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Autore Discussione: LIANA MILELLA  (Letto 75177 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Marzo 04, 2012, 11:03:56 am »

IL RETROSCENA

E il Viminale studia le contromosse associazione a delinquere per i ribelli

Nei dossier del ministero la paura per gli anarcoinsurrezionalisti  Il governo teme un patto tra centri sociali e autonomi per limitare la parte pacifista

di LIANA MILELLA


ROMA - Quando sono le otto di sera il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri e il capo della polizia Antonio Manganelli possono tirare il fiato. Proteste in tutt'Italia sì, ma contenute sia nei numeri che nelle forme. Lo spauracchio di chi ipotizzava, dopo le parole di Monti a palazzo Chigi, una risposta volutamente violenta si è dissolto. Un sabato che però non fa calare di un grado il livello di allarme ai massimi livelli che c'è sulla Tav e sul rischio di "reazioni violente a sorpresa". Una preoccupazione che resta in capo all'agenda di Monti e Cancellieri.

Dalle manifestazioni esce confermata la documentata fotografia scattata in questi mesi dalla task force anti-terrorismo del Viminale e raccolta nei numerosi dossier sul movimento No-Tav, via via aggiornati, che in queste ore fanno bella mostra sulla scrivania dell'ex prefetto oggi al vertice dell'Interno che è una divoratrice di "carte". Fogli in cui si spiega come gli avvenimenti in Val di Susa siano "uno snodo fondamentale" per il futuro dei nemici giurati dell'alta velocità e come le mosse dello Stato vadano calibrate "con grande attenzione per evitare che la componente più aggressiva del movimento possa prendere il definitivo sopravvento". Rapporti in cui si ipotizzano nuove misure legislative: una lettura estensiva dell'associazione a delinquere, per poterla applicare anche agli anarchici, l'arresto differito, il reato di blocco stradale ferroviario.

VINCONO I DURI
In quei fogli è documentato un fatto. Il seguente: "Tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012 la componente più aggressiva della galassia No-Tav ha preso il sopravvento, ma il pericolo è che essa, con i suoi exploit, possa far perdere più ampi consensi alla causa". Nasce da qui la strategia di contrasto dello Stato decisa venerdì a palazzo Chigi e illustrata dal premier Monti. Consiste in un mix tra dissuasione e repressione che non assecondi la definitiva vittoria delle frange più barricadiere del movimento.

LE ANIME
È molto composita, ma numericamente contenuta, la galassia No-Tav. Dopo gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2001 nel cantiere di Chiomonte la polizia ha lavorato per mesi. Ci sono stati i 26 arresti di Torino e ci sono i dossier destinati alla politica. Raccontano di un anima "politica e non violenta" del movimento in cui si ritrovano partiti come Rifondazione, Sel (Vendola), Idv e Verdi, la Fiom, il sindacalismo di base, Grillo e il popolo viola. Poi ecco l'anima locale e valligiana, quella dei sindaci e degli amministratori, che per motivi atavici rifiutano l'impatto, considerato violento, della Tav. Poi c'è la terza anima, quanto mai composita, in cui c'è una dinamica forte sulle modalità di lotta. È l'area che nei dossier viene definita "obiettivamente la più pericolosa". Si divide tra gli autonomi e gli anarcoinsurrezionalisti che "hanno stipulato un'alleanza tattica con momenti di fortissima contrapposizione interna". Da una parte Askatasuna, il famoso centro sociale torinese, cui fanno capo analoghi gruppi, dalla Panetteria di Milano ad Acrobax di Roma, da Gramigna di Padova a Crash di Bologna. Dall'altra gli anarchici torinesi che, in una scala di pericolosità, si collocano al livello più alto.

I NUMERI
È la terza anima, autonomi ed anarchici, quella che "ha conquistato la leadership della protesta con una grande capacità di attrazione e con solidi contatti anche all'estero". Collegamenti stabili con gruppi analoghi in Francia, in Germania, in Spagna e tra i baschi. Ma i numeri restano bassi. A Torino la polizia stima che la cosiddetta "capacità di mobilitazione" oscilli tra le 300 e le 500 persone, con notevoli variazioni tra manifestazioni tenute nei giorni feriali oppure nei fine settimana. A livello nazionale la sfera di influenza del movimento va da 1.500 a 2mila persone.

LA DIALETTICA
Tutto si gioca adesso, con la riapertura del cantiere. Ora si vedrà il comportamento di chi, per ostacolare gli espropri, ha comprato anche uno o due metri di terra. Ma il futuro dipende anche dall'abilità dello Stato nel "dialogare" con il movimento. "Dividere i buoni dai cattivi" hanno detto a palazzo Chigi. In proposito, viene letto come "un segnale positivo" quello del caso Abbà, il No-Tav precipitato dal traliccio dell'alta tensione, dove la polizia ribadisce di "non avere alcuna responsabilità", ma che avrebbe potuto essere utilizzato dal movimento come una sorta di vessillo, mentre non così non è stato.

LE NORME
L'eventualità di nuove norme penali è all'ultimo posto nei dossier. Per il rischio che ciò accentui una lettura solo in chiave di ordine pubblico della Tav. Però le richieste delle forze di polizia sono ben precise. Innanzitutto un'interpretazione più ampia del 416, l'associazione a delinquere finalizzata al terrorismo, applicabile anche agli anarchici che pure rifiutano l'etichetta di gruppo associativo. Poi l'arresto differito per chi commette reati in piazza. Infine un ritorno al reato di blocco stradale e ferroviario. Un capitolo sul quale, almeno per adesso, s'è deciso di soprassedere.

(04 marzo 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/03/04/news/e_il_viminale_studia_le_contromosse_associazione_a_delinquere_per_i_ribelli-30907058/?ref=HRER1-1
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« Risposta #61 inserito:: Marzo 09, 2012, 11:24:08 am »

Il caso

Il muro invalicabile del Pdl contro la legge anticorruzione

La legge varata nel 2010, anno in cui riesplode tangentopoli, è inoffensiva nella parte delle sanzioni penali.

Il primo provvedimento, a firma Alfano, approda al senato solo un anno dopo. E lì si ferma.

Ci ha riprovato la Severino, col governo Monti, ed è subito scattato il braccio di ferro col partito di Berlusconi

di LIANA MILELLA


È UN assurdo tormentone ormai dall'inizio del 2010. Da allora la legge anti-corruzione è diventata un incubo per il partito di Berlusconi. Che ha cercato in ogni modo, dopo averla varata solo per salvare la faccia, di rallentarne l'iter in Parlamento e soprattutto di ammorbidirla e renderla inoffensiva nella sua parte più delicata, quella che riguarda le sanzioni penali. Niente prescrizione più alta, niente pene massime più alte, nessun nuovo reato.

Il 2010, febbraio, l'anno e il mese in cui riesplode Tangentopoli. Si scopre che perfino il terremoto dell'Aquila aveva risvegliato l'appetito degli imprenditori. Esce l'intercettazione di Francesco Piscicelli che nottetempo, mentre la terra trema, pensa subito alla ricca torta delle future commesse. La pressione dell'opinione pubblica è tale che perfino il governo Berlusconi è costretto a correre ai ripari. Obtorto collo, l'ex Guardasigilli Angelino Alfano porta in consiglio dei Ministri una legge dove l'articolo 9, quello sulle pene, è risibile. Passa così com'è nel consiglio dei Ministri, dove invece litigano lui e il collega della Semplificazione, il leghista Roberto Calderoli, sull'articolo che riguarda l'ineleggibilità alla cariche pubbliche. Trenta giorni dopo, quando il testo finalmente viene mandato per la firma sul Colle, rivela subito la sua natura "trasparente", si mostra per quello che è, neppure un pannicello caldo, è solo un nulla che, per giunta, non rispetta neppure i rigidi dettati del Greco, il gruppo
europeo anticorruzione e dell'Ocse, che da anni raccomandano all'Italia di ratificare in fretta la convenzione di Strasburgo, rimasta lettera morta dal '99, e di allungare la prescrizione.

