa per escludere i condannati dal Parlamento non vale per chi i reati li ha commessi prima.

Se, poniamo, si facesse una legge per vietare ai condannati per pedofilia di insegnare nelle scuole, nessuno si sognerebbe di sostenere che un pedofilo è stato condannato ingiustamente, o di pedinare e screditare i giudici che l'han condannato, o di chiedere che continui a insegnare perché ha molestato bambini prima del varo della legge. Specie se il pedofilo avesse votato la legge che esclude i pedofili dall'insegnamento. E se il pedofilo pretendesse di restare fra i banchi di scuola, verrebbe massacrato da tutta la stampa, con ampi particolari del suo gravissimo delitto. Ma un pedofilo non farebbe mai una cosa simile: anzi sparirebbe per la vergogna della condanna.


Difficilmente infatti controllerebbe giornali e tv, stipendiandone i giornalisti. Invece, mutatis mutandis, è proprio per questo che tanti giornali e tv pedinano e screditano i giudici che han condannato Berlusconi (costringendoli a replicare e poi dicendo che parlano troppo e sono "schierati"); occultano totalmente il suo gravissimo reato; e sostengono che la legge da lui stesso votata otto mesi fa su decadenza e incandidabilità dei condannati per lui non vale: il condannato quei giornali e tv li possiede e quei giornalisti li stipendia.

Infatti, anziché andare a nascondersi per la vergogna di una condanna per frode fiscale, tiene comizi, rifonda partiti, raduna truppe, detta condizioni al governo, al parlamento e al capo dello Stato. E tutti lo stanno a sentire. Anche le figure e le testate "indipendenti" o "terziste", che confondono l'imparzialità con l'ignavia e ritengono che la giusta posizione sia sempre la via di mezzo fra la sua e quella dei suoi avversari.

Così, più sono insensate, illegali, incostituzionali, illogiche le posizioni di Berlusconi, più si spostano verso di lui gli "indipendenti" e i "terzisti". I quali vent'anni fa davano per scontata l'ineleggibilità di chi aveva il conflitto d'interessi e l'esigenza di una legge per eliminarlo, mentre oggi l'hanno rimosso e ne sono le vittime più o meno consapevoli.

Infatti, sempre in equilibrio fra i pro e i contro, dibattono sul diritto del condannato a restare (e a tornare per l'ottava volta) in Parlamento, senza più rammentare che in Parlamento non avrebbe mai potuto entrarci, neppure da incensurato. Il conflitto d'interessi è alla sua massima apoteosi, ma nessuno lo nota più: proprio a causa del conflitto d'interessi.


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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/perche-b-puo-attaccare-ancora/2213998


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Perché B. può attaccare ancora
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2013, 07:23:28 pm
Polemica

Perché B. può attaccare ancora

di Marco Travaglio

Siamo costretti a discutere di cose assurde: dall'applicabilità della legge Severino all'esistenza di un quarto grado di giudizio solo per lui. È l'effetto del conflitto d'interessi: di cui non si parla proprio perché c'è e 'funziona'

(02 settembre 2013)

Nel 1995 l'Italia votò i referendum per una severa antitrust nel mercato della tv e della pubblicità. Ma il combinato disposto fra il solito disimpegno della sinistra per il Sì e il bombardamento delle reti Fininvest per il No li fece fallire: il 55-57 per cento degli italiani votò per lasciare le cose come stavano.

Norberto Bobbio osservò amaro: «Il motivo principale per cui Berlusconi ha vinto il referendum che tendeva a diminuire il suo potere televisivo è stato il fatto stesso che aveva questo potere» e invitò i promotori a continuare la lotta contro la legge Mammì, perché l'esito dei referendum «è la prova che avevano ragione coloro che vi si sono opposti... e continueranno a opporsi con maggiore abilità, spero, per la sorte della nostra democrazia».

Sono trascorsi 18 anni e il predominio berlusconiano sui mezzi di comunicazione ha continuato a far danni. Non tanto per la propaganda a favore del Cavaliere. Ma per la creazione di un "comune sentire" ad personam che ha stravolto tutto: la Costituzione, le leggi, la logica, perfino il buonsenso.

La prova decisiva è proprio quanto sta accadendo dopo la sua prima condanna definitiva, al termine di un lungo inseguimento dei giudici iniziato ben prima del suo ingresso in politica. Oggi, per dire, si discute animatamente sulla sua permanenza o meno in Parlamento, in base a una legge Severino che ha visto spuntare dal nulla un nugolo di critici non appena s'è posto il problema di applicarla a lui. Senza il supporto dei suoi giornali e tv, il Cavaliere pregiudicato sarebbe disarmato di argomenti: nessun giornale indipendente sarebbe andato a scovare presunti giuristi disposti ad affermare che il decreto varato otto mesi fa per escludere i condannati dal Parlamento non vale per chi i reati li ha commessi prima.

Se, poniamo, si facesse una legge per vietare ai condannati per pedofilia di insegnare nelle scuole, nessuno si sognerebbe di sostenere che un pedofilo è stato condannato ingiustamente, o di pedinare e screditare i giudici che l'han condannato, o di chiedere che continui a insegnare perché ha molestato bambini prima del varo della legge. Specie se il pedofilo avesse votato la legge che esclude i pedofili dall'insegnamento. E se il pedofilo pretendesse di restare fra i banchi di scuola, verrebbe massacrato da tutta la stampa, con ampi particolari del suo gravissimo delitto. Ma un pedofilo non farebbe mai una cosa simile: anzi sparirebbe per la vergogna della condanna.


Difficilmente infatti controllerebbe giornali e tv, stipendiandone i giornalisti. Invece, mutatis mutandis, è proprio per questo che tanti giornali e tv pedinano e screditano i giudici che han condannato Berlusconi (costringendoli a replicare e poi dicendo che parlano troppo e sono "schierati"); occultano totalmente il suo gravissimo reato; e sostengono che la legge da lui stesso votata otto mesi fa su decadenza e incandidabilità dei condannati per lui non vale: il condannato quei giornali e tv li possiede e quei giornalisti li stipendia.

Infatti, anziché andare a nascondersi per la vergogna di una condanna per frode fiscale, tiene comizi, rifonda partiti, raduna truppe, detta condizioni al governo, al parlamento e al capo dello Stato. E tutti lo stanno a sentire. Anche le figure e le testate "indipendenti" o "terziste", che confondono l'imparzialità con l'ignavia e ritengono che la giusta posizione sia sempre la via di mezzo fra la sua e quella dei suoi avversari.

Così, più sono insensate, illegali, incostituzionali, illogiche le posizioni di Berlusconi, più si spostano verso di lui gli "indipendenti" e i "terzisti". I quali vent'anni fa davano per scontata l'ineleggibilità di chi aveva il conflitto d'interessi e l'esigenza di una legge per eliminarlo, mentre oggi l'hanno rimosso e ne sono le vittime più o meno consapevoli.

Infatti, sempre in equilibrio fra i pro e i contro, dibattono sul diritto del condannato a restare (e a tornare per l'ottava volta) in Parlamento, senza più rammentare che in Parlamento non avrebbe mai potuto entrarci, neppure da incensurato. Il conflitto d'interessi è alla sua massima apoteosi, ma nessuno lo nota più: proprio a causa del conflitto d'interessi.


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Titolo: Marco TRAVAGLIO - Confalonieri da Napolitano ma che c'entra?
Inserito da: Admin - Settembre 08, 2013, 07:21:56 am
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Quirimediaset

di Marco Travaglio | 7 settembre 2013


La domanda è molto semplice e, nonostante la comicità della situazione generale, molto seria. Se è vera la notizia – pubblicata da alcuni quotidiani e non smentita per tutta la giornata di ieri – del “colloquio riservato” di Fedele Confalonieri con Giorgio Napolitano per impetrare la grazia o altri salvacondotti sfusi per l’amico Silvio, a che titolo il presidente della Repubblica ha ricevuto il presidente di Mediaset?

Il 2 luglio scorso, quando Beppe Grillo, leader del M5S che aveva appena raccolto il 25 % alle elezioni, chiese sul suo blog di incontrare il capo dello Stato, questi rispose piccato di non aver “ricevuto alcuna richiesta di incontro nei modi necessari per poterla prendere in considerazione”.

Resta ora da capire se, quando e come il signor Confalonieri, privato cittadino sprovvisto di qualsivoglia carica o politica – anzi da vent’anni dichiarato dal Parlamento ineleggibile ai sensi della legge 361/1954 per assicurare l’eleggibilità abusiva a B. – abbia formulato una richiesta di incontro col Presidente, e nei modi necessari per essere presa in considerazione dal destinatario.

Ma purtroppo non se ne sa nulla, come non è dato sapere a che titolo Gianni Letta, altro privato cittadino sprovvisto di qualunque carica elettiva o politica a parte la parentela diretta con il Premier Nipote, entri ed esca dal Quirinale, come riferiscono i giornali vicini a B. e N., anch’essi mai smentiti.

In qualunque democrazia, anche la più scalcinata, quando un’alta carica dello Stato riceve Tizio o Caio, lo comunica ufficialmente ai cittadini, spiegandone il perché. In Italia invece la clandestinità del potere è diventata normale anche sul Colle più alto, come insegnano le trame per assecondare le pretese del signor Mancino, indagato per falsa testimonianza sulla trattativa Stato-mafia.

E come dimostra l’incredibile nota diffusa l’altroieri, poco dopo l’incontro aumma aumma Napolitano-Confalonieri, non direttamente dal capo dello Stato, ma da non meglio precisati “ambienti del Quirinale” che nessuno ha mai capito in che cosa consistano, a chi rispondano, che valore abbiano, perché parlino. Un modo come un altro per dire e non dire, lanciare il sasso e ritrarre la mano, una via di mezzo fra ufficialità e ufficiosità (l’ufficialosità) per poi, a seconda delle convenienze, poter dire “io l’avevo detto” o “io non l’avevo detto”.

Nella nota ufficialosa, si comunicava che il Presidente “non sta studiando o meditando il da farsi in casi di crisi” perché “conserva fiducia nelle ripetute dichiarazioni dell’on. Berlusconi sul sostegno al governo”. A parte l’involontaria assonanza con il “nutro fiducia” di Luigi Facta, ultimo premier democratico d’Italia prima del fascismo, nei giorni della marcia su Roma, quelle parole sanno di presa in giro degli italiani, visto che la visita di Confalonieri le smentisce platealmente: il Presidente sta studiando e meditando eccome, infatti prosegue la trattativa (ancora!) con gli emissari privati del noto ricattatore pregiudicato perché tenga in piedi il governo Letta.

É la trattativa Stato-Mediaset. Non è la prima volta che Confalonieri scende a Roma e consulta politici di destra, centro e sinistra: lo fa ogni qualvolta l’amico Silvio, e dunque la ditta, è in difficoltà. Lo fece nel 2006 quando tentò di mandare l’amico D’Alema al Quirinale. Lo rifece nel novembre 2011 quando le azioni Mediaset precipitavano nel gorgo della tempesta finanziaria e si trattava di pilotare la ritirata di B. in cambio del suo salvataggio politico e aziendale col governo Monti e le mancate elezioni anticipate.

E ora rieccolo – scrive il Corriere – “parlare di politica con i politici” in un “giro romano delle sette chiese” e “consultare amici e avversari, prima e dopo la sua salita al Colle”, convinto che “è necessario muoversi senza fare casino”. Per parlare di cosa? Dei nuovi palinsesti di Canale 5? Delle azioni Mediaset? Delle polizze Mediolanum? Della campagna acquisti del Milan? No, secondo il Corriere ha parlato di “garantire l’agibilità personale per Berlusconi con un gesto di clemenza”.

Sarà un caso, ma appena il presidente di Mediaset è sceso dal Colle, i proclami guerreschi del Pdl si sono interrotti. È l’apoteosi del conflitto d’interessi che, dopo avere privatizzato governi, parlamenti, codici, leggi e Costituzione, s’impossessa dell’ultimo arbitro, cancellandone definitivamente la terzietà e l’imparzialità.

Dopo Confalonieri e Letta, si attende con ansia il pellegrinaggio al Colle di Doris, Galliani, Marina e Pier Silvio, Allegri, Balotelli, Kaká e Gabibbo (ma perché non Dell’Utri?). Poi sul campanile del Quirinale, al posto del Tricolore, garrirà giuliva la bandiera del Biscione.

il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/07/quirimediaset/704618/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Giuliano Amato alla Consulta, orgasmo da Rotterdam
Inserito da: Admin - Settembre 15, 2013, 05:15:20 pm
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Giuliano Amato alla Consulta, orgasmo da Rotterdam

di Marco Travaglio | 13 settembre 2013


Un giorno o l’altro, magari da qualche casuale intercettazione o ritrovamento di elenchi o liste, scopriremo le doti nascoste di Giuliano Amato, l’uomo che non doveva pensionarsi mai, la salamandra che passava indenne tra le fiamme, il dinosauro sopravvissuto alle glaciazioni, il “sederinodoro” (come diceva Montanelli) che riusciva a occupare contemporaneamente mezza dozzina di cadreghe alla volta.
 
I collezionisti di poltrone e pensioni troveranno sul Fatto Quotidiano di oggi l’elenco completo delle sue. Ma qui c’è di più e di peggio: in un Paese dove nessuno riconosce più alcun arbitro imparziale, figura terza, autorità indipendente, non si sentiva proprio il bisogno di trapiantare un vecchio arnese della politica in quello che dovrebbe essere il massimo presidio della legalità costituzionale: la Consulta. Già negli ultimi anni, spesso a torto e qualche volta a ragione, la Corte è finita nella rissa politica per sentenze o decisioni che puzzavano di compromesso col potere. Specie da quando l’arbitro supremo che sta sul Colle ha smesso la giacchetta nera e s’è messo a giocare le sue partite politiche trasformando la Repubblica in sultanato (vedi bocciatura del referendum elettorale e verdetto sul caso Mancino).

Lo vede anche un bambino che di questi tempi la Consulta e gli altri organi di garanzia hanno bisogno di un surplus di indipendenza e di terzietà. Invece che t’inventa Re Giorgio? Prende un suo amico, ex braccio destro di Craxi, deputato e vicesegretario Psi, vicepremier, due volte premier, ministro del Tesoro (due volte), dell’Interno, delle Riforme, degli Esteri, senatore dell’Ulivo e deputato dell’Unione, candidato al Quirinale nel ’99, nel 2006 e nel 2013, “vicino” (si dice così?) al Montepaschi, consulente Deutsche Bank, insomma ex tutto, e lo promuove giudice costituzionale. Possibile che Napolitano non conosca un giurista meno incistato nel potere politico e finanziario di lui? Gli dicono nulla nomi come Pace, Carlassare, Cordero? Già la Corte è piena di politicanti camuffati da giureconsulti e nominati dal Parlamento, cioè dai partiti. Almeno il Quirinale avrebbe potuto, anzi dovuto scegliere una figura indipendente, fuori dai giochi, magari sotto i 50 anni (e, se non è troppo, donna): invece ha voluto il Poltronissimo. Nonostante certi suoi trascorsi, o forse proprio per quelli.

Nel 1983, spedito da Craxi e commissariare il Psi travolto dallo scandalo Zampini, Amato rimproverò al sindaco Novelli di aver portato il testimone d’accusa in Procura anziché “risolvere politicamente la questione” (tipo insabbiarla). Nell’84-85 ispirò i vergognosi decreti Berlusconi – le prime leggi ad personam di una lunga serie – donati da Craxi all’amico Silvio quando tre pretori sequestrarono le antenne Fininvest fuorilegge. Infatti nel ’94 il Cavaliere riconoscente lo issò all’Antitrust, dove Amato non si accorse mai del monumentale trust berlusconiano sul mercato della tv e della pubblicità (in compenso sbaragliò impavido un temibile trust nel ramo fiammiferi e accendini). Non riportiamo qui, per carità di patria, i fax di Bettino da Hammamet sul “professionista a contratto” che in tante campagne elettorali non s’era mai accorto delle tangenti al Psi.

Molto più interessante è la sua intervista del 2009 a Report. Bernardo Iovene gli ricorda che il decreto Craxi-Berlusconi dell’85 era “provvisorio” e doveva durare solo 6 mesi, in attesa della legge di sistema sulle tv; ma lui s’inventò che era solo “transitorio”, quindi non andava neppure rinnovato una volta scaduto. Anziché arrossire e nascondersi sotto il tavolo, Amato s’illumina d’incenso: “Sa, noi giuristi viviamo di queste finezze: la distinzione fra transitorio e provvisorio è quasi da orgasmo per un giurista… Quando discuto attorno a un tavolo tecnico e qualcuno dice ‘questa cosa è vietata’, io faccio aggiungere ‘tendenzialmente’…”.

Ora che dovrà esaminare la legittimità delle leggi firmate dall’amico Giorgio, sarà tutto un orgasmo. Provvisorio e tendenziale.

Il Fatto Quotidiano, 13 Settembre 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/13/giuliano-amato-alla-consulta-orgasmo-da-rotterdam/711038/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Quante balle ci hanno raccontato
Inserito da: Admin - Settembre 20, 2013, 05:06:56 pm
Polemica

Quante balle ci hanno raccontato

di Marco Travaglio

Da quando il Caimano è stato condannato, la sua macchina mediatica ha diffuso un profluvio di bugie spaventose: anche giudiziarie e tecniche. Facciamo un 'debunking' preciso, una per una una

(17 settembre 2013)

Nella realtà parallela plasmata dai media berlusconiani dopo la condanna del padrone a 4 anni per frode fiscale, prendono forma e vita parole, istituti e argomenti totalmente estranei ai fatti, alla logica, alle leggi e alla Costituzione. Un Codice Avatar che, applicato a un qualunque cittadino, farebbe scompisciare anche quanti lo sostengono per il Cavaliere.

1) «La condanna è ingiusta perché il presidente Antonio Esposito ne ha anticipato le motivazioni in un'intervista al Mattino». Falso. Esposito ha semplicemente spiegato che non si può condannare nessuno perché «non poteva non sapere»: bisogna sempre dimostrare che sapeva. E ha fatto un esempio di scuola: quando il capo viene informato di un certo reato dai sottoposti e, pur potendo, non li dissuade. Ma non è il caso di Berlusconi. Infatti la sentenza firmata da tutti e cinque i giudici del collegio, afferma che il Cavaliere non solo sapeva, ma faceva in quanto «ideatore, organizzatore e beneficiario» del sistema criminale per gonfiare i costi dei film acquistati negli Usa e ricavarne plusvalenze in nero su conti esteri a lui stesso riferibili.

2) «La sentenza non è definitiva: Berlusconi l'ha impugnata alla Corte europea e ha annunciato un'istanza di revisione a Brescia e un ricorso straordinario in Cassazione». Falso: la sentenza può essere ribaltata solo da un processo di revisione, possibile solo se emergessero prove nuove dopo il verdetto di Cassazione (cioè dal 1° agosto): e non se ne vede l'ombra. Quanto al ricorso in Europa, non è un quarto grado di giudizio, ma solo una valutazione di eventuali danni subiti dai diritti umani di Berlusconi: Strasburgo non è la piscina miracolosa di Lourdes, dove il condannato s'immerge ed esce assolto. E il ricorso in Cassazione sarebbe accoglibile solo se questa avesse commesso decisivi errori materiali o trascurato qualche motivo d'appello; ma basta leggere le motivazioni per trovarvi la demolizione di tutti i punti contestati dagli avvocati di Berlusconi e degli altri tre imputati.

3) «La Severino non si applica retroattivamente a Berlusconi perché il reato fu commesso prima della sua entrata in vigore». Ma la legge fu approvata in tutta fretta il 31 dicembre 2012 proprio per fare in tempo a escludere i condannati dalle liste per le elezioni del 2013. Se il Parlamento avesse voluto limitarla ai reati futuri, se la sarebbe presa comoda. O voleva escludere dalle liste solo chi delinquesse e venisse beccato, processato e condannato nei tre gradi di giudizio nelle cinque settimane comprese fra il 31 dicembre 2012 e il 24 febbraio 2013.

4) «La Severino, se si applica ai condannati per reati commessi prima, è incostituzionale». Ma il Parlamento, come per ogni norma prima del voto in aula, ha già stabilito la legittimità della Severino respingendo le pregiudiziali di incostituzionalità in commissione Affari costituzionali: un plebiscito Pd-Pdl-Udc-Fli. Come potrebbe l'attuale maggioranza, identica alla precedente, sostenere allaConsulta di aver votato una legge incostituzionale?

5) «Berlusconi, alla giunta per le elezioni, deve avere il tempo di esercitare il suo diritto alla difesa». La tesi Violante, subito copiata dai giureconsulti arcoriani, finge di ignorare che il diritto di difesa vale durante il processo, non dopo la condanna definitiva. Che va solo eseguita, con tutte le conseguenze.

