LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => AUTRICI e OPINIONISTE. => Discussione aperta da: Admin - Novembre 19, 2008, 06:11:50 pm



Titolo: LIANA MILELLA
Inserito da: Admin - Novembre 19, 2008, 06:11:50 pm
Nel provvedimento del Guardasigilli la "messa in prova" per gli imputati.

Altolà del ministro Roberto Maroni

Nel ddl Alfano quasi un'amnistia per condanne fino a quattro anni

di LIANA MILELLA

 
ROMA - Il Guardasigilli Alfano critica da sempre l'indulto, ma mette mano a un ddl sulla certezza della pena con una mezza amnistia per i reati fino a quattro anni. Rispolvera l'istituto pensato dal predecessore Mastella, la "messa in prova", ma raddoppia la massima pena prevista. Chi rischia un processo, prima che cominci (fino al rinvio a giudizio), può chiedere al giudice "d'essere messo alla prova" in cambio di un lavoro socialmente utile. Che alla fine cancellerà tutto, il processo e pure il reato. Peggio dell'indulto dunque, che almeno lascia traccia del delitto sulla fedina penale.

Di Pietro, che litigò con Mastella in piena riunione dei ministri (e così gli anni retrocessero da tre a due), denuncia il nuovo "colpo di spugna", una norma che "salva tutti gli incensurati". Il ddl, previsto già oggi a palazzo Chigi, incappa però nelle ire del titolare del Viminale Maroni che pone un secco altolà. Lo ha detto chiaro, a Berlusconi e Ghedini, nella cena di lunedì sera ad Arcore. Al delfino di Bossi non basta il contentino che Alfano, in un empito di federalismo, dà agli enti locali, comuni in testa, nella gestione dei lavori sostitutivi al carcere. Maroni riflette sulla lunghissima lista di reati, dalla corruzione semplice (punita fino a tre anni), ai falsi in bilancio, che rischiano d'essere lavati via senza un giorno di cella, o solo con la potatura d'un albero. E pure quelli sull'immigrazione.

Per Maroni poi le drastiche misure del ddl sicurezza si sposano male con la manica larga della messa in prova. Una contraddizione che il popolo leghista non capirebbe. L'Anm, con il presidente Luca Palamara, è cauta: "Siamo favorevoli alle misure alternative al carcere, noi stessi ne avevamo parlato con Alfano, ma con un paletto ben fermo, al massimo reati fino a tre anni".

Provvedimento bifronte, quello del Guardasigilli. Venduto, pure nella relazione che accompagna gli otto articoli, come un testo che garantisce "una volta per tutti" la certezza della pena e lega la sospensione condizionale all'obbligo dei lavori utili, ma che al contempo apre alla messa in prova. Un cavallo di troia, fuori la mano dura contro i benefici, dentro il permissivismo per chi delinque fino a quattro anni. Quando Mastella portò in consiglio la soglia dei tre anni Di Pietro parlò di "colpo di spugna su reati edilizi, ambientali, fiscali, gli incidenti sul lavoro". Si calò tra tre a due anni, ora si raddoppia.

Processi evitati per reati odiosi come frodi in commercio, manovre speculative, ma pure per un attentato ad impianti di pubblica utilità, per furti non aggravati, danneggiamenti, usura impropria, appropriazione indebita, omissione di soccorso, per finire alle violenze private. E dire che, nella relazione, si citano "reati di criminalità medio-piccola" per cui "l'esito della messa in prova estingue il reato". Cos'è, se non un'amnistia? A leggere il dibattito post indulto, il centrodestra l'avrebbe chiamata così.

Con un mano Alfano allarga, con l'altra inasprisce. Ecco la riforma della sospensione condizionale della pena che, oggi, non fa andare in carcere chi è alla prima grana giudiziaria. Il ddl prevede che, per fruirne, "il condannato assicuri un parziale ristoro alla collettività". Riecco il lavoro socialmente utile. Che diventerà obbligatorio anche per ottenere affidamento in prova e libertà controllata.

Messa in soffitta la strada del "piano carceri" con braccialetti elettronici ed espulsioni, Alfano sfoga l'incubo delle carceri piene (a marzo 2009 oltre 62mila detenuti come prima dell'indulto) cercando di svuotarle. A sfruttare al meglio le misure sarà chi, grazie a un lavoro di prestigio o a mezzi economici, potrà pagarsi un famoso avvocato e ottenere da Comuni e Regioni i lavori migliori.


(19 novembre 2008)
da repubblica.it


Titolo: LIANA MILELLA Legge sulle intercettazioni arriva lo stop di Napolitano
Inserito da: Admin - Luglio 04, 2009, 12:27:54 pm
Il capo dello Stato convoca Alfano al Quirinale: senza modifiche niente firma

Il presidente preoccupato per i rischi di incostituzionalità. Esclusa la fiducia

Legge sulle intercettazioni arriva lo stop di Napolitano

di LIANA MILELLA

 
ROMA - Irragionevole, incostituzionale, gravemente dannosa per le indagini, foriera di scontri con una stampa già pronta allo sciopero del 13 luglio. La legge sulle intercettazioni, così com'è, non va. Napolitano poteva rinviarla alle Camere e dare uno schiaffo a Berlusconi. Ma fedele al motto che "gli strappi tra le istituzioni vanno sempre evitati" (almeno fin dove è possibile), il capo dello Stato l'ha fermata prima del suo ultimo passaggio al Senato.

Con un governo pronto a mettere la fiducia come aveva fatto alla Camera. Dopo un anno di ininterrotta moral suasion, dopo aver messo in allerta Fini e Schifani, il presidente della Repubblica ha compiuto il passo definitivo, ha chiamato al Quirinale il Guardasigilli Alfano. Che arriva lesto lesto.

Poco meno di un'ora di colloquio, accanto i suoi esperti giuridici, un esordio che non consente spiragli di trattativa: "Sono molto preoccupato e turbato per la tensione che si sta creando nel mondo della giustizia e della stampa su questa legge. I miei consiglieri mi spiegano che se dovesse passare così al Senato i vizi di palese incostituzionalità mi costringerebbero a fare un passo che di certo non vi sarebbe gradito". Il ministro della Giustizia, che si è sempre mostrato rispettoso del Colle, non tenta neppure una difesa. Alla fin fine sa che al premier questa legge non è mai piaciuta perché lui ne avrebbe voluta una molto più dura, con gli ascolti autorizzati solo per mafia e terrorismo. Nel rinviarla, soprattutto in ore in cui, per le voci su procure in azione, non vuole scontri con toghe, polizie, servizi, non soffrirà troppo. Napolitano prosegue: "È vero che avete intenzione di mettere la fiducia?".

Alfano si allarga in uno dei suoi sorrisi da bravo ragazzo: "Assolutamente no, presidente, il governo non pensa di farlo. Tutt'altro. Il testo non è blindato, siamo pronti a far tesoro del lavoro della commissione Giustizia. Certo, dopo che è rimasto un anno alla Camera, ci auguriamo che non succeda lo stesso al Senato". Il ghiaccio è rotto, si può pure ragionare dei dettagli e mettere sul tavolo i palesi dubbi di costituzionalità. Non uno, ma numerosi.

A cominciare da quella che il Quirinale considera una pessima, irragionevole, incostituzionale, norma transitoria, forse la buccia di banana più platealmente inaccettabile su cui scivola il ddl. "Le disposizioni della presente legge non si applicano ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore". Doveva servire, è servita, per far dire all'avvocato del premier Niccolò Ghedini (e ora anche presidente della Consulta del Pdl sulla giustizia, sempre per tenere ben vivo il conflitto d'interessi) che "questa non è una legge ad personam, visto che non si applica ai processi in corso". E in effetti è così, ma con il rischio di un tal guazzabuglio tra chi godrà di norme più favorevoli e chi no, di giornalisti in galera e altri fuori, di intercettazioni pubblicate ed altre censurate, che l'incostituzionalità è manifesta. Dunque la norma va cambiata. Ma non solo. Il Colle punta il dito sugli "evidenti indizi di colpevolezza" necessari per ottenere un ascolto. Che ne sarà delle indagini contro gli ignoti (autori anche di omicidi), di quelle sui reati che poi portano a scoprire la mafia (usura, racket, rapine e tanti altri)? Giusto nelle stesse ore in cui Alfano è seduto di fronte a Napolitano, al Csm protestano i più noti procuratori antimafia.

Alle orecchie di Alfano risuonano le tante insistenze di Giulia Bongiorno, la presidente della commissione Giustizia della Camera e alter ego di Fini per la giustizia, che si è battuta nella sua maggioranza per "limitare i danni". Ma anche lei, di fronte ai falchi ghediniani e alfaniani che insistevano, ha dovuto piegare la testa sugli "evidenti indizi di colpevolezza" che adesso diventeranno "evidenti indizi di reato". E infine il capitolo sulla stampa, dal carcere (fino a un anno) per i giornalisti che pubblicano intercettazioni da distruggere e che fano protestare anche il Garante della privacy Pizzetti, alle supermulte contro gli editori, ai testi delle telefonate che non si potranno pubblicare neppure per riassunto, creando così una marchiana e irragionevole differenza tra una prova, gli ascolti, e un'altra, una lettera, un verbale d'interrogatorio che invece, quelli sì per riassunto, potranno essere pubblicati.

Non prende appunti Alfano, ma il terremoto che si abbatte sul suo ddl è intensissimo. Non di modifiche formali si tratta, ma di cambiamenti sostanziali. A Napolitano non era affatto piaciuto il grido dell'Anm, "sarà la morte della giustizia", ma i suoi rilievi sono la riprova che la legge stoppa indagini e cronaca giudiziaria. Il Guardasigilli se ne va tranquillizzando il presidente: "Non abbiamo fretta, seguiremo i lavori del Senato". Alfano sa che Berlusconi non vuole spingere l'acceleratore sulla giustizia. La decisione della Consulta sul lodo Alfano è alle viste, le procure incombono, il premier continua ad avere il dubbio che il Bari-gate sia esploso a ridosso del voto della Camera giusto sulle intercettazioni. Questo ddl e la famosa riforma costituzionale della giustizia possono aspettare. Alfano l'ha detto al presidente preoccupato di uno scontro estivo con le toghe: "I prossimi consigli dei ministri saranno dedicati all'economia. Io sono soddisfatto del mio lavoro. Domani (oggi, ndr.) entra in vigore la riforma del processo civile, in cui ho profondamente creduto ed è legge la sicurezza con le norme antimafia più forti da quando è morto Falcone. Che senso avrebbe una riforma costituzionale a metà luglio?". C'è tempo. Magari quando si saprà se la Consulta conferma o boccia il lodo Alfano.

(4 luglio 2009)
da repubblica.it


Titolo: LIANA MILELLA Sul legittimo impedimento il premier teme il voto segreto
Inserito da: Admin - Febbraio 01, 2010, 11:55:47 am
Su oltre 150 emendamenti le opposizioni potrebbero chiedere molti scrutini segreti

Alto il rischio franchi tiratori: il dissenso per la norma salva-Berlusconi all'interno del Pdl è forte

Sul legittimo impedimento il premier teme il voto segreto

di LIANA MILELLA


ROMA - Sono un incubo da giorni i voti segreti sul legittimo impedimento. Il capogruppo del Pdl Cicchitto se li sogna di notte e si prefigura le nefaste conseguenze di una possibile débacle se i franchi tiratori colpissero. Su oltre 150 emendamenti alla legge che, almeno per un po', dovrebbe mettere tranquillo Berlusconi e consentirgli di rinviare i processi, le opposizioni, se volessero, potrebbero chiedere moltissimi scrutini coperti perché il testo, riguardando le libertà personali, ricade tra quelli che possono eludere la consultazione palese. E lì, nelle pieghe di quei voti, potrebbe manifestarsi un duplice e pesante dissenso, tutto interno agli ex forzisti.
 
Il primo: lo scontento per una norma che, ancora una volta, riguarda Berlusconi, con il contentino dei "soli" ministri, perché la manovra di farci rientrare gli oltre 30 sottosegretari si è miseramente arenata sullo scoglio dell'incostituzionalità, come quella di infilare pure "i concorrenti nel reato". Il secondo: i mugugni diffusi per la partita delle prossime elezioni regionali che vede vincenti le richieste della Lega in Veneto e in Piemonte con Cota e Zaia e degli ex di An in Calabria e nel Lazio con Scopelliti e Polverini. La forte convinzione, che diventa dissenso, è che alla fin fine alla vecchia Forza Italia sia rimasto ben poco per via degli appetiti leghisti e aennini.

Come sfogarsi meglio se non colpendo una legge cui il premier tiene moltissimo? Lo temono capogruppo e vice, Cicchitto e Bocchino, che giovedì scorso spediscono una missiva ai deputati anziché il solito sms. Lo rivela e ne pubblica l'originale Antonio Di Pietro sul suo blog, e quella frase rivelatrice della paura di possibili sorprese diventa di pubblico dominio. Al "caro collega" i due scrivono che "non serve ricordare l'importanza che questo appuntamento ha per il Pdl, il presidente Berlusconi e il governo". Pertanto "senza eccezione alcuna" la presenza in aula deve essere "garantita" senza possibili giustificazioni.

Berlusconi è stato perentorio quando mercoledì scorso, dopo il vertice con coordinatori e capigruppo, è rimasto da solo con il Guardasigilli Alfano e ha buttato giù l'agenda dei provvedimenti cui tiene. Il legittimo impedimento in primis, le intercettazioni ormai "morte" al Senato, il processo breve. "Non voglio sorprese" è stato l'ordine. Il giorno dopo è partita la lettera, giusto mentre Pd e Idv cominciavano a esaminare il malloppo degli emendamenti e a far di calcolo su quanti voti segreti si potrebbero chiedere. Anche loro hanno un problema perché il recente episodio del Senato, quando sul processo breve la maggioranza ha avuto più voti del previsto durante l'appello riservato, li fa stare guardinghi.

Ma è pur vero che i due articoli del legittimo impedimento ben si prestano a una dura contestazione in aula. Basti pensare al nuovo compito assegnato alla "presidenza del consiglio dei ministri". Essa "attesta che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni". Per cui "il giudice rinvia il processo ad udienza successiva al periodo indicato". Ciascun rinvio "non può essere superiore a sei mesi". Non uno, due, tre giorni, ma ben sei mesi. Il relatore Pdl Enrico Costa è convinto di aver fatto un'ottima proposta perché la frase appartiene al suo testo originario. La democratica Donatella Ferranti la trova inaccettabile perché "è peggio del lodo Alfano, è un congelamento bello e buono del processo". Per di più con un'assunzione di responsabilità anomala della presidenza del Consiglio che "certifica" la bontà dell'impedimento di un imputato e di fatto ne blocca il processo. Come scrive l'Idv nella sua pregiudiziale di costituzionalità "la dichiarazione di un funzionario dipendente dell'esecutivo non è sottoponibile ad alcuna valutazione critica. In tal modo c'è un'invasione dell'esecutivo nelle prerogative della magistratura, che perde la sua indipendenza dal governo". In barba all'articolo 101 della Costituzione ("I giudici sono soggetti solo alla legge") il giudice "dominus del processo, viene totalmente privato della possibilità di esercitare un qualsivoglia controllo dell'impedimento". Che dovrà tener conto pure "delle attività preparatorie e conseguenti". Un lodo in piena regola che Berlusconi vuole approvare per via non costituzionale nonostante le bocciature della Consulta per i lodi Schifani e Alfano. 

© Riproduzione riservata (01 febbraio 2010)
da repubblica.it


Titolo: LIANA MILELLA L'inchiesta Agcom apre un caso al Csm nelle intercettazioni ...
Inserito da: Admin - Marzo 15, 2010, 09:49:48 am
Innocenzi avrebbe chiesto pareri giuridici al componente dell'organismo

Imbarazzo tra gli altri membri. "Se vera, sarebbe una condotta intollerabile"

L'inchiesta Agcom apre un caso al Csm nelle intercettazioni citato il consigliere Ferri

di LIANA MILELLA


ROMA - Un interrogativo corre insistente, per tutta la domenica, nella mailing list dell'Anm. Questo: "Ma perché Cosimo Ferri non ha ancora smentito le indiscrezioni che trapelano su di lui dall'inchiesta di Trani?". E ancora: "Se quanto gli addebitano fosse vero, il suo sarebbe un nuovo, grave capitolo della questione morale nella magistratura dai risvolti inquietanti". Gli aggettivi si sprecano, sempre con un "se" davanti. "Se fosse vero", se veramente Cosimo Maria Ferri, quarantenne togato del Csm per Magistratura indipendente, figlio di Enrico, magistrato anche lui e ministro dei Lavori pubblici del Psdi (poi forzista) famoso per il limite dei 110 all'ora, avesse fatto parte della "cricca" del commissario Agcom Giancarlo Innocenzi fornendogli pareri giuridici per Berlusconi, ciò sarebbe "inquietante, avvilente, intollerabile, allucinante".

I messaggi rimbalzano sulle liste, da quella dell'Anm a quelle di ogni singolo gruppo, per finire sui computer del Csm. I cui consiglieri non nascondono "il profondo imbarazzo" per un comportamento che, "se fosse vero, decisamente non sarebbe bello". E che costringerebbe palazzo dei Marescialli a intervenire sulla seguente questione: "Verificare se un magistrato fuori ruolo, coperto da un'immunità para parlamentare che riguarda i suoi comportamenti come componente del Consiglio, può dare consigli tecnici per far sì che il Cavaliere si liberi delle trasmissioni scomode". In un simile caso, si chiedono al Csm, bisogna capire se il procuratore generale della Cassazione debba promuovere un'azione disciplinare.

Per tutta la domenica il cellulare di Cosimo Maria Ferri suona irrimediabilmente spento. Chi lo conosce, come la segretaria di Mi Antonietta Fiorillo, non se ne meraviglia, dice che fa così. Se ne sta rintanato a Pontremoli, il paese in cui vive, di cui suo padre fu sindaco per tre volte. Lui, a Massa, ha fatto il giudice di tribunale. Da lì ha lanciato la scalata al Csm. Dove adesso rischia di finire "sotto processo". L'articolo del Fatto che fornisce le prime indiscrezioni sull'inchiesta di Trani gira nelle liste. Lì è scritto che quando Innocenzi parlava con Berlusconi citava Ferri come il magistrato che gli forniva una consulenza per capire come stoppare i talk show anti-premier.

Qui sta il punto. Che cosa ha veramente fatto Ferri. Che, al Csm, definiscono un "recidivo" perché giusto prima di essere eletto con 553 voti finì nelle intercettazioni di Calciopoli. Componente della commissione vertenze economiche della Federazione gioco calcio, era amico del presidente della Lazio Claudio Lotito (militante romano del Psdi e già amico del padre) e del vice presidente della Figc Innocenzo Mazzini. Sapeva degli intrallazzi sugli arbitri, ma se n'era stato zitto. Imbarazzanti le intercettazioni. Ma il caso, al Csm, è stato archiviato, anche se ha gettato un'ombra sulla sua attività consiliare. Tutta improntata alla lotta contro le correnti anche se, chi lo conosce, dice di lui: "È il grande paradosso della sua vita. Non fa che parlare contro le correnti, ma è il più "correntista" di tutti, ha uno stile berlusconiano, si comporta come un politico, è il primo che chiama il collega dopo una promozione".

Questione di ore, e il caso Ferri esploderà al Csm. Il presidente della settima commissione, quella per l'organizzazione degli uffici giudiziari, dovrà spiegare ai colleghi di che cosa discuteva con Innocenzi e quali pareri gli forniva. Per capire se questo è compatibile con la funzione stessa che ricopre.

© Riproduzione riservata (15 marzo 2010)
da repubblica.it


Titolo: LIANA MILELLA Intercettazioni, nuovo stop alla legge
Inserito da: Admin - Aprile 07, 2010, 09:33:28 am
Attesa per il legittimo impedimento

Alfano: "La sinistra non tiene in considerazione la privacy"

Intercettazioni, nuovo stop alla legge

Maggioranza pronta al dialogo

di LIANA MILELLA


ROMA - Doveva essere il fulcro d'esempio della fase post elezioni, la prima soddisfazione che il Cavaliere si voleva togliere subito dopo tante attese e rinvii. Una prova di forza e un'approvazione lampo. E invece ecco che sulla riforma delle intercettazioni, un testo che ormai attende il via libera dal 3 giugno 2008, c'è un nuovo colpo di freno. Il dibattito doveva riprendere oggi nella commissione Giustizia del Senato, era previsto che si aprisse la discussione generale sui 361 emendamenti finora presentati (17 Pdl, 41 Udc, 115 Idv, 143 Pd), tra i quali cinque dei finiani Mario Baldassarre ed Enrico Musso, per chiuderla in fretta e andare in aula. Ma ecco l'improvviso stop, "per cercare un dialogo con l'opposizione", del presidente della commissione, l'ex aennino e avvocato bolognese Filippo Berselli. Che rinvia tutto di una settimana e annuncia un ufficio di presidenza per "aprire un tavolo di confronto". Berselli sfida Pd e Udc: "Si comincerà a misurare la buona volontà dei rami più responsabili della minoranza". Una sorta di sfida anche per il Guardasigilli Angelino Alfano che rilancia la necessità di modificare la seconda parte della Costituzione, ma considera "fondanti" i valori della prima, su cui provoca il Pd: "La sinistra non tiene in considerazione l'articolo 15 che tutela la riservatezza delle comunicazioni". Quindi la privacy, danneggiata giusto dalla pubblicazione delle telefonate.

Le intercettazioni diventano il primo banco di prova di un possibile dialogo. Con un segnale lanciato a Napolitano alla vigilia della decisione sul legittimo impedimento. La maggioranza gli manda a dire: il Colle sappia che sugli ascolti, ddl segnalato dal Quirinale (a luglio 2009 dopo il voto di fiducia alla Camera) per le sue macroscopiche anomalie, il Pdl è pronto ad aprirsi per tentare una riforma condivisa. Messaggio distensivo che può valere anche per il legittimo impedimento. Qualora il presidente decidesse di non firmarlo rinviandolo alle Camere con la richiesta di qualche modifica, i berluscones sarebbero pronti a reagire all'insegna della collaborazione istituzionale come hanno fatto per la legge sul lavoro. Farebbero in fretta i cambiamenti e rinvierebbero il testo al Colle.

Il temporaneo stand by per le intercettazioni, che comunque il presidente Berselli vuole condurre in porto non oltre il 22 aprile, può servire ad aprire un varco per il legittimo impedimento che, se bocciato, avrebbe bisogno di una finestra tra Camera e Senato. Ora, almeno a palazzo Madama, lo spazio è stato creato. Come il canale di un possibile dialogo con Udc e Pd. Un segnale che però non ha ancora raggiunto i destinatari. Nell'Udc è del tutto all'oscuro Michele Vietti che da sempre sovrintende sulla giustizia. Idem nel Pd dove, fino a ieri, né il responsabile per le Riforme Luciano Violante, né quello per la Giustizia Andrea Orlando, avevano ricevuto segnali dai partiti di governo.

La partita è molto complessa. Separazione delle carriere dei giudici e dei pm, conseguente divisione in due del Csm con un'alta corte separata per i processi disciplinari contro le toghe, discrezionalità dell'azione penale (al posto dell'obbligatorietà), inappellabilità delle sentenze, eventuale responsabilità civile dei magistrati, subito la proroga del Csm e una nuova legge elettorale in chiave anti-correnti: questioni che contrappongono i poli e provocheranno un'alzata di scudi della magistratura. Anche se Napolitano raccomanda riforme condivise, con lo scontro elettorale appena chiuso alle spalle e il peso delle leggi ad personam (le stesse intercettazioni, il legittimo impedimento, lo scudo salva premier, il processo breve), è difficile ipotizzare una nuova Bicamerale. A partire dalla legge che di fatto azzera la possibilità per i pm di ascoltare le telefonate.

© Riproduzione riservata (07 aprile 2010)
da repubblica.it


Titolo: LIANA MILELLA Intercettazioni, nuovo stop alla legge
Inserito da: Admin - Aprile 07, 2010, 04:30:15 pm
Attesa per il legittimo impedimento

Alfano: "La sinistra non tiene in considerazione la privacy"

Intercettazioni, nuovo stop alla legge

Maggioranza pronta al dialogo

di LIANA MILELLA


ROMA - Doveva essere il fulcro d'esempio della fase post elezioni, la prima soddisfazione che il Cavaliere si voleva togliere subito dopo tante attese e rinvii. Una prova di forza e un'approvazione lampo. E invece ecco che sulla riforma delle intercettazioni, un testo che ormai attende il via libera dal 3 giugno 2008, c'è un nuovo colpo di freno. Il dibattito doveva riprendere oggi nella commissione Giustizia del Senato, era previsto che si aprisse la discussione generale sui 361 emendamenti finora presentati (17 Pdl, 41 Udc, 115 Idv, 143 Pd), tra i quali cinque dei finiani Mario Baldassarre ed Enrico Musso, per chiuderla in fretta e andare in aula. Ma ecco l'improvviso stop, "per cercare un dialogo con l'opposizione", del presidente della commissione, l'ex aennino e avvocato bolognese Filippo Berselli. Che rinvia tutto di una settimana e annuncia un ufficio di presidenza per "aprire un tavolo di confronto". Berselli sfida Pd e Udc: "Si comincerà a misurare la buona volontà dei rami più responsabili della minoranza". Una sorta di sfida anche per il Guardasigilli Angelino Alfano che rilancia la necessità di modificare la seconda parte della Costituzione, ma considera "fondanti" i valori della prima, su cui provoca il Pd: "La sinistra non tiene in considerazione l'articolo 15 che tutela la riservatezza delle comunicazioni". Quindi la privacy, danneggiata giusto dalla pubblicazione delle telefonate.

Le intercettazioni diventano il primo banco di prova di un possibile dialogo. Con un segnale lanciato a Napolitano alla vigilia della decisione sul legittimo impedimento. La maggioranza gli manda a dire: il Colle sappia che sugli ascolti, ddl segnalato dal Quirinale (a luglio 2009 dopo il voto di fiducia alla Camera) per le sue macroscopiche anomalie, il Pdl è pronto ad aprirsi per tentare una riforma condivisa. Messaggio distensivo che può valere anche per il legittimo impedimento. Qualora il presidente decidesse di non firmarlo rinviandolo alle Camere con la richiesta di qualche modifica, i berluscones sarebbero pronti a reagire all'insegna della collaborazione istituzionale come hanno fatto per la legge sul lavoro. Farebbero in fretta i cambiamenti e rinvierebbero il testo al Colle.

Il temporaneo stand by per le intercettazioni, che comunque il presidente Berselli vuole condurre in porto non oltre il 22 aprile, può servire ad aprire un varco per il legittimo impedimento che, se bocciato, avrebbe bisogno di una finestra tra Camera e Senato. Ora, almeno a palazzo Madama, lo spazio è stato creato. Come il canale di un possibile dialogo con Udc e Pd. Un segnale che però non ha ancora raggiunto i destinatari. Nell'Udc è del tutto all'oscuro Michele Vietti che da sempre sovrintende sulla giustizia. Idem nel Pd dove, fino a ieri, né il responsabile per le Riforme Luciano Violante, né quello per la Giustizia Andrea Orlando, avevano ricevuto segnali dai partiti di governo.

La partita è molto complessa. Separazione delle carriere dei giudici e dei pm, conseguente divisione in due del Csm con un'alta corte separata per i processi disciplinari contro le toghe, discrezionalità dell'azione penale (al posto dell'obbligatorietà), inappellabilità delle sentenze, eventuale responsabilità civile dei magistrati, subito la proroga del Csm e una nuova legge elettorale in chiave anti-correnti: questioni che contrappongono i poli e provocheranno un'alzata di scudi della magistratura. Anche se Napolitano raccomanda riforme condivise, con lo scontro elettorale appena chiuso alle spalle e il peso delle leggi ad personam (le stesse intercettazioni, il legittimo impedimento, lo scudo salva premier, il processo breve), è difficile ipotizzare una nuova Bicamerale. A partire dalla legge che di fatto azzera la possibilità per i pm di ascoltare le telefonate.

© Riproduzione riservata (07 aprile 2010)
da repubblica.it


Titolo: LIANA MILELLA Carceri, la Lega contro Alfano "Prepara un'amnistia mascherata"
Inserito da: Admin - Aprile 09, 2010, 04:27:45 pm
Battaglia in commissione Giustizia della Camera sul disegno di legge che prevede la "messa in prova" per le pene fino a tre anni

Carceri, la Lega contro Alfano "Prepara un'amnistia mascherata"

di LIANA MILELLA


ROMA - Lega contro Alfano. Per via delle nuove norme che consentono di "mettere alla prova" con lavori socialmente utili chi è stato condannato a tre anni e di affidare ai domiciliari chi ha da scontare solo un anno di pena. Uno scontro all'insegna del nuovo clima politico frutto della vittoria elettorale che pone la Lega in modo protagonistico nella coalizione. Carroccio sulla stessa linea di Di Pietro contro "un indulto strisciante e un'amnistia mascherata". Pd schierato col Guardasigilli per alleggerire, anche se con molte cautele e distinguo, l'emergenza carceri. Il sottosegretario alla Giustizia, l'ormai ex magistrato Giacomo Caliendo in quota Pdl (è andato in pensione), costretto a dire a brutto muso al leghista Nicola Molteni "ehi tu stai calmo e modera i toni...". Il relatore Alfonso Papa, toga pure lui ed ex di via Arenula, sdrammatizza i contrasti ("Siamo solo all'inizio"). Ma la presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno, che condivide la ratio del ddl e cerca di mediare, è preoccupata per l'evidente tensione nella maggioranza e vede in pericolo la possibilità di approvare il testo prima di agosto, quando Alfano e il capo delle carceri Franco Ionta temono esplosioni di protesta per via di un sovraffollamento che non ha mai raggiunto picchi così alti (è giusto di ieri la "battitura" contro le inferriate, durata mezzora, in tre padiglioni di Poggioreale a Napoli).

Succede tutto in commissione Giustizia alla Camera dove s'avvia la discussione sui due istituti, messa alla prova e domiciliari per il residuo di un anno, che il ministro della Giustizia aveva portato in consiglio dei ministri il 12 gennaio. Allora il progetto era stato accolto dal gelo dei ministri leghisti Maroni e Calderoli. Ma ieri sono esplosi i distinguo. Molteni non ha nascosto le "forti perplessità", ha chiesto precise garanzie sull'impatto. Ha precisato che la ricetta della Lega, fedele al motto della "certezza della pena", è "costruire nuove carceri, senza svuotare quelle esistenti". Poi le parole forti, "indulto e amnistia mascherata" che fanno infuriare Caliendo. Il quale deve subire il fuoco amico dei pidiellini Francesco Paolo Sisto e Manlio Contento che contestano singoli aspetti tecnici.

La maggioranza si spacca. Ma pure l'opposizione è divisa. L'ex pm Antonio Di Pietro boccia severamente entrambe le misure perché la messa alla prova è "una scorciatoia di non punibilità che lascia impunita la microcriminalità". Mentre l'ultimo anno ai domiciliari "è una vera sconfitta dello Stato", in quanto non si capisce sulla base di quale criteri si dica "vabbè, ti abbuono un anno di carcere". L'asse Lega-Di Pietro si scontra con la posizione del Pd. Dove, dopo un'iniziale incertezza, viene dato il via libera alla cosiddetta "legislativa", la possibilità di approvare il testo in commissione senza passare dall'aula. Per questo si batte la radicale Rita Bernardini che, reduce con Marco Pannella da visite pasquali nei penitenziari dell'Ucciardone (Palermo) e di Poggioreale, minaccia di ricorrere a nuove forme di protesta non violenta (scioperi della fame).

La democratica Donatella Ferranti condivide lo spirito delle due proposte, ma chiede precise garanzie sull'impatto e soprattutto sulle misure economiche per sostenere il progetto che invece non sono affatto previste, in quanto il governo esclude di investire anche un solo euro, come recita l'esplicita "clausola di invarianza finanziaria". La Ferranti vuole anche capire come si potrà mettere ai domiciliari chi, come gli immigrati, una dimora non ce l'ha e rischia di finire diritto nei Cie. Mercoledì prossimo si riprende. Toccherà a Caliendo portare i numeri e mediare tra posizioni che appaiono inconciliabili.

© Riproduzione riservata (09 aprile 2010)
da repubblica.it


Titolo: LIANA MILELLA Intercettazioni, linea dura del Pdl nella legge bavaglio ...
Inserito da: Admin - Aprile 21, 2010, 06:47:58 pm
IL RETROSCENA

Intercettazioni, linea dura del Pdl nella legge bavaglio per i giornalisti

Il nuovo testo sarà depositato oggi alle 14 in commissione Giustizia al Senato.

La durata degli ascolti sarà di 60 giorni, necessaria la prova che un reato è in corso.

Vietata la pubblicazione anche di un riassunto fino alla conclusione delle indagini preliminari.

La conferma di Schifani in un incontro con l'Anm 

di LIANA MILELLA


ROMA - Contro i giornalisti, e quindi contro gli editori, la maggioranza compatta non molla di un millimetro. Anzi, se potesse, inasprirebbe ancora di più la riforma delle intercettazioni. Resterà rigida la regola per cui delle telefonate sbobinate non si potrà più pubblicare una riga, neppure per riassunto, fino alla chiusura delle indagini preliminari. Cioè, magari, per anni. Addio diritto di cronaca su inchieste come quelle di Firenze, di Trani o di Calciopoli, solo per citare le ultime raccontate dai giornali. Sul resto il governo qualcosa è disposto a cedere, ma sul bavaglio alla stampa no.

La conferma arriva dal presidente del Senato Renato Schifani che incontra le toghe dell'Anm giusto mentre, in via Arenula, politici e tecnici mettono a punto le modifiche alla legge sugli ascolti. C'è il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, il relatore Roberto Centaro, il direttore dell'ufficio legislativo Augusta Iannini. Il Guardasigilli Angelino Alfano fa capolino. Il nuovo testo dovrà essere pronto per oggi alle 14 per essere depositato in commissione Giustizia a palazzo Madama. Da Schifani, come dalla riunione, ecco la netta conferma del pugno duro contro la stampa: niente telefonate sui giornali o recitate in tv, nemmeno per sintesi. Un totale black out.
Multe agli editori, fino a 500mila euro, se ne consentono la pubblicazione.

Almeno su questo Berlusconi ha imposto il divieto di trattative o cedimenti. Passi sugli "evidenti indizi di colpevolezza" che diventano "gravi indizi di reato", per via di Napolitano che minaccia di rimandare la legge alle Camere se il testo resta identico. Ma sulla pubblicazione degli ascolti il Cavaliere ha un "alleato" nello stesso presidente della Repubblica, cui le paginate di verbali non sono mai piaciute. E dunque avanti, multe più salate di oggi, fino a 10mila euro per una telefonata finita in pagina ("solo" 5mila per un altro atto del procedimento), carcere fino a un anno se si pubblicano ascolti destinati alla distruzione.

Sul resto il premier qualcosa molla. Il presidente dell'Anm Luca Palamara, fuori dallo studio di Schifani, parla di "apertura positiva".
Si riferisce ai "gravi indizi di reato", la formula già presente oggi nel codice di procedura penale, che per le toghe fa venir meno l'incubo degli "evidenti indizi di colpevolezza", formula che avrebbe bloccato qualsiasi indagine. Il presidente del Senato non anticipa di più, ma il resto delle modifiche non copre di certo la mole di critiche di giudici e giuristi alla riforma. A cominciare dai paletti rigidi che circonderanno i "gravi indizi di colpevolezza". Come la stretta sulle utenze che dovranno essere "intestate" agli indagati o comunque da essi "utilizzate" o dai limiti rigidi ad allargare, pur di poco, la sfera degli intercettati.

Per il resto le maglie si allargano di poco. Di certo si ampliano per i parlamentari, attuando subito un paio di recenti sentenze della Consulta (113 e 114): quando qualcuno di loro ricadrà per caso in un ascolto, il magistrato avrà il dovere di chiedere subito l'autorizzazione (e quindi mettere nel nulla l'ascolto medesimo visto che con la richiesta cade anche qualsiasi segreto). Ma su norma transitoria, durata, microspie, tabulati, autorizzazione del tribunale collegiale, le modifiche sono minimali. In alcuni casi inesistenti. Alla fine i falchi hanno vinto sulle colombe. Ad esempio la legge entrerà in vigore sì solo per i processi futuri, ma quelli attuali avranno solo tre mesi di tempo per mettersi in regola. La durata rimane di 60 giorni al massimo (salvo casi eccezionalissimi). Per mettere le microspie ci vorrà la prova che in quel luogo si sta commettendo un reato. La richiesta dei tabulati telefonici dovrà obbedire alle stesse regole delle telefonate. E toccherà a un tribunale di tre persone autorizzare quello che prima passava per le mani di un solo giudice.
Con quale dispendio di tempo e di energie si può immaginare fin d'ora.

Buonanotte, intercettazioni.

(20 aprile 2010)
da repubblica.it


Titolo: LIANA MILELLA il dubbio del Cavaliere "Così è inutile, meglio seppellirlo"
Inserito da: Admin - Maggio 25, 2010, 04:12:15 pm
Ddl intercettazioni, il dubbio del Cavaliere "Così è inutile, meglio seppellirlo"

La minaccia dei finiani: contesteremo il ddl in aula a palazzo Madama

di LIANA MILELLA


ROMA - Tre fatti, e un antefatto, costituiscono la nuova puntata del fotoromanzo delle intercettazioni. Svoltasi ieri, fotogramma per fotogramma, tra Camera e Senato. Il primo fatto: la linea "durissima" di Fini. Che parla con Gianni Letta e conferma di essere "fermamente convinto" nel voler difendere fino allo stremo il diritto di cronaca, e quindi la necessità di modificare la legge sulle intercettazioni. L'emendamento Bongiorno sugli atti pubblicabili "almeno per riassunto deve assolutamente rientrare". Se non dovesse essere così la pattuglia dei dodici finiani del Senato è pronta ad alzarsi e ad andarsene dall'aula quando comincerà la discussione.

Il secondo fatto: la mediazione del presidente del Senato Renato Schifani che, politicamente, decide: "Non voglio veder uscire da questo palazzo una legge bavaglio". E per tutta la giornata, nella massima riservatezza, decide di diventare protagonista della possibile intesa. Con l'obiettivo di raggiungere "un accordo politico finale" che medi tra il testo chiuso in commissione e quello della Camera. E che ruota intorno a questo risultato: "A palazzo Madama dobbiamo riuscire a ottenere un definitivo punto di intesa che poi passi anche a Montecitorio". Quindi un articolato che tenga conto delle richieste dei finiani e della clausola salva-cronaca della Bongiorno. Schifani si spende in prima persona, sente i capigruppo di maggioranza e opposizione. Benedice l'incontro tra Gasparri, Quagliariello e Cicchitto.

Terzo fatto. Alle otto di sera Schifani convoca Angelino Alfano e parla con lui per un'ora. Il Guardasigilli è preoccupato per quella che i media già battezzano come una marcia indietro. Teme gli effetti negativi per la sua immagine e per il governo. Vuole gestirli per tentare di arginarli. Discutono in concreto di cosa cambiare: la salva-cronaca, le sanzioni per giornalisti ed editori, da abbassare entrambe. Anche oltre quello che prevedeva il testo di Montecitorio, dove c'era già la multa da 465mila euro. Alfano esce e va giù in commissione Giustizia dove tenta di stemperare il clima, rivendica "come del governo" il solo emendamento sui "gravi indizi di reato" al posto degli "evidenti indizi di colpevolezza", e scarica sul relatore Roberto Centaro ("Sono iniziative parlamentari") tutti gli altri, il salva-cronaca della Bongiorno soppresso, le multe più salate, il comma D'Addario. Ma di fatto dà all'opposizione quello che chiedeva: la promessa ufficiale del governo che il testo cambierà.

Detti i fatti nuovi, siamo all'antefatto. Il dubbio, che da alcuni giorni serpeggia nella mente del Cavaliere, se non sia il caso di mandare tutto all'aria. Chiudere il capitolo delle intercettazioni. Lasciar morire il ddl in un ramo del Parlamento com'è avvenuto per il processo breve. Quello doveva servirgli per bloccare i suoi dibattimenti, ma poi è arrivato il legittimo impedimento. Questa, la legge sugli ascolti, per usare le sue parole, "non serve più a nulla". Non fa che dirlo: "Per come l'avete scritta, non mi è mai piaciuta, ora è un compromesso al ribasso inaccettabile. L'avevo detto io: le intercettazioni si devono poter fare solo per mafia e terrorismo. E voi ci avete messo pure la corruzione. A questo punto a che serve?". Abbandonarla dunque, dopo il passaggio al Senato. Non dare a Fini quest'ultima soddisfazione di obbedire ai suoi diktat. E magari incassare un bonus pure dagli americani, visto che a quell'amministrazione questa legge non piace. Berlusconi la pensa così, ma molti tra i suoi lo tengono a freno, temono una brutta figura peggiore della retromarcia su singole modifiche, spingono per un compromesso. Per questo Schifani media. E Alfano obbedisce.
 

(25 maggio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/05/25/news/ddl_intercettazioni_il_dubbio_del_cavaliere_cos_inutile_meglio_seppellirlo-4310990/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Grasso: dopo il '92 Cosa Nostra cercò nuovi referenti politici.
Inserito da: Admin - Maggio 28, 2010, 05:09:44 pm
L'INTERVISTA

"Pm antimafia a rischio ricusazione ai boss basterà fare una denuncia"

Grasso: dopo il '92 Cosa Nostra cercò nuovi referenti politici.

Una banale fuga di notizie permetterà a Riina o a Provenzano di sbarazzarsi dei magistrati che stanno indagando su di loro

di LIANA MILELLA


ROMA - Se parli col procuratore nazionale antimafia Piero Grasso è d'obbligo, innanzitutto, chiedergli delle stragi di mafia e di quella "entità esterna" di cui si parla dal giorno dopo in cui avvennero. In tempi di stretta sulle intercettazioni urge capire se i magistrati avrebbero le mani libere per indagare ancora. Lui replica: "Anche se per la mafia non ci sono limitazioni, tuttavia un pm dovrebbe abbandonare un processo se un Riina o un Provenzano lo denunciano per una banale fuga di notizie". E le modalità dell'entrata in vigore della legge sembrano fatte apposta "per fermare talune inchieste in corso".
Cosa nostra da chi ricevette l'input per quegli attentati?
"Già nel '99, nel decreto di archiviazione sottoscritto da me assieme a Gabriele Chelazzi e ai magistrati di Firenze, erano venuti fuori una serie di elementi da cui si poteva dedurre che la mafia, dopo l'omicidio Lima nel marzo '92, aveva azzerato i rapporti con i referenti politici tradizionali, e comprensibilmente ne cercava di altri".
E ci sono segnali su dove si stava orientando?
"Nessuno preciso, ma nel corso delle indagini vennero fuori alcun movimenti come quello delle leghe del sud o di Sicilia libera che potevano rispondere alle esigenze di Cosa nostra".
Al punto da suggerire tre attentati fatti e uno, quello dell'Olimpico, fallito?
"Le stragi, secondo le ricostruzioni di allora, avevano da un lato la forma di un ricatto allo Stato per ottenere dei vantaggi, quelli indicati nel famoso papello (41 bis, abolizione di ergastolo e pentiti) e dall'altro le modalità tipiche del terrorismo mafioso lasciavano intravedere interessi di un aggregato economico imprenditoriale e politico che volesse conservare la situazione esistente".
Le stragi indicavano un percorso dopo l'esplosione di Mani pulite nel febbraio '92 e il crollo della Dc e del Psi?
"Teoricamente il vuoto che si era creato poteva essere colmato da qualsiasi formazione politica di destra o di sinistra. La strategia della tensione di quel '93 si può ricostruire anche attraverso una serie di fatti come l'autobomba in via dei Sabini, il black out a palazzo Chigi, le bombe nei treni a Firenze e a Roma, le rivendicazioni della Falange armata. Qui si collocano le stragi. Dietro c'era una regia che non poteva essere soltanto della mafia. Ma allo stato, non c'è ancora una prova giudiziaria dei contatti tra questa entità e Cosa nostra".
I mafiosi, lo dicono i pentiti, guardavano con attenzione alla nascita di Forza Italia. Con le stragi volevano agevolarla?
"Dobbiamo stare attenti alla cronologia. Non risulta che all'epoca delle stragi di Firenze, Roma e Milano fosse già nato quel partito politico".
E lei al momento se la sente di escludere che Cosa nostra già sapesse dell'intenzione di Berlusconi di fondarlo?
"Per qualsiasi responsabilità giudiziaria occorre dimostrare un'intesa preventiva funzionale all'attuazione della strategia stragista. È provato che Cosa nostra non aveva ottenuto alcun risultato dalle stragi compiute. La teoria del ricatto non aveva funzionato".
Se fosse stata in vigore la riforma delle intercettazioni sarebbe venuto un danno a queste inchieste?
"Certamente no, trattandosi di indagini sulla mafia. Tranne per il fatto che l'autorizzazione è demandata a un tribunale collegiale. Il che certamente provocherà gravi disagi nell'organizzazione degli uffici, soprattutto in quelli di piccole e medie dimensioni, ove l'incompatibilità dei magistrati a trattare più volte lo stesso fatto porterà a non avere più giudici per fare i processi. Senza contare che anche il sabato e la domenica ci dovrà essere sempre un tribunale pronto ad autorizzare un ascolto. Non parliamo poi della previsione assurda di obbligare il pm a inviare ogni volta tutti gli atti compiuti fino a quel momento. Le cancellerie scoppieranno di faldoni, affastellati pure nei corridoi, e i rischi di fughe di notizie aumenteranno".
Che succede, nel caso delle stragi, se un imputato denuncia un pm per una fuga di notizie? Per la legge dovrebbe lasciare il processo?
"È una norma molto grave perché collega automaticamente la sostituzione del pm o del suo capo al mero dato formale dell'iscrizione nel registro degli indagati. Si possono prevedere le conseguenze devastanti per i delicati equilibri delle procure di fronte a continue denunzie strumentali contro i magistrati".
Per capirci, se un Riina o un Provenzano denunciassero un pm antimafia, e questo fosse iscritto nel registro degli indagati, poi se ne dovrebbe andare?
"Sì, certamente".
Poter intercettare solo per 75 giorni per un'estorsione o un voto di scambio favorisce la mafia?
"Se dietro quei reati c'è un'organizzazione criminale certamente sarà più difficile scoprirla".
La regola per cui si possono mettere microspie solo nei luoghi dove c'è già la certezza che si sta commettendo un reato non impedirà molte indagini?
"Sì, ma non quelle di mafia. Per tutte le altre sarà più difficile scoprire i colpevoli anche a causa dei tempi limitati degli ascolti che sono inferiori ai termini previsti per indagare".
I tempi dell'entrata in vigore: è giusto che il limite dei 75 giorni per intercettare si applichi subito ai processi in corso compresi quindi anche quelli della cricca?
"Le norme procedurali di solito valgono per il futuro e non si applicano ai procedimenti pendenti. Se eccezione si è prevista, evidentemente è perché talune indagini vanno fermate al più presto".

(28 maggio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/cronaca/2010/05/28/news/grasso_legge_intercettazioni-4394715/?ref=HREC1-4


Titolo: LIANA MILELLA La tensione torna alta fra il premier e il cofondatore.
Inserito da: Admin - Giugno 01, 2010, 11:49:09 am
IL RETROSCENA

L'ira del cavaliere su Gianfranco "E' scorretto, così fa saltare tutto"

La tensione torna alta fra il premier e il cofondatore.

I berlusconiani temono che Fini costringa a dirottare il ddl sulle intercettazioni su un binario morto

di LIANA MILELLA


ROMA - Se l'aspettavano l'uscita di Fini, ma non così. Erano convinti di trovarsi, nei giornali del weekend, un'intervista di Giulia Bongiorno con i dubbi sulla legge. E già erano pronti a una trattativa soft, per correggere il testo qui e là, prima del voto al Senato. Avevano fatto di tutto per veicolare una sorta di contro informazione, raccontando che i finiani avevano già sottoscritto l'accordo, che non avrebbero stracciato il patto. E quindi la sorpresa è stata grande. Con un effetto scenico sorprendente: il relatore Roberto Centaro sta leggendo la relazione, Schifani vende la mediazione e tiene a bada il Pd, ma ecco a sorpresa sulle agenzie la stroncatura di Fini. Ora la contrapposizione è sotto gli occhi di tutti. E riguarda ancora una volta i processi in corso. "Sempre la stessa storia, come per la blocca processi o il processo breve" chiosa una buona fonte del Pdl.

Da tenere dentro, o da tenere fuori, dalla legge sulle intercettazioni. L'alternativa è tutta qui. Solo di questo si discute nei corridoi. Furiosi per l'uscita di Fini, i berluscones ieri se lo confessavano tra loro, consci del cul de sac nel quale si sono cacciati con le loro stesse mani: "O pieghiamo la testa, e la legge lascerà indenni le indagini che si stanno svolgendo contro di noi, oppure mandiamo a mare tutto. E comunque, in un caso come nell'altro, Fini ci ha legato le mani". Usano anche parole più crude, ma la sostanza è questa. Roventi le telefonate con il Cavaliere. Adirato come non mai contro Fini. Al punto da ordinare una duplice offensiva. La prima: l'attacco, affidato a Schifani, sul piano istituzionale per quello che Berlusconi considera una esondazione di Fini rispetto al suo ruolo di terza carica dello Stato. Schifani svolge puntuale il compitino. La seconda: la contestazione nel merito. La polemica sui giorni concessi per intercettare, che erano 60 alla Camera e sono diventati 75 al Senato. Ci si esercitano tutti, Gasparri, Quagliariello, Cicchitto. "Come si permette Fini di criticare se la nostra durata è maggiore di quella che i suoi hanno pure votato?". Facendo finta di dimenticarsi, come sanno bene i finiani, che a Montecitorio la norma transitoria diceva che "la legge non si applica ai processi in corso", mentre quella del Senato invece applica a tutti e subito la durata breve, e quindi blocca tutte le intercettazioni e stronca tutte le inchieste in corso. Per questo l'ex pm Antonio Di Pietro parla di norme che "favoriscono la cricca".

Nella sua collera Berlusconi non fa sconti: "Basta. Se continuate ad ammorbidire questa legge io la blocco. Già non mi è mai piaciuta, con dentro la corruzione, ma se andate avanti nell'attenuarla faremo ridere dopo averla approvata. Ormai non serve più a niente". Con i suoi giudica la mossa di Fini con una sola parola, "scorretta". Vorrebbe rispondergli a tono, convoca capigruppo e coordinatori nonostante il 2 giugno sia festa. Come dice al Senato Gaetano Quagliariello "qui si è aperto un problema politico enorme". Che attiene, all'interno del partito, al potere di veto del co-fondatore.