Ci vuole più di un anno, al Senato, per votare la legge. Ci si arriva alla fine di luglio 2011. Ma il testo resta quello che è, un nulla. Passa alla Camera, ma non riceve l'input politico per camminare in fretta. Berlusconi ha sulle spalle i processi milanesi e non ha alcuna voglia di aggravare le pene per un reato contestato a lui stesso. Cade il governo, ma il ddl non decolla.

Il Guardasigilli Paola Severino, nella sua prima intervista proprio a Repubblica, lancia un segnale importante. Dice che la trincea in cui lanciarsi è la lotta alla corruzione. Annuncia che vuole inserire il reato di corruzione tra privati. Sulla prescrizione e sull'ipotesi di allungarla pronuncia una frase che allarma il Pdl: "Non è un tabù". Dirà ancora che è disponibile a discutere del falso in bilancio e soprattutto conferma che le indicazioni dell'Europa devono essere rispettate. Qui comincia il vero braccio di ferro con il Pdl. Che, per guadagnare tempo e fermare il governo Monti, ipotizza di togliere via dalla legge anti-corruzione tutta la parte penale, proprio quella più importante e strategica, quella che magistrati protagonisti della stagione di Mani pulite, da Pier Camillo Davigo (oggi in Cassazione) a Francesco Greco (tuttora procuratore aggiunto a Milano), ritengono fondamentale per contrastare realmente la corruzione.

Niente da fare. Il tavolo politico si blocca. Il Pdl alza le barricate. Severino dice a Bersani e Casini "io voglio andare avanti". Loro garantiscono il pieno appoggio. Ma a quel punto Alfano si sfila. Restano le "schede" del ministro Guardasigilli che insiste sulla corruzione tra privati, sul nuovo reato di traffico di influenze illecite, sulle pene massime più alte. Ipotesi che non potranno mai vedere la luce se il Pdl continua a far muro.

(07 marzo 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/03/07/news/il_muro_invalicabile_del_pdl_contro_la_legge_anticorruzione-31152035/
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« Risposta #62 inserito:: Aprile 06, 2012, 04:38:22 pm »

RIFORME

Partiti, un'Authority per certificare i bilanci il piano anti-corruzione del ministro Severino

Bersani: subito una legge per la trasparenza.

Scartata l'ipotesi di un decreto. Ancora lite sulla responsabilità civile dei magistrati

di LIANA MILELLA


ROMA - Un'Authority per certificare la trasparenza nei bilanci dei partiti. Un'Authority dedicata, specifica, da costruire dal nulla. Oppure un'Authority che già esiste e alla quale affidare, in aggiunta ai compiti che già svolge, "anche" la funzione aggiuntiva di leggere in tralice la gestione economica dei partiti.

Balena l'ipotesi di farne un decreto legge, ma così come nasce l'idea si affievolisce fino a sparire. Spunta in via Arenula, nel grande ufficio del Guardasigilli Paola Severino, già alla prese con tre leggi che hanno fatto traballare più di un suo predecessore: il ddl anti-corruzione, le intercettazioni, la responsabilità civile dei giudici.

Un pacchetto esplosivo in cui è difficile far andare d'accordo Pdl e Pd. Proprio durante un faccia a faccia con i Democratici s'impone come pressante e inderogabile la necessità di mettere subito mano al tema del giorno, quello della trasparenza nella vita economica dei partiti.

Sono le 15, dal ministero della Giustizia esce il responsabile Giustizia del Pd Andrea Orlando e lega le due questioni, trasparenza e anti-corruzione: "Sono argomenti prioritari, ma non li terrei insieme. Il fatto certo è che sui bilanci serve un intervento rapido".

Passa qualche ora e il segretario del Pd Pier Luigi Bersani prende di petto la faccenda. Scrive e gira il quesito a Casini ed Alfano. Chiede "subito una legge sulla trasparenza". Ne elenca dettagliatamente i punti. A stretto giro rispondono
il leader dell'Udc - "Passiamo dalle parole ai fatti" - e quello del Pdl - "Con me si sfonda una porta aperta" - ma proprio la storia del ddl anti-corruzione insegna che una cosa sono le dichiarazioni, altro è varare una legge che tocca interessi vitali.

Era marzo 2010 quando l'allora Guardasigilli Alfano portò a palazzo Chigi il ddl anti-corrotti. Sull'onda delle inchieste per il terremoto all'Aquila. Due anni dopo Severino fatica a chiudere un'intesa. Ieri ha annunciato di avercela quasi fatta: "Ci sono ampi spazi per una riforma condivisa".

Il 17 aprile presenterà le norme a Montecitorio. Anticipandone il contenuto le novità sono queste: vengono introdotti i reati di corruzione privata e di traffico di influenze, con una formula che garantisca di intervenire sulle transazioni di importo significativo; saranno aumentate le pene massime dei reati di corruzione già esistenti, in modo da garantire una prescrizione più lunga (ma la Cirielli resta com'è); ci sarà un intervento sul reato di concussione in modo da garantire che venga incriminata la vittima che si è resa partecipe del delitto come ci chiede il Greco; non ci sarà nulla sul falso in bilancio, né sull'autoriciclaggio.

È realistico che, in una legge complessa come l'anti-corruzione, sia inserita una pagina sulla trasparenza dei partiti? Se ne discute, la delegazione del Pd - Orlando con le ex pm Silvia Della Monica e Donatella Ferranti, ora capogruppo Pd nelle commissioni Giustizia di Senato e Camera - è contraria all'idea di "appesantire" il ddl. Un'altra legge allora che, come ipotizza Bersani, raccolga le proposte che già sono in Parlamento. Niente decreto, questo è certo.

Allo stesso modo, dal tavolo di Severino, arriva un "no" tondo all'ipotesi di coinvolgere la Corte dei conti nella verifica dei bilanci dei partiti. Il ministro avrebbe spiegato che la loro natura privatistica impedisce un simile controllo, a meno che non si voglia cambiare l'articolo 49 della Costituzione ("Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale").

Ecco la via dell'Authority. Severino passa la palla anche al ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, suo partner nel gestire l'anti-corruzione. Ma a palazzo Vidoni si registra prudenza perché prima di qualsiasi mossa è meglio verificare l'effettiva competenza sulla materia.

Severino studierà la questione. Ma prima dovrà risolvere altre due "grane", responsabilità civile dei giudici e intercettazioni. La prima è urgentissima: la legge Comunitaria, dov'è inserito l'emendamento del leghista Pini che impone ai magistrati di pagare di tasca propria le eventuali condanne e di rispondere anche per "la manifesta violazione del diritto", è in discussione al Senato.

Il Pd non fa sconti al Guardasigilli, vuole che "il governo ci metta la faccia", teme che in assenza di un intervento del governo si verifichi un nuovo caso Pini, quando il Pdl votò con la Lega. Severino preferisce l'intesa dei partiti. Se sull'anti-corruzione un compromesso è ipotizzabile, su responsabilità e intercettazioni l'accordo è lontano.
 

(06 aprile 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/04/06/news/autorit_bilanci_partiti-32838382/?ref=HRER1-1
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« Risposta #63 inserito:: Aprile 13, 2012, 12:16:01 am »

12
apr
2012

Intercettazioni, ma lasciatele in pace…

 Liana MILELLA
 
In tempi di scandali, le intercettazioni andrebbero potenziate, non certo ridotte né costrette nel limbo del silenzio e della non pubblicabilità.

Invece ecco il Pdl pronto a invocare il suo contentino in cambio del via libera alla legge anti-corruzione. Così accade che alla gente arrivino segnali fortemente contraddittori.

Da una parte si fa la legge per bloccare e rendere più trasparenti i conti di un partito; dall’altro il Pdl dice blocco tutto senza le nuove regole per intercettare.