6) «Il Pd non deve eliminare l'avversario per via giudiziaria». A parte che da novembre 2011 Berlusconi non è più avversario, ma alleato del Pd, di che "via giudiziaria" si va cianciando? Se decàde da senatore in base a una legge, fra l'altro votata anche dal Pdl, è per via politica, non giudiziaria.

7) «Berlusconi ha diritto all'agibilità politica». L'agibilità politica non dipende dalla presenza o meno del politico in Parlamento, come insegna Grillo. E poi Berlusconi (che in Parlamento non avrebbe mai dovuto entrare in base alla legge 361/1957), vanta in Senato un tasso di assenteismo del 99,4 per cento. Possibile che gli sia venuta la fregola di andarci proprio quando non può più?


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Titolo: Marco Travaglio
Inserito da: Admin - Novembre 13, 2013, 03:49:20 pm
Marco Travaglio
Carta canta
Eppure Dragomira era tanto brava
Le opere della bulgara Bonev sono state incensate dai giornali di Berlusconi e premiate dai suoi ministri. Ora tutti fanno a gara nel demolirla. Solo perché ha osato dire quello che pensa del leader Pdl e della sua compagna
   
Siccome in Italia è morta anche la vergogna, capita persino che Agostino Saccà, l’esecutore materiale dell’editto bulgaro contro Biagi e Santoro (Luttazzi l’avevano già eliminato), lanci un altro editto bulgaro contro la bulgara Dragomira Boneva in arte Michelle Bonev, rea di leso Silvio e lesa Pascale. Lo fa su “Libero”, spiegando che nel 2003 non la raccomandò al dopofestival di Sanremo e non la portò a Raifiction perché fosse la sua amante: «Lo nego assolutamente. Era la fidanzata del vicepresidente del Milan». Ah, beh, allora. E poi «pensavo fosse una piccola fiammiferaia uscita dall’inferno comunista» e, sebbene non avesse alcun «talento da attrice», «aveva carisma». Dunque la raccomandò «per dimostrare che non era una mia raccomandata». Non è meraviglioso? Al Dopofestival la fiammiferaia si dipinse pure «pittrice, modella, scrittrice, attrice, esperta di moda e consulente internazionale di vip», dunque un imbarazzato Pippo Baudo dovette annunciarla «opinionista per giudicare il look dei nostri cantanti».

MA ALMENO SACCÀ ha il coraggio delle sue cattive azioni. Tutti gli altri, manco quello. La stampa berlusconiana fa a gara nel demolire la signora bulgara. Ferrara la chiama elegantemente «bottana», Sallusti «una specie di attrice», Belpietro «la pentita della mutanda», “Libero” ironizza sul finto premio di tre anni fa al Festival del Cinema di Venezia, su “Tutti i fiaschi di Michelle, una Re Mida al contrario” e su “La peggior fiction degli ultimi 20 anni”. Ma che strano. Finché orbitava nel cerchio magico del Cavaliere, Dragomira era omaggiata, incensata, riverita. Produceva fiction per Rai e Mediaset. Pubblicava romanzi per Mondadori. “Panorama” le mandava Mughini e, siccome l’intervista non era abbastanza encomiastica, gliela infiocchettavano a sua insaputa. “Il Giornale” di Belpietro la intervistava ogni due per tre scolpendone la «bellezza più coriacea che morbida». E ho detto tutto. Nel 2010 Sandro Bondi, ministro dei Beni culturali («Il nuovo Bottai», per “il Foglio”) ordinava al direttore generale Borrelli di farla premiare in qualche modo a Venezia per il film “Goodbye Mama”, neppure terminato. E, per non nominare Silvio invano, la spacciò per una«attrice molto cara al premier bulgaro». Tanto chi andava a controllare.

A VENEZIA PERÒ presiedeva la giuria Quentin Tarantino e si rischiava un bagno di sangue molto pulp. Così un incaricato ministeriale scese dal rigattiere e, pregandolo del più assoluto riserbo, commissionò una targa farlocca da 9 euro: loghi del Mibac e dell’ignara Unione europea, iscrizione “Action for Woman. Premio speciale della Biennale nel 60° anniversario della Convenzione europea sui diritti dell’uomo”. Fu poi addobbata una sala del Festival con finto pubblico, finta stampa, finti fotografi e cineoperatori, con l’aggiunta dei ministri Galan e Carfagna, del sottosegretario Giro (il vice-Bondi) e parlamentari (anche euro) Pdl sciolti. Per far numero vennero aviotrasportati last minute 32 bulgari, alloggiati ovviamente al Cipriani, pare a spese di lei. La Carfagna prese la parola tutta emozionata e «orgogliosa di poter omaggiare una ragazza così coraggiosa». Il Galan si congratulò a nome di Silvio, che poi intervenne in diretta via telefono. Quando “il Fatto” raccontò il tutto, la stampa berlusconiana stese un velo pietoso. Per qualche giorno. Poi riprese con l’incenso. «Mi attaccano perché vinco, sono condannata a vincere», dichiarò la Bonev al sempre disponibile “Giornale” di Sallusti nell’aprile 2011, quando il film uscì nelle sale. Costo per la Rai di Mauro Masi: 1 milione di euro. Incasso: 66 mila. Un bell’investimento. «Intenso dramma al femminile tratto dalla sua storia personale e ispirato al suo romanzo “Alberi senza radici” (Mondadori)», turibolò “Libero” di Belpietro. Intanto “il Giornale” la promuoveva con voti superiori a quelli tributati a Russell Crowe e Nicolas Cage fra gli attori e al regista iraniano Jafar Panahi, reduce dal gran premio della giuria a Berlino. Mica male per una “Re Mida al contrario” e “una specie di attrice”. Sic transit gloria Bondi.

29 ottobre 2013 © Riproduzione riservata
Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/carta-canta/2013/10/23/news/eppure-dragomira-era-tanto-brava-1.138709


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Scusaci, Renatino Squillante
Inserito da: Admin - Novembre 25, 2013, 04:18:56 pm
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Scusaci, Renatino Squillante

di Marco Travaglio | 23 novembre 2013


Ci perdoni anche Corrado Carnevale, da noi per anni attaccato, criticato e addirittura chiamato “Ammazzasentenze” perché annullava in Cassazione le condanne dei mafiosi per vizi di forma (un timbro saltato, una pagina mancante), riceveva a casa sua i loro avvocati e sparlava al telefono di Falcone e Borsellino.

Ieri il Pg della Cassazione Gianfranco Ciani, quello che convocò Grasso su ordine di Napolitano e Mancino per parlare dell’avocazione dell’inchiesta sulla Trattativa, ha avviato l’azione disciplinare contro Antonio Esposito: la scusa è l’intervista rilasciata il 6 agosto al Mattino in cui il giudice avrebbe anticipato la sentenza Mediaset, ma la colpa vera è la sentenza Mediaset, cioè la condanna di B. Infatti Esposito non anticipava le motivazioni della sentenza Mediaset, anzi diceva il contrario di quel che avrebbe scritto nella sentenza Mediaset. E di B. non parlava proprio (è l’intervistatore che l’ha fatto credere appiccicando una domanda su B. a una risposta generica). Ma, anche se avesse parlato di B. e anticipato le motivazioni, Esposito non avrebbe commesso illecito disciplinare lo stesso, perché la legge punisce solo i giudici che parlano di un processo “non definito”, e il processo Mediaset era già definito dal dispositivo della sentenza letto in aula il 1 agosto.
Dunque, caro Carnevale, ci scusi tanto: nell’Italia delle larghe intese, il modello di giudice auspicato fin dai colli e dai palazzacci più alti è il suo: quello di chi le condanne eccellenti non le conferma, ma trova il modo di annullarle.

Mille scuse, infine, al giudice Renato Squillante, anche lui da noi ripetutamente attaccato soltanto perché, vicecapo dell’ufficio Istruzione e poi capo dell’ufficio Gip di Roma, faceva in modo di non arrestare o rinviare a giudizio i potenti, e aveva un conto in Svizzera comunicante con quello dell’avvocato Previti, insomma era a libro paga della Fininvest. Inezie, minuzie, quisquilie, pinzellacchere. Avevamo ingenuamente pensato che la sua condotta fosse incompatibile, non solo col Codice penale, ma anche con la Costituzione che vuole la legge uguale per tutti e tutti i cittadini uguali davanti a essa. Ci sbagliavamo: eravamo rimasti alla Costituzione del 1948, cioè alla versione non ancora aggiornata dai saggi ricostituenti.  Ora è ufficiale: non tutti sono uguali davanti alla legge. Aveva ragione lei, caro Squillante.

Guardi quel che sta accadendo in Sicilia ai suoi colleghi (ci scusi per l’indebito apparentamento) Di Matteo e Gozzo,isolati dallo Stato e minacciati dalla mafia perché si ostinano a cercare, a vent’anni e più dalle stragi, i mandanti occulti, i depistatori e i traditori che trescavano sottobanco con la mafia che aveva appena ucciso Falcone, Borsellino, le loro scorte e tanti altri cittadini innocenti, mentre pubblicamente fingevano di combatterla. L’altro giorno, nell’aula del processo Trattativa, a testimoniare solidarietà a Di Matteo c’erano soltanto il suo capo, Messineo, e un prete, don Luigi Ciotti.

Le alte discariche dello Stato che si mobilitano in assetto di guerra e scatenano la forza pubblica non appena compare sul web una frasetta non proprio encomiastica sul loro conto, hanno altro a cui pensare. Il nostro pensiero deferente e un po’ nostalgico corre dunque a lei, caro Renatino, che negli anni 80 e 90 precorse le larghe intese, evitò ogni “guerra fra giustizia e politica”, infatti non subì neppure un procedimento disciplinare né un monito presidenziale. Si conservi in buona salute: presto – eliminati gli Esposito, i Di Matteo, i Gozzo e le altre mele marce in toga – ci sarà ancora tanto bisogno di lei.

Il Fatto Quotidiano, 23 Novembre 2013

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/23/scusaci-renatino-squillante/788493/


Titolo: Marco TRAVAGLIO in eterno conflitto con una parte notevole del mondo.
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2014, 08:59:59 am
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Oscar: la grande vuotezza

di Marco Travaglio
6 marzo 2014

Grande Bellezza Dopo gli Oscar per i migliori film, ci vorrebbe un Oscaretto per i migliori commenti italiani agli Oscar. Provinciali, retorici, cialtroni, pizzaemandolineschi. Un po’ come dopo le partite dei Mondiali quando vince l’Italia: il patriottismo ritrovato, l’orgoglio tricolore, il riscatto nazionale, l’ottimismo della volontà, la metafora del Paese che rinasce, il sole sui colli fatali di Roma. Questa volta però, con l’Oscar a La grande bellezza, c’è un di più: l’esultanza di chi s’è fermato al titolo, senza capire che è paradossale come tutto il film. Ecco: quello di Sorrentino è il miglior film straniero anche e soprattutto in Italia. Il Corriere fa dire al regista che “con me vince l’Italia”, ma è altamente improbabile che l’abbia solo pensato: infatti ha dedicato l’Oscar alla famiglia reale e artistica, al Cinema e agli idoli adolescenziali (compreso – che Dio lo perdoni – Maradona, inteso però come il fantasista del calcio, non del fisco).

Eppure Johnny Riotta, sulla Stampa, vede nel film addirittura “un monito” e spera “che la vittoria riporti un po’ di ottimismo in giro da noi”. E perché mai? Pier Silvio B., poveretto, compra pagine di giornali per salutare l’”avventura meravigliosa” sotto il marchio Mediaset. Sallusti vede nell’Oscar a un film coprodotto e distribuito da Medusa la rivincita giudiziaria del padrone pregiudicato (per una storia di creste su film stranieri): “Ci son voluti gli americani, direi il mondo intero, per riconoscere che Mediaset non è l’associazione a delinquere immaginata dai magistrati”. Ora magari Ghedini e Coppi allegheranno l’Oscar all’istanza di revisione del processo al Cainano.

“Oggi – scrive su Repubblica Daniela D’Antonio, moglie giornalista di Sorrentino – ho scoperto di avere tantissimi amici”. Infatti Renzi invita “Paolo per una chiacchierata a tutto campo”. Napolitano sente “l’orgoglio di un certo patriottismo” per un “film che intriga per la rappresentazione dell’oggi”. Contento lui. Alemanno, erede diretto dei Vandali, Visigoti e Lanzichenecchi, vaneggia di “investire nella bellezza di Roma e nel suo immenso patrimonio artistico”. Franceschini, ex ministro del governo Letta che diede un’altra sforbiciata al tax credit del cinema, sproloquia di un “Paese che vince quando crede nei suoi talenti” e di “iniezione di fiducia nell’Italia”. Fazio, reduce da un Sanremo di rara bruttezza dedicato alla bellezza, con raccapricciante scenografia color caco marcio, vuole “restituire” e “riparare la grande bellezza”. Il sindaco Marino rende noto di aver “detto a Paolo che lo aspetto a Roma a braccia aperte per festeggiare lui e il film, per il prestigio che ha donato alla nostra città e al nostro Paese”. Ma che film ha visto? È così difficile distinguere un film da una guida turistica della proloco?

In realtà, come scrive Stenio Solinas sul Giornale, quello di Sorrentino “è il film più malinconico, decadente e reazionario degli ultimi anni, epitaffio a ciglio asciutto sulla modernità e i suoi disastri”. Il referto medico-legale in forma artistica di un Paese morto di futilità e inutilità, con una classe dirigente di scrittori che non scrivono, intellettuali che non pensano, poeti muti, giornalisti nani, imprenditori da buoncostume, chirurghi da botox, donne di professione “ricche”, cardinali debolucci sulla fede ma fortissimi in culinaria, mafiosi 2.0 che sembrano brave persone, politici inesistenti (infatti non si vedono proprio). Una fauna umanoide disperata e disperante che non crede e non serve a nulla, nessuno fa il suo mestiere, tutti parlano da soli anche in compagnia e passano da una festa all’altra per nascondersi il proprio funerale. Si salva solo chi muore, o fugge in campagna. È un mondo pieno di vuoto che non può permettersi neppure il registro del tragico: infatti rimane nel grottesco. Scambiare il film per un inno al rinascimento di Roma (peraltro sfuggito ai più) o dell’Italia significa non averlo visto o, peggio, non averci capito una mazza. Come se la Romania promuovesse Dracula a eroe nazionale e i film su Nosferatu a spot della rinascita transilvana.

Il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2014

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/06/oscar-la-grande-vuotezza/904161/


Titolo: Marco TRAVAGLIO in eterno conflitto con una parte notevole del mondo2
Inserito da: Admin - Aprile 03, 2014, 06:59:53 pm
Riforme, il ‘lasciatemi lavorare’ di Matteo Renzi

Di Marco Travaglio | 1 aprile 2014

Dice Matteo Renzi ad Aldo Cazzullo del Corriere: “Io ho giurato sulla Costituzione, non su Rodotà o su Zagrebelsky”. Dirà il lettore del Corriere: perché, che c’entrano Rodotà e Zagrebelsky? Il Corriere infatti, come tutti i giornaloni, si è dimenticato di informare i cittadini che da una settimana Rodotà, Zagrebelsky e altri intellettuali hanno firmato un appello di ‘Libertà e Giustizia’ contro la “svolta autoritaria” delle riforme costituzionali targate Renzusconi. Stampa e tv ne hanno parlato solo ieri, e solo perché Grillo e Casaleggio (molto opportunamente) hanno aderito all’appello.

In ogni caso Renzi, che è pure laureato in Legge, dovrebbe sapere che la Costituzione su cui ha giurato non prevede la dittatura del premier: cioè il modello mostruoso che esce dal combinato disposto dell’Italicum, della controriforma del Senato e del premierato forte chiesto a gran voce dal suo partner ricostituente privilegiato (Forza Italia). All’autorevole parere dei “professoroni o presunti tali”, Renzi oppone “il Paese” che “ha voglia di cambiare”, dunque è con lui. Quindi, per favore, lasciamolo lavorare.

Grasso dissente dalla riforma del Senato? “Si ricordi che è stato eletto dal Pd”, rammenta la Serracchiani con un messaggio mafiosetto che presuppone un inesistente vincolo di mandato (o il Pd lo contesta solo se lo invoca Grillo?). Grasso tradisce la sua “terzietà”, rincara Renzi, confondendo terzietà con ignavia: come se il presidente del Senato non avesse il diritto di commentare la riforma del Senato. E aggiunge: “Se Pera o Schifani avessero fatto così, avremmo i girotondi della sinistra contro il ruolo non più imparziale del presidente del Senato”. Ora, i girotondi nacquero per difendere la Costituzione dagli assalti berlusconiani: dunque è più probabile che oggi sarebbero in piazza se B. facesse da solo quel che fa Renzi con lui.

Ma, visto che c’è di mezzo il Pd, anche i giornali di sinistra tacciono e acconsentono. E gli elettori restano ignari di tutto. Quanto poi al “Paese”: Renzi dimentica che nessuno l’ha mai eletto (se non a presidente di provincia e a sindaco) e il suo governo si regge su un Parlamento delegittimato dalla sentenza della Consulta e su una maggioranza finta, drogata dal premio incostituzionale del Porcellum. Altrimenti non avrebbe la fiducia né alla Camera né al Senato. Eppure pretende di arrivare a fine legislatura e financo di cambiare la Costituzione: ma con quale mandato popolare, visto che nel 2013 nessun partito della maggioranza aveva nel programma elettorale queste “riforme”?

Su un punto il premier ha ragione: la gente vuole cambiare. Ma cosa? E per fare cosa? Davvero Renzi incontra per strada milioni di persone ansiose di trasformare il Senato nell’ennesimo ente inutile, un dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci (perlopiù inquisiti)? Davvero la “gente” gli chiede a gran voce di sostituire il Porcellum con l’Italicum, che consentirà ai partiti di continuare a nominarsi i parlamentari come prima? Se la “gente” sapesse cosa c’è nelle “riforme”, le passerebbe la voglia di cambiare.

Prendiamo l’Italicum, approvato a Montecitorio e già rinnegato dai partiti che l’hanno votato (peraltro solo per la Camera). Pare scritto da uno squilibrato. A parte le liste bloccate, le variopinte soglie di accesso (4,5, 8 e 12%), e i candidati presentabili in 8 collegi, c’è il delirio del premio di maggioranza: chi vince al primo turno col 37% dei voti prende 340 deputati; chi vince al ballottaggio col 51% o più, ne prende solo 327 e governa con uno scarto di 6 voti. Cioè non governa. Ma levategli il vino.

Prendiamo il nuovo “Senato delle autonomie”. Sarà composto da 148 membri non elettivi e non pagati: i presidenti di regione, i sindaci dei capoluoghi di regione, due consiglieri regionali e due sindaci per regione (senza distinzioni fra Val d’Aosta e Lombardia, Molise ed Emilia Romagna, regioni ordinarie e a statuto speciale), più 21 personaggi nominati dal Quirinale.

Con quali poteri? Niente più fiducia ai governi né seconda lettura sulle leggi: il Senato però voterà ancora sulle leggi costituzionali, sul capo dello Stato, sui membri del Csm e della Consulta (ma con quale legittimità democratica, visto che non sarà eletto?), ed esprimerà un parere non vincolante su ogni legge ordinaria votata dalla Camera. Ma come faranno i governatori, i sindaci e i consiglieri a fare il proprio lavoro nelle regioni e nelle città e contemporaneamente a esaminare a Roma ogni legge della Camera? Renzi racconta che la riforma farà risparmiare tempo e denaro. Mah. Sul tempo: le peggiori porcate, come il lodo Alfano, sono passate in meno di un mese. E chi l’ha detto che all’Italia servono più leggi? Ne abbiamo almeno 350 mila, spesso pessime o in contraddizione fra loro. Andrebbero ridotte e accorpate, non aumentate.

Quanto al denaro, lo strombazzato risparmio di 1 miliardo all’anno in realtà non arriva a 100 milioni: la struttura resterà in piedi, spariranno solo i 315 stipendi (ma bisognerà rimborsare le trasferte dei nuovi membri). Perché non dimezzare il numero e le indennità dei parlamentari, conservando due Camere elettive con compiti diversi (tipo Usa) e con 315 deputati e 117 senatori pagati la metà, risparmiando più di 1 miliardo (vero)? Da qualunque parte la si prenda, anche questa “riforma” non ha senso, se non quello di raccontare che “le cose cambiano”. Cavalcando il discredito delle istituzioni, Renzi ne approfitta per distruggerle definitivamente. Forse era meglio giurare su Zagrebelsky e Rodotà, anziché su Berlusconi e Verdini.