Ma di mezzo ci sono le intercettazioni. E bisogna pure uscirne. E anche in fretta. In viaggio in Sudafrica il ministro della Giustizia Angelino Alfano, Niccolò Ghedini si impossessa della scena. Annusata la mala parata di Fini, innanzitutto piglia tempo e consiglia il rinvio in commissione. Adesso c'è una settimana di tempo per trovare un'intesa o rompere definitivamente. O ancora lasciare con un escamotage che il ddl finisca su un binario morto, visto che non piace al Cavaliere. Falchi e colombe si scontrano. Tenere duro, consigliano i primi, approvare così com'è il testo al Senato. E lasciare che lo scontro avvenga alla Camera, magari decidendo a quel punto di "sacrificare" una legge che tanto non realizza più lo scopo di fermare le inchieste sugli appalti. I secondi propongono un compromesso: accontentare Fini e tornare al testo della Camera, dove era scritto che la legge non si applicava ai processi in corso. E risolvere anche la querelle dei 75 giorni lasciando invariato il tetto, ma con una clausola di salvaguardia se, come dice Fini, all'ultimo giorno gli ascolti rivelano una notizia fondamentale.

Dovranno parlarsi, dopo un black out di oltre sei mesi, Ghedini e la Bongiorno. Ma ancora a ieri sera non c'era stato nessun contatto. Silenzio. Telefoni muti. Rapporti rotti proprio sulle intercettazioni. A luglio di un anno fa, quando il testo uscì da Montecitorio dopo un duro braccio di ferro. Disse allora la Bongiorno che si trattava di "un compromesso che poteva essere migliorato". Poi intervenne Napolitano. Consigliò ad Alfano di buttare via gli "evidenti indizi di colpevolezza". Lei sottolineò che "sarebbe stato saggio seguire quelle indicazioni". Poi sono esplose le inchieste sugli appalti. E al Senato l'ordine impartito è stato quello di utilizzare la legge sugli ascolti per renderle inoffensive. Con un duplice sistema: stop alle intercettazioni con i 75 giorni, via i pm scomodi con una denuncia per una fuga di notizie. Ma Fini e la Bongiorno si sono messi di traverso.

(01 giugno 2010) © Riproduzione riservata

http://www.repubblica.it/politica/2010/06/01/news/ira_berlusconi-4482525/?ref=HRER2-1


Titolo: LIANA MILELLA Pisanu: "Spero che la Camera migliori il testo"
Inserito da: Admin - Giugno 11, 2010, 05:31:58 pm
IL RETROSCENA

Fini rallenta il sì di Montecitorio "La priorità ora è solo la manovra"

Sulla legge sulle intercettazioni dubbi nel Pdl e anche nella Lega.

Pisanu: "Spero che la Camera migliori il testo"

di LIANA MILELLA


ROMA - È un brutto risveglio per Fini e i finiani. Invasi i blog, una pioggia di mail, telefonate su telefonate. I fans bocciano senza appello la nuova legge. Criticano un inciucio prematuro e inopportuno con Berlusconi siglato nell'ufficio di presidenza di martedì. Chiedono che alla Camera si faccia presto marcia indietro e si cambi il testo. Il dissenso nel gruppo man mano si allarga tra i fautori del compromesso e i duri e puri. E poi gli occhi puntati sul Quirinale il cui ostinato silenzio e il rinvio al giudizio finale viene interpretato come la manifestazione di un evidente malcontento sul provvedimento. Fa riflettere la notizia di un Napolitano che si rifiuta di ricevere informalmente il testo del maxi-emendamento dalle mani del Guardasigilli Alfano, perché non vuole essere coinvolto, né tantomeno rimanere impigliato nella trattativa sulle modifiche. Tutto ciò porta Fini a dire ai suoi: "Non potevamo far cadere il governo sulle intercettazioni alla vigilia della discussione sulla manovra, la gente non avrebbe capito. Ma forzare la mano e mettere la fiducia al Senato è stato un errore di Berlusconi perché ha impedito un ulteriore confronto, ha congelato il testo, ha bloccato altre e possibili migliorie".

È questo il tormentone dei finiani. Che s'intreccia con il gelido silenzio del Colle. Venti di guerra cattivi per il Cavaliere. Come quello dell'accordo tra Fini e Tremonti per anticipare la discussione sulla manovra alla Camera a discapito delle intercettazioni che finirebbero per slittare a fine luglio. Quando lo apprende il premier reagisce malissimo, lo interpreta come un atto di ostilità: "Come al solito Gianfranco non sta ai patti e vuol far saltare l'accordo". Magari con la speranza che nel frattempo escano sui giornali quelle che si preannunciano come succose intercettazioni dell'inchiesta sugli appalti di Perugia. Potrebbe saltare il governo e si aprirebbe la via per un esecutivo tecnico-istituzionale.

Mentre Berlusconi vede i fantasmi, Fini delinea una possibile strategia. Ricevere il testo del Senato, mandarlo in commissione Giustizia dove c'è Giulia Bongiorno, accogliere le richieste delle opposizioni che vogliono più tempo per discutere. Dibattere senza ipotizzare una nuova fiducia. Anche perché la prospettiva alla Camera, dove prima si vota la fiducia posta dal governo e poi di nuovo in segreto sull'intero ddl, ci sarebbero sorprese. Diceva ieri un finiano: "Il dissenso è molto forte. Molti voterebbero la fiducia per disciplina, ma si esprimerebbero contro il ddl che non condividono. Il governo ne uscirebbe malissimo".

Le perplessità non sono un segreto. Basta leggere Ffwebmagazine, il periodico online della fondazione finiana Farefuturo dove il direttore Filippo Rossi, a quanto pare ispirato dallo stesso Fini, scrive: "Tanto è cambiato, è vero, ma tanto forse poteva ancora cambiare. È inutile nasconderla questa delusione verso se stessi. Il ddl poteva limitare le esagerazioni di una pratica spiona, senza limitare la libertà d'informazione". Fabio Granata chiede che il testo cambi: "Auspico un percorso di revisione concordato e limitato ad ambientali e reati spia". Il presidente della commissione Antimafia Beppe Pisanu, la cui vicinanza a Fini non è un mistero, vota la fiducia al Senato, poi esce e dichiara: "Ben vengano le migliorie al testo. Come si fa a non augurarselo?".

Le brutture della legge sono lì, sono quelle che inquietano i tecnici del Colle. La censura sulle intercettazioni che non avranno lo stesso status di altre carte non più coperte da segreto ma pubblicabili. Il pasticcio della norma transitoria tra vecchi e nuovi processi. La durata breve e brevissima per intercettazioni e microspie. Granata e la Bongiorno riescono a leggere il testo del maxi-emendamento solo quando il Senato lo ha già votato. Esplode Granata: "C'è stata un'eccessiva accelerazione nel voler chiudere l'accordo politico. Anche tra di noi ha prevalso il partito della mediazione per la mediazione. O peggio quello dei teorici del mutuo che vogliono tranquillità e quieto vivere. Ma io posso vantare di aver sempre avuto ragione, su Cosentino, su Scajola, sui medici spia. Vincerò anche questa volta". Carmelo Briguglio disegna il possibile futuro: "C'è tutto il tempo per far maturare una nuova consapevolezza nel Pdl sul fatto che è necessario migliorare il testo. La moral suasion del Quirinale è maggiore proprio per via del silenzio imposto da Napolitano". Si cambi allora e si ritorni al Senato.

(11 giugno 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/06/11/news/retroscena_fini-4742967/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA - Il pressing del Quirinale per rinviare a settembre il ddl.
Inserito da: Admin - Giugno 22, 2010, 09:43:26 am
RETROSCENA

La mossa del Colle sorprende Berlusconi "Ora ci detta pure l'agenda parlamentare"

Il pressing del Quirinale per rinviare a settembre il ddl.

Per il Pdl l'uscita di Napolitano suona come la pietra tombale ad ogni possibile blitz.

Oggi e domani vertice del Pdl e incontri con i finiani sulle intercettazioni

di LIANA MILELLA


ROMA - Ai suoi, ai più fidi berluscones, ha dato l'ordine di tapparsi la bocca. Su Napolitano meglio evitare qualsiasi commento.
Lui, il Cavaliere, fortemente sorpreso, ha masticato amaro e con più d'uno ha chiosato: "Adesso pretende anche di dettare l'agenda parlamentare". Berlusconi non ha gradito affatto l'intervento del capo dello Stato che ha interpretato nell'unico modo in cui quelle parole potevano essere lette, un caldo invito, di quelli che non si possono rifiutare, a rinviare a settembre non solo il voto, ma tutta la discussione politica sulle intercettazioni.

Esattamente il contrario di quello che il premier avrebbe voluto fare e per cui lui e i suoi hanno lavorato in questi giorni: chiudere al più presto il provvedimento, fare il minor numero di modifiche per accontentare Fini (e lo stesso Quirinale), ma approvare comunque il ddl alla Camera, tentando anche, grazie al fido Schifani, il blitz al Senato. Giusto a realizzare il piano servivano gli appuntamenti politici della settimana, oggi una colazione con capigruppo e coordinatori del Pdl per preparare l'ufficio di presidenza di domani, e al contempo un vertice tra finiani e berlusconiani, a delegazioni ristrettissime, per intendersi su intercettazioni e manovra.

Ma ecco la zeppa del Colle. Messa in un modo che Berlusconi sa di non poterla contrastare. Tant'è che ha ragionato con i suoi: "Se Napolitano dice che la manovra va chiusa in fretta e in un clima sereno non posso mettermi contro di lui perché neppure la nostra gente, preoccupata com'è per la crisi economica, mi capirebbe". Il premier conosce gli orientamenti del suo elettorato e sa che è stanco di liti sulle intercettazioni. Tuttavia il suo progetto, che ora Napolitano ribalta, era di mandare avanti contemporaneamente manovra e ddl sugli ascolti, chiudendo la partita degli emendamenti. Ma Napolitano giusto su questo frena perché, come spiegano i suoi collaboratori, teme che il contrasto tra Berlusconi e Fini sugli ascolti si prolunghi per tutta la discussione sulla manovra, non garantendo la tranquillità necessaria per far quadrare i conti del Paese.

Dal salone degli specchi, dove parla Napolitano, arriva un duplice monito che il premier intende assai bene e che lo mette di pessimo umore per l'intera giornata. Innanzitutto, rispetto alle voci che i berluscones avevano fatto circolare nei giorni scorsi, di un accordo già chiuso col Colle su due-tre punti, il presidente fa capire che al contrario non ci sono state intese di alcun tipo e che è ancora tutto in alto mare. E conferma la linea intransigente di una presidenza che sulle intercettazioni non è disponibile a trattative sotto banco col governo, né tantomeno ad accordi preventivi. Poi il tema della "serenità" del dibattito, non solo sulla manovra, ma anche sugli ascolti.
A parere del Quirinale, nessuna delle due questioni può essere trattata in un clima conflittuale, né tantomeno il braccio di ferro sulle intercettazioni tra finiani e berlusconiani può scatenarsi mentre la Camera prima, e il Senato poi, cercano di condurre in porto la manovra. È quello che fa dire a Marco Reguzzoni, il capogruppo della Lega alla Camera: "Si apre la strada a quello che Bossi ha già detto, le intercettazioni si possono fare, ma solo a patto che non ci si divida e non si litighi. Se c'è un'intesa, si possono approvare anche prima dell'estate".

Solo di questo hanno ragionato ieri i berlusconiani chiedendosi tra loro se le parole di Napolitano ("La manovra non può non dominare l'agenda parlamentare nel breve tempo che separa le Camere dalla pausa estiva") tagliano la strada al voto entro agosto oppure se resta un possibile spiraglio. E giù a far di conto sui tempi, calcolando che tra il 9 e il 10 luglio a Montecitorio arriva la manovra approvata dal Senato e che ci vorranno due settimane per rimandarla indietro. Quindi restano "vuoti" in calendario gli ultimi giorni di luglio. In cui, volendo, il ddl può essere discusso e votato. Ma il rischio, secondo gli uomini del Cavaliere, sarebbe quello di contrariare ancora di più il presidente. Tant'è che Niccolò Ghedini, parlando con altri deputati delle possibili modifiche al ddl sugli ascolti da concordare con i finiani, ha detto: "In questo momento il nostro problema non sono loro, ma quello che vuole il Quirinale, con cui è necessario mantenere un equilibrio istituzionale e un rapporto sereno soprattutto durante la discussione della manovra".

Per questo l'uscita di Napolitano, alla fine, suona per quello che è; la pietra tombale su qualunque blitz o accelerazione possibili.

(22 giugno 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/06/22/news/napolitano_berlusconi-5043262/?ref=HREC1-1


Titolo: LIANA MILELLA L'ira di Napolitano sulla "nomina-inganno"
Inserito da: Admin - Giugno 26, 2010, 06:17:15 pm
IL RETROSCENA

L'ira di Napolitano sulla "nomina-inganno"

Berlusconi: Fini e Bossi mi hanno lasciato solo

Dal Canada il premier trattiene le reazioni. "Non mi posso permettere una lite col Colle. Ho troppi fronti aperti".

E pensa di far dimettere il neoministro. "Non rimetto mano al governo dopo aver visto il comportamento della Lega"

di LIANA MILELLA


ROMA - "Non voglio litigare con il presidente" dice lapidario Berlusconi. E poi: "Ce l'ho con Bossi e con Fini. Mi hanno lasciato solo". Il Cavaliere sorprende tutti. Pensa alle dimissioni di Brancher e per certo non attacca Napolitano. Il quale ha taciuto per quasi ventiquattr'ore, tenendosi dentro la delusione e l'insofferenza crescenti per una fiducia istituzionale concessa e poi palesemente tradita. Ha cercato di tenere a freno lo sconcerto, che si è aggravato giorno per giorno nell'arco dell'ultima settimana, per una nomina presentata in un modo da Gianni Letta e poi diventata tutt'altro. Ma due comportamenti del neo ministro hanno convinto Napolitano che era necessario mettere da parte il fair play: quel primo atto di governo che si risolve nell'approfittare della legge sul legittimo impedimento e quel giustificare il passo con una motivazione palesemente inconsistente. Il capo dello Stato ha pesato i pro e i contro: su un piatto della bilancia l'ennesimo fronte che si apre con palazzo Chigi, un nuovo conflitto con Berlusconi, ma sull'altro la stridente anomalia di un ministro di fresca nomina che si sfila da un processo e utilizza una legge di fatto certificando il falso.

La profonda irritazione di Napolitano produce la lapidaria nota delle 18. Che spezza un equivoco, a voler usare un'espressione edulcorata, tutto giocato sulla vera natura dell'incarico di Brancher. Quando, dieci giorni fa, il sottosegretario Letta avverte Napolitano della nuova nomina e fissa l'appuntamento per la nomina e il decreto, il presidente
è convinto che il governo abbia risolto il problema del vuoto lasciato da Scajola allo Sviluppo economico. Un ministero con il portafoglio, e di rango, dunque. Ma poi, quando Berlusconi e Brancher arrivano al Quirinale per il giuramento, ecco la sorpresa, di un incarico per occuparsi di federalismo, quindi senza portafoglio, e che lascia ancora un vuoto nella compagine di governo. Letta previene le perplessità del presidente e motiva politicamente la scelta dell'uomo e il tipo di ministero affidatogli: "Ci serve per sciogliere i nodi politici all'interno della maggioranza e quindi per sbloccare la prossima indicazione di un nuovo ministro".

Non è soddisfatto Napolitano, né è del tutto convinto. Ragiona sull'ipotesi di bloccare la nomina, ma la posizione di Brancher, che ha sì un processo in corso, ma non una condanna, non giustifica uno stop. Con tanti fronti aperti, dalle intercettazioni alla manovra, prevale la scelta di seguire il principio della leale collaborazione istituzionale. Brancher diventa ministro, ma poi incespica sul legittimo impedimento. E qui Napolitano decide di intervenire.

"I fatti parlano da soli" commenta Fini con i suoi quando gli riferiscono l'accaduto. Ed è evidente che il suo giudizio non è certo negativo sul passo del capo dello Stato. Di tutt'altro tenore la reazione di Berlusconi, che è una furia contro Fini e contro Bossi, e lavora all'ipotesi di far dimettere Brancher. "Non posso andare allo scontro con il Colle" confida. E poi: "Ho troppi fronti aperti, non me ne posso permettere un altro ancora". I suoi mediano. Il neo ministro fa dichiarazioni concilianti sul processo, ma la sua posizione è in bilico.

Dall'altra parte del mondo, in uno sperduto paese sulle montagne del Canada, il Cavaliere attacca Bossi e Fini. Non dice quello che tutti i suoi invece dichiarano chiaramente, "Napolitano ha esagerato, è andato oltre le sue prerogative, è intervenuto da giudice e non da presidente". Con lui, stavolta, non vuole litigare. Invece ne ha per Bossi e Fini. A partire dal Senatur: "Brancher lo ha voluto lui e ora mi volta le spalle". Ricostruisce: "Io ne avevo parlato con Bossi, lui poi con Fini, e nessuno aveva manifestato delle perplessità. Adesso invece mi hanno lasciato solo e questo lo considero del tutto inaccettabile". Lo sfogo contro il leader della Lega raggiunge toni inusitati: "Umberto non può permettersi di fare queste giravolte nel giro di 24 ore. Sono costretto a ricordargli che siamo tutti nella stessa barca, io come Brancher, ma anche come Bossi e Fini". È il suo solito refrain, "se cado io cadono anche loro".

Per questo respinge adesso, quando il caso Brancher è apertissimo, l'ipotesi di fare un rimpasto a fine luglio, spedire il neo ministro all'Agricoltura e dare a Giancarlo Galan lo Sviluppo economico: "Io non rimetto mano alla squadra di governo, soprattutto dopo aver visto come s'è comportata la Lega. Non mi passa nemmeno per la testa di aprire una crisi a ridosso della manovra e delle intercettazioni". La sua preoccupazione adesso è tutt'altra, è il lodo Alfano costituzionale la cui strada politica in Parlamento è ormai "compromessa" dal caso Brancher. Il Cavaliere già s'immagina la levata di scudi contro lo scudo per i ministri, Pd e Udc che si sfilano, l'ipotesi di raggiungere il quorum dei due terzi sfumata. E con essa il rischio che la legge non arrivi in tempo e riprenda l'incubo di Milano con i processi Mills, Mediaset e Mediatrade. Con tanto di possibile condanna per corruzione. 

(26 giugno 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/06/26/news/l_ira_di_napolitano_sulla_nomina-inganno_berlusconi_fini_e_bossi_mi_hanno_lasciato_solo-5167311/


Titolo: LIANA MILELLA Berlusconi sfida Fini e il Quirinale "Intesa subito o il testo...
Inserito da: Admin - Luglio 01, 2010, 12:08:52 pm
INTERCETTAZIONI

Berlusconi sfida Fini e il Quirinale "Intesa subito o il testo non cambia"

Gli uomini del premier lanciano l'"assalto finale" al presidente della Camera: "O ci asseconda, o se ne va".

L'ex leader di An sorpreso dalla forzatura: "Ma quel testo non si può votare"

di LIANA MILELLA


ROMA - È il giorno della grande sfida. Di Berlusconi contro Fini. Contro il Quirinale. Contro la piazza. Per tacitare i forti dissensi interni. Per puntare, in un en plein, a portare a casa prima delle vacanze, le intercettazioni, il lodo Alfano, un nuovo vice presidente del Csm del centrodestra. Si parte con Fini, alle 9 di mattina, nella capigruppo. Si chiude col Quirinale, alle 9 di sera, nella consulta per la giustizia di Niccolò Ghedini. Con una provocazione per Napolitano raccontata così: "Gli abbiamo chiesto in tutti i modi di indicarci le modifiche. Ma lui non vuole segnalarcele. E allora noi andremo avanti con il testo così com'è, facendo al massimo qualche lieve modifica. E poi succeda quel che deve succedere". Il segnale arriva ai finiani che reagiscono nell'unico modo possibile: "Se le cose stanno davvero così noi voteremo sì alla fiducia, se la mettono, ma subito dopo bocceremo il ddl".

Da ieri si preparano un luglio e un agosto di fuoco. Con i berluscones all'attacco, decisi a chiudere i conti col presidente della Camera. "O dentro o fuori. O ci asseconda o se ne va. Tanto, elettoralmente, non pesa nulla". Lui non nasconde la sorpresa. Tant'è che ai suoi confida: "Ero convinto che avrebbero desistito dalla forzatura di voler mettere questo ddl a tutti i costi in calendario. C'è la manovra, c'è la crisi economica, si può andare a settembre". Percepisce il segnale ostile del Cavaliere, sente la voglia di sfida, reagisce "indignato". La sua squadra gli fa quadrato intorno. Ma Berlusconi, dicono i colonnelli, vuole "dargli una lezione" e chiudere sulle intercettazioni.

La road map disegnata dall'ala dura del Pdl prevede di portare all'apice la sfida. A partire dalle modifiche. Che potrebbero essere pochissime e tali da non mutare la natura del testo, già fin troppo edulcorato per il premier. Poi il tentativo del doppio voto, nella prima settimana di agosto, prima alla Camera e poi al Senato, con una doppia fiducia. A ridosso, palazzo Madama dovrebbe licenziare per la prima lettura il lodo Alfano costituzionale, su cui Roberto Centaro, che ne ha scritto la prima versione, ha scoperto un evidente errore che avrebbe comportato il rischio di escludere dall'applicazione i processi in corso per il premier. Lo scudo avrebbe coperto il capo dello Stato, poiché nel testo è scritto che vale "anche in relazione a fatti antecedenti all'assunzione della carica". Ma poiché la stessa frase non è ripetuta per premier e ministri c'era il rischio che Berlusconi restasse scoperto. Sarà il presidente della commissione Giustizia Filippo Berselli, con un parere, a suggerire la correzione 1.

L'ansia nel correggere questo dettaglio dimostra la volontà dei falchi di andare fino in fondo. Contrastando chi, all'opposto, e non solo tra i finiani, considera la strategia del Guardasigilli Alfano e dell'avvocato Ghedini del tutto perdente. Diceva ieri un dissidente: "Stiamo sbagliando tutto e ci stiamo mettendo tutti contro, basta guardare la piazza di domani, giornalisti, magistrati, società civile, un disastro". Per questo bisogna chiudere al più presto. Incassando le intercettazioni e il lodo Alfano e spuntando un accordo sul Csm. Lungamente, in un divanetto del Transatlantico, ieri hanno parlato Ghedini e il centrista Michele Vietti, disposto ad entrare nella rosa per il Consiglio solo a patto di diventarne il vice. Ma per questo serve l'appoggio di Berlusconi. Il quale, in prima battuta, vorrebbe puntare su un uomo di sua stretta fiducia, Gaetano Pecorella o Peppino Gargani. Ma qualora, com'è peraltro scontato, i togati non li votassero, quella di Vietti potrebbe diventare una candidatura di compromesso, da spendere sul piatto di un ritrovato rapporto con Casini.

Ma prima di arrivare al Csm e agli otto laici che le Camere devono eleggere c'è lo scoglio degli emendamenti alle intercettazioni. Con l'incognita dei finiani e soprattutto della presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno. "Che farà lei? Presenterà delle modifiche?" si chiedeva ieri il segretario della consulta Pdl Enrico Costa. Lì può cadere il piano del Cavaliere perché se la Bongiorno e i finiani correggono le storture della legge e l'opposizione vota a favore cambia la storia del ddl, ma anche dei rapporti tra Fini e Berlusconi. E il destino del governo e della legislatura.

(01 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/01/news/berlusconi_sfida_fini_e_il_quirinale_intesa_subito_o_il_testo_non_cambia-5293882/


Titolo: LIANA MILELLA "Qualcuno vuol far saltare il governo"
Inserito da: Admin - Luglio 03, 2010, 04:14:13 pm
INTERCETTAZIONI

Berlusconi teme l'asse Quirinale-Camera "Qualcuno vuol far saltare il governo"

Il premier durissimo con il cofondatore e sospettoso con il capo dello Stato.

Vertice serale con Letta, Alfano e Ghedini. "Se vogliono la guerra, io sono pronto"

di LIANA MILELLA 


ROMA - In ordine di tempo, Fini parla dopo Napolitano. Ma non conosce il pensiero del presidente perché solo a fine dibattito, quando risale in macchina, il portavoce Alfano gli porta le agenzie. Eppure Berlusconi non ci crede. Troppa è la sintonia tra i due. In cui vede un asse potente consolidarsi progressivamente contro di lui. Ne teme le conseguenze. E già s'immagina detronizzato. È furioso con entrambi. Accusa Napolitano di aver ormai dato vita a una sorta di repubblica presidenziale e addebita a Fini "una slealtà di fondo". Ma ai suoi il Cavaliere detta un ordine perentorio: "Nessuno attacchi il Quirinale, non dobbiamo fornirgli altri spunti polemici". Eppure le parole del Colle lo fanno riflettere: "Il presidente ci sta dicendo che, se resta com'è, non firma la legge sulle intercettazioni. Ma il Quirinale e Fini a cosa puntano veramente? Solo a modificare questo ddl oppure a qualcos'altro? C'è forse qualcuno che vuol far saltare il governo? Con Napolitano ho sempre cercato il dialogo e quindi spero che le sue intenzioni restino positive. Ma non posso dire lo stesso di Fini. E allora se l'obiettivo è quello io sono pronto alla guerra".

Poi con Letta, Alfano e Ghedini comincia a riflettere su come uscire dal pasticcio delle intercettazioni. In meno di 24 ore la strategia cambia, dalla volontà di approvarle a tutti i costi e con il minor numero di modifiche, il Cavaliere ripiega su una linea di maggiore prudenza. La prova di forza alla Camera nella prima settimana di agosto lo alletta, sarebbe tentato di farla, ma i tre lo mettono in guardia. "Stai attento, gli dicono, così fai il gioco di Fini, i suoi hanno già annunciato che voteranno la fiducia ma non il provvedimento e quindi tu punti diritto alla crisi. Basta l'agguato parlamentare dei finiani e il governo cade".

Berlusconi riflette: "Tanto non riusciremmo a chiudere il testo anche al Senato, a questo punto forse è meglio non forzare alla Camera. La legge possiamo anche pensare di rinviarla a settembre, ma si fa solo se è efficace". Alfano e Ghedini ipotizzano le possibili modifiche. Che necessariamente ruotano intorno ai punti indicati tante volte in questi mesi dai finiani, poi ribaditi dai magistrati come Piero Grasso o da un processual penalista come Glauco Giostra. Sono i punti di Fini in cui si riconosce il Quirinale. Ma il Cavaliere li ferma per mettere un punto fermo e inderogabile, e prevenire un Fini che canta vittoria: "Dev'essere chiaro che qualsiasi cambiamento non deve rispondere alle sue richieste, ma solo a quelle di Napolitano".

Arriva a palazzo Grazioli che sono le 18 e l'accoglienza per il premier non potrebbe essere peggiore di così. A tenaglia, gli si stringono addosso l'altolà del capo dello Stato sulle intercettazioni, con la richiesta di "modifiche adeguate", e lo stop di Fini. Due fatti in particolare lo disturbano profondamente e lo mettono in allarme perché, per lui, sono la prova di un asse ormai stabile tra la prima e la terza carica dello Stato. Innanzitutto quel riferimento, nel discorso del presidente della Repubblica, "al dibattito in commissione Giustizia" a proposito delle modifiche. Il premier ci legge un esplicito riferimento alle critiche fatte dalla finiana Giulia Bongiorno. È la riprova di un'intesa, o quanto meno di un feeling, che passa tra Napolitano e Fini. Poi, quando gli raccontano di com'è andato il brusco faccia a faccia tra l'ex leader di An e Bondi, lui rivive l'exploit di Fini alla direzione del 22 aprile. Gli pare proprio di rivedere il film già visto di una coabitazione che ormai è diventata impossibile.
È tentato dall'affondo: "O se ne va lui o ce ne andiamo noi". Si ferma quando lo fanno riflettere sul fatto che la linea dura contro Fini, in questo momento, potrebbe comportare un ribaltamento della maggioranza. Che aprirebbe la via a un intervento di Napolitano. E magari a un governo tecnico che rimetta in gioco anche Casini.

E' lo spauracchio della giornata. Quello che amareggia il suo ritorno dall'estero. "Io lavoro per il mio Paese e in Italia non faccio altro che ricevere attacchi, soprattutto da chi dovrebbe fare il presidente della Camera e non il leader di un partito". Ma l'amarezza corre di nuovo verso Napolitano che gli sbarra la strada sulle intercettazioni e pretende di dettare pure l'agenda parlamentare. Il suo sfogo è radicale. E lo si può riassumere così: qui ormai il governo non ha più poteri reali, decide tutto il capo dello Stato, che può stoppare qualsiasi legge sulla base di un semplice cavillo. Ormai tutto va concordato passo passo con loro, come dimostra purtroppo la storia delle intercettazioni. Ma quando il Cavaliere lascia palazzo Grazioli ormai la decisione di fare le modifiche e rinviare tutto a settembre è già presa. Proprio come vogliono il Colle e Fini.

(02 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/02/news/retroscena_2_luglio-5321539/


Titolo: LIANA MILELLA I berlusconiani tentano l'intesa nuovo emendamento "anti-bavaglio"
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2010, 10:21:20 am
INTERCETTAZIONI

I berlusconiani tentano l'intesa nuovo emendamento "anti-bavaglio"

Il premier: "Ancora nessun accordo, ma ce la faremo".

Contatti tra il ministro Alfano e la finiana Bongiorno.

Il Cavaliere pronto a "stravolgere" il ddl.

Con l'ultima modifica allo studio, possibile pubblicare gli atti se "rilevanti"

di LIANA MILELLA


ROMA - È ufficiale. Berlusconi obbedisce a Napolitano e si appresta ad allargare le maglie del diritto di cronaca. Diceva ieri sera: "Siamo alla vigilia dell'approvazione della legge sulle intercettazioni, che è in Parlamento da due anni, ancora non siamo riusciti a trovare un accordo, ma penso che ce la faremo". La riforma degli "ascolti", se effettivamente oggi questo "accordo" sarà trovato, potrebbe avviarsi a perdere la sua restrizione più odiosa, il bavaglio ai giornalisti. Il "se" è ovviamente d'obbligo. E vedremo il perché. Tre i pilastri su cui ieri, per tutta la giornata, ha lavorato il ministro della Giustizia Angelino Alfano, in continuo contatto telefonico con la finiana Giulia Bongiorno. Possibilità di pubblicare gli atti dei processi oltre quel "riassunto" che proprio la Bongiorno aveva strappato alla Camera un anno fa; pubblicabili le intercettazioni quando, come ritiene il Quirinale, esse rappresentano "un atto rilevante" per l'inchiesta; assoluta riservatezza, invece, per quelle che toccano persone non indagate o sfiorate di striscio dalle investigazioni, i famosi "terzi". Riserbo pieno anche per tutto ciò che è gossip. Per selezionare le telefonate la famosa "udienza stralcio", in cui il pubblico ministero e gli avvocati si siedono assieme per decidere cos'è effettivamente rilevante ed entra a far parte del processo e quindi può essere desecretato e ciò che, all'opposto, non è indispensabile e deve restare segreto per sempre.
Questi i principi su cui si è esercitato ieri il Guardasigilli Alfano con il suo ufficio legislativo e su cui ha riflettuto Niccolò Ghedini, il consigliere giuridico di Berlusconi. L'ordine del Cavaliere è chiaro: bisogna chiudere la "lunga storia" della legge, ma purtroppo bisogna farlo obbedendo a Napolitano. Il quale ha chiesto esplicitamente che venga garantito il diritto di informare i cittadini su cosa accade nei palazzi di giustizia. Sulle inchieste, sugli atti, sulle intercettazioni, perché soprattutto in un momento come questo non può calare una coltre di silenzio. Ma il passo indietro è molto delicato, visto che per due anni gli uomini di Berlusconi hanno respinto ogni richiesta dei finiani di allargare le maglie del diritto di cronaca, fino ad arrivare allo scontro. Ma adesso la concreta minaccia di Napolitano di rispedire il testo alle Camere negando la firma potrebbe aver fatto il "miracolo".
"Potrebbe", se Berlusconi non si tira indietro all'ultimo momento, se non ritiene che il prezzo pagato a Fini non sia troppo alto. Un fatto è certo: la Bongiorno ha atteso tutta la giornata che Alfano fissasse l'appuntamento per discutere il nuovo emendamento, ma di ora in ora, secondo le indiscrezioni che circolano tra i finiani in ansia per il destino del ddl, via Arenula ha fatto sapere di non essere ancora pronta. Nel frattempo Fini, ai ragazzi che a Palermo, durante la cerimonia per Borsellino, gli chiedevano che cosa sarebbe accaduto, rispondeva: "Lo vedete cosa sto facendo...". E ancora: "Avete visto cosa ha detto il procuratore Grasso e i progressi fatti in Parlamento sugli emendamenti, dovete solo avere fiducia".
Certo è che la partita è ormai giunta ai tempi supplementari. Oggi, in commissione Giustizia, il governo dovrà dare il parere sugli emendamenti della Bongiorno, tra cui quello che cancella la responsabilità giuridica degli editori. L'orientamento che si poteva cogliere ieri era favorevole. Poi c'è la nuova modifica sul diritto di cronaca che, a questo punto stamattina, Alfano dovrà verificare con la presidente della commissione. Senza il lasciapassare dei finiani la legge si blocca, visto che gli uomini del presidente della Camera hanno già annunciato che, se resta una legge-bavaglio, essi voterebbero no alle pregiudiziali di costituzionalità. Qualora Berlusconi accetti in pieno la linea del Quirinale e di Fini rimane un ostacolo procedurale, cambiare una parte della legge che ha già avuto un "doppia lettura conforme" da Camera e Senato. I tecnici sono convinti che basti un'assunzione di responsabilità politica. Ma ancora ieri sera i finiani erano politicamente guardinghi, chiusi a qualsiasi pronostico senza prima aver letto il testo. Se quest'ultimo tentativo d'intesa dovesse saltare la legge finirebbe inevitabilmente su un "binario morto".

(20 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/20/news/intercettazioni_20_luglio-5688561/?ref=HREC1-1


Titolo: LIANA MILELLA Il Cavaliere frena i suoi ultras "Brutto testo, ma giochi chiusi"
Inserito da: Admin - Luglio 22, 2010, 10:07:05 am
LEGGE BAVAGLIO

Il Cavaliere frena i suoi ultras "Brutto testo, ma giochi chiusi"

Berlusconi ai suoi: "Approviamo subito perché se salta quest'accordo si ridiscute tutto".

I tempi strettissimi del calendario imporranno il ricorso al voto di fiducia.

Così il premier spera nella tregua con Fini

di LIANA MILELLA


ROMA - Ai berlusconiani il ddl sulle intercettazioni, "per com'è ridotto adesso", fa un po' ribrezzo. Non si parla d'altro in Transatlantico. Mario Pepe, il "killer" di tante leggi, si lancia nell'azione distruttiva, un emendamento kamikaze in commissione Giustizia che sopprime la proposta Alfano per cancellare il bavaglio. E dice: "Io questo testo non lo voto. E so che tanti altri deputati faranno come me". Il vice capogruppo Osvaldo Napoli, che non parla mai a caso, scrive addirittura in una nota d'agenzia: "Desidero esprimere i miei dubbi sul voto da dare all'emendamento del governo". E Luigi Vitali, che fu battagliero sottosegretario alla Giustizia ai tempi della Cirielli: "Questa legge? È ridicola. Quella in vigore è più garantista". E Maurizio Paniz: "Non mi piace, abbiamo perso due anni, ma alla fine io faccio quello che dice Silvio".

E proprio questo è il punto, cosa decide Berlusconi, che peso ha questa legge nella sua strategia con Fini, come il premier vuole posizionare il termometro dei loro rapporti. Per capirlo, e per prevedere che succederà sul ddl intercettazioni, basta registrare quanto diceva ieri il Cavaliere ai suoi più stretti collaboratori: "Mi avete convinto tutti ad accettare un testo che non mi piace per niente, che trovo troppo morbido rispetto a quello che avevo promesso ai nostri elettori, che lascia la situazione com'è adesso. Ma ormai i giochi sono fatti. Ora questo provvedimento va approvato subito, perché se l'accordo salta, allora vedrete che si rimette tutto in discussione".

Gli arrivano le voci dall'universo dei finiani. Quella di Carmelo Briguglio ad esempio. Pronto a dire: "Non ha senso avere fretta. Meditiamo su questa legge. Vediamo se è coerente al suo interno. Riflettiamoci. Lavoriamoci ancora. C'è tempo per votarla a settembre". È l'annuncio di nuovi distinguo. Ma Berlusconi vuole mettere subito all'incasso la cambiale che, con questa legge, può permettersi di staccare con il Quirinale e soprattutto con Fini. Li ha accontentati, ha permesso che fossero accolti i "punti critici" dell'uno e dell'altro, adesso ha un credito da vantare. La sua strategia è abile, ha cominciato a metterla in atto non appena il Guardasigilli Alfano ha messo sul tavolo l'emendamento sul diritto di cronaca. Il Cavaliere lo ha criticato, facendo sua e precedendola perché non diventasse dirompente, la protesta corale che arrivava dai suoi uomini. Come da Osvaldo Napoli che ripeteva: "Ma non sarebbe stato meglio non perdere due anni e approvare il ddl Mastella?". Quello che adesso dicono in molti nel Pdl, perplessi sul risultato ottenuto.

Ma il premier vuole sfruttare proprio questo risultato. E vuole chiudere subito la partita, per far pesare al massimo il prezzo che ha pagato. Questo spiega ai suoi, questo dirà oggi nel pranzo con i coordinatori e i capigruppo, quando darà l'input di tentare il tutto per tutto per il voto entro agosto. Per certo con la fiducia, perché i tempi strettissimi del calendario parlamentare non consentono altro. A chi gli fa presente che c'è comunque maretta e malessere nel gruppo lui replica: "Dobbiamo approvare la legge. Perché comunque i magistrati saranno meno liberi di oggi nel mettere tanti cittadini sotto controllo". E poi perché è convinto, attraverso le intercettazioni, di poter riaprire la partita politica con Fini. Esclude che possa verificarsi una sorpresa durante il voto sulle pregiudiziali, che pure i suoi temono, ripete invece che "tutti faranno quello che io decido che si deve fare". Niente agguati, un voto compatto, una fiducia ribadita prima delle vacanze. Una strada per ritentare, con la cambiale delle intercettazioni, l'unità del Pdl.

(22 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/persone/2010/07/22/news/intercettazioni_berlusconi-5742817/?ref=HREC1-1


Titolo: LIANA MILELLA Intercettazioni, l'ultimo blitz più difficile ascoltare i corrotti
Inserito da: Admin - Luglio 23, 2010, 11:19:38 am
DDL

Intercettazioni, l'ultimo blitz più difficile ascoltare i corrotti

Salta la legge Falcone che consentiva una corsia più rapida per le investigazioni sulle associazioni criminali.

Per un gruppo come quello sotto inchiesta in questi giorni i magistrati avranno bisogno di "gravi indizi" di reato per far scattare gli ascolti.

Frattini: l'ok prima delle ferie.

Pd all'attacco: proporrà il voto segreto

di LIANA MILELLA


ROMA - Intercettazioni più difficili per i gruppi criminali che, tra i loro obiettivi, possono inseguire corruzione, concussione, peculato, truffa, bancarotta, usura. Associazioni a delinquere, come la P3 tanto per fare un esempio, che perseguono un obiettivo delittuoso e deviato. Per loro, nel ddl sugli "ascolti", scatta una protezione. Una tutela. Per mettere sotto controllo i telefoni degli adepti al gruppo non basteranno i "sufficienti indizi di reato", come per la mafia e il terrorismo, ma ci vorranno i "gravi indizi" e tutti i numerosi paletti imposti dalla riforma. Per realizzare questo obiettivo, che il Pd critica aspramente, per confermare la norme salva-casta, è bastato solo respingere, in commissione Giustizia, l'emendamento dei Democratici che chiedevano di non eliminare l'articolo 13 della legge Falcone datata 1991. Norma strategica, difesa dal procuratore antimafia Piero Grasso, per cui ogni associazione criminale, sia essa mafiosa o non mafiosa, italiana o straniera, può essere investigata con una corsia straordinaria e senza lacciuoli. Ma la maggioranza non ha voluto ascoltare e ha soppresso l'articolo 13.

È l'ennesimo coup de théatre nella storia di una riforma che assomiglia sempre di più a un pozzo nero, in cui è possibile trovare nuovi e pericolosi veleni. L'ultimo è stato messo in luce in commissione Giustizia alla Camera dove è finito l'esame degli emendamenti. Passate tutte le proposte migliorative della presidente e relatrice Giulia Bongiorno, compresa quella sulla responsabilità giuridica degli editori, che è stata cancellata. Ma anche il ripristino della possibilità di intercettare gli ignoti e di mettere microspie. Approvate anche le migliorie della stessa maggioranza, come quelle del capogruppo Pdl Enrico Costa sulla durata (75 giorni prorogabili di 15 in 15). Grazie a una modifica Pd-Udc ci sarà un'udienza-filtro per escludere le intercettazioni "irrilevanti". L'Udc smonta un'ulteriore protezione per i parlamentari introdotta al Senato, l'obbligo di chiedere l'autorizzazione pure per un deputato o senatore intercettato sull'utenza di una terza persona. Su questo votano tutti a favore. Ma poi esplode la grana della norma Falcone, fuori della commissione la capogruppo Pd Donatella Ferranti si scontra con il sottosegretario Giacomo Caliendo. La prima contesta di aver smontato "una norma basilare nella lotta al crimine" voluta da Falcone; il secondo difende le scelte del governo, le "sue" scelte, e sostiene che i reati gravi, con il riferimento alla lista dell'articolo 407 del codice di procedura, sono comunque intercettabili. Lei replica: "Sai bene che non è vero perché li sono indicati solo quelli per cui c'è l'arresto in flagranza". Lui brontola, ma alla fine è costretto ad ammettere che da quella lista "qualcosa resta fuori". Ma che non ha rilievo.

Il Pd sfida il governo. Proporrà il voto segreto nella settimana di fuoco d'agosto in cui si voterà in aula. Un voto che ormai pare scontato. Insistono il Guardasigilli Alfano e il ministero della Difesa Frattini. "Si metta un punto definitivo" dice il primo. E il secondo: "Dobbiamo votare il ddl prima della pausa". Berlusconi già si attrezza per mettere una nuova fiducia, in linea con quella già messe alla Camera e al Senato. I troppi voti segreti preoccupano il Cavaliere. A partire da quello sulle pregiudiziali di costituzionalità su cui proprio i berluscones più scontenti potrebbero impallinare la legge.

Sulla quale, per ora, sono le opposizioni a fare schermaglie. Il Pd e l'Udc lavorano alla "riduzione del danno". E incassano risultati. Soddisfatta la Ferranti per l'udienza-filtro. Altrettanto il centrista Roberto Rao per aver abolito l'ulteriore tutela per i parlamentari ("È un colpo alla casta"). Che fa dire a Berlusconi: "È un disastro, alla fine è meglio la legge che già c'è". Ma Antonio Di Pietro spara a zero in quanto il ddl resta "una schifezza all'ennesima potenza", accelerata "perché i soliti noti ne hanno bisogno". La Ferranti replica con l'elenco delle migliorie, che però non sanano i punti neri (tribunale collegiale "irragionevole", comunque la stretta su ambientali e tabulati). E il colpo ai siti web con l'obbligo delle rettifiche in 48 ore. Per finire con una nuova sorpresa, l'obbligo di depositare le intercettazioni se, solo su queste, si basa un sequestro, un'ispezione, una perquisizione.

(23 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/23/news/salva_p3-5764896/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA E il premier ora aspetta da Casini un segnale su intercettazioni
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2010, 10:55:51 am
CSM

Saltano i veti incrociati tra i poli L'Udc Vietti verso la vice-presidenza

Domani l'elezione di otto membri laici dell'organo di autogoverno della magistratura.

E il premier ora aspetta da Casini un segnale sulle intercettazioni

di LIANA MILELLA


ROMA - È praticamente sotto gli occhi di tutti, nel Transatlantico di Montecitorio, che Michele Vietti si è avviato ieri a diventare il prossimo vice presidente del Csm. Per carità, sarà il plenum del Consiglio a votarlo, togati e laici assieme, ma com'è sempre avvenuto, quattro anni fa con Mancino, prim'ancora con Rognoni, la "benedizione" e il suggello bipartisan arrivano dalla politica. Poltrona ambitissima, strategica per chi voglia misurarsi in un dialogo, rivelatosi fino a oggi impossibile, tra il Parlamento e la giustizia. Che avesse il lasciapassare di Napolitano si sapeva, ma il gioco dei veti incrociati tra Pd e Pdl gli ha fatto vivere momenti di ansia. Caduti ieri, anche se lui per tutta la giornata ha continuato a negarsi e a schermirsi. Ma a chi lo ha seguito, durante la votazione sul Csm, non è sfuggito il duplice colloquio che ha avuto prima con Maurizio Gasparri e poi con Anna Finocchiaro.

Attimi determinanti. Quando Gasparri, protagonista per il Pdl della partita sul Csm, gli ha detto prima di ufficializzarlo alle agenzie: "Ho visto con piacere che sono caduti i veti e la conventio ad excludendum nei confronti del nostro candidato. Se è così, possiamo andare avanti sul tuo nome". Annibale Marini, l'ex presidente della Consulta che Gasparri ha sponsorizzato come possibile vice di Napolitano, entrerà lo stesso a palazzo dei Marescialli, ma solo per guidare la nutrita pattuglia del centrodestra, composta da ben cinque consiglieri su 26. Misurato il termometro delle 16 toghe che resteranno a piazza Indipendenza per quattro anni, Gasparri si è reso conto che Marini sarebbe andato incontro a una sconfitta. Ma la questione dei "veti incrociati" si è giocata qui, perché dai magistrati non è giunto un niet preventivo e pubblico su Marini.

Dal Pdl al Pd. Reduce da una riunione con il segretario Pierluigi Bersani, il responsabile Giustizia Andrea Orlando e gli uffici di presidenza di Camera e Senato, la Finocchiaro ha detto a Vietti: "Hai il nostro voto". Certo, una personalità più marcatamente di sinistra sarebbe stato l'optimum per i Democratici, ma la logica dei numeri ha prevalso, all'opposto, anche in questo caso. Come dice Orlando, tra scherzo e verità, "per noi Vietti non è un nemico del popolo". E poi: "Con i magistrati abbiamo fatto tutti i tentativi per vedere se c'erano gli spazi per un nome più a sinistra, ma abbiamo avuto dei no, per cui quello di Vietti diventa un nome unificante su cui la convergenza è possibile".

Se i pronostici non si riveleranno mendaci, Vietti sarà eletto nella rosa degli otto consiglieri laici del Csm domani pomeriggio. Subito dopo il voto sulla manovra e prima della discussione generale sulle intercettazioni. Questo pareva essere l'ultimo ostacolo, l'ennesimo dubbio nel Pdl, una pressione di Berlusconi su Casini, che ha parlato a lungo con Gasparri e Cicchitto, perché l'Udc attenui il suo atteggiamento sulla riforma degli ascolti. Ma la risposta di chi, come Roberto Rao, ha condotto in commissione Giustizia la battaglia sul ddl è stata: "Ci siamo sempre comportati in maniera responsabile, tant'è che i nostri ultimi emendamenti sono stati votati da tutti i gruppi". Insomma, una cosa è il Csm, un'altra le intercettazioni, anche se all'Udc non sfugge che il voto su Vietti fa parte di una strategia di avvicinamento a Casini per sostituire Fini. Ma resta l'invito dei centristi a rinviare il voto sul ddl a settembre. Una soluzione che Berlusconi sarebbe costretto ad adottare o nel caso di una plateale rottura con Fini o qualora il voto sulle pregiudiziali, che ci sarà domani, dovesse rivelare la massiccia presenza di franchi tiratori, o finiani, o berlusconiani critici sul testo o vogliosi di addebitare la colpa sui finiani in modo da accelerare la rottura.

Sistemato il vice presidente resta da ultimare la squadra. Su cui ormai la partita è quasi chiusa. Il Pd è alle prese con gli ultimi incastri tra personaggi provenienti dalla politica, dall'accademia, dalle professioni. I politici in ballo sono due, l'avvocato ed ex senatore Guido Caldi e l'ex deputato ed ex Margherita Pietro Carotti. E poi l'avvocato Luca Petrucci e il processual penalista Glauco Giostra. Il centrodestra ha chiuso sulla leghista Mariella Ventura Sarno (rentreé al Csm per il Carroccio) e sugli altri quattro candidati: oltre a Marini, è certo il deputato finiano e avvocato Nino Lo Presti. Entra il docente di diritto penale Vincenzo Scordamaglia, docente di diritto penale a Roma. E poi un'altra rentrée, quella di Antonio Marotta, avvocato di Salerno, ex Udc passato con Berlusconi quando Casini lo abbandonò, oggi al ministero della Giustizia come vice dell'organizzazione giudiziaria. L'unica sorpresa potrebbe riservarla Berlusconi se, all'ultimo momento, volesse inserire un nuovo nome, come quello di Lorenzo D'Avack, professore di filosofia del diritto a Roma. Ma comunque il partito di chi, tra i berluscones, voleva a tutti i costi lo scontro con Napolitano sui tempi e il rinvio a settembre è stato sconfitto.

(28 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/28/news/saltano_i_veti_incrociati_tra_i_poli_l_udc_vietti_verso_la_vice-presidenza-5881247/?ref=HREC1-3


Titolo: LIANA MILELLA Intercettazioni, il Pdl in aula chiede il ritiro
Inserito da: Admin - Luglio 31, 2010, 05:09:06 pm
LEGGE BAVAGLIO

Intercettazioni, il Pdl in aula chiede il ritiro

Il partito del premier: "Subito il processo breve"

di LIANA MILELLA


ROMA - In aula alla Camera fanno il funerale alle intercettazioni, ma vogliono far risorgere il processo breve. Con l'unico obiettivo di salvare Berlusconi dalle tre inchieste milanesi (Mills, Mediaset, Mediatrade) oggi congelate grazie al legittimo impedimento, che però in autunno potrebbe essere azzoppato, se non addirittura cancellato, dalla Consulta. Due mosse in contemporanea. La prima, in ordine di tempo, riguarda il processo breve, perché alle 8 e 45, in commissione Giustizia, il capogruppo Pdl Enrico Costa, un fedelissimo di Niccolò Ghedini, chiede che quel ddl votato al Senato il 21 gennaio e poi "dimenticato", torni in auge. Alla presidente, la finiana Giulia Bongiorno, chiede di fissare il termine per gli emendamenti. Protesta la pd Donatella Ferranti, ma la mossa di Costa, direttamente pilotata dal Cavaliere, significa molto. Nel nuovo clima politico, la speranza di approvare il lodo Alfano costituzionale si riduce al lumicino, e Berlusconi deve trovare una via sicura per fermare i suoi guai giudiziari. Gli step del processo breve, tre anni per il primo grado, due per il secondo, uno e mezzo per la Cassazione, sono perfetti, proprio come li aveva studiati Ghedini.