Ma il fatto stesso che si ipotizzino cambiamenti inevitabilmente peggiorativi la dice lunga sull’effettiva voglia di trasparenza della politica.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2012/04/12/intercettazioni-ma-lasciatele-in-pace/
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« Risposta #64 inserito:: Maggio 10, 2012, 11:40:58 pm »

La polemica

Giustizia, raffica di emendamenti Pdl per bloccare la legge anticorruzione

Il partito del Cavaliere ostacola il ddl della Severino e punta a portare in aula il vecchio testo Alfano. Scontro anche sul falso in bilancio.

E spunta un emendamento del pidiellino Sisto sulla concussione che spazzerebbe via il processo Ruby

di LIANA MILELLA

ROMA - Il Pdl fa melina e si mette di traverso sul ddl anti-corruzione, su cui il Guardasigilli Paola Severino ha messo la faccia, e cerca di sbarrare la strada pure alla legge Palomba, il ripristino del vecchio falso in bilancio, punito d'ufficio fino a cinque anni, rilanciato dall'Idv e ben visto da Severino, Pd, Fli, Udc, e perfino dalla Lega. A colpi di emendamenti e di richieste di chiarimenti e di rinvii, il Pdl cerca di terremotare l'arrivo in aula dei due provvedimenti, in calendario per il 28 maggio.

Oggi, nelle commissioni congiunte Affari costituzionali e Giustizia di Montecitorio, si potrebbe approvare il ddl anti-corruzione, tant'è che il presidente della Giustizia Giulia Bongiorno ha insistito per convocare la seduta alle 10 e proseguire fino al momento del voto. Ma il Pdl, in più di un conciliabolo ben visibile durante i lavori d'aula, si prepara a frenare fino allo stop. Piano ben studiato perché oggi Severino potrà solo dare il parere sui sub-emendamenti, poi deve partire per gli Usa, e a quel punto non resta che una manciata di giorni.

I berlusconiani hanno un obiettivo, azzerare il piano anti-corruzione del ministro della Giustizia e mandare il ddl in aula con il vecchio testo uscito dagli uffici dell'ex Guardasigilli Angelino Alfano, e recisamente bocciato dalle toghe. Nessun aumento di pena per i delitti di corruzione, quindi prescrizione invariata rispetto a oggi, né nuovi reati come traffico di influenze e corruzione tra privati.

Il verbo "sopprimere" è il protagonista del Pdl barricadiero. Quello di deputati come Francesco Paolo Sisto e Manlio Contento, entrambi avvocati, che hanno firmato nell'ultima settimana, e ancora ieri, gli emendamenti che cancellano quello di Severino e il falso in bilancio proposta dall'Idv. Ufficialmente il Pdl non si butta nella mischia, l'avvocato Niccolò Ghedini privilegia la strategia dello "stare a guardare", la mette in pratica il capogruppo alla Giustizia Enrico Costa.

Ma ad agire sono Sisto e Contento. Venerdì scorso, allo scadere del termine per le modifiche al ddl anti-corruzione, ecco la proposta di Sisto di punire la concussione solo qualora vi sia un passaggio di denaro e di un'altra "utilità patrimoniale". In fumo il processo Ruby e la concussione di Berlusconi.

Ieri lo stesso Sisto è tornato ad agire. Suoi, e di Contento, i 20 emendamenti sul falso in bilancio che snaturano del tutto la proposta dell'Idv e spaccano la già fragile maggioranza. Da una parte il Pd, con Donatella Ferranti, dichiara di "stare" con l'Idv, deciso anche a "rendere più efficace e circostanziata quella proposta". Dall'altra una nuova raffica all'insegna del "sopprimere", proprio com'era accaduto venerdì sulla corruzione.

Un solo compromesso stavolta, punire il falso in bilancio fino a tre anni, una mediazione al ribasso tra i due attuali e i cinque richiesti dall'Idv e da tutti gli altri. Dice Sisto: "Proprio in questo momento di suicidi, non ci possiamo permettere di strangolare gli imprenditori con una legge smaccatamente contro di loro". Un colpo di cesoie e l'anti-corruzione va in fumo.
 

(10 maggio 2012) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2012/05/10/news/pdl_giustizia-34816454/
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« Risposta #65 inserito:: Maggio 19, 2012, 10:54:00 am »

IL CASO

Il Pdl rinuncia al "blocca-Ruby" e Severino tenta la mediazione

Colloquio di Napolitano con il ministro che punta a mettere intorno ad un tavolo lunedì o martedì i partner della maggioranza per far ripartire la trattativa
 
di LIANA MILELLA

ROMA - Ci sono tre novità sull'anti-corruzione. La prima: il Pdl rinuncia definitivamente all'emendamento blocca-Ruby, quello targato Sisto, che imponeva nel codice una concussione solo in caso di vantaggio "patrimoniale" e che avrebbe fatto saltare subito il processo di Milano. La seconda: il Guardasigilli Paola Severino, alla festa della polizia penitenziaria, incontra Napolitano, colloquia per 20 minuti con lui, e subito dopo invia e riceve numerosi sms con i partner della maggioranza per far ripartire la trattativa sull'anti-corruzione. Il ministro lavora a un incontro che si terrà tra lunedì sera e martedì (più probabile la seconda opzione) prima della nuova seduta delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia che devono votare il ddl in vista dell'aula in calendario per il 28. Lì si dovrà trovare un punto d'incontro per evitare che sull'anti-corruzione cada il governo.

Terza notizia: il Pdl, ma non solo, cerca di tenere lontano dal tavolo della mediazione quei politici che hanno fama di assoluta intransigenza sulla caratura costituzionale e sull'efficacia penale delle leggi. Black list per le ex pm, ora Pd, Donatella Ferranti e Silvia Della Monica, al loro posto si privilegia il meno tecnico Andrea Orlando. Cartellino giallo per Giulia Bongiorno, la presidente finiana della commissione Giustizia che, come ha detto a Repubblica, non vuole un pannicello caldo ma una legge effettivamente adeguata a contrastare "il veleno" della corruzione. C'è
perfino chi addebita a Severino di aver detto che finora il dialogo si è arenato per colpa degli ex magistrati.

Ufficialmente nulla è trapelato sul colloquio Napolitano-Severino. Ma due questioni preoccupano il Guardasigilli: l'essere rimasta con un solo sottosegretario (Mazzamuto con cui s'è pure scontrata), in vista di un periodo denso di attività parlamentare, e l'anti-corruzione, su cui è facile intuire quanto gli scontri nella maggioranza possano preoccupare il Colle. Da qui alla mediazione il passo è breve, anche se le dichiarazioni della giornata girano all'insegna dello scontro. Ignorando il presidente della Camera Fini che invita tutti a mettere da parte le polemiche "per approvare in fretta il ddl".

Ma è ancora troppo caldo il voto difforme (Pd con Idv, Pdl solo) in commissione del giorno prima. Ecco Bersani dire "basta alla tattiche dilatorie del Pdl che mettono a rischio il governo". Ferranti insiste: "Quando tu contesti pene minime, pene accessorie e nuovi reati cosa rimane? Il ddl Alfano". Il timore del Pd è che i berlusconiani alzino l'asticella pur di andare in aula senza la "piramide delle pene" di Severino. Il capogruppo Pdl Cicchitto li accusa di "demagogia". Enrico Costa e Manlio Contento, in stretto contatto con Niccolò Ghedini, quindi con Berlusconi, negano l'ostruzionismo, assicurano di lavorare "per un ddl equilibrato", insistono sulla necessità di abbassare le pene minime "per consentire al giudice di applicare la giusta pena", dicono "no a reati generici" (vedi il traffico di influenze). Accusano il Pd "di essere impegnato in una gara con Di Pietro a chi è più giustizialista". Di Pietro, all'opposto, se la prende "con l'ammucchiata di una finta maggioranza che non può imboccare con decisione nessuna strada, né contro la corruzione, né sull'economia". Il centrista Roberto Rao non dispera. Dopo l'incontro Napolitano-Casini è convinto che "su un tema così importante come la giustizia, che poi è anche economia perché significa garantire investimenti, si deve trovare un accordo, smettendo di giocare tra berlusconiani e antiberlusconiani".