PS. Napolitano fa sapere di essere “da tempo contrario al bicameralismo paritario”. E quando, di grazia? Quando presiedeva la Camera? Quando fu nominato da Ciampi senatore a vita? Quando fu eletto e rieletto al Colle da Camera e Senato? O quando nominò 5 senatori a vita? Ci dica, ci dica.

Il Fatto Quotidiano, 1 Aprile 2014

DA - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/01/riforme-il-lasciatemi-lavorare-di-matteo-renzi/934660/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Chi è Frigerio e chi lo protegge
Inserito da: Admin - Maggio 29, 2014, 10:50:50 pm
Marco Travaglio
Carta canta

Chi è Frigerio e chi lo protegge
Come Primo Greganti anche il “professore” era stato condannato per le tangenti di venti anni fa. Eppure i due hanno continuato nella loro opera. Perché il nostro paese è ancora dominato dai compromessi occulti e dal ricatto

No, non è la “nuova Tangentopoli”. È ancora quella vecchia, almeno a giudicare dai protagonisti, quasi tutti clienti storici di Mani Pulite. Come l’ex Dc Gianstefano Frigerio e l’ex Pds Primo Greganti, tre arresti e tre condanne a testa. Tangentari di larghe intese, secondo i giudici. Perché, in piena terza età, seguitavano a trafficare negli appalti pubblici?

Nel 1997, quando nacque la Bicamerale, primo inciucio ufficiale destra-sinistra della Seconda Repubblica, Gherardo Colombo spiegò a Giuseppe D’Avanzo sul “Corriere della sera”: «Il compromesso in Italia è stato sempre opaco e occulto... L’Italia la si può raccontare a partire da una parola: ricatto. Del sistema della corruzione... abbiamo appena inciso la superficie della crosta. Chi non è stato toccato dalla magistratura e ha scheletri nell’armadio si sente non protetto, debole perchè ricattabile. La società del ricatto trova la sua forza su ciò che non è stato scoperto».

Quanti segreti custodiscono Frigerio, che pure confessò le accuse più evidenti, e Greganti, che finse sempre di rubare per sé anziché per il partito (peraltro mai creduto dai giudici)? La biografia di Frigerio parla per molte altre. Classe 1939, laureato in Lettere dunque detto “il Professore”, nel 1974 diventa segretario provinciale a Milano e nell’87 regionale. Il 7 maggio ’92 è fra i primi politici arrestati per Tangentopoli, su richiesta di Antonio Di Pietro. Il pool Mani Pulite lo interroga più volte. Lui lamenta sempre dolori lancinanti agli occhi, protetti da occhiali spessi come fondi di bottiglia, a causa di improvvisi sbalzi di pressione che si manifestano regolarmente in Procura. Un giorno Di Pietro sbotta: «Ma quando lei contava le tangenti gli occhi non le facevano male, anzi ci vedeva benissimo!». Frigerio è la smentita vivente al teorema berlusconiano della persecuzione giudiziaria anti-Fininvest solo dopo la discesa in campo del ’94: già nel giugno ’92 accusa Paolo Berlusconi di aver versato 150 milioni alla Dc per la discarica di Edilnord a Cerro Maggiore. Nel ’94 è tra i fondatori di Forza Italia, ma da dietro le quinte, e collabora con “il Giornale” dopo la cacciata di Montanelli. Colleziona tre arresti, varie prescrizioni e tre condanne definitive: 3 anni e 9 mesi per corruzione e concussione, 1 anno e 4 mesi per finanziamento illecito, 1 anno 7 mesi per finanziamento illecito e ricettazione. Perciò il Caimano lo tiene nascosto. Fino al 2001, quando il Professore ha ormai argomenti molto persuasivi per farsi candidare alla Camera. Non a Milano, dove lo conoscono tutti. Ma in Puglia, in quota proporzionale, col nome cambiato in Carlo per non dare nell’occhio.

Lo scopre casualmente Di Pietro, che denuncia lo scandalo (all’epoca i pregiudicati in lista erano uno scandalo anche in Italia). Puntualmente eletto, Frigerio non fa in tempo a metter piede a Montecitorio perchè raggiunto da un mandato di cattura per scontare la pena di 6 anni e 8 mesi. Ma non entra neppure in galera: s’è fatto ricoverare per tempo al San Raffaele per il solito problema agli occhi. Piantonato in ospedale per mesi, ottiene il ricalcolo della pena appena sotto i 3 anni.
Così il giudice di sorveglianza lo affida ai servizi sociali, indicando incredibilmente la politica come “attività socialmente utile”. Ma senza esagerare: forse per evitare brutti incontri, l’onorevole condannato potrà frequentare la Camera solo quattro giorni al mese. Sarebbe pure interdetto dai pubblici uffici per cinque anni, ma i colleghi se la prendono comoda ed evitano di cacciarlo. Così l’abusivo continua a intascare l’indennità al posto di un altro. Tre anni dopo la Giunta delle elezioni decreta: «l’esito positivo del periodo di prova estingue pena e interdizione». Uscito dal Parlamento senza passare dal carcere, Frigerio scrive libri prefati dall’amico Silvio, lavora all’Ufficio studi del partito e al gruppo di Bruxelles, e apre un presunto centro culturale dedicato all’incolpevole Tommaso Moro. Intanto traffica per gli appalti Expo.

L’altro giorno, quand’è finito in gattabuia per la quarta volta, nemmeno in Forza Italia hanno osato commentare: «Chi l’avrebbe mai detto, una così brava persona».

16 maggio 2014 © Riproduzione riservata

Da - http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/05/14/news/chi-e-frigerio-e-chi-lo-protegge-1.165299


Titolo: TRAVAGLIO - Bersaniani, dalemiani, turchi: nel Pd ora tutti sul “cargo” di Renzi
Inserito da: Admin - Maggio 29, 2014, 10:52:49 pm
Europee 2014 – Bersaniani, dalemiani, turchi: nel Pd ora tutti sul “cargo” di Renzi

Dopo la vittoria schiacciante del Partito democratico, gli ex detrattori del premier hanno festeggiato "l'impresa" del leader.
Scoprendosi renziani da sempre. Pronti a dare una mano al governo anche i fuoriusciti dal M5S, Orellana e Campanella


Di Marco Travaglio | 28 maggio 2014

Siccome, crocianamente parlando, “non possiamo non dirci renziani”, il carro del vincitore di Flaiano non basta più. Per raccogliere tutti i neofiti demorenziani travestiti da antemarcia che sbarcano da ogni dove alla spicciolata, a bordo di zattere di fortuna rigurgitanti di carne umana, ci vuole almeno un cargo. La Marina Militare pattuglia le coste per prestare ai profughi i primi soccorsi, nella nuova operazione ribattezzata dal Viminale “Matteum Nostrum”. La Protezione civile fa sapere che i richiedenti asilo al Nazareno e a Palazzo Chigi verranno alloggiati in strutture provvisorie di raccolta, i Cir (Centri identificazione e riciclaggio), in attesa di essere smistati in ministeri, enti pubblici, banche, municipalizzate, cda sfusi. Nel frattempo, si prega di non spingere.

Il Quinto Stato. La foto di gruppo del nuovo Stato Maggiore in versione Pellizza da Volpedo, scattata la Notte della Vittoria, cela alcuni renziani dell’ultim’ora, folgorati sulla via di Pontassieve fra il secondo exit poll e la prima proiezione: l’efebico ex bersaniano Roberto Speranza, lievemente scolorito per via della trielina usata per svaporare le ultime macchie di giaguaro; e il batracico ex bersaniano Nico Stumpo, opportunamente nascosto dietro una stangona. In prima fila si spellano le mani gli ex giovani turchi, ora neorenziani di mezza età, Orfini, Verducci e Fassina.

Il terzo non è la moglie di Fassino, ma l’impavido dissidente antirenziano che dava a Matteo dell’“ex portaborse” un po’ “berlusconiano”; secerneva “vergogna per l’incontro Renzi-Berlusconi”; e lasciò il governo Letta quando Renzi lo chiamò “Fassina chi?”. Ora, opportunamente sedato, esalta il “Renzi valore aggiunto”, “la chiara leadership” del Caro Leader, “la squadra sui territori”, in vista della “missione difficile di grandissima responsabilità”. Quale? “La possibilità straordinaria di cambiare l’agenda della politica europea” verso “la svolta all’insegna dell’allontanamento dall’austerity e della crescita del lavoro”. Il suo, naturalmente. Un Jobs Act personale: che s’ha da fa’ per campa’.

In che Stato. Nel reparto CRSR (Convertiti al Rottamatore per Salvarsi dalla Rottamazione) svetta Dario Franceschini, che due anni fa cinguettava: “Bersani ragiona, Renzi recita”. Infatti, se ragionasse, non l’avrebbe fatto ministro della Cultura. Come disse Andrea Orlando, “basta passare con Renzi che si diventa nuovi, quando si passa con Renzi si diventa nuovi anche se non lo si è di curriculum”. Tipo lui, che ora fa il ministro della Giustizia. Il veltroniano (corrente Alitalia) e poi bersaniano Matteo Colaninno nota “un grande patrimonio del Pd che ora avrà una responsabilità ancora più grande di cambiare l’Italia e guidare una nuova fase dell’Europa” (sempre volando Alitalia).

E Bersani, quello che “Renzi è un pazzo” e “ho salvato il cervello ma non lo do a Renzi”, che ne è di lui? “Complimenti a Matteo Renzi” e “adesso prendiamoci le nostre responsabilità in Italia e in Europa”. A Matte’, ricordate del mio cervello. E Max D’Alema, quello che “Renzi è ignorante e superficiale” e “non ha mai letto un libro in vita sua”? Ora “Renzi è un grande leader”, ma “non si arriva al 40% senza un grande partito”. Capotavola è sempre dove si siede lui. Specie se la tavola è la Commissione europea e Matteo non ci manda Letta. Le cambiali si pagano.

Cupirla. Il giovane vecchio Gianni Cuperlo fu già avversario di Matteo alle primarie, ma controvoglia. Rifiutò l’ingresso nella Segreteria renziana per gli inaccettabili “attacchi personali” del leader destrorso. Reclamò financo le dimissioni del neopremier da segretario. Ma – si scopre ora – lo fece obtorto collo. Anch’egli è un renziano della prima ora: prima clandestino, ora palese dinanzi al “risultato storico” e all’“ebbrezza del 4 davanti allo 0” (lui era abituato allo 0 senza il 4 davanti). Dunque Matteo torna un compagno, molto rosso fra l’altro: “Il Pd è la prima forza del progressismo e del socialismo in Europa”. Stringiamoci a coorte e “riapriamo il cantiere”, appena esce Greganti.

Giovani italiane. Nella sezione Massaie Rurali, scintilla il sorriso pudico di Federica Mogherini. Non rideva così da quando esaltò la “straordinaria vittoria” (di Bersani alle prime primarie contro Renzi). Sentendo poi Matteo parlare di politica estera, twittò con l’hashtag “#terzaelementare”: “Ok, Renzi ha bisogno di studiare un bel po’ di politica estera… non arriva alla sufficienza, temo”. E ancora: “Confermo: Matteo, lascia stare la politica #estera e di #difesa, #Obama e #F35 compresi. Ti conviene, dai retta…”.

Marianna Madia, appena vide Matteo in tv con Bersani, tagliò corto: “Solo Bersani statura da presidente consiglio”, “Voto Bersani, è il miglior premier che l’Italia possa avere”. Fortuna che poi arrivò Renzi, se no chi le faceva ministre? Sempre stata renziana pure Pina Picierno, fin da quando si laureò con una tesi sul pensiero politico di Ciriaco De Mita, poi passò a Franceschini e poi a Bersani, ma solo per finta, infatti twittava nel suo italiano malcerto: “Qualcuno dica a Renzi che l’Onu ha appena stabilito che deve studiare”, “Bella supercazzola di Matteo Renzi sui diritti”, “La soluzione per Matteo Renzi è più discoteche in Iran”, “Lo slogan Adesso di Matteo Renzi? Lo ha lanciato Franceschini nel 2009, mazza che svolta!”, “M’avanzano un sacco di cappellini della campagna di Renzi, che faccio li spedisco a lui o libero il mio garage?”, “Il pluripensionato Vespa andrebbe rottamato prima di tutti. Peccato che Renzi non la pensi così”, “’Se perdiamo le primarie il partito non tocchi i rottamatori’, dice Renzi. Ma per chi ci ha preso, per Renziani?!”. Camuffamento perfetto, prima del coming out.

Trascinatori di folle. Pronti con le transenne: arrivano Alfano e Casini, noti frequentatori di se stessi. Dall’alto del 4,4%, Piercasinando spiega che lui più che altro fa parte del 41% di Renzi: “Questo voto ha premiato il governo e anche chi lo sostiene”. Angelino Jolie invece trova che il 4,4 è un trionfo: “noi siamo un pilastro del governo”, “ha vinto la speranza contro la rabbia, il polo del buongoverno contro quello della pura protesta”. Ergo “siamo tutti più forti” perché “il nostro mezzo punto percentuale è stato ben sacrificato”: “se avessimo preso lo zero virgola per cento in più tutti voi avreste parlato di un risultato più che soddisfacente”, ma in fondo “con le condizioni che si sono determinate – il Pd al 41% – lo consideriamo comunque un buon risultato”. Un po’ come se l’Atletico Madrid dicesse: “Se il Real non ci rifilava quattro gol, vincevamo facile con uno: dunque è andata di lusso”.

Movimento Cinque Renzi. Se avanzano transenne, tenerne qualcuna da parte per la prorompente iniziativa politica di Luis Alberto Orellana e Francesco Campanella, candidati alla guida del neonato gruppo senatoriale degli ex grillini, quelli che promettevano di lasciare Palazzo Madama. E invece no, troppo forte la tentazione di passare alla Storia accanto della Rivoluzione Renziana: restano a pie’ fermo in poltrona e chiedono le dimissioni di Grillo, non si sa peraltro da che cosa. Il virile apporto dei renzastellati prenderà l’atletico e ginnico nome di “Democrazia Attiva”, e saranno dolori per tutti i passivi.


LEGGI LA SECONDA PARTE DELL’ARTICOLO: “LA STAMPA SI INCHINA”


Elezioni europee 2014, da Repubblica ad Avvenire tutti pazzi per Matteo Renzi
Tutti i quotidiani accolgono con titoli euforici la vittoria del leader Pd. La Stampa: “La vittoria sorprendente della speranza”, Il Tempo: “Renzi il Conquistatore”, Il giornale della Cei: “Renzi ‘superstar’, ora è un leader Ue. La valanga del Pd vale più della vittoria tedesca della Merkel”
Di Marco Travaglio | 28 maggio 2014

La libera stampa, fiera e compatta, marcia patriotticamente come un sol uomo al fianco del suo Generalissimo. Nella conferenza stampa dopo il Trionfo, a un cenno convenuto del capo del Capo, scroscia fra i giornalisti il marziale e scattante applauso a Sua Eccellenza il Portavoce, al secolo Filippo Sensi.

Frattanto, su Twitter e Facebook, ritmano armonici e tacitiani i bollettini della Vittoria. Francesco Bei (Repubblica): “Stasera mi prende così. Malinconia. Sarà per aver gioito troppo?”, “A questo punto spero davvero che roberto gualtieri ce la faccia” (ma sì che ce la farà, daje). Annalisa Cuzzocrea (Repubblica): “Quando non sai più che pesci prendere, c’è la lettera al figlio di kipling”, “E stasera c’è anche #gazebo @welikechopin #ilgiornoperfetto”. Torna finalmente a rifulgere il sole sui colli fatali di Roma.

Agenzia Stefani. In linea con le veline del Ministero della Cultura Popolare e con i dispacci dell’Agenzia Stefani, si registrano con viva soddisfazione i sobri titoli dei principali quotidiani. Repubblica: “Il riformismo diventa maggioranza” (il 41% del 57% degli elettori, pari al 23%), “Dopo questi risultati nessuno ci può fermare”, “Gufi sconfitti e ora tutti al lavoro”,“È la Renzi generation”, “Vince D’Alfonso: ‘Ora l’Abruzzo potrà ripartire’” (per il Tribunale di Pescara), “I socialisti frenano l’onda populista” (infatti sono dietro al Ppe).

Corriere: “La diga utile del premier”, “La fiducia del Colle su un governo più stabile”, “Renzi, telefonate ai leader europei; ora l’Italia può puntare in alto”, “Grazie a Matteo si è avverato il mio sogno della vocazione maggioritaria” (col 45% di non votanti). La Stampa: “La vittoria sorprendente della speranza”, “Matteo modello per i socialisti Ue”, “Svolta in Piemonte: vince Chiamparino” (il classico outsider), “Napolitano soddisfatto per il nuovo slancio che avranno le riforme”, “Il socialismo in versione scout”.

Il Mattino: “Perché inizia un nuovo ciclo politico”, “Prodi: Renzi può cambiare la Ue”. Il Sole-24 Ore: “Il cammino per passare da De Gasperi a De Gasperi è ancora lungo, ma questa è la strada che la politica italiana dev’essere capace di percorrere”. Avvenire: “Renzi ‘superstar’, ora è un leader Ue. La valanga del Pd vale più della vittoria tedesca della Merkel” (ora glielo facciamo vederenoiallaculona),“Il trionfo di Matteo abbatte lo spread” (che invece, quando saliva, era colpa di Grillo).

Il Tempo: “Renzi il Conquistatore”, “Ora Matteo detta la linea anche alla Ue”. Il Messaggero: “Evitare il super-ego e nessuna vendetta: il mantra del premier per il dopo exploit”, “Matteo incassa l’elogio del Colle”, “Primo atto del day after: riportare i bimbi adottivi del Congo in Italia”, “I renziani serrano i ranghi”. Per l’adunata del sabato renzista, con salto nel cerchio di fuoco, pancia in dentro, petto in fuori.

Rosso antico. Resta l’Unità, che lunedì si era improvvidamente scordata di Renzi: niente foto di Matteo (ma di Marine Le Pen sì) e titolo anonimo, “Europee vince il Pd”. Ieri la pravdina pidina ha precipitosamente rimediato con un cubitale “Effetto Renzi”, per giunta in rosso, e doppia foto, a pagina 1, 2 e 3. A Matte’, ricordate de l’amici! Segue lezione di politica di Maria Novella Oppo, che invita Grillo a controllare, la prossima volta, “dove tira il vento”: un programma di vita. Ottime e abbondanti anche le cronache locali. Ginnico e inequivocabile il titolo delle pagine romane di Repubblica: “Trieste-Parioli il quartiere più rosso”. Grazie agli 80 euro, infatti, pare che per un attico ai Parioli occorreranno appena 20 mila vite. Parioli presente! A noi!

I Renzusconiani. Sul fianco destro (destr!) salmodiano i maestri cantori berlusconiani, finalmente liberati dal seccante fastidio di dover scegliere da che parte stare, col rischio di perdere contatto con il potere per qualche nanosecondo. Renzi consente loro di stare con la destra e con la sinistra (si fa per dire), ma non in rapida successione, come in passato: in contemporanea, con notevole riposo per le affaticate lingue. Sallusti, anche senza aspirapolvere, è ancor più giulivo di quanto vinceva padron Silvio: “Asfaltato Grillo” e “Le riforme o le fanno Pd e Forza Italia, o non vedranno la luce”. Sul Foglio, Claudio Cerasa, renzusconiano di ultima covata, può finalmente concentrare il muscolo involontario (sempre la lingua) su un solo destinatario: “Il governo Angela Renzi” (in lievissima contraddizione con le aspettative di un Renzi che rottama la Merkel e cambia l’Europa).

Adriano Sofri, già difensore di B., Dell’Utri e Mangano ma sempre da sinistra, nonché autore di enciclopediche articolesse per sponsorizzare Bersani alle primarie, non ha “potuto fare a meno di fregarmi le mani” per il trionfo renziano. Giuliano Ferrara si fa una pista di coca con grande perizia manuale e nasale, vestigio di una lunga pratica, per festeggiare “le riforme di Renzi con l’appoggio di Berlusconi” e “il partito manettaro sconfitto” (a proposito: che ne è del candidato “garantista” del Foglio Giovanni Fiandaca?).

TgRenzi. Il Tg3 mostra i primi lavoratori in lacrime (ma per la commozione) che sventolano la pingue busta paga con gli 80 euro e s’interrogano confusi su come spenderanno tutto quel bendidio. C’è chi ha la testa che gli gira e immagina un resort ai Caraibi, chi progetta una vacanza a Bali, chi una terrazza ai Parioli da quando son diventati il quartiere più rosso di Roma. Chi sa far di conto invece è ancora incerto fra mezzo pacchetto di Marlboro al giorno e una scatola di mentine.