Le intercettazioni non servono più a niente. Solo per prendere tempo sui decreti e sulla mozione di sfiducia a Caliendo. Per questo s'avvia la discussione generale, ma i berlusconiani pigliano le distanze. Intanto fisicamente. Sparute le presenze, se ne va pure Costa che ha firmato le ultime modifiche scritte dal Guardasigilli Alfano. Chi resta chiede "il ritiro" della legge. Come fa Maurizio Bianconi perché le norme "non sono idonee a scongiurare le reiterate violazioni della privacy". Critiche dure da Francesco Paolo Sisto che parla di un testo "al di sotto delle aspettative della sua parte politica" e critica "le indebite ingerenze esercitate da determinate categorie".
C'è chi, nella frase, vede una critica al Quirinale.

E del Colle invece, in termini elogiativi, parla la Bongiorno, relatrice del ddl e fedelissima di Fini, che per un caso interviene in aula per la prima volta con il "sottopancia" sul nuovo gruppo Futuro e libertà per l'Italia, nato tre ore prima per bocca di Fini.
L'elogio a Napolitano si lega al cammino del ddl: "Il presidente ha definito il lungo iter come un percorso per approssimazioni successive.
Ha sottolineato che un tempo non breve e un percorso faticoso sono necessari quando si tratta di bilanciare tra loro valori e diritti, tutti egualmente riconosciuti dalla Costituzione, la sicurezza dei cittadini, il valore della libertà di stampa, il diritto dei cittadini a essere informati, quello al rispetto della riservatezza e della dignità delle persone".

Quello che per la Bongiorno è "un progressivo miglioramento", di cui elenca puntigliosamente i passaggi, per Berlusconi è un testo "massacrato", "il cavallo che esce ippopotamo". Se il Pd con la Ferranti ringrazia la Bongiorno per la mediazione e i risultati raggiunti, "anche grazie al nostro lavoro", nonostante i punti tuttora negativi (norma Falcone cancellata, stretta sui tabulati), per Berlusconi il risultato è da buttare. Per motivi opposti, è da cestinare anche per Antonio Di Pietro, che in aula definisce Berlusconi "la testa della piovra" e accusa Alfano, costretto a seguire in aula la discussione generale in assenza del suo sottosegretario Caliendo bloccato a piazzale Clodio per l'interrogatorio da indagato. Grida Di Pietro sul tetto massimo di spesa imposto alle procure sul "ascolti": "Porca miseria, stai intercettando Berlusconi? E io non ti do i soldi. Stai intercettando Dell'Utri? Non ti do i soldi".

Cos'è il ddl per l'ex pm di Milano? "Un atto di arroganza e di prepotenza che mi ricorda quel portavoce di Saddam Hussein che continuava a ripetere che andava tutto bene mentre tutto gli stava crollando intorno".

(31 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/31/news/pdl_aula-5971228/?ref=HREC1-5


Titolo: LIANA MILELLA Fini, giorni di tensione in famiglia
Inserito da: Admin - Agosto 09, 2010, 10:15:48 am
IL CASO

Fini, giorni di tensione in famiglia

E pressa il cognato: "Ora chiarisci"

La sorpresa del presidente della Camera per la vendita della casa a Montecarlo della quale lui era del tutto all'oscuro.

La collera verso Berlusconi. E l'ultimatum a Giancarlo Tulliani: "Adesso torni e mi spieghi che cosa hai combinato"

di LIANA MILELLA


LA TEMPESTA familiare. L'arrabbiatura con il cognato Giancarlo. Le telefonate drammatiche con lui e l'ultimatum: "Adesso torni e mi spieghi cos'hai combinato". La sorpresa per una vendita di cui lui, Fini, era del tutto all'oscuro. Ma assieme la collera verso Berlusconi 1, il "mandante di un vergognoso attacco sui giornali". Si trasforma in un incubo la domenica al mare del presidente della Camera. Che a un'uscita pubblica forte pensava da giorni. Per spezzare quella che, con i suoi, chiama "la montatura". Del Cavaliere, ovviamente. "Una campagna mediatica messa su ad arte, con la totale compiacenza dei suoi giornali, studiata a tavolino dopo avermi ingiustamente cacciato dal Pdl".

A frenarlo era stata la voglia "di non dargli soddisfazione", di non seguirlo sul piano "di un'evidente strumentalizzazione in cui si vuole gettare fumo negli occhi alla gente ed equiparare un episodio di corruzione e di uso spregiudicato e distorto dei soldi pubblici, con un affare come quello di Montecarlo che riguarda solo il patrimonio di un partito e quindi è del tutto privato". Scajola come Fini? "Non scherziamo" è la sua reazione indignata. Non solo. A far esitare Fini è stata anche la delicata situazione familiare. L'hanno sentito dire: "Per la seconda volta nella mia vita hanno usato la mia buona fede". E poi contro il cognato: "Mi ha preso in giro". Il neo leader di Futuro e libertà per l'Italia ha atteso qualche giorno ben sapendo che un suo intervento sarebbe stato letto come una presa di distanza da Tulliani.

Ma quando Fini, per l'ennesima mattina, legge altri titoli dei giornali sulla casa di Montecarlo, decide che è tempo di mettere in chiaro come stanno le cose. Avverte il portavoce Fabrizio Alfano che a breve avrà pronta una nota 2. Poi, come riferisce chi gli ha parlato, si chiude in conclave con Giulia Bongiorno, l'amica e consigliera dei momenti difficili, l'unica che, anche in passato come questa volta, gli è stata accanto nei passaggi più delicati della sua vita privata. E questo, per via del ruolo svolto dal cognato, è uno di quei frangenti, anche se lui ci tiene a tener fuori la compagna Elisabetta, perché "è tutta colpa del fratello".

Con cui, negli ultimi giorni, ci sono state telefonate drammatiche e burrascose. Con Fini che gridava: "Ma che operazione avete fatto? Che c'entra questa società off shore? E perché adesso sei tu l'affittuario?". Quesiti che tra 20 giorni, quando Tulliani tornerà in Italia, troveranno una risposta. Ma che, al momento, destabilizzano la pace familiare e le vacanze. Anche se il presidente ha una certezza: "Io sono fuori da tutto. E nessuno di quelli di An ha mai avuto da ridire". Anche perché, ribadisce, "questa è una vendita del tutto privata". Non c'è sperpero o malversazione del denaro pubblico, ma semmai una lite sul patrimonio di un partito, come ci fu nella Dc.
Quindi l'attacco mediatico resta tutto. Fini non ha dubbi sui "mandanti" politici. E sa che sta pagando la campagna sulla giustizia fatta negli ultimi due anni. "Berlusconi non mi perdona di essere andato controcorrente sulle leggi che avrebbe voluto imporre, questo è il mio "capo di imputazione"".

Intercettazioni, processo breve, blocca processi, provvedimenti stoppati o profondamente modificati grazie alle insistenze dei finiani. Gli torna in mente la frase circolata con insistenza in Transatlantico nell'ultima settimana durante i momenti caldi del caso Caliendo, chiaramente rivolta verso di lui, e che gli hanno riferito. Suonava così: "Chi di giustizia ferisce, di giustizia perisce". E poi un'altra frase inquietante contenuta nell'ultima intervista di Angelino Alfano, quando il Guardasigilli avverte: "Chi si autoproclama un puro corre il pericolo di trovare uno più puro di lui che lo epura". Una sorta di minaccia, e neppure tanto velata.

Qui matura la lunga nota. Che ai suoi spiega così: "Ho voluto chiudere subito un caso che non esiste, nel quale io non entro per nulla, che non cambia minimamente la mia prospettiva politica". Poteva tacere finché ad attaccarlo erano i giornali di casa Berlusconi, ma quando il caso si è allargato a tutta la stampa, allora l'esigenza di mettere un punto fermo è diventata inderogabile. Non solo per tutelare la sua onorabilità, ma anche il ruolo che ricopre. E dal quale Berlusconi cerca di sbalzarlo con ogni mezzo. È questo che, al contempo, lo stupisce e lo indigna. Ed è questo che, con il suo scritto, ha voluto contrastare. Il tentativo di costringerlo alle dimissioni è evidente, ma alle alchimie lui ha deciso di rispondere con i fatti che elenca uno dopo l'altro. E su cui per certo non ha alcuna intenzione di ostacolare i magistrati. Tutt'altro. Perché, come spiega per tutto il giorno, "io voglio continuare a fare le mie battaglie per la legalità e non saranno di certo le oscure manovre di Berlusconi a potermi fermare".

(09 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/09/news/fini_montecarlo_fratello-6163753/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Per salvare il Lodo 5 milioni di cause a rischio
Inserito da: Admin - Agosto 23, 2010, 05:54:40 pm
GIUSTIZIA

Per salvare il Lodo 5 milioni di cause a rischio

Così il Cavaliere vuol evitare il pagamento del risarcimento Mondadori.

Finiani e opposizione in allerta per sventare il colpo di spugna sui 750 milioni

di LIANA MILELLA



ROMA - Mandare al macero, o quantomeno compromettere pesantemente il corso, di 5 milioni di cause civili pendenti, pur di cambiare il destino dell'unica che gli interessa. La sua. Quella sul lodo Mondadori che, se venisse confermata la sentenza di primo grado del giudice Raimondo Mesiano, costerebbe alla Fininvest 750 milioni di euro da versare alla Cir di Carlo De Benedetti. Non si smentisce mai Silvio Berlusconi. Il metodo delle leggi ad personam e ad aziendam è sempre lo stesso. Storia lunghissima, Cirami, Cirielli, rogatorie, falso in bilancio, blocca processi, processo breve, lodo Schifani, lodo Alfano, già una norma per il caso fiscale della stessa Mondadori. Solo per citare le più note.

E le prime indiscrezioni sul suo progetto, annunciato venerdì a palazzo Grazioli durante la conferenza stampa post vertice, per "un piano straordinario per il rapido smaltimento delle cause civili pendenti", svela subito il suo interesse recondito. Poiché per i processi civili non c'è amnistia che tenga, allora la strategia del colpo di spugna deve camminare per altre vie e ammantarsi di una fittizia regolarità. Ma i finiani all'interno della maggioranza, e le opposizioni, sono già in allerta, pronti a sventare il nuovo tentativo.

Dice il Cavaliere che i processi civili "sono talmente lenti e inefficienti da rappresentare un ostacolo insormontabile per chi voglia investire in Italia". Che farne dunque? Toglierli di mezzo al più presto. Soprattutto se l'urgenza del caso specifico, la Mondadori in specie, va affrontata al più presto visto che il processo è già in secondo grado. Tant'è che il Guardasigilli Angelino Alfano ci aveva già provato a luglio, addirittura per decreto legge. Con il solito sistema di piazzare un emendamento del tutto estraneo per materia in un decreto già in dirittura d'arrivo e tale da dover essere convertito per assoluta necessità.

Niente di meglio che quello sulla manovra economica in cui, al Senato, il governo ha tentato di infilare una paginetta che riscriveva le regole per i processi civili pendenti. Due trucchi e il dibattimento si blocca: la sospensione di sei mesi e una nuova figura, quella dell'ausiliario del giudice, che a bocce ferme studia e propone una soluzione nel merito. Le parti possono accoglierla, l'ausiliario si becca un bel gruzzolo, la causa è finita. Oppure, se i contendenti non sono d'accordo, si va alla sentenza per le vie regolari, ma sul perdente pesa la minaccia di doversi accollare tutte le spese per aver rifiutato la "via breve".

Chi, in questi ultimi giorni, è stato in contratto con Alfano e con Berlusconi conferma che il progetto è rimasto lo stesso. Prima la sospensione, articolata in due fasi, due-tre mesi per prendere la decisione se seguire oppure no la strada alternativa a quella tradizionale, poi altri sei mesi per permettere all'ausiliario di costruire una soluzione processuale. Poi la decisione delle parti e l'opzione tra l'assenso alla mediazione o il rifiuto con quello che, in quelle condizioni, può comportare economicamente il rischio del dibattimento tradizionale. A luglio, a fermare il governo, fu la levata di scudi dell'opposizione, Pd e Idv, che gridò "alla giustizia svenduta e data in appalto a figure estranee come quella dell'ausiliario".

Non un magistrato di carriera dunque, ma avvocati, notai, avvocati dello Stato, docenti o ricercatori universitari, anche magistrati in pensione, che pigliano in carico un processo con l'obiettivo di chiuderlo. E sono ben pagati solo se azzeccano la soluzione, altrimenti incassano una sorta di risarcimento al lavoro fatto. Una figura "incostituzionale" dissero le due capogruppo del Pd al Senato Silvia Della Monica e alla Camera Donatella Ferranti. Aggiunse la della Monica: "Si creano i presupposti perché possa essere presentata un'istanza dalla Fininvest per ottenere un ulteriore rinvio del processo per un periodo di sei mesi per esperire una procedura di mediazione". E proprio la mediazione, ribadisce tuttora la Ferranti, "è procedura anomala perché rappresenta una prima fase del processo, e non può intervenire in una seconda, a partita già iniziata".

La Fininvest, a luglio, ha assicurato che, anche se fosse stata approvata, non avrebbe usufruito della riforma. Ma la fretta di allora resta sospetta e l'obiettivo di affidare a un esercito di ausiliari cinque milioni di processi civili altrettanto. In barba, come sostiene il Pd, "a qualsiasi risparmio e alla logica che vorrebbe veder semplicemente potenziato l'organico della magistratura ordinaria". Ma si sa, i giudici, come dice Berlusconi, "sono tutti comunisti". 

(23 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/23/news/lodo_cause_rischio-6442730/?ref=HREC1-1


Titolo: LIANA MILELLA Gustavo Zagrebelsky spiega l'appello di LIbertà e Giustizia
Inserito da: Admin - Settembre 08, 2010, 09:13:13 am
L'INTERVISTA

"Grazie al Porcellum è oligarchia cancelliamo questa aberrazione"

L'ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky spiega  l'appello di LIbertà e Giustizia: serve un movimento trasversale. "Leggi simili esistono solo nelle dittature di partito. E infatti il presidente del Consiglio può promettere candidature in cambio della fedeltà al Pdl"

di LIANA MILELLA


ROMA - Il calderoliano Porcellum "rovescia la democrazia in oligarchia". Dunque va messo da parte prima di un nuovo voto. "Basta una leggina fatta di due frasi: "È abrogato il Porcellum ed è riportato in vigore il Mattarellum"". Perché, ragiona l'ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky, altrimenti l'attuale legge elettorale continuerà a "ferire la Costituzione" e ad espropriare i cittadini del loro diritto di scegliere da chi essere rappresentati. Per salvare "quella piccola cosa che è la democrazia" si mobilita 1 l'associazione Libertà e Giustizia.

Ironizza Ellekappa, nella vignetta che campeggia sul sito: "Siamo seri, non si può andare a votare con una legge elettorale che grugnisce". Ci spiega il perché dell'iniziativa?
"Non si è mai vista in democrazia una legge elettorale in cui gli elettori non possano scegliere i propri rappresentanti, ma siano semplicemente chiamati ad "abboccare" alle designazioni fatte dalle segreterie dei partiti. Leggi di questo genere esistono solo nelle dittature di partito. Se questa non è un'aberrazione, non so cos'altro potrebbe essere".

Una legge che delega alle segreterie dei partiti, a solo cinque uomini in Italia come dice Fini, la nomina di mille parlamentari, espropria i cittadini del diritto di indicare i propri rappresentanti?
"Certamente. Ma non solo. Rovescia la democrazia in oligarchia. Che cos'è l'oligarchia se non il regime in cui i pochi che stanno in alto chiamano a sé e cooptano i propri uomini di fiducia? La democrazia non richiederebbe che i rappresentanti in Parlamento siano invece uomini di fiducia dei cittadini?".

Ma quando la legge Calderoli fu votata si disse che serviva per evitare campagne elettorali costose e per bloccare le interferenze di lobby criminali sulla scelta di deputati e senatori. Questi argomenti le paiono validi?
"Sono funzionali a un sistema oligarchico, non democratico. Potrebbero essere presi sul serio se si potesse dimostrare che l'attuale illimitato potere delle segreterie dei partiti di scegliere i candidati sia stato usato per selezionare una classe dirigente di persone oneste e competenti, degne di ricoprire la funzione parlamentare. Non generalizziamo, ma possiamo dire che effettivamente sia accaduto così? Ovvio che i problemi esistono, ma devono essere risolti diversamente, per esempio stabilendo limiti rigorosi alle spese elettorali e regole di trasparenza sui finanziamenti. La penetrazione di interessi criminali nella politica, poi, può essere addirittura facilitata dalla gestione oligarchica delle candidature".

A questa legge si può imputare la "colpa" di aver acuito la distanza tra cittadini e politica e di aver favorito l'astensionismo?
"Sì. Una legge come quella attuale è la dimostrazione che la classe dirigente vuole proteggersi dall'ingresso sulla scena della politica della cosiddetta società civile. Chiariamoci il concetto. Società civile non sono i salotti, le lobby, i gruppi organizzati per interessi settoriali. La società civile è l'insieme dei gruppi, delle associazioni, di coloro che liberamente, come ad esempio nel grande mondo del volontariato, dedicano gratuitamente passione ed energie al bene comune. Costoro chiedono giustamente "rappresentanza", ma la legge attuale li allontana dalla presenza in politica".

In un meccanismo come quello inventato nel 2005 lei individua un vulnus costituzionale?
"Sì. Nel solo fatto che, come giustamente si dice, deputati e senatori siano designati dall'alto e non eletti dai cittadini, c'è una violazione della sovranità popolare (articolo 1 della Costituzione). In più, il sistema attuale fa dei parlamentari degli agenti dei capi di partito che li hanno messi in lista, e non i rappresentanti della nazione come dovrebbe essere, secondo l'articolo 67 della Costituzione. Infine, un Parlamento così fatto è totalmente privo di autonomia e di autorevolezza rispetto a coloro che ve li hanno messi. Ciò che è accaduto in questi giorni, quando il presidente del Consiglio promette candidature in cambio di adesioni al Pdl, non dimostra forse, nel modo più chiaro, che i posti in Parlamento sono considerati proprietà di chi comanda, il quale li può distribuire come vuole?".

Libertà e Giustizia si mobilita "per restituire ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento". Com'è nata l'idea?
"È nata per tutte le ragioni dette finora. È una mobilitazione per la democrazia. La speranza è creare un movimento trasversale e corale tra tutti coloro che hanno a cuore questa piccola cosa che è la democrazia. Non abbiamo nessuna idea, né ci preoccupa averla, su chi potrebbe avvantaggiarsi e chi invece sarebbe danneggiato dall'abrogazione della legge elettorale vigente. In gioco c'è ben altro che il successo di questo o quel partito. C'è la difesa della democrazia".

Ogni volta che si ragiona di riforma del sistema elettorale si apre una contesa tra sostenitori di diverse soluzioni, quella tedesca, francese, spagnola o inglese. Un guazzabuglio dal quale non si esce mai. Lei cosa suggerirebbe per arrivare almeno a un compromesso decente?
"La situazione attuale è di emergenza. Giustizia e Libertà ha lanciato tempo fa questo slogan: "Mai più al voto con questa legge elettorale". Ogni altra soluzione sarebbe migliore. Tuttavia, se ciascuna forza politica interessata alla riforma elettorale si muoverà per conto proprio secondo la sua strategia politica, il risultato sarà inevitabilmente l'impasse, e ci terremo la legge che si dice di voler cambiare".

E invece c'è una via d'uscita?
"Il suggerimento minimalista è di rivolgersi indietro alla legge precedente, il cosiddetto Mattarellum. Era una legge criticabile, ma certamente rappresenterebbe oggi il meno peggio. Sarebbe già qualcosa di importante. Si trattava di un compromesso tra logica maggioritaria e logica proporzionalistica che potrebbe soddisfare, almeno parzialmente, tutti quanti. Poi, se i tempi lo consentiranno, si potrà lavorare fuori dell'emergenza, per un nuovo sistema elettorale. Per raggiungere questo risultato, al quale le Camere prima dello scioglimento dovrebbero dedicarsi, basterebbe una leggina fatta di due frasi: "È abrogato il Porcellum ed è riportato in vigore il Mattarellum"".

(08 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/08/news/zagrebelsky_porcellum-6851510/?ref=HREC1-6


Titolo: LIANA MILELLA La tentazione del Cavaliere lo scambio fra lodo e Mattarellum
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2010, 05:40:32 pm
LEGGE ELETTORALE

La tentazione del Cavaliere lo scambio fra lodo e Mattarellum

Berlusconi potrebbe tornare al Mattarellum solo se il Pd accetta di votare il lodo Alfano in veste costituzionale.

Otterrebbe i due terzi, eviterebbe il referendum e bloccherebbe al più presto tutti i suoi processi milanesi

di LIANA MILELLA


A MARE il Porcellum, pur di salvare se stesso. Il ritorno al Mattarellum, ma solo se il Pd accetta di votare il lodo Alfano in veste costituzionale, in modo da ottenere i due terzi, evitare il referendum e bloccare al più presto - aprile calcolano gli uomini di Berlusconi - tutti i suoi processi milanesi. Stavolta definitivamente. Senza più patemi. Tranquillo fino allo scadere della legislatura. È questa la tela segreta, il grande scambio tra scudo e legge elettorale, che in queste ore sta tessendo palazzo Chigi. Nella quale l'atteggiamento e la posizione di Fini rivestono, per il Cavaliere, un ruolo fondamentale. Un suo sì, "ma pieno, rotondo e senza scherzi", allo scudo rappresenta un primo passo essenziale. Perché, ragiona il premier con il Guardasigilli Angelino Alfano, "dell'intesa sul lodo dobbiamo essere sicuri al cento per cento, altrimenti è meglio che io faccia saltare tutto adesso per votare in primavera".

Il Porcellum, la legge "porcata" come la battezzò il leghista Calderoli, gli ha regalato il potere assoluto di mettere in lista chi gli pare e consegnarlo come un pacco regalo agli italiani, ma Berlusconi è deciso a buttarla via tentando uno scambio con il Pd. Che sfrutta un dato di fatto, la voglia profonda dei Democratici di tornare al sistema inventato dall'ex ministro Sergio Mattarella. Come dimostra la notizia che i pd Arturo Parisi e Stefano Ceccanti ieri si vantavano di aver già raccolto 187 firme, 80 senatori e 107 deputati, per sostenere quella "semplice legge" ipotizzata dall'ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky e una legislatura fa depositata dall'ex pm Felice Casson. Due righe, "è abrogato il Porcellum, si torna al Mattarellum". Sui mal di pancia del Pd punta Berlusconi, convinto, mentre ne ragiona con i suoi, che lo scambio tra lodo Alfano e abolizione del Porcellum non sia affatto un sogno impossibile.

A chi, delegato a svolgere il ruolo di ambasciatore, gli obietta che "mai e poi mai i Democratici voterebbero per una legge che considerano ad personam", lui fornisce l'argomento utile da spendere: "Ditegli che solo così potranno cambiarla, altrimenti si torna a votare con quella". Fa di conto, il Cavaliere. Dà per scontata l'adesione dell'Udc e comincia a convincersi che anche Fini sullo scudo stia facendo sul serio. Al presidente della Camera, che già quest'estate si interrogava su quale potesse essere la via d'uscita per risolvere i problemi giudiziari del premier e chiedeva consigli, in quel di Ansedonia, alla sua consigliera per la giustizia Giulia Bongiorno, lei aveva risposto che l'unica via, la più "pulita", era quella della sospensione dei processi per la durata del mandato, ma da perseguire con legge costituzionale. Fini dunque non gioca, e ieri Italo Bocchino lo ha confermato ad Angelino Alfano.

Incontro casuale, si dice. Due padri che portano a scuola, per l'inizio dell'anno, la figlia e il figlio. Guarda caso pure nella stessa classe. Poi una merenda, tra scorte e telecamere, al bar Ruschena, lungotevere all'angolo della Cassazione. Un'ora e più di colloquio. Su Repubblica la notizia che Fini dà mandato alla Bongiorno di dare il via libera all'accelerazione del lodo. Bocchino conferma che il suo capo fa sul serio. Quella "è una strada che rispetta le regole, non scassa il sistema, riguarda solo un processo e non ne manda a capofitto centinaia come il processo breve".

E allora non resta che far di conto. Verificare i tempi. Incrociare il progetto con la decisione della Consulta sul legittimo impedimento (il 14 dicembre). L'ipotesi di cambiare quella legge, su cui pure Alfano ha ragionato, non pare spendibile. Una versione che la attenuasse, ha spiegato l'avvocato del premier Niccolò Ghedini, danneggerebbe soltanto il suo assistito. La tattica decisa è un'altra. Che i berluscones spiegano così: "Metteremo la Corte di fronte al fatto compiuto che il Parlamento sta approvando a tappe forzate la legge costituzionale, per cui la legge ponte, il legittimo impedimento, è comunque destinata a scomparire". Per questo contano i tempi, cui è delegato a lavorare Carlo Vizzini, il presidente della commissione Affari costituzionali e relatore del lodo. Che ieri ha sottoposto al capogruppo pdl Maurizio Gasparri l'ipotesi di un incontro congiunto tra Camera e Senato per verificare la stesura di un testo definitivo.

Su questo si gioca la corsa a tappe forzate. Sì rapido al Senato, aula ad inizio ottobre, entro dicembre il secondo voto alla Camera. Tre mesi obbligatori di attesa. Poi la terza e quarta lettura. Legge pronta ad aprile. E qui, calcola Vizzini, "dovrebbero essere necessari 190, al massimo 200 giorni, per andare al referendum, qualora fosse necessario". Ma Berlusconi lavora per evitarlo mettendosi d'accordo col Pd. Se non ci riuscisse ecco il referendum in autunno, che lui considera già vinto visto che spenderà la sua faccia. A quel punto starà per scadere il legittimo impedimento. Ma a vederlo da fuori è un puzzle con molti, troppi incastri.

(14 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/14/news/berlusconi_porcellum-7049795/


Titolo: LIANA MILELLA L'ira di Fini: "Il mandante è Silvio sta falsificando di tutto"
Inserito da: Admin - Settembre 23, 2010, 05:08:01 pm
IL RETROSCENA

L'ira di Fini: "Il mandante è Silvio sta falsificando di tutto"

In una riunione con Bocchino e la Bongiorno la scelta di interrompere le trattative sul Lodo.

Sui giornali del premier: documenti fasulli.

Il ministro Alfano ha chiesto ai finiani se fosse possibile continuare a discutere

di LIANA MILELLA


Di una cosa è convinto Gianfranco Fini. Ormai senza alcuna ombra di dubbio. E per questo, quasi a scandire la giornata, ha continuato a ripeterla. "Il mandante di quello che il Giornale pubblica è solo ed unicamente Berlusconi. È inutile che dica o faccia finta di non esserlo. Io so che è così". Una certezza che ha reso la sua collera profonda, la sua indignazione grande "per quel documento falso" sparato in prima pagina, la sua reazione politica inevitabile. "Io da tempo sono convinto che con questi qui non si può più trattare". Il Giornale aperto sulla scrivania, col titolo che troneggia "Fini non ha detto la verità". E lui scuote la testa e dice: "Quello che abbiamo sotto gli occhi è la prova che dobbiamo fermare tutto". La conseguenza è scontata. Sta tutta nelle parole gravi che il presidente della Camera pronuncia mentre è a colloquio con il capogruppo di Futuro e libertà Italo Bocchino e con la responsabile Giustizia e suo avvocato Giulia Bongiorno. Sono quasi le 14 e una nuova pagina del lungo e tormentato divorzio da Berlusconi si consuma: "Lui punta scientificamente a distruggermi. Lo pianifica. Ma io a questo punto blocco ogni trattativa. Sulla giustizia si deve fermare ogni passo. Il mio è un punto d'onore perché non mi faccio impallinare da lui così, su una ricostruzione del tutto falsa". La sua collera diventa pubblica, ma dal quartiere berlusconiano non giunge neppure un minimo tentativo di ricucitura, né una possibile spiegazione. Non chiama neppure l'abituale colomba Gianni Letta.

Era cominciato il giorno prima il tam tam dello nuovo scoop di Feltri. Era arrivata all'orecchio di Fini proprio con il racconto di un Berlusconi che se ne vantava parlandone con i suoi. "Lo fottiamo un'altra volta" andava dicendo il Cavaliere. Pronto a liquidare chi gli raccomandava prudenza in vista del voto su Cosentino: "Ma che c'importa dei loro voti, tanto abbiamo i nostri". Questo indigna il leader di Fli, la fredda premeditazione. La costruzione a tavolino di un documento che, nella migliore delle ipotesi, e secondo la lettura dei finiani, è falso nella firma, nella peggiore è un falso integrale. Per questo, con Bocchino e la Bongiorno, fa ulteriori verifiche sulla possibile origine. E parla con il cognato Gianfranco Tulliani, dal quale ottiene una nuova conferma che no, non è lui il titolare di quelle società. E dunque Fini può dire tranquillo: "Avete visto? Questa prova è come quella di qualche giorno fa sulle firme uguali di Tulliani sotto i contratti. Un altro falso, perché le firme invece sono differenti".
Si può trattare sulla giustizia, lavorare a uno scudo per mettere in sicurezza il premier, mentre nell'ombra, proprio quello stesso premier, manovra per far cadere il suo interlocutore? "No, non è possibile" decide Fini. Se Berlusconi crea un clima "da piano Solo" allora tutto si ferma. Salta l'appuntamento fissato per le 16 tra la Bongiorno e Niccolò Ghedini. L'avevano preso davanti alla buvette all'una. Fini ordina di cancellarlo un'ora dopo. La Bongiorno chiama Ghedini: "Mi dispiace, ma non ci vediamo più, la trattativa è chiusa".

Ghedini corre da Berlusconi dove lo raggiunge il Guardasigilli Angelino Alfano. Che tenta di mediare con Bocchino: "Che facciamo col lodo?" gli chiede al telefono. E Bocchino reagisce freddamente: "E a me lo chiedi? Devi chiederlo al tuo capo. Noi nel merito siamo d'accordo, ma voi state ponendo le condizioni per la definitiva rottura. A questo punto noi non scriviamo più il lodo con voi, fatelo da soli, presentatelo, e noi lo esamineremo in piena libertà. Ma, come per tutte le altre leggi costituzionali, anche per questa ti ricordo che ci vorranno sei o sette mesi solo per la prima lettura". Peggio non poteva sentire il ministro della Giustizia che invece, nei suoi colloqui con il premier, aveva disegnato una road map ben più celere, un anno fino alla definitiva pubblicazione.
Ma, come dirà lo stesso Bocchino alla pattuglia di Fli riunita per tutto il pomeriggio, "ormai la guerra con Berlusconi è totale, noi il 29 settembre voteremo solo il suo documento, ma poi su tutto il resto non ci saranno trattative, ognuno per la sua strada".

Come per la commissione Giustizia, dove Fini sventa un altro "falso", il tentativo di impallinare la Bongiorno. Un altro tassello della strategia della disinformazione, l'insistenza nel ripetere che lei non è più la persona che Fini ha delegato a occuparsi di giustizia, che ora ci sono altri, da Moffa a Consolo, cui far riferimento. Tale è il battage che la notizia esce sui giornali, condita dal dettaglio che anche sul piano legale, per l'affare di Montecarlo, accanto all'avvocato che fu di Andreotti ci sarà anche Giuseppe Consolo. Nella giornata delle smentite furiose una è a tutela della Bongiorno, che non solo resta l'unico avvocato di Fini ("Non ho in animo di affiancarle alcuno"), ma è anche "l'unica candidata di Fli per la presidenza della commissione Giustizia". Lei resta con lui per tutto il pomeriggio, legge e rilegge l'articolo del Giornale, quello che Flavia Perina sul Secolo di oggi definisce "una surreale bufala", l'ultimo pezzo "di un'escalation velenosa finalizzata a cancellare il principale competitor dell'attuale presidente del Consiglio".

(23 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/23/news/berlusconi_mandante-7336821/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Ecco la riforma della giustizia "Più poteri al guardasigilli"
Inserito da: Admin - Ottobre 24, 2010, 03:34:10 pm
LA LEGGE

Ecco la riforma della giustizia "Più poteri al guardasigilli"

Csm a guida politica, assoluzioni inappellabili, polizia autonoma .

Il pm perde il controllo delle indagini a vantaggio degli investigatori.

Una normativa per assicurare parità assoluta tra pubblica accusa e difesa

di LIANA MILELLA


ROMA - Eccola, la legge di Angelino Alfano. La riforma costituzionale per cui il Guardasigilli sta spendendo incontri con le massime cariche dello Stato. Per ora è raccolta in tre fogli, quelli che il ministro della Giustizia ha mostrato, anche con modifiche in progress, a Napolitano, a Fini e Schifani, a Vietti. Le massime cariche dunque, capo dello Stato, presidenti di Camera e Senato, vice presidente del Csm. Sotto la dicitura in grassetto "riforma costituzionale della giustizia" ci sono una dozzina di capitoli, con il reiterato e insistito riferimento alla Bicamerale di D'Alema, alla famosa bozza Boato, quasi a voler dire che anche la sinistra voleva questo ridimensionamento dei giudici che ora Berlusconi vuole realizzare. Una rivoluzione in negativo per la magistratura. Riassumibile in pochi concetti: le toghe divise, il pm privato della polizia e dell'obbligatorietà, perfino eletto dal popolo, il Csm depotenziato e messo nelle mani della politica, il Guardasigilli rafforzato e con ampi poteri. Scorriamo la bozza di Alfano per scoprire come vuole riscrivere il titolo quarto della Costituzione che non si chiamerà più "la magistratura", ma "la giustizia". Perché, dice il ministro, "le norme riguardano non solo l'ordine giudiziario, inteso come corporazione, ma un bene essenziale per la vita dei cittadini e per la nazione". Per il bene di entrambi cade la mannaia sulla magistratura.

Le carriere. Saranno separate. Ma non solo. "La posizione costituzionale del giudice è differenziata da quella del pm: il primo è definito come un "potere" dello Stato; il secondo come un ufficio regolato dalle leggi dell'ordinamento giudiziario". E qui arrivano i dolori. Primo limite: "l'ufficio del pm resta titolare dell'azione penale, ma dovrà esercitarla secondo le priorità indicate dalla legge". Secondo limite: "Anche la disponibilità della polizia giudiziaria sarà rimessa alle modalità stabilite dalla legge". È la norma manifesto messa in Costituzione che sarà poi declinata da una ordinaria con cui si sgancia la polizia dal pm, la si mette in condizione di fare quello che vuole, senza più né direzione né obblighi né controlli. Alfano lo motiva così: "Ciò assicurerà di non disperdere le indagini, l'efficienza della politica criminale, il rispetto delle priorità nel trattare gli affari penali, rafforzerà il principio di responsabilità nell'uso dei poteri di indagine". È la fine del pm autonomo e indipendente.

I Csm. Saranno due, ma conteranno molto meno dell'uno di adesso. Ridotti a ruolo burocratico e amministrativo. Li presiederà il capo dello Stato. Componenti eletti per un terzo, o per metà, dalle toghe, per il resto dalle Camere. Addio agli equilibri di oggi a favore dei giudici. Che faranno? "Continueranno a occuparsi delle assunzioni, dei trasferimenti, delle promozioni". E "verrà affermata la natura amministrativa degli atti consiliari, il divieto di adottare atti di indirizzo politico e quello di esercitare attività diverse da quelle previste dalla Costituzione". Non basta. "Sarà regolamentata l'emanazione di pareri sui ddl, che i Consigli potranno esprimere solo quando ne venga fatta formale richiesta dal ministro della Giustizia". Il quale potrà pure prendere parte alle sedute e proporre questioni. Qual è la ragione del bavaglio al Csm? Per il Guardasigilli "si colma una lacuna obiettiva della Carta che, non indicando limiti, consente l'esercizio di ampie funzioni para normative e di indirizzo generale che assumono talvolta natura politica e determinano conflitti con gli altri poteri dello Stato". È l'accusa di essere una terza Camera. Il Csm perde anche la sezione disciplinare, che diventa un'Alta Corte per tutte le magistrature.

Il Guardasigilli. Alfano "si allarga". Il ministro "riferirà annualmente alle Camere sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale, sull'uso dei mezzi d'indagine". Al Csm "potrà presentare proposte e richieste". Verrà "costituzionalizzata la sua funzione ispettiva". "Concorrerà alla formazione dei giudici e dei pm". Un potere enorme, che ne farà il vero dominus e super controllore della magistratura. Sulla quale non solo incomberà la mannaia della responsabilità civile, ma anche il trasferimento obbligatorio.

"Leggine" nella Carta. Non possono che essere lette come anticipi di norme a favore del premier quella del ripristino della legge Pecorella, cassata dalla Consulta, per cui "in Costituzione sarà affermato il principio per cui contro le sentenze di condanna è sempre ammesso l'appello, mentre le sentenze di assoluzione possono essere appellate soltanto nei casi previsti dalla legge". E poi la regola della parità tra accusa e difesa nel processo, per cui "si sta studiando una legge per assicurare che l'ufficio del pm e del difensore siano messi in condizione di parità dinanzi al giudice in ogni fase del procedimento penale". È la base d'appoggio per un ddl, ribattezzato processo lungo, per garantire lo strapotere delle difese a discapito del giudice.

Pm eletti. Alla fine ecco pure "la partecipazione del popolo all'amministrazione della giustizia", per cui sarà prevista "la nomina elettiva di magistrati onorari per le funzioni di pm". È l'obolo pagato alla Lega. Ma tradisce la voglia di trasformare completamente la magistratura. 

(22 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/22/news/ecco_la_riforma_della_giustizia_pi_poteri_al_guardasigilli-8318377/


Titolo: LIANA MILELLA Adesso basta parlare di complotti e giudici comunisti
Inserito da: Admin - Gennaio 06, 2011, 05:38:49 pm
L'INTERVISTA

Bongiorno: "Giustizia maltrattata, ora il ministro cambi passo"

A Berlusconi interessa creare un sistema in cui i pm aspettano i giudici dietro la porta con il cappello in mano.

Adesso basta parlare di complotti e giudici comunisti

di LIANA MILELLA


ROMA - Potrebbe dire "io ve l'avevo detto". O ancora "è tempo che con Fini chiediamo più risorse". O constatare con amarezza che "nei tanti tavoli sulle leggi ad personam non ci si occupa della giustizia per i cittadini". Ma Giulia Bongiorno, la responsabile Giustizia di Fli eletta con consenso bipartisan al vertice della commissione Giustizia della Camera, va oltre. E, in aperta polemica col premier, dice: "Lui parla di complotti e giudici comunisti, anziché d'efficienza della giustizia".

Per Alfano l'allarme informatico è chiuso. L'Anm pensava già allo sciopero: preoccupazione esagerata?
"Il ministro dichiara che il problema è superato. Vedremo se la soluzione è definitiva. È impensabile tornare alla preistoria, con annotazioni su registri cartacei; anche perché manca il personale. Una delle cause della dilatazione dei tempi dei processi è che spesso, alle 14, bisogna sospendere le udienze perché mancano i fondi per gli straordinari. Senza personale e fondi per l'informatica, il rischio di paralisi è effettivo".

Il Guardasigilli butta la colpa su Tremonti che stringe troppo i cordoni della borsa. Da 85 milioni di euro nel 2008 ai 27 del 2011. Taglio giustificabile?
"Non ci si può accanire contro la giustizia. E invece la politica continua a maltrattarla, da diverse legislature. Il pensiero che si legge in filigrana è che quei tagli siano
indolori. Ogni tanto sento dire: "Al massimo si lamentano i magistrati". Ed è sbagliato".

Perché?
"Dal punto di vista politico, la giustizia non ha appeal. Non ci si rende conto che giustizia, economia e sicurezza sono vasi comunicanti: moltissimi investimenti non vengono fatti in Italia proprio perché l'imprenditore non si sente tutelato in caso di inadempimenti contrattuali. E non si percepisce che la giustizia rappresenta l'altra faccia della sicurezza: se non si celebrano i processi, i delinquenti restano impuniti e le sanzioni non vengono applicate; la sanzione è un deterrente e la mancanza di sanzioni si trasforma fatalmente in incentivo a delinquere".

Fini ha spesso chiesto più risorse. Cosa rispondeva Alfano?
"Ha sempre garantito il suo impegno. È indubbio che l'attuale situazione economica non lo agevola. Altrettanto indubbio è che il problema si è manifestato da prima di questa legislatura. Tuttavia, a questo punto, mi aspetterei da lui un colpo d'ala".

Ma nei tavoli sulle leggi ad personam l'emergenza di oggi era prevista o denunciata da qualcuno?
"In quei tavoli non si parla mai della giustizia in favore dei cittadini, ma di tutt'altro".

Ora c'è solo la lotta per la successione a Berlusconi tra Alfano e Tremonti o la giustizia sta a cuore a qualcuno?
"Io ho rapporti con Alfano e non con Tremonti, non ho elementi per fare un confronto. Ma c'è un dato oggettivo: non mi sembra che fino a oggi l'efficienza della giustizia sia stata una priorità assoluta di questo governo".

Dicono all'Anm che così Berlusconi blocca comunque le toghe senza la separazione delle carriere. Sospetto lecito?
"No, perché in certi casi la giustizia riesce a essere  -  a prescindere dal sistema  -  molto efficiente. Piuttosto, il punto è che per il premier la priorità è, come spesso ripete, creare un sistema in cui i pm aspettano i giudici dietro la porta con il cappello in mano, come gli avvocati. Per me, invece, la priorità è un sistema efficiente capace di evitare le attese tout court. Se si vuole riformare la giustizia bisogna prima farla funzionare".

Dal 2008 quanto tempo si è speso dietro intercettazioni, blocca-processi, processo breve e quanto nell'efficienza?
"La vera nota dolente è questa. Sia in commissione che fuori, si è data precedenza assoluta a questi ddl: credo che un ideale cronometro avrebbe registrato ben poco tempo dedicato ai temi che interessano la collettività. E questo spiega anche perché respingo l'accusa che mi viene mossa di aver fatto da freno alle riforme. Finora ho letto decine di testi su lodi, intercettazioni e processi brevi. Se, e quando, ci sarà una vera riforma nell'interesse del cittadino, sarò la prima ad applaudire Alfano".

E il complotto giudici-comunisti paventato dal Cavaliere?
"È la dimostrazione di quanto sostenevo. Si mettono al centro del dibattito complotti e giudici comunisti, anziché l'efficienza della giustizia: con il risultato di sottrarre attenzione, tempo ed energia alle questioni concrete e pressanti che riguardano tutta la comunità".

(06 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/06/news/bongiorno_troppe_leggi_ad_personam_ora_il_ministro_cambi_passo-10896066/


Titolo: LIANA MILELLA Il Popolo viola alle 17,30 "illumina" con una fiaccolata sotto...
Inserito da: Admin - Gennaio 10, 2011, 06:02:53 pm
IL PALAZZO

Il legittimo impedimento rischia lo stop Alla Consulta domani udienza pubblica

Berlusconiani divisi tra chi parla di mezza vittoria e chi di un Cavaliere in balia dei giudici.
Gli avvocati del premier cercano la mediazione.

Il Popolo viola alle 17,30 "illumina" con una fiaccolata sotto il palazzo la scelta dei giudici

di LIANA MILELLA


ROMA - Incostituzionale, o parzialmente incostituzionale, perché pone gli impegni del premier e dei ministri al di sopra di qualsiasi altro interesse garantito dalla Carta, compreso quello dei giudici a celebrare un processo. Incostituzionale, o parzialmente incostituzionale, perché lega le mani alle toghe e toglie loro il diritto di operare un bilanciamento tra le esigenze del processo e quelle della politica. Diritto che, proprio usando l'espressione "bilanciamento", la Corte aveva già individuato e delineato nel 2005 quando le capitò per le mani il caso di Cesare Previti, l'ex avvocato del premier entrato in rotta di collisione col gip milanese Alessandro Rossatto, per via delle presenze negate a un'infinita udienza preliminare adducendo i contemporanei "doveri" di Montecitorio.

Alla vigilia dell'udienza pubblica alla Consulta sul legittimo impedimento - domattina alle 9 e 30 al secondo piano del palazzo che fronteggia il Quirinale - queste sono le ultime indiscrezioni sul destino della legge. O bocciata del tutto. O bocciata in una sua parte fondamentale e sostanziale, quella che sta a cuore al Cavaliere, perché tiene congelati, dalla primavera del 2010, i processi Mills, Mediaset, Mediatrade. I 15 alti giudici rientrano oggi a Roma. E nel pomeriggio già si vedranno per una camera di consiglio ordinaria, nella quale leggeranno le sentenze scritte sui casi discussi prima di Natale. Non è prevista alcuna riunione ufficiale o incontro informale per parlare del legittimo impedimento.
Ma è questo, assieme ai referendum sull'acqua, sul nucleare e sulla stessa legge ponte al mai nato lodo Alfano costituzionale, l'argomento clou su cui riflettere. Se ne parlerà in conversari privati prima del dibattito pubblico con gli avvocati di domattina e prima, soprattutto, della decisione di giovedì. Ad accogliere i componenti della Corte ci sarà anche la sorpresa del Popolo viola che, dalle 17 e 30 di oggi, ha deciso di "illuminare" chi deve pronunciarsi sulla legge con un presidio a lume di candela. Gianfranco Mascia ha anche avviato sul suo blog una petizione di solidarietà.

Ma tra le alte toghe l'orientamento sembra ormai solidificarsi sempre più. La legge ideata dall'Udc, da Pier Ferdinando Casini e Michele Vietti (oggi vice presidente del Csm), per bloccare il ddl sul processo breve che, se approvato per fulminare quelli del premier, avrebbe comportato la moria di centinaia di processi, non ce la farà a ottenere il crisma di costituzionalità dalla Corte. Troppe, e troppo evidenti, le anomalie che determinano una manifesta sproporzione di trattamento tra il "cittadino" Berlusconi, pur in veste di premier, e tutti gli altri cittadini. Troppo smaccata l'impossibilità, di fatto, di celebrare i processi che si configura, a tutti gli effetti, come una vera e propria sospensione. Giusto quella "sospensione" che la medesima Consulta, vagliando e poi bocciando, il lodo Alfano nell'ottobre 2009, decise che si poteva fare sì, ma solo a patto di utilizzare una legge costituzionale. E il legittimo impedimento non lo è.

Appare fiacca, a detta dei giudici, l'argomentazione degli avvocati di Berlusconi, Niccolò Ghedini e Piero Longo, che insistono sul diritto del presidente del Consiglio, costituzionale anch'esso, di governare e quindi di non poter essere "angosciato" dalle udienze. Sarà pure, "ma è mai possibile che questo presidente non trovi neppure un minuto in un intero anno per fare il suo processo?". O non si è esagerato quando, nella stesura della legge, le Camere hanno previsto una copertura estesa, come un grande lenzuolo, su ogni possibile attività del premier, pure su quelle "preparatorie e consequenziali, e comunque coessenziali"?

Dalla Corte i boatos che paiono annunciare la bocciatura arrivano anche nel quartiere berlusconiano. Dove già ci si prepara a dividersi. Di più o di meno a seconda di quanto sarà pesante la stessa bocciatura. Se fosse totale, apparirebbe come una piena sconfitta dei due legali Ghedini e Longo che hanno dato il via libera al testo. Se lo stop fosse parziale - la legge resta in piedi, ma è ampliata la sindacabilità del giudice e ogni impedimento è valutato caso per caso - i due si appresterebbero a parlare di una mezza sconfitta. Che appare invece, ad altri piediellini, come un débacle totale in quanto il Cavaliere, essi dicono, tornerebbe ostaggio dei giudici. 

(10 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/10/news/il_legittimo_impedimento_rischia_lo_stop_alla_consulta_domani_udienza_pubblica-11033056/


Titolo: LIANA MILELLA. Il Cavaliere sfida Fini "Voglio vedere che fa"
Inserito da: Admin - Marzo 02, 2011, 06:39:50 pm
RETROSCENA

Il Cavaliere sfida Fini "Voglio vedere che fa"

"Se dice no dimostra il suo patto con le toghe".

Gelo del leader Fli: dovremo fare un'istruttoria molto attenta.

Futuro e Libertà pronto a dare battaglia: Pdl e Lega hanno prodotto un falso

di LIANA MILELLA


Il primo sgarbo a Fini lo hanno già fatto. Gli hanno fatto trovare sul tavolo la lettera per sollevare il conflitto senza un cenno d'avviso. Lo ha deciso il Cavaliere quando, dopo un lungo colloquio con Niccolò Ghedini, ha rotto gli indugi: "Voglio proprio vedere se avrà il coraggio di bloccarlo. Sarebbe la prova provata del suo legame con i magistrati. Sarebbe una follia". Poi, mettendo a tacere gli ultimi incerti: "Adesso andiamo avanti". "Questo atto non fermerà il processo, né la persecuzione giudiziaria contro di me. Ma almeno tutti sapranno che la maggioranza è ampiamente dalla mia parte e i giudici si renderanno conto che il dibattimento che cercano di concludere è completamente nullo sin dall'inizio".

È un Berlusconi disincantato, ma deciso alla decisiva resa dei conti con Fini quello che dà il via libera al conflitto. Ce l'aveva pronto sul tavolo da giorni e più d'uno aveva sentito Maurizio Paniz, il capogruppo Pdl nella giunta per le autorizzazioni, dire riservatamente ai suoi: "Io il mio "compito" l'ho scritto. Adesso la decisione è politica". Doppiamente politica. Come il premier ha analizzato ragionandone a lungo con i suoi collaboratori. Perché è il primo atto formale dello scontro con i giudici che a brevissimo esploderà con la riforma costituzionale della giustizia, le intercettazioni, il processo breve, la prescrizione accorciata. E perché, per la prassi che vige alla Camera, è soprattutto la prova di forza più dura con il presidente della Camera.

Che da giorni era in stato di allerta. Ma ieri, ancora un'ora prima che arrivasse la lettera dei capigruppo, non sapeva nulla ed era convinto di ricevere almeno un segno di cortese preallarme. Un cortese atto dovuto al primi inquilino di Montecitorio. Che invece è stato messo di fronte al fatto compiuto. La lettera. E pure la contemporanea dichiarazione del ministro degli Esteri Franco Frattini per "avvertirlo" che ha "il dovere istituzionale" di passare il conflitto all'aula.