(19 maggio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/05/19/news/pdl_rinuncia_blocca-ruby-35436637/?ref=HREC1-4
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« Risposta #66 inserito:: Maggio 27, 2012, 04:53:14 pm »

L CASO

Piano per il Csm, meno potere ai giudici rivoluzione nei processi disciplinari

Progetto di Palazzo Chigi: ai "laici" più potere nei verdetti sui magistrati, i togati non saranno maggioranza.

L'influenza politica diventerebbe fortissima

di LIANA MILELLA


Via dalle mani dei magistrati la giustizia disciplinare. Processi alle toghe affidati, con una maggioranza strategica, a "giudici" scelti dal Parlamento. È un progetto cui sta lavorando palazzo Chigi. Il testo non è ancora passato in Consiglio dei ministri, ma per la sua portata dirompente è già trapelato all'esterno ed è stato inviato per una prima verifica agli addetti ai lavori. Circola sulle scrivanie del Csm e delle altre magistrature. Quattro articoli che riscrivono componenti e modalità del potere disciplinare. Con un obiettivo evidente, che pure l'ex premier Berlusconi aveva cercato di perseguire, ma senza riuscirci: sottrarre ai giudici il potere di mettere sotto processo, condannare o assolvere i colleghi che sbagliano. Con una ragione che oggi, ma anche ieri, viene spiegata così: si tratta dell'unica via per garantire un'imparzialità che l'attuale "giustizia domestica" non assicura. Questo si legge nelle note diffuse dagli uffici di Palazzo Chigi.

Per una coincidenza del tutto temporale la nuova proposta trapela mentre al Senato si sta per riparlare di responsabilità civile dei giudici: scadeva il 23, ma è stato rinviato ai primi di giugno, il termine per le proposte di modifica all'emendamento Pini che prevede la responsabilità diretta non solo "per dolo o colpa grave", com'è oggi, ma pure per "manifesta violazione del diritto". Un mix esplosivo per le toghe che già sono sul piede di guerra per la responsabilità. Figurarsi
se dovesse cambiare anche la giustizia disciplinare.

Repubblica ha potuto leggere i quattro articoli che, in fila, cambiano la composizione delle sezioni del Csm, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti, dei giudici tributari chiamate a "processare" i colleghi. Una logica assai semplice: maggioranza o pariteticità dei posti disponibili ai componenti eletti dal Parlamento. Intervento già previsto nella riforma costituzionale della Giustizia firmata dall'ex Guardasigilli Angelino Alfano. Approvata dal consiglio dei ministri il 10 marzo 2011, prevedeva di affidare a un'Alta corte il potere di giudicare le toghe. Composizione mista, metà dalle Camere, metà dai magistrati.
Ma quella era una riforma costituzionale, qui invece il governo Monti vuole procedere per via ordinaria. E questo è già un primo problema che rischia di far arenare la legge per un evidente vulnus di costituzionalità. Ma tant'è. Ecco i quattro articoli. A cominciare da quello che interviene sulla sezione disciplinare del Csm, oggi sezione interna al Consiglio, in cui i magistrati hanno la maggioranza, quattro posti su sei. In futuro saranno tre e tre. Il vice presidente, un laico, altri due membri di nomina parlamentare. Poi tre magistrati, un giudice, un pm, uno proveniente dalla Cassazione. Stesso equilibrio per i supplenti, cinque laici e cinque magistrati.

Per Consiglio di Stato e Corte dei conti s'interviene sui consigli di presidenza. Per i giudici amministrativi si prevede di istituire "una sezione disciplinare composta dal presidente che la presiede, da tre componenti tra quelli eletti dalle Camere, da un magistrato". Cinque i supplenti, tre laici e due togati. Stessi equilibri per le toghe contabili. Nella sezione il presidente, 3 laici, un magistrato. Delega al governo, invece, per "riformare il consiglio di presidenza della giustizia tributaria". Dentro una sezione disciplinare "composta in misura almeno paritaria dei componenti eletti dalle Camere". Una formula su cui per certo i magistrati daranno battaglia.
 

(27 maggio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/05/27/news/piano_csm-35993042/?ref=HRER1-1
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« Risposta #67 inserito:: Giugno 18, 2012, 04:51:02 pm »

La legge

Intercettazioni, torna il rischio-bavaglio vietati i "riassunti" fino al dibattimento

Saltano due righe chiave dalla bozza Severino. Il Pdl preme per l'approvazione, il ministro chiede altro tempo.

Confermate le sanzioni per chi pubblica testi relativi a soggetti non sotto inchiesta 

di LIANA MILELLA


ROMA - Non ci sono mai buone notizie per la stampa quando ci si occupa di intercettazioni. Il bavaglio, totale o parziale che sia, è sempre dietro l'angolo. La riforma targata Severino non fa eccezione. A stare al testo che qualche settimana fa il ministro della Giustizia ha distribuito ai partiti almeno tre novità risultano incontrovertibili. Una riguarda il divieto di pubblicare "per riassunto" gli atti di un processo. Le altre due attengono alle sanzioni: l'arresto fino a 30 giorni, e per le telefonate da distruggere o che coinvolgono terze persone estranee alle indagini fino a tre anni, e multe assai salate, in caso il cronista e il suo giornale decidano di pubblicare i testi relativi.

Premessa d'obbligo: Paola Severino sta ancora studiando il vecchio testo Alfano, passato attraverso tre anni di estenuanti mediazioni, e alla fine congelato alla Camera. Dai suoi uffici però è uscita una prima bozza rivisitata. E lì c'è traccia del possibile bavaglio. Ecco i punti critici. A partire dalla punizione per chi, incurante delle restrizioni, decide di riprodurre telefonate che riguardano i famosi "terzi", coinvolti in un ascolto ma senza un ruolo attivo nel processo.

Già il vecchio testo prevedeva il carcere da sei mesi fino a tre anni per chi decideva di pubblicare "atti e contenuti" di conversazioni destinate alla distruzione. La stessa pena, nel testo di Severino, viene confermata anche per chi pubblica materiale che riguarda "fatti, circostanze e persone estranee alle indagini di cui sia stata disposta l'espunzione".

Dopo gli incontri di un mese fa del Guardasigilli con le forze politiche - tavolo cui partecipavano Pdl, Pd, Udc, Fli - i suoi uffici hanno distribuito un copia del ddl sulle intercettazioni in cui sono evidenti, per effetto di neretti, sottolineature, cancellazioni e aggiunte, le modifiche di Severino. Il carcere da sei mesi a tre anni anche per chi pubblica gli ascolti dei terzi non coinvolti è tra queste novità. Un'altra riguarda le multe, assai salate, nonché l'arresto fino a 30 giorni, per chi decide di pubblicare conversazioni destinate al segreto fino alla discovery del processo. La multa parte da 2mila euro e può arrivare fino a 10mila. "Graziato" l'editore perché "la sanzione pecuniaria da 50 a cento quote" risulta cancellata.

Un'altra cancellatura "pesante" balza all'occhio sugli spazi di pubblicazione, disciplinati dall'articolo 114 del codice di procedura penale. Nella mediazione tra l'ex Guardasigilli Angelino Alfano e la presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno, era entrata una clausola di salvaguardia per il cronista. Al secondo comma dell'attuale 114, dove è scritto "è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare", l'ultimo testo riportava la frase "di tali atti è sempre consentita la pubblicazione per riassunto".

Ciò garantiva, dopo un'ordinanza di custodia cautelare o un decreto di perquisizione o sequestro, la possibilità di pubblicare "per riassunto" gli atti. Ma queste due righe risultano cancellate dal testo Severino. Il risultato è evidente. Salvo che il ministro non cambi idea scatterà il black out fino al processo. Proprio quello che voleva Berlusconi.

Il calendario della Camera prevedeva che già questa settimana si dovesse discutere di intercettazioni. Ma al Pdl, che preme per approvarle, il ministro ha chiesto ancora tempo. Preoccupata com'è di tenere aperti due fronti caldi tra Montecitorio (ascolti e falso in bilancio) e Palazzo Madama (responsabilità civile dei giudici e anti-corruzione). Ha detto che sta studiando ulteriori modifiche. C'è da augurarsi che non limitino il diritto di cronaca.