E ora, ragazzi, intoniamo tutti insieme il nuovo Inno Nazionale, coniato dagli ormai celebri Balilla di Ragusa: Facciamo un salto/ battiam le mani/ti salutiamo tutti insieme Presidente Renzi./ Muoviam la testa/Facciamo festa/ a braccia aperte ti diciamo benvenuto…/ Siamo felici e ti gridiamo:/da oggi in poi, ovunque vai, non scordarti di noi/dei nostri sogni, delle speranze/ che ti affidiamo, con fiducia, oggi a ritmo di blues./Le ragazze, i ragazzi, tutti insieme/alle tue idee e al tuo lavoro affidiamo il futuro/e poi di nuovo ancora insieme/noi camminiamo/ci avviciniamo/e un girotondo noi formiamo sempre a tempo di blues”.

da Il Fatto Quotidiano del 28 maggio 2014

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/28/europee-2014-bersaniani-dalemiani-turchi-nel-pd-ora-tutti-sul-cargo-di-renzi/1004706/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Riforma del Senato: il Riottamatore
Inserito da: Admin - Agosto 12, 2014, 06:46:30 pm
Riforma del Senato: il Riottamatore
Di Marco Travaglio | 9 agosto 2014

 L’altra sera, ascoltando su La7 l’intervista di Renzi e i commenti di due esperti, mi ha sopraffatto uno di quei cattivi pensieri che non andrebbero mai confessati: “Povero nano, quante gliene abbiamo dette, eppure dopo tre anni e tre governi diversi dal suo, siamo sempre sull’orlo del precipizio”. Pensiero pornografico e pure infondato: perché B. non è evaporato, anzi è vivo e lotta insieme a loro. E non solo per il Patto del Nazareno. Ma anche perché cambiano (a volte) le facce, ma il linguaggio è sempre lo stesso. Per Monti & C., come per B.&C., il problema erano i quei nababbi dei lavoratori e dei pensionati. Per Letta & C., come per B.&C., il guaio erano le tasse troppo alte, non chi le evade, per cui fu abolita per un anno l’unica imposta che non si può evadere, quella sulla casa, poi ripristinata con altro nome e aliquote più alte. Per Renzi & C., come per B&C., la jattura sono la Costituzione e il Parlamento che impediscono ai governi di fare miracoli.

Rigorosamente vietato parlare di lotta a mafie, evasione e corruzione, cioè dell’unica spending review che porterebbe soldi allo Stato dalle tasche dei delinquenti anziché degli onesti (parlando con pardon). Se nel 2011 B. è uscito da Palazzo Chigi (dove peraltro torna nei giorni liberi dai servizi sociali), la politica e la stampa al seguito non sono mai uscite dal berlusconismo. Il che spiega le affinità elettive fra il maestro Silvio e l’allievo Matteo, il trasporto con cui i due si scambiano smancerie, le labbra p(r)ensili di Monna Boschi protese verso Verdini&Romani, le pomiciate della Finocchiaro con Schifani, i pissi-pissi e gli strusciamenti fra pidini e forzisti: scene hardcore, anzi Arcore, che preludono a matrimoni misti e fecondazioni eterologhe incrociate.

Non è più neanche questione di inciuci e larghe intese. È più e peggio: idem sentire, comunanza di intenti e spesso d’interessi (altro che conflitto), pensiero e linguaggio. Due cuori (si fa per dire), una capanna. Il Renzi dell’”andate in vacanza belli allegri”, dell’opposizione che non lo lascia lavorare, della stampa nemica che non decanta i suoi trionfi, dell’Europa cinica e bara, dei gufi e sciacalli che parlano male dell’Italia, è la fotocopia 2.0 del Caimano modello Cannes 2001, quello dei ristoranti pieni e degli aerei imprenotabili. E tutt’intorno il solito cerchietto magico di opinionisti che corrono in soccorso al pugile suonato come i secondi a bordo ring con spugnette e pomatine. I dati sulla recessione – salmodiava Marcello Sorgi l’altra sera – non sono una plateale smentita delle previsioni del governo e una prova clamorosa delle “riforme” fallite, ma una spinta propulsiva per tirare diritto meglio che pria. Insomma, una botta di culo. Tutto studiato, tutto calcolato. Se poi, anziché dello 0,2%, il Pil crollasse di qualche punto e l’Italia diventasse un’immensa favela di bidonville, meglio ancora: sai che spinta propulsiva, a quel punto.

Gianni Riotta, su La Stampa, spiega che “la colpa del declino è di tutti noi”, mica del governo. Renzi ci ha provato “a scuotere i cittadini dal torpore malinconico in cui sprofondano” (dev’essere stato quando ha abolito l’elezione dei senatori e copiato nell’Italicum le liste bloccate del Porcellum per i deputati). Ma “malgrado gli sforzi di Monti, Letta, Passera e Padoan, Renzi, Padoan (due volte, ma sì abbondiamo! ndr), l’‘agenda’ non parte”.

E perché non parte? Perché – spiega johnny Raiotta – quegli stronzi di italiani “non vogliono infrastrutture” con la scusa delle “mazzette per corrotti mafiosi”. Basta, “è ora di dirsi che la colpa è nostra. Dalla Tav a Messina”, dobbiamo “accettare il cambiamento”. Ecco, lui vorrebbe pure il Ponte sullo Stretto, per buttare altri 10miliardi oltre ai 20 spesi per l’imprescindibile trasporto di merci inesistenti alla velocità della luce da Torino a Lione e ritorno. Su e giù per il Ponte passeggeranno milioni cadaveri ambulanti, disoccupati, affamati e macilenti, ma vuoi mettere “la speranza e l’entusiasmo”. Si potrebbe affidare il tutto al consorzio Venezia Nuova, nato per costruire il Mose e finito a finanziare un romanzo di Riotta. Che deve averne pronto un altro, ambientato fra Scilla e Cariddi. Un poema in endecasillabi sciolti e rime baciate. Con gli invenduti, hai voglia: si fermano le maree.

il Fatto Quotidiano, 9 Agosto 2014

da -http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/09/riforma-del-senato-il-riottamatore/1086839


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Riforme, Zagrebelsky: La finanza comanda i governi, ...
Inserito da: Admin - Agosto 26, 2014, 06:15:33 pm
Riforme, Zagrebelsky: “La finanza comanda i governi, compreso il nostro”
Il presidente emerito della Corte costituzionale: "Sarebbe auspicabile un intervento formale di Napolitano" che ricordi come "i principi fondamentali (della Costituzione, ndr) non si possono cancellare o calpestare".
E sull'Italicum: "Mi sorprende la spudoratezza con cui i partiti trattano la legge elettorale come fosse cosa loro. Sembra che reputino gli elettori materia inerte nelle loro mani"

Di Marco Travaglio | 23 agosto 2014

Sono trascorse due settimane dall’approvazione in prima lettura, a Palazzo Madama, della riforma del Senato. Ma, prima di commentarla, il professor Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, si è preso il suo tempo. Ciò che ne pensa è noto. A marzo ha firmato l’appello di Libertà e Giustizia, di cui è presidente, contro la “svolta autoritaria” segnata dal Patto del Nazareno per il combinato disposto della riforma costituzionale e di quella elettorale (il cosiddetto Italicum), beccandosi del “gufo”, del “professorone” e del “solone”. In aprile ha guidato la manifestazione di L&G a Modena “Per un’Italia libera e onesta”. A maggio ha inviato un lungo testo con una serie di proposte alternative – pubblicato dal Fatto Quotidiano – alla ministra delle Riforme Maria Elena Boschi, che l’aveva invitato a un convegno di costituzionalisti a cui non aveva potuto partecipare: la ministra s’era impegnata a diffonderlo, ma poi non se n’è più saputo nulla. Ai primi di agosto, nel pieno delle votazioni al Senato, ha scritto un editoriale su Repubblica intitolato “La Costituzione e il governo stile executive”, in cui ha cercato di spiegare il senso di ciò che sta accadendo. Ora accetta di riparlarne con Il Fatto. A partire dal memorandum 2013 di JP Morgan che, come abbiamo scritto l’altro giorno, presenta straordinarie somiglianze con l’agenda Renzi.

Professor Zagrebelsky, che cosa l’ha colpita di più di quel documento profetico?
Prim’ancora del contenuto, del quale un po’ si è discusso, mi impressiona il fatto stesso che quel documento sia stato scritto. E che la sua esistenza non abbia suscitato reazioni. Non fa scandalo che un colosso della finanza mondiale parli di politica, istituzioni e Costituzioni come se queste dovessero rendere conto agli interessi dell’economia: rendere conto, non solo ‘tener conto’.

E’ un’intimazione neppure tanto velata ai paesi del Sud, anzi della “periferia” dell’Europa, di liberarsi delle loro Costituzioni nate “dopo i fascismi” e dunque inquinate da una dose eccessiva di “socialismo”.
Abbiamo già sentito questa storia, ripetuta anche da noi. I fascismi tentarono per via autoritaria di affermare il primato della politica sull’economia. ‘Tutto nello e per lo Stato’, dopo che lo Stato dell’Ottocento aveva visto i governi al servizio dell’economia capitalista. Le Costituzioni che si sono dati i popoli che hanno conosciuto il fascismo, le Costituzioni democratiche del dopoguerra, hanno cercato un equilibrio tra autonomia dell’economia e compiti della politica, aggiungendo l’elemento che i totalitarismi avevano disprezzato e deriso: la libertà della cultura, senza la quale economia e politica diventano oppressione e disgregazione. Questo è un punto importante. Una società equilibrata non vive solo di politica ed economia, ma anche di idee, ideali, progetti e speranze comuni. L’economia, da sola, tende all’accumulazione della ricchezza e produce una frattura fra ricchi e poveri. La politica, da sola, tende all’accumulazione del potere e crea una divisione fra potenti e impotenti. Economia e politica alleate moltiplicano gli effetti dell’una e dell’altra. La cultura libera invece può essere fattore aggregante, solidarizzante. L’elemento essenziale per la vita sociale è che ci sia equilibrio fra questi tre elementi. Le Costituzioni del dopoguerra, ma anche le grandi dichiarazioni dei diritti umani (Onu nel 1948, Convenzione europea nel 1950) hanno perseguito questo equilibrio. Il socialismo è un’altra cosa.

Eppure la nostra Costituzione non è mai stata così impopolare non solo presso JP Morgan e i poteri finanziari internazionali, ma anche presso la nostra classe politica, che infatti ne sta stravolgendo un buon terzo.
Non è un fenomeno solo italiano. Quello che accade in Italia è solo un capitolo di una vicenda mondiale. La crisi economico-finanziaria che viviamo ha portato allo scoperto la sudditanza della politica agli interessi finanziari. Una sudditanza che ormai sembra diventata un destino, perché prodotta da un ricatto al quale nessuno, pare, riesce a immaginare alternative: il ricatto del ‘fallimento dello Stato’, un concetto fino a qualche decennio fa addirittura impensabile e oggi considerato come un’ovvietà. Lo Stato si è trasformato in un’azienda commerciale che, in caso di difficoltà, prima del fallimento, può essere ‘commissariato’. I politici che rivendicano a gran voce il proprio ‘primato’ e difendono la ‘sovranità nazionale’, in realtà vogliono fare loro quello che farebbero i commissari ad acta, nominati dalla grande finanza.

Non è poi una grande novità.
La ‘finanziarizzazione’ su scala mondiale dell’economia è una novità. Che la sua dominanza sulla politica sia proclamata e pretesa con tanta chiarezza, anche questo mi pare una novità: il fatto, cioè, che una simile rivelazione avvenga senza scosse, reazioni, inquietudini. Sotto i nostri occhi velati avvengono cambiamenti profondissimi: eppure i segnali non sono mancati.

Per esempio?
Ricordo quando il premier Mario Monti spiegò (e poi corresse la formula) che ‘i governi devono educare i Parlamenti’. E i ‘governi tecnici’, e anche quelli ‘politici’ con la loro densità di banchieri e uomini di finanza nei posti-chiave, che cosa ci dicono? Quando si sente dire ‘tecnico’, bisognerebbe domandare: ‘tecnico’ di che cosa? Di idraulica, di fisica quantistica, di ingegneria elettronica? Non esiste la tecnica in sé, è sempre applicata a qualcosa. Questi governi rappresentano il mondo finanziario, con il compito di farlo funzionare indipendentemente da tutto il resto.

Se è per questo, alla vigilia delle elezioni del febbraio 2013, il presidente della Bce Mario Draghi dichiarò che non era preoccupato dall’eventuale vittoria di forze anti-finanziarie come i 5Stelle o la sinistra radicale perché “l’Italia ha il pilota automatico”.
Un altro elemento di riflessione. Questi nostri anni sono segnati da tanti puntini sparsi qua e là. Se li unissimo, vedremmo con una certa inquietudine delinearsi la figura d’insieme.

Quali puntini?
Alcuni li abbiamo detti. Nell’insieme, direi la paralisi politica che si cela dietro l’attivismo delle riforme: cioè l’arroccamento, il congelamento di un sistema di potere. Le elezioni che non cambiano nulla, e servono eventualmente solo a promuovere avvicendamenti di persone; e, quando persone da avvicendare non se ne vedono, c’è la conferma delle precedenti, come è accaduto con la rielezione del presidente della Repubblica; le ‘larghe intese’, che sono la formula dell’immobilismo; le riforme istituzionali, come quella del Senato, che hanno come finalità l’‘efficientizzazione’ (mi scuso, ma la parola non è mia) del sistema, ma non certo la sua democratizzazione; la limitazione delle occasioni elettorali; il nuovo sistema elettorale, se confermerà la decisione annunciata a favore della ‘elezione dei nominati’ dai vertici dei partiti; il silenzio totale sulla democrazia interna ai partiti. Si vedrà poi che cosa accadrà circa le misure contro la corruzione e la riforma della giustizia.

Unendo questi puntini che figura viene fuori?
E’ un bell’esercizio per i nostri lettori…

Intanto lo faccia lei per aiutarci.
L’ho già detto: il disegno è la sostituzione della politica con la tecnica dell’economia finanziarizzata. Un cambiamento epocale, che dovrebbe sollecitare un dibattito sui principi fondamentali della democrazia e una presa di posizione da parte di ciascuno, soprattutto di chi sarebbe preposto istituzionalmente a farlo. Invece niente. E badi che non sto evocando congiure o dietrologie. Sto semplicemente osservando vicende che accadono sotto i nostri occhi, magari mascherate dietro argomenti anche seri ed esigenze anche giuste – i costi della politica, la necessità di snellire, semplificare, sveltire – che però ci fanno perdere il senso generale delle cose. Non vedo persone che occupano posti di responsabilità che si pongano la domanda fondamentale: che senso ha ciò che stiamo facendo? E diano una risposta a sua volta sensata.

Io trovo preoccupante anche il fatto che quel documento di JP Morgan, oltre a esistere e a dire ciò che dice, sia diventato paro paro l’agenda di Renzi e dei suoi compagni di avventura, da Napolitano a Berlusconi.
Si tratta ben più di trasformazioni generali che piegano le volontà dei singoli, volenti o nolenti, consapevoli o inconsapevoli, che di buone o cattive intenzioni. C’è una metamorfosi di sistema, nella quale si collocano tante specifiche vicende, ciascuna dotata anche di ragioni sue proprie.

Iniziamo dal nuovo Senato.
Quando Camera e Senato sono organi pressoché identici, come i nostri padri costituenti non vollero che fossero ma come finirono poi per diventare, è naturale domandarsi che senso abbia averli entrambi. Aggiungiamo un po’ di populismo – i costi della politica – per venire incontro all’antiparlamentarismo che è una caratteristica storica dell’opinione pubblica in Italia, e il gioco è fatto. Gli abolizionisti del Senato – molti di loro almeno – abolirebbero volentieri anche la Camera dei deputati. Tutto il potere al governo: lì ci sono i ‘tecnici’ che sanno quello che fanno. Lasciamo fare a loro. Vogliamo citare Michel Foucault?

Ma sì, citiamolo.
Foucault parlava di ‘governa-mentalità’. Che non è la governabilità decisionista di craxiana memoria. E’ molto di più: è appunto una mentalità governatoriale. Il centro della vita politica non deve stare nella rappresentatività delle istituzioni, ma nell’agire degli esecutivi. Una visione molto aderente a ciò che sta accadendo: l’accento posto sul governo spiega l’insofferenza dei nostri politici, ma anche di molti cittadini nei confronti della legge, della legalità. Foucault parlò anche di “governo pastorale”. Il pastore provvede al bene del gregge caso per caso, di emergenza in emergenza: quando c’è un pericolo, quando una pecora scappa, quando il branco si squaglia. Il governo ‘governamentale’ è anche ‘provvedimentale’. Si fa le sue regole di volta in volta, a seconda delle necessità: le necessità sue e degli interessi per conto dei quali opera. Il principio di legalità anche costituzionale è contestato e depresso, non tanto in linea di principio, ma soprattutto nei fatti.

Non vorrei che lei facesse i vari Renzi, Berlusconi & C. troppo colti: questi semplicemente non vogliono controlli indipendenti, né tantomeno un Parlamento forte che gli faccia le pulci.
Può essere. Ma a me pare interessante domandarsi qual è il significato di tutto ciò. Perché è dalla consapevolezza che nascono la azioni e le reazioni dotate di senso. Poi, certo, c’è anche il fattore umano, la qualità delle persone. Quando ero giovane e insegnavo all’Università di Sassari, d’estate andavo a fare il bagno sulla spiaggia di Stintino, detta ‘La Pelosa’ per i suoi gigli selvatici. Ogni tanto ci trovavo Enrico Berlinguer con la sua famiglia. Lo ricordo quasi rattrappito nei suoi costumini lunghi e neri di lana grezza, sotto l’ombrellone, intento a leggere tabulati pieni di cifre: studiava i problemi dell’economia, i cosiddetti dossier. E non aggiungo altro…

Oltre al Senato, stanno pure riformando il Titolo V della Costituzione, quello che regola le autonomie locali.
Nella versione originaria del 1948, il Titolo V funzionava così così. Poi, grazie a decenni d’interventi e di decisioni della Corte costituzionale, si trovarono aggiustamenti. Ma nel 2000, per inseguire la Lega Nord sul terreno del federalismo, si decise di riformarlo. E, quando il centrodestra si defilò in extremis, il centrosinistra allora al governo decise di procedere comunque a maggioranza, con questa motivazione: dimostriamo che la Costituzione è riformabile con le procedure che essa stessa prevede, altrimenti rafforziamo l’idea della destra di un’Assemblea costituente. Col senno di poi, oggi che il Parlamento eletto con una legge elettorale incostituzionale sta cambiando a tappe forzate decine di articoli della Costituzione, viene da dire: magari si facesse un’Assemblea costituente, eletta – come tutte le Costituenti – col sistema proporzionale! Quello che 14 anni fa era una prospettiva allarmante, oggi sarebbe una garanzia di democrazia. Per dire come cambia in pochi anni la percezione delle cose…

Giusto dunque riformare un’altra volta il Titolo V?
La riforma della riforma ha le sue buone ragioni. Innanzitutto, la cattiva prova della riforma di 14 anni fa, che ha alimentato un contenzioso abnorme di fronte alla Corte costituzionale. Oggi si vuole ‘ricentralizzare’, dopo aver voluto, allora, decentralizzare. Schizofrenia impulsiva, francamente poco costituzionale. Colpisce il silenzio generale che avvolge questo radicale cambio di marcia: che fine han fatto tutti i tifosi del federalismo, che nell’ultimo ventennio era diventato una parola magica, una panacea per tutti i mali tanto a sinistra e al centro quanto a destra? Mi pare che neppure la Lega stia protestando contro questo ri-accentramento. Ecco, questo è un altro di quei punti che ci aiutano a tracciare il disegno generale che cancella altri spazi di democrazia. Un buon federalismo, che non moltiplichi le poltrone e i centri di spesa, ma che promuova energie dal basso, sarebbe un ottimo sistema di mobilitazione di forze sociali per uscire dalla crisi con più partecipazione, più democrazia. In fondo, la storia ci insegna che è così che si supera il crollo dei grandi sistemi di potere. Quando venne giù l’impero di Alessandro Magno, l’Ellenismo fu tutto un pullulare d’energie diffuse. Quando si sbriciolò il Sacro Romano Impero, la civiltà la trasmisero i comuni e i conventi, ancora una volta con una spinta dal basso. Ora invece si pensa di verticalizzare e accentrare. Sarà buona cosa? E, se sì, per chi?