Fini reagisce gelido. Da lui non trapela un fiato. Ma nel suo entourage, dove il caso del conflitto è stato studiato nei minimi dettagli, fanno subito notare che il quesito posto dai capigruppo, per come viene presentato, è di per sé anomalo. "Non ci sono precedenti specifici" e quindi "bisognerà condurre un'istruttoria molto attenta". Nulla di scontato quindi. I conflitto potrebbe "morire" ben prima di prendere la via della Consulta. Per certo "la decisione sarà presa alla luce dei regolamenti e sarà valutata e approfondita dall'ufficio di presidenza e dalla giunta per il regolamento". È il preannuncio di un conflitto per il conflitto. Un finiano come Nino Lo Presti, che fa parte della giunta per le autorizzazioni e ieri è stato visto salire e scendere più volte dallo studio di Fini, conferma la volontà di dare battaglia per una lettera che conterebbe anche "un vero e proprio falso" sulla telefonata del 27 maggio tra Berlusconi e il capo di gabinetto della questura di Milano, visto che "non di una mera richiesta di informazioni si trattava, ma d'insistenti pressioni per commettere un illecito".

Tutto questo Berlusconi lo ha messo nel conto. Ancora ieri ne ha parlato a lungo con Ghedini. I numeri, nell'ufficio di presidenza, non giocano a loro favore (oggi la maggioranza perde dieci a otto, senza contare Fini, undici a otto se dovesse entrare in tempo uno dei Responsabili). Fini potrebbe stoppare il conflitto come fosse un'anomalia e una forzatura nella prassi della Camera. Un ipotesi che ieri il Cavaliere ha giudicato "surreale" convinto com'è che "tutti i precedenti indicano il passaggio obbligato in aula". Qualora Fini dovesse opporsi, nel centrodestra già sostengono che l'aula potrebbe pretendere con un voto di esaminare lo stesso il conflitto. Un atto che, dice chi ha affrontato la questione con il premier, "è istituzionalmente corretto, fisiologico, indicato dalla stessa procura di Milano dopo il voto della camera sulla perquisizione a Spinelli, identico al conflitto per Abu Omar, per Matacena, per Matteoli". Un atto "normale" che, proprio per questo, "non può essere fermato, a patto che non ci sia un inaccettabile pregiudizio politico".

Lo scontro ci sarà, durissimo. Berlusconi lo ha messo nel conto. E vuole sfruttarlo per mettere in crisi il ruolo di Fini come presidente della Camera. Ma, nel merito del conflitto, come mossa per fermare i giudici, il premier è scettico. Innanzitutto, e lo ha detto ieri ai suoi, è convinto che la Consulta potrebbe anche respingerlo e dichiararlo inammissibile. Inoltre sa bene che il dibattimento si aprirà comunque il 6 aprile. Sa che Ghedini e Longo giocheranno anche lì la carta della competenza, ma sa che le udienze proseguiranno. Per questo, nel frattempo, vuole schiaffeggiare in magistrati e la Consulta con la riforma della giustizia che, "a tutti i costi", andrà in consiglio dei ministri la prossima settimana. Con le intercettazioni, per cui oggi la Consulta Pdl deciderà i prossimi passi e una discussione celere alla Camera. Con la prescrizione breve per gli incensurati che sarà presentata in tempi stretti al Senato.

(02 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica


Titolo: LIANA MILELLA Immunità a delinquere
Inserito da: Admin - Marzo 02, 2011, 06:48:12 pm
Liana MILELLA

Immunità “a delinquere

2
mar
2011

Silvio immune, sempre e comunque


É più di  un’immunità quella che Silvio Berlusconi chiede per sé in quanto premier e per qualsiasi ministro che venga inquisito dalla magistratura. I giuristi intorno al Cavaliere non solo vagheggiano, ma addirittura teorizzano che già esista, scritto in Costituzione e nella legge dell’89 che attua l’articolo 96 sulle prerogative per chi governa, un percorso alla fine del quale l’inchiesta non può andare avanti. Fulminata da un voto della Camera di appartenenza che pronuncia la magica parola: improcedibile.

Il meccanismo ipotizzato è perverso e ripristina un’immunità piena e totale, addirittura tombale, per chi siede a palazzo Chigi. Proviamo a raccontarla, per come la raccontano le teste d’uovo di Berlusconi. Se un ministro commette un reato, di qualunque natura esso sia, solo per il fatto di essere stato commesso da un membro dell’esecutivo, obbliga il pubblico ministero, come atto dovuto, a inviare le carte al tribunale dei ministri. Dice chi ogni giorno vede e ragiona con il premier: “Anche per sole 24 ore, ma questo è un passaggio obbligato, senza il quale il processo intero rischia la nullità”. A che serve il passaggio? A innescare la spirale dell’autorizzazione delle Camere. Non c’è via di scampo. Se il tribunale dei ministri, condotta la sua istruttoria, decide che il reato commesso è in effetti ministeriale, cioè compiuto dal soggetto-ministro in forza della sua carica, allora le Camere devono dare un’autorizzazione a procedere. Che, ovviamente, negheranno. Se il tribunale dovesse decidere all’opposto, che il delitto non è ministeriale, e quindi può procedere la magistratura ordinaria, comunque anche in questo passaggio le Camere debbono esprimersi sulla “ministerialità” del reato. In quel caso riconoscendola, e negando di nuovo l’autorizzazione a indagare con una delibera di non procedibilità.

Diabolico. Totalmente protettivo. Più di uno scudo. Il Parlamento veste i panni del giudice, della Cassazione, della Consulta.
Fa e disfa sulla natura dei reati. La certezza dell’impunità. Il percorso appena iniziato da Berlusconi alla Camera con il conflitto di attribuzioni alla Consulta per riconoscere la ministerialità del suo reato persegue solo quest’obiettivo. Comunque vada, alla fine della strada del caso Rubygate c’è una Camera dei deputati che DEVE decidere in una sola direzione. Questa: quando il premier ha chiamato la questura di Milano per ottenere la liberazione della sua “fidanzata” Ruby ha commesso un reato ministeriale perché la considerava nipote di Mubarak e voleva evitare un conflitto diplonatico. Se il reato è dunque ministeriale la Camera nega che si possa perseguire.

Punto. Chiuso. Fine.

   
Scritto mercoledì, 2 marzo 2011 alle 13:36
da - milella.blogautore.repubblica.it


Titolo: LIANA MILELLA I magistrati pronti alla rivolta "Serve uno sciopero immediato"
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2011, 11:39:04 pm
IL CASO

I magistrati pronti alla rivolta "Serve uno sciopero immediato"

Sulle mailing list delle toghe parte l'offensiva contro il governo. 

Il procuratore aggiunto di Milano Spataro: "Se vengono annunciate riforme epocali, occorrono risposte altrettanto epocali"

di LIANA MILELLA


ROMA - Assicurano che lo ufficializzeranno a tempo debito, ma già se lo dicono tra loro. Anche al vertice dell'Anm: "Se questi vanno avanti, altro che sciopero faremo". E la magica parola, sciopero, corre nelle mailing list delle toghe per un intero pomeriggio, rimpalla nelle telefonate, assieme all'ormai famoso, forse abusato, ma pur sempre valido slogan "se non ora, quando?". Per dirla con il pm di Milano Armando Spataro: "Se vengono annunciate riforme epocali, occorrono risposte altrettanto epocali..."
Le prime fondate indiscrezioni sulla riforma costituzionale della giustizia compaiono su Repubblica.

Trapela la minaccia di una norma transitoria che farebbe entrare in vigore subito parti definite "devastanti" dai giudici, come il ridimensionamento del Csm, l'autonomia della polizia giudiziaria, il nuovo potere della difesa nei processi. L'esistenza di tal norma non viene ufficialmente smentita per tutta la domenica. Si scatena l'allarme, parte il tam tam della voglia di reagire, di non essere schiacciati da una riforma che subito il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia ribattezza "la controriforma". Quella che, negli scambi di messaggi sul web, fa dire a un'autorevole toga di Magistratura democratica: "L'Anm dovrebbe deliberare immediatamente uno sciopero".

L'accelerazione sul ddl costituzionale produce uno shock. Cui non può che seguire la necessità di un'immediata e forte reazione. Spataro parla a RaiNews24, ribadisce che "nessuna delle riforme annunciate serve per far funzionare la giustizia e per rispondere agli interessi dei cittadini". Poi, a sera, invia in rete il suo messaggio. Cita Gustavo Zagrebelsky: "Ciò che viene presentato come il "nuovo costituzionale" difficilmente potrebbe fregiarsi del titolo di disegno costituzionale organico. Siamo a un bivio: o questa china, o la difesa e la rivitalizzazione della Costituzione che abbiamo. Ognuno... faccia la sua scelta". Spataro, già protagonista di una lettera appello a Napolitano, chiede all'Anm "una risposta in tempi rapidi che non consista nell'ennesimo, per quanto ottimo e condivisibile, comunicato stampa". Aggiunge che questa "non è una messa in mora", ma la richiesta di "una mossa epocale a una riforma epocale".

Non c'è ancora un testo ufficiale, è vero, ma le anticipazioni disegnano un ddl che riscriverà tutto il capitolo della Costituzione sulla magistratura. Scrive il magistrato di Trani Francesco Messina: "Se dovesse passare la devastazione della giustizia che si legge sui giornali, non saranno pochi coloro che penseranno seriamente di cambiare lavoro. Ritengo che nessuno di noi abbia studiato e agito, mirando al modello di magistrato che si vorrebbe imporre". Chi vuole cambiare le regole "avrà il problema di trovare altre persone disponibili". E l'annuncio di una possibile fuga, l'ammissione che se il cambiamento delle regole sarà proprio quello, molti magistrati potrebbero anche decidere di lasciare la toga e cambiare mestiere.

Non è più tempo di "cincischiare", né di "sfogliare margheritine". È tempo di reagire. Il magistrato di Bologna Marco Imperato ricorda il suo appello con 137 adesioni in cui chiedeva all'Anm di sbarcare su Facebook proprio per contrastare i quotidiani attacchi di Berlusconi e aprirsi alla gente. Ma riconosce anche che la minaccia della riforma non è, né potrebbe, essere immediata. Ben che vada, se essa dovesse effettivamente andare avanti, se il governo arriverà fino al termine della legislatura, se ne parla tra due anni. Questo spinge alcuni, anche nell'Anm, ad avere un tono più meditativo. "Facciamo uno sciopero. Bene. E poi? Ne rifacciamo uno a ogni passaggio parlamentare? I nostri passi devono essere più attenti e tenere conto che Berlusconi, mentre tenta in tutti i modi di liberarsi dei suoi processi, ora gioca a fare lo statista. Gliel'avrà consigliata Ferrara 'sta storia delle riforme epocali". Attendere? Interrogarsi? Prevale l'input a lanciare subito un segnale forte per dire "fermatevi, lasciate la Costituzione com'è, non fate prevalere la voglia di dare una lezione ai giudici".

(07 marzo 2011) © Riproduzione riservata
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Titolo: LIANA MILELLA Responsabilità civile? Troppi soldi…
Inserito da: Admin - Marzo 26, 2011, 12:13:03 pm
25
mar
2011

Responsabilità civile? Troppi soldi…

A questo punto, è sui soldi che si gioca il destino della magistratura. Soldi, direte voi, e che c’entrano? C’entrano invece, eccome.
Perché ormai l’unico argine a introdurre la nuova formula sulla responsabilità civile dei giudici – dal “dolo o colpa grave” si passa alla “manifesta violazione del diritto” – passa proprio per i soldi. Quanti ne dovrà pagare lo Stato per ogni magistrato che finirà vittima di una richiesta di risarcimento in base alla formula proposta dal leghista Gianluca Pini? Lui, un imprenditore romagnolo che ha alle spalle studi presso un istituto tecnico industriale, non ne saprà molto di diritto, tant’è che in molti, nell’opposizione, vedono alle sue spalle la longa manus di Niccolò Ghedini, l’avvocato del premier. Tant’è che l’emendamento incriminato è stato ribattezzano “norma Ghe-Pini”.

Alla domanda “ma dietro di lei chi c’è”, il Pini se l’è svignata per i corridoi di Montecitorio. La sua preoccupazione, assicura, è che l’Italia non debba pagare chissà quali rimborsi, addirittura tre milioni di euro al giorno, se l’Europa dovesse confermare che la legislazione italiana, dopo il caso Traghetti del Mediterraneo, non garantisce a sufficienza spazi per i risarcimenti. Ma, all’opposto, sorge del tutto doverosa un’altra domanda: quanto dovrà pagare lo Stato italiano se ogni imputato, sentendosi ingiustamente colpito, dovesse chiedere di essere indennizzato?

Intanto, a porre il problema è il finiano Nino Lo Presti, alla vigilia del parere che, sulla nuova responsabilità dei giudici che va in aula lunedì 28 marzo, dovrà dare la commissione Bilancio. Di cui Lo Presti fa parte e dove annuncia battaglia: “Prima di dare un parere come commissione Bilancio, chiederò ufficialmente di sapere a quanto potrebbero ammontare i costi. Altrimenti su cosa daremo questo parere?”. E aggiunge: “Prima di lanciarsi in quest’impresa folle sarebbe stato meglio valutare l’impatto economico di un cambiamento così radicale e irresponsabile per le conseguenze che avrà sul lavoro dei magistrati e sulla serenità delle loro sentenze”. Ai ministri Alfano e Tremonti chiede notizie anche il centrista Roberto Rao.

Ecco dimostrato quindi come la volata sulla responsabilità, che anticipa un pezzo importante della riforma Alfano, rischia di arenarsi proprio sui soldi, su una spesa del tutto priva di copertura, su una fuga in avanti fatta a tasche vuote. La responsabilità “facile” potrebbe perire così, per via di un portafoglio sgonfio.

Scritto venerdì, 25 marzo 2011 alle 17:52

da - milella.blogautore.repubblica.it/2011/03/25/


Titolo: LIANA MILELLA Responsabilità dei pm, ora il Pdl vuole attenuare il testo
Inserito da: Admin - Marzo 28, 2011, 04:33:16 pm
GIUSTIZIA

Il Csm verso il plenum straordinario sul web la protesta dei magistrati

Inizia una settimana calda, sia sul fronte istituzionale sia su quello delle aule di tribunale.

Responsabilità dei pm, ora il Pdl vuole attenuare il testo

di LIANA MILELLA


ROMA - Mailing list delle toghe, quelle di ogni singola corrente della magistratura e quella globale dell'Anm, intasate per l'allarme sulla stretta che la maggioranza si appresta a imporre sulla responsabilità civile per i giudici. Oggi punibili solo "per dolo o colpa grave", domani per "manifesta violazione del diritto". Cioè qualsiasi decisione giuridica valutabile come anomala. Al Csm togati e laici di centrosinistra sono decisi, nonostante quella che si apre sia una settimana "bianca", quindi di vacanza, a insistere per approvare prima in commissione Riforme, già domani, e poi giovedì in un plenum straordinario, un documento che suoni come una presa di distanza. Nel quale si dichiari come una formula ambigua per chiedere il risarcimento danni alle toghe che sbagliano rischi solo di colpire l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e paralizzarne scelte e decisioni. La commissione per le Riforme, presieduta da Vittorio Borraccetti (Md), è già fissata. Il plenum è stato chiesto, ma dovrà essere autorizzato da Napolitano. È presumibile che i componenti laici, che già hanno accusato i colleghi di voler trasformare il Consiglio in una "terza Camera" che emette verdetti politici, si opporranno.

D'altra parte, è vero che la norma sulla responsabilità marcia diritta verso il voto e potrebbe essere legge in poco tempo. Oggi, assieme al processo e alla prescrizione, entrambi "brevi", essa apre una settimana legislativamente calda sul fronte giustizia, per il numero e la portata delle questioni in ballo. Basta guardare il programma di Montecitorio. Da oggi pomeriggio vanno in aula la legge comunitaria, con la nuova formula sulla responsabilità, e il processo breve. Domani il presidente Gianfranco Fini riunisce la giunta per il regolamento che dovrà decidere il destino del conflitto di attribuzioni per Ruby. Come caso "fuori dalla prassi di Montecitorio", così lo ha definito il presidente della Camera, il conflitto sicuramente andrà in aula. Se non questa, al massimo la prossima settimana. In questa la maggioranza vorrebbe votare su responsabilità e prescrizione breve, dove i tempi non sono contingentati. Gli uomini di Niccolò Ghedini stanno lavorando per rendere meno vago il testo del leghista Gianluca Pini, il relatore della Comunitaria. Il quale conferma che ci saranno delle modifiche.

La norma, nell'attuale versione, rischia di scontrasi con un altolà della commissione Bilancio, chiamata domani alle 15 a dare il parere sui costi. Lì saranno i finiani a dare battaglia. Ancora ieri Nino Lo Presti confermava che, prima del parere, pretenderà di conoscere quale sarà l'impatto di una responsabilità in versione "larga". In polemica con il Pdl Enrico Costa, che gli consigliava di presentare un emendamento per far pagare direttamente le toghe, Lo Presti replica che, "senza cambiare l'articolo 28 della Costituzione questo è impossibile". Se la Bilancio, dove i numeri non sono nettamente a favore della maggioranza, dovesse bocciare la norma, il rinvio sarebbe inevitabile. Ma proprio per questo oggi pidiellini e leghisti lavoreranno per un nuovo testo. Di cui dovrà tenere conto anche la commissione Riforme del Csm.

(28 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/03/28/news


Titolo: LIANA MILELLA Giustizia, lo stop del Quirinale sulla responsabilità dei giudici
Inserito da: Admin - Marzo 29, 2011, 12:22:53 pm
La riforma

Giustizia, lo stop del Quirinale sulla responsabilità dei giudici

Il centrodestra accelera sul processo breve: la prossima settimana il voto finale.

Il Colle chiede correttivi. Csm, scontro Vietti-Pdl

di LIANA MILELLA


ROMA - Non piace al Quirinale l'emendamento Pini sulla responsabilità civile dei giudici. Sbagliato nel metodo, nel merito, nei tempi. Destinato solo ad alimentare un gratuito scontro con la magistratura. E sono giorni che, con un paziente lavorio nel segno della migliore moral suasion, il Colle cerca di far capire a Lega e Pdl che quel testo non solo non può passare così, ma forse sarebbe meglio addirittura metterlo da parte. Non è una ritirata, quella che viene garbatamente suggerita, ma un consiglio che tiene conto anche dello stato dei testi legislativi, visto che da un lato, in commissione Giustizia, c'è da tempo una pratica aperta proprio sulla responsabilità, e dall'altro sta per arrivare la riforma costituzionale Alfano che la contiene. Questo è il punto su cui il Quirinale insiste, non si può liquidare nella legge comunitaria, senza alcun dibattito, senza cercare, se non in extremis, la benché minima condivisione, una questione fondamentale, sentita non solo dai giudici ma anche dalla gente. Non solo, è in dubbio anche fino a che punto il nodo della responsabilità non sia "estraneo per materia", come sostiene il finiano Nino Lo Presti, al resto del provvedimento.

Si deve partire da qui per capire cos'è successo ieri tra Montecitorio e palazzo dei Marescialli, la sede del Csm. Alla Camera parte la doppia discussione generale sulla legge comunitaria, che contiene la norma sulla responsabilità, e quella sul processo breve, che ha in sé
la prescrizione breve. Che il relatore Maurizio Paniz difende strenuamente perché "non è stata scritta per Berlusconi, visto che il processo Mills comunque non sarebbe arrivato a sentenza definitiva prima della sua estinzione naturale a febbraio 2012". Due ddl importanti, sul primo si vota in settimana, il secondo slitta alla prossima.

La questione "calda" ora è la responsabilità. E la moral suasion del Colle pesa, tant'è che il leghista Gianluca Pini, "padre" dell'emendamento definitivo "punitivo e provocatorio" dall'Anm, non esclude una modifica. Due pidiellini come Manlio Contento e Francesco Paolo Sisto lavorano a cambiare il testo e ad attenuare la formula "violazione manifesta del diritto" che avrebbe dovuto sostituire quella "per dolo o colpa grave" integrandole entrambe. Il capogruppo Enrico Costa annuncia che si lavora "per arrivare a un buon testo che non mini l'indipendenza della magistratura". In realtà, la maggioranza sta cercando di tenere il punto giocando sulle parole.

Ma le maglie del Quirinale sono molto strette, anche se il testo dovrà poi andare al Senato. Ma non può essere sottovalutato, e siamo al secondo palazzo di questa storia e di questa giornata, quanto nel frattempo avviene al Csm. Dove, è fondamentale ricordarlo, nulla accade senza che il Quirinale ne sia al corrente, visto che il capo dello Stato è anche il presidente di quel Consiglio. Lì, autorizzato dal comitato di presidenza, ne fanno parte il vice presidente Michele Vietti e i due più alti magistrati in Italia, il primo presidente e il procuratore generale della Cassazione, è stato dato il via libera a discutere della responsabilità, giusto oggi, nella commissione per le Riforme, con l'ipotesi di tenere anche giovedì un plenum straordinario. I quattro laici del centrodestra (Zanon, Romano, Marini, Palumbo) sono saltati sulla sedia e hanno inviato un'inviperita lettera a Vietti per esprimere "radicale dissenso" sia per la convocazione ad horas via sms, sia per l'idea di dare un parere sull'emendamento Pini.

E qui va registrata una secchissima replica di Vietti, che definisce il tema "tanto rilevante quanto urgente", e ribadisce il diritto del Consiglio "a esprimersi in queste circostanze, secondo una prassi conforme a quella finora costantemente seguita". Quanto alla settimana bianca invocata dai quattro laici, essa "non è una settimana di vacanza, ma l'astensione dall'attività ordinaria per consentire il lavoro dei consiglieri nelle sedi di provenienza, tant'è che in passato è avvenuto abitualmente che essa sia stata dedicata a questioni di particolare urgenza o a questioni ordinarie arretrate". Sarà il Csm oggi a mettere su carta quelle stesse perplessità e quei dubbi che aleggiano al Quirinale. Con i quali la maggioranza deve fare i conti.
 

(29 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/03/29/news


Titolo: LIANA MILELLA E ai suoi dice: devo far capire che la vittima sono io.
Inserito da: Admin - Aprile 10, 2011, 04:50:10 pm
GIUSTIZIA

Il Cavaliere e la strategia dell'alta tensione "Temo altri stop alla prescrizione breve"

I sospetti su Fini.

E ai suoi dice: devo far capire che la vittima sono io.

Alfano lo rassicura: "Legge a misura di Consulta, pochi processi cancellati"

di LIANA MILELLA


ROMA - C'è un condizionale che tiene in allarme Berlusconi in queste ore. Che lo mette di umor nero e gli fa temere un possibile "agguato" parlamentare. Quel condizionale l'ha pronunciato Fini quando, riferendosi al voto che ci sarà mercoledì a Montecitorio sulla prescrizione breve per gli incensurati, norma che il Cavaliere avrebbe voluto già veder approvata da tempo per liberarsi del processo Mills, ha pronunciato un "dovremmo finire" quel giorno. E lì le orecchie del capogruppo Cicchitto si sono drizzate avvertendo aria di possibile pericolo.

Ma c'è anche dell'altro, sempre nella direzione di un possibile terremoto per bloccare la nuova norma "salva Silvio". Ben altri due elementi di preoccupazione. Il primo riguarda il Pd e un gran lavorio, definito dai berlusconiani di vero e proprio "filibustering", per mandare sotto la maggioranza su uno degli oltre 200 emendamenti ancora da votare. Il secondo attiene alle pressioni che, per quello che hanno subodorato i berlusconiani, il centrosinistra starebbe indirettamente facendo sul Quirinale per spingerlo a bloccare in qualche modo la legge.

Lo scenario che si apre non può che mettere di traverso l'inquilino di Palazzo Chigi. Perché tra martedì e mercoledì la sua maggioranza, nonostante la seduta notturna di martedì sia già in programma, potrebbe subire lo smacco di non riuscire ad approvare la prescrizione breve. Una norma di cui il Cavaliere, nei colloqui con i suoi, parla così: "Sono stanco di sentire e di leggere che la definiscono come una nuova legge ad personam. Scritta per me, per chiudere i miei processi. Essa è esattamente l'opposto. È la reazione, del tutto più che legittima, ai continui abusi giudiziari che sto subendo da 15 anni". E ancora: "Per questo non posso stare zitto, devo parlare e spiegare, devo far capire alla gente che sono io la vittima di un complotto politico, imputato solo per essere fatto fuori politicamente. Per questo non posso rimanere in silenzio, devo parlare e spiegare, devo far capire a tutti che se si approva la prescrizione breve questo serve soltanto per sanare un vulnus che è già stato consumato contro di me". Alle colombe del suo schieramento, a chi gli consiglia prudenza, lui risponde da falco: "Ne ho avuta fin troppa, adesso basta. Non può passare il messaggio che io voglio solo uscire dai processi. Io li sto facendo i processi, ci andrò, ma tutti devono sapere che ai miei danni è stata consumata una violenza giudiziaria pazzesca e ingiustificata".   

Berlusconi guarda con assoluto sospetto verso Fini, continua a non fidarsi di lui nonostante l'esplicito segnale di correttezza istituzionale che, appena pochi giorni fa, il presidente della Camera pur gli ha lanciato consegnando all'aula la richiesta di sollevare il conflitto di attribuzioni alla Consulta. Non vuole assolutamente andare allo scontro con Napolitano e sulla prescrizione fa mostra di essere tranquillo: "Alfano mi ha garantito che questa norma rientra pienamente nelle regole e nei poteri del governo. Gli allarmi sull'impatto sono ingiustificati perché, come mi dice Angelino, essa avrà conseguenze molto limitate sui processi in corso. E poi, scrivendola, sono state seguite le indicazioni della Consulta sulla legge Cirielli". Come quella dell'applicazione ai processi in corso che è stata copiata, pari pari, da una sentenza della Corte.   

Certo, ragiona Berlusconi, la prescrizione breve si sarebbe potuta anche non fare, ma solo se dall'altra parte, dal fronte dei giudici, "non si lavorasse ogni ora della giornata per incastrarmi". Sono tre le "aggressioni" che il premier continua a citare: "Mi hanno aggredito come cittadino, attentando alla mia libertà. Mi hanno aggredito come leader politico, tentando di sbalzarmi di sella. Mi hanno aggredito come imprenditore, con la richiesta di un rimborso milionario. Io sto solo cercando di difendermi". Per questo ha blindato le sue truppe in vista di martedì e mercoledì, nessuna defezione, tutti presenti, nervi saldi per la sua "battaglia di civiltà contro i giudici". 

Nel frattempo lavora mediaticamente per convincere la gente che, "rispetto a quello che ho subito dai giudici una legge come la prescrizione breve è veramente un nonnulla".

(10 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/04/10/news


Titolo: LIANA MILELLA Prescrizione breve, incognita Quirinale
Inserito da: Admin - Aprile 11, 2011, 08:40:27 pm
GIUSTIZIA

Prescrizione breve, incognita Quirinale

"Ma il premier non accetta frenate"

A Montecitorio vigilia di battaglia: 190 emendamenti da votare in due giorni, con sedute notturne.

Il voto finale forse mercoledì sera. Ma il Pdl teme le preoccupazioni del Quirinale.

Il parere contrario del Csm potrebbe esserne un segnale.

Idv: useremo ogni minuto disponibile, andremo alla prossima settimana

di LIANA MILELLA


ROMA - Non hanno mai pensato, quelli del Pdl, che il voto sulla prescrizione breve per gli incensurati potesse essere una passeggiata. Ma non s'immaginavano neppure tre settimane d'inferno. Adesso che ci sono dentro fino al collo i berlusconiani contano i minuti al voto finale che, secondo i loro calcoli più ottimisti, dovrebbe tenersi mercoledì sera, un po' dopo le sette. Ma le incognite, che uno di loro è pronto a elencare, sono troppe e potrebbero anche far saltare tutto. A partire dai boatos sempre più insistenti che, indirettamente, arrivano dal Quirinale e che descrivono, secondo quanto viene riferito dagli uomini più vicini al Cavaliere, un Napolitano fortemente preoccupato per le conseguenze della legge, per l'impatto che essa potrebbe avere sui processi, per le vittime che si vedrebbero scippare all'improvviso, e del tutto inopinatamente, una giustizia cui hanno diritto e che avevano a portata di mano. Intendiamoci. Mai come in queste ore dal Colle non trapela un fiato. Ma i pidiellini avvertono lo stesso che qualcosa non va ed elencano le ragioni dei sospetti. A partire dal parere del Csm che, prima ancora del voto, ha stroncato la prescrizione breve. Parere che non si sarebbe discusso senza il via libera del Colle. E poi quel dato, sempre del Csm, i 15mila reati in fumo quasi a sostanziare l'espressione "amnistia sostanziale" usata nel parere. Per finire le voci di chi ha parlato col presidente e l'ha trovato preoccupato.

I berlusconiani potrebbero fermarsi a riflettere, ma non hanno alcuna
intenzione di farlo. Tutt'altro. Vogliono andare avanti a spron battuto. Incuranti delle avvisaglie. Decisi ad andare allo scontro con l'opposizione. Che a sua volta è più che decisa a vender cara la pelle. Come dice il capogruppo dell'Idv Massimo Donadi "useremo fino all'ultimo secondo utile per bloccare questa porcata. Loro vogliono il sì per mercoledì? Noi faremo di tutto per portarli nell'altra settimana". Il vice capogruppo del Pd Roberto Giachetti, l'inventore del diabolico scontro sul verbale d'aula, ha in serbo qualcosa per tenere in scacco la maggioranza, ma ovviamente non rompe l'effetto sorpresa. Nel Pdl il suo omologo Simone Baldelli sa che cosa aspetta la maggioranza: "Non sarà un percorso né certo, né liscio, ma all'opposto incerto e impervio, per questo siamo allertati per ogni evenienza, pronti a stare in aula di notte, e fino a venerdì".

I pidiellini sanno che sulla prescrizione breve Berlusconi non accetta sorprese. L'ordine è uno solo: "Andate avanti. Approvatela. L'abbiamo scritta in modo conforme alle indicazioni della Consulta e Napolitano non ha alcun appiglio per fermarla. Non c'è alcuna manifesta incostituzionalità". Se anche il presidente dovesse mettersi per traverso, Berlusconi stavolta è deciso ad andare avanti, addirittura a riapprovare la legge qualora il capo dello Stato non la firmasse.

Ma è ancora presto per simili sfide. Per ora c'è quella sotto il naso, superare il voto alla Camera. Battaglia assai tosta. Dell'opposizione ancora 190 emendamenti da respingere, per altrettanti voti d'aula. Una marea. Complessivamente, il centrosinistra ha ancora una dozzina di ore. Ma a ogni voto maturano nuovi minuti e il tempo potrebbe raddoppiare. Si parte domani alle 15, si va avanti nella notte, fino alle 24 s'è detto, ma potrebbe essere necessario fare l'alba a Montecitorio, com'è avvenuto nella battaglia sugli enti lirici. Tutto per finire mercoledì, con un voto davanti alle telecamere, dopo le 18.

Ma chi, nel Pdl, ha grande esperienza dei lavori d'aula, è preoccupato: "C'è un brutto clima, ci sono troppi assenti, c'è gente che si alza e non vota, e c'è uno scarto di voti troppo basso, sei, quattro, tre voti, per cui si può cadere da un momento all'altro. La norma non è sentita, la Lega vota solo per dovere, ma dissente del tutto. Loro arrivano dai loro paesi dove la gente li ha rimproverati per una norma che favorisce ladri e scippatori. E poi queste vittime che manifestano in strada, queste sì che sono un problema". Le vittime delle stragi di Viareggio, dell'Aquila. Sono giusto le facce che, a quanto dicono quelli del Pdl, allarmano il Quirinale. E possono far precipitare nel limbo la prescrizione breve.

(11 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/04/11/news/


Titolo: Liana MILELLA Salva Silvio già in pericolo
Inserito da: Admin - Aprile 15, 2011, 04:35:22 pm
14
apr
2011

Salva Silvio già in pericolo

Liana MILELLA

Pare proprio che stia andando di nuovo in scena il film del processo breve. Quello che, nella versione hard del Senato, metteva un’inesorabile tagliola sui processi per reati fino a dieci anni facendoli “morire” per sempre alla scadenza del sesto anno. Nel 2010la maggioranza presentò quel ddl e subito protestarono Anm e Csm. Dissero, dati alla mano, che sarebbero saltati tra il 10 e il 40 per cento dei 3,2 milioni di processi penali pendenti. Centinaia, dunque. Si alzò su il Guardasigilli Angelino Alfano e ridimensionò il dato: a scomparire sarebbe stato solo l’1%. Ma Napolitano si allarmò lo stesso e consigliò prudenza al governo. Nel passaggio tra il Senato e la Camera ad affondare è stato il processo breve che, da lama del boia, è diventato solo un’indicazione di massima, un suggerimento, senza effetti demolitori. Ovviamente inutile, a quel punto, per chiudere i dibattimenti del Cavaliere.

Lo stesso film sta per essere girato per la prescrizione breve. Che ha sostituito il processo come legge salva Silvio.
Hanno fatto votare alla Camera un testo che regala agli incensurati (chissà mai per quale ragione) uno sconto sulla prescrizione. Esso, a misura di Berlusconi e del processo Mills, colpisce anche altri processi in tutto il Paese. Settemila per il ministro, 15mila per Csm e Anm. Tutti i reati inseriti, tranne quelli gravi e gravissimi. Quindi anche la strage di Viareggio o il terremoto dell’Aquila, o le violenze sessuali, o i casi di corruzione, di truffa, di bancarotta. Dicono in aula gli uomini del Pdl: comunque quei reati si sarebbero prescritti, qualche mese in meno non fa la differenza. E invece la fa, e anche la fa molto, perché basta un giorno in meno per far saltare un processo (e lo dimostra il caso Mills). E poi conta il principio. Perché fare comunque un regalo, anche di pochi mesi,  a chi può aver determinato il disastro ferroviario?

Napolitano, a Praga, dice solo due parole, “valuterò i termini di questa questione quando saremo vicini al momento dell’approvazione definitiva in Parlamento”. E’ la conferma di quanto si è andato scrivendo in questi giorni, c’è un riflettore del Colle acceso su questa legge. Deciderà il presidente quando, come, se agire. I dubbi sono lì, squadernati nella legge: essa determina una morìa di processi, lo ha confermato lo stesso Alfano; essa crea disparità di trattamento all’interno dello stesso processo; essa grazia alcuni e, magari per pochi giorni, esclude altri; essa produce una differenza difficilmente spiegabile tra incensurati e recidivi; essa pone un termine, quello del processo di primo grado compreso, facilmente contestabile.

Napolitano risponde a una domanda. Ipotizza un percorso. Del resto, anche gli interlocutori di questo blog dimostrano, con i loro numerosi interventi, che c’è una diffusa richiesta di una sua autorevole parola. Si allarma Berlusconi che vuole subito spedire Alfano sul Colle per fare chiarezza sulla legge, per spiegare che, dal suo punto di vista, essa non grazia nessuno. Tranne lui stesso, visto che se andrà in porto, a giugno il processo Mills si chiuderà.

Ma proprio l’allarme di Berlusconi e quel futuro viaggio di Alfano al Quirinale “scoprono” il lato debole della maggioranza e la sua consapevolezza che la legge contiene delle anomalie che potrebbero non passare inosservate sotto il riflettori del Colle. Proprio come per il processo breve.

 
Scritto giovedì, 14 aprile 2011 alle 16:07
da - milella.blogautore.repubblica.it/2011/04/14/


Titolo: LIANA MILELLA Giustizia, il Pdl prepara il blitz a due giorni dai ballottaggi
Inserito da: Admin - Maggio 21, 2011, 04:17:44 pm
IL RETROSCENA

Giustizia, il Pdl prepara il blitz a due giorni dai ballottaggi

Venerdì 27 rapida sfilata dei capi della magistratura e delle polizie a Montecitorio per il parere sulla riforma.

Rao (Udc): "Di epocale nel cambiamento voluto da Alfano c'è solo la fretta"

di LIANA MILELLA


ROMA - Il segnale è preciso. Volutamente lanciato agli elettori che, come Berlusconi, odiano i giudici. Un ordine del giorno per venerdì 27 maggio, immediata vigilia del voto, per rassicurarli e dire loro che questo governo andrà avanti sulla riforma "epocale" della giustizia. La garanzia che si farà in fretta. E che fretta. Quella per cui dalle ore 9 alle 14, per non più di mezz'ora ciascuno, vengono convocati e richiesti del loro parere sulla riforma le massime autorità delle magistrature e della polizia.

Elenco da paura. Nell'ordine: i vertici della Cassazione Lupo ed Esposito, l'avvocato dello Stato Caramazza, il vice presidente del Csm Vietti, il procuratore antimafia Grasso, i presidenti della Corte dei conti Giampaolino e del Consiglio di Stato De Lise, i capi della polizia Manganelli, dei carabinieri Gallitelli, della Gdf Di Paolo. Tutto in cinque ore. Pausa panino e si riparte con i vertici degli avvocati, Camere penali, Consiglio nazionale forense, Oua. Tutti in coda, al quarto piano di Montecitorio, sala del Mappamondo. Di un venerdì pre-elettorale. In un palazzo dove, in ogni venerdì dell'anno, non c'è ombra di deputati.

Con uno sgarbo istituzionale e sostanziale del tutto gratuito ad alcuni dei protagonisti. Perché è fuori di dubbio che, mentre ci si avvia a separare le carriere dei giudici e dei pm e a dividere in due il Csm, forse Vietti ha diritto ad avere qualche minuto in più. Del pari, i capi delle polizie dovranno spiegare bene che succede
quando ci si appresta a cambiare il rapporto tra pm e pg. Invece è questo il frettoloso elenco, firmato in calce dal segretario generale della Camera Ugo Zampetti, messo a punto dal presidente della commissione Affari costituzionali Donato Bruno, pidiellino doc e buon amico del Guardasigilli Angelino Alfano, cui ha promesso di trainare a rotta di collo il carro della riforma per dargli la soddisfazione di vederla approvata entro luglio. Il centrista Roberto Rao, braccio destro di Casini, riceve la convocazione ed esplode: "È inaccettabile che a due giorni dal ballottaggio, quasi di nascosto, si convochino le due commissioni per ben tredici audizioni".

E mentre tira già aria di defezione tra i protagonisti, infastiditi dalla ressa e dall'oggettiva impossibilità di esporre una linea, Rao aggiunge: "È un'offesa all'intelligenza degli auditi e di noi tutti. La maggioranza vuole strozzare la discussione della riforma. In cui di "epocale", a questo punto, c'è solo la fretta con cui annuncia l'ennesimo spot, utile forse per i ballottaggi, ma di certo non per la giustizia". Allarme anche in casa Pd dove si preparano a dare battaglia il responsabile Giustizia Andrea Orlando e la capogruppo in commissione Giustizia Donatella Ferranti. Ma intanto conta la "carta", quel foglio che prova la voglia del Cavaliere di andare alla resa dei conti.

(21 maggio 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/05/21/news/


Titolo: LIANA MILELLA Prescrizione breve subito in Senato se passa il sì ...
Inserito da: Admin - Giugno 09, 2011, 12:08:07 pm
IL RETROSCENA

Prescrizione breve subito in Senato se passa il sì al quesito sulla giustizia

La "vendetta" del Pdl in caso di abrogazione del legittimo impedimento: a rischio 15mila processi.

Messaggio a Napolitano: sarebbe l'ultima delle leggi "ad personam"

di LIANA MILELLA 


ROMA - Se tra domenica e lunedì si raggiunge il quorum e vincono i sì per cancellare definitivamente anche l'ultimo brandello del legittimo impedimento, i berlusconiani hanno già pronta la contromossa. L'hanno studiata, facendo i calcoli perfino sui giorni, gli esperti giustizia del Cavaliere. Tra di loro lo chiamano "il risarcimento". Consiste nell'approvare subito al Senato, senza l'ombra di modifiche, la prescrizione breve per gli incensurati.

Lo sconto che, senza sottoporre il premier allo stress delle udienze a Milano e a quello di una possibile condanna per corruzione di un testimone, cancella d'un colpo il processo Mills. E con esso il rischio di una condanna, anche se solo in primo grado, per corruzione. Brutta figura, per un premier, in Italia e all'estero. Prescrizione prevista a febbraio. Sconto di sette mesi. Dibattimento chiuso in autunno.

Il "risarcimento" dunque. Portare a casa una norma ad personam molto contestata perché, come sempre in questi casi (vedi la blocca processi o il processo breve vecchia versione), essa non chiude solo "un" processo, quello di Berlusconi addosso al quale è stata confezionata, ma fulmina pure tutti gli altri che si trovano nelle stesse condizioni. Quindicimila processi all'aria è la stima del Csm e dell'Anm, tra cui alcuni sensibili (s'è parlato della strage ferroviaria di Viareggio). Un dato che il Guardasigilli Angelino Alfano ha smentito e nettamente ridimensionato. Ma che ha preoccupato il Quirinale. Tant'è che proprio lì il capo del governo avrebbe voluto spedire il suo ministro, trattenuto poi dallo stesso presidente, poco incline a trattative sulla giustizia che abbiano come oggetto le leggi per il Cavaliere.

Ma con un referendum perso alle spalle, e la prospettiva di interpretarlo come la definitiva bocciatura di una politica della giustizia tutta imperniata sulla vendetta di Berlusconi contro le toghe per via dei suoi processi, scatterebbe per il premier la linea dell'ultimo favore, dell'ultima volta, dell'ultima legge per se stesso. Per la quale chiedere anche a Napolitano una sorta di lasciapassare del tutto speciale. Tant'è che il vice capogruppo al Senato Gaetano Quagliariello ha fatto il primo passo e ha chiesto al presidente Renato Schifani di mettere il calendario la prescrizione breve. Un passo ufficiale, con toni soft com'è nello stile dell'uomo, ma con l'esplicito riferimento a un voto che determini l'entrata in vigore immediata della norma già sottoposta a due passaggi parlamentari.

Sarebbe l'ultima legge ad personam.

Questo gli ambasciatori con il Colle sono stati incaricati di far sapere a Napolitano. L'ultimo salvacondotto rispetto alla "fabbrica" delle norme "salva Silvio" che tenevano banco fino a un mese prima delle elezioni amministrative. Processo e prescrizione breve, dibattimento lungo (più potere agli avvocati e divieto di usare le sentenze definitive), il comma blocca Ruby (sospensione obbligatoria in caso di conflitto d'attribuzioni, proprio come per l'ultimo processo milanese). Cui si aggiunge la riforma della giustizia, considerata sempre come una lezione per indebolire e ridurre al silenzio le toghe.

Ma adesso il clima è cambiato. La sconfitta alle amministrative viene vista anche come la bocciatura della politica contro i magistrati. Il futuro sarà diverso e la legge sulla prescrizione sarebbe destinata a mettere un sigillo su una stagione che va in soffitta. Ma sull'operazione, studiata nei dettagli, aleggia da ieri la brutta sortita della maggioranza nel voto al Senato sul ddl anti-corruzione. Timori e preoccupazioni per un malessere serpeggiante che potrebbe aggravarsi, soprattutto tra le truppe leghiste, di fronte a un nuovo intervento legislativo per chiudere un processo del Cavaliere. Ma, a ieri sera, l'orientamento era quello di un rischio da correre.

(09 giugno 2011) © Riproduzione riservata
da repubblica.it/politica/2011/06/09/news/


Titolo: LIANA MILELLA Il centrosinistra reclama l'arresto per entrambi i deputati.
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2011, 11:59:11 am
IL RETROSCENA

Paura nel Pdl: "Ci tireranno le monetine" il Pd dice no a scambi Papa-Tedesco

Oggi il voto per l'arresto di Alfonso Papa alla Camera e di Alberto Tedesco al Senato.

Il centrosinistra reclama l'arresto per entrambi i deputati. Alfano: "siamo il partito degli onesti non delle manette".

A Palazzo Chigi sono sicuri di poter arrivare a quota 340 con i voti di democratici e Udc

di LIANA MILELLA


ROMA - C'è una paura, in Parlamento, che stringe destra e sinistra. Di salvare prima, in un solo pomeriggio, giusto quello di oggi, Papa alla Camera e Tedesco al Senato. E di ritrovarsi poi, uscendo dai palazzi, con la gente che lancia le monetine in stile Craxi all'uscita del Raphael nel '93.

Un fatto è certo. Per un caso, le due storie - l'ex toga di Napoli Alfonso Papa e l'ex assessore alla Sanità pugliese Alberto Tedesco, imputati entrambi di corruzione (e non solo) - arrivano allo showdown assieme. Per la prima il Pdl insiste nella difesa a oltranza. Parla ai suoi il segretario del partito, e tuttora Guardasigilli, Angelino Alfano, e mette in chiaro che "il partito degli onesti non sarà mai il partito delle manette". Quindi niente arresto per Papa che del ministero da lui retto per tre anni è stato alto dirigente.

Per difenderlo al meglio, e per non fare la figura del topo che fugge nel tombino, ecco che il capogruppo Fabrizio Cicchitto, a sera, dice che sì, anche il Pdl potrebbe chiedere il voto segreto. Pazienza se la Lega non lo vuole. Man nel segreto, stimano nel centrodestra, Papa potrebbe arrivare ad avere 340 voti contro l'arresto. Tutto il Pdl, i Responsabili, almeno metà della Lega, una buona fetta dell'Udc, frange significative del Pd, più schegge varie. Se finisse così sarebbe un en plein.

Dall'altra parte c'è Tedesco. Aspettava da cinque mesi la sua richiesta d'arresto dei magistrati di Bari per lo scandalo della sanità. Dormiva. S'è risvegliata all'improvviso. Il Pd di Bersani e della Finocchiaro l'ha resuscitata e s'è smarcato di netto. Rispetto alle voci melmose del Pdl che mestavano nel ricatto ("Se ci fate arrestare Papa, noi vi fottiamo Tedesco").

Eccolo il risultato: ieri, nella conferenza dei capigruppo a palazzo Madama, la presidente democratica Anna Finocchiaro chiede che su Tedesco si voti subito. Oggi. Di più. Annuncia che "il Pd proporrà che sia concesso l'arresto". Pier Luigi Bersani ci mette il timbro più alto, quello del vertice del partito: "Noi ci opporremo alla Camera e al Senato al voto segreto e siamo favorevoli all'arresto tanto per Papa quanto per Tedesco".

Le sorprese non finiscono qui. Perché il Pd vuole stoppare pure il chiacchiericcio sui dalemiani, cui fa capo Tedesco, pronti a salvare sia lo stesso Tedesco che Papa. Il colpo di teatro sta nel fatto che Tedesco medesimo parlerà in aula e chiederà che si voti per il suo arresto.

La bomba esplode qualche minuto dopo a Montecitorio. Quando lo raccontano a Papa, che passeggia in cortile, impallidisce sotto l'abbronzatura. Non commenta. Il suo destino, ora, è legato a quello di Tedesco. Se l'ex assessore dice sì agli arresti domiciliari, lui pure parlerà. Tre, quattro minuti, alla fine degli interventi. A braccio. Ma all'opposto per respingere l'arresto e ribadire la sua innocenza, perché, carte alla mano, i pm di Napoli lo hanno intercettato illegalmente da deputato. Lui ha "le carte" per dimostrare che non ha preso soldi, che li ha restituiti, e se i pm lo avessero interrogato gliele avrebbe date. Il presidente della giunta Pierluigi Castagnetti, ricorda che esiste "l'istituto delle dimissioni...". Lui non ci pensa proprio. Maurizio Paniz legge il suo intervento a Manlio Contento; "Non dovete arrestarlo perché...".

C'è chi lavora in modo convinto per lui. Alle 17 il sempre Pdl Mario Pepe annuncia che "ha le 30 firme per ottenere il voto segreto". Si fa avanti il Responsabile Domenico Scilipoti con un "ma potrei chiederlo io". "Il voto segreto è giusto, anche se il Pdl non lo chiederà" garantisce il vice capogruppo del Pdl Massimo Corsaro. La strategia, alle 21 e 30, quando il gruppo Pdl si scioglie, è in alto mare. "Che lo chiedano 10 deputati per gruppo, così ci dividiamo le responsabilità" dice uno. "Tanto lo fanno i Responsabili" un altro. "Meglio farlo noi" un altro ancora.

Si deciderà all'ultimo. L'opposizione si prepara ai suoi "buuhhh... buuhhh...". "Il voto segreto serve per coprire le incertezze della Lega" dice il Pd Enrico Franceschini. Antonio Di Pietro chiede "un'assunzione di responsabilità contro la complicità politica e morale". Che per certo non ci sarà. 

(20 luglio 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/07/20/news/pdl_monetine-19353413/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA & FRANCESCO BEI - Il Colle sale al 90%
Inserito da: Admin - Luglio 23, 2011, 10:06:27 am
IL RETROSCENA

Il Cavaliere sfida il Quirinale

"Martedì la norma salva-Ruby"

Il premier vuole l'accelerazione sul cosiddetto processo lungo, in aula prima dell'estate.

Ancora tensione con la Lega: salta la telefonata del chiarimento col Senatur.

Nei sondaggi crolla al 25% la fiducia nel premier e al 26 quella del governo.

Il Colle sale al 90% 

di FRANCESCO BEI e LIANA MILELLA


ROMA - Approvare la norma blocca-Ruby subito, prima della chiusura estiva delle Camere. Per lanciare un segnale preciso sulla giustizia, in controtendenza rispetto alla sconfitta su Alfonso Papa e alle voci insistenti di procure in movimento all'assalto del palazzo. Questo pretende Berlusconi prima delle vacanze. Questo sta chiedendo ai suoi ormai da giorni. "Dobbiamo opporre resistenza e far capire con nettezza che non piegheremo la testa di fronte a questa nuova ondata di giustizialismo dilagante".

Niente di meglio, per riuscirci, che un'altra delle sue leggi ad personam. Quella ribattezzata "processo lungo", che contiene già due zeppe per rallentare i dibattimenti, in particolare i suoi a Milano, Ruby, Mills, Mediaset, Mediatrade. Più poteri alle difese nell'imporre ai giudici la lista dei testi, divieto di usare le sentenze definitive già nei processi in corso. Ma soprattutto l'assist, quella piccola regola che impone, sempre ai giudici, di fermare le udienze in presenza di un conflitto di attribuzione. Giusto il caso di Ruby e di Mediaset.

La Lega già rumoreggia perché l'originario disegno di legge Lussana sul divieto di ottenere il rito abbreviato per i reati da ergastolo è stato stravolto. Ma anche a costo di andare, come per certo si andrà, a un nuovo scontro con il Quirinale, il Cavaliere ha imposto al gruppo del Pdl di piazzare il "processo lungo" nel calendario d'aula la prossima settimana, da martedì, sfidando il centrosinistra e giusto in
tempo per essere approvato prima delle ferie.

Il premier non è riuscito, come avrebbe voluto, nell'originaria pretesa di chiudere la partita addirittura anche alla Camera. Gli hanno spiegato che avrebbero dovuto tenere i deputati incollati alla sedia fino a Ferragosto e questo avrebbe prodotto un altro risultato negativo: far chiudere subito anche la partita sull'arresto di Marco Milanese. Berlusconi conta ora sul fatto che l'approvazione del ddl in un solo ramo del Parlamento - palazzo Madama - possa consentire ai suoi avvocati di premere in Tribunale per fermare i processi.