(18 giugno 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/06/18/news/intercettazioni_bavaglio-37412855/
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« Risposta #68 inserito:: Luglio 11, 2012, 09:55:32 am »

IL CASO

Intercettazioni, la Severino "Riforma difficile ma va fatta"

Il disegno di legge anticorruzione, invece, è destinato al "binario morto" in Parlamento.

Il Pd: "Il governo dovrebbe fare la voce grossa su questo punto"

di LIANA MILELLA

ROMA - Non promette niente di buono il calendario di luglio sulla giustizia. Disco verde al Senato per la responsabilità civile dei giudici, anche se il testo della legge Comunitaria deve tornare alla Camera. Binario morto per il ddl anti-corruzione sempre a palazzo Madama, col rischio che la legge perda qualsiasi chance di essere approvata per il 2013. Cattive notizie pure da Montecitorio, dove il Guardasigilli Paola Severino potrebbe presentare un suo testo sulle intercettazioni. Non è detto che faccia in tempo per questo scorcio di luglio, ma certo è che ci sta lavorando. Convinta com'è - lo ripete da due giorni - che "la riforma è difficile, ma va fatta".

Glielo chiedono i giornalisti, è vero, ma il ministro della Giustizia non replica con un "la legge non serve, bastano le norme che ci sono adesso". Tutt'altro. Non è un mistero che il Pdl sta esercitando su Severino fortissime pressioni per ottenere una legge che, anche se non è il bavaglio totale che avrebbe preteso Berlusconi, per certo complicherà assai la vita di pm e giornalisti. L'insistenza del Pdl fa sì che per una legge sulle intercettazioni che va avanti potrebbe essere diverso l'atteggiamento del gruppo su anti-corruzione e responsabilità. Guai a chiamarlo do ut des perché Severino s'arrabbia, ma la partita, vista dal coté berlusconiano, assume quest'aspetto.
Il rischio più grave è che il ddl anti-corruzione si blocchi. Le notizie che arrivano dal Senato non sono confortanti.
Soggetto alla discussione in un due commissioni "in congiunta" - Affari costituzionali e Giustizia - per ora può contare su una sola seduta a settimana, e siamo ancora alla discussione generale. Chiosa la capogruppo del Pd Silvia Della Monica: "Con questo ritmo non ce la faremo neppure a discutere gli emendamenti prima dell'estate. Io l'ho fatto presente, ho chiesto più spazio, ho ribadito che per noi questo ddl è di importanza fondamentale, ma ho avvertito intorno a me grande freddezza. A mio avviso il governo dovrebbe fare la voce grossa e chiedere subito una corsia preferenziale, altrimenti qui rischiamo veramente di perdere il treno del voto favorevole".

A rabbonire il Pdl e a dargli entusiasmo sull'anti-corruzione potrebbero essere proprio le intercettazioni, l'idea che l'agognato traguardo di una leggina bavaglio si avvicini. Severino insiste "sui diritti e sulle esigenze che rappresentano il vertice dei beni costituzionalmente tutelati" e cita "quello dei cittadini alla propria privacy, quello del giornalista di informare, quello del magistrato a lavorare in modo riservato nelle fasi di costruzione delle indagini". Il Guardasigilli ammette - mentre visita le carceri di Marassi e San Vittore e ai detenuti dice "sull'amnistia decide solo il Parlamento" - che "la materia abbia un livello di difficoltà enorme", ma pur difficile questo resta "un compito da cui non ci può sottrarre". Soprattutto visto che "il ddl è già calendarizzato alla Camera". Difficile dire, sin da ora, quanto stretto sarà il suo bavaglio. Certo è che qualsiasi legge sulle intercettazioni ridurrà comunque le maglie del diritto di cronaca.

(10 luglio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/07/10/news/severino_intercettazioni-38803310/?ref=HREC1-1
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« Risposta #69 inserito:: Settembre 10, 2012, 08:35:11 pm »


9
set
2012

Corruzione, ricatto Pdl


Il balletto del Pdl sull’anti-corruzione è insopportabile. Con il suo consueto linguaggio esplicito lo ha detto Di Pietro usando l’unica parola giusta per definire quanto stanno facendo i berlusconiani sulla giustizia. “Ricatto”. E non oggi, ma ormai da mesi. Votiamo l’anti-corruzione, dicono gli uomini del Cavaliere, solo a patto che si chiuda contemporaneamente l’accordo anche su intercettazioni e responsabilità civile dei giudici. Come dice il leader dell’Idv la pretesa è quanto mai “contraddittoria” perché non si può, da un lato, rafforzare gli strumenti per contrastare corrotti e corruttori e, dall’altro, indebolire gli strumenti investigativi e delegittimare i magistrati.

Ma non basta. Il ricatto va oltre. Il Pdl vuole una legge anti-corruzione all’acqua di rose. Già essa è deficitaria perché, come lamenta giustamente l’Anm, non prevede un congruo allungamento della prescrizione e non introduce il reato di auto-riciclaggio. Non basta. Il Pdl vuole di nuovo abbassare le pene minime dei reati corruttivi, vuole indebolire le nuove figure del traffico di influenze e della corruzione tra privati, che già nella versione Severino prevedono una pena massima fino a tre anni, quindi non saranno possibili neppure le intercettazioni. Ma non basta ancora. Vogliono una corruzione tra privati solo a querela di parte. E contestano la divisione della concussione perché non avvantaggia Berlusconi e la definiscono una norma contra personam.

Tralasciando qui il complesso discorso della concussione e la verifica dell’effettiva utilità della nascita del nuovo reato di corruzione per induzione (l’ex pm Di Pietro lo considera un danno) soprattutto per l’impatto che avrà sui processi in corso, le condizioni del Pdl appaiono del tutto inaccettabili e rischiano di svuotare completamente la legge. Senza contare che la pretesa del “trittico”, come lo chiama il capogruppo Cicchitto, e l’accordo blindato anche su intercettazioni e responsabilità civile rivela l’unico obiettivo del Pdl: far saltare l’anti-corruzione. Che, a voler dare un segnale, andrebbe votata al Senato così com’è, senza prevedere un nuovo passaggio alla Camera. La legislatura stringe e questa legge aspetta un sì dalla primavera 2010.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2012/09/09/corruzione-ricatto-pdl/?ref=HREC1-7
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« Risposta #70 inserito:: Settembre 27, 2012, 02:36:52 pm »

IL CASO

Corruzione, oltre due anni di schermaglie ecco chi e perché si oppone alla legge

Il fronte dei contrari è molto ampio: politici che rischiano di essere condannati, pubblici funzionari che non rispettano le regole, alcuni magistrati e alcuni imprenditori.

Il cammino del provvedimento inizia nell'aprile del 2010 e ancora oggi il Pdl cerca di smontarlo.

I punti critici

di LIANA MILELLA


La ostacola chi teme, se condannato per reati gravi, di non poter più essere candidato o ri-candidato. Gli mette sabbia negli ingranaggi chi, nella pubblica amministrazione, è abituato a gestire la macchina dello Stato senza rispettare le regole e a sfruttarla per interessi personali. Non vuole che sia approvata chi ha guadagnato fior di milioni di euro con gli arbitrati, magistrati d'ogni categoria in primis. Ne parla male chi, tra i giudici, è fuori ruolo da più di dieci anni, guadagna il doppio dello stipendio, e rischia invece di dover fare subito le valigie. La odiano tutti i potenziali incriminati per reati come l'abuso d'ufficio, il peculato (vedi Fiorito), la concussione, la corruzione in genere e quella più grave nei confronti delle toghe perché le pene schizzano in avanti. Cercano di fermarla gli imprenditori penalmente sporchi che si vedrebbero da un giorno all'altro tagliati fuori dalla grande torta degli appalti pubblici.