Poi c’è la legge elettorale, l’Italicum, che riproduce le liste bloccate e il mega-premio di maggioranza del Porcellum incostituzionale, e aggiunge altissime soglie di sbarramento per tener fuori dalla Camera i partiti medio-piccoli. Così, in due mosse, un pugno di capi-partito possono piazzare i loro servitori nel Senato non più elettivo e nella Camera dei nominati.
Il capitolo della legge elettorale è davvero fondamentale. Lì si gioca il grosso della partita. Di tutte le leggi, la legge elettorale è quella che più appartiene ai cittadini e meno ai loro rappresentanti. Mi sorprende la leggerezza, direi addirittura la spudoratezza, con cui i partiti trattano questa materia, come se fosse cosa loro. Invece non lo è. Tutto dipende dai loro calcoli d’interesse. Ma la legge elettorale non appartiene a loro, ma a noi: perché ciò che ciascuno di noi è, come soggetto politico, dipende in gran parte dalla legge elettorale. Il modo in cui se ne discute fa pensare che essi considerino gli elettori materia inerte nelle loro mani.

Altro puntino: la riforma della Giustizia. Che il memorandum JP Morgan equipara alla burocrazia, auspicandone la sudditanza alle esigenze dell’economia.
Anche qui, i problemi sono molti e noti: lunghezza dei processi, tre gradi di giudizio, sacrosante garanzie che si trasformano in pretesti per impedire che si giunga mai alla fine, abuso della prescrizione in materia penale, correntismo della magistratura nel Csm, ecc. Vedremo se il governo li risolverà con soluzioni più democratiche e aperte, nel senso di confermare le garanzie d’indipendenza dei giudizi, di promuovere l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, di agevolare l’accesso alla giustizia da parte dei più deboli (i tribunali dovrebbero servire soprattutto a questo). Il punto è ancora questo: vedremo se non si risolverà in una riforma non per la giustizia, ma contro la giustizia e a favore di privilegi oligarchici.

Anche in materia giudiziaria si va verso una verticalizzazione del potere in poche mani: pensiamo alla lettera inviata dal capo dello Stato (e del Csm) a Palazzo dei Marescialli per chiudere il caso Bruti Liberati-Robledo e affermare il potere assoluto dei capi delle Procure sui singoli pm.
Su questo punto c’è un dibattito. A me pare abbia detto cose interessanti e sagge il nuovo procuratore di Torino, Armando Spataro, nel suo discorso di insediamento, quando ha affermato con forza il ruolo del procuratore della Repubblica come coordinatore di un ufficio plurale, nel rispetto dell’autonomia funzionale dei singoli magistrati.

Vedo che, anche su questo punto, lei condivide l’appello lanciato dal Fatto Quotidiano contro la svolta autoritaria. Perché non l’ha firmato?
Non per questioni di merito, ma di metodo. Un po’ perché mi ha stancato l’accusa di firmaiolo. Ma soprattutto perché credo più produttivo cercare di seminare dubbi, ragionamenti e osservazioni critiche fra quei tanti parlamentari di tutti gli schieramenti che hanno votato obtorto collo la riforma del Senato. La logica degli appelli e dei manifesti crea una contrapposizione che aiuta il radicalismo ottuso di chi poi dice: facciamo le riforme costi quel che costi, anche per dimostrare che chi non ci sta non conta niente. E così si elimina ogni spazio di discussione e di confronto.

Ma questa contrapposizione è nata ben prima del nostro appello: lei s’è preso del gufo, del solone e del professorone fin da marzo, quando firmò con Rodotà e altri giuristi il manifesto sulla svolta autoritaria.
Lo so bene, ma in Parlamento non ci sono soltanto i ministri e i loro fedelissimi. Quelli che non hanno avuto il coraggio di prendere le distanze hanno subìto il clima di contrapposizione ‘o di qua o di là’ che si è venuto a creare. Ma non ritengono affatto chiusa la partita e dicono: stiamo facendo cose che siamo costretti a fare. Ma l’iter della riforma è appena iniziato, la gran parte è ancora da percorrere e molto può ancora succedere. In questa fase, credo più utili le critiche e le proposte alternative.

Quando lei ha inviato le sue alla Boschi, questa anziché renderle note e discuterle nel merito le ha imboscate in un cassetto.
Può darsi che non meritassero attenzione. In ogni caso, ormai ero già stato iscritto d’ufficio al partito dei gufi che vogliono l’immobilismo e che dovevano essere sbaragliati per evitare la sconfitta del governo.

Lei sembra dimenticare che, su Senato e Italicum, Renzi e Berlusconi hanno siglato un patto d’acciaio e segreto al Nazareno il 18 gennaio, e di lì non si spostano.
Sì, ma è un accordo di vertice. Nel ventre dei partiti ci sono tanti mal di pancia.

In ogni caso il nostro appello serve anche a mobilitare i cittadini in vista del referendum confermativo.
Questa è una storia che si aprirà successivamente, se sarà necessario. Quel che è certo è che, con questi numeri in Parlamento, la riforma non otterrà i due terzi. Dunque il referendum confermativo sarà possibile come diritto dei cittadini previsto dalla Costituzione, non come ‘chiamata a raccolta’ plebiscitaria promossa dalle forze governative. Che sarebbe un abuso, come già avvenne al tempo della riforma del Titolo V su iniziativa, quella volta, del centrosinistra. Il governo e la maggioranza che promuovono il referendum sulle proprie riforme è il mondo alla rovescia.

Visto quel che è accaduto al Senato, mi sa che lei si illude.
Sa, io sono un vecchio gufo che appartiene all’altro secolo, anzi all’altro millennio, al tempo delle Costituzioni democratiche del Meridione, anzi della ‘periferia’ d’Europa… E rimango legato a principi fondamentali che rappresentano conquiste del costituzionalismo. Per questo mi auguro che chi svolge la funzione di garante supremo della Costituzione sia fermo nel difenderli.

Spera in un intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano?
Anche in vista di un rasserenamento e di un temperamento delle tensioni, dopo gli allarmi che abbiamo e avete lanciato e dopo gli scontri durissimi avvenuti in Senato, chiedo se non sarebbe auspicabile una presa di posizione formale che dica più o meno così: ‘La Costituzione non è un testo sacro: può essere sottoposta a modifiche, tant’è che essa stessa ne prevede le forme attraverso l’articolo 138. Ma, in quanto garante di questa Costituzione – quella del 1948 – ricordo che esistono dei limiti a ciò che si può fare e che determinano ciò che non si può fare: princìpi fondamentali che non possono essere cancellati o calpestati’.

Quali?
La rappresentanza democratica, la centralità del Parlamento, l’autonomia della funzione politica, la legalità intesa come legge uguale per tutti, l’indipendenza della magistratura e così via: i fondamenti del costituzionalismo. Non ultimo, il rispetto della cultura.

Renzi & C. hanno già annunciato che tireranno diritto, “piaccia o non piaccia”.
Sì. E in effetti l’espressione ‘piaccia o non piaccia’ fa sorridere, se non piangere. La democrazia, a differenza dell’autocrazia, richiede a chi è chiamato a prendere decisioni di ‘andar persuadendo’. Bella espressione: così dice Pericle in un memorabile dialogo con Alcibiade, raccontato da Senofonte. Prima si discute, e solo alla fine della discussione la decisione viene presa in base ai voti. ‘Il piaccia o non piaccia’ posto all’inizio – ripeto – non è democrazia, ma autocrazia.

Sta di fatto che nessuno sembra scandalizzarsi neppure per la promozione di un pregiudicato, interdetto dai pubblici uffici e affidato ai servizi sociali, a padre costituente.
Questo, come il conflitto d’interessi, è uno di quei problemi enormi che nessuno osa più sollevare. Purtroppo sono argomenti che si logorano ripetendoli.

Resta l’anomalia di una riforma costituzionale fatta in fretta e furia alla vigilia di Ferragosto, con forzature regolamentari e tempi contingentati dallo stesso presidente del Senato.
Guardi, questa storia è tutta un’anomalia. Il fatto che l’iniziativa di riformare la Costituzione non parta dal Parlamento, ma dal governo. Il fatto che il governo ponga una sorta di questione di fiducia, anzi, per dir così, di mega-fiducia perché accompagnata dalla minaccia non delle dimissioni per dar luogo a un altro governo, ma addirittura dello scioglimento delle Camere per fare piazza pulita e tornare a votare. Il fatto che una componente del Senato abbia scelto (dovuto scegliere, secondo il proprio punto di vista) la via estrema dell’ostruzionismo e a questo si siano opposte ‘tagliole’ e ‘canguri’. Tutta un’anomalia che è l’esatto contrario di un clima costituente. C’è il fatto, poi, che il ddl contenga una norma che impone alle Camere di votare (spero non anche di approvare!) i disegni di legge del governo entro e non oltre 60 giorni. Ecco, questi sono altri punti da congiungere, tutti elementi della ‘governa-mentalità’ di cui dicevamo.

Senza contare il presidente della Repubblica, che sollecita continuamente riforme-lampo perché pare che voglia dimettersi al più presto.
Ma sa, nella Costituzione c’è un solo organo a durata variabile: il governo. Tutti gli altri hanno una durata fissa, e quella del capo dello Stato è di sette anni. Ecco un altro punto. Il presidente Napolitano, al momento della rielezione, ha aderito alla supplica di chi si trovava nell’impasse e ogni altro nome plausibile, da Romano Prodi a Stefano Rodotà, era stato ‘bruciato’ (non sappiamo ancora da chi e perché). Tuttavia, egli stesso dichiarò allora che la sua permanenza al Quirinale sarebbe stata ‘a tempo’. La prima volta nella storia repubblicana. Questo fatto, avvicinandosi il momento delle più volte annunciate dimissioni, sta creando il pericolo di un ingorgo istituzionale, di una contrazione anomala dei tempi e di una generale instabilità.

In un quadro, però, di immutabilità del sistema di potere.
Beh, questo è il modo tutto italiano di uscire dalle crisi di sistema. Lo stesso che è alla base dell’attuale governo: il massimo dell’innovazione di facciata per non cambiare nulla nella sostanza, o ossificare quello che già c’era.

da Il Fatto Quotidiano del 22 agosto 2014

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/23/riforme-zagrebelsky-la-finanza-comanda-i-governi-compreso-quello-di-renzi/1096613/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Processo Ruby: avevamo ragione noi
Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2014, 05:15:48 pm
Processo Ruby: avevamo ragione noi
di Marco Travaglio | 17 ottobre 2014

Il 18 luglio, quando la II Corte d’appello di Milano assolse B. nel processo Ruby perché la concussione “non sussiste” e la prostituzione minorile “non costituisce reato”, la disinformatija all’italiana diede il meglio di sé raccontando che dunque la Procura s’era inventata decine di prostitute, minorenni e non, nelle varie dimore del premier; e s’era sognata le sue telefonate notturne dal vertice internazionale di Parigi per buttare giù dal letto il capo di gabinetto della Questura, Pietro Ostuni, e far rilasciare la minorenne fermata per furto Karima El Mahroug (spacciata per nipote di Mubarak) nelle mani di Nicole Minetti e della collega Michelle Conceiçao contro il parere del pm minorile Annamaria Fiorillo

Nessuno, a parte il Fatto e l’avvocato Coppi, osò ricordare che il 6 novembre 2012 Pd e Pdl avevano approvato la legge Severino, detta comicamente “anticorruzione”, che spacchettava la vecchia concussione (per costrizione o per induzione, non faceva differenza) in due diversi reati: concussione (nel solo caso della costrizione) e l’induzione indebita a dare o promettere utilità (nei casi più lievi), proprio mentre ne erano imputati B. e Penati. Il Fatto spiegò, prim’ancora che uscisse la sentenza, in un pezzo di Marco Lillo, che fino al 2012 bastava che un pubblico ufficiale ottenesse soldi o favori da qualcuno, costringendolo con violenze o minacce o inducendolo con lusinghe o timori riverenziali , profittando della sua posizione, per far scattare il reato di concussione. Dal 2012 non più: nel caso di induzione, come stabilito dalle sezioni unite della Cassazione, bisogna anche dimostrare che l’indotto (non più vittima, ma complice dell’inducente) ha ricavato un “indebito vantaggio” dal suo cedimento. Cioè, nel caso Ruby, perché B. rispondesse di induzione, va provato che Ostuni abbia ceduto alle sue richieste in cambio di vantaggi indebiti. E, siccome Ostuni non ne ha avuti, la nuova legge salva B.

Il Tribunale aveva tagliato la testa al toro, condannandolo a 6 anni (più uno per la prostituzione minorile) per concussione per costrizione. Mossa azzardata, visto che le telefonate di B. da Parigi non contengono violenze o minacce: è il tipico caso dell’induzione, come ha ritenuto la Corte d’appello, che però non ha potuto condannarlo per il nuovo reato per mancanza di vantaggi ingiusti per Ostuni. Il 18 luglio, in un dibattito su La7, tentai di spiegarlo a Giuliano Ferrara, che gabellava l’assoluzione per un colpo di spugna su tutti i fatti dimostrati dal processo (e, già che c’era, anche da tutti i processi degli ultimi 22 anni, da Tangentopoli in poi). Lui, per tutta risposta, si mise a sbraitare, si alzò e se ne andò. L’indomani i giornali fecero a gara nel distrarre l’attenzione dal vero nodo della sentenza: che era strettamente giuridico per la nuova legge, e non inficiava minimamente i fatti ampiamente assodati.

Libero titolava: “La puttanata è il processo. Chi paga ora per le intercettazioni, i costi, le ragazze alla sbarra, la caduta del governo?”. E tal Borgonovo ridacchiava dei “manettari” e “rosiconi”, “da Lerner a Travaglio”, che hanno “già emesso la sentenza per ideologia e invocano la gogna per Silvio”. Il Giornale dell’imputato chiedeva che qualcuno “pagasse” per il presunto errore giudiziario e addirittura “chiedesse scusa” al padrone puttaniere. Sallusti ringraziava l’amico Renzi per “aver tenuto aperta la porta al condannato” e scatenò i suoi segugi a caccia dei “mandanti ed esecutori” del “colpo di Stato”. Zurlo sfotteva Merkel e Sarkozy che “ridevano sulle nostre disgrazie”: come se ridessero per il bungabunga.

La Stampa dava un annuncio trionfale: “È finita la guerra dei vent’anni”. Persino Repubblica titolava sulla “rivincita di Berlusconi”, relegando in poche righe la chiave del verdetto: la modifica del reato, frutto dell’oscena legge Severino. Sul Corriere il solito giurista per caso Pigi Battista attaccava chi “ha mischiato vicende giudiziarie e vicende politiche” e “fatto il tifo per una sentenza che liquidasse l’avversario”, ignaro del fatto che la Severino l’aveva votata il Pd assieme a B.

E concludeva: “Finalmente il dibattito politico si libera dal peso di un incubo giudiziario: il percorso delle riforme istituzionali può procedere speditamente” perché “questa sentenza può contribuire a sancire la definitiva separazione tra la storia politica e quella giudiziaria in un Paese che nella guerra totale tra politica e magistratura ha conosciuto la sua maledizione”. Anche i veri giuristi, come Carlo Federico Grosso, si affrettavano a difendere la povera collega Severino ingiustamente calunniata, sostenendo che la sua legge non c’entrava: altrimenti la Corte avrebbe assolto B. “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” (in realtà è ancora previsto, ma è impossibile punirlo grazie al trucchetto del vantaggio indebito per l’indotto).

Chissà come la mettono questi signori dinanzi alle motivazioni della sentenza che confermano tutti i fatti – eticamente e politicamente gravissimi – già accertati dai pm. C’è la “prova certa dell’esercizio di attività prostitutiva ad Arcore in occasione delle serate in cui partecipò Karima El Mahroug” che si “fermò a dormire almeno due volte” a Villa San Martino, con l’“effettivo svolgimento di atti di natura sessuale retribuiti” (anche se non c’è prova sufficiente che B. sapesse che Ruby era minorenne ai tempi delle “cene eleganti”, mentre lo sapeva quando chiamò la Questura).

È certo che B. “aveva un personale e concreto interesse” a ottenere che Ruby venisse affidata alla Minetti perché “preoccupato” che facesse “rivelazioni compromettenti”. Dunque “indusse” Ostuni&C. ad aggirare gli ordini del pm Fiorillo, che insisteva per l’affidamento in una comunità. E Ostuni, in preda a “timore riverenziale”, cedette a quell’abuso di potere (“è sicuramente accertato che l’imputato, la notte del 27-28 maggio 2010, abusò della sua qualità di presidente del Consiglio”). Che fino al 2012 era concussione per induzione. Ma ora non più. Non è più concussione (“l’abuso della qualità e condizione necessaria, ma non sufficiente a integrare il reato , richiedendo la norma incriminatrice che esso si traduca in vera e propria costrizione… mediante minaccia”).

E non è neppure induzione, perché “manca nella fattispecie in esame un requisito essenziale dell’abuso induttivo: l’indebito vantaggio dell’extraneus” , cioè di Ostuni, in quanto “il nuovo reato” “richiede necessariamente il concorso di due soggetti: il pubblico ufficiale inducente (B., ndr)e l’extraneus (Ostuni, ndr) opportunisticamente complice del primo”. Il primo c’è, il secondo no. Dunque il primo è salvo: “mancando la condizioni per una riqualificazione dei fatti in una diversa ipotesi di reato”, alla Corte d’appello non resta che “assolvere l’imputato dal delitto ascrittogli perché il fatto non sussiste”. Cioè sussisteva quando fu commesso, ma poi l’imputato e i suoi presunti avversari l’hanno reso impunibile. E ora chi paga e chiede scusa per tutte le balle che ha raccontato?

Il Fatto Quotidiano, 17 ottobre 2014

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/17/processo-ruby-avevamo-ragione-noi/1158741/


Titolo: Marco Travaglio Quirinale, il giorno della memoria. Corta
Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2015, 07:51:23 am
Speciale Quirinale
Quirinale, il giorno della memoria. Corta

Di Marco Travaglio
29 gennaio 2015

Camera - elezione Presidente della Repubblica Italiana Il minimo che si dovrebbe fare, prima di lanciare la candidatura di Tizio o Caio alla più alta carica dello Stato, è informarsi bene sul suo curriculum, i suoi trascorsi e quelli della sua famiglia, onde evitare di ritrovarsi un presidente imbarazzante, o addirittura ricattabile, per i più svariati motivi. Non solo penali, ma anche morali, politici o semplicemente di inopportunità.  La logica che invece sembra ispirare il caravanserraglio delle consultazioni e delle candidature usa e getta di questi giorni è esattamente quella opposta: non si butta via niente.

Di Amato abbiamo già detto tutto: il fatto che continui a essere tra i favoriti la dice lunga sulla scriteriata superficialità dei politici che contano e che la memoria storica o non ce l’hanno o l’hanno azzerata con un clic sul reset. Per la Finocchiaro, a parte tutto il resto, dovrebbe bastare il marito sotto processo per truffa e abuso d’ufficio.

Del giudice costituzionale Sergio Mattarella abbiamo ricordato la fama di persona perbene (come quella del fratello Piersanti, assassinato da Cosa Nostra) e l’assoluzione per finanziamento illecito, ma anche la confessione di aver accettato un contributo elettorale da Filippo Salamone, universalmente noto in Sicilia come il costruttore di Cosa Nostra.
Siccome poi, per il capo dello Stato, conta anche la reputazione della famiglia (ne sa qualcosa la buonanima di Leone), non si possono dimenticare le ombre sul defunto padre Bernardo, ras della Dc siciliana nel Dopoguerra; e neppure quelle più recenti che hanno coinvolto il fratello Antonino, indagato negli anni 90 a Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione mafiosa col cassiere della banda della Magliana Enrico Nicoletti, per una speculazione su una decina di alberghi a Cortina: inchiesta poi archiviata nel 1996 per mancanza di prove sulla provenienza illecita del denaro, con coda di polemiche anche in Parlamento.
Completano il quadretto famigliare il nipote Bernardo, figlio di Piersanti, deputato regionale in Sicilia, ora indagato per peculato sui rimborsi regionali; e il figlio di Sergio, Bernardo Giorgio, allievo di Sabino Cassese, docente di Diritto amministrativo a Siena e alla Luiss nonché capo dell’ufficio legislativo della Funzione pubblica al ministero della PA, accanto a Marianna Madia: il suo compenso di 125 mila euro l’anno ha sollevato qualche malignità.

La sindrome della memoria corta contagia anche i 5Stelle, che presentano una serie di candidati di prim’ordine alle Quirinarie. Ma portano in palmo di mano Ferdinando Imposimato. Che, per carità, è una persona simpatica e onesta, un ex giudice valoroso, un ex parlamentare Pci-Pds molto vicino anche al Psi, ma anche protagonista di incredibili attacchi contro il pool di Milano ogni volta che metteva le mani su qualche ladro socialista.