Il braccio di ferro con il Quirinale e con l'opposizione è comunque assicurato, in questo scorcio di luglio caldo. Potrebbe coincidere anche con l'ultima settimana da Guardasigilli di Angelino Alfano. Lui vuole andare via a tutti i costi dal governo. Vuole mani totalmente libere sul Pdl. A Napolitano ha detto "sto per lasciare". Ma la transizione è difficile. La carta giusta ancora non c'è. E ai vertici del Pdl c'è chi assicura che il cambio di guardia si farà all'inizio della prossima settimana (anche perché Napolitano a metà settimana andrà in vacanza) e chi invece è certo di un rinvio a settembre.

Potrebbe anche diventare necessario imporre la candidatura a chi, per esempio il vice presidente della Camera Maurizio Lupi, preferisce fare quello che sta facendo e occuparsi del partito. Finisce nel grottesco questa sostituzione. Tutti smaniano solitamente per fare il ministro, ma adesso nel Pdl nessuno vuole diventare un "Guardasigilli breve", di breve durata se ad ottobre matura la crisi, con più oneri che onori, soprattutto nel pieno di una nuova Mani pulite. E con un governo che, come rivelano gli stessi sondaggi di palazzo Chigi, non ha mai toccato punte così basse di gradimento.

L'ultima rilevazione, planata sulla scrivania del Cavaliere tre giorni fa, dà la sua fiducia al minimo storico con il 25 per cento, mentre quella del governo nel suo complesso è scesa al 26%. Numeri da brivido, a cui fa invece da contraltare la popolarità al 90% del capo dello Stato.

In questa situazione il premier non è riuscito, come invece avrebbe voluto, a ottenere da Umberto Bossi alcuna assicurazione circa le intenzioni del Carroccio. Ieri la prevista telefonata tra i due leader non c'è stata e con la Lega resta il gelo.

Lo dimostra, da ultimo, la contrapposizione sul disegno di legge Calderoli di riforma della Costituzione. Nel Pdl infatti non ne vogliono sapere, lo ritengono pieno zeppo di errori. I senatori di Berlusconi non hanno alcuna intenzione di dare il via libera a un testo che lascia ai soli deputati il privilegio di votare la fiducia al governo. Con palazzo Madama che, di fatto, sarebbe ridotto a una sorta di Conferenza Stato-Regioni più larga. Per questo ieri in Consiglio dei ministri il ddl è stato approvato "salvo intese", ovvero resta sospeso in un limbo finché non sarà trovato un accordo dentro la maggioranza. Calderoli non l'ha presa bene e si è rifiutato di scendere in conferenza stampa insieme a Berlusconi.

(23 luglio 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/07/23/news/legge_salva_ruby-19494840/?ref=HREC1-1


Titolo: LIANA MILELLA Il ministro che dividerà le toghe
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2011, 05:35:06 pm
Il ministro che dividerà le toghe

Liana MILELLA

28
lug
2011

Il primo segnale è arrivato

Aveva appena finito di dire, nelle sue prime dichiarazioni, che l’obiettivo del suo prossimo dicastero sarebbe stato quello di ricomporre i rapporti tra politica e giustizia. Parola di Francesco Nitto Palma, l’uomo cui Berlusconi ha deciso di affidare il ministero di via Arenula. Uno a cui non un solo ministro ha fatto gli auguri. Neppure il suo predecessore Angelino Alfano. Detto fatto. Il governo ha messo al Senato la fiducia sul processo lungo. Contro il quale, a palazzo Madama, ex magistrati del rango di Gerardo D’Ambrosio, Felice Casson, Silvia Della Monica, Alberto Maritati, Gianrico Carofiglio, tutti del Pd, un intellettuale come Pancho Pardi e un avvocato come Luigi Li Gotti dell’Idv, per due giorni hanno spiegato in aula le tremende contraddizioni. Ne basti una per tutte: se avvenisse un delitto o uno scontro gravissimo in uno stadio di calcio, le difese, nel corso del processo, potrebbero citare come testimoni tutti quelli che stavano vedendo la partita in quel momento.
Non basta. Dice Pardi che questa è “giustizia di classe”. E lo è, perché solo chi può permettersi avvocati alla Ghedini può anche avere maggiori chance nel dibattimento per farsi valere.
Ma è la coincidenza tra il nuovo ministro e l’ennesima fiducia al Senato su una legge ad personam per il Cavaliere che la dice su chi comanda. Solo Berlusconi. Gli altri, Guardasigilli compreso, sono solo marionette. Si mettano tranquille le toghe. Tutto continuerà ad andare per come va dal 2008. Male.

http://milella.blogautore.repubblica.it/2011/07/28/il-primo-segnale-e-arrivato/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Il silenzio del neo Guardasigilli
Inserito da: Admin - Luglio 29, 2011, 06:01:23 pm
Il primo segnale è arrivato

29
lug
2011

Liana MILELLA

Il silenzio del neo Guardasigilli

Chi si aspettava le barricate è rimasto deluso. In aula, al Senato, per la fiducia sul processo lungo, nessuna protesta forte delle opposizioni. Solo un po’ di cartelli dei dipietristi con su scritto “ladri di giustizia”. E’ una cronaca povera quella sull’ennesima forzatura del governo e della maggioranza al Senato. Orba soprattutto della prima uscita del neo Guardasigilli Francesco Nitto Palma.
Lui c’è, pronto a ricevere pacche sulle spalle e strette di mano di complimenti per la sua nomina. Ma non parla.

Nonostante l’occasione sia d’oro. Potrebbe tessere le lodi e difendere un provvedimento che avrà come risultato un allungamento smisurato dei tempi dei processi. E’ la vittoria degli avvocati. Il trionfo di Niccolò Ghedini, il legale del premier, che a ogni pie’ sospinto, nelle udienze di Milano, ha sempre lamentato che le sue liste dei testimoni venivano impietosamente “potate” dai presidenti del tribunale di turno. Se questo testo, ormai a settembre, passerà anche alla Camera, Ghedini non potrà più lamentarsi. Potrà pretendere di acquisire tutte le prove e tutti i testi che vuole.

La pecca dei processi, come l’Europa ci rimprovera e com’è scritto in tutte le relazioni degli alti magistrati che aprono gli anni giudiziari, è la loro esasperante lentezza. In futuro essi saranno ancora più lunghi. Non arriveranno mai a conclusione, stretti come saranno tra le centinaia di testi e la prescrizione breve, prossima mossa legislativa del governo Berlusconi.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2011/07/29/il-silenzio-del-neo-guardasigilli/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Gli scrupoli mancati di Nitto
Inserito da: Admin - Agosto 07, 2011, 11:11:14 pm
7
ago
2011

Gli scrupoli mancati di Nitto

Liana MILELLA

Premessa d’obbligo. Ho volutamente lasciato “vivere” una settimana il blog per dire “ciao” a Peppe D’Avanzo. E’ tanto tempo per un blog, lo so, ma troppo grande è il senso di sperdutezza per la sua partenza. Mi deprime doverlo sostituire con uno dedicato al neo Guardasigilli Francesco Nitto Palma. Ma se non lo scrivessi credo se ne avrebbe a male il suo predecessore Angelino Alfano per le tante volte che l’ho attaccato.
Ora, va detto subito. Alfano, che è un politico di esperienza e un uomo con il “naso mediatico”, non avrebbe mai rilasciato al giornale di famiglia, il “Giornale” appunto, un’intervista che finisce a pagina 10, pure quella pari, che ha una pecca grande come una bella anguria matura. NON HA IL RICHIAMO IN PRIMA PAGINA. Adesso: il neo ministro della Giustizia parla di fatto per la prima volta, se si escludono le dichiarazioni a caldo, a ridosso della nomina. E qual è il titolo dell’intervista che, per chi se la fosse persa, è uscita sabato 6 agosto? “Ho sfidato i Br e la mafia, adesso non temo nulla”. Palma è stato forse minacciato e nessuno se n’è accorto? Eh no, nessuna minaccia, solo un piccolo gossip, il sito Dagospia scopre che sta per andare in vacanza in Polinesia. Parla di un mese, lui rettifica 16 giorni. Si dilunga sul pagamento, sui tempi della prenotazione, sulla possibilità del ritorno. Mezza pagina di roba. In coda c’è pure lo spazio per parlare di riforma costituzionale della giustizia e di intercettazioni.
Gentile ministro Palma, noi non ci siamo simpatici e la convivenza non sarà facile. Ma stiamo ai fatti. Lei pensa davvero che un Guardasigilli di freschissima nomina possa andarsene in vacanza come se niente fosse? Travaglio, sul Fatto, oltre a ribattezzarla Guitto Palma dallo Zitto Calma della prim’ora, le consiglia di rimanere laggiù per 16 anni. Noi siamo più cauti. E le elenchiamo le dieci questioni di cui si deve occupare subito, senza neppure perdere un giorno.
1. Le carceri innanzitutto, come le scrive giusto in queste ore il Pd. Potrebbe andare a trovare il suo compagno di partito Alfonso Papa, detenuto ormai da quasi 20 giorni a Poggioreale, e farsi dare qualche consiglio. Contro il sovraffollamento e la voglia di uccidersi.
2. La mancanza di magistrati nelle zone di frontiera. Questione su cui ha sbattuto la faccia anche Alfano.
3. Il personale amministrativo che non c’è, con i suoi ex colleghi costretti anche a fare i dattilografi, e gli addetti alle fotocopie.
4. La rete informatica della giustizia italiana che fa in continuazione cilecca.
5. Le auto scassate e senza benzina. Le offriamo un’idea: suggerisca che ai suoi colleghi vadano tutte quelle di palazzo Chigi e dei ministeri che sfrecciano nuovissime per Roma.
6. Lavori a un’idea decente, o quantomeno a un’idea, per sveltire i tempi dei processi. E rifletta se non sia il caso di avere il coraggio di chiedere a Berlusconi e Ghedini di bloccare il cammino parlamentare del processo lungo (ma sono certa che questo lei non lo farà mai).
7. Vada a trovare il Cavaliere in Sardegna (sempre mare no? Anche se non è la Polinesia) e gli dica che lei, da ex pubblico ministero, non ha il coraggio di far approvare alla Camera, a fine settembre, il disegno di legge sulle intercettazioni. Perché sarebbe la morte delle indagini.
8. Poi vada da Ghedini, che tanto veleggia lì vicino, faccia la voce grossa, e imponga di buttare nel cestino (per usare un’espressione garbata) la riforma della giustizia. Se non altro perché in ore di grave crisi economica è un assassinio sprecare il tempo sulle cose inutili. E quella riforma lo è.
9. Liberato il campo dalle leggi-imbroglio, calcoli cosa può fare di necessario in questo scorcio di legislatura. Che non sia una norma per Berlusconi, ovviamente.
10. Organizzi un paio di appuntamenti utili per settembre. Un incontro con i capi degli uffici, per sentire la loro voce e i loro bisogni. E veda pure Palamara, il presidente dell’Anm. Lo so, è stato il suo testimone di nozze. Ma è successo tanto tempo fa.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2011/08/07/gli-scrupoli-mancati-di-nitto/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Il fiuto di Nitto
Inserito da: Admin - Agosto 11, 2011, 05:44:03 pm
8
ago
2011

Il fiuto di Nitto

Liana MILELLA

Sicuramente ce ne vorrà, il ministro Guardasigilli Francesco Nitto Palma, per aver contribuito, con altri, a rovinargli la vacanza in Polinesia. Ha rinunciato. E fa sapere che è al lavoro in ufficio. Dov’è giusto che stia in ore come queste, per il Paese, per i giudici, per i carcerati. Aveva detto al Corriere della Sera, ci pare improvvidamente, che non essendo né il ministro dell’Economia, né quello dell’Interno non vedeva la necessità di una sua permanenza a Roma. Forse, per aver fatto un’affermazione del genere, vuol dire che non è ancora entrato pienamente nel ruolo. E nei doveri che detto ruolo comporta. Soprattutto quello di dare un esempio, il buon esempio. E’ una questione di immagine la sua: un ministro della Giustizia fresco di nomina deve stare al suo posto, pronto ad affrontare tempestivamente qualsiasi grana si presenti. Salvo non voler confermare quella fama che Palma si porta dietro, dai tempi della procura, e di recente del ministero. Di uno, diciamo così, che non si uccide per, e con, il lavoro.

Ha fatto bene a darci retta, signor ministro. Pensi in che disastro sarebbe incorso se, lei assente al sole della Polinesia, si fosse verificata qui in Italia anche una semplice evasione dal carcere. Lei sarebbe finito nel tritacarne. Dovrebbe ringraziare noi, e gli altri, per averle evitato una figuraccia.

E poi, diciamo la verità. Berlusconi l’ha messa lì, in via Arenula, per preparare la strategia d’autunno contro le odiate toghe. Quindi deve studiare e lavorarci sopra. Ma questo, per il vero, avrebbe potuto farlo anche con la pancia all’aria su un’isola  in mezzo all’Oceano. Ma c’è un’altra questione. Attiene all’immagine istituzionale. Proprio così, al senso che si ha, o non si ha, delle istituzioni. Quel senso esige che un Guardasigilli di fresca nomina entra al ministero, divora i problemi, studia la mappa dei collaboratori.

E poi aggiungiamo un’altra verità, che potrà pur suonare pregna di una venatura populista. In tempi di grave crisi, in cui tutto può crollare da un momento all’altro, sarebbe di grande esempio se non solo lei, ma l’intero governo restasse al suo posto. A presidiare palazzo Chigi. Anziché scaricare tutto addosso al solito Gianni Letta. Sarebbe un bel segnale se fossero sospese tutte le vacanze. Se il consiglio dei ministri continuasse a riunirsi per monitorare la situazione.Almeno la gente che vi continua a votare si sentirebbe più tranquilla. (Loro sì, noi no comunque).

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2011/08/08/il-fiuto-di-nitto/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Intercettazioni, lo scoop di Nitto
Inserito da: Admin - Agosto 16, 2011, 04:01:28 pm
15
ago
2011

Liana MILELLA


Intercettazioni, lo scoop di Nitto

Adesso che l’happening di Ferragosto sul carcere è finito, sappiamo qual è la notizia che arriva da via Arenula e dal neo Guardasigilli Francesco Nitto Palma. Purtroppo non riguarda il carcere. E non rappresenta neppure una novità. Tutto vecchio, anzi vecchissimo. Nella scia del suo predecessore Angelino Alfano. La “sorpresa” è che Nitto vuole tirare i cordoni della borsa sulle intercettazioni. Mavalà…per dirla alla Ghedini. Proprio sulle intercettazioni dobbiamo risparmiare? Quelle che, ancora in queste settimane, stanno svelando come la corruzione si annida tra i partiti e il patto scellerato politica-affari è ancora così stretto?
Eh sì, è lì che bisogna centellinare l’euro. Nitto cita uno studio di Alfano in base al quale risulta che si potrebbe scendere, nella spesa per gli ascolti, da 300-400mila a 120mila. Lui assicura anche che il potere di investigare resterebbe intatto.Sappiamo bene che ciò è impossibile. L’obiettivo delle ricerche commissionate dall’attuale segretario del Pdl, e quello della sua legge, che a fine settembre sarà in aula alla Camera e sarà votata, è di ridurre drasticamente il potere dei pm di chiedere ascolti. A quel punto, è evidente, un risparmio ci sarà perché non ci sarà più neppure la possibilità di registrare le telefonate. Addio inchiesta P4, visto che il pm dovrà estenuarsi nella richiesta di continue proroghe, di 15 in 15 giorni. Che, merita ricordarlo, non saranno più esaminate dal singolo gip, ma da un tribunale collegiale. E se la procura è situata in un piccolo centro, esse dovranno “viaggiare” verso il capoluogo del distretto. Provate a immaginare quanto tempo si perderà mentre l’intercettato continua a delinquere.
Beh, certo, se l’obiettivo di Nitto è far calare la popolazione carceraria, anche la mannaia sulle intercettazioni può tornare utile. Meno ascolti, meno reati scoperti, meno richieste di custodia cautelare, meno carcere. Ci viene il dubbio che non fosse questo l’obiettivo di Napolitano quando ha chiesto un impegno serio del Parlamento sul sovraffollamento dei penitenziari. Nitto non è favorevole all’amnistia (salvo lasciare spiragli qualora, vedi caso, Berlusconi decida che l’amnistia gli piace). Marco Pannella e i Radicali si battono solo per quella. Nitto contro propone una nuova svuota-carceri, che metta ai domiciliari coloro che devono scontare ancora due anni di pena. Un tampone, l’ennesimo, reso necessario dalla politica securitaria di questo governo e della Lega. Contro gli immigrati, soprattutto, i più deboli, i più indifesi, che certo non hanno un Ghedini che li difende. Accetterà il Carroccio, con l’aria di elezioni che soffia, di votare una nuova svuota carceri? Il dubbio è lecito. Ma stia tranquillo Napolitano. E Pure Pannella. Tagliate le intercettazioni, di certo, in galera ci andrà meno gente. Soprattutto della casta.

DA - http://milella.blogautore.repubblica.it/2011/08/15/intercettaziini-lo-scoop-di-nitto/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Quello che non doveva accadere
Inserito da: Admin - Settembre 13, 2011, 04:56:48 pm
13
set
2011

Liana MILELLA

Quello che non doveva accadere

Non ci si doveva arrivare. E invece ci si è arrivati. A pronunciare la parola “accompagnamento coatto”. Ovviamente del premier Silvio Berlusconi all’interrogatorio con i magistrati di Napoli che indagano sull’estorsione di cui lui sarebbe vittima. L’abbiamo scritto. Il comportamento del presidente del Consiglio dovrebbe essere di esempio per tutti gli altri cittadini. Egli, se chiamato dai giudici, dovrebbe precipitarsi da loro.   Addirittura prevenirne i passi. Di certo non sottrarsi. Invece è proprio questo che è avvenuto e sta avvenendo. Il Cavaliere scappa in Europa, dopo aver sollecitato un incontro che poteva essere tenuto in qualsiasi altro momento, si rifugia dietro un memoriale scritto dai suoi avvocati, evita domande potenzialmente imbarazzanti. Alla fine costringe i magistrati della procura di Napoli a fare la “voce grossa”, a offrirgli altre quattro date, domenica compresa, e poi a parlare, qualora Silvio si nasconda ancora, di un possibile “accompagnamento coatto”. Senza volerlo, o meglio costretti da lui, quei pm  stanno facendo il gioco di Berlusconi, il quale potrà ancora giocare la parte della vittima di fronte agli italiani. Lui contro le toghe che lo perseguitano, nonostante sia la vittima di un’estorsione. Ma proprio sta qui il punto: perché il premier ha versato all’imprenditore barese Tarantini, quello che portava le escort a palazzo Grazioli e a villa Certosa, quasi un milione di euro? Non ci racconti che aiutava una famiglia in difficoltà, perché è una tesi non sostenibile, né credibile. Ma soprattutto: si sieda davanti ai giudici e si faccia fare tutte le domande che essi ritengono necessarie. Se non altro per risparmiare tempo, quello che adesso sta perdendo e che invece dovrebbe spendere concentrandosi sulla disastrosa situazione economica dell’Italia.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2011/09/13/quello-che-non-doveva-accadere/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA La brutta fine di Nitto
Inserito da: Admin - Ottobre 12, 2011, 12:07:33 pm
10
ott
2011

La brutta fine di Nitto

Liana MILELLA

Ci sono tanti modi per finire una carriera. Nitto Palma, il Guardasigilli, ha scelto la peggiore. Lui, magistrato appena uscito dalla carriera per fare il ministro, va contro i suoi ex colleghi magistrati. Lo fa per ordine del suo padrone, il Cavaliere. Ispettori inviati nelle città dove ci sono le inchieste sul Cavaliere. Dove si valuta e si soppresa il suo destino giudiziario. Quegli ispettori a Bari e a Napoli rappresentano un’ingerenza oltre ogni confine e oltre ogni misura. Sono il segno che si è perso il senso delle istituzioni,  la conferma che, con Berlusconi al potere, la sfera del potere esecutivo vuole avere la meglio sull’ordine giudiziario, pregiudicandolo del tutto. Con ogni mezzo. L’allarme non può che essere grande e profondo.

DA - http://milella.blogautore.repubblica.it/?ref=HREC1-5


Titolo: LIANA MILELLA Un vertice sulle intercettazioni. B. vuol riaprire la partita
Inserito da: Admin - Ottobre 13, 2011, 12:07:38 pm
Il caso

Un vertice sulle intercettazioni

Berlusconi vuol riaprire la partita

Incontro tra alcuni big del Pdl per riprendere in mano il ddl. Possibile anche l'utilizzo della fiducia per far passare le norme.
Berlusconi: "Se andiamo alle elezioni voglio stare tranquillo".

Ieri terzo sit in al Pantheon. "La frenata merito della protesta, ma non ci fidiamo"

di LIANA MILELLA

ROMA - In piazza del Pantheon si plaude allo stop sulle intercettazioni. Grida Di Pietro: "Legge da mafia fascista". Fammoni della Cgil: "Senza rinvio avremmo annunciato una grande manifestazione per coinvolgere cento città e mille blog". Natale della Fnsi: "Ha contato quel 57% di italiani del referendum".

Giulietti di Articolo 21: "Ci riproveranno, non fidatevi". Profezia che si avvera di lì a pochissimo. La riunione a Palazzo Chigi tra Letta, Palma, Ghedini, Cicchitto, Costa, Paniz, Contento - che doveva tenersi 48 ore fa ed era stata cancellata dal programma dopo la débacle in aula - torna all'improvviso d'attualità. Prima la convocano per martedì prossimo. Poi l'anticipano a oggi. È il segno che Berlusconi non ha affatto deciso di mollare sulle intercettazioni. Anzi vuole andare avanti se supera l'ostacolo della fiducia alla Camera.

È una sorpresa, ovviamente. In piazza non lo sanno ancora, anche se tutti si lasciano con il reciproco invito alla "costante vigilanza". E ce n'è ben d'onde. Perché, a quanto riferiscono buone fonti del Pdl, il Cavaliere, ancora l'altra sera nel summit post sconfitta, ha detto ai suoi: "Le intercettazioni devono essere il primo provvedimento che approviamo. Con la fiducia se serve. Soprattutto se andiamo subito alle elezioni voglio stare tranquillo e non voglio paginate di conversazioni sui giornali. Ho bisogno di impostare una campagna mediatica che non deve essere disturbata dalle procure".

Questo spiega la grande accuratezza con cui il relatore Enrico Costa ha continuato a lavorare sulle ultime modifiche. Un lungo confronto con il collega Manlio Contento. Telefonate con il Guardasigilli Nitto Palma e con Niccolò Ghedini. Emendamenti pronti. Che, sostiene Costa, "non potranno che mettere in difficoltà l'Udc, perché voglio proprio vedere come potranno bocciare l'ipotesi di un'udienza-filtro che è migliore di quella della Bongiorno. O ancora l'autorizzazione alle proroghe da parte di un solo giudice che proprio loro hanno proposto. O il fatto che il carcere per i giornalisti diventa oblabile".

E ancora la previsione di Costa sui voti segreti: "Sono certo che sulle intercettazioni prenderemo molti voti in più dei nostri". Il suo ottimismo è contemperato da chi, come il capogruppo Fabrizio Cicchitto, insiste per evitare una conta pericolosa sulle intercettazioni. Una rinuncia per evitare un braccio di ferro che andrebbe a discapito della prescrizione breve.

(13 ottobre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/10/13/news/ddl_intercettazioni-23137857/


Titolo: LIANA MILELLA Fine delle leggi ad personam
Inserito da: Admin - Novembre 06, 2011, 11:54:40 pm
5
nov
2011

Liana MILELLA

Fine delle leggi ad personam

Se  un volpone politico come Verdini consiglia a Berlusconi di mollare, allora vuol dire che la stagione del berlusconismo rampante è proprio finita. E se così è, questa è una grande notizia anche per le toghe, e per tutti i partigiani delle toghe. Quelle “buone”, ovviamente, quelle che lavorano, e ce ne sonio tante. E’ una buona notizia perché vuol dire che sta per andare definitivamente in archivio anche la stagione delle leggi ad personam. Anche le ultime rimaste in piedi, le intercettazioni, la prescrizione breve, il processo lungo, tutte e tre in agguato per aggiudicarsi uno spazio parlamentare.  Anche se al posto di Berlusconi a palazzo Chigi andasse Letta, e l’ipotesi non pare sufficientemente corroborata, e si ampliasse il governo all’Udc, comunque gli spazi politici per votare leggi che riguardabno gli affari giudiziari del premier non ci sarebbero più.

Dunque è finita. Niente bavaglio sulle intercettazioni. Magistrati e poliziotti potranno continuare a mettere sotto controllo, per tutto il tempo che serve, i telefoni di persone che potenzialialmente delinquono. Noi giornalisti potremo continuare a pubblicare le conversazioni, come abbiamo fatto noi di Repubblica con i nastri di Lavitola fornendo un incredibile spaccato dei costumi morali e politici dei berluscones. Niente censure, la cronaca giudiziaria continuerà a vivere.

Andrà avanti il processo Mills. Probabilmente fino alla sentenza di primo grado. Non lo colpirà quella prescrizione anticipata che Berlusconi perseguiva con la norma che avrebbe concesso uno sconto a chi era incensurato. Norma catastrofica, e che avrebbe fatto infuriare la nostra signora Maria, uno delle più assidue e severe commentatrici di questo blog, perché avrebbe negato giustizia, magari per una manciata di mesi, a tanti cittadini, oltre al Cavaliere.

Andranno avanti regolarmente anche gli altri processi di Berlusconi. Non sarà approvato il processo lungo, mix micidiale di due norme – divieto di usare le sentenze definitive e giudici obbligati ad accettare le liste testi degli avvocati – che avrebbe enormemente favorito il premier e garantito ai suoi due avvocati, Ghedini e Longo, di scatenarsi in aula. Niente da fare. Tutto in archivio.

Una data importante, da cerchiare in rosso sul calendario. Un de profundis per una brutta stagione, in cui ha brillato il coraggio di chi si è opposto a viso aperto alle richieste del presidente del Consiglio. Un caso esemplare è quello di Giulia Bongiorno, avvocato, finiana, presidente bipartisan della commissione Giustizia, che sulle intercettazioni gli ha letteralmente “dato il tormento” e ha fermato la legge. C’è da augurarsi che in futuro si torni a parlare dei problemi della giustizia, quelli veri.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Emma Bonino potrebbe entrare nell'esecutivo
Inserito da: Admin - Novembre 12, 2011, 12:15:16 pm
LA SQUADRA

Economia, Monti pensa all'interim e per il Welfare spunta Dell'Aringa

Il ministro della Giustizia scelto tra gli ex della Consulta. Ancora da definire le caselle di Interno e vicepresidenza.

I "politici" Letta e Amato più lontani. Emma Bonino potrebbe entrare nell'esecutivo

di LIANA MILELLA


ROMA - Il vento dei tecnici spazza via i politici. E marginalizza e tiene lontano dal nuovo governo le risse intestine tra le correnti del Pdl. Nessuna riconferma, via pure Frattini dagli Esteri, ma aria nuova, personaggi di alto livello dell'economia (Bini Smaghi, Dell'Aringa), delle istituzioni (De Siervo e Mirabelli), delle gerarchie militari (Mosca Moschini). A questo puntano Napolitano e Monti, un esecutivo inappuntabile, che ricostruisca l'immagine dell'Italia e la "venda" al meglio sullo scenario europeo e internazionale. Questa è la logica. Questo porta in primo piano una manciata di nomi del tutto sottratti alle alchimie dei partiti - Pdl, Pd, Terzo polo - che pure in Parlamento reggeranno le sorti numeriche del nuovo governo.

Un flash per chi esce definitivamente di scena. Di Franco Frattini alla Farnesina s'è detto, al suo posto si ipotizza di mettere l'attuale segretario generale Giampiero Massolo. "Scatoloni pronti", come lui stesso annuncia, per Nitto Palma in via Arenula. Per la poltrona finita nel tritacarne delle leggi ad personam per responsabilità del Cavaliere, si lavora a una figura nettamente al di sopra di ogni sospetto. La soluzione caldeggiata è quella di un presidente della Corte costituzionale. Un nome gettonato è quello di Ugo De Siervo, che ha lasciato il palazzo antistante il Quirinale solo da pochi mesi. In alternativa c'è chi ipotizza un incarico per Cesare Mirabelli, ex della Consulta e anche del Csm. Crollano le chance anche per Raffaele Fitto, oggi agli
Affari regionali, o per la new entry Maurizio Lupi, oggi numero due della Camera. In casa Pdl si tira quasi un sospiro di sollievo perché solo l'assenza di nomine garantisce uno stop alle faide incrociate e mette fine a uno scontro che rischia di mandare in pezzi tutto il partito.

E passiamo alle novità assolute, a quelle in parte già circolate ma che si stabilizzano, al difficile nodo dell'economia che vede il lizza più di un nome di prestigio. È una sorpresa quello di Antonio Catricalà, oggi presidente dell'Antitrust, come candidato alle Attività produttive. È inedita la soluzione, per il ministero della Difesa, di Rolando Mosca Moschini, oggi consigliere militare di Napolitano, ma anche ex comandante generale della Guardia di Finanza e soprattutto componente, per l'Italia, del comando militare dell'Unione europea. Nuova carta anche per il ministero del Welfare, dove perde peso la candidatura dell'attuale segretario della Cisl Raffaele Bonanni, per lasciare spazio a Carlo Dell'Aringa, noto economista della Cattolica. Si consolida il nome dell'oncologo Umberto Veronesi per la salute.
Al Quirinale, per la Giornata per la ricerca sul cancro, a chi lo ha avvicinato e gli ha chiesto conferma dei pronostici, lui ha risposto così: "Non vedo, non sento, non parlo. Sono come la famosa scimmietta". Nessuna indiscrezione anche dalla radicale Emma Bonino che pure al Senato ha incontrato e salutato affettuosamente Monti. Potrebbe essere suo il ministero delle Politiche comunitarie visto che in Europa, giusto ai tempi di Monti, come commissaria aveva quell'incarico.
E siamo al dicastero di via XX settembre, quello di più difficile attribuzione. Per il secondo giorno consecutivo non viene smentito che il futuro premier Monti potrebbe tenere per sé l'interim. Per legare qualsiasi decisione, anche impopolare, al prestigio del suo nome. In alternativa c'è la carta di Lorenzo Bini Smaghi, reduce dalla rinuncia al board della Bce, quella di Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia, e quella di Corrado Passera, amministratore delegato di Bancaintesa.

Restano in alto mare i nodi di più difficile soluzione, la vice presidenza e la poltrona di ministro dell'Interno. E qui si giocano le ultime carte di Gianni Letta, che però paiono ormai in scadenza, e di Giuliano Amato. Ma c'è chi, con una forte percentuale, li dà entrambi ormai fuori.

(12 novembre 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/11/12/news/totoministri_milella-24882012/


Titolo: LIANA MILELLA Cinque punti per la Severino
Inserito da: Admin - Novembre 19, 2011, 11:18:05 am
16
nov
2011

Liana MILELLA

Cinque punti per la Severino

Benvenuta ministro Severino. Con lei contiamo stia già entrando aria nuova in via Arenula. Aria femminile innanzitutto. E aria aliena dalle leggi ad personam e da commistioni e interessi di qualsiasi tipo.

Non abbiamo dubbi che lei, avvocato, vorrà tenere a freno i suoi colleghi avvocati. Scesi in sciopero giusto in queste ore, senza una controparte, per una lunga settimana (non un solo giorno, come rarissimamente fanno le toghe), lanciando offese a destra e a manca, incuranti del dramma che sta vivendo il Paese. Lei li richiamerà all’ordine e al senso di responsabilità?

Non abbiamo dubbi che rifletterà sulle ispezioni in corso a Napoli e a Bari, promosse dal suo predecessore Nitto Palma, nelle città dove sono in corso indagini sull’ex premier Berlusconi. Lei le cancellerà?

Non abbiamo dubbi che metterà mano allo staff dell’intero ministero. Con un intervento che s’impone come prioritario. Sostituire il capo degli ispettori  Arcibaldo Miller che, come ha dimostrato il Csm in un’archiviazione che suona come una condanna, non garantisce la trasparente indipendenza necessaria per un simile incarico.Lei lo manderà via e ne prenderà un altro?

Non abbiamo dubbi che si prenderà subito in carico, con i fatti e non con le semplici dichiarazioni, la questione delle carceri, dove i morti per suicidio sono arrivati a quota 58.  Dove si vive pressati come sardine. Dove il recupero è ormai una beffa. Lei lavorerà per renderle più vivibili?

Non abbiamo dubbi che comincerà subito a stilare l’elenco delle leggi ad personam sulla giustizia che, da subito, possono essere cancellate. Partendo innanzitutto dal ritirare gli ultimi progetti, tuttora cari a Berlusconi, come le intercettazioni, la prescrizione breve, il processo lungo, che giacciono in Parlamento. Pronti in agguato  per essere rimessi in pista. Lei, ci dia retta, li butti definitivamente nel cestino.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA "La corruzione dilaga cambiamo subito le leggi"
Inserito da: Admin - Dicembre 28, 2011, 05:52:12 pm
 
L'INTERVISTA

"La corruzione dilaga cambiamo subito le leggi"

Giampaolino, presidente della Corte dei Conti ritiene necessario "rinforzare" il falso in bilancio. "Non servono interventi episodici, soltanto repressivi, la lotta deve essere sistemica"

di LIANA MILELLA


ROMA - L'Italia, nella lotta alla corruzione, che "inquina e distrugge il mercato, non arriva alla sufficienza". È drastico il giudizio di Luigi Giampaolino, dal luglio 2010 presidente della Corte dei conti. Che non vede, innanzitutto, "un vero, reale, profondo, sostanziale rivolgimento morale" rispetto alla "mala amministrazione".

La sua esperienza al vertice della Corte, ma prima ancora all'Authority dei Lavori pubblici, la rende un testimone prezioso sul fronte della corruzione. Se oggi dovesse dare un voto all'Italia sulla lotta al fenomeno quanto le darebbe?
"Meno della sufficienza, perché si è proseguito sostanzialmente con un'azione, peraltro episodica, soltanto repressiva. La lotta alla corruzione dev'essere invece di sistema. Essa deve iniziare dalla selezione qualitativa e di merito degli operatori, sia pubblici che privati. Proseguire con il controllo e la vigilanza sul loro operato. Concludersi valutando i risultati. Tutto ciò che fuoriesce da questo schema genera mal'amministrazione e corruzione: anzi, è esso stesso mal'amministrazione e corruzione".

In questi anni cos'è successo? La corruzione è aumentata, è diminuita, è rimasta stabile?
"É una domanda alla quale non si può rispondere, con apprezzabile precisione in via quantitativa. L'impressione è che sia rimasta stabile, soprattutto perché non si avverte un reale, profondo, sostanziale rivolgimento morale; l'onestà,
in ogni rapporto anche privato; la valenza del merito; l'etica pubblica; il rispetto del denaro pubblico e di tutte le risorse pubbliche, che sono i beni coattivamente sottratti ai privati e dei quali si deve dar conto".

Ha avvertito nella pubblica amministrazione e nelle imprese da una parte, nei governi dall'altra, un cambio di sensibilità?
"La pubblica amministrazione, anche a seguito della crisi economica, sembra che miri ad avere maggiore consapevolezza della situazione di privilegio in cui talvolta si trova. Quanto alle sue funzioni, ancora non si è realizzata una più rigorosa selezione nella provvista e la garanzia di vagliate e consolidate professionalità, che sono tra i primi antidoti contro la corruzione nei pubblici apparati. Le imprese sembrano avere maggiore consapevolezza della portata disastrosa della corruzione per l'economia in generale, e di conseguenza per esse stesse. Non va dimenticato che la corruzione fa prevalere quelle peggiori, inquina la concorrenza, peggiora, se non distrugge, il mercato".

Gli articoli che puniscono corruzione e concussione, ma anche il falso in bilancio e i reati connessi, sono adeguati o andrebbero rivisitati?
"Andrebbero rivisitati, avendo a parametri non tanto il bene e il prestigio della pubblica amministrazione, ma i valori costituzionali, in particolare gli articoli 97 (buona amministrazione, ndr.) e 41 (libertà d'impresa, ndr.). Indicazioni giunte, per la verità, dalla stessa dottrina penalistica fin dagli anni '70, ma rimaste per buona parte inattuate nella riforma dei reati della pubblica amministrazione. In particolare, la fattispecie del falso in bilancio andrebbe ripristinata in tutta la sua portata di tutela di beni fondamentali dell'economia e di sanzioni di comportamenti che ledono".

Dall'Europa viene spesso la raccomandazione a modificare la prescrizione, i cui termini sono troppo stretti per perseguire reati complessi e "nascosti" come la corruzione. Lo trova un allarme necessario?
"É senza dubbio giusto".

La Ue e l'Onu hanno approvato convenzioni internazionali che l'Italia tarda a ratificare. Se ne può fare a meno?
"É un grave errore, soprattutto perché da lì arrivano modelli vincenti di lotta alla corruzione. Non misure solo repressive, ma accorgimenti organizzativi delle strutture pubbliche e delle imprese private, come nel caso del decreto legislativo 231 del 2007 sulla responsabilità amministrativa delle imprese, emanato proprio per attuare una convenzione internazionale. Ma è soprattutto con i rimedi organizzativi interni alla pubblica amministrazione che occorre agire. Ciò che, per la verità, già in parte persegue il disegno di legge sull'anticorruzione, ora in discussione alla Camera".

Non trova anomalo che quel ddl, dopo due anni, non sia stato ancora approvato?
"Senza dubbio è un ritardo da lamentare e in più di un'occasione, nelle mie audizioni in Parlamento, me ne sono lamentato".

Il contenuto della legge è sufficiente?
"Non lo ritengo tale nell'ultima versione frutto dei lavori in commissione. Occorre una rigenerazione fondata sul merito e sulla professionalità delle pubbliche amministrazioni. Serve un'effettiva, indefettibile, concorrenza, nel mercato. Ci vogliono una generale trasparenza, un'estesa dotazione di banche dati, una seria vigilanza ed efficaci controlli".

Il neo ministro della Giustizia Paola Severino propone di introdurre la corruzione tra privati all'interno dell'impresa. Utile o superfluo, visto che le leggi già esistenti vengono aggirate?
"Sono d'accordo col Guardasigilli, dal momento che le imprese devono essere chiamate, con le loro responsabilità, a ovviare ai grandi fenomeni corruttivi".

Che ne pensa dell'Authority anticorruzione proposta da Francesco Greco?
"Dovrebbe essere oggetto di attenta meditazione. Le Autorità, per essere efficaci, hanno bisogno di una riflessione ordinamentale e di efficaci poteri d'intervento e di sanzioni. La corruzione è un male che pervade tutto il sistema e quindi, solo con il concorso di tutte le Istituzioni, può essere combattuta".

Fu negativo abolire l'Alto commissariato? Serviva, o era solo un carrozzone?
"Vorrei astenermi dall'esprimere un giudizio sulla sua utilità. C'è, innanzitutto, la pubblica amministrazione che deve essere richiamata ai suoi alti compiti e alla sua vera essenza. C'è la Corte dei conti, nella sua struttura centrale e in quella ramificata in ogni Regione, che deve essere modernizzata e potenziata. C'è il giudice penale, con le sue estreme sanzioni che avrebbero bisogno, però, di un processo che le rendesse realmente efficaci".

Un ultimo quesito. L'Italia affronta un drastica manovra economica. Era necessario inserirci un duro capitolo sull'evasione fiscale?
"La manovra, in tutte e tre le scansioni succedutesi quest'anno, è molto fondata sulle entrate e su un rilevante aumento della pressione fiscale. La lotta all'evasione rientra in una tale strategia, anche se non va dimenticato che quanto più viene elevata la pressione fiscale, tanto più vi è pericolo d'evasione. É necessario pertanto spostare l'attenzione anche su altri fattori della struttura economica. Il problema strutturale rimane quello della spesa pubblica e di una riduzione qualitativa della stessa. Una "dura" lotta all'evasione fiscale presuppone sempre, come contro partita, una severa attenzione su come si spendono i soldi pubblici e la certezza che vi sia un'eguale osservanza di tutti gli altri obblighi costituzionali che contornano, se non addirittura sono il presupposto, di quello previsto dall'articolo 53 della Costituzione, l'obbligo per tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva".

(27 dicembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/12/27/news/corruzione_giampaolino-27247218/


Titolo: LIANA MILELLA Severino, che peccato…
Inserito da: Admin - Gennaio 18, 2012, 12:21:01 pm
Laudati, Anm tardiva ma giusta

17
gen
2012

Liana MILELLA

Severino, che peccato…

Dice lei, alla Camera: “E’ un segnale importante”. Si riferisce, il Guardasigilli Paola Severino, al fatto che i componenti del governo – Pdl, Pd, Terzo polo – hanno deciso di sottoscrivere la sua relazione di quasi 30 pagine sullo stato della giustizia in Italia. Solo un “visto, si approvi”. Nulla di più. Nemmeno due righe. Neppure un commento. Senza entrare nel merito.

Né avrebbero potuto. Nonostante la Severino, ben conscia di manovrare materia incandescente, abbia fatto di tutto per non sollevare la minima opposizione. Non quella del Pdl, ché nel testo non c’è una sola riga sulle leggi ad personam e sugli effetti catastrofici che esse hanno avuto. Basta sentire quanto affermano, a distanza di un chilometro in linea d’aria, al residence di Ripetta, magistrati del calibro di Piero Grasso, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Giuseppe Pignatone. Protagonisti di una grande stagione di indagini sulla mafia e sulla corruzione. L’Anm di Luca Palamara li ha riuniti per discutere della corruzione, annessi e connessi, e loro parlano chiarto, niente “politichese”, dicono che la situazione di oggi è frutto di leggi sbagliate, come la sostanziale cancellazione del falso in bilancio e la prescrizione abbassata in versione Cirielli. Si augurano, loro, che si volti pagina, che si torni all’antico, che si diano “ai magistrati gli strumenti per indagare”.

Ma nella relazione della Severino non c’è nulla di tutto ciò. Né potrebbe esserci, in una stagione politica dove comanda ancora il Pdl che proprio quelle leggi ammazza giustizia ha voluto per salvare il suo capo. Tant’è che tra una manciata di giorni, per effetto proprio della Cirielli, si prescrive il processo Mills. All’opposto, c’è addirittura la beffa che, per evitare di dividersi e di spaccare la maggioranza, ci si limita a quel “visto, si approvi”. Perché a voler scrivere una documento, anche breve, ecco che il Pdl chiederebbe di infilarci dentro le intercettazioni, e pure il processo breve e quello lungo. All’opposto, il Pd si vedrebbe costretto a chiedere che non solo non si parli di intercettazioni, ma come ha detto Donatella Ferranti in aula, che si dica che proprio per colpa di quelle leggi adesso “le carceri esplodono”.

Contraddizione nella contraddizione. L’unico applauso esplicito del Pdl per la Severino scroscia quando lei si proclama contro la carcerazione preventiva, cita i 28mila detenuti in attesa di giudizio. Batte le mani Alfonso Papa, che poi la critica per la soluzione delle celle di sicurezza in luogo del carcere. E non basta. Quando la Severino sembra quasi lì lì per dare un parere positivo sulla mozione dell’Idv, che fa l’elenco delle leggi ad personam, tocca al Pd legarle le mani.

Tutti insieme, davvero, solo nel dire no all’amnistia. Quella la vogliono solo i Radicali. Quanto al resto, solo un sì di facciata. Raccontano che l’ex Guardasigilli Angelino Alfano, nel leggere il testo del suo successore, abbia detto: “Parla come ho parlato io”. Soddisfatto che la Severino gli riconosca dei meriti nel calo di processi nel civile e nell’avvio della mediazione, anch’essa civile. Pubblicamente lo dice Enrico Costa. La loro soddisfazione è il tormento del Pd. Ma tant’è. Questa non è di sicuro la stagione delle grandi riforme della giustizia per cancellare le leggi e leggine di Berlusconi. Lo sanno tutti, anche Bersani.

Scritto martedì, 17 gennaio 2012 alle 17:56

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2012/01/17/severino-che-peccato/


Titolo: LIANA MILELLA Prescrizione, ricatto Pdl
Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2012, 06:27:39 pm
26
gen
2012


Prescrizione, ricatto Pdl

Liana MILELLA

Inutile girarci intorno. La prescrizione e i suoi tempi sono uno snodo fondamentale per la giustizia, ma anche per il governo. Ce la farà il Guardasigilli Paola Severino a sciogliersi dall’abbraccio mortale del Pdl? Questo è l’interrogativo che oggi circolava con insistenza in Cassazione dove, nel corso dell’apertura dell’anno giudiziario, s’è registrata un’importante convergenza tra il vice presidente del Csm Michele Vietti e il primo presidente della Suprema Corte Ernesto Lupo.

Stessa proposta sulla necessità di allungare i tempi della prescrizione, proprio come l’Europa ci ha chiesto più volte. A Repubblica, in un’intervista, lo ha dichiarato Vietti, ipotizzando, come avviene in molti paesi europei, che la prescrizione smetta di “correre” quando il giudice dà il via al processo. Lupo ha espressamente citato l’intervista di Vietti, ha ricordato le critiche della Ue, ha sollecitato un intervento rapido sulla prescrizione.

Oggi si prescrivono, in media, 169mila processi all’anno, tempo e fatica sprecati per le forze dell’ordine e per la magistratura, che indagano inutilmente. Tutti i magistrati, anche quelli più esperti come Davigo e Greco, dicono che, soprattutto per la corruzione, tempi così stretti valgono quanto un’immunità permanente.

Alla Camera sta per ripartire l’iter del ddl anti-corruzione. E’ ora che il governo dica da che parte sta. C’è un solo modo per farlo: presentare un emendamento a questo ddl per “sposare” la proposta Vietti e allineare l’Italia ai paesi più evoluti. Salvo che, nel governo, non sia il Pdl, che nel 2005 volle e varò la Cirielli che accorciava i tempi di prescrizione, a dettare sempre e solo legge.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2012/01/26/prescrizione-il-ricatto-del-pdl/


Titolo: MILELLA - Addio a tutti i reati più piccoli saranno archiviati senza processo
Inserito da: Admin - Febbraio 22, 2012, 11:49:42 am
IL DOSSIER

Addio a tutti i reati più piccoli saranno archiviati senza processo

La Camera sta per modificare il codice di procedura penale per dire basta ai procedimenti contro i "mini crimini".

Così i "fatti di particolare tenuità" come microfurti, liti e ingiurie non saranno più perseguiti: ma la modifica non riguarderà recidivi e delitti gravi

di LIANA MILELLA


ROMA - Piccoli reati addio. Archiviati dal giudice senza arrivare al processo. Niente più primo, secondo, terzo grado. Un decreto per dire che non hanno né il peso né il valore per meritare ore di dibattimento. Proprio perché sono piccoli e occasionali reati. Perché hanno un valore economico modesto. Perché possono essere "perdonati". Alla Camera stanno per approvare un nuovo articolo del codice di procedura penale, il 530bis, il "proscioglimento per particolare tenuità del fatto". Il relatore, il pd Lanfranco Tenaglia, fa l'esempio del furto della mela: "Se la rubo in un supermercato è un furto, ma il danno per il proprietario è tenue. Ma se la rubo alla vecchietta che ne ha comprate tre, quel fatto non sarà tenue". La Lega lo ha già battezzato legge "svuota-processi" dopo quella svuota-carceri. Ribatte la pd Donatella Ferranti: "È un articolo rivoluzionario, una pietra miliare sulla via della depenalizzazione". Basta leggere il testo: "Il giudice pronuncia sentenza di proscioglimento quando, per le modalità della condotta, la sua occasionalità e l'esiguità delle sue conseguenze dannose o pericolose, il fatto è di particolare tenuità". Chi commette reati di frequente è fuori. Fuori rapine, omicidi, sequestri, violenze sessuali. Il giudice archivia e avvisa la parte offesa che può utilizzare il decreto per rivalersi in sede civile.

Furto al supermercato
Di un capo di biancheria, reggiseno, slip, maglietta intima. Forzando e sganciando la placchetta anti-taccheggio. Il ladro viene scoperto e fermato. Il suo, codice alla mano, è un furto aggravato con violenza sulle cose, a stare agli articoli 624 e 625 del codice penale la persona rischia da uno a sei anni. Ma il giudice prende in mano il caso, valuta innanzitutto l'esiguo valore dell'oggetto portato via, poi si documenta e soppesa la personalità e la storia del soggetto che ha commesso il furto. Scopre che si tratta della prima volta. Il suo non è un reato abituale. Decide di archiviare per la "tenuità del fatto".

Assegni trafugati
Un commerciante in difficoltà economiche e strozzato dagli usurai incassa un assegno di cento euro senza andare troppo per il sottile. Lo riutilizza pagando un fornitore. Purtroppo l'assegno arriva da un furto e il commerciante rischia, come ricettatore e in base all'articolo 648 del codice penale, da due a otto anni di reclusione. Ma se davanti al giudice riesce a dimostrare la sua buona fede, rivela le sue difficoltà, documenta che nella sua vita professionale non è mai incorso in un simile incidente, potrà evitare il processo e ottenere un'archiviazione.

I beni pubblici
Telefonate private di due dipendenti da un ministero di Roma. Nel quale è in corso un'inchiesta proprio per evitare questi abusi. Il primo chiama una volta New York perché suo figlio, che vive lì, è gravemente malato. Il secondo telefona ogni giorno, e a lungo, alla fidanzata che vive a Milano. Il codice, all'articolo 314, punisce il peculato dai tre ai dieci anni. La prima persona potrà fruire di un'archiviazione perché il suo è un "piccolo" reato, una sola chiamata e per ragioni gravi. Il secondo andrà incontro al suo processo perché abusa quotidianamente e di nascosto di un bene pubblico.

Lite di condominio
In un appartamento vive una coppia di coniugi. In quello accanto un gruppo di studenti che spesso invitano gli amici e si divertono fino a notte fonda. Un giorno, dopo l'ennesima nottata, scoppia una lite furibonda in cui volano parole grosse e si arriva alle mani. I vicini si allarmano e chiamano la polizia. Scatta una denuncia per minaccia e violenza privata contro i coniugi. Il 612 prevede il carcere fino a un anno e la procedibilità d'ufficio. Passa qualche giorno e i ragazzi chiedono scusa. Il fatto è isolato, occasionale, non ha precedenti. Il giudice archivia pure questo "piccolo" reato.