Come si può vedere è assai lungo l'elenco di chi, da due anni, rema contro la legge anti-corruzione. La dovette varare il governo Berlusconi e fu costretto a firmarla, nell'aprile 2010, il Guardasigilli Angelino Alfano perché proprio non se ne poteva fare a meno, con i Verdini messi sotto processo, con lo scandalo degli imprenditori che si tuffavano come avvoltoi sugli appalti del terremoto dell'Aquila. Fu un boccone molto amaro che palazzo Chigi dovette ingoiare. Ma si capì sin da subito che non si faceva sul serio. Il testo finì al Senato e ci restò
oltre un anno, subissato dalle audizioni e dai distinguo. Alfano non fece mai nulla per imprimere un'accelerazione.

Omissis ...

Fine luglio 2011, il testo passa a palazzo Madama. Resta un altro anno a Montecitorio. Arriva Monti. La "rogna" finisce sul tavolo del nuovo ministro della Giustizia, l'avvocato Paola Severino. E la musica cambia. Lei dice subito nella prima intervista che concede proprio a Repubblica: "Punirò la corruzione tra privati".  È il 17 dicembre 2011. Nel Pdl comincia la politica dei distinguo. Che va avanti per mesi, fino al voto di fiducia strappato alla Camera a metà giugno a un gruppo berlusconiano sbrindellato e recalcitrante che, neppure un minuto dopo l'approvazione già annuncia che smantellerà il testo al Senato. In queste ore lo sta già facendo.

Del resto basta scorrerlo questo ddl per rendersi conto che è del tutto indigeribile per chi considera lo Stato "cosa sua" e come "cosa sua" lo gestisce e se ne appropria. Numerosi e dettagliati gli articoli che riscrivono le regole del buon governo all'interno della pubblica amministrazione in modo da rendere certa un'effettiva trasparenza. Controlli sugli appalti, verifiche continue, una white list presso le prefetture delle imprese pulite e che esclude dalle gare pubbliche tutti gli imprenditori con la fedina penale inguaiata. Rigida stretta sugli arbitrati, non solo servirà un'autorizzazione puntuale per concederli, ma dovranno essere privilegiati i funzionari interni. Definitivo stop per i magistrati. E proprio per le toghe una decisione assai mal vista, l'ormai famigerata "norma Giachetti", dal parlamentare Pd ed ex radicale Roberto Giachetti che l'ha presentata, per cui chi è fuori ruolo da oltre dieci anni, anche se collocato in amministrazioni importanti come il Quirinale, palazzo Chigi, la Consulta, il Csm, dovrà tornarsene indietro a svolgere il lavoro ordinario.

Indigesti i due capitoli sullo stop alle candidature dei condannati in via definitiva e sulle nuove norme penali. Qui la battaglia è stata durissima. Per le "liste pulite" - si badi, solo condannati passati in giudicato e non certo in primo grado per reati gravi come pure voleva Di Pietro - si passerà pure per una delega al governo. Doveva essere di un anno, e avrebbe saltato in modo assurdo e contraddittorio le prossime elezioni politiche. Un ordine del giorno ha impegnato l'esecutivo a farlo entro tre mesi. Ma il termine non è imperativo.

Il ginepraio delle norme penali è un cantiere aperto. Severino ha riscritto la sua "piramide" che rimette in piedi gli articoli del codice penale dal 317 al 323, aumenti di pena per reati come abuso d'ufficio, peculato, concussione e corruzione. Due nuovi reati, traffico di influenze e corruzione tra privati, un delitto "figlio" della concussione, la corruzione per induzione, che punisce in modo più lieve il corruttore e dà tre anni anche chi piega la testa. Così non parlerà più nessuno, lamenta l'ex pm Di Pietro. Molti criticano la norma e ne temono gli effetti negativi sui processi in corso. Tant'è che è stato ribattezzata salva-Penati, l'ex presidente Pd della provincia di Milano finito sotto inchiesta per gli appalti della Serravalle. Berlusconi vuole cambiarlo, segno però che non si presta bene al processo salva-Ruby.

(26 settembre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #71 inserito:: Ottobre 04, 2012, 03:42:44 pm »

RETROSCENA

Via i condannati dal Parlamento il governo accelera sulla delega

Entro dicembre l'incandidabilità: l'obiettivo dell'esecutivo è rendere operativa la legge prima del voto nel Lazio

di LIANA MILELLA


Liste pulite ovunque. Condannati in via definitiva fuori da qualsiasi carica elettiva. Come i 26 che attualmente siedono tra Camera e Senato. Se il governo Monti vince la difficile sfida contro il tempo, già nella prossima competition per la Regione Lazio, potrebbero valere le nuove norme sul divieto di far correre rappresentanti su cui grava una condanna passata in  giudicato per pene superiori a due anni. Il vettore: il ddl anti-corruzione. Lo strumento: una legge delega, prevista proprio in quel testo all'articolo 17, che bruci i tempi.

Pronta in una settimana, dopo il voto definitivo alla Camera sull'ormai famosa manovra contro i corrotti. Nuove regole per Parlamento europeo ed italiano, Regioni, Province, Comuni, circoscrizioni, aziende speciali, e ogni specie di rappresentanza a livello periferico. Stop anche per gli incarichi di governo. Non diventi premier, ministro o sottosegretario se hai commesso reati gravi e sei stato giudicato colpevole. Pronta in una settimana, dopo il voto definitivo alla Camera sull'ormai famosa manovra contro i corrotti. Nuove regole per Parlamento europeo ed italiano, Regioni, Province, Comuni, circoscrizioni, aziende speciali, e ogni specie di rappresentanza a livello periferico. Stop anche per gli incarichi di governo. Non diventi premier, ministro o sottosegretario se hai commesso reati gravi e sei stato giudicato colpevole.

La notizia è esplosiva. Immette aria nuova nella corsa al voto. Le sue conseguenze politiche sono rilevantissime. Salta fuori da un colloquio super riservato tra il Guardasigilli Paola Severino e il ministro per la Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi. Entrambi a palazzo Madama, al banco della presidenza delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia che si arrovellano sugli emendamenti all'anti-corruzione. Ma orecchie sensibili lì vicino ascoltano. Ecco il colloquio. Dice Patroni Griffi a Severino: "Sai che c'è Paola? Qui la sfida è far partire subito le norme sull'incandidabilità. Non si deve più andare a votare con i condannati in lista. Non dobbiamo perdere quest'occasione". Replica lei a lui: "Hai ragione, dobbiamo farcela assolutamente". Promette lui: "Bisogna anticipare al massimo i tempi della delega, questo ci chiede Monti".

Possibile. Realistico. Rivoluzionario. Almeno per un Parlamento in cui nomi noti - da Brancher a De Gregorio, da Dell'Utri a Drago, solo per citare qualcuno dei 26 condannati definitivi - siedono senza problemi accanto a chi ha la fedina penale pulita. Nel quale da tempo Di Pietro e i suoi chiedono norme ancora più drastiche di quelle che il governo Monti ha già fatto votare a Montecitorio con la fiducia e che ora sono al Senato. L'ex pm di Milano vorrebbe che restassero ai margini anche quanti hanno soltanto una condanna in primo grado. Fini e Bongiorno invece - autrice quest'ultima di una proposta di legge presentata a luglio proprio per anticipare la delega del governo - sono sulla linea Monti nel rispetto della Costituzione che ha nella condanna definitiva uno spartiacque decisivo. E il presidente della Camera, ancora ieri sera, sollecitava il premier ad approvare "subito" il capitolo dell'anti-corruzione che riguarda l'incandidabilità.

La scommessa di Patroni Griffi e del ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri, cui fa capo la complessa macchina del voto in periferia e che ha lavorato al capitolo delle esclusioni, è quella di far partire la legge delega subito a ridosso del voto sull'anti-corruzione. I calcoli sono presto fatti. Al Senato, nelle commissioni, il testo passerà la prossima settimana. Il presidente del Senato Schifani garantisce tempi brevi per l'aula, "due settimane". Siamo a fine ottobre. Se la Camera bruciasse i tempi con una lettura lampo e il governo a sua volta fosse pronto in pochi giorni, o subito, col decreto legislativo sulle liste pulite, si potrebbe votare per il Lazio con quel decreto già scritto. Certo, le commissioni parlamentari devono dare un parere, che però ha solo un valore consultivo.