Quando Borrelli, il 30-4-1993, annunciò il conflitto d’attribuzioni contro la Camera che aveva negato l’autorizzazione a procedere su Craxi, Imposimato disse che non poteva farlo e tuonò: “Borrelli continui a fare il magistrato, non faccia politica, non interferisca sulla volontà del Parlamento”. Nel ‘96, tornato in Cassazione, difese il pm romano Ciccio Misiani che dava consigli a Renato Squillante poco prima dell’arresto di quest’ultimo (era sul libro paga di Previti): “Ho apprezzato molto Misiani, anch’io avrei dato quei consigli a Squillante, un uomo dal quale ho imparato molto” (Corriere, 14-3-1996). E nove giorni dopo, non contento, si fece intervistare dal Giornale per chiedere la scarcerazione di Squillante e accusò il pm di violare la legge sulla custodia cautelare: “Di questo passo la gente penserà che le inchieste abbiano scopi politici”. L’11-7 aggiunse: “Le cose fatte da Di Pietro meritavano il trasferimento per incompatibilità ambientale, ma c’era timore reverenziale verso tutto il pool”. Poi si ricandidò con gli ex craxiani dello Sdi.
Ma che ci azzecca Imposimato con i 5Stelle e il Quirinale?

Il Fatto Quotidiano, 29 gennaio 2015
Di Marco Travaglio | 29 gennaio 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/29/quirinale-il-giorno-della-memoria-corta/1379757/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-01-29


Titolo: Good Bye, Marco! Marco Travaglio al convegno "Partiti per le tangenti"
Inserito da: Admin - Agosto 09, 2015, 11:02:50 am
Good Bye, Marco!
Dal giornale   
Marco Travaglio al convegno "Partiti per le tangenti",

Milano, 20 ottobre 2014.

 ANSA/DANIEL DAL ZENNARO   

Lasciamolo tranquillo nel suo immaginario. Non svegliamolo, ci piace così. Altrimenti domattina farebbe il ControFatto Quotidiano e chissà, diventerebbe più renziano di Renzi

Marco Travaglio deve aver passato giorni difficili, magari un paio di notti insonni, e deve aver digerito proprio male il nostro nuovo giornale. Gli sono andate anche di traverso le due pagine sulle Feste de l’Unità con il ministro Maria Elena Boschi, e così ha dedicato il suo editoriale di ieri sul Fatto Quotidiano alla vivisezione del resoconto, immaginiamo scritto a distanza di sicurezza dall’articolo come faceva il medico della peste utilizzando il becco d’uccello di fronte al paziente.

Il risultato della vivisezione mi fa venire in mente una storia tenerissima. Ricordate Good Bye, Lenin! nel senso del film di qualche anno fa sulla Berlino Est, durante e post guerra fredda? C’è la povera Christiane, tranquilla madre di famiglia comunista, che va in coma e lascia i figli Alex e Ariane nello sconforto assoluto. Quando si risveglia, ormai il suo mondo è cambiato per sempre: il Muro è crollato sbriciolando quarant’anni di dittatura hard e, per evitarle l’impatto psicologico con la realtà, ritenuto fatale dai medici, figli, amici e vicini di casa le ricostruiscono il set della normalità DDR nella sua stanza da letto: cimeli, prodotti di consumo, giornale di partito e persino telegiornali d’epoca fatti in casa. La costruzione della realtà virtuale, della fiction del tempo che fu, della nottata che non deve passare mai, della speranza ultima a morire di poter continuare a vivere nel piccolo mondo antico e nella più rassicurante delle illusioni.

Bene, il sequel si adatterebbe a Travaglio. Lo immaginiamo rilassato nella sua stanza di direttore, nella patologia della coazione a ripetere la più totale sfiducia in tutte le cose positive e sorprendenti che nel frattempo sono accadute e stanno accadendo in questo Paese, confondendo i suoi desideri con la realtà. Purtroppo per lui, accadono nonostante le sue tirate, i suoi diktat e le sue sentenze di carta. Secondo il suo personale calendario mitologico, che nessuno del suo cerchio magico osa aggiornare, oggi sarebbe il 6 marzo del 1953, il giorno in cui l’Unità in effetti titolò: «Stalin è morto. Gloria eterna all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e il progresso dell’umanità».

Nel frattempo sono passati 62 anni; l’Italia si è risvegliata, da poco ma si è risvegliata; le riforme finalmente si fanno, nonostante i suoi editoriali lacrime e sangue; la nuova Unità è ricomparsa sulla scena; il mondo è molto cambiato; il Pd governa tre quarti buoni d’Italia e gli elettori non seguono i suoi annunci funebri; il Paese si sblocca anche se dalla sua palla di vetro vede solo la rincorsa al peggio; le Feste de l’Unità sono gettonatissime, ma per l’aristocratico collega è roba da teatranti da quart’ordine e guai a scrivere di migliaia (sì caro, migliaia) di volontari; i figli sono cresciuti e io continuerò a scrivere un letterario «aivoglia» quando e come mi pare e senza l’acca, pur sapendo che da prestigioso neoaccademico della Crusca, Travaglio non perdona, e dunque mi aspetto il secondo editto.

Lasciamolo tranquillo nel suo immaginario. Non svegliamolo, ci piace così. Altrimenti domattina farebbe il ControFatto Quotidiano e chissà, diventerebbe più renziano di Renzi.
Lasciamolo tranquillo nel suo immaginario. Non svegliamolo, ci piace così. Altrimenti domattina farebbe il ControFatto Quotidiano e chissà, diventerebbe più renziano di Renzi

Marco Travaglio deve aver passato giorni difficili, magari un paio di notti insonni, e deve aver digerito proprio male il nostro nuovo giornale. Gli sono andate anche di traverso le due pagine sulle Feste de l’Unità con il ministro Maria Elena Boschi, e così ha dedicato il suo editoriale di ieri sul Fatto Quotidiano alla vivisezione del resoconto, immaginiamo scritto a distanza di sicurezza dall’articolo come faceva il medico della peste utilizzando il becco d’uccello di fronte al paziente.

Il risultato della vivisezione mi fa venire in mente una storia tenerissima. Ricordate Good Bye, Lenin! nel senso del film di qualche anno fa sulla Berlino Est, durante e post guerra fredda? C’è la povera Christiane, tranquilla madre di famiglia comunista, che va in coma e lascia i figli Alex e Ariane nello sconforto assoluto. Quando si risveglia, ormai il suo mondo è cambiato per sempre: il Muro è crollato sbriciolando quarant’anni di dittatura hard e, per evitarle l’impatto psicologico con la realtà, ritenuto fatale dai medici, figli, amici e vicini di casa le ricostruiscono il set della normalità DDR nella sua stanza da letto: cimeli, prodotti di consumo, giornale di partito e persino telegiornali d’epoca fatti in casa. La costruzione della realtà virtuale, della fiction del tempo che fu, della nottata che non deve passare mai, della speranza ultima a morire di poter continuare a vivere nel piccolo mondo antico e nella più rassicurante delle illusioni.

Bene, il sequel si adatterebbe a Travaglio. Lo immaginiamo rilassato nella sua stanza di direttore, nella patologia della coazione a ripetere la più totale sfiducia in tutte le cose positive e sorprendenti che nel frattempo sono accadute e stanno accadendo in questo Paese, confondendo i suoi desideri con la realtà. Purtroppo per lui, accadono nonostante le sue tirate, i suoi diktat e le sue sentenze di carta. Secondo il suo personale calendario mitologico, che nessuno del suo cerchio magico osa aggiornare, oggi sarebbe il 6 marzo del 1953, il giorno in cui l’Unità in effetti titolò: «Stalin è morto. Gloria eterna all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e il progresso dell’umanità».

Nel frattempo sono passati 62 anni; l’Italia si è risvegliata, da poco ma si è risvegliata; le riforme finalmente si fanno, nonostante i suoi editoriali lacrime e sangue; la nuova Unità è ricomparsa sulla scena; il mondo è molto cambiato; il Pd governa tre quarti buoni d’Italia e gli elettori non seguono i suoi annunci funebri; il Paese si sblocca anche se dalla sua palla di vetro vede solo la rincorsa al peggio; le Feste de l’Unità sono gettonatissime, ma per l’aristocratico collega è roba da teatranti da quart’ordine e guai a scrivere di migliaia (sì caro, migliaia) di volontari; i figli sono cresciuti e io continuerò a scrivere un letterario «aivoglia» quando e come mi pare e senza l’acca, pur sapendo che da prestigioso neoaccademico della Crusca, Travaglio non perdona, e dunque mi aspetto il secondo editto.

Lasciamolo tranquillo nel suo immaginario. Non svegliamolo, ci piace così. Altrimenti domattina farebbe il ControFatto Quotidiano e chissà, diventerebbe più renziano di Renzi.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/good-bye-marco/


Titolo: Marco TRAVAGLIO Quirinale, “così Giorgio Napolitano ha sabotato il governo Prodi
Inserito da: Arlecchino - Settembre 22, 2015, 06:22:06 pm
Quirinale, “così Giorgio Napolitano ha sabotato il governo Prodi”
Ecco l'anticipazione di un capitolo del libro "Viva il Re!" di Marco Travaglio (ed. Chiarelettere).
L'ex ministro dell'Economia Padoa-Schioppa ha scritto in un diario i retroscena della crisi dell'ultimo esecutivo di centrosinistra.
Il Capo dello Stato "detestava il bipolarismo e perseguiva un suo disegno politico": ha contribuito a "logorare" il Professore e ad "accelerarne la caduta"

Di Marco Travaglio | 5 dicembre 2013

La storia del secondo governo Prodi ha un doppiofondo segreto. In quei 722 giorni di calvario, il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa – di gran lunga il miglior elemento della compagine – matura la convinzione che Napolitano abbia fatto di tutto per indebolire, logorare, talora boicottare l’esecutivo dell’Unione. E lo scrive in alcune pagine del suo diario che l’autore di questo libro – in alcuni colloqui avuti con lui nella sua casa romana fra il 2009 e il 2010 fino a poche settimane prima della sua improvvisa scomparsa (il 18 dicembre 2010) – ha avuto il privilegio di poter leggere, discutere e annotare nelle parti più significative e attuali. Ma ha deciso di non riportarle testualmente per rispetto della volontà dei familiari, che decideranno liberamente se e quando rendere pubblici quegli scritti.

Siamo nell’autunno del 2006. Dopo la turbolenta estate dell’indulto, a fine agosto il governo ha inviato truppe italiane in Libano per la missione Unifil, mentre è iniziato il ritiro dei militari dall’Iraq. Il 7 settembre il dipietrista Sergio De Gregorio (corrotto – come confesserà lui stesso nel 2012 – da Berlusconi) è passato al centrodestra, privando l’Unione del suo unico voto di scarto al Senato e rendendo decisivi i senatori a vita (…). In questo clima – annota il ministro – il 18 ottobre Napolitano invita a pranzo Prodi, lo stesso Padoa-Schioppa ed Enrico Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. E lì fa il “pompiere incendiario”, lo “stabilizzatore destabilizzante”, come lo definisce il titolare dell’Economia. Paventa il “rischio” che Prodi ponga la fiducia. Si fa portavoce di tutte le critiche al governo. Insomma – ricorda Padoa-Schioppa – “soffia sul fuoco anziché spegnerlo”. L’indomani i giornali, opportunamente sensibilizzati, scrivono che Napolitano ha “bacchettato” Prodi e il suo ministro. Il 20 dicembre, nella cerimonia al Quirinale per gli auguri natalizi alle alte cariche dello Stato, Napolitano parla della legge finanziaria – ricorda Padoa-Schioppa – in chiave quasi esclusivamente critica su due punti: la dimensione “abnorme” del testo della manovra e del maxiemendamento e l’uso della fiducia. Segue il solito monito per “soluzioni condivise con l’opposizione”.

Il Quirinale al lavoro contro il centrosinistra. Il 21 febbraio 2007, dopo meno di un anno di vita, il governo Prodi è già in crisi. La maggioranza, divisa sulle coppie di fatto, sul rifinanziamento della missione militare in Afghanistan, sul raddoppio della base americana di Vicenza, “va sotto” al Senato sulla risoluzione che deve approvare la politica estera del ministro D’Alema: soltanto 158 Sì (su un quorum di 160) contro 136 No e 24 astenuti (decisivi i neocomunisti Fernando Rossi e Franco Turigliatto). Prodi sale subito al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani di Napolitano. L’indomani – annota Padoa-Schioppa nel suo diario – Prodi torna al Quirinale e lì Napolitano chiede garanzie preventive sui “numeri al Senato” in vista della fiducia e del voto sull’Afghanistan. Pare che il capo dello Stato non gradisca una maggioranza che si regga sui senatori a vita, come se questi fossero figli di un dio minore. Il ministro dell’Economia è sconcertato: il voto si fa in Parlamento, non al Quirinale, e sarebbe ora di finirla con il malvezzo delle “crisi extraparlamentari” da Prima Repubblica.

Il 24 febbraio, previe consultazioni informali con i partiti, Napolitano respinge le dimissioni di Prodi e lo rinvia alle Camere per il voto di fiducia. Nessuno – a parte chi gli parla in privato – sa che il presidente sta segretamente lavorando con personali “esplorazioni” a un’altra maggioranza, al momento però invano. Quale maggioranza? Il solito inciucio di larghe – o almeno più larghe – intese. Una posizione che Padoa-Schioppa definisce “inquietante”. Così come il comunicato del Colle, che pretende una maggioranza “politica”: un altro cedimento alla tesi del centrodestra, che vorrebbe escludere i senatori a vita dal voto. Il che, ricorda l’ex ministro, induce il povero Ciampi a disertare le sedute del Senato ogni volta che è in gioco la sopravvivenza del governo (invece Rita Levi-Montalcini, spesso volgarmente insultata dai banchi della destra, è quasi sempre presente, e votante).

Il 28 febbraio il governo ottiene la fiducia a Palazzo Madama (162 Sì, 157 No), anche grazie al passaggio di Marco Follini dall’Udc al centrosinistra. Il 3 marzo si replica a Montecitorio (342 Sì, 253 No e 2 astenuti). La crisi è rientrata. Almeno per ora. Qualche mese di relativa calma. Poi il 12 luglio Napolitano torna a polemizzare con Prodi e Padoa-Schioppa a proposito di un emendamento inserito dal governo in un decreto già approvato e in fase di conversione in legge in Parlamento. Il presidente rivendica per sé un diritto di veto sul potere legislativo molto discutibile, almeno per il ministro dell’Economia. Che non riesce a comprendere come possa il capo dello Stato pretendere di sindacare sull’urgenza dei provvedimenti del governo, visto che questa è una valutazione squisitamente “politica”, che spetta al Consiglio dei ministri e al Parlamento, non al capo dello Stato. Il che vale, a maggior ragione, per il giudizio sugli emendamenti, governativi e parlamentari: di che si impiccia Napolitano?

Il braccio di ferro fra Palazzo Chigi e ministero dell’Economia da una parte e Quirinale dall’altra, pur non trapelando quasi mai sulla stampa, prosegue sotterraneamente su altre questioni di fondo. Padoa-Schioppa continua a pensare che Napolitano si assuma compiti non suoi, debordando dai suoi poteri costituzionali. Come quando considera antidemocratico qualsiasi atto e riforma del governo che non sia stato preventivamente “concordato” con l’opposizione. Cioè con Berlusconi. È una malintesa forma di garanzia presidenziale all’opposizione con l’ossessiva ricerca di una “pacificazione”. Che però – osserva l’ex ministro – “porta il presidente a chiedere molto di più alla maggioranza che all’opposizione”, visto che “le prevaricazioni vengono dall’opposizione, non dalla maggioranza”. Padoa-Schioppa si domanda perché Napolitano faccia così. E si risponde che forse è perché è stato eletto solo dal centrosinistra. O forse perché è divorato da un’ansia di “popolarità”: insomma vorrebbe essere come Pertini, o almeno come Ciampi. Ma Pertini e Ciampi erano popolari fra la gente, mentre l’attuale presidente cerca consensi soprattutto nel Palazzo, tra i partiti, da vero “professionista della politica”. Inoltre, la lunga appartenenza a un partito di opposizione, il Pci, lo porta a pensare che le opposizioni abbiano sempre una sorta di “diritto di veto” sulle scelte della maggioranza.

“Un disegno politico da Prima Repubblica anti-bipolarismo”. Ma soprattutto – ripete spesso Padoa-Schioppa nei nostri colloqui – “Napolitano detesta il bipolarismo e persegue un suo disegno politico”, quello svelato nella breve crisi del febbraio 2007: quello di un governo di larghe intese che eliminerebbe l’alternanza fra destra e sinistra e scipperebbe agli elettori il diritto di scegliere da chi essere governati, per rimetterlo nelle mani delle segreterie dei partiti. Come nella Prima Repubblica, che rimane l’unico orizzonte di Napolitano. Ma anche – osserva malizioso l’ex ministro – “come in Unione Sovietica”: “il governo lo sceglie il partito (o i partiti) e non il popolo”. Peccato che la Costituzione dica tutt’altro. E che ciò metta in pericolo la democrazia italiana, specie se all’opposizione c’è Berlusconi. Che, come spesso è accaduto nella storia della conquista del potere dei partiti comunisti nel XX secolo, punta a entrare in larghe coalizioni da posizioni di minoranza, per poi prendersi la maggioranza.

Il 16 luglio dal ministero dell’Economia parte per il Quirinale una nota critica sulla posizione di Napolitano in materia di decreti urgenti e di emendamenti durante l’iter parlamentare (…) “perché introduce di fatto un filtro più fine di quello fissato dalla Corte costituzionale”, cioè si attribuisce “una valutazione e una responsabilità squisitamente politiche, che invece dovrebbero restare prerogative del governo e del Parlamento”.

Il 7 ottobre Padoa-Schioppa, in un’intervista al Tg1, difende il ricorso alla fiducia da parte del governo Prodi. Due giorni dopo Napolitano gli scrive una lettera “privata” per esprimere un dissenso politico e istituzionale: quasi che l’uso della fiducia vada contro la Costituzione. Il ministro rimane di sasso, anche perché la fiducia è prevista dalla prassi parlamentare e costituzionale, specie quando un governo si regge su una maggioranza così risicata. È l’ennesimo bastone fra le ruote di un governo che, già di suo, barcolla. Ripensando a quei fatti nel 2009-2010, l’ex ministro commenterà con amarezza il fatto che il Quirinale abbia poi concesso a Berlusconi ciò che aveva negato a Prodi: il via libera ai continui ricorsi alla fiducia, nonostante l’amplissima maggioranza di cui nel 2008-2010 gode il centrodestra in entrambi i rami del Parlamento (contrariamente all’Unione nel 2006-2008). L’abuso della fiducia parlamentare, come vedremo, proseguirà nel silenzio-assenso del Quirinale anche sotto i governissimi di Monti e di Letta jr.

Intanto, nell’estate del 2007, è esploso il caso del generale Roberto Speciale, dal 2003 comandante generale della Guardia di finanza, nominato dal governo Berlusconi. Nel luglio del 2006 il viceministro dell’Economia, Vincenzo Visco, gli ordina di avvicendare quattro ufficiali del corpo, praticamente l’intera catena di comando a Milano. Ma lui rifiuta. Il centrodestra lo spalleggia e insinua che Visco voglia trasferire i quattro finanzieri perché stanno indagando anche sullo scandalo Unipol-Bnl. In ogni caso la Guardia di finanza è alle dipendenze del ministero dell’Economia, dunque l’alto ufficiale si rende responsabile di una grave insubordinazione dinanzi all’autorità politica. Siccome Speciale è stato pure coinvolto nello scandalo delle “spigole d’oro” a spese dei contribuenti (se le faceva recapitare con voli militari per le sue vacanze in altura), il governo gli chiede di dimettersi, in cambio della promozione a giudice della Corte dei conti. Ma lui rifiuta.

A quel punto il ministro Padoa-Schioppa, dopo aver illustrato al Parlamento le ragioni che fanno ritenere Speciale un ufficiale infedele, lo destituisce. Il generale però – con tanti saluti al dovere militare dell’obbedienza – si ribella, fa ricorso al Tar, mobilita le truppe del centrodestra, querela Padoa-Schioppa, lancia oscuri messaggi al presunto “nemico”. E, quando il Tar del Lazio il 15 dicembre lo reintegra, scrive una lettera di dimissioni (da un incarico che non ha più), continuando a rivendicare un’assurda autonomia dal governo. Poi ordina – senza averne alcun titolo – al capo di Stato maggiore della Guardia di finanza di diffondere la sua missiva a tutto il corpo delle Fiamme gialle. Insomma si sente al di sopra di tutto e di tutti. Per Padoa-Schioppa, le sue sono mosse da golpista. Ma Napolitano, anziché respingere l’irricevibile lettera al mittente, la accoglie ed elogia addirittura Speciale per il suo presunto “spirito di servizio verso le istituzioni”. Giuseppe D’Avanzo, su Repubblica, critica duramente il comportamento remissivo del presidente (…).