Armi dimenticate
Un fucile vecchio, ma funzionante, scoperto in soffitta dalla polizia durante un controllo. Ma il proprietario della casa dice di non saperne niente, poi si ricorda che quel fucile era di suo padre, che aveva un regolare porto d'armi e aveva fatto regolare denuncia. Alla sua morte il figlio non si è più ricordato del fucile chiuso in un baule. La sua è detenzione illegale d'armi punibile da uno a otto anni in base alla legge 895 del 1967 poi modificata da quella del 1974, la 497. Rischia l'arresto in flagranza. Ma se dimostrerà la buona fede e proverà d'aver davvero "dimenticato" il fucile lasciandolo inutilizzato, potrà ottenere un'archiviazione.

Guida in stato di ebbrezza
Un giovane manager va a cena a casa di amici che abitano poco lontano da lui. Tre isolati in tutto. Usa l'auto perché sa che rientrerà tardi. Durante la serata beve un paio di bicchieri di vino e un paio di whisky. Al ritorno, quando sta per arrivare sotto casa, viene fermato da una volante che lo sottopone alla prova del palloncino. Che risulta positiva. In base al codice della strada rischia il sequestro dell'auto, la revoca della patente, il processo. Ma se non ha infranto il codice della strada né provocato incidenti e se il fatto è isolato può usufruire dell'archiviazione.

La diffamazione
Il giornalista scrive un articolo su un personaggio pubblico riportando nel suo pezzo una citazione dal pezzo di un suo collega che contiene una ricostruzione, peraltro non smentita, ma giudicata falsa e diffamatoria solo quando essa viene riportata, per citazione, in questo articolo. L'articolo 595 del codice penale sulla diffamazione infligge una pena da sei mesi a tre anni. Ma se il giornalista può dimostrare che riteneva la fonte attendibile, che non aveva un intento persecutorio nei confronti del destinatario dell'articolo, che il suo curriculum professionale è immacolato, il giudice può archiviare la sua posizione.

Ingiuria aggravata
Due colleghi, di fronte ad altri dello stesso ufficio, litigano per il possesso di una scrivania. S'insultano malamente ("Sei un cornuto..." dice uno all'altro, "tua moglie è una grande p..." risponde l'altro), arrivano alle mani, parte un cazzotto che colpisce a un occhio uno dei due. È un caso classico di ingiuria aggravata, punita dal 594 del codice penale con una pena fino a un anno di carcere. Ma se, di fronte ad altri testimoni che possono provare l'autenticità del fatto, i due si riappacificano veramente, il giudice può valutare l'opportunità di un'archiviazione.

(22 febbraio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/02/22/news/addio_piccoli_reati-30294883/?ref=HREC1-64


Titolo: LIANA MILELLA - Il ministro della Giustizia: Il guadagno non è un imbarazzo...
Inserito da: Admin - Febbraio 23, 2012, 11:37:50 am
L'INTERVISTA

"Il guadagno non è un imbarazzo con le mie tasse si costruisce un ospedale"

Il ministro della Giustizia prima nella classifica dei redditi del governo parla del suo rapporto con il denaro. "La voglia di trasparenza dei cittadini è legittima. Era dunque necessario soddisfarla. La trasparenza però non si deve trasformare in gossip. Sognavo i soldi solo per viaggiare"

di LIANA MILELLA

ROMA - Il ministro più ricco, lei donna che batte tutti gli altri colleghi maschi, mangia trafelata. Avvocato da 7 milioni di euro, veste un tailleur blu con camicetta rosa. E sopra ci porta pure un "montiano" loden verde. Il cellulare è zeppo di sms, ma non riesce a rispondere ad alcuno. Le mail intasano la casella in via Arenula. Insulti? "No, non me ne sono arrivati". Il denaro per lei? "Penso che non sia tutto nella vita".

Faccia una confessione. Che cosa ha pensato quando ha saputo che avrebbe dovuto rendere pubblici i suoi beni e le sue dichiarazioni dei redditi?
"A dir la verità lo sapevo fin dall'inizio. Penso che ogni personaggio pubblico debba mettere in conto di poter perdere una parte della propria privacy per assicurare la massima trasparenza sul proprio comportamento".

Neppure per un attimo si è detta "ma chi me lo ha fatto fare"?
"È stata una scelta difficile. Ci ho pensato un giorno e una notte, ma alla fine ho accettato perché questo Paese mi ha dato tanto e quindi ho ritenuto, in un momento così critico, di dover restituire qualcosa".

Eppure, uno magari prova imbarazzo, o quantomeno pudore, a far sapere che guadagna tanti soldi... magari poi il vicino ammicca... o no?
"Pudore sì, perché non ho mai voluto ostentare i risultati economici del mio successo professionale. Imbarazzo no, perché
guadagnare non è un peccato se lo si fa lecitamente, producendo altra ricchezza e pagando le tasse".

Insomma, questo è anche il governo che sta chiedendo tanti sacrifici agli italiani, che vuole spezzare la tradizione dell'articolo 18, e diventa scontato che qualcuno, vedendo che lei può contare su un reddito di 7 milioni, dica "eh certo, bravi questi, è facile far pagare gli altri, tanto loro non hanno problemi"...
"Intanto si tratta di 7 milioni meno 4 milioni. In secondo luogo, i sacrifici degli italiani "per bene" si allevierebbero se tutti pagassero le tasse. Conosco bene i sacrifici di chi lavora. Vengo da una famiglia borghese, dalla quale non ho però ereditato proprietà ma solo insegnamenti. A questi redditi sono arrivata solo dopo anni di duro lavoro, supportato da tanta passione".

Questa esplosione di voglia di trasparenza che c'è nel Paese come la giudica? Un ficcanasare insopportabile? Una violazione della privacy cui ognuno ha diritto, o la giusta e coerente conseguenza dopo tante appropriazioni indebite, tanti scandali, tanta corruzione?
"Penso che la voglia di trasparenza dei cittadini sia legittima. Era dunque necessario soddisfarla. La trasparenza, però, non si deve trasformare in un gossip sulla vita di chiunque. Tra le righe di qualche giornale ho letto delle malsane curiosità su dati che nulla hanno a che vedere con il reddito e il patrimonio".

Lei ha detto qualche giorno fa: "Quando renderò pubblici i miei redditi la gente si renderà conto che ho guadagnato molto ma che ho anche contribuito molto all'economia del Paese". Adesso che risulta il ministro più ricco lo ridirebbe?
"Assolutamente sì. E lo possono dire anche gli italiani, che oggi conoscono l'ammontare di tasse, imposte e contributi che ho pagato nel 2010. Con i miei 4 milioni di euro si potrebbe costruire il padiglione di un ospedale o un edificio scolastico, oppure ampliare un carcere. E si può concretizzare il numero di cose che si potrebbero fare se tutti i cittadini compissero il proprio dovere fiscale".

Lei e il denaro. Che cosa vuol dire averne tanto?
"Ho sempre sognato, compatibilmente con i miei impegni, di viaggiare liberamente. Sapere di poterlo fare, certo non ora che sono ministro, mi dà la carica necessaria anche nei momenti più faticosi di lavoro".

Da ragazza, a Napoli, era ugualmente ricca? Il denaro se lo è conquistato o la sua famiglia ha contribuito?
"Sono nata in una famiglia borghese, nella quale lo studio e il merito rappresentavano l'unico mezzo per realizzarsi. Una cultura, questa, ereditata da mio nonno, semplice impiegato postale, che fece studiare e laureare con evidenti sacrifici tutti e sei i suoi figli (di cui tre femmine)".

Lavorava quando studiava all'università?
"All'epoca andava di moda occuparsi di politica e di temi sociali: eravamo in pieno '68".

Come ha speso le sue prime lire? Si ricorda ancora cos'ha desiderato e cos'ha comprato?
"Il mio primo stipendio di borsista era di 125mila lire al mese. Mio marito ne guadagnava 250mila. Incominciammo a mettere da parte 50 mila lire al mese per comprare una barca a vela, assieme ad un amico".

I soldi e il lavoro, quello di avvocato. Si considera un legale che costa tanto? Una persona a stipendio fisso potrebbe ingaggiarla?
"Credo di costare il giusto. E credo anche che i clienti si possano scegliere a prescindere dal loro reddito".

Ha mai difeso qualcuno senza farsi pagare?
"Ho difeso diverse persone senza farmi pagare per varie ragioni: amicizia in primo luogo, solidarietà per temi sociali importanti (ad esempio, non ho mai neanche lontanamente pensato di farmi pagare quando ho assistito la comunità ebraica costituitasi parte civile nel processo Priebke), ma anche senso di giustizia quando mi sono trovata di fronte a persone ingiustamente incolpate alle quali ho voluto assicurare che la giustizia esiste sempre".

Soldi in nero?
"Credo che l'entità della mia dichiarazione fornisca di per sé una risposta. D'altra parte la tipologia dei miei clienti (imprese, aziende e società) non consentirebbe in alcun modo di evitare l'emissione della fattura".

Lei ha una barca e una casa a Cortina. Ora che è ministro le userà di meno. Le mancheranno?
"Molto. Credo che chi lavora intensamente debba avere anche degli spazi personali per ricaricare il corpo e la mente. Mi mancheranno tanto le mie passeggiate in montagna e il contatto con il mare, al quale mio padre mi abituò sin da bambina".

Quando l'ha chiamata Monti e ha accettato di essere il primo Guardasigilli donna della storia italiana ha pensato che avrebbe guadagnato di meno?
"Certamente, l'ho ovviamente messo in conto. Ma penso che il denaro non sia tutto nella vita".

Sia sincera. Adesso che la sua privacy fiscale è online direbbe di nuovo di sì a quella proposta? Non si sente tentata dalla vita di prima?
"Mi conforta la reazione della gente, soprattutto delle persone comuni che mi fermano per strada dicendomi: "Continuate così". Proprio oggi ho ricevuto molte mail sul tema dei redditi. Eccone una. A scriverla è una donna che lavora per la Regione Lazio. Mi dice: 'Professoressa, noi cittadini semplici, noi donne ormai quasi quarantenni da troppi anni senza speranze, noi dipendenti pubblici di basso livello, che vediamo i nostri dirigenti che divorano il denaro pubblico, tutti noi italiani siamo assetati di onestà, di equità e di giustizia. Abbiamo bisogno di modelli come lei e come il ministro Fornero. Non ci deluda!'".

(23 febbraio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/02/23/news/severino_redditi-30356619/


Titolo: LIANA MILELLA Rivoluzione “tenue” ma ignorata
Inserito da: Admin - Febbraio 25, 2012, 04:27:23 pm
21
feb
2012

Rivoluzione “tenue” ma ignorata

Liana MILELLA

Ci vorranno anni per misurare quali devastazioni abbia prodotto Berlusconi nel dibattito sulla giustizia. Non fa più notizia la novità giuridica o l’anomalia nell’applicare la legge, ma solo lo scontro all’ultimo sangue tra i giudici che vogliono fare i processi all’ex premier e lui che vuole sfuggirli. Tutto il resto diventa una non notizia, condannata all’oblio. Di spie ce ne sono tante. Una ce l’abbiamo sott’occhio in queste ore.

La Camera sta trattando una questione “rivoluzionaria”, come l’ha definita sul Sole-24 ore la collega Donatella Stasio. Si tratta di un nuovo articolo del codice di procedura penale, il 530bis. Esso s’intitola così: “Proscioglimento per particolare tenuità del fatto”. E si articola nel seguente modo: “Il giudice pronuncia sentenza di proscioglimento quando, per le modalità della condotta, la sua occasionalità, e l’esiguità delle sue conseguenze dannose e pericolose, il fatto è di particolare tenuità”.

All’origine una proposta dell’ex giudice e ora deputato Pd Lanfranco Tenaglia. Un lungo dibattito in commissione Giustizia. Alla fine una legge di dieci articoli fortemente ostacolata dalla Lega che già parla di amnistia mascherata e di svuota-processi dopo lo svuota-carceri. Va da sé, per le poche ma esplicite righe del futuro 530bis, che la “rivoluzione” è ben evidente. A legge approvata il giudice, nella sua più ampia discrezionalità, ma nel pieno rispetto dell’azione penale obbligatoria per un atto che invece non costituisce reato, deciderà che un fatto avvenuto non ha la statura criminale per diventare un delitto da perseguire a colpi di codice. Se sarà un fatto “tenue” – il classico furto della mela – esso potrà essere archiviato. Avvisando però la persona offesa e dandole la possibilità di agire in sede civile.

Ora: perché un caso di tale portata non riesce a imporsi e diventare una notizia? Perché anni di potere berlusconiano ci hanno drogato al punto che, senza lo scontro, il sangue, la guerra, non c’è neppure di che scrivere.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2012/02/21/rivoluzione-tenue-ma-ignorata/


Titolo: LIANA MILELLA Il primo colpo dalla Cirielli, poi Lodo e legittimo impedimento.
Inserito da: Admin - Febbraio 26, 2012, 06:24:31 pm
POLITICA E GIUSTIZIA

Una tenaglia di leggi ad personam e il Cavaliere soffoca la sentenza Mills

Il primo colpo dalla Cirielli, poi Lodo e legittimo impedimento.

Ecco come si è arrivati alla prescrizione e al proscioglimento di Berlusconi

di LIANA MILELLA


ROMA - Grazie Cirielli. O per essere più precisi ex Cirielli, visto che il suo estensore, l'ex An oggi presidente della Provincia di Salerno, nel 2005 scaricò la sua creatura proprio quando diventò il contenitore, per mano del forzista Luigi Vitali, della più micidiale delle leggi ad personam, il killer della prescrizione. La ridusse dal massimo della pena più la metà ad un quarto. Il miracolo era fatto. La corruzione, dai dieci anni di tempo in cui la magistratura poteva perseguire il delitto, scendeva a poco più di sette. Le proteste, pur dure, non valsero a nulla. Se oggi non c'è una sentenza sul caso Mills lo si deve a quella legge.

IL METODO SALVA-SILVIO
Incassato il grosso risultato, il Cavaliere e i suoi esperti giuridici, l'avvocato Niccolò Ghedini in primis, non si sono messi tranquilli. Superata la pausa forzata del governo Prodi hanno ripreso con il massimo vigore nel disperato tentativo di cancellare i processi. Per tre anni la fabbrica delle leggi "Salva Silvio" ha funzionato di continuo. Ghedini, Longo, Paniz, al contempo autori e sponsor, le menti giuridiche. A Milano arrancavano i processi Mills, Mediaset, Mediatrade, Ruby, a Roma spuntavano le leggine per tentare di bloccarli. Una rincorsa continua. Indifferenti al fatto che per salvare Silvio si buttano a mare centinaia di altre inchieste. Con aspetti grotteschi come l'exploit dell'anno scorso quando, nel disperato tentativo di stoppare la sentenza Mills, tra Camera e Senato continuavano
a rincorrersi la prescrizione breve, il processo lungo, la blocca-Ruby. Un delirio in cui finivano per confondersi pure gli addetti ai lavori. La fabbrica è entrata in funzione con la nascita del quarto governo del Cavaliere, l'8 maggio del 2008. Ha chiuso i battenti un paio di settimane prima del 16 novembre quando Berlusconi ha gettato la spugna.

SI PARTE CON LA BLOCCA-PROCESSI
Il governo è in carica da nemmeno due mesi ed ecco la prima mossa. Quella che prosegue la tradizione del precedente esecutivo del Cavaliere, il quinquennio 2001-2006 quando, per azzerare i processi Sme, Imi-Sir, lodo Mondadori, si rimpallano le leggi capestro su rogatorie, falso in bilancio, legittimo sospetto (la famosa Cirami), la Cirielli, la Pecorella per cancellare l'appello, il lodo Schifani (il primo scudo congela processi). Nel 2008 lo scatto è felino. Nel decreto sulla sicurezza, firmato dal titolare dell'Interno Bobo Maroni, c'è la norma blocca-processi. Prevede che siano "immediatamente sospesi per un anno quelli relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002 e che si trovino in uno stato compreso tra la fissazione dell'udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado". È un "lodino Schifani", ma con la prescrizione bloccata. Esplode la collera dell'Anm ("Qui muoiono 100mila processi") e a ruota quella di Napolitano. Si mette di traverso la presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno, che diventerà la spina nel fianco del collega Ghedini. Lui escogita leggi per salvare il suo assistito, lei individua il tranello e lo ferma. I due saranno protagonisti dello scontro epocale sulle intercettazioni, la legge per imbavagliare la stampa.

L'INUTILE CORSA DEL LODO ALFANO
Sulla blocca processi si tratta disperatamente. Berlusconi strappa la promessa di varare un nuovo scudo per congelare i dibattimenti delle alte cariche. Dentro i presidenti della Repubblica, del Consiglio, di Camera e Senato. Resta fuori quello della Consulta. Il Guardasigilli Angelino Alfano firma l'unica legge per cui finirà nei libri di storia, il lodo Alfano. Il 23 luglio 2008 lo scudo viene licenziato da Napolitano con una nota che cita la sentenza 24 del 2004 con cui la Consulta bocciava lo scudo Schifani del 2003. Il presidente, preoccupato, previene le critiche di chi, come Di Pietro, avrebbe preteso lo stop del Colle. Il Quirinale sostiene che, pur senza varare una legge costituzionale come scrive la Corte, esiste "un apprezzabile interesse a garantire il sereno svolgimento delle funzioni". Berlusconi può dormire tranquillo, i suoi processi si fermano. Ma un appello di cento costituzionalisti, il milione di firme per il referendum messo insieme da Di Pietro che le deposita il 7 gennaio 2009, il ricorso alla Corte dei giudici di Milano, producono la bocciatura del lodo, che la Consulta cassa il 7 ottobre 2009.

LA SFIDA DEL PROCESSO BREVE
È durata poco la "pace" del Cavaliere. Che ricomincia ad agitarsi. La sfida di un lodo costituzionale appare irrealistica, tant'è che un nuovo testo viene presentato solo a maggio 2010. Ben altro ha in mente il Pdl. Si scopre quando al Senato, è il 12 novembre 2009, i capigruppo Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello formalizzano il ddl sul processo breve, bizzarra alchimia per cui i dibattimenti devono durare in tutto non più di sei anni e mezzo. Pure quelli già in corso, pur partiti in base alle vecchie regole. Il 20 gennaio il Senato lo approva. Fuori protesta il Popolo viola. La norma prevede di cancellare i processi in corso che, a far data dal maggio 2006, quello dell'indulto di Prodi, per pene fino a dieci anni, non abbiano rispettato i vincoli temporali, tre anni in primo grado, due in secondo, uno e mezzo nel terzo. Una regola costruita a pennello per le cause di Berlusconi. Falcidiati Mills e Mediaset. A rischio Mediatrade.

LA VIA DEL LEGITTIMO IMPEDIMENTO
Dal Colle trapela il chiaro messaggio che così il processo breve non sarà mai controfirmato. I processi premono, Mills soprattutto. Berlusconi tratta di nuovo, come prima del lodo Alfano. Promette di rinunciare al processo breve in cambio di un nuovo scudo. Si ripete la storia della blocca-processi. L'ancora di salvataggio gliela butta l'Udc che s'inventa il legittimo impedimento, legge a tempo per 18 mesi per congelare i processi del premier. L'esile "ponte tibetano", come lo battezza Michele Vietti, diventa legge il 7 aprile 2010. Ma i consiglieri giuridici del premier lo caricano troppo, ci mettono pure i ministri e un meccanismo di sospensione talmente automatico da ledere l'autonomia di decisione del giudice, che per giunta deve fidarsi di un'autocertificazione di palazzo Chigi. Tant'è che la Consulta lo azzoppa meno di un anno dopo, il 13 gennaio 2011.

MINACCIA PRESCRIZIONE BREVE
Berlusconi è di nuovo nudo. Non resta che l'offensiva finale. Il 17 marzo ecco il colpo di scena alla Camera, per mano di Maurizio Paniz ed Enrico Costa. Spunta la prescrizione breve, nuova invenzione della fabbrica Ghedini-Longo. È un emendamento al contestato processo breve, nel frattempo arenato alla Camera, cucito addosso al caso Mills. Si fa un regalo agli incensurati riducendo ancora la prescrizione dopo il "trattamento" Cirielli, dal massimo della pena più un quarto la si porta a un sesto per chi ha il casellario giudiziario pulito. Il Csm calcola fino a 15mila processi "defunti". L'Anm concorda. Ma la Camera lo vota il 13 aprile, Alfano lo difende pubblicamente, il presidente dell'Anm Luca Palamara parla di "amnistia mascherata".

NIENTE PROCESSO LUNGO
Il Pdl stavolta decide di giocare su più tavoli. Un ddl leghista per stoppare il rito abbreviato ai mafiosi diventa il contenitore per un'altra "Salva Silvio". Fa il suo ingresso sul proscenio il processo lungo. Che recita: il giudice deve per forza accettare la lista testi delle difese, non si possono utilizzare le sentenze passate in giudicato in nuovi processi. Giusto il caso Mills. Il Senato lo vota. Ma sulla testa di Silvio cade la tegola Ruby. Tentativi blocca RubyLa stagione delle leggi ad personam sta per chiuderesi, ma con i fuochi d'artificio finali. Ancora Paniz cerca di stoppare l'inchiesta della Boccassini con un conflitto di attribuzione votato dalla Camera il 5 aprile 2011 che sostiene la ministerialità del reato. Due settimane dopo, al Senato, spunta la norma del capogruppo Pdl Franco Mugnai per rendere obbligatoria la sospensione del dibattimento (oggi ne ha diritto solo il giudice) se la parte si rivolge alla Corte. Due conflitti, per Ruby e Mediaset, due stop. Per non lasciare niente d'intentato ecco perfino il tentativo di far passare la norma, nella ratifica della convenzione di Lanzarote, per far andare nelle piccole procure i reati sullo sfruttamento sessuale dei minori. Il Rubygate da Milano finirebbe a Monza. Tutto inutile. La maggioranza è sempre più in crisi. L'alternativa tra processo lungo e prescrizione breve diventa oggetto di vignette satiriche. Il governo cade. I processi vanno avanti.

(26 febbraio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/02/26/news/una_tenaglia_di_leggi_ad_personam_e_il_cavaliere_soffoca_la_sentenza_mills-30515798/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Viminale le contromosse: associazione a delinquere per i ribelli
Inserito da: Admin - Marzo 04, 2012, 11:03:56 am
IL RETROSCENA

E il Viminale studia le contromosse associazione a delinquere per i ribelli

Nei dossier del ministero la paura per gli anarcoinsurrezionalisti  Il governo teme un patto tra centri sociali e autonomi per limitare la parte pacifista

di LIANA MILELLA


ROMA - Quando sono le otto di sera il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri e il capo della polizia Antonio Manganelli possono tirare il fiato. Proteste in tutt'Italia sì, ma contenute sia nei numeri che nelle forme. Lo spauracchio di chi ipotizzava, dopo le parole di Monti a palazzo Chigi, una risposta volutamente violenta si è dissolto. Un sabato che però non fa calare di un grado il livello di allarme ai massimi livelli che c'è sulla Tav e sul rischio di "reazioni violente a sorpresa". Una preoccupazione che resta in capo all'agenda di Monti e Cancellieri.

Dalle manifestazioni esce confermata la documentata fotografia scattata in questi mesi dalla task force anti-terrorismo del Viminale e raccolta nei numerosi dossier sul movimento No-Tav, via via aggiornati, che in queste ore fanno bella mostra sulla scrivania dell'ex prefetto oggi al vertice dell'Interno che è una divoratrice di "carte". Fogli in cui si spiega come gli avvenimenti in Val di Susa siano "uno snodo fondamentale" per il futuro dei nemici giurati dell'alta velocità e come le mosse dello Stato vadano calibrate "con grande attenzione per evitare che la componente più aggressiva del movimento possa prendere il definitivo sopravvento". Rapporti in cui si ipotizzano nuove misure legislative: una lettura estensiva dell'associazione a delinquere, per poterla applicare anche agli anarchici, l'arresto differito, il reato di blocco stradale ferroviario.

VINCONO I DURI
In quei fogli è documentato un fatto. Il seguente: "Tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012 la componente più aggressiva della galassia No-Tav ha preso il sopravvento, ma il pericolo è che essa, con i suoi exploit, possa far perdere più ampi consensi alla causa". Nasce da qui la strategia di contrasto dello Stato decisa venerdì a palazzo Chigi e illustrata dal premier Monti. Consiste in un mix tra dissuasione e repressione che non assecondi la definitiva vittoria delle frange più barricadiere del movimento.

LE ANIME
È molto composita, ma numericamente contenuta, la galassia No-Tav. Dopo gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2001 nel cantiere di Chiomonte la polizia ha lavorato per mesi. Ci sono stati i 26 arresti di Torino e ci sono i dossier destinati alla politica. Raccontano di un anima "politica e non violenta" del movimento in cui si ritrovano partiti come Rifondazione, Sel (Vendola), Idv e Verdi, la Fiom, il sindacalismo di base, Grillo e il popolo viola. Poi ecco l'anima locale e valligiana, quella dei sindaci e degli amministratori, che per motivi atavici rifiutano l'impatto, considerato violento, della Tav. Poi c'è la terza anima, quanto mai composita, in cui c'è una dinamica forte sulle modalità di lotta. È l'area che nei dossier viene definita "obiettivamente la più pericolosa". Si divide tra gli autonomi e gli anarcoinsurrezionalisti che "hanno stipulato un'alleanza tattica con momenti di fortissima contrapposizione interna". Da una parte Askatasuna, il famoso centro sociale torinese, cui fanno capo analoghi gruppi, dalla Panetteria di Milano ad Acrobax di Roma, da Gramigna di Padova a Crash di Bologna. Dall'altra gli anarchici torinesi che, in una scala di pericolosità, si collocano al livello più alto.

I NUMERI
È la terza anima, autonomi ed anarchici, quella che "ha conquistato la leadership della protesta con una grande capacità di attrazione e con solidi contatti anche all'estero". Collegamenti stabili con gruppi analoghi in Francia, in Germania, in Spagna e tra i baschi. Ma i numeri restano bassi. A Torino la polizia stima che la cosiddetta "capacità di mobilitazione" oscilli tra le 300 e le 500 persone, con notevoli variazioni tra manifestazioni tenute nei giorni feriali oppure nei fine settimana. A livello nazionale la sfera di influenza del movimento va da 1.500 a 2mila persone.

LA DIALETTICA
Tutto si gioca adesso, con la riapertura del cantiere. Ora si vedrà il comportamento di chi, per ostacolare gli espropri, ha comprato anche uno o due metri di terra. Ma il futuro dipende anche dall'abilità dello Stato nel "dialogare" con il movimento. "Dividere i buoni dai cattivi" hanno detto a palazzo Chigi. In proposito, viene letto come "un segnale positivo" quello del caso Abbà, il No-Tav precipitato dal traliccio dell'alta tensione, dove la polizia ribadisce di "non avere alcuna responsabilità", ma che avrebbe potuto essere utilizzato dal movimento come una sorta di vessillo, mentre non così non è stato.

LE NORME
L'eventualità di nuove norme penali è all'ultimo posto nei dossier. Per il rischio che ciò accentui una lettura solo in chiave di ordine pubblico della Tav. Però le richieste delle forze di polizia sono ben precise. Innanzitutto un'interpretazione più ampia del 416, l'associazione a delinquere finalizzata al terrorismo, applicabile anche agli anarchici che pure rifiutano l'etichetta di gruppo associativo. Poi l'arresto differito per chi commette reati in piazza. Infine un ritorno al reato di blocco stradale e ferroviario. Un capitolo sul quale, almeno per adesso, s'è deciso di soprassedere.

(04 marzo 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/03/04/news/e_il_viminale_studia_le_contromosse_associazione_a_delinquere_per_i_ribelli-30907058/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Il muro invalicabile del Pdl contro la legge anticorruzione
Inserito da: Admin - Marzo 09, 2012, 11:24:08 am
Il caso

Il muro invalicabile del Pdl contro la legge anticorruzione

La legge varata nel 2010, anno in cui riesplode tangentopoli, è inoffensiva nella parte delle sanzioni penali.

Il primo provvedimento, a firma Alfano, approda al senato solo un anno dopo. E lì si ferma.

Ci ha riprovato la Severino, col governo Monti, ed è subito scattato il braccio di ferro col partito di Berlusconi

di LIANA MILELLA


È UN assurdo tormentone ormai dall'inizio del 2010. Da allora la legge anti-corruzione è diventata un incubo per il partito di Berlusconi. Che ha cercato in ogni modo, dopo averla varata solo per salvare la faccia, di rallentarne l'iter in Parlamento e soprattutto di ammorbidirla e renderla inoffensiva nella sua parte più delicata, quella che riguarda le sanzioni penali. Niente prescrizione più alta, niente pene massime più alte, nessun nuovo reato.

Il 2010, febbraio, l'anno e il mese in cui riesplode Tangentopoli. Si scopre che perfino il terremoto dell'Aquila aveva risvegliato l'appetito degli imprenditori. Esce l'intercettazione di Francesco Piscicelli che nottetempo, mentre la terra trema, pensa subito alla ricca torta delle future commesse. La pressione dell'opinione pubblica è tale che perfino il governo Berlusconi è costretto a correre ai ripari. Obtorto collo, l'ex Guardasigilli Angelino Alfano porta in consiglio dei Ministri una legge dove l'articolo 9, quello sulle pene, è risibile. Passa così com'è nel consiglio dei Ministri, dove invece litigano lui e il collega della Semplificazione, il leghista Roberto Calderoli, sull'articolo che riguarda l'ineleggibilità alla cariche pubbliche. Trenta giorni dopo, quando il testo finalmente viene mandato per la firma sul Colle, rivela subito la sua natura "trasparente", si mostra per quello che è, neppure un pannicello caldo, è solo un nulla che, per giunta, non rispetta neppure i rigidi dettati del Greco, il gruppo
europeo anticorruzione e dell'Ocse, che da anni raccomandano all'Italia di ratificare in fretta la convenzione di Strasburgo, rimasta lettera morta dal '99, e di allungare la prescrizione.

Ci vuole più di un anno, al Senato, per votare la legge. Ci si arriva alla fine di luglio 2011. Ma il testo resta quello che è, un nulla. Passa alla Camera, ma non riceve l'input politico per camminare in fretta. Berlusconi ha sulle spalle i processi milanesi e non ha alcuna voglia di aggravare le pene per un reato contestato a lui stesso. Cade il governo, ma il ddl non decolla.

Il Guardasigilli Paola Severino, nella sua prima intervista proprio a Repubblica, lancia un segnale importante. Dice che la trincea in cui lanciarsi è la lotta alla corruzione. Annuncia che vuole inserire il reato di corruzione tra privati. Sulla prescrizione e sull'ipotesi di allungarla pronuncia una frase che allarma il Pdl: "Non è un tabù". Dirà ancora che è disponibile a discutere del falso in bilancio e soprattutto conferma che le indicazioni dell'Europa devono essere rispettate. Qui comincia il vero braccio di ferro con il Pdl. Che, per guadagnare tempo e fermare il governo Monti, ipotizza di togliere via dalla legge anti-corruzione tutta la parte penale, proprio quella più importante e strategica, quella che magistrati protagonisti della stagione di Mani pulite, da Pier Camillo Davigo (oggi in Cassazione) a Francesco Greco (tuttora procuratore aggiunto a Milano), ritengono fondamentale per contrastare realmente la corruzione.

Niente da fare. Il tavolo politico si blocca. Il Pdl alza le barricate. Severino dice a Bersani e Casini "io voglio andare avanti". Loro garantiscono il pieno appoggio. Ma a quel punto Alfano si sfila. Restano le "schede" del ministro Guardasigilli che insiste sulla corruzione tra privati, sul nuovo reato di traffico di influenze illecite, sulle pene massime più alte. Ipotesi che non potranno mai vedere la luce se il Pdl continua a far muro.

(07 marzo 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/03/07/news/il_muro_invalicabile_del_pdl_contro_la_legge_anticorruzione-31152035/


Titolo: LIANA MILELLA Bersani: subito una legge per la trasparenza.
Inserito da: Admin - Aprile 06, 2012, 04:38:22 pm
RIFORME

Partiti, un'Authority per certificare i bilanci il piano anti-corruzione del ministro Severino

Bersani: subito una legge per la trasparenza.

Scartata l'ipotesi di un decreto. Ancora lite sulla responsabilità civile dei magistrati

di LIANA MILELLA


ROMA - Un'Authority per certificare la trasparenza nei bilanci dei partiti. Un'Authority dedicata, specifica, da costruire dal nulla. Oppure un'Authority che già esiste e alla quale affidare, in aggiunta ai compiti che già svolge, "anche" la funzione aggiuntiva di leggere in tralice la gestione economica dei partiti.

Balena l'ipotesi di farne un decreto legge, ma così come nasce l'idea si affievolisce fino a sparire. Spunta in via Arenula, nel grande ufficio del Guardasigilli Paola Severino, già alla prese con tre leggi che hanno fatto traballare più di un suo predecessore: il ddl anti-corruzione, le intercettazioni, la responsabilità civile dei giudici.

Un pacchetto esplosivo in cui è difficile far andare d'accordo Pdl e Pd. Proprio durante un faccia a faccia con i Democratici s'impone come pressante e inderogabile la necessità di mettere subito mano al tema del giorno, quello della trasparenza nella vita economica dei partiti.

Sono le 15, dal ministero della Giustizia esce il responsabile Giustizia del Pd Andrea Orlando e lega le due questioni, trasparenza e anti-corruzione: "Sono argomenti prioritari, ma non li terrei insieme. Il fatto certo è che sui bilanci serve un intervento rapido".

Passa qualche ora e il segretario del Pd Pier Luigi Bersani prende di petto la faccenda. Scrive e gira il quesito a Casini ed Alfano. Chiede "subito una legge sulla trasparenza". Ne elenca dettagliatamente i punti. A stretto giro rispondono
il leader dell'Udc - "Passiamo dalle parole ai fatti" - e quello del Pdl - "Con me si sfonda una porta aperta" - ma proprio la storia del ddl anti-corruzione insegna che una cosa sono le dichiarazioni, altro è varare una legge che tocca interessi vitali.

Era marzo 2010 quando l'allora Guardasigilli Alfano portò a palazzo Chigi il ddl anti-corrotti. Sull'onda delle inchieste per il terremoto all'Aquila. Due anni dopo Severino fatica a chiudere un'intesa. Ieri ha annunciato di avercela quasi fatta: "Ci sono ampi spazi per una riforma condivisa".

Il 17 aprile presenterà le norme a Montecitorio. Anticipandone il contenuto le novità sono queste: vengono introdotti i reati di corruzione privata e di traffico di influenze, con una formula che garantisca di intervenire sulle transazioni di importo significativo; saranno aumentate le pene massime dei reati di corruzione già esistenti, in modo da garantire una prescrizione più lunga (ma la Cirielli resta com'è); ci sarà un intervento sul reato di concussione in modo da garantire che venga incriminata la vittima che si è resa partecipe del delitto come ci chiede il Greco; non ci sarà nulla sul falso in bilancio, né sull'autoriciclaggio.

È realistico che, in una legge complessa come l'anti-corruzione, sia inserita una pagina sulla trasparenza dei partiti? Se ne discute, la delegazione del Pd - Orlando con le ex pm Silvia Della Monica e Donatella Ferranti, ora capogruppo Pd nelle commissioni Giustizia di Senato e Camera - è contraria all'idea di "appesantire" il ddl. Un'altra legge allora che, come ipotizza Bersani, raccolga le proposte che già sono in Parlamento. Niente decreto, questo è certo.

Allo stesso modo, dal tavolo di Severino, arriva un "no" tondo all'ipotesi di coinvolgere la Corte dei conti nella verifica dei bilanci dei partiti. Il ministro avrebbe spiegato che la loro natura privatistica impedisce un simile controllo, a meno che non si voglia cambiare l'articolo 49 della Costituzione ("Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale").

Ecco la via dell'Authority. Severino passa la palla anche al ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, suo partner nel gestire l'anti-corruzione. Ma a palazzo Vidoni si registra prudenza perché prima di qualsiasi mossa è meglio verificare l'effettiva competenza sulla materia.

Severino studierà la questione. Ma prima dovrà risolvere altre due "grane", responsabilità civile dei giudici e intercettazioni. La prima è urgentissima: la legge Comunitaria, dov'è inserito l'emendamento del leghista Pini che impone ai magistrati di pagare di tasca propria le eventuali condanne e di rispondere anche per "la manifesta violazione del diritto", è in discussione al Senato.

Il Pd non fa sconti al Guardasigilli, vuole che "il governo ci metta la faccia", teme che in assenza di un intervento del governo si verifichi un nuovo caso Pini, quando il Pdl votò con la Lega. Severino preferisce l'intesa dei partiti. Se sull'anti-corruzione un compromesso è ipotizzabile, su responsabilità e intercettazioni l'accordo è lontano.
 

(06 aprile 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/04/06/news/autorit_bilanci_partiti-32838382/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Intercettazioni, ma lasciatele in pace…
Inserito da: Admin - Aprile 13, 2012, 12:16:01 am
12
apr
2012

Intercettazioni, ma lasciatele in pace…

 Liana MILELLA
 
In tempi di scandali, le intercettazioni andrebbero potenziate, non certo ridotte né costrette nel limbo del silenzio e della non pubblicabilità.

Invece ecco il Pdl pronto a invocare il suo contentino in cambio del via libera alla legge anti-corruzione. Così accade che alla gente arrivino segnali fortemente contraddittori.

Da una parte si fa la legge per bloccare e rendere più trasparenti i conti di un partito; dall’altro il Pdl dice blocco tutto senza le nuove regole per intercettare.

Ma il fatto stesso che si ipotizzino cambiamenti inevitabilmente peggiorativi la dice lunga sull’effettiva voglia di trasparenza della politica.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2012/04/12/intercettazioni-ma-lasciatele-in-pace/


Titolo: LIANA MILELLA Giustizia, raffica di emendamenti Pdl per bloccare la legge...
Inserito da: Admin - Maggio 10, 2012, 11:40:58 pm
La polemica

Giustizia, raffica di emendamenti Pdl per bloccare la legge anticorruzione

Il partito del Cavaliere ostacola il ddl della Severino e punta a portare in aula il vecchio testo Alfano. Scontro anche sul falso in bilancio.

E spunta un emendamento del pidiellino Sisto sulla concussione che spazzerebbe via il processo Ruby

di LIANA MILELLA

ROMA - Il Pdl fa melina e si mette di traverso sul ddl anti-corruzione, su cui il Guardasigilli Paola Severino ha messo la faccia, e cerca di sbarrare la strada pure alla legge Palomba, il ripristino del vecchio falso in bilancio, punito d'ufficio fino a cinque anni, rilanciato dall'Idv e ben visto da Severino, Pd, Fli, Udc, e perfino dalla Lega. A colpi di emendamenti e di richieste di chiarimenti e di rinvii, il Pdl cerca di terremotare l'arrivo in aula dei due provvedimenti, in calendario per il 28 maggio.

Oggi, nelle commissioni congiunte Affari costituzionali e Giustizia di Montecitorio, si potrebbe approvare il ddl anti-corruzione, tant'è che il presidente della Giustizia Giulia Bongiorno ha insistito per convocare la seduta alle 10 e proseguire fino al momento del voto. Ma il Pdl, in più di un conciliabolo ben visibile durante i lavori d'aula, si prepara a frenare fino allo stop. Piano ben studiato perché oggi Severino potrà solo dare il parere sui sub-emendamenti, poi deve partire per gli Usa, e a quel punto non resta che una manciata di giorni.

I berlusconiani hanno un obiettivo, azzerare il piano anti-corruzione del ministro della Giustizia e mandare il ddl in aula con il vecchio testo uscito dagli uffici dell'ex Guardasigilli Angelino Alfano, e recisamente bocciato dalle toghe. Nessun aumento di pena per i delitti di corruzione, quindi prescrizione invariata rispetto a oggi, né nuovi reati come traffico di influenze e corruzione tra privati.

Il verbo "sopprimere" è il protagonista del Pdl barricadiero. Quello di deputati come Francesco Paolo Sisto e Manlio Contento, entrambi avvocati, che hanno firmato nell'ultima settimana, e ancora ieri, gli emendamenti che cancellano quello di Severino e il falso in bilancio proposta dall'Idv. Ufficialmente il Pdl non si butta nella mischia, l'avvocato Niccolò Ghedini privilegia la strategia dello "stare a guardare", la mette in pratica il capogruppo alla Giustizia Enrico Costa.

Ma ad agire sono Sisto e Contento. Venerdì scorso, allo scadere del termine per le modifiche al ddl anti-corruzione, ecco la proposta di Sisto di punire la concussione solo qualora vi sia un passaggio di denaro e di un'altra "utilità patrimoniale". In fumo il processo Ruby e la concussione di Berlusconi.

Ieri lo stesso Sisto è tornato ad agire. Suoi, e di Contento, i 20 emendamenti sul falso in bilancio che snaturano del tutto la proposta dell'Idv e spaccano la già fragile maggioranza. Da una parte il Pd, con Donatella Ferranti, dichiara di "stare" con l'Idv, deciso anche a "rendere più efficace e circostanziata quella proposta". Dall'altra una nuova raffica all'insegna del "sopprimere", proprio com'era accaduto venerdì sulla corruzione.

Un solo compromesso stavolta, punire il falso in bilancio fino a tre anni, una mediazione al ribasso tra i due attuali e i cinque richiesti dall'Idv e da tutti gli altri. Dice Sisto: "Proprio in questo momento di suicidi, non ci possiamo permettere di strangolare gli imprenditori con una legge smaccatamente contro di loro". Un colpo di cesoie e l'anti-corruzione va in fumo.
 

(10 maggio 2012) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2012/05/10/news/pdl_giustizia-34816454/


Titolo: LIANA MILELLA Il Pdl rinuncia al "blocca-Ruby" e Severino tenta la mediazione
Inserito da: Admin - Maggio 19, 2012, 10:54:00 am
IL CASO

Il Pdl rinuncia al "blocca-Ruby" e Severino tenta la mediazione

Colloquio di Napolitano con il ministro che punta a mettere intorno ad un tavolo lunedì o martedì i partner della maggioranza per far ripartire la trattativa
 
di LIANA MILELLA

ROMA - Ci sono tre novità sull'anti-corruzione. La prima: il Pdl rinuncia definitivamente all'emendamento blocca-Ruby, quello targato Sisto, che imponeva nel codice una concussione solo in caso di vantaggio "patrimoniale" e che avrebbe fatto saltare subito il processo di Milano. La seconda: il Guardasigilli Paola Severino, alla festa della polizia penitenziaria, incontra Napolitano, colloquia per 20 minuti con lui, e subito dopo invia e riceve numerosi sms con i partner della maggioranza per far ripartire la trattativa sull'anti-corruzione. Il ministro lavora a un incontro che si terrà tra lunedì sera e martedì (più probabile la seconda opzione) prima della nuova seduta delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia che devono votare il ddl in vista dell'aula in calendario per il 28. Lì si dovrà trovare un punto d'incontro per evitare che sull'anti-corruzione cada il governo.

Terza notizia: il Pdl, ma non solo, cerca di tenere lontano dal tavolo della mediazione quei politici che hanno fama di assoluta intransigenza sulla caratura costituzionale e sull'efficacia penale delle leggi. Black list per le ex pm, ora Pd, Donatella Ferranti e Silvia Della Monica, al loro posto si privilegia il meno tecnico Andrea Orlando. Cartellino giallo per Giulia Bongiorno, la presidente finiana della commissione Giustizia che, come ha detto a Repubblica, non vuole un pannicello caldo ma una legge effettivamente adeguata a contrastare "il veleno" della corruzione. C'è
perfino chi addebita a Severino di aver detto che finora il dialogo si è arenato per colpa degli ex magistrati.

Ufficialmente nulla è trapelato sul colloquio Napolitano-Severino. Ma due questioni preoccupano il Guardasigilli: l'essere rimasta con un solo sottosegretario (Mazzamuto con cui s'è pure scontrata), in vista di un periodo denso di attività parlamentare, e l'anti-corruzione, su cui è facile intuire quanto gli scontri nella maggioranza possano preoccupare il Colle. Da qui alla mediazione il passo è breve, anche se le dichiarazioni della giornata girano all'insegna dello scontro. Ignorando il presidente della Camera Fini che invita tutti a mettere da parte le polemiche "per approvare in fretta il ddl".

Ma è ancora troppo caldo il voto difforme (Pd con Idv, Pdl solo) in commissione del giorno prima. Ecco Bersani dire "basta alla tattiche dilatorie del Pdl che mettono a rischio il governo". Ferranti insiste: "Quando tu contesti pene minime, pene accessorie e nuovi reati cosa rimane? Il ddl Alfano". Il timore del Pd è che i berlusconiani alzino l'asticella pur di andare in aula senza la "piramide delle pene" di Severino. Il capogruppo Pdl Cicchitto li accusa di "demagogia". Enrico Costa e Manlio Contento, in stretto contatto con Niccolò Ghedini, quindi con Berlusconi, negano l'ostruzionismo, assicurano di lavorare "per un ddl equilibrato", insistono sulla necessità di abbassare le pene minime "per consentire al giudice di applicare la giusta pena", dicono "no a reati generici" (vedi il traffico di influenze). Accusano il Pd "di essere impegnato in una gara con Di Pietro a chi è più giustizialista". Di Pietro, all'opposto, se la prende "con l'ammucchiata di una finta maggioranza che non può imboccare con decisione nessuna strada, né contro la corruzione, né sull'economia". Il centrista Roberto Rao non dispera. Dopo l'incontro Napolitano-Casini è convinto che "su un tema così importante come la giustizia, che poi è anche economia perché significa garantire investimenti, si deve trovare un accordo, smettendo di giocare tra berlusconiani e antiberlusconiani".

(19 maggio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/05/19/news/pdl_rinuncia_blocca-ruby-35436637/?ref=HREC1-4


Titolo: LIANA MILELLA L'influenza politica diventerebbe fortissima
Inserito da: Admin - Maggio 27, 2012, 04:53:14 pm
L CASO

Piano per il Csm, meno potere ai giudici rivoluzione nei processi disciplinari

Progetto di Palazzo Chigi: ai "laici" più potere nei verdetti sui magistrati, i togati non saranno maggioranza.

L'influenza politica diventerebbe fortissima

di LIANA MILELLA


Via dalle mani dei magistrati la giustizia disciplinare. Processi alle toghe affidati, con una maggioranza strategica, a "giudici" scelti dal Parlamento. È un progetto cui sta lavorando palazzo Chigi. Il testo non è ancora passato in Consiglio dei ministri, ma per la sua portata dirompente è già trapelato all'esterno ed è stato inviato per una prima verifica agli addetti ai lavori. Circola sulle scrivanie del Csm e delle altre magistrature. Quattro articoli che riscrivono componenti e modalità del potere disciplinare. Con un obiettivo evidente, che pure l'ex premier Berlusconi aveva cercato di perseguire, ma senza riuscirci: sottrarre ai giudici il potere di mettere sotto processo, condannare o assolvere i colleghi che sbagliano. Con una ragione che oggi, ma anche ieri, viene spiegata così: si tratta dell'unica via per garantire un'imparzialità che l'attuale "giustizia domestica" non assicura. Questo si legge nelle note diffuse dagli uffici di Palazzo Chigi.

Per una coincidenza del tutto temporale la nuova proposta trapela mentre al Senato si sta per riparlare di responsabilità civile dei giudici: scadeva il 23, ma è stato rinviato ai primi di giugno, il termine per le proposte di modifica all'emendamento Pini che prevede la responsabilità diretta non solo "per dolo o colpa grave", com'è oggi, ma pure per "manifesta violazione del diritto". Un mix esplosivo per le toghe che già sono sul piede di guerra per la responsabilità. Figurarsi
se dovesse cambiare anche la giustizia disciplinare.

Repubblica ha potuto leggere i quattro articoli che, in fila, cambiano la composizione delle sezioni del Csm, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti, dei giudici tributari chiamate a "processare" i colleghi. Una logica assai semplice: maggioranza o pariteticità dei posti disponibili ai componenti eletti dal Parlamento. Intervento già previsto nella riforma costituzionale della Giustizia firmata dall'ex Guardasigilli Angelino Alfano. Approvata dal consiglio dei ministri il 10 marzo 2011, prevedeva di affidare a un'Alta corte il potere di giudicare le toghe. Composizione mista, metà dalle Camere, metà dai magistrati.
Ma quella era una riforma costituzionale, qui invece il governo Monti vuole procedere per via ordinaria. E questo è già un primo problema che rischia di far arenare la legge per un evidente vulnus di costituzionalità. Ma tant'è. Ecco i quattro articoli. A cominciare da quello che interviene sulla sezione disciplinare del Csm, oggi sezione interna al Consiglio, in cui i magistrati hanno la maggioranza, quattro posti su sei. In futuro saranno tre e tre. Il vice presidente, un laico, altri due membri di nomina parlamentare. Poi tre magistrati, un giudice, un pm, uno proveniente dalla Cassazione. Stesso equilibrio per i supplenti, cinque laici e cinque magistrati.

Per Consiglio di Stato e Corte dei conti s'interviene sui consigli di presidenza. Per i giudici amministrativi si prevede di istituire "una sezione disciplinare composta dal presidente che la presiede, da tre componenti tra quelli eletti dalle Camere, da un magistrato". Cinque i supplenti, tre laici e due togati. Stessi equilibri per le toghe contabili. Nella sezione il presidente, 3 laici, un magistrato. Delega al governo, invece, per "riformare il consiglio di presidenza della giustizia tributaria". Dentro una sezione disciplinare "composta in misura almeno paritaria dei componenti eletti dalle Camere". Una formula su cui per certo i magistrati daranno battaglia.
 

(27 maggio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/05/27/news/piano_csm-35993042/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Intercettazioni, torna il rischio-bavaglio vietati i "riassunti"..
Inserito da: Admin - Giugno 18, 2012, 04:51:02 pm
La legge

Intercettazioni, torna il rischio-bavaglio vietati i "riassunti" fino al dibattimento

Saltano due righe chiave dalla bozza Severino. Il Pdl preme per l'approvazione, il ministro chiede altro tempo.

Confermate le sanzioni per chi pubblica testi relativi a soggetti non sotto inchiesta 

di LIANA MILELLA


ROMA - Non ci sono mai buone notizie per la stampa quando ci si occupa di intercettazioni. Il bavaglio, totale o parziale che sia, è sempre dietro l'angolo. La riforma targata Severino non fa eccezione. A stare al testo che qualche settimana fa il ministro della Giustizia ha distribuito ai partiti almeno tre novità risultano incontrovertibili. Una riguarda il divieto di pubblicare "per riassunto" gli atti di un processo. Le altre due attengono alle sanzioni: l'arresto fino a 30 giorni, e per le telefonate da distruggere o che coinvolgono terze persone estranee alle indagini fino a tre anni, e multe assai salate, in caso il cronista e il suo giornale decidano di pubblicare i testi relativi.