Comunque, con un simile decreto già esistente, sarebbe una grave scorrettezza se i partiti candidassero comunque degli inquisiti nel Lazio. Sarebbe anche una mossa sciocca soprattutto perché, già nell'attuale legge delega, è prevista "la sospensione e decadenza di diritto in caso di sentenza definitiva di condanna" nel corso della carica. Pur entrati nella corsa alla Regione i condannati dovrebbero rinunciare al loro scranno e andarsene.
Tutti fuori. Quelli che hanno commesso un reato grave, di mafia, di terrorismo, un attentato contro lo Stato, un sequestro di persona, una riduzione in schiavitù, ma anche, come è stato aggiunto a Montecitorio, "sentenze definitive di condanna per delitti di grave allarme sociale".

È evidente che, tra questi reati, non si possono non includere anche le condanne per i delitti contro la Pubblica amministrazione, corruzione, concussione, peculato per l'appunto, il reato contestato a Fiorito, soprattutto in questo momento di inchieste esplosive che rivelano come i fondi pubblici siano stati usati per scopi strettamente personali. Che liste pulite sarebbero quelle in cui proprio i condannati per i crimini dei colletti bianchi alla fine possono candidarsi? È ovvio che dovranno farsi da parte. Va da sé che, fatta la legge, toccherà ai partiti e a chi seleziona le candidature decidere se "sfidare" la sorte di una possibile condanna inserendo anche chi ha già perso il primo grado o l'appello. Ma su questo Monti, Cancellieri, Severino e Patroni Griffi sono allineati sulla Costituzione. Vale una sentenza solo se definitiva.
 

(03 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #72 inserito:: Ottobre 07, 2012, 03:53:34 pm »

Il retroscena

Nel Pd l'incubo di una legge blocca-processi "Evitiamo di salvare Penati e Berlusconi"

I democratici temono che le nuove norme favoriscano la prescrizione, facendo così un "favore" al movimento di Grillo.

Nell'attuale formulazione i due processi possono prescriversi in 10 anni anziché 15. Si cerca una soluzione

di LIANA MILELLA


ROMA - Raccontano che nel Pd la battaglia sull'anti-corruzione sia tuttora aperta. Su una questione di primaria importanza che determinerà il destino - ma sarebbe meglio dire la faccia - non solo di una norma, ma dei partiti stessi che l'hanno sottoscritta. Che hanno condotto le trattative. Che hanno ostacolato o assecondato il Guardasigilli Severino. L'ultimo week-end da brivido per la legge in lista d'attesa dall'aprile 2010 si gioca tutto su due anni. Sì, proprio così. Due anni. Quelli dell'ex concussione divenuta corruzione per induzione. Sarà punita fino a 8 o fino a 10 anni? Da lì dipende se la legge contro i corrotti passerà alla storia come una buona legge o come una legge ad personam. E va da sé che non è poco.

Per essere precisi e citare alla lettera parliamo del futuro articolo del codice penale 319 quater, "induzione indebita a dare o promettere utilità". Guarda caso il delitto commesso da Berlusconi quando, il 29 maggio del 2010, telefonò al funzionario di polizia Ostuni per liberare la sua amichetta Ruby. Non solo. Pure i reati commessi da Penati, l'ex presidente della Provincia di Milano ed ex vice di Formigoni alla Regione Lombardia, quando nel 2002 trafficò con le aree della Falk. Incriminazioni che evaporano sicuramente
(Penati) e rischiano di essere compromesse (Berlusconi) appena la nuova legge anti-corruzione diventa operativa.

Storia nota, direte. Eh sì, ma è una storia che attraversa e compromette la faccia della legge anti-corruzione. E che adesso arriva allo show down. Che agita i sonni di Bersani. Mette inquietudine a Finocchiaro. Fa protestare Della Monica e Ferranti, le due ex toghe divenute capogruppo del Pd nelle rispettive commissioni Giustizia di Camera e Senato. È storia che si ripercuote in via Arenula dove Severino, fino ad ora, ha preferito non alterare la sua ormai famosa "piramide delle pene", la scala dei reati contro la pubblica amministrazione punita a seconda della loro gravità.

"La storia delle leggi deve prescindere da quella dei processi" ha spesso ripetuto il ministro della Giustizia. Ma se gli imputati si chiamano Berlusconmi e Penati, e se rappresentano quello che rappresentano, allora la prospettiva cambia. È per questo che le ex toghe del Pd battagliano e si scontrano col vertice politico. Per questo Bersani e il responsabile Giustizia Orlando s'interrogano se sia meglio approvare subito la legge e poi farsi dire che "s'è salvato Penati e s'è fatto l'inciucio con Berlusconi" oppure se non sia meglio "puntare i piedi e ottenere due anni in più di pena per la corruzione".

Eccoli qua questi benedetti due anni. La faccenda è messa così: la concussione, quando era l'unico reato e portava il numero 317, era punita da 4 a 12 anni. Adesso Severino ha aumentato il minimo che andrà a sei anni. Identico il massimo. E fin qui nulla quaestio. Ma la grana scoppia con la corruzione per induzione, punita "solo" da 3 a 8 anni. In quella specie di corruzione ricade in pieno il caso Penati. E pure quello di Berlusconi. Ovviamente, se la pena massima cala, cala pure il tempo di prescrizione. Era al massimo 15 anni, diventa al massimo 10 anni. Processi in fumo quindi. Di sicuro Penati, come s'è detto. Mentre per il Cavaliere la scadenza è lontana, ma c'è il rischio che la nuova formulazione metta in crisi il processo. Questione di "continuità giuridica" come dicono gli addetti ai lavori.

Ma torniamo ai 2 anni che scuotono e angosciano il Pd. Basterebbero due anni in più, una pena massima di 10 anziché di 8 anni, per salvare molti processi, tra questi di sicuro quello di Penati. Messo in sicurezza con la garanzia che per le tre concussioni - due delle quali già scadute quest'anno se passa la nuova legge e una in scadenza a febbraio 2013 - si può largamente arrivare al processo. Che sono due anni se salvano la faccia e cancellano l'ombra di una possibile legge ad personam? L'ex pm Della Monica, che a Firenze faceva parte della squadra di Piero Vigna, il suo emendamento lo ha presentato, corruzione per induzione punita fino a 10 anni. Severino non l'ha inserito tra i suoi. Sostiene il ministro che se apportasse quella modifica la sua "piramide" sarebbe in bilico. Ma il vertice del Pd già vede i titoli dei giornali prossimi venturi stampati: "Salvo Penati grazie alla legge anti-corruzione".

Il Pdl stavolta si può perfino permettere di stare a guardare. La storia di Penati "copre" quella di Berlusconi. La questione è sul tavolo. Rischia di inquinare il risultato della legge. In tempi di scandali dilaganti dovrebbe essere il problema dei problemi. E c'è chi, nel Pd, ragiona così: "Questo regalo a Grillo non lo possiamo proprio fare...".
 