Un generale molto Speciale e le interferenze del Colle. Tutta l’ambiguità del Quirinale sul caso Speciale si palesa nella riunione del Consiglio dei ministri del 19 dicembre, convocata per varare il decreto che accetta le dimissioni di Speciale e nomina il suo successore, il generale Cosimo D’Arrigo. Una riunione drammatica, condizionata dalle solite ingerenze di Napolitano. Si confrontano due tesi: “Accettare le dimissioni e dunque riconoscere che Speciale è ancora in carica, oppure prendere soltanto atto che vuole andarsene, e quindi negare che sia in carica?”.

Il ministro dell’Economia è per la seconda tesi. Ma il Quirinale, ancora una volta, si intromette e preme per la prima soluzione, per non scontentare Berlusconi. Alla fine, con la minaccia di non firmare il decreto, Napolitano la spunta. E così il provvedimento del governo diventa palesemente contraddittorio, al limite del ridicolo: premette che Speciale rinuncia “a essere reintegrato”, dunque non è più in carica; ma poi aggiunge che può tranquillamente dimettersi, non si sa da quale carica.

Un mese dopo Mastella e tutta l’Udeur annunciano l’uscita dalla maggioranza. Il 23 gennaio 2008 Prodi e Padoa-Schioppa vogliono “parlamentarizzare” la crisi: cioè affrontare subito a viso aperto il voto sulla fiducia in Senato, per verificare nella sede centrale della democrazia parlamentare se la coalizione che meno di due anni prima ha vinto, sia pure di poco, le elezioni abbia ancora i numeri non solo a Montecitorio (dove la fiducia è scontata), ma anche a Palazzo Madama. Napolitano invece vorrebbe una crisi extraparlamentare, senza voto in aula. Forse – si interroga l’ex ministro – per evitare l’imbarazzo di un governo appoggiato dalla Camera e bocciato dal Senato. O forse perché, senza una sfiducia esplicita di Palazzo Madama, Prodi sarebbe ancora “spendibile” in seguito, per un suo rinvio alle Camere o per un reincarico, che consentano al Colle di evitare le elezioni anticipate con la “nuova maggioranza” che ha in mente.

Padoa-Schioppa però è convinto che il Colle preferisca gestire la crisi nelle segrete stanze, come se il governo rispondesse a lui e ai partiti, non al Parlamento. Che ai suoi occhi conta meno delle segreterie dei partiti. Tant’è che, in un faccia a faccia con Prodi al Quirinale, Napolitano insiste perché si dimetta prima del voto in aula. Il ministro dell’Economia si dice convinto che il Quirinale “orienti anche la stampa” nella stessa direzione. Ma il premier, seppure molto preoccupato all’idea di scontentare il capo dello Stato, non si piega: andrà trasparentemente alla conta in Senato. E il ministro dell’Economia è d’accordo con lui. “Ero convinto – dirà due anni dopo – che si dovesse andare al voto in Senato per una questione di chiarezza e nella speranza che un voto esplicito resuscitasse un briciolo di “disciplina di coalizione” tra le forze della maggioranza. Invece evitare il voto era una prova di ambiguità, ma anche un modo per conservarsi in tasca una prossima ‘chance’ che gli italiani non avrebbero né capito né apprezzato”.

Il capo dello Stato vuole la solita crisi extraparlamentare. A Montecitorio Prodi chiede ai deputati un voto esplicito di fiducia, rivendicando quella che Padoa-Schioppa chiama “una linea di piena ‘parlamentarizzazione’ della crisi”. Poi – è il 24 gennaio – sale al Quirinale, anche perché Napolitano, ma non solo lui, preme perché non vada al voto in Senato. Oppure – come vorrebbe Letta jr. – ci resti soltanto per il dibattito, fino alle dichiarazioni di voto. E a quel punto, se apparirà chiaro che la maggioranza non c’è più, chieda una pausa, rinunci al voto e vada a dimettersi al Colle. Ma il Professore tiene duro: quell’escamotage – ricorda Padoa-Schioppa – “gli appare una fuga, un espediente furbesco che gli italiani non capirebbero”.

Lo chiama anche il segretario del Pd Piero Fassino, per sponsorizzare il “lodo Letta”, che ormai è la linea di tutto il Pd dettata da Napolitano. Il premier potrebbe considerare le dimissioni prima del voto in Senato soltanto se il Quirinale gli offrisse un ruolo nel dopo-crisi, con un reincarico o almeno con la permanenza a Palazzo Chigi fino alle elezioni. Ma né il presidente né il Pd gli prospettano nulla di simile. Tutto questo tramestio, per Padoa-Schioppa, è frutto dell’immaturità democratica (lui parla di “cultura distorta della democrazia”) non solo dell’Italia, ma anche delle alte cariche dello Stato. Napolitano, Marini e Bertinotti non hanno mai assimilato le due regole basilari della democrazia dell’alternanza: la maggioranza governa; la minoranza si oppone con tutte le garanzie. O, meglio, conoscono soltanto la seconda.

Il 30 gennaio Napolitano dà un mandato esplorativo e condizionato a Franco Marini, per mettere insieme una maggioranza provvisoria che riformi la legge elettorale e consenta al governo di assumere le decisioni più urgenti. Un’altra clamorosa forzatura costituzionale, osserva Padoa-Schioppa nel suo diario: non è un vero “incarico”, ma una mossa del presidente per un governo che, prima ancora di nascere, dovrebbe già avere il “consenso su un preciso progetto”. È improbabile – riflette l’ex ministro – che questa astruseria sia la soluzione suggerita dai partiti durante le consultazioni. Più verosimile che l’abbia partorita personalmente il presidente. Padoa-Schioppa la fulmina con un aforisma folgorante: “Un cammello è un cavallo disegnato da un comitato”. E spiega: “A me quella soluzione sembra un cammello, poco coerente con la Costituzione e tale da spianare la strada al risultato che Berlusconi cerca, elezioni al più presto”.

Il motivo è semplice: per fare un governo basta il 50% più uno del Parlamento, mentre per cambiare la legge elettorale occorre una maggioranza più ampia, ma soprattutto diversa da quella necessaria per governare. Un conto è l’amministrazione, un altro le regole del voto che investono una “questione di fatto costituzionale” (anche se regolata da una legge ordinaria) e dunque richiedono un accordo tra i due schieramenti contrapposti alle elezioni e in Parlamento. Perché mai Napolitano mette insieme le due cose, legando il governo alla legge elettorale? Evidentemente, per lui, “governare non è importante”. “In molti paesi – ricorda Padoa-Schioppa – governare è considerato talmente importante che si accetta di farlo, anche per lungo tempo, anche con un governo di minoranza”, com’è avvenuto in Danimarca e come presto accadrà in Belgio. In Italia invece molto meno: “Da noi conta la politics, non la policy”. Insomma, le condizioni poste dal Quirinale a Marini sono “quasi impossibili”, ma soprattutto regalano a Berlusconi il diritto di veto e dunque “il controllo del risultato”. E pazienza se – com’è scontato – l’Italia non sarà più governata per un po’. Un’alternativa per salvare la legislatura ci sarebbe, osserva l’ex ministro : tentare ancora di compattare la maggioranza uscita dalle urne del 2006, dunque senza Berlusconi, che vuole una cosa soltanto: le elezioni. Una maggioranza magari striminzita, ma “certamente antiberlusconiana e inadatta a fare – da sola – una nuova legge elettorale”. Ma Napolitano vuole esattamente il contrario: per lui, appunto, “un cammello è un cavallo disegnato da un comitato”. La metafora racchiude, più efficace e micidiale di qualunque saggio o editoriale, la quintessenza della cultura politica togliattiana e giacobina, cioè ben poco democratica nel senso classico del termine, del presidente Giorgio Napolitano.

Visto poi quello che il presidente sarà capace di fare e di dire per puntellare il terzo governo Berlusconi e soprattutto quelli dei “suoi” Monti e Letta, non c’è dubbio che Prodi non è caduto solo per i numeri risicati al Senato, per le campagne acquisti del Caimano e per i logoramenti del nuovo Pd di Veltroni. Ma anche per il mancato appoggio (per non dire di peggio) del Quirinale. Padoa-Schioppa lo scrive nel suo diario già il 14 febbraio 2008, senza neppure il senno di poi: Napolitano ha un “giudizio negativo” su Prodi. E non solo non l’ha mai aiutato. Ma ha spesso contribuito a “logorarlo” e ad “accelerarne la caduta”.

Da Il Fatto Quotidiano del 5 dicembre 2013
Di Marco Travaglio | 5 dicembre 2013

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/05/quirinale-cosi-napolitano-ha-sabotato-il-governo-prodi/801838/


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Riforme: venduti & comprati
Inserito da: Arlecchino - Settembre 23, 2015, 09:49:12 am
Politica
Riforme: venduti & comprati

Di Marco Travaglio | 20 settembre 2015
Direttore de Il Fatto Quotidiano e scrittore

Ma se le stesse cose le facesse Berlusconi? Il nostro titolo di ieri è uno dei ritornelli più ricorrenti, nelle conversazioni di chi ancora parla di politica. La risposta è sottintesa: se al posto di Renzi ci fosse B., verrebbe meritatamente lapidato, insultato e bruciato in effigie dal popolo della sinistra e anche da chi di sinistra non è, ma semplicemente tiene alla Costituzione e a un minimo di decenza istituzionale. Però forse la domanda è mal posta, perché B. ha già fatto le stesse cose – dall’abolizione dell’articolo 18 al bavaglio alla schiforma della Costituzione – che Renzi sta semplicemente rifacendo: solo che a B. non furono consentite da una mobilitazione dell’opinione pubblica, orientata e incanalata dalla stampa progressista, che invece oggi tace o acconsente, permettendo allo Spregiudicato di completare l’opera lasciata a metà dal Pregiudicato. Ieri Il Tempo ha raccolto una strepitosa antologia di quello che si diceva e si scriveva nel dicembre 2010, quando B. comprava senatori un tanto al chilo per rimpiazzare i finiani in fuga, esattamente come sta facendo Renzi per riempire il vuoto della sinistra Pd con verdiniani, fittiani, tosiani, alfaniani, ex grillini e gruppimisti, promettendo rielezioni future e poltrone attuali (la stessa merce di scambio usata da B. cinque anni fa). Con l’aggravante che oggi il mercato delle vacche avviene sulla riforma della Costituzione, non su leggi ordinarie.

“Libero voto in libero mercato”, titolava l’Unità l’11.12.2010: “Una maggioranza rabberciata con il voto di fiducia di alcuni deputati venduti non ha nulla a che vedere con i principi della buona politica”. E tre giorni dopo: “Governo Scilipoti”. Va detto che l’Unità era ancora un giornale, diretto da una giornalista, Concita De Gregorio. Oggi è il bollettino parrocchiale di Palazzo Chigi, infatti titola: “Stagione di riforme” e “Renzi: i numeri ci sono” (su come li ha raccattati, zitti e mosca), col contorno di Berja Staino che tenta disperatamente di far ridere con la consueta vignetta-marchetta: un cane dice a Dio “Se ci pensavi un po’ il mondo lo facevi meglio”, e Dio risponde “Se davo retta alla minoranza, ero ancora lì a pensarci” (Dio naturalmente è Renzi). Famiglia Cristiana definiva la compravendita berlusconiana dei senatori “peggio di Tangentopoli”. Oggi invece tace. Di Pietro, dopo il trasloco di Razzi&Scilipoti, sporse denuncia e la Procura di Roma aprì un fascicolo. Oggi a nessuno viene neppure l’idea, Di Pietro è stato rottamato (così impara: era contro le larghe intese).

E quel che resta dell’Idv è in Senato con gli ex 5Stelle Romani e Bencini, pronti a saltare sul carro renziano. “Scandalo in Parlamento”, tuonava Repubblica irridendo ai “Cicchitto e i Verdini, i Bondi e gli Alfano” che gabellavano il mercimonio per “libera dialettica parlamentare”. Oggi i Cicchitto, i Verdini, i Bondi e gli Alfano stanno tutti con Renzi e a Repubblica va benissimo così. Neppure la minaccia, prima fatta filtrare con apposita velina dai soliti “retroscenisti” e poi furbescamente smentita, di trasformare il Senato in un museo sordo e grigio, fa alzare un sopracciglio ai Mauro Boys. I titoli di ieri sono una trionfale cavalcata delle Valchirie in onore dei Renzi Boys: “Renzi sul Senato: accordo possibile”, evvai. “I conti del premier: ‘Stavolta ci siamo’”, wow! “Da Verdini sì alla riforma: entriamo in maggioranza”, e sono belle soddisfazioni. “Senato, sull’articolo 2 spunta una mediazione” (Repubblica la annuncia da due mesi e non s’è mai vista, però Repubblica insiste). “Primi sì in aula, Pd unito”, ahahahah. “Il premier apre: intesa possibile ma senza ricominciare daccapo” (cioè nessuna intesa possibile). “L’ultima sfida di Anna: ‘Sopporto i sospetti con cristiana virtù’” (dove Anna è la Finocchiaro, santa subito, e pure martire). Della compravendita, su Repubblica, non c’è traccia, a parte un colonnino pudicamente intitolato: “Quei trenta indecisi dell’opposizione pronti al soccorso”. Ecco: “soccorso”, mica “mercato delle vacche” o “vergogna” o “scandalo” come ai tempi di B. Dipende da chi è il compratore. “Niente inciuci con Renzi, solo consulenza”, precisa l’ex leghista leghista Flavio Tosi nell’apposita, rassicurante intervista, e pazienza se dopo l’incontro a Palazzo Chigi è passato dall’opposizione alla maggioranza, almeno sul Senato. Tutto bene, dunque, nessuna compravendita: al massimo soccorso, o consulenza. Anche Raffaele Cantone è indignato per “l’immoralità del mercato in Parlamento”, o meglio lo era quando lo faceva il Caimano. Oggi parla d’altro.

Ma allacciate le cinture, perché il meglio arriva ora. Il 14.1.2010, a Porta a Porta un giovane politico di belle speranze se la prese con Paola Binetti che aveva appena mollato il Pd per l’Udc: “La tua posizione è rispettabile, ma dovevate avere il coraggio di dimettervi dal Pd e dal Parlamento, perché non si sta in Parlamento coi voti presi dal Pd per andare contro il Pd. È ora di finirla con chi viene eletto con qualcuno e poi passa di là. Vale per quelli di là, per quelli della sinistra, per tutti. Se c’è l’astensionismo è anche perché se io prendo e decido di mollare con i miei, mollo con i miei – è legittimo farlo, perché non me l’ha ordinato il dottore – però ho il coraggio anche di avere rispetto per chi mi ha votato, perché chi mi ha votato non ha cambiato idea”. Il 22.2.2011 il giovanotto ribadì: “Se uno smette di credere in un progetto politico, non deve certo essere costretto con la catena a stare in un partito. Ma, quando se ne va, deve fare il favore di lasciare anche il seggiolino”. Si chiamava Matteo Renzi, detto il Rottamatore e non ancora il Compratore.

Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2015
Di Marco Travaglio | 20 settembre 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/20/riforme-venduti-comprati/2050559/


Titolo: Marco Travaglio. Piercamillo Davigo: “Renzi attacca i pm? Ma è la politica ...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 21, 2016, 05:40:03 pm
Piercamillo Davigo: “Renzi attacca i pm? Ma è la politica che non fa pulizia”
Giustizia & Impunità
Toghe e potere, il neopresidente dell'Anm replica al presidente del consiglio che ha parlato di "barbarie giustizialista".
"Giustizialismo? Una vecchia storia, noi facciamo indagini e processi". L'inchiesta di Potenza e l'accusa di "non arrivare mai a sentenza".
"Che discorso è? Se intende lamentare un eccesso di prescrizione, può modificare le norme"


Di Marco Travaglio | 20 aprile 2016

Piercamillo Davigo, dopo l’inchiesta di Potenza Renzi parla di “25 anni di barbarie giustizialista”, mentre Napolitano denuncia un “riacutizzarsi” del conflitto politica-giustizia e invoca la riforma delle intercettazioni.
Non commento le dichiarazioni del presidente del Consiglio. Ma è una vecchia storia, questa del ‘giustizialismo’ e del ‘conflitto’. Non c’è nessuna guerra. Noi facciamo indagini e processi. Se poi le persone coinvolte in base a prove e indizi che dovrebbero indurre la politica e le istituzioni a rimuoverle in base a un giudizio non penale, ma morale o di opportunità, vengono lasciate o ricandidate o rinominate, è inevitabile che i processi abbiano effetti politici. Se la politica usasse per le sue autonome valutazioni gli elementi che noi usiamo per i giudizi penali e ne traesse le dovute conseguenze, processeremmo degli ex. Senza conseguenze politiche.

Il conflitto fra politica e magistratura è fisiologico?
Le frizioni fra poteri dello Stato sono la naturale conseguenza della loro separatezza e indipendenza. Chi vuole che tutti i poteri vadano d’amore e d’accordo dovrebbe proporre il ritorno alla monarchia assoluta, dove il sovrano deteneva tutti i poteri senz’alcun conflitto: il re era sempre d’accordo con se stesso. È questo che vogliono? Io, se non ci fosse tensione fra politica e giustizia, mi preoccuperei.

Napolitano e Renzi reclamano una legge che vi imponga di espungere dagli atti le intercettazioni penalmente irrilevanti o riguardanti i non indagati, così i giornali non potranno più pubblicarle.
Non ne vedo la necessità. Bastano e avanzano le norme sulla diffamazione e sulla privacy, che puniscono chi mette in piazza fatti davvero privati e privi di interesse pubblico: si possono sempre aumentare le pene, specie per la violazione della privacy, ma poi si va a sbattere contro la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che sconsiglia lo strumento penale contro la libertà di stampa. E, soprattutto, ha già affermato che, quando un giornalista pubblica notizie anche penalmente irrilevanti, ma moralmente importanti, su personaggi pubblici, non può essere punito.

Ma la legge dice che dovete essere voi magistrati a cancellare dagli atti le conversazioni extra-penali.
A parte il fatto che una conversazione può essere irrilevante ai fini del reato per cui si procede e non di un altro per cui è comunque lecito procedere. Ma poi, chi decide cosa mettere o togliere? Il pm? Il gip? E i diritti della difesa chi li tutela? Mi meraviglia che questi discorsi vengano da chi sbandiera garantismo un giorno sì e l’altro pure: ma lo sanno o no che ciò che è irrilevante per il pm o per il giudice può essere rilevantissimo per il difensore? Esempio: Tizio intercettato racconta una sua serata con un trans. Tutti diranno: orrore, privacy, bruciare tutto! Già, e se poi quella serata col trans serve a uno dei due interlocutori come alibi per provare che la sera di un delitto erano altrove? Siccome l’alibi è stato distrutto, l’innocente rischia la condanna. Bel garantismo.

A Potenza si procede anche per traffico d’influenze illecite, reato istituito nel 2012 con la Severino per punire chi usa amicizie o vicinanze con un pubblico ufficiale per farsi dare soldi o altre utilità da chi vuole favori leciti o illeciti da quest’ultimo.
E mica l’hanno scritta i giudici, quella legge. Era per ottemperare alla Convenzione Ue anticorruzione, ratificata dall’Italia nel 1999 e mai attuata, anche se forse bastava ritoccare le norme sul millantato credito. Non entro nei processi in corso. Ma è ovvio che, per processare Tizio per la sua influenza su Caio, e Caio, si debba verificare quali rapporti aveva con Caio.

Dicono: le raccomandazioni son vecchie come il mondo.
E io rispondo: le raccomandazioni sono reato in tutta Europa, tant’è che la Convenzione Ue ratificata da tutti gli Stati, buon’ultima l’Italia, prevede il traffico d’influenze.

Violante dice che le cronache politiche sembrano ormai mattinali di questura.
Perché processiamo gente abbarbicata alla poltrona, che nessuno si sogna di mandare a casa malgrado condotte gravissime.

Aspettano la Cassazione: Renzi ricorda la presunzione d’innocenza, per lui conta solo la sentenza definitiva.
Ma la presunzione d’innocenza è un fatto interno al processo, non c’entra nulla coi rapporti sociali e politici. Ha presente il professore universitario che faceva sesso con le allieve, e sempre prima degli esami (e mai dopo, il che esclude che fossero innamorate di lui)? L’hanno assolto e il preside s’è detto ansioso di riaverlo in cattedra. Come se un fatto penalmente irrilevante non fosse deontologicamente disdicevole. Ecco, i politici ragionano così.