Premessa d'obbligo: Paola Severino sta ancora studiando il vecchio testo Alfano, passato attraverso tre anni di estenuanti mediazioni, e alla fine congelato alla Camera. Dai suoi uffici però è uscita una prima bozza rivisitata. E lì c'è traccia del possibile bavaglio. Ecco i punti critici. A partire dalla punizione per chi, incurante delle restrizioni, decide di riprodurre telefonate che riguardano i famosi "terzi", coinvolti in un ascolto ma senza un ruolo attivo nel processo.

Già il vecchio testo prevedeva il carcere da sei mesi fino a tre anni per chi decideva di pubblicare "atti e contenuti" di conversazioni destinate alla distruzione. La stessa pena, nel testo di Severino, viene confermata anche per chi pubblica materiale che riguarda "fatti, circostanze e persone estranee alle indagini di cui sia stata disposta l'espunzione".

Dopo gli incontri di un mese fa del Guardasigilli con le forze politiche - tavolo cui partecipavano Pdl, Pd, Udc, Fli - i suoi uffici hanno distribuito un copia del ddl sulle intercettazioni in cui sono evidenti, per effetto di neretti, sottolineature, cancellazioni e aggiunte, le modifiche di Severino. Il carcere da sei mesi a tre anni anche per chi pubblica gli ascolti dei terzi non coinvolti è tra queste novità. Un'altra riguarda le multe, assai salate, nonché l'arresto fino a 30 giorni, per chi decide di pubblicare conversazioni destinate al segreto fino alla discovery del processo. La multa parte da 2mila euro e può arrivare fino a 10mila. "Graziato" l'editore perché "la sanzione pecuniaria da 50 a cento quote" risulta cancellata.

Un'altra cancellatura "pesante" balza all'occhio sugli spazi di pubblicazione, disciplinati dall'articolo 114 del codice di procedura penale. Nella mediazione tra l'ex Guardasigilli Angelino Alfano e la presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno, era entrata una clausola di salvaguardia per il cronista. Al secondo comma dell'attuale 114, dove è scritto "è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare", l'ultimo testo riportava la frase "di tali atti è sempre consentita la pubblicazione per riassunto".

Ciò garantiva, dopo un'ordinanza di custodia cautelare o un decreto di perquisizione o sequestro, la possibilità di pubblicare "per riassunto" gli atti. Ma queste due righe risultano cancellate dal testo Severino. Il risultato è evidente. Salvo che il ministro non cambi idea scatterà il black out fino al processo. Proprio quello che voleva Berlusconi.

Il calendario della Camera prevedeva che già questa settimana si dovesse discutere di intercettazioni. Ma al Pdl, che preme per approvarle, il ministro ha chiesto ancora tempo. Preoccupata com'è di tenere aperti due fronti caldi tra Montecitorio (ascolti e falso in bilancio) e Palazzo Madama (responsabilità civile dei giudici e anti-corruzione). Ha detto che sta studiando ulteriori modifiche. C'è da augurarsi che non limitino il diritto di cronaca.

(18 giugno 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/06/18/news/intercettazioni_bavaglio-37412855/


Titolo: LIANA MILELLA Intercettazioni, la Severino "Riforma difficile ma va fatta"
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2012, 09:55:32 am
IL CASO

Intercettazioni, la Severino "Riforma difficile ma va fatta"

Il disegno di legge anticorruzione, invece, è destinato al "binario morto" in Parlamento.

Il Pd: "Il governo dovrebbe fare la voce grossa su questo punto"

di LIANA MILELLA

ROMA - Non promette niente di buono il calendario di luglio sulla giustizia. Disco verde al Senato per la responsabilità civile dei giudici, anche se il testo della legge Comunitaria deve tornare alla Camera. Binario morto per il ddl anti-corruzione sempre a palazzo Madama, col rischio che la legge perda qualsiasi chance di essere approvata per il 2013. Cattive notizie pure da Montecitorio, dove il Guardasigilli Paola Severino potrebbe presentare un suo testo sulle intercettazioni. Non è detto che faccia in tempo per questo scorcio di luglio, ma certo è che ci sta lavorando. Convinta com'è - lo ripete da due giorni - che "la riforma è difficile, ma va fatta".

Glielo chiedono i giornalisti, è vero, ma il ministro della Giustizia non replica con un "la legge non serve, bastano le norme che ci sono adesso". Tutt'altro. Non è un mistero che il Pdl sta esercitando su Severino fortissime pressioni per ottenere una legge che, anche se non è il bavaglio totale che avrebbe preteso Berlusconi, per certo complicherà assai la vita di pm e giornalisti. L'insistenza del Pdl fa sì che per una legge sulle intercettazioni che va avanti potrebbe essere diverso l'atteggiamento del gruppo su anti-corruzione e responsabilità. Guai a chiamarlo do ut des perché Severino s'arrabbia, ma la partita, vista dal coté berlusconiano, assume quest'aspetto.
Il rischio più grave è che il ddl anti-corruzione si blocchi. Le notizie che arrivano dal Senato non sono confortanti.
Soggetto alla discussione in un due commissioni "in congiunta" - Affari costituzionali e Giustizia - per ora può contare su una sola seduta a settimana, e siamo ancora alla discussione generale. Chiosa la capogruppo del Pd Silvia Della Monica: "Con questo ritmo non ce la faremo neppure a discutere gli emendamenti prima dell'estate. Io l'ho fatto presente, ho chiesto più spazio, ho ribadito che per noi questo ddl è di importanza fondamentale, ma ho avvertito intorno a me grande freddezza. A mio avviso il governo dovrebbe fare la voce grossa e chiedere subito una corsia preferenziale, altrimenti qui rischiamo veramente di perdere il treno del voto favorevole".

A rabbonire il Pdl e a dargli entusiasmo sull'anti-corruzione potrebbero essere proprio le intercettazioni, l'idea che l'agognato traguardo di una leggina bavaglio si avvicini. Severino insiste "sui diritti e sulle esigenze che rappresentano il vertice dei beni costituzionalmente tutelati" e cita "quello dei cittadini alla propria privacy, quello del giornalista di informare, quello del magistrato a lavorare in modo riservato nelle fasi di costruzione delle indagini". Il Guardasigilli ammette - mentre visita le carceri di Marassi e San Vittore e ai detenuti dice "sull'amnistia decide solo il Parlamento" - che "la materia abbia un livello di difficoltà enorme", ma pur difficile questo resta "un compito da cui non ci può sottrarre". Soprattutto visto che "il ddl è già calendarizzato alla Camera". Difficile dire, sin da ora, quanto stretto sarà il suo bavaglio. Certo è che qualsiasi legge sulle intercettazioni ridurrà comunque le maglie del diritto di cronaca.

(10 luglio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/07/10/news/severino_intercettazioni-38803310/?ref=HREC1-1


Titolo: LIANA MILELLA Corruzione, ricatto Pdl
Inserito da: Admin - Settembre 10, 2012, 08:35:11 pm

9
set
2012

Corruzione, ricatto Pdl


Il balletto del Pdl sull’anti-corruzione è insopportabile. Con il suo consueto linguaggio esplicito lo ha detto Di Pietro usando l’unica parola giusta per definire quanto stanno facendo i berlusconiani sulla giustizia. “Ricatto”. E non oggi, ma ormai da mesi. Votiamo l’anti-corruzione, dicono gli uomini del Cavaliere, solo a patto che si chiuda contemporaneamente l’accordo anche su intercettazioni e responsabilità civile dei giudici. Come dice il leader dell’Idv la pretesa è quanto mai “contraddittoria” perché non si può, da un lato, rafforzare gli strumenti per contrastare corrotti e corruttori e, dall’altro, indebolire gli strumenti investigativi e delegittimare i magistrati.

Ma non basta. Il ricatto va oltre. Il Pdl vuole una legge anti-corruzione all’acqua di rose. Già essa è deficitaria perché, come lamenta giustamente l’Anm, non prevede un congruo allungamento della prescrizione e non introduce il reato di auto-riciclaggio. Non basta. Il Pdl vuole di nuovo abbassare le pene minime dei reati corruttivi, vuole indebolire le nuove figure del traffico di influenze e della corruzione tra privati, che già nella versione Severino prevedono una pena massima fino a tre anni, quindi non saranno possibili neppure le intercettazioni. Ma non basta ancora. Vogliono una corruzione tra privati solo a querela di parte. E contestano la divisione della concussione perché non avvantaggia Berlusconi e la definiscono una norma contra personam.

Tralasciando qui il complesso discorso della concussione e la verifica dell’effettiva utilità della nascita del nuovo reato di corruzione per induzione (l’ex pm Di Pietro lo considera un danno) soprattutto per l’impatto che avrà sui processi in corso, le condizioni del Pdl appaiono del tutto inaccettabili e rischiano di svuotare completamente la legge. Senza contare che la pretesa del “trittico”, come lo chiama il capogruppo Cicchitto, e l’accordo blindato anche su intercettazioni e responsabilità civile rivela l’unico obiettivo del Pdl: far saltare l’anti-corruzione. Che, a voler dare un segnale, andrebbe votata al Senato così com’è, senza prevedere un nuovo passaggio alla Camera. La legislatura stringe e questa legge aspetta un sì dalla primavera 2010.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2012/09/09/corruzione-ricatto-pdl/?ref=HREC1-7


Titolo: LIANA MILELLA Corruzione, oltre due anni di schermaglie ecco chi e perché si ...
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2012, 02:36:52 pm
IL CASO

Corruzione, oltre due anni di schermaglie ecco chi e perché si oppone alla legge

Il fronte dei contrari è molto ampio: politici che rischiano di essere condannati, pubblici funzionari che non rispettano le regole, alcuni magistrati e alcuni imprenditori.

Il cammino del provvedimento inizia nell'aprile del 2010 e ancora oggi il Pdl cerca di smontarlo.

I punti critici

di LIANA MILELLA


La ostacola chi teme, se condannato per reati gravi, di non poter più essere candidato o ri-candidato. Gli mette sabbia negli ingranaggi chi, nella pubblica amministrazione, è abituato a gestire la macchina dello Stato senza rispettare le regole e a sfruttarla per interessi personali. Non vuole che sia approvata chi ha guadagnato fior di milioni di euro con gli arbitrati, magistrati d'ogni categoria in primis. Ne parla male chi, tra i giudici, è fuori ruolo da più di dieci anni, guadagna il doppio dello stipendio, e rischia invece di dover fare subito le valigie. La odiano tutti i potenziali incriminati per reati come l'abuso d'ufficio, il peculato (vedi Fiorito), la concussione, la corruzione in genere e quella più grave nei confronti delle toghe perché le pene schizzano in avanti. Cercano di fermarla gli imprenditori penalmente sporchi che si vedrebbero da un giorno all'altro tagliati fuori dalla grande torta degli appalti pubblici.

Come si può vedere è assai lungo l'elenco di chi, da due anni, rema contro la legge anti-corruzione. La dovette varare il governo Berlusconi e fu costretto a firmarla, nell'aprile 2010, il Guardasigilli Angelino Alfano perché proprio non se ne poteva fare a meno, con i Verdini messi sotto processo, con lo scandalo degli imprenditori che si tuffavano come avvoltoi sugli appalti del terremoto dell'Aquila. Fu un boccone molto amaro che palazzo Chigi dovette ingoiare. Ma si capì sin da subito che non si faceva sul serio. Il testo finì al Senato e ci restò
oltre un anno, subissato dalle audizioni e dai distinguo. Alfano non fece mai nulla per imprimere un'accelerazione.

Omissis ...

Fine luglio 2011, il testo passa a palazzo Madama. Resta un altro anno a Montecitorio. Arriva Monti. La "rogna" finisce sul tavolo del nuovo ministro della Giustizia, l'avvocato Paola Severino. E la musica cambia. Lei dice subito nella prima intervista che concede proprio a Repubblica: "Punirò la corruzione tra privati".  È il 17 dicembre 2011. Nel Pdl comincia la politica dei distinguo. Che va avanti per mesi, fino al voto di fiducia strappato alla Camera a metà giugno a un gruppo berlusconiano sbrindellato e recalcitrante che, neppure un minuto dopo l'approvazione già annuncia che smantellerà il testo al Senato. In queste ore lo sta già facendo.

Del resto basta scorrerlo questo ddl per rendersi conto che è del tutto indigeribile per chi considera lo Stato "cosa sua" e come "cosa sua" lo gestisce e se ne appropria. Numerosi e dettagliati gli articoli che riscrivono le regole del buon governo all'interno della pubblica amministrazione in modo da rendere certa un'effettiva trasparenza. Controlli sugli appalti, verifiche continue, una white list presso le prefetture delle imprese pulite e che esclude dalle gare pubbliche tutti gli imprenditori con la fedina penale inguaiata. Rigida stretta sugli arbitrati, non solo servirà un'autorizzazione puntuale per concederli, ma dovranno essere privilegiati i funzionari interni. Definitivo stop per i magistrati. E proprio per le toghe una decisione assai mal vista, l'ormai famigerata "norma Giachetti", dal parlamentare Pd ed ex radicale Roberto Giachetti che l'ha presentata, per cui chi è fuori ruolo da oltre dieci anni, anche se collocato in amministrazioni importanti come il Quirinale, palazzo Chigi, la Consulta, il Csm, dovrà tornarsene indietro a svolgere il lavoro ordinario.

Indigesti i due capitoli sullo stop alle candidature dei condannati in via definitiva e sulle nuove norme penali. Qui la battaglia è stata durissima. Per le "liste pulite" - si badi, solo condannati passati in giudicato e non certo in primo grado per reati gravi come pure voleva Di Pietro - si passerà pure per una delega al governo. Doveva essere di un anno, e avrebbe saltato in modo assurdo e contraddittorio le prossime elezioni politiche. Un ordine del giorno ha impegnato l'esecutivo a farlo entro tre mesi. Ma il termine non è imperativo.

Il ginepraio delle norme penali è un cantiere aperto. Severino ha riscritto la sua "piramide" che rimette in piedi gli articoli del codice penale dal 317 al 323, aumenti di pena per reati come abuso d'ufficio, peculato, concussione e corruzione. Due nuovi reati, traffico di influenze e corruzione tra privati, un delitto "figlio" della concussione, la corruzione per induzione, che punisce in modo più lieve il corruttore e dà tre anni anche chi piega la testa. Così non parlerà più nessuno, lamenta l'ex pm Di Pietro. Molti criticano la norma e ne temono gli effetti negativi sui processi in corso. Tant'è che è stato ribattezzata salva-Penati, l'ex presidente Pd della provincia di Milano finito sotto inchiesta per gli appalti della Serravalle. Berlusconi vuole cambiarlo, segno però che non si presta bene al processo salva-Ruby.

(26 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/26/news/anticorruzione-43341501/?ref=HRER2-1


Titolo: LIANA MILELLA Via i condannati dal Parlamento il governo accelera sulla delega
Inserito da: Admin - Ottobre 04, 2012, 03:42:44 pm
RETROSCENA

Via i condannati dal Parlamento il governo accelera sulla delega

Entro dicembre l'incandidabilità: l'obiettivo dell'esecutivo è rendere operativa la legge prima del voto nel Lazio

di LIANA MILELLA


Liste pulite ovunque. Condannati in via definitiva fuori da qualsiasi carica elettiva. Come i 26 che attualmente siedono tra Camera e Senato. Se il governo Monti vince la difficile sfida contro il tempo, già nella prossima competition per la Regione Lazio, potrebbero valere le nuove norme sul divieto di far correre rappresentanti su cui grava una condanna passata in  giudicato per pene superiori a due anni. Il vettore: il ddl anti-corruzione. Lo strumento: una legge delega, prevista proprio in quel testo all'articolo 17, che bruci i tempi.

Pronta in una settimana, dopo il voto definitivo alla Camera sull'ormai famosa manovra contro i corrotti. Nuove regole per Parlamento europeo ed italiano, Regioni, Province, Comuni, circoscrizioni, aziende speciali, e ogni specie di rappresentanza a livello periferico. Stop anche per gli incarichi di governo. Non diventi premier, ministro o sottosegretario se hai commesso reati gravi e sei stato giudicato colpevole. Pronta in una settimana, dopo il voto definitivo alla Camera sull'ormai famosa manovra contro i corrotti. Nuove regole per Parlamento europeo ed italiano, Regioni, Province, Comuni, circoscrizioni, aziende speciali, e ogni specie di rappresentanza a livello periferico. Stop anche per gli incarichi di governo. Non diventi premier, ministro o sottosegretario se hai commesso reati gravi e sei stato giudicato colpevole.

La notizia è esplosiva. Immette aria nuova nella corsa al voto. Le sue conseguenze politiche sono rilevantissime. Salta fuori da un colloquio super riservato tra il Guardasigilli Paola Severino e il ministro per la Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi. Entrambi a palazzo Madama, al banco della presidenza delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia che si arrovellano sugli emendamenti all'anti-corruzione. Ma orecchie sensibili lì vicino ascoltano. Ecco il colloquio. Dice Patroni Griffi a Severino: "Sai che c'è Paola? Qui la sfida è far partire subito le norme sull'incandidabilità. Non si deve più andare a votare con i condannati in lista. Non dobbiamo perdere quest'occasione". Replica lei a lui: "Hai ragione, dobbiamo farcela assolutamente". Promette lui: "Bisogna anticipare al massimo i tempi della delega, questo ci chiede Monti".

Possibile. Realistico. Rivoluzionario. Almeno per un Parlamento in cui nomi noti - da Brancher a De Gregorio, da Dell'Utri a Drago, solo per citare qualcuno dei 26 condannati definitivi - siedono senza problemi accanto a chi ha la fedina penale pulita. Nel quale da tempo Di Pietro e i suoi chiedono norme ancora più drastiche di quelle che il governo Monti ha già fatto votare a Montecitorio con la fiducia e che ora sono al Senato. L'ex pm di Milano vorrebbe che restassero ai margini anche quanti hanno soltanto una condanna in primo grado. Fini e Bongiorno invece - autrice quest'ultima di una proposta di legge presentata a luglio proprio per anticipare la delega del governo - sono sulla linea Monti nel rispetto della Costituzione che ha nella condanna definitiva uno spartiacque decisivo. E il presidente della Camera, ancora ieri sera, sollecitava il premier ad approvare "subito" il capitolo dell'anti-corruzione che riguarda l'incandidabilità.

La scommessa di Patroni Griffi e del ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri, cui fa capo la complessa macchina del voto in periferia e che ha lavorato al capitolo delle esclusioni, è quella di far partire la legge delega subito a ridosso del voto sull'anti-corruzione. I calcoli sono presto fatti. Al Senato, nelle commissioni, il testo passerà la prossima settimana. Il presidente del Senato Schifani garantisce tempi brevi per l'aula, "due settimane". Siamo a fine ottobre. Se la Camera bruciasse i tempi con una lettura lampo e il governo a sua volta fosse pronto in pochi giorni, o subito, col decreto legislativo sulle liste pulite, si potrebbe votare per il Lazio con quel decreto già scritto. Certo, le commissioni parlamentari devono dare un parere, che però ha solo un valore consultivo.

Comunque, con un simile decreto già esistente, sarebbe una grave scorrettezza se i partiti candidassero comunque degli inquisiti nel Lazio. Sarebbe anche una mossa sciocca soprattutto perché, già nell'attuale legge delega, è prevista "la sospensione e decadenza di diritto in caso di sentenza definitiva di condanna" nel corso della carica. Pur entrati nella corsa alla Regione i condannati dovrebbero rinunciare al loro scranno e andarsene.
Tutti fuori. Quelli che hanno commesso un reato grave, di mafia, di terrorismo, un attentato contro lo Stato, un sequestro di persona, una riduzione in schiavitù, ma anche, come è stato aggiunto a Montecitorio, "sentenze definitive di condanna per delitti di grave allarme sociale".

È evidente che, tra questi reati, non si possono non includere anche le condanne per i delitti contro la Pubblica amministrazione, corruzione, concussione, peculato per l'appunto, il reato contestato a Fiorito, soprattutto in questo momento di inchieste esplosive che rivelano come i fondi pubblici siano stati usati per scopi strettamente personali. Che liste pulite sarebbero quelle in cui proprio i condannati per i crimini dei colletti bianchi alla fine possono candidarsi? È ovvio che dovranno farsi da parte. Va da sé che, fatta la legge, toccherà ai partiti e a chi seleziona le candidature decidere se "sfidare" la sorte di una possibile condanna inserendo anche chi ha già perso il primo grado o l'appello. Ma su questo Monti, Cancellieri, Severino e Patroni Griffi sono allineati sulla Costituzione. Vale una sentenza solo se definitiva.
 

(03 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

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Titolo: LIANA MILELLA Nel Pd l'incubo di una legge blocca-processi Evitiamo di ...
Inserito da: Admin - Ottobre 07, 2012, 03:53:34 pm
Il retroscena

Nel Pd l'incubo di una legge blocca-processi "Evitiamo di salvare Penati e Berlusconi"

I democratici temono che le nuove norme favoriscano la prescrizione, facendo così un "favore" al movimento di Grillo.

Nell'attuale formulazione i due processi possono prescriversi in 10 anni anziché 15. Si cerca una soluzione

di LIANA MILELLA


ROMA - Raccontano che nel Pd la battaglia sull'anti-corruzione sia tuttora aperta. Su una questione di primaria importanza che determinerà il destino - ma sarebbe meglio dire la faccia - non solo di una norma, ma dei partiti stessi che l'hanno sottoscritta. Che hanno condotto le trattative. Che hanno ostacolato o assecondato il Guardasigilli Severino. L'ultimo week-end da brivido per la legge in lista d'attesa dall'aprile 2010 si gioca tutto su due anni. Sì, proprio così. Due anni. Quelli dell'ex concussione divenuta corruzione per induzione. Sarà punita fino a 8 o fino a 10 anni? Da lì dipende se la legge contro i corrotti passerà alla storia come una buona legge o come una legge ad personam. E va da sé che non è poco.

Per essere precisi e citare alla lettera parliamo del futuro articolo del codice penale 319 quater, "induzione indebita a dare o promettere utilità". Guarda caso il delitto commesso da Berlusconi quando, il 29 maggio del 2010, telefonò al funzionario di polizia Ostuni per liberare la sua amichetta Ruby. Non solo. Pure i reati commessi da Penati, l'ex presidente della Provincia di Milano ed ex vice di Formigoni alla Regione Lombardia, quando nel 2002 trafficò con le aree della Falk. Incriminazioni che evaporano sicuramente
(Penati) e rischiano di essere compromesse (Berlusconi) appena la nuova legge anti-corruzione diventa operativa.

Storia nota, direte. Eh sì, ma è una storia che attraversa e compromette la faccia della legge anti-corruzione. E che adesso arriva allo show down. Che agita i sonni di Bersani. Mette inquietudine a Finocchiaro. Fa protestare Della Monica e Ferranti, le due ex toghe divenute capogruppo del Pd nelle rispettive commissioni Giustizia di Camera e Senato. È storia che si ripercuote in via Arenula dove Severino, fino ad ora, ha preferito non alterare la sua ormai famosa "piramide delle pene", la scala dei reati contro la pubblica amministrazione punita a seconda della loro gravità.

"La storia delle leggi deve prescindere da quella dei processi" ha spesso ripetuto il ministro della Giustizia. Ma se gli imputati si chiamano Berlusconmi e Penati, e se rappresentano quello che rappresentano, allora la prospettiva cambia. È per questo che le ex toghe del Pd battagliano e si scontrano col vertice politico. Per questo Bersani e il responsabile Giustizia Orlando s'interrogano se sia meglio approvare subito la legge e poi farsi dire che "s'è salvato Penati e s'è fatto l'inciucio con Berlusconi" oppure se non sia meglio "puntare i piedi e ottenere due anni in più di pena per la corruzione".

Eccoli qua questi benedetti due anni. La faccenda è messa così: la concussione, quando era l'unico reato e portava il numero 317, era punita da 4 a 12 anni. Adesso Severino ha aumentato il minimo che andrà a sei anni. Identico il massimo. E fin qui nulla quaestio. Ma la grana scoppia con la corruzione per induzione, punita "solo" da 3 a 8 anni. In quella specie di corruzione ricade in pieno il caso Penati. E pure quello di Berlusconi. Ovviamente, se la pena massima cala, cala pure il tempo di prescrizione. Era al massimo 15 anni, diventa al massimo 10 anni. Processi in fumo quindi. Di sicuro Penati, come s'è detto. Mentre per il Cavaliere la scadenza è lontana, ma c'è il rischio che la nuova formulazione metta in crisi il processo. Questione di "continuità giuridica" come dicono gli addetti ai lavori.

Ma torniamo ai 2 anni che scuotono e angosciano il Pd. Basterebbero due anni in più, una pena massima di 10 anziché di 8 anni, per salvare molti processi, tra questi di sicuro quello di Penati. Messo in sicurezza con la garanzia che per le tre concussioni - due delle quali già scadute quest'anno se passa la nuova legge e una in scadenza a febbraio 2013 - si può largamente arrivare al processo. Che sono due anni se salvano la faccia e cancellano l'ombra di una possibile legge ad personam? L'ex pm Della Monica, che a Firenze faceva parte della squadra di Piero Vigna, il suo emendamento lo ha presentato, corruzione per induzione punita fino a 10 anni. Severino non l'ha inserito tra i suoi. Sostiene il ministro che se apportasse quella modifica la sua "piramide" sarebbe in bilico. Ma il vertice del Pd già vede i titoli dei giornali prossimi venturi stampati: "Salvo Penati grazie alla legge anti-corruzione".

Il Pdl stavolta si può perfino permettere di stare a guardare. La storia di Penati "copre" quella di Berlusconi. La questione è sul tavolo. Rischia di inquinare il risultato della legge. In tempi di scandali dilaganti dovrebbe essere il problema dei problemi. E c'è chi, nel Pd, ragiona così: "Questo regalo a Grillo non lo possiamo proprio fare...".
 

(06 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

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Titolo: LIANA MILELLA Concussione “nemica” di Severino
Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2012, 05:28:31 pm

17
ott
2012

Concussione “nemica” di Severino

Una legge contro la corruzione che ha come conseguenza quella di mandare all’aria alcuni dei processi in corso che effetto vi fa? La risposta possibile è una sola: effetto pessimo per conseguenze pessime. Purtroppo rischia di essere proprio questo il risultato più tangibile e d’immediato impatto mediatico della legge anti-corruzione. Decretare la fine o il rimescolamento  giuridico – il che forse è ancora peggio – di molti processi attualmente in corso per il reato di concussione per induzione, il famoso reato “figlio” della stessa concussione per come lo ha scritto il ministro della Giustizia Severino nella sua “piramide delle pene”. Tant’è che lei stessa se ne preoccupa e commissiona al suo ufficio statistico (ma non solo) un’indagine sul campo, dai tribunali alle corti di appello per finire alla Cassazione. Li illustrerà oggi al Senato quando il ddl sloggerà finalmente per essere votato con la fiducia e tornare alla Camera per quella che dovrebbe essere la lettura definitiva.
La fotografia delle conseguenze del ddl anti-corruzione sono in un numero da cerchiare in rosso. Arrivano al  50%  i processi  di concussione per induzione che impattano con la legge, e nei quali il giudice dovrà verificare se il nuovo reato effettivamente è scritto e strutturato in modo tale da reggere ancora al giudizio dei giudici. Severino minimizza, si è convinta che, rispetto al dato globale dei processi per concussione,  quelli che cadono si contano su un paio di mani, sarebbero solo “poche decine”. Supposto che questo sia vero – ma non è vero – comunque anche la caduta di un solo processo perché fulminato da tempi di prescrizione che non sono più quelli di prima grazie a una norma contenuta in una legge che dovrebbe rafforzare – e non certo sminuire – la repressione, è molto negativo e dovrebbe essere evitato.
In Cassazione, attualmente, ci sono 75 processi per concussione relativi all’anno in corso. Di questi il 50% è a rischio perché dovrà misurarsi con il nuovo articolo 319 quater, quello che disciplina la concussione per induzione.  Ma non basta. Agli uomini che sanno far di conto è stata data un’indicazione che potrebbe risultare del tutto anomala.  Per calcolare quale potrebbe essere l’impatto “assassino” hanno distinto i processi di concussione per costrizione da quelli per induzione basandosi sui capi di imputazione e non sulle condotte effettive degli imputati. Non è affatto detto che il modo migliore per capire quale sia la natura di un reato sia proprio quella di spulciare i capi di accusa contenuti nelle sentenze anziché esaminare le singole condotte del soggetto inquisito.
Ma a stringere il risultato è uno: nel giorno in cui si dovrebbe celebrare con entusiasmo il sì alla legge seppure con l’ennesima fiducia, ecco che Severino cerca di evitare gli attacchi frontali più duri  su un aspetto che ormai da mesi è stato segnalato dai media. E cioè la prescrizione più breve per un grave reato come la concussione per induzione a seguito del taglio degli anni di pena ridotti da un minimo di 3 a un massimo di 8 anni. Con questo soltanto bisognerebbe fare i conti.

Una legge contro la corruzione che ha come conseguenza quella di mandare all’aria alcuni dei processi in corso che effetto vi fa? La risposta possibile è una sola: effetto pessimo per conseguenze pessime. Purtroppo rischia di essere proprio questo il risultato più tangibile e d’immediato impatto mediatico della legge anti-corruzione. Decretare la fine o il rimescolamento giuridico – il che forse è ancora peggio – di molti processi attualmente in corso per il reato di concussione per induzione, il famoso reato “figlio” della stessa concussione per come lo ha scritto il ministro della Giustizia Severino nella sua “piramide delle pene”. Tant’è che lei stessa se ne preoccupa e commissiona al suo ufficio statistico (ma non solo) un’indagine sul campo, dai tribunali alle corti di appello per finire alla Cassazione. Avrebbe dovuto illustrare i dati al Senato ma alla fine deve aver deciso che era meglio soprassedere forse per evitare polemiche ulteriori. Un silenzio, quello del Guardasigilli sulla concussione per induzione e sugli effetti che produrrà sui processi in corso che, francamente, lascia perplessi. Ignorare un problema, e che problema, non pare la via più trasparente, giusto in un provvedimento che della trasparenza, come dice il suo collega Patroni Griffi, fa una bandiera.

Tant’è. La fotografia delle conseguenze del ddl anti-corruzione sono in un numero da cerchiare in rosso. Arrivano al 50% i processi di concussione per induzione che impattano con la legge, e nei quali il giudice dovrà verificare se il nuovo reato effettivamente è scritto e strutturato in modo tale da reggere ancora al giudizio dei giudici. Severino minimizza, si è convinta che, rispetto al dato globale dei processi per concussione, quelli che cadono si contano su un paio di mani, sarebbero solo “poche decine”. Supposto che questo sia vero – ma non è vero – comunque anche la caduta di un solo processo perché fulminato da tempi di prescrizione che non sono più quelli di prima grazie a una norma contenuta in una legge che dovrebbe rafforzare – e non certo sminuire – la repressione, è molto negativo e dovrebbe essere evitato.

In Cassazione, attualmente, ci sono 75 processi per concussione relativi all’anno in corso. Di questi il 50% è a rischio perché dovrà misurarsi con il nuovo articolo 319 quater, quello che disciplina la concussione per induzione. Ma non basta. Agli uomini che sanno far di conto è stata data un’indicazione che potrebbe risultare del tutto anomala. Per calcolare quale potrebbe essere l’impatto “assassino” hanno distinto i processi di concussione per costrizione da quelli per induzione basandosi sui capi di imputazione e non sulle condotte effettive degli imputati. Non è affatto detto che il modo migliore per capire quale sia la natura di un reato sia proprio quella di spulciare i capi di accusa contenuti nelle sentenze anziché esaminare le singole condotte del soggetto inquisito.

Ma a stringere il risultato è uno: nel giorno in cui si dovrebbe celebrare con entusiasmo il sì alla legge seppure con l’ennesima fiducia, ecco che Severino cerca di evitare gli attacchi frontali più duri su un aspetto che ormai da mesi è stato segnalato dai media. E cioè la prescrizione più breve per un grave reato come la concussione per induzione a seguito del taglio degli anni di pena ridotti da un minimo di 3 a un massimo di 8 anni. Invece è con questo bisognerebbe fare i conti, invece di attardarsi sui magistrati fuori ruolo, quasi che sia scandalo che al ministero della Giustizia ci lavorano dei magistrati. E chi ci dovrebbe andare, forse gli ingegneri?…

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/?ref=HREC1-2


Titolo: LIANA MILELLA Tacere o rispondere?
Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2013, 04:19:43 pm

15
gen
2013

Tacere o rispondere?

 Liana MILELLA

Ci risiamo. Berlusconi si candida e per racimolare voti attacca i giudici. Il copione è trito e ritrito, niente di nuovo, basta andare in archivio. È dal ‘94 che sciorina lo stesso repertorio. Nel frattempo ha fatto di tutto per ostacolare la giustizia e per rallentare i suoi processi. Adesso il punto è un altro. Cosa devono fare i magistrati? Devono contrastarlo rispondendo punto per punto alle sue accuse oppure devono tacere? Che deve fare Ilda Boccassini quando il Cavaliere invoca un processo contro di lei solo per aver lavorato sul caso Ruby? L’interrogativo non è superfluo. Se le toghe tacciono paiono quasi colpevoli e succube dell’ex premier. Se rispondono a tono lo scontro si alza e così fanno il gioco di Berlusconi che proprio questo propizia.
Il procuratore di Milano Bruti Liberati sceglie il silenzio. Il presidente della Corte di appello Canzio e la presidente del Tribunale Pomodoro, di fronte all’accusa rivolta ai giudici donna che si occupano della separazione Berlusconi-Lario – “femministe e comuniste” le aveva chiamate – hanno replicato indignati. Oggi parla per prima Ezia Maccora di Md e componente dell’Anm per dire che i magistrati non possono tacere e devono dire con chiarezza che il loro lavoro non si piega certo alle campagne elettorali. Poi ecco il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli che definisce “inaccettabili” le accuse di Berlusconi. Magari ci starebbe un esplicito invito del Csm e del vice presidente Michele Vietti.
Ma c’è da chiedersi: chi crede ancora al Cavaliere? Chi, conoscendone la situazione giudiziaria, può davvero pensare che lui sia freddo e obiettivo e istituzionale quando parla delle toghe? Tuttavia il silenzio non aiuta a dissipare gli inganni che Berlusconi distribuisce a piene mani. Tocca parlare dunque, difendersi, gridare a piena voce le proprie ragioni. Altrimenti c’è il rischio che qualcuno magari creda ancora all’ex premier.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/01/15/tacere-o-rispondere/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA L’ossessione del Cavaliere
Inserito da: Admin - Febbraio 24, 2013, 04:04:19 pm

23
feb
2013

Liana Milella

L’ossessione del Cavaliere


Più che “grossa” l’ultima affermazione del Cavaliere contro i magistrati dà la misura di quanto debbano essere pesanti i suoi incubi. Tanto da oscurargli il senno e fargli violare il silenzio elettorale dell’ultimo sabato prima del voto con una frase di gravità inaudita. Non ha mai il senso del limite l’ex premier. Non ce l’ha quando offende platealmente una donna (ma ormai abbiamo capito quanto materiale e greve sia il suo rapporto con l’altro sesso). Non ce l’ha quando usa la parola “cancro” per parlare dei magistrati, e usandola offende tutti coloro che con questa malattia lottano per la vita. Non ce l’ha quando imbroglia la gente con le sue false lettere sull’Imu. Non ce l’ha quando promette opere faraoniche che non hanno alcuna speranza di vedere la luce e per di più sono inutili. Non ce l’ha quando sovverte le regole dei processi e tenta di sfuggire alla giustizia. In questo blog mi si accusa di difendere i giudici, ma chi non lo farebbe di fronte a parole tanto gravi? Ricordiamocele bene – “Da noi la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa”- anche domani e dopodomani, e nei giorni a venire.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/02/23/lossessione-del-cavaliere/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Il pericolo della piazza
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2013, 11:08:20 pm

7
mar
2013

Il pericolo della piazza

Liana MILELLA

Stupisce l’assenza di un profondo allarme per il richiamo di Berlusconi alla piazza contro la magistratura. Il fatto è noto: il 23 marzo i pidiellini si raccolgono a Roma per protestare contro i giudici che, a loro dire, assediano il patron del partito. L’idea decolla dopo l’ultima indagine di Napoli su De Gregorio. Si definisce per via della stretta milanese sui dibattimenti. Dopo un’iniziale titubanza, il progetto si struttura per quello che è, un micidiale attacco contro i magistrati. Le toghe e il potere di controllo di cui sono titolari non piace a una fetta consistente degli italiani, uno su tre è con noi, dicono nel Pdl. Quindi un invito come quello di Berlusconi è accolto e condiviso dalla gente.

Ora. Fermiamoci a riflettere sulla manifestazione, sul suo significato eversivo, sulle conseguenze che può avere, sul segnale di profonda destabilizzazione delle istituzioni in generale, e in specie della magistratura. Qui stiamo parlando di un ex presidente del Consiglio con tre dibattimenti in corso e un altro paio di inchieste in itinere. Stiamo parlando di un leader di partito che, a breve, potrebbe essere condannato in via definitiva nel caso Mediaset a quattro anni, con conseguente interdizione dai pubblici uffici. Costretto, quindi, a lasciare il Parlamento. Tuttavia quest’uomo ha raccolto molti consensi nell’urna. Voti utilizzati come salvacondotto per i propri reati. Stiamo parlando di un premier che invita i suoi elettori a contestare i magistrati, a negare il loro potere, a rifiutare i loro deliberata. Il Csm ha protestato contro Berlusconi, ma lo ha fatto in modo ovattato. Idem l’Anm. C’è da chiedersi se non serva invece un allarme più radicale e soprattutto l’invito al Pdl a riflettere sulle possibili conseguenze di un simile gesto. Un invito a fare un passo indietro.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/03/07/il-pericolo-della-piazza/?ref=HRER2-1


Titolo: LIANA MILELLA Silenzi colpevoli
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2013, 11:20:30 am

9
mar
2013

Silenzi colpevoli

 Liana MILELLA


Quale catastrofe deve colpire i magistrati per smuovere dal silenzio l’attuale Guardasigilli Paola Severino e il vice presidente del Csm Michele Vietti? Le toghe devono essere colpite da un fulmine? Deve inghiottirle il terremoto? Un tornado in stile Usa deve scatenarsi su di loro? Anche oggi, a difendere i giudici dall’attacco violento del Pdl, si leva solo la voce del presidente dell’Anm Rodolfo Maria Sabelli. Si annuncia una discutibile manifestazione in piazza contro la magistratura e la si carica ogni giorno di una valenza sempre più forte. Ma neppure questo è sufficiente per far dire a Severino o a Vietti una parola di rimprovero. Si badi, qui non si sta chiedendo di replicare tono su tono, né tantomeno di rimboccarsi le maniche e menar dei pugni. Qui s’invoca soltanto un invito a rispettare le istituzioni perché esse possano svolgere il proprio lavoro nel clima congruo. Ma evidentemente, in vista di un nuovo capo dello Stato, di un nuovo governo e del rientro nella propria attività originaria (di professore e avvocato, nel caso di Severino), ognuno pensa al proprio particolare. E le toghe finiscono abbandonate a se stesse, mentre il Pdl e Berlusconi possono scatenare la propria rappresaglia del tutto indisturbati.

DA - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/03/09/silenzi-colpevoli/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Data epocale
Inserito da: Admin - Marzo 12, 2013, 06:34:26 pm

11
mar
2013



Liana MILELLA


Ore 14 e 20. Lunedì 11 marzo 2012. Una data che dovremo cerchiare in rosso sul calendario e ricordare bene perché segna un spartiacque nella storia della giustizia e dei processi in Italia.  Alfano, il segretario del Pdl ma anche l’ex ministro Guardasigilli, entra nel palazzo di giustizia di Milano alla testa di 195 parlamentari. Con loro ha attraversato la città in corteo. Con loro chiede “un’altra giustizia” per Berlusconi. Non quella giustizia cui si sottopongono tutti i cittadini italiani, di fronte agli stessi pm e agli stessi giudici.

No, Alfano ne vuole una differente. Ne vuole una morbida, arrendevole e compiacente. Una che non veda il reato, che ci passi sopra, che archivi i fascicoli.

Qui sta il vulnus. Spregiudicatamente, Alfano e il Pdl tentano di giocare una partita con il Quirinale, che mettono in imbarazzo chiedendo ciò che non può essere chiesto al presidente della Repubblica, una mediazione impossibile o intervento fuori dalle regole. Minacciano di trasferirsi sotto il Csm, accreditano in chiave pre-elettorale che il loro leader, Berlusconi, è vittima di una persecuzione giudiziaria. Lo ripetono da vent’anni, ma senza giungere platealmente e irresponsabilmente fino al punto di contrapporre in modo fisico un’istituzione ad un’altra. Parlamentari contro magistrati, in una partita che non si sarebbe mai dovuta giocare.

E che di certo gli italiani non avrebbero mai voluto vedere. Soprattutto quelli che, chiamati dai giudici, si sottopongo serenamente ogni giorno al loro giudizio. Da domani, dopo il gesto di Alfano e del Pdl, le aule di tribunale e i palazzi di giustizia rischiano di trasformarsi nel peggiore dei ring. Ma a tirar pugni si fa solo a pezzi la Costituzione.


DA - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/03/11/data-epocale/?ref=HRER3-1


Titolo: LIANA MILELLA il piano del Cavaliere: "Ora si possono congelare i processi"
Inserito da: Admin - Aprile 28, 2013, 12:08:04 pm
Giustizia, il piano del Cavaliere: "Ora si possono congelare i processi"

Il centrodestra spera di creare un clima di pacificazione, con Berlusconi che punta alla nomina di senatore a vita.

Trattativa più dura per le difficoltà del Pd su corruzione, prescrizione e anti-riciclaggio

di LIANA MILELLA


ROMA - La paura è sempre la stessa, essere condannato, venir interdetto o, nella peggiore delle ipotesi, finire in cella. Mentre tratta, da potente leader del Pdl, per il nuovo governo, Berlusconi vive il suo atavico incubo, la catastrofe per via giudiziaria. I nomi sono quelli di sempre, Mediaset, Ruby, Unipol, De Gregorio, i processi in pista tra Milano e Napoli. I suoi avvocati sono preoccupati quanto lui. Si confessano. Il gioco si fa scoperto. Ma sarebbe sbagliato pensare che sono solo alla ricerca, pure stavolta, del salvacondotto miracoloso, della super-legge capace di ottenere quello in cui hanno fallito tante norme ad personam, i lodi, i legittimi impedimenti, le Cirami, le Cirielli. Ora la partita diventa molto più "alta".

La via "legislativo-giudiziaria" per evitare le sentenze e mettere nel nulla anni di inchieste si trasforma in una via "politico-giudiziaria". Per dirla con Silvio: "È giunto il tempo di chiudere questa partita. Ora ci sono le condizioni per farlo". Per come la illustrano i corifei del Cavaliere, la strategia si regge su un assunto semplice: nelle ore in cui l'ex premier rende praticabile un governo di salute pubblica, che salva il Paese dal baratro di nuove elezioni, egli non può cadere per via dei suoi processi. In qualsiasi grado di giudizio si trovino, prossimi o lontani dalla sentenza che siano, i dibattimenti devono fermarsi. Perché se andassero avanti, se si arrivasse alla sentenza definitiva, se Berlusconi fosse interdetto dai pubblici uffici, se dovesse fare i conti con la galera (e non cambia la prospettiva dei domiciliari), è ben evidente che il governo Letta prossimo venturo si trasformerebbe d'acchito in un fantasma.

È questo il vero tema della trattativa di governo. Tema segreto, ovviamente. Coinvolge tutti, anche Napolitano, se è vero che proprio da lui Berlusconi si aspetta un passo molto importante, la sua nomina a senatore a vita. Un doppia nomina, in realtà. Nel progetto del Pdl il presidente della Repubblica dovrebbe scegliere Berlusconi, ma anche Romano Prodi, nel segno della grande pacificazione. Una mossa per chiudere, con un colpo solo, una guerra giudiziaria in atto da 20 anni. Il progetto è ambizioso. Svela, al contempo, ben cinque grandi difficoltà. La prima: i processi vicini alla conclusione. La seconda: l'impossibilità di trovare la legge giusta per chiuderli tutti e quattro in un sol colpo. La terza: il nuovo quadro politico con i grillini pronti a seminare la guerra tra Camera e Senato. La quarta: il Pd messo in discussione dai suoi giovani per il patto mortale con Berlusconi. La quinta: la paura che aggressioni come quelle di Franceschini, Fassina, Bindi possano diventare la prassi. Chi, in Parlamento, potrebbe affrontare una legge per mettere una pietra sui processi di Berlusconi?

Questo complica la trattativa sulla giustizia e rischia di diventare un'ipoteca pesante non solo per il prossimo ministro Guardasigilli, ma anche per il Pd che dovrà barcamenarsi per mantenere gli impegni presi con i suoi elettori, una nuova legge anti-corruzione, la prescrizione più lunga, il reato di auto-riciclaggio (l'aveva promesso Letta, proprio a Repubblica, a dicembre). Invece sul tappeto il Pdl ha messo altro. Non sarà epoca di lodi, ma lo spazio per un provvedimento generale a favore dei detenuti e dei condannati, sia esso un'amnistia o un indulto o fortissime misure alternative all'attuale detenzione, questo dev'essere praticabile. E Napolitano - dicono le fonti vicine a Berlusconi - non potrebbe che essere d'accordo visti i suoi tanti interventi contro lo svilimento della vita carceraria. Vi è di più: un governo dal tratto istituzionale, che nasce sotto l'evidente usbergo del capo dello Stato, può anche permettersi una misura ampia, perché scritta per chiudere definitivamente una stagione politica, quella della "malagiustizia" (Ferrara, Il foglio).

I sogni, però, devono fare sempre i conti con la realtà. Quella di Berlusconi non è affatto rosea. Un processo chiuso in primo grado, Unipol, con un anno di pena. Potrebbe prescriversi. E sia. Un secondo processo, Mediaset, prossimo alla conclusione dell'appello. Rischio conferma della sentenza di 4 anni per frode fiscale e 5 d'interdizione. Cassazione stimata entro primavera 2014, prima della prescrizione. Ruby, la peggiore delle grane. Proprio Niccolò Ghedini, avvocato e consigliere giuridico stretto di Berlusconi, si aspetta una condanna. Infine Napoli, la compravendita per De Gregorio, il grande punto interrogativo. Può saltare tutto questo? Possono i magistrati farsi carico della nuova stagione politica? Possono "rispettare" Berlusconi e mandarlo sistematicamente assolto? I fatti, quelli che contano: il 18 maggio la Cassazione decide sull'istanza di legittimo sospetto avanzata da Ghedini e Piero Longo. Nel palazzaccio la danno per bocciata al 98%, ma essa rappresenta la prima cartina al tornasole. Se fosse approvata, la partita per Berlusconi si trasferirebbe a Brescia, cioè sarebbe chiusa. Prim'ancora ecco altre due scadenze. Il 6 maggio il Csm sceglie il nuovo presidente della Suprema corte: Giorgio Santacroce, alta toga sponsorizzata dal centrodestra e dalla moderata Unicost, e che una volta andò a cena nello studio di Cesare Previti, o Luigi Rovelli, il candidato della sinistra? Berlusconi ha detto della Cassazione che è "il suo giudice a Berlino". Infine la Consulta. All'inizio di maggio la decisione su Mediaset e un farlocco legittimo impedimento. Un consiglio dei ministri piazzato di lunedì, era il primo marzo 2010, per approvare "d'urgenza" un ddl anti-corruzione che poi aspetterà altri due mesi per entrare in Parlamento, e per far saltare un'udienza del processo. I berlusconiani sperano che una decisione favorevole faccia saltare l'intero processo. Alla Corte, martedì, hanno rinviato solo per evitare che uno scontato no potesse destabilizzare l'avvio del governo. La strada, come si vede, è stretta. Il Pdl agogna la via della grande pacificazione giudiziaria, ma tanti e tali sono i burroni da renderla perigliosa.


(27 aprile 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/04/27/news/giustizia_il_piano_del_cavaliere_ora_si_possono_congelare_i_processi-57525266/?ref=HREC1-1


Titolo: LIANA MILELLA Temporali sui giudici
Inserito da: Admin - Maggio 15, 2013, 12:02:39 pm

11
mag
2013

Temporali sui giudici

Liana MILELLA

Vogliamo mettere in fila i segnali negativi delle ultime due settimane sulla giustizia? Si sono susseguiti così rapidi che non ho neppure fatto in tempo a scriverne. E allora.
1. Si fa un governo Pd-Pdl che, visto il passato, non può che essere negativo per le riforme sulla giustizia e per i giudici. Se va male è “inciucio”, se va bene è il nulla, nel senso che non si riesce a far nulla per via dei veti incrociati.

2. Alla Giustizia va Cancellieri. Non è esperta della materia, ma almeno non ha scheletri nell’armadio. Il suo passato non la vincola.

3. Il Pdl le piazza un sottosegretario come Cosimo Maria Ferri. Mossa astuta di Niccolò Ghedini. Nel Pdl, i nemici dell’avvocato, vogliono far credere che sia stato fatto fuori e sostituito con Franco Coppi. Non è così, Coppi lo ha scelto lui, e che detti pienamente ancora legge lo dimostra proprio la scelta di Ferri. Ferri è un colpo al cuore delle altre correnti. Che sono rimaste basite. Al di là della sua storia personale, basti dire che quando si è fatta l’ultima giunta dell’Anm non è entrato ed è rimasto all’opposizione perché chiedeva la «discontinuità» con la giunta Palamara-Cascini. Niente battaglie sulla Costituzione, ma su carriere e soldi.

4. Alla commissione Giustizia del Senato ci va Francesco Nitto Palma, l’uomo più antipatico del mondo (basta guardarlo). Non ha neppure senso dell’humor, ha pure querelato Crozza. Parla bene di Cosentino, sulla base delle carte lo considera innocente. Vuole la legge sulle intercettazioni. Il Pd gli ha fatto la guerra e non lo votato. Bel viatico per le riforme condivise, quelle di cui parla Napolitano.

5. Per fortuna alla Camera, alla Giustizia, ci va Donatella Ferranti. Speriamo che regga alla fatica. Già da semplice parlamentare piantonava tutto il giorno Montecitorio con spaventose borse piene di carte. Hanno cercato di bloccarla mettendo in giro la chiacchiera che la voleva l’Anm. Scusate, ma l’Anm chi? Il presidente Rodolfo Maria Sabelli? Quello che non dà confidenza neppure a se stesso? Quello che non conosce la parola «indiscrezione»? Quello che, da pm, non ha mai parlato con un giornalista? Bah, solo il Giornale può mettere la sua foto facendo credere che sia stato lui a chiamare quelli del Pd per dirgli che voleva Ferranti.

6. Il Csm sceglie per il vertice della Cassazione Giorgio Santacroce. Vent’anni fa è andato una volta a cena nello studio di Previti. Ma passi pure questo, il fatto vero è che è stato eletto da uno schieramento di destra, Unicost più Magistratura indipendente e i laici del centrodestra, salvo l’astenuto Marini. Battuta la sinistra. Csm spaccato a metà. Un cattivo segnale. Vedremo, adesso, che farà Santacroce.