(06 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/06/news/nel_pd_l_incubo_di_una_legge_blocca-processi_evitiamo_di_salvare_penati_e_berlusconi-43954828/
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« Risposta #73 inserito:: Ottobre 19, 2012, 05:28:31 pm »


17
ott
2012

Concussione “nemica” di Severino

Una legge contro la corruzione che ha come conseguenza quella di mandare all’aria alcuni dei processi in corso che effetto vi fa? La risposta possibile è una sola: effetto pessimo per conseguenze pessime. Purtroppo rischia di essere proprio questo il risultato più tangibile e d’immediato impatto mediatico della legge anti-corruzione. Decretare la fine o il rimescolamento  giuridico – il che forse è ancora peggio – di molti processi attualmente in corso per il reato di concussione per induzione, il famoso reato “figlio” della stessa concussione per come lo ha scritto il ministro della Giustizia Severino nella sua “piramide delle pene”. Tant’è che lei stessa se ne preoccupa e commissiona al suo ufficio statistico (ma non solo) un’indagine sul campo, dai tribunali alle corti di appello per finire alla Cassazione. Li illustrerà oggi al Senato quando il ddl sloggerà finalmente per essere votato con la fiducia e tornare alla Camera per quella che dovrebbe essere la lettura definitiva.
La fotografia delle conseguenze del ddl anti-corruzione sono in un numero da cerchiare in rosso. Arrivano al  50%  i processi  di concussione per induzione che impattano con la legge, e nei quali il giudice dovrà verificare se il nuovo reato effettivamente è scritto e strutturato in modo tale da reggere ancora al giudizio dei giudici. Severino minimizza, si è convinta che, rispetto al dato globale dei processi per concussione,  quelli che cadono si contano su un paio di mani, sarebbero solo “poche decine”. Supposto che questo sia vero – ma non è vero – comunque anche la caduta di un solo processo perché fulminato da tempi di prescrizione che non sono più quelli di prima grazie a una norma contenuta in una legge che dovrebbe rafforzare – e non certo sminuire – la repressione, è molto negativo e dovrebbe essere evitato.
In Cassazione, attualmente, ci sono 75 processi per concussione relativi all’anno in corso. Di questi il 50% è a rischio perché dovrà misurarsi con il nuovo articolo 319 quater, quello che disciplina la concussione per induzione.  Ma non basta. Agli uomini che sanno far di conto è stata data un’indicazione che potrebbe risultare del tutto anomala.  Per calcolare quale potrebbe essere l’impatto “assassino” hanno distinto i processi di concussione per costrizione da quelli per induzione basandosi sui capi di imputazione e non sulle condotte effettive degli imputati. Non è affatto detto che il modo migliore per capire quale sia la natura di un reato sia proprio quella di spulciare i capi di accusa contenuti nelle sentenze anziché esaminare le singole condotte del soggetto inquisito.
Ma a stringere il risultato è uno: nel giorno in cui si dovrebbe celebrare con entusiasmo il sì alla legge seppure con l’ennesima fiducia, ecco che Severino cerca di evitare gli attacchi frontali più duri  su un aspetto che ormai da mesi è stato segnalato dai media. E cioè la prescrizione più breve per un grave reato come la concussione per induzione a seguito del taglio degli anni di pena ridotti da un minimo di 3 a un massimo di 8 anni. Con questo soltanto bisognerebbe fare i conti.

Una legge contro la corruzione che ha come conseguenza quella di mandare all’aria alcuni dei processi in corso che effetto vi fa? La risposta possibile è una sola: effetto pessimo per conseguenze pessime. Purtroppo rischia di essere proprio questo il risultato più tangibile e d’immediato impatto mediatico della legge anti-corruzione. Decretare la fine o il rimescolamento giuridico – il che forse è ancora peggio – di molti processi attualmente in corso per il reato di concussione per induzione, il famoso reato “figlio” della stessa concussione per come lo ha scritto il ministro della Giustizia Severino nella sua “piramide delle pene”. Tant’è che lei stessa se ne preoccupa e commissiona al suo ufficio statistico (ma non solo) un’indagine sul campo, dai tribunali alle corti di appello per finire alla Cassazione. Avrebbe dovuto illustrare i dati al Senato ma alla fine deve aver deciso che era meglio soprassedere forse per evitare polemiche ulteriori. Un silenzio, quello del Guardasigilli sulla concussione per induzione e sugli effetti che produrrà sui processi in corso che, francamente, lascia perplessi. Ignorare un problema, e che problema, non pare la via più trasparente, giusto in un provvedimento che della trasparenza, come dice il suo collega Patroni Griffi, fa una bandiera.

Tant’è. La fotografia delle conseguenze del ddl anti-corruzione sono in un numero da cerchiare in rosso. Arrivano al 50% i processi di concussione per induzione che impattano con la legge, e nei quali il giudice dovrà verificare se il nuovo reato effettivamente è scritto e strutturato in modo tale da reggere ancora al giudizio dei giudici. Severino minimizza, si è convinta che, rispetto al dato globale dei processi per concussione, quelli che cadono si contano su un paio di mani, sarebbero solo “poche decine”. Supposto che questo sia vero – ma non è vero – comunque anche la caduta di un solo processo perché fulminato da tempi di prescrizione che non sono più quelli di prima grazie a una norma contenuta in una legge che dovrebbe rafforzare – e non certo sminuire – la repressione, è molto negativo e dovrebbe essere evitato.

In Cassazione, attualmente, ci sono 75 processi per concussione relativi all’anno in corso. Di questi il 50% è a rischio perché dovrà misurarsi con il nuovo articolo 319 quater, quello che disciplina la concussione per induzione. Ma non basta. Agli uomini che sanno far di conto è stata data un’indicazione che potrebbe risultare del tutto anomala. Per calcolare quale potrebbe essere l’impatto “assassino” hanno distinto i processi di concussione per costrizione da quelli per induzione basandosi sui capi di imputazione e non sulle condotte effettive degli imputati. Non è affatto detto che il modo migliore per capire quale sia la natura di un reato sia proprio quella di spulciare i capi di accusa contenuti nelle sentenze anziché esaminare le singole condotte del soggetto inquisito.

Ma a stringere il risultato è uno: nel giorno in cui si dovrebbe celebrare con entusiasmo il sì alla legge seppure con l’ennesima fiducia, ecco che Severino cerca di evitare gli attacchi frontali più duri su un aspetto che ormai da mesi è stato segnalato dai media. E cioè la prescrizione più breve per un grave reato come la concussione per induzione a seguito del taglio degli anni di pena ridotti da un minimo di 3 a un massimo di 8 anni. Invece è con questo bisognerebbe fare i conti, invece di attardarsi sui magistrati fuori ruolo, quasi che sia scandalo che al ministero della Giustizia ci lavorano dei magistrati. E chi ci dovrebbe andare, forse gli ingegneri?…

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« Risposta #74 inserito:: Gennaio 16, 2013, 04:19:43 pm »


15
gen
2013

Tacere o rispondere?

 Liana MILELLA

Ci risiamo. Berlusconi si candida e per racimolare voti attacca i giudici. Il copione è trito e ritrito, niente di nuovo, basta andare in archivio. È dal ‘94 che sciorina lo stesso repertorio. Nel frattempo ha fatto di tutto per ostacolare la giustizia e per rallentare i suoi processi. Adesso il punto è un altro. Cosa devono fare i magistrati? Devono contrastarlo rispondendo punto per punto alle sue accuse oppure devono tacere? Che deve fare Ilda Boccassini quando il Cavaliere invoca un processo contro di lei solo per aver lavorato sul caso Ruby? L’interrogativo non è superfluo. Se le toghe tacciono paiono quasi colpevoli e succube dell’ex premier. Se rispondono a tono lo scontro si alza e così fanno il gioco di Berlusconi che proprio questo propizia.
Il procuratore di Milano Bruti Liberati sceglie il silenzio. Il presidente della Corte di appello Canzio e la presidente del Tribunale Pomodoro, di fronte all’accusa rivolta ai giudici donna che si occupano della separazione Berlusconi-Lario – “femministe e comuniste” le aveva chiamate – hanno replicato indignati. Oggi parla per prima Ezia Maccora di Md e componente dell’Anm per dire che i magistrati non possono tacere e devono dire con chiarezza che il loro lavoro non si piega certo alle campagne elettorali. Poi ecco il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli che definisce “inaccettabili” le accuse di Berlusconi. Magari ci starebbe un esplicito invito del Csm e del vice presidente Michele Vietti.
Ma c’è da chiedersi: chi crede ancora al Cavaliere? Chi, conoscendone la situazione giudiziaria, può davvero pensare che lui sia freddo e obiettivo e istituzionale quando parla delle toghe? Tuttavia il silenzio non aiuta a dissipare gli inganni che Berlusconi distribuisce a piene mani. Tocca parlare dunque, difendersi, gridare a piena voce le proprie ragioni. Altrimenti c’è il rischio che qualcuno magari creda ancora all’ex premier.

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