Che dovrebbero fare?
Smetterla di delegare ai magistrati la selezione delle classi dirigenti, e poi di lamentarsi pure. Dicono: aspettiamo le sentenze. Poi, se arriva la condanna, strillano. Se il mio vicino di casa è rinviato a giudizio per pedofilia, io mia figlia di sei anni non gliel’affido quando vado a far la spesa. Poi, se verrà scagionato, si vedrà. La giustizia è una virtù cardinale: ma anche la prudenza! Tutti, al posto mio, si comporterebbero così. Perché ciò che vale nella vita quotidiana non vale nel mondo politico-imprenditoriale?

Appena è esplosa l’inchiesta di Potenza, Renzi ha accusato la Procura di non arrivare mai a sentenza.
Ma che discorso è? Tutte le inchieste arrivano a sentenza. Che può essere di condanna, di assoluzione o di non doversi procedere per prescrizione. Se intende lamentare un eccesso di prescrizione, può modificarne le norme.

Il governo dice di averlo fatto almeno per la corruzione.
In realtà ha aumentato un po’ le pene, dunque ha un pochino allungato la prescrizione. Ma il problema è rimasto pressoché inalterato: abbiamo una prescrizione relativamente lunga prima che il reato venga scoperto, e scandalosamente breve dal momento in cui iniziano le indagini. Per i reati puniti fino a 6 anni, compresi molti contro la PA, è di 6 anni, prorogabile al massimo fino a 7 anni e mezzo (dal giorno in cui il reato è stato commesso, s’intende): se il delitto viene scoperto dopo 6 anni, restano 18 mesi per indagini, udienza preliminare e tre gradi di giudizio. Le pare serio? Il nostro sistema, dopo il dimezzamento dei termini causato dalla ex-Cirielli, è stato dichiarato illegittimo dalla Corte di giustizia europea per le frodi comunitarie, con l’invito ai giudici italiani a disapplicarlo. Così abbiamo un doppio binario: i reati contro l’Ue non si prescrivono mai, tutti gli altri quasi sempre. Basta una norma di una riga che sospenda la prescrizione col rinvio a giudizio, o almeno con la prima sentenza: perché non la fanno?

Renzi dice che dovete lavorare di più.
Mettere in relazione la durata dei processi con l’accusa ai giudici di essere dei fannulloni è un’offesa e una bugia. Segnalo i dati della Commissione del Consiglio d’Europa sull’efficienza della giustizia: i giudici italiani, su 47 Stati membri, sono quelli che lavorano di più. Il doppio dei francesi e il quadruplo dei tedeschi. Se i processi durano troppo è perché se ne fanno troppi e con troppi gradi e fasi di giudizio. Invece di lanciare accuse infondate, i politici facciano qualcosa per scoraggiare il contenzioso e i ricorsi, così calerebbe il numero dei processi. E siano più severi con chi viola la legge e più attenti ai diritti delle vittime, così calerebbero i reati.

Napolitano vi chiede di “collaborare” con la politica.
Se collaborare vuol dire fornire un apporto tecnico, come fa per statuto il Csm, alle leggi in discussione sulla giustizia, l’abbiamo sempre fatto. Poi però noi magistrati facciamo un mestiere diverso: se prendiamo un politico che ruba, dobbiamo processarlo. Non collaborare.

Come valuta la deregulation renziana sui reati fiscali? Dal tetto alzato a 3 mila euro per i pagamenti in contanti alle soglie più alte di non punibilità per l’evasione?
Parlamento e governo sono liberi di fare le leggi che vogliono. Anche di depenalizzare i reati tributari, se l’Europa glielo permette. Ma non possono dire che così combattono l’evasione fiscale.

L’inchiesta di Potenza fa molto discutere anche perché, secondo alcuni, si rischia di processare la tal legge, il tal emendamento, violando l’insindacabilità dei parlamentari.
Del caso concreto non parlo. Ma, in linea di principio, la Costituzione tutela il parlamentare nell’esercizio delle funzioni quando vota, non quando prende mazzette o riceve favori per votare. In uno Stato di diritto, nessuno è al di sopra della legge.

Renzi s’è scandalizzato perché è stato intercettato il capo di Stato maggiore della Marina, “mettendo a rischio la sicurezza nazionale”.
Quand’ero militare, mi insegnarono che è vietato trattare argomenti classificati al telefono. Ergo, chi intercetta un militare non può mai violare alcun segreto: semmai, accertare una violazione del segreto da parte di chi dovrebbe custodirlo.

Nota differenze fra questo governo e quelli precedenti nel rapporto con la magistratura e la legalità?
Qualche differenza di linguaggio, ma niente di più: nella sostanza, una certa allergia al controllo di legalità accomuna un po’ tutti. Paolo Mieli mi ha detto che ho sempre litigato con tutti i governi. Gli ho risposto che è un segno di imparzialità. Sa, io ho subìto molti processi penali e non mi sono mai messo a strillare: mi sono difeso nel processo. E sono sempre stato archiviato. Non perché fossi un magistrato: perché ero innocente. Capisco che chi finisce imputato non gradisca, ma chi ricopre cariche pubbliche non deve mai usarle per tutelare i suoi interessi personali o per invocare trattamenti privilegiati.

Giuliano Ferrara spera che lei sia un presidente Anm così forte e rappresentativo da firmare la pace con la politica. Come l’israeliano Begin con l’egiziano Sadat.

Se vuol dire che tengo unita la magistratura, lo prendo come un complimento. Se qualcuno pensa che io sia qui per svendere la magistratura e la legalità, si sbaglia di grosso. L’Anm deve tutelare l’indipendenza dei magistrati, non asservirli alla politica.

Di Marco Travaglio | 20 aprile 2016

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/20/piercamillo-davigo-renzi-attacca-i-pm-ma-e-la-politica-che-non-fa-pulizia/2654767/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2016-04-20


Titolo: Marco Travaglio. Ora ci divertiamo (sic)
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 29, 2017, 08:43:20 pm
Ora ci divertiamo

Di Marco Travaglio | 26 gennaio 2017

Evviva evviva! Da 23 anni, da quando B. scese in campo, martelliamo la classe politica perché proibisca duramente per legge i conflitti d’interessi. E ora scopriamo che non c’è bisogno di leggi: il conflitto d’interessi è già severamente punito. E sul piano penale. È infatti per non aver impedito il conflitto d’interessi di Raffaele Marra, capo del Personale che seguiva i concorsi e le promozioni dei dirigenti comunali, compreso il fratello Renato, che Virginia Raggi è indagata con lui per abuso d’ufficio: lui per aver violato il Codice deontologico dei dipendenti comunali, lei il Regolamento di Roma Capitale. Abuso che, per l’accusa, si trascina dietro anche un falso: infatti la sindaca dichiarò all’Anticorruzione di aver deciso in totale autonomia di promuovere Renato Marra da dirigente dei vigili (fascia 1) a capo della Direzione Turismo (fascia 3), per risarcirlo della rinuncia alla sua vera aspirazione – il comando della Polizia municipale (fascia 5) – ed evitare un suo ricorso al Tar per l’ingiusta esclusione. E questa sarebbe una bugia, perché Raffaele avrebbe avuto un ruolo attivo nella nomina di Renato.

Al momento, cos’abbia fatto davvero Raffaele e dunque se la sindaca abbia abusato del suo ufficio e mentito oppure no, non lo sa nessuno. La Raggi ripete di aver deciso la promozione di Renato con l’assessore al Commercio Meloni, che aveva apprezzato il lavoro del dirigente nei blitz contro l’abusivismo commerciale. Vedremo se, nell’interrogatorio del 30 gennaio, riuscirà a convincere i pm. Nella famosa chat del quartetto Raggi-Frongia-Romeo-Raffaele Marra, non c’è nulla che confermi né smentisca la versione della sindaca. Che, a quanto risulta, si limitò a chiedere al suo capo del Personale quali fossero le procedure previste dalla legge e quale aumento di stipendio comportasse la promozione del fratello. In ogni caso, quando l’Anac di Cantone ha girato il rapporto alla Procura di Roma, questa non poteva far altro che aprire un fascicolo, iscrivere la Raggi (e Marra) sul registro e convocarla con invito a comparire per interrogarla. Ma il risultato è che, per la prima volta a memoria d’uomo, almeno su un politico di peso, il conflitto d’interessi innesca un processo penale. Splendida notizia: se il nuovo rito capitolino dovesse contagiare le altre Procure, si salverebbero in pochi. Resta il rammarico che la nuova giurisprudenza, inaugurata in esclusiva mondiale da Raggi e Marra, sia stata scoperta solo ora. Bastava un mese di anticipo, e la stessa Procura avrebbe faticato a chiedere l’archiviazione per Gianluca Gemelli.

Cioè il compagno lobbista della ministra Federica Guidi, che reclamava e otteneva emendamenti à la carte dal governo dell’amata. Anzi, in base al lodo Raggi-Marra, avrebbe dovuto indagare pure l’ex ministra. E pure Maria Elena Boschi, per tutti i Consigli dei ministri cui ha partecipato per discutere di banche, fra cui l’Etruria già vicepresieduta da suo padre. Se poi, Dio non voglia, il vento di Roma dovesse soffiare fino a Milano, il sindaco Sala – oltreché per le false dichiarazioni con ville e società dimenticate e per il taroccamento della principale gara d’appalto di Expo – verrebbe ipso facto inquisito per aver promosso assessore al Bilancio non il parente di un collaboratore, ma direttamente il suo socio in affari. Idem l’ex ministra Cancellieri, per le telefonate – ritenute non penalmente rilevanti perché “solo” in conflitto d’interessi – in cui perorava la scarcerazione della figlia di Ligresti, datore di lavoro di suo figlio. Quella di Napoli dovrebbe procedere a piè fermo su Vincenzo De Luca, governatore della Campania che tratta i fondi regionali al Comune di Salerno con l’assessore al Bilancio Roberto De Luca, suo figlio. E quella di Bologna dovrebbe rivedere il caso dell’ex governatore Vasco Errani, ora commissario al terremoto, la cui giunta finanziò con un milione la coop del fratello per una cantina sociale mai nata. Ma dovrebbe mobilitarsi, e alla svelta, anche la Procura di Firenze, per i possibili conflitti d’interessi fra papà Renzi e il premier Renzi e fra l’allora sindaco Matteo e l’amico Marco Carrai, che mentre gli metteva a disposizione un appartamento gratis in centro città, ne veniva nominato capo di Firenze Parcheggi e Aeroporti Firenze.

Siccome, poi, nel caso Raggi-Marra c’è di mezzo l’Anac, la Procura di Roma ha l’occasione di proseguirne l’opera occupandosi dell’ad Rai Antonio Campo Dall’Orto, a proposito degli 11 dirigenti esterni ingaggiati a peso d’oro senza job posting fra gli interni: a cominciare da quel capolavoro di conflitto d’interessi chiamato Genséric Cantournet, nuovo capo della Security fatto selezionare da Cdo a una società di provata indipendenza: quella di suo padre. Ma, volendo, ci sarebbe pure la spiacevole vicenda di Alessandro Alfano, fratello del ministro Angelino, assunto come dirigente dalle Poste e pagato 200 mila euro l’anno per non firmare un solo atto. Per non parlare di B., che dal 1994 al 2011 legiferò e decretò decine di volte per i suoi processi e le sue aziende: prima che scatti la prescrizione, si fa in tempo a dargli l’ergastolo. E noi che, malfidati, eravamo rassegnati a considerare queste vicende eticamente imbarazzanti, ma penalmente irrilevanti per vuoto normativo. Ora che invece il conflitto d’interessi diventa reato per Raggi e Marra, siccome la legge è uguale per tutti, ci divertiremo un mondo. O no?

Ps. Ieri, c.v.d., la Consulta ha stabilito che Renzi e la sua maggioranza (la stessa di Gentiloni) non hanno violato un codice deontologico o un regolamento comunale: hanno calpestato la Costituzione due volte in una sola legge. Chissà oggi lo sdegno dei giornaloni e dei telegiornaloni. O no?

Di Marco Travaglio | 26 gennaio 2017

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/ora-ci-divertiamo/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2017-01-26


Titolo: Marco TRAVAGLIO - Travaglio stronca Grillo: “Con gli elettori non si scherza”
Inserito da: Arlecchino - Giugno 05, 2017, 11:32:54 am
Focus
Unità.tv @unitaonline

· 3 giugno 2017

Travaglio stronca Grillo: “Con gli elettori non si scherza”
Il direttore del Fatto Quotidiano critica duramente i pentastellati: “Hanno scelto il Merdinellum”

Per Marco Travaglio è stato troppo. La posizione assunta da Beppe Grillo sulla legge elettorale e lo stop alle critiche interne sono oggetto oggi della netta bocciatura del direttore del Fatto Quotidiano:

    A furia di sentirsi dire che devono accettare i compromessi e “sporcarsi le mani”, i 5Stelle stanno facendo entrambe le cose con la legge elettorale. E non è un bel vedere. Ieri Beppe Grillo ha silenziato i mormorii interni, soprattutto di Roberto Fico e Paola Taverna che definivano il testo dell’accordo “un nuovo Porcellum”, richiamando tutti i “portavoce” (i parlamentari 5Stelle) all’ordine di “rispettare il mandato” ricevuto dagli iscritti al blog, i quali “hanno votato a stragrande maggioranza il modello tedesco con oltre il 95% delle preferenze”.

Travaglio critica i pentastellati spiegando le differenze tra i due sistemi:

    Verissimo. Peccato che il maxi-emendamento “Merdinellum” non c’entri nulla col modello tedesco plebiscitato dalla base grillina: a parte lo sbarramento al 5% e i seggi metà uninominali e metà proporzionali – due trovate non proprio geniali che non c’è bisogno di copiare dalla Germania: ci possono arrivare persino dei politici italiani – tutto il resto è diverso. E non è vero, come scrive il blog di Grillo, che “le differenze con il modello tedesco sono dovute alle diversità dell’assetto costituzionale tra la Germania e l’Italia” (in Germania il numero dei parlamentari elettivi è variabile, in Italia fisso). Non solo, almeno.

Dopo aver fatto il confronto con la Germania, motiva che:

    Tutti e tre i punti del Merdinellum sono la negazione di quanto ha sempre predicato il M5S contro il “Parlamento dei nominati”, ma anche dei suoi interessi. A chi servono infatti la precedenza dei nominati sugli eletti, il divieto di voto disgiunto e le multicandidature-paracadute? …

Travaglio avverte anche i 5 Stelle di un rischio flop: “Ma con gli elettori non si scherza: l’ultimo che il 4 dicembre li ha presi in giro non si è più riavuto”.

Da - http://www.unita.tv/focus/legge-elettorale-travaglio-stronca-grillo-merdinellum/


Titolo: Marco Travaglio. - Meglio o meno peggio?
Inserito da: Arlecchino - Giugno 09, 2018, 06:06:19 pm
Meglio o meno peggio?


di Marco Travaglio | 1 giugno 2018
   
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È con somma sorpresa, mista a incredulità, che registriamo la prevalenza del buonsenso dopo 88 giorni di manicomio. Ci sarà tempo per giudicare il governo Conte che nasce oggi. E l’unico giudizio che conosciamo, anche per la nostra ragione sociale, è quello sui fatti. Della maggioranza 5Stelle-Lega abbiamo già detto tutto: avremmo preferito un accordo tra il M5S e un centrosinistra profondamente rinnovato, ma queste tre ultime parole si sono rivelate un ossimoro, grazie a Renzi e ai suoi presunti oppositori interni.
Molte cose della Lega e alcune dei 5Stelle non ci piacciono, ma il demenziale Aventino del Pd non ha lasciato alternative al patto giallo-verde. Salvo, naturalmente, le elezioni anticipate che ci avrebbero regalato un magnifico governo Salvini-Berlusconi. E, tra un governo con Salvini premier alleato del Caimano e un governo con Conte premier sostenuto dal M5S al 32,5% e dalla Lega al 17.5%, preferiamo il secondo: non sappiamo ancora se definirlo sulla carta migliore o meno peggiore, ma lo sapremo presto. Il programma, frutto evidente di un compromesso fra due culture e sensibilità diverse se non opposte, non cambia.
È un misto di molte proposte sacrosante e attese da decenni a costo zero o addirittura a vantaggio mille (su prescrizione, corruzione, mafia, carceri, manette agli evasori, conflitti d’interessi, Rai, Tav, acqua pubblica, tutela dell’agricoltura, green economy, vitalizi e altri tagli alla casta, revisione delle missioni militari all’estero e della Buona Scuola), riforme giuste ma di incerta copertura (reddito di cittadinanza, salario minimo, investimenti pubblici e revisione della Fornero), leggi sbagliate, scoperte e forse incostituzionali (la flat tax, a meno che non si riveli una semplice ed equa riduzione delle aliquote fiscali), assurdità da Stato di polizia (le forze dell’ordine armate di Taser, la pistola elettrica paralizzante inserita da Amnesty fra gli strumenti di tortura; e la licenza di sparare ai ladri anche quando non minacciano nessuno) o da governo xenofobo (gli asili nido gratis solo per bambini italiani), annunci ambigui tutti da verificare (i rimpatri individuali di immigrati irregolari senza diritto d’asilo sono doverosi, le espulsioni di massa sono vietate dalla Costituzione e dalla giurisprudenza europea).
La lista dei ministri invece è parzialmente nuova. Savona, dipinto dal Colle come un kamikaze del Jihad Anti-Euro, va incredibilmente agli Affari europei: a Bruxelles stanno già preparando il comitato di accoglienza. A riequilibrarlo, c’è il ministro degli Esteri Enzo Moavero, non proprio un nome di cambiamento. Viene dai governi Monti e Letta (e pare fosse in lista pure nell’abortito Cottarelli). All’Economia c’è un altro prof: Giovanni Tria, docente ed ex preside a Tor Vergata, con un buon curriculum, a parte i trascorsi con Brunetta.
Il resto è un mix di tecnici e politici: a parte Di Maio al Lavoro, Sviluppo e Telecomunicazioni e Salvini all’Interno, non c’è nessun nome eclatante. Ci sono i pretoriani dei due leader: i dimaiani Fraccaro ai Rapporti col Parlamento e alla Democrazia diretta, Bonafede alla Giustizia, Grillo alla Salute e Toninelli alle Infrastrutture; i salviniani Fontana ai Disabili, Centinaio all’Agricoltura e Stefani agli Affari regionali. L’ex finiana e neoleghista Bongiorno si occuperà di PA, sperando che riesca a farla funzionare un po’ meglio dei centralini della sua associazione Doppia Difesa. Fa ben sperare il generale Sergio Costa scopritore della terra dei Fuochi, ministro pentastellato dell’Ambiente. Non altrettanto si può dire dei ministri dei Beni Culturali Bonisoli (M5S), esperto di moda e design, e dell’Istruzione Busetti (Lega), docente di Educazione fisica e burocrate del Miur. Completano il quadro le grilline Barbara Lezzi (M5S) al Mezzogiorno ed Elisabetta Trenta alla Difesa. Esperta di intelligence, sicurezza e cooperazione, la Trenta dovrà chiarire un’ombra di conflitto d’interessi familiare (il marito colonnello al vertice di Segredifesa, che si occupa dei contratti delle Forze Armate).
Dopo tanti fallimenti e colpi di scena, abbiamo un governo di compromesso: magari non entusiasmante, ma nemmeno terrificante come l’hanno dipinto i giornaloni prim’ancora che nascesse. Tutto se ne può dire, fuorché che sia peggiore di quelli degli ultimi 15 anni. Non c’è neppure un ministro inquisito o condannato, ed è la prima volta dal 1994. Nessun ministro puzza di berlusconismo, ed è la prima volta dal 1983, quando con Craxi iniziò la lunga e ininterrotta stagione nera delle leggi ad personam e ad aziendam.
I pericoli potrebbero arrivare dal Viminale, se Salvini tornasse indietro dal pragmatismo delle ultime settimane per reindossare i panni del Cazzaro Verde xenofobo e sparafucile da campagna elettorale permanente. E poi dall’ansia di fare tutto subito, anziché procedere gradualmente, sfasciando i conti pubblici. B. intanto schiuma di rabbia perché, per la prima volta da oltre 40 anni, pare ridotto a pelo superfluo della politica, come i suoi compari renziani. Ma, per averne la certezza, aspettiamo il vero “cambiamento”: su conflitto d’interessi, Rai, corruzione, evasione, mafiae prescrizione. Queste leggi non costano nulla: se restassero lettera morta, dimostrerebbero che dietro Salvini c’è ancora B.
Ma basta con i processi alle intenzioni: avevamo letto che il capo leghista non voleva fare il governo, invece l’ha fatto. Cedendo su Savona e accettando la mediazione di Mattarella e Di Maio. Il quale ha sbagliato molto. Ma l’altroieri è stato bravo a salire al Colle sacrificando il suo orgoglio personale, per mettere Salvini alle strette e portare a casa il risultato.
Se il gioco valeva la candela, lo vedremo presto.

Da - https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/meglio-o-meno-peggio/