7. Che cosa fa il procuratore generale Gianfranco Ciani invece già lo sappiamo. Non ha chiesto di sospendere dalle funzioni e dallo stipendio il procuratore di Bari Laudati, ma in compenso non si perde una dichiarazione o intervista di un magistrato. Beccato Di Matteo, spedito alla disciplinare. Colpita Fiorillo, poi del tutto inopportunamente censurata dal Csm, nonostante l’appassionata difesa di Nello Rossi. Era colpevole di essersi difesa da un’errata ricostruzione di Maroni a Montecitorio. Non lo faceva nessuno e lo ha fatto lei. E allora? Il segnale è chiarissimo: i magistrati devono imparare a starsene zitti.

8. Berlusconi si scatena, mai come adesso, contro i giudici. Compie una pericolosa operazione. Prima parlava in tv contro di loro, adesso va in piazza, vuole che le tv inquadrino la folla plaudente. Vuole sentir battere le mani mentre lui attacca i pm che lo «lo perseguitano». Trascina con sé pure Alfano, il ministro dell’Interno. Pazzesco. Una cosa che non s’era mai vista. Il responsabile dell’ordine pubblico finisce laddove s’insultano i magistrati. Il valore simbolico è devastante.
Il bilancio? Catastrofico.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/05/11/temporali-sui-giudici/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Lo sgarro di Nitto
Inserito da: Admin - Maggio 28, 2013, 11:08:24 pm

28
mag
2013

Lo sgarro di Nitto

 Liana MILELLA   

Una cosa è certa. L’emergenza della giustizia non sta in quelli che il Pdl considera pm e giudici politicizzati. L’emergenza sta altrove. Sta nei tempi lunghi dei processi. Sta nelle leggi che si fanno — come quella sul taglio dei tribunalini — e poi si tenta di disfare. Sta nell’anti-corruzione mancata e nei conseguenti processi che saltano. Ma pare proprio che il neo presidente della commissione Giustizia del Senato Francesco Nitto Palma — potenziale ministro ombra, come ho già scritto — non se ne accorga.

Tutt’altro. La settimana scorsa ha sponsorizzato il ddl di Luigi Compagna sul concorso esterno in associazione mafiosa, adesso si tuffa a capofitto in un’altra discutibilissima ed equivoca proposta, per giunta a sua firma, che consente l’azione disciplinare a raffica contro il magistrato, basta solo che respiri. Significa solo questo il passaggio contenuto nella sua proposta di legge, le toghe punibili «per ogni altro comportamento idoneo a compromettere gravemente l’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità del magistrato». “Ogni altro comportamento”, cioè qualsiasi comportamento, cioè tutto.

L’ex magistrato Palma vuole un pm e un giudice del tutto sottomesso, silenzioso, anzi costretto al silenzio. Lo vuole di fatto sottomesso al potere politico, poiché è dalla politica, dal ministro della Giustizia, che può partire l’azione disciplinare. Per fortuna, i magistrati che hanno in carico i cosiddetti processi “politici”, come quelli di Milano e di Napoli, sono letteralmente muti da tempo. E quindi, nonostante Palma, sono comunque salvi. Ma è certo, del pari, che Palma non lavora per riforme condivise.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/05/28/lo-sgarro-di-nitto/?ref=HREC1-2


Titolo: LIANA MILELLA Se Berlusconi decide il calendario della Consulta…
Inserito da: Admin - Giugno 04, 2013, 11:44:49 pm

3
giu
2013

Se Berlusconi decide il calendario della Consulta…

 Liana MILELLA

Quando c’è di mezzo Berlusconi avvengono sempre cose strane, perfino alla Consulta. Non se ne dolgano gli alti giudici e il loro presidente Gallo, ma pare proprio – a guardar da fuori e a sentire le voci che corrono dentro il palazzo – che a dettare l’agenda della Corte non siano i giudici medesimi, ma in questo caso la politica, per essere chiari Berlusconi. E se le cose stanno così – e per certo stanno così visto il protrarsi per 18 mesi del conflitto di attribuzione su un legittimo impedimento per il processo Mediaset sollevato da palazzo Chigi contro i giudici di Milano – non c’è proprio da stare allegri.
Come ha documentato dettagliatamente Donatella Stasio sul Sole-24 Ore del 25 aprile 2013, questa vicenda ha dell’incredibile per i tempi assurdamente lunghi. Un’udienza del primo marzo 2010 che i giudici tengono nonostante Berlusconi invochi il legittimo impedimento per un consiglio dei ministri sul ddl anti-corruzione che non aveva nulla di urgente; un conflitto sollevato un anno dopo; e dal 2011 a oggi la Consulta non ha ancora trovato il tempo di decidere. Nel frattempo, come in una commedia dell’assurdo, non solo è finito il processo di primo grado, ma pure quello di appello, e sono state depositate perfino le motivazioni della sentenza. Ciononostante la Corte costituzionale non avverte l’urgenza di decidere, lascia che le voci su presunte pressioni politiche corrano. Si verifica l’anomalia, almeno per le decisioni su Berlusconi e quelle di particolare delicatezza, di un’udienza pubblica che si tiene il 24 aprile e di una camera di consiglio che ancora si deve tenere.
La settimana scorsa ecco voci fondate, raccolte alla Corte e di cui Repubblica dà conto, di una possibile accelerazione. Si parla di questa settimana come di quella buona per chiudere questa sorta di farsa. Immediatamente si agita l’entourage berlusconiano che teme un giudizio negativo, cerca di allontanarlo nel tempo per avere più possibilità di pressione, e accredita la data del 19 giugno. Tutto nella speranza che poi il deposito della sentenza slitti a dopo l’estate e ciò rallenti l’ultimo giudizio della Cassazione su Mediaset, alla rincorsa di un’impossibile prescrizione (che scade nel giugno 2014) per salvare l’ex premier da una condanna a 4 anni per frode fiscale e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni.
Un fatto è certo, per il buon nome della Corte. Sarebbe meglio sbrigare la pratica Mediaset il prima possibile. A minuti, se fosse possibile. Per evitare anche la semplice ombra che le decisioni siano ostaggio della politica.

DA - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/06/03/se-berlusconi-decide-il-calendario-della-consulta/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Silvio capo dello Stato, per congelare tutti i processi…
Inserito da: Admin - Giugno 06, 2013, 03:07:49 pm

5
giu
2013


Silvio capo dello Stato, per congelare tutti i processi…

LIANA MILELLA

Povero Berlusconi, ma soprattutto poveri noi. La sua strategia ormai è chiara. Come sempre, non fa mai nulla da vero statista. Disinteressato e attento solo alla cosa pubblica. Lui invece lavora solo per sé. Quando lancia un’idea mira ad acchiappare voti e recuperare il consenso popolare perduto (come nel caso dell’Imu), oppure per salvare se stesso da una situazione ormai disperata. Stavolta, con il presidenzialismo, siamo sulla seconda strada. Prima si fa eleggere capo dello Stato — ed è l’unico che ha i mezzi economici (in barba al finanziamento pubblico dei partiti) e la capacità mediatica (come ha dimostrato alle ultime politiche) per potercela fare — e poi pretende subito il salvacondotto giudiziario, un nuovo lodo blocca-processi, l’erede naturale del primo lodo Schifani, del secondo lodo Alfano, del legittimo impedimento in versione Vietti. Tutti bocciati dalla Consulta perché avevano l’imparabile difetto di non essere “costituzionali”. Stavolta Berlusconi non cadrà nello stesso errore, lo scudo giudiziario definitivo lo pretenderà in quella veste.
Siamo all’ultima spiaggia, del resto. A Berlusconi non resta altro che questa chance se vuole proseguire nella sua attività politica e al contempo salvarsi dai processi. Troppi gliene incombono addosso. Nella corsa a diventare presidente della Repubblica non solo deve scalzare Napolitano, ma deve anticipare le sentenze definitive che, come nel caso di Mediaset, potrebbero rendere definitiva pure l’interdizione dai pubblici uffici.
Il piano è ben disegnato. Berlusconi sostiene il governo con il Pd. Non fa trabocchetti. Lancia la riforma costituzionale. Vi inserisce l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Non frappone ostacoli al voto e sollecita la corsia più rapida. I processi, nel frattempo, incombono. Riesce ad evitare, per via della prescrizione, la condanna a un anno per Unipol per la famosa intercettazione di Fassino (“Abbiamo una banca”) fatta pubblicare dal Giornale. Ha tempo per la chiusura definitiva del processo Ruby, ancora fermo alla sentenza di primo grado. È a rischio per Mediaset. È quello il vero ostacolo. Poco tempo, ormai meno di un anno. Una condanna pesante già chiesta. L’interdizione per 5 anni dietro l’angolo se la Cassazione conferma la sentenza di appello. Nessuna speranza che la Consulta gli dia ragione sul legittimo impedimento del primo marzo 2010. Tutto si gioca su questo processo. Il suo destino politico. Ma Berlusconi è pur sempre un giocatore. La scommessa della vita è d’obbligo. Il presidenzialismo serve a questo, è la strada per smarcarsi da quello che considera “pattume giudiziario”. Vuole che sia il popolo, il suo popolo, la destra italiana abbacinata dal potente tycoon, a dargli un pubblico e corale salvacondotto. A quel punto, per sempre. Ma tutto dipende dalla Cassazione, da quei giudici chiusi in camera di consiglio che tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo dovranno decidere su Mediaset.

DA - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/06/05/il-cav-capo-dello-stato-per-congelare-tutti-i-processi/?ref=HREC1-2


Titolo: LIANA MILELLA L’avventura dell’ineleggibilità di Silvio (e il realismo di Letta)
Inserito da: Admin - Giugno 11, 2013, 05:33:56 pm

9
giu
2013

L’avventura dell’ineleggibilità di Silvio (e il realismo di Letta)

Liana MILELLA

Berlusconi è, o non è, eleggibile in Parlamento? La legge 361 del 1957 sul conflitto d’interesse, in questi ultimi 19 anni, è stata rispettata o violata? Ha sbagliato la Camera che per cinque legislature ha dato il via libera alla sua elezione? L’appello di Micromega del marzo scorso (non è eleggibile), che ha raccolto 250mila firme in poche settimane, va nella giusta direzione? È vera la tesi che le ultime sentenze sul caso Mediaset e Unipol dimostrano come lui sia tuttora il capo occulto delle sue aziende e quindi non rispetti i parametri della legge? La quale dichiara ineleggibile chi gestisce “in proprio” le sue concessioni.
È con questi interrogativi che, dai prossimi giorni, si misurerà la giunta per le autorizzazioni ed elezioni del Senato. L’M5S sta per presentare la richiesta ufficiale. Il Pd è diviso, ma molti suoi esponenti sono fortemente attratti dalla tesi che Berlusconi non sia eleggibile.
Da sabato 8 maggio però bisogna fare i conti con quanto il premier Enrico Letta ha detto dalla tribuna della festa di Repubblica di Firenze. Intervistato dal direttore Ezio Mauro, parlando di giustizia, si è espresso così: “Mi auguro ci sia senso di responsabilità di tutti i parlamentari della maggioranza sapendo che siamo in una situazione eccezionale. Inutile alzare bandiere e bandierine col rischio che resti una cosa velleitaria”.
Ecco. Il punto è qui. È “velleitario”, per dirla con Letta, interrogarsi sull’eleggibilità di Berlusconi dopo che per 19 anni è stato parlamentare, ha governato il Paese, lo ha rappresentato nel mondo? Ma soprattutto: è “politicamente velleitario” sceverare il caso ben sapendo che il governo non potrebbe reggere il colpo di un voto favorevole all’ineleggibilità? Il Cavaliere non dovrebbe neppure accettare che se ne discuta, perché dal suo punto di vista la cosa sarebbe di per sé un insopportabile schiaffo alla sua politica di sostegno al governo.
La mia impressione, in questa domenica sera, è che invece il Pd si stia infilando in un labirinto alla Shining.
Berlusconi è, o non è, eleggibile in Parlamento? La legge 361 del 1957 sul conflitto d’interesse, in questi ultimi 19 anni, è stata rispettata o violata? Ha sbagliato la Camera che per cinque legislature ha dato il via libera alla sua elezione? L’appello di Micromega del marzo scorso (non è eleggibile), che ha raccolto 250mila firme in poche settimane, va nella giusta direzione? È vera la tesi che le ultime sentenze sul caso Mediaset e Unipol dimostrano come lui sia tuttora il capo occulto delle sue aziende e quindi non rispetti i parametri della legge? La quale dichiara ineleggibile chi gestisce “in proprio” le sue concessioni.
È con questi interrogativi che, dai prossimi giorni, si misurerà la giunta per le autorizzazioni ed elezioni del Senato. L’M5S sta per presentare la richiesta ufficiale. Il Pd è diviso, ma molti suoi esponenti sono fortemente attratti dalla tesi che Berlusconi non sia eleggibile.
Da sabato 8 maggio però bisogna fare i conti con quanto il premier Enrico Letta ha detto dalla tribuna della festa di Repubblica di Firenze. Intervistato dal direttore Ezio Mauro, parlando di giustizia, si è espresso così: “Mi auguro ci sia senso di responsabilità di tutti i parlamentari della maggioranza sapendo che siamo in una situazione eccezionale. Inutile alzare bandiere e bandierine col rischio che resti una cosa velleitaria”.
Ecco. Il punto è qui. È “velleitario”, per dirla con Letta, interrogarsi sull’eleggibilità di Berlusconi dopo che per 19 anni è stato parlamentare, ha governato il Paese, lo ha rappresentato nel mondo? Ma soprattutto: è “politicamente velleitario” sceverare il caso ben sapendo che il governo non potrebbe reggere il colpo di un voto favorevole all’ineleggibilità? Il Cavaliere non dovrebbe neppure accettare che se ne discuta, perché dal suo punto di vista la cosa sarebbe di per sé un insopportabile schiaffo alla sua politica di sostegno al governo.
La mia impressione, in questa domenica sera, è che invece il Pd si stia infilando in un labirinto alla Shining.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/06/09/lavventura-dellineleggibilita-di-silvio-e-il-realismo-di-letta/?ref=HREC1-3


Titolo: LIANA MILELLA L’anomala vigilia di Ruby
Inserito da: Admin - Giugno 24, 2013, 11:36:19 am

23
giu
2013

L’anomala vigilia di Ruby

Liana MILELLA

Decreto carceri? Vediamo cosa c’è dentro per aiutare o per precipitare Berlusconi. Disegno di legge sui domiciliari più facili e sulla “messa in prova” (da lunedì 24 se ne discute alla Camera)? Ma non è che avvantaggia Berlusconi? Nuovo reato di auto-riciclaggio? Ma vedi mai che può servire per tenere sulla corda Berlusconi, e quindi Letta vuole farlo per questo? Referendum dei Radicali (separazione delle carriere, responsabilità civile dei giudici, ergastolo, magistrati fuori ruolo, custodia cautelare). O mamma mia, ma non sono proprio le idee di Berlusconi…? L’amnistia. Beh, questa è decisamente per Berlusconi.
Alla vigilia dell’attesa sentenza su Ruby ecco il quadro devastante del dibattito sulla giustizia in Italia. Nulla è più neutro. Niente è più senza un retroscena che comunque finisce sempre lì, sulla storia e sui processi di Berlusconi. Ormai la politica è scandita solo dalle tappe dei dibattimenti di Berlusconi. Ritmo ossessivo, in verità. Prima la sentenza Mediaset. Poi la Consulta su Mediaset. Poi Ruby. Poi il match civile Berlusconi vs De Benedetti. Poi Berlusconi a Napoli per la compravendita dei senatori. Poi ricomincia l’appello di Ruby. Poi la Cassazione decide su Mediaset. Altro che anomalia italiana. Questa è malattia grave. Anzi malanno mortale. Per le istituzioni ovviamente. E purtroppo anche per tutti noi. Quanto alla giustizia, ahimè, nessuno se ne occuperebbe più se non co fosse Berlusconi.
Decreto carceri? Vediamo cosa ci hanno messo dentro per aiutare o per precipitare Berlusconi. Disegno di legge sui domiciliari più facili e sulla “messa in prova” (da lunedì 24 ne discute la Camera). Ma non è che avvantaggia Berlusconi? Nuovo reato di auto-riciclaggio? Ma vedi mai che può servire per tenere sulla corda Berlusconi, e quindi Letta vuole farlo per questo… Referendum dei Radicali (separazione delle carriere, responsabilità civile dei giudici, ergastolo, magistrati fuori ruolo, custodia cautelare). O mamma mia, ma sono proprio le idee di Berlusconi… L’amnistia. Beh, questa è fatta apposta per Berlusconi.
Alla vigilia dell’attesa sentenza su Ruby ecco il quadro devastante del dibattito sulla giustizia in Italia. Nulla è più neutro. Niente è più senza un retroscena che comunque finisce sempre lì, sulla storia e sui processi di Berlusconi. Ormai la politica è scandita solo dalle tappe dei dibattimenti di Berlusconi. Ritmo ossessivo, in verità. Prima la sentenza Mediaset. Poi la Consulta su Mediaset. Poi Ruby. Poi il match civile Berlusconi vs De Benedetti. Poi Berlusconi a Napoli per la compravendita dei senatori. Poi ricomincia l’appello di Ruby. Poi la Cassazione decide su Mediaset. Altro che anomalia italiana. Questa è malattia grave. Anzi malanno mortale. Per le istituzioni ovviamente. E purtroppo anche per tutti noi. Quanto alla giustizia, ahimè, nessuno se ne occuperebbe più se non ci fosse di mezzo Berlusconi.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/06/23/lanomala-vigilia-di-ruby/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Il ricatto di Silvio
Inserito da: Admin - Luglio 01, 2013, 12:29:13 pm

25
giu
2013

Il ricatto di Silvio

Liana MILELLA

Bando alla netiquette, chiamiamo con l’unico nome possibile – ricatto – il dare-avere di Berlusconi e del Pdl sulla giustizia. “Pacificazione”  e appoggio pieno al governo in cambio di assoluzioni. In caso contrario, se arrivano, come per Mediaset e Ruby delle condanne, minacce di far saltare il tavolo e sopratutto di mettere mano alla riforma della giustizia.
Come la chiamereste voi questa roba qui se non ricatto? Di mezzo, nei momenti dello scontro più duro e come sta avvenendo anche in queste ore, viene tirato di mezzo pure Napolitano, il cui nome è evocato a mezza bocca lasciando intendere che sia l’autore di promesse indicibili al Cavaliere del tipo “tu sostieni il governo, vedrai poi che i giudici ti assolveranno”. Baratto impensabile, soprattutto conoscendo il rigore dell’attuale capo dello Stato.
A Milano i magistrati hanno fatto il loro dovere. I pm hanno indagato senza dire una parola e senza strafare. I giudici hanno emesso una sentenza che motiveranno tra alcuni mesi. Ma il corso regolare della giustizia è inaccettabile per il Cavaliere e per la sua corte. La rivolta è immediata e inevitabile. Il giorno dopo insistono. Sbandierano la riforma come una sorta di arma letale. Non cambiano mai atteggiamento da vent’anni. Modificare le regole  della giustizia non serve, nella loro ottica, per migliorare la macchina, ma per bloccarla, per infilarci dei sassolini che la fermino per sempre. Per questo il Pdl occhieggia ai referendum dei Radicali sulla separazione delle carriere e sulla responsabilità civile dei giudici. Sono i due temi usati da sempre per intimidire le toghe. Ci hanno provato con l’ordinamento giudiziario dell’ex Guardasigilli leghista Roberto Castelli, ci proveranno di nuovo. Succede lo stesso con l’amnistia, legge di clemenza che nelle mani del Pdl si sporca fino a diventare solo un colpo di spugna. Purtroppo tutto già tristemente visto. A ogni condanna.
Bando alla netiquette, chiamiamo con l’unico nome possibile – ricatto – il dare-avere di Berlusconi e del Pdl sulla giustizia. “Pacificazione”  e appoggio pieno al governo in cambio di assoluzioni. In caso contrario, se arrivano, come per Mediaset e Ruby, delle condanne, minacce di far saltare il tavolo e sopratutto di mettere mano alla riforma della giustizia.
Come la chiamereste voi questa roba qui se non ricatto? Nei momenti dello scontro più duro, come sta avvenendo anche in queste ore, viene tirato in ballo pure Napolitano, il cui nome è evocato a mezza bocca lasciando intendere che sia l’autore di promesse indicibili al Cavaliere del tipo “tu sostieni il governo, vedrai poi che i giudici ti assolveranno”. Baratto impensabile, soprattutto conoscendo il rigore dell’attuale capo dello Stato.
A Milano i magistrati hanno fatto il loro dovere. I pm hanno indagato senza dire una parola e senza strafare. I giudici hanno emesso una sentenza che motiveranno tra alcuni mesi. Ma il corso regolare della giustizia è inaccettabile per il Cavaliere e per la sua corte. La rivolta è immediata e inevitabile. Il giorno dopo insistono. Sbandierano la riforma come una sorta di arma letale. Non cambiano mai atteggiamento da vent’anni. Modificare le regole  della giustizia non serve, nella loro ottica, per migliorare la macchina, ma per bloccarla, per infilarci dei sassolini che la fermino per sempre. Per questo il Pdl occhieggia ai referendum dei Radicali sulla separazione delle carriere e sulla responsabilità civile dei giudici. Sono i due temi usati da sempre per intimidire le toghe. Ci hanno provato con l’ordinamento giudiziario dell’ex Guardasigilli leghista Roberto Castelli, ci proveranno di nuovo. Succede lo stesso con l’amnistia, legge di clemenza che nelle mani del Pdl si sporca fino a diventare solo un colpo di spugna. Purtroppo tutto già tristemente visto. A ogni condanna.

DA - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/06/25/il-ricatto-di-silvio/?ref=HRBP-4


Titolo: LIANA MILELLA Berlusconi vuole lo scontro finale "Basta rinvii, la Cassazione...
Inserito da: Admin - Luglio 23, 2013, 04:21:24 pm
   
Berlusconi vuole lo scontro finale "Basta rinvii, la Cassazione decida il 30"

"Inutile prolungare ancora questa farsa. Tanto i giudici hanno già deciso tutto".

I legali del Cavaliere alle prese con un minuzioso calcolo di giorni su sentenze e rinvii

di LIANA MILELLA


ROMA - "Se devono condannarmi, tanto vale che lo facciano subito. Non ne posso più. È inutile prolungare ancora questa farsa. Tanto i giudici hanno già deciso tutto". Ufficialmente Berlusconi non parla del processo Mediaset, ma con amici e avvocati rompe gli indugi. È stanco, lo ammette, a chi gli suggerisce un rinvio dice: "È inutile, serve solo a prolungare questa attesa che mi sta stressando e a riproporre ogni giorno gli stessi articoli sui giornali". Fango nel ventilatore, insomma. Meglio chiudere il 30 luglio, in quell'udienza in Cassazione criticatissima dai difensori perché, dicono loro, "non rispettosa dell'effettiva prescrizione e del pieno diritto della difesa". Un'udienza - è il cicaleccio ricorrente nelle stanze del Cavaliere - che alla Suprema corte sarebbe stata fissata soprattutto grazie al filo diretto con la procura di Milano che ha anticipato il più possibile la data di scadenza della prescrizione. Il 3 agosto, hanno detto i pm. Il 26 settembre, controbatte l'avvocato Niccolò Ghedini che, secondo il collega Franco Coppi, "ha fatto calcoli minuziosi e precisi, per difetto semmai, ma di certo non per eccesso". Il 29 agosto, sostiene palazzo Chigi, che si è costituito parte civile.

Nel guazzabuglio delle date - almeno fino a ieri sera, perché con Berlusconi ogni giorno porta la sua sorpresa a seconda di dove spira il vento della politica - lui ha deciso che gli conviene non fare mosse per spostare il processo. Nessuna richiesta di rinvio, dicono dunque i suoi legali Ghedini e Coppi. "Salvo che non la chiedano i difensori degli altri tre imputati" aggiungono. Ma gli avvocati di Frank Agrama, Gabriella Galetto, Daniele Lorenzano - Roberto Pisano, Filippo Dinacci, Luca Mucci e Luigi Fenizia - non hanno ancora deciso e, per quanto si può capire, tendenzialmente si comporteranno come quelli di Berlusconi.

I quali sono convinti che se deve arrivare una condanna, tanto vale che cada proprio il 30 luglio per numerosi motivi. Si potrà dire che, vista la fretta, la conclusione "era già scritta tant'è che i giudici non hanno voluto sfruttare il tempo di cui pure avrebbero potuto godere per studiare la causa". In pieno agosto, la sentenza di condanna, che viene data per certa al 90%, "sarà fagocitata dal solleone, e presto dimenticata, com'è avvenuto per quella di Ruby". Lo stesso dicasi per il dibattito sull'interdizione che il presidente della giunta per le immunità del Senato Dario Stefàno vuol far partire immediatamente.

Dunque, avanti. Viene messa da parte anche l'ipotesi di rinunciare alla prescrizione, pensata soprattutto come escamotage mediatico. Il "principe del foro" Coppi, che pur l'ha ipotizzata e proposta, non se la sente di incassare l'eventuale no della Cassazione perché, come Repubblica ha scritto sin dal 13 luglio anticipando il possibile "inghippo", la prescrizione è rinunciabile quando essa è maturata e non prima. Ogni giorno che passa perde peso anche l'ipotesi del rinvio, perché ne potrebbe nascere solo un ulteriore peggioramento della già cattiva situazione.

È necessario spiegare bene questo passaggio perché è cruciale in quest'ultima partita a scacchi sulla vita giudiziaria e politica del Cavaliere, alla fine della quale ci potrebbe essere una condanna a 4 anni per frode fiscale e l'interdizione di 5 anni dai pubblici uffici. A Ghedini e Coppi un rinvio del processo non dispiacerebbe. Ma è solo questione di date. In che giorno verrebbe rinviato l'ultimo step del caso Mediaset? In pieno agosto, alla fine del mese, oppure a settembre? Ogni ipotesi fa cambiare lo scenario dei giudici. Un rinvio breve lascerebbe il caso nelle mani della sezione feriale presieduta da Antonio Esposito e del relatore Amedeo Franco. Il primo giudicato "un nemico", il secondo "un ottimo magistrato". Tra gli altri tre giudici del collegio, almeno altri due "nemici".

Che succederebbe con un rinvio più o meno lungo? Uno entro agosto lascerebbe il giudizio nelle mani delle sezioni feriali, in cui la radiografia delle toghe fatta nelle stanze del Cavaliere vede soprattutto toghe rosse, come quella di Gennaro Marasca. La soluzione ideale, il rinvio lungo alla terza sezione ordinaria dopo il 15 settembre, presupporrebbe da parte della Cassazione di condividere in toto la tesi che la prescrizione scade oltre il 20 settembre. Proprio questo rinvio "lungo" appare un miraggio, e quindi Berlusconi e i suoi avvocati ritengono che tanto vale chiudere il processo il 30 luglio e non pensarci più.

(23 luglio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/23/news/berlusconi_vuole_lo_scontro_finale_basta_rinvii_la_cassazione_decida_il_30-63505795/?ref=HRER2-1


Titolo: LIANA MILELLA Il governo accelera sull'anticorruzione
Inserito da: Admin - Luglio 24, 2013, 11:30:19 am

Il governo accelera sull'anticorruzione

"Un decreto anche contro il riciclaggio"

Letta punta a rivedere in tempi brevi la legge Severino. Nel prossimo decreto sulla sicurezza entrerà la norma che punisce l'auto-riciclaggio

di LIANA MILELLA


Il governo accelera sull'anticorruzione "Un decreto anche contro il riciclaggio" Enrico Letta (imagoec)
ROMA - Un grande piano contro la corruzione. La malapianta di cui non si fa che parlare in Europa. Quella che divora 60 miliardi di euro l'anno alla nostra già provata economia. Un piano da far partire subito, per dare il segnale che in Italia si fa sul serio, che non si transige con funzionari approfittatori e pubblici amministratori ladri. La risposta ai tanti processi della magistratura, ma soprattutto alla gente che chiede pulizia e non è più disposta a fare sacrifici mentre la casta continua a rubare. È la carta segreta del governo Letta. O meglio, è la scommessa del premier in persona. Tant'è che a lavorarci - nella massima riservatezza, senza rivelazioni né ammissioni  - è proprio lo staff del presidente a palazzo Chigi.

Rivelare le mosse non è facile. Ma Repubblica ha provato a capire che succede, di che norme si tratta, quali sono i tempi, quali le difficoltà, quali gli ostacoli politici e tecnici, quali i possibili nomi da spendere. Un intervento globale immediato, per usare le parole di Palazzo Chigi, è "difficile". È probabile che il piano anti-corruzione verrà spezzettato, uscirà in blocchi successivi. Il primo subito, già questa settimana o al massimo la prossima, nei consigli dei ministri prima della pausa estiva.

Nel decreto legge sulla sicurezza del ministero dell'Interno, in cui è previsto un intervento sul femminicidio, verrà inserita la novità di cui si è già molto parlato, il reato di auto-riciclaggio, la modifica dei reati 648-bis e 648-ter del codice penale, per cui potrà essere perseguito e punito anche il riciclaggio di chi possiede le somme e le ricicla, che invece oggi è escluso.

L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA O SU REPUBBLICA+
 

(24 luglio 2013) © Riproduzione riservata


Titolo: LIANA MILELLA Finanziamento illecito ai partiti.
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2013, 06:34:54 pm



Pdl: via il carcere, resta solo la multa

La destra vuole depenalizzare il reato, con un emendamento alla norma sul finanziamento. A rischio i processi a Penati, Scajola, Milanese. Si scardina la norma che ha reso possibile Mani pulite. Dopo falso in bilancio e concussione, cadrebbe un terzo pilastro strategico

di LIANA MILELLA


Via il carcere per punire il finanziamento illecito dei partiti. Via i quattro anni di pena. Solo "una sanzione amministrativa pecuniaria". Firmato, ovviamente, il Pdl. Seppellita per sempre Mani Pulite. Cancellate tutte le inchieste presenti e future. Una moratoria pazzesca. Incredibile solo a pensarla, proprio di questi tempi. A guardare il lungo catalogo delle leggi ad personam è il più clamoroso dei colpi di spugna. Una maxi depenalizzazione. Mai, in vent'anni di norme per demolire il codice penale, si era osato tanto.

Quando ne parli con i magistrati protagonisti di Mani pulite ti dicono subito: "Dai, non scherzare, non è possibile, non ci credo, non possono arrivare a tanto". Quando glielo confermi restano basiti: "Così finiscono le indagini sulla corruzione".

Invece eccola qui la madre di tutti i possibili azzeramenti. Cinque righe in tutto. Un emendamento al disegno di legge del governo che cancella il finanziamento pubblico dei partiti e vorrebbe fissare le nuove regole per garantire "la trasparenza". C'è proprio la parola "trasparenza" nell'intestazione della legge Ebbene, ecco comparire lì l'articolo 10-bis. Criptico. Bisogna leggerlo e rileggerlo più volte per capirlo. Bisogna andare alla legge 195 del 1974, che istituiva il finanziamento pubblico dei partiti, confrontare i testi, rendersi conto del colpo di mano. Dice l'emendamento: "All'articolo 7, terzo comma, le parole da "reclusione a triplo" sono sostituite dalle seguenti "sanzione amministrativa pecuniaria pari al triplo"". Firmato: Bianconi, Calabria, Centemero, Ravetto, Francesco Saverio Romano. Maurizio Bianconi è il vice segretario amministrativo del Pdl, gestisce con Rocco Crimi, un fedelissimo di Berlusconi, la cassa dei soldi del partito. Anna Grazia Calabria, responsabile giovanile del Pdl. Elena Centemero, responsabile scuola. La deputata Laura Ravetto. L'ex ministro dell'Agricoltura Romano.

Che succede con questo emendamento? Bisogna leggere il terzo comma dell'articolo 7 della legge 195. Essa impone che "chiunque corrisponde o riceve contributi senza che sia intervenuta la deliberazione dell'organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio della società stessa, è punito, per ciò solo, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate". Carcere più multa dunque. Doppia pena per chi viola una fondamentale regola di trasparenza, cioè dà i soldi di una società senza che di ciò resti traccia, con l'ovvia conseguenza che se la società ottiene poi dei vantaggi dal politico non si può stabilire la relazione.

L'emendamento del Pdl - che è possibile leggere anche sul sito della Camera nelle pagine web dedicate al disegno di legge 1154 - scardina dalle fondamenta la norma che ha reso possibile Mani pulite. È stata il grimaldello da Mario Chiesa in avanti. Su quel comma si è radicato il processo Enimont. Sono stati incriminati Craxi, Forlani, Citaristi. Ma pure Greganti. L'elenco è lunghissimo. Non si può parlare di inchieste sulla corruzione e sulle tangenti senza far riferimento al finanziamento illecito. Un architrave che, se crolla, fa cadere l'intera impalcatura delle indagini sui colletti bianchi.

Il Pdl sta cercando di abbattere quell'architrave. L'emendamento era lì da giorni, sotto gli occhi di tutti. Con il Pdl che preme per farlo passare. Col Pd, basito, che resiste. Giusto mercoledì pomeriggio, alla Camera, ecco l'assemblea dei deputati Democratici con il premier Enrico Letta, l'autorevole esponente del Pd che ha voluto la legge per abolire il finanziamento pubblico. Quello che sta pensando ai nuovi strumenti contro la corruzione. Si alza Emanuele Fiano, riferisce il contenuto della norma proposta dal Pdl, dice secco: "Sia chiaro che questa roba qui io non la voto". Antonio Misiani, il segretario amministrativo del partito, fa cenno di sì con la testa. Nemmeno a parlarne, per il Pd quel testo è veleno allo stato puro. Soprattutto perché, neanche a farlo apposta, c'è il fantasma di Filippo Penati anche dietro questa norma, come c'era dietro allo spacchettamento della concussione, divisa in due dall'ex ministro della Giustizia Paola Severino, con la pena ridotta per la corruzione per induzione.

Penati? Sì, proprio lui. La legge Severino gli ha fatto morire per prescrizione uno dei capitoli delle imputazioni del processo per il sistema Sesto. Se dovesse passare la depenalizzazione del finanziamento illecito ne cadrebbe un'altra perché a lui e ad altri dodici imputati, tra cui l'ex presidente di Bpm Massimo Ponzellini, è contestato proprio l'articolo 7 della legge del 1974. Alla Fondazione Fare Metropoli di Penati davano soldi violando le regole che adesso il Pdl vuole cancellare. Questo spiega l'imbarazzo del Pd che si trova tra le mani una sorta di bomba ad orologeria. Se dicesse sì, ma non lo farà, si troverebbe addebitata una legge che "grazia" l'ex capo della segreteria di Pier Luigi Bersani.

Certo, non se ne avvantaggerebbe solo Penati. Ma noti esponenti del Pdl come Claudio Scajola, fresco indagato per finanziamento illecito. Come Marco Milanese, l'ex braccio destro di Giulio Tremonti, appena condannato a 8 mesi per lo stesso reato. Verrebbero "graziati" tutti. Una mega amnistia. Mani pulite fu costruita su tre reati, il falso in bilancio, la concussione, il finanziamento illecito. Il primo lo hanno acciaccato nel 2001 per salvare Berlusconi. Il secondo è finito vittima della legge sull'anti-corruzione. Adesso tocca al terzo. Se davvero dovesse cadere anche il finanziamento illecito nessuno deve più parlare di trasparenza e di lotta alla corruzione. 

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/26/news/finanziamento_illecito_ai_partiti_pdl_via_il_carcere_resta_solo_la_multa-63724969/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_26-07-2013


Titolo: LIANA MILELLA Berlusconi, guerra sulla decadenza.
Inserito da: Admin - Agosto 11, 2013, 04:45:09 pm

Berlusconi, guerra sulla decadenza.

I 5Stelle chiedono di anticipare

"La Giunta deve votare in agosto". Giarrusso: "Sono stati concessi al leader Pdl venti giorni, ma non per sfasciare il Paese". 
Anche la Cassazione apre una istruttoria su Esposito

di LIANA MILELLA


ROMA - Se il Csm anticipa il "processo" al giudice Antonio Esposito  -  sul quale la procura generale della Cassazione sta per aprire anche l'azione disciplinare  -  allora anche la giunta per le elezioni ed immunità del Senato deve, del pari, fissare prima la data della seduta per votare sulla decadenza di Berlusconi dallo scranno di palazzo Madama. A lanciare la protesta è l'M5S che, col capogruppo in giunta Michele Giarrusso, protesta contro "le manovre" del Pdl e formalmente chiede al presidente della giunta, Dario Stefàno di Sel, di valutare se non sia il caso di cambiare atteggiamento dei confronti dell'ex premier.

In un agosto bollente diventa sempre più caldo anche il caso Berlusconi. Perché il sospetto è che dietro le richieste di rinvio del Pdl al Senato  -  dove la giunta è convocata per il 9 settembre  -  ci siano due evidenti obiettivi: da un lato quello di agire contro il presidente del collegio Mediaset, il giudice Antonio Esposito, per farlo "saltare" dal suo posto allungando i tempi delle motivazioni della sentenza, dall'altro quello di ritardare al massimo la procedura di decadenza in modo da interrompere prima la legislatura, facendo restare Berlusconi senatore in vista di nuove elezioni in autunno, tra ottobre e novembre.

In questo scenario, ieri protestano al contempo sia Esposito che Giarrusso. Sul giudice incombe non solo la prima commissione del Csm che vorrebbe trasferirlo d'ufficio su input dei laici del centrodestra, tra cui il presidente della prima Annibale Marini, ex emerito della Consulta in quota An, che ha convocato per il 5 settembre la commissione. Anche il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri ha trasmesso ai suoi ispettori gli accertamenti di rito sul caso. Ma soprattutto  -  da quanto risulta a Repubblica  -  anche il procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani ha già aperto l'istruttoria per l'azione disciplinare dopo l'intervista rilasciata al Mattino. Esposito, con una nota in agenzia, definisce "gravemente diffamatori" gli articoli che il Giornale sta pubblicando da giorni contro di lui, ripescando vecchi procedimenti al Csm tutti archiviati.

Ma è da Giarrusso che arriva la protesta più dura. Eccolo dire: "La giunta ha concesso a Berlusconi un termine a difesa di venti giorni per potersi difendere, ma non certo per sfasciare il Paese, o peggio attaccare i giudici della Cassazione che lo hanno giudicato. Se questa è la strategia, allora anche noi cambiamo la nostra". Giarruso è negativamente impressionato dall'anticipato processo del Csm contro Esposito, con l'obiettivo di terremotare la condanna definitiva di Berlusconi in Cassazione. Come reazione politica, l'M5S chiede al presidente della giunta Stefàno di tenere prima la seduta della giunta. Dice Giarrusso: "I venti giorni, a partire dall'8 agosto, scadono il 28. Quindi noi, dal giorno dopo, chiederemo che si tenga subito la seduta, e che all'indomani sia convocata subito l'aula".

Stefàno, per ora, si ferma a quanto ha deciso la giunta. "Non dobbiamo mai dimenticarci che siamo un organismo para giudiziario, non politico, quindi dobbiamo rispettare la legge, noi per primi. I venti giorni per il diritto alla difesa sono obbligatori, a Berlusconi non potevamo negarli. Il calendario rispetta la procedura, in cui ai venti giorni si aggiunge qualche ora al relatore Augello per studiare anche la memoria difensiva che Berlusconi presenterà". All'M5S Stefàno ricorda che c'è stato il voto favorevole del gruppo alla data del 9 settembre, che sarà anticipata da un ufficio di presidenza convocato per il 4. Nel quale però Giarrusso e i suoi sono intenzionati a non fare sconti. 

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/11/news/berlusconi_guerra_sulla_decadenza_i_5stelle_chiedono_di_anticipare-64608413/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Assalto alla Severino
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2013, 07:25:13 pm

19
ago
2013

Assalto alla Severino

Liana MILELLA

Vergogna. Giuristi e costituzionalisti amici del giaguaro si stanno ricordando che “qualcosa non va” nella legge Severino – legge anti-corruzione e conseguente decreto legislativo del dicembre 2012 – soltanto adesso. È tutto un fiorire di dubbi, perplessità, ansie di tutelare la casta. Perché, parliamoci chiaro, buttare a mare il decreto Severino – fuori dalle liste e fuori dal Parlamento chi subisce una condanna oltre i due anni per reati gravi – significa solo teorizzare che a rappresentare i cittadini italiani nel più alto incarico istituzionale ci può andare chiunque, anche il ladro, il violentatore, il mafioso, un assassino. Per otto mesi, da dicembre a oggi, nessun costituzionalista ha sciorinato le sue ubbie. Il decreto Severino è servito per garantire un Parlamento pulito. Fuori i Dell’Utri, i Cosentino, gli Scajola, e tanti altri con una situazione giudiziaria compromessa. Nessun giurista ha fiatato. Poi ecco il Re, colui che può garantire posti di prestigio qua e là, e allora l’intellighenzia di destra ha cominciato a scatenarsi. Fermate il decreto Severino, quindi salvate Berlusconi. Giù dubbi di ogni genere: non copre i vecchi reati ma solo i nuovi (ridicolo, perché se fosse così si applicherebbe tra vent’anni), bisogna tener conto dell’indulto (assurdo, perché conta la condanna e non la pena da scontare), bisogna attendere le motivazioni (sbagliato, perché la legge dice “immediatamente” dopo il dispositivo), viola l’articolo 66 della Costituzione (no, perché comunque c’è il voto delle Camere). Un armamentario inconsistente unicamente per “graziare” Berlusconi. Peccato, non è un bello spettacolo per l’Italia e per i cittadini onesti che hanno diritto di essere rappresentati da gente pulita e non da pregiudicati.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/08/19/assalto-alla-severino/?ref=HRER2-1


Titolo: LIANA MILELLA La maschera di Silvio
Inserito da: Admin - Settembre 29, 2013, 11:13:26 pm

29
set
2013

La maschera di Silvio

Liana MILELLA

Vi è per caso capitato di vedere le foto di SB con la fidanzata Francesca Pascale e il cane Dudù su Vanity fair? Fate attenzione, perché potrebbe venirvi un colpo. Una dozzina di foto, una più brutta dell’altra. Ma soprattutto con un Silvio dal viso pesantemente ritoccato. Non pare nemmeno lui, ma una maschera di cera. Nessun uomo saggio, nessun politico che tiene alla sua immagine, avrebbe mai autorizzato un servizio del genere. Se chiedi a uno stretto collaboratore di SB come sia potuta accadere una cosa del genere ti risponde che non lo sa.
Voi direte, ma come, c’è la crisi, il Paese precipita, l’Italia rischia il declino economico internazionale, e qui si pensa alle foto di SB, per giunta vecchie di una settimana? Osservazioni fondate, ma parziali. Perché quelle foto dicono molto di un SB che ha perso del tutto il senso del ridicolo e il rapporto con il suo popolo. Quel rapporto che si è sempre vantato di avere, che certo aveva con il suo elettorato, di cui intuiva pulsioni e desideri. Ma adesso è finita. Proprio come dimostra questa serie di foto, di cui non si può che sorridere con mestizia, e questa crisi che, con l’aumento dell’Iva (i negozianti la stanno già ricalcolando per alzare subito i prezzi dalla mezzanotte del primo ottobre), allontana del tutto SB dalla gente comune. Gente che pure fino a oggi lo ha seguito e votato. Ma ormai, tutto preso com’è dall’incubo dei suoi processi e dalla paura di un arresto, SB ha perso la trebisonda. A 77 anni ha paura delle sue rughe e non ha più il senso del ridicolo. Sfoggia come un oggetto una giovane donna credendo che questo faccia colpo sugli italiani sempre favorevoli all’immagine del maschio conquistatore, rifiuta una condanna, chiede al capo dello Stato una riforma della giustizia per se stesso, tiene in ostaggio il Parlamento e il Paese sulla sua decadenza, spacca pure il partito, da cui fugge chi si rende conto dell’inevitabile deriva. Ma basta guardare quelle foto per capire che SB  non è nemmeno più l’SB di una volta. Una stagione si è chiusa definitivamente.
Vi è per caso capitato di vedere le foto di SB con la fidanzata Francesca Pascale e il cane Dudù su Vanity fair? Fate attenzione, perché potrebbe venirvi un colpo. Una dozzina di foto, una più brutta dell’altra. Ma soprattutto con un Silvio dal viso pesantemente ritoccato. Non pare nemmeno lui, ma una maschera di cera. Nessun uomo saggio, nessun politico che tiene alla sua immagine, avrebbe mai autorizzato un servizio del genere. Se chiedi a uno stretto collaboratore di SB come sia potuta accadere una cosa del genere ti risponde che non lo sa.
Voi direte, ma come, c’è la crisi, il Paese precipita, l’Italia rischia il declino economico internazionale, e qui si pensa alle foto di SB, per giunta vecchie di una settimana? Osservazioni fondate, ma parziali. Perché quelle foto dicono molto di un SB che ha perso del tutto il senso del ridicolo e il rapporto con il suo popolo. Quel rapporto che si è sempre vantato di avere, che certo aveva con il suo elettorato, di cui intuiva pulsioni e desideri. Ma adesso è finita. Proprio come dimostra questa serie di foto, di cui non si può che sorridere con mestizia, e questa crisi che, con l’aumento dell’Iva (i negozianti la stanno già ricalcolando per alzare subito i prezzi dalla mezzanotte del primo ottobre), allontana del tutto SB dalla gente comune. Gente che pure fino a oggi lo ha seguito e votato. Ma ormai, tutto preso com’è dall’incubo dei suoi processi e dalla paura di un arresto, SB ha perso la trebisonda. A 77 anni ha paura delle sue rughe e non ha più il senso del ridicolo. Sfoggia come un oggetto una giovane donna credendo che questo faccia colpo sugli italiani sempre favorevoli all’immagine del maschio conquistatore, rifiuta una condanna, chiede al capo dello Stato una riforma della giustizia per se stesso, tiene in ostaggio il Parlamento e il Paese sulla sua decadenza, spacca pure il partito, da cui fugge chi si rende conto dell’inevitabile deriva. Ma basta guardare quelle foto per capire che SB  non è nemmeno più l’SB di una volta. Una stagione si è chiusa definitivamente.

da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/09/29/la-maschera-di-silvio/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Il Cavaliere costretto alla resa "Io umiliato e tradito dal Colle"
Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2013, 07:34:42 pm
Il Cavaliere costretto alla resa "Io umiliato e tradito dal Colle"

Ma per motivi tecnici guadagna tre mesi: libertà fino a Natale. La richiesta potrebbe essere esaminata dal tribunale forse in gennaio

di LIANA MILELLA


ROMA - Tramonto definitivo di un leader. Dalla pur detestata Merkel, al colloquio obbligatorio con l'assistente sociale per verificare il grado di "reinserimento nella società" dopo la condanna Mediaset, ce ne corre. Berlusconi lo sa bene e ne è scioccato. Nel fine settimana peggiore della sua vita, chiuso a Palazzo Grazioli, può contare su un'unica notizia positiva che gli arriva dai suoi avvocati. Ci vorranno mesi, almeno due o tre, prima che il tribunale di sorveglianza di Milano decida il suo destino di "affidato ai servizi sociali".

La stessa procedura per lui, uno degli uomini più ricchi del mondo, e per un tossicodipendente o un rapinatore pentito con la pena agli sgoccioli. L'umiliazione di non essere più libero e di dover chiedere il permesso per qualsiasi spostamento. Anche una pizza con la Pascale.  Ancora una volta, in momenti in cui la collera si mescola allo sconforto, un pensiero di astio va diritto verso il Colle. Lo riferisce chi gli è stato accanto in un tetro pomeriggio romano, in cui i tempi dello shopping per cercare spille a farfalla da regalare alle sue ragazze sembrano ormai presistoria. "Napolitano può pure continuare a negare, ma da lui la parola che le cose non sarebbero andate così come sono andate io l'ho avuta". Sottinteso che il Colle invece non l'ha mantenuta.

Già, i fatti. Quelli di queste ore sono drammatici per Berlusconi. Pure il suo team di legali combina dei pasticci. Stavolta la colpa è di Franco Coppi che interpreta il suo rapporto con Berlusconi come quello che ha con tutti i suoi clienti, anche importanti. È Coppi che decide quello che si deve fare e quando si deve fare. Nel miglior rispetto delle regole e della strategia processuale. Ma con il Cavaliere la faccenda non va così. Per lui comandano e sono prioritari i tempi della politica. Lo sa bene Niccolò Ghedini. E pure Piero Longo. I due avvocati-parlamentari. Ma Coppi no, fa di testa sua. Come fece a luglio sulla presunta rinuncia alla prescrizione. Come fa stavolta. Quando rivela che ormai è prossima la scelta tra domiciliari e servizi sociali. Praticamente obbligata l'opzione per i secondi. Pure con qualche giorno di anticipo rispetto alla tagliola del 15 ottobre. Una gaffe pure questa, perché all'opposto Berlusconi ha tutto l'interesse a guadagnare anche una sola mezzora utile per controllare da uomo pienamente libero la diaspora in atto nel suo partito. L'Ansa esce con la notizia di Coppi, ma il boomerang torna indietro subito perché alla débacle della decadenza votata dalla giunta del Senato ecco che si assomma l'obbligatoria condanna da scontare. E pure quell'umiliante procedura da seguire. La notizia, di per sé scontata perché la via degli arresti domiciliari sarebbe ancora più devastante e soprattutto sarebbe più rapisda, non poteva saltar fuori in un giorno più inopportuno di questo sabato 5 ottobre. Lui ne è consapevole. Si arrabbia "perché così mi fate apparire ancora più indifeso di fronte alla procedura in corso al Senato". Per carità, tutti sanno bene che deve scontare, rispetto ai 4 anni originari inflitti per la frode fiscale Mediaset, un anno di pena. Ma meno se ne parla e meglio è, inutile evocare la sentenza, dargli corpo, meglio rifiutarla e lasciarla scolorire nel ricordo della gente. Invece accade il contrario. Berlusconi condanna, Berlusconi decaduto, Berlusconi che deve scontare la pena.

Coppi ammette l'errore, ma ormai la macchina è partita. Arriva una pioggia di telefonate. Tutti vogliono sapere che farà il Cavaliere, cosa offrirà ai giudici per scontare la sua condanna e dimostrarsi "pentito e recuperato a una condotta moralmente consona". Impossibile smentire, mentre dilaga l'immagine di questo ultimo Berlusconi, ormai un ex potente costretto alla resa e ai giochetti tra Parlamento e uffici giudiziari per guadagnare anche solo qualche ora in più di libertà in più.

Un unico interrogativo assedia palazzo Grazioli e gli avvocati. Niente da fare. Nessun progetto. Berlusconi potrebbe anche non far nulla. Depositata la domanda, l'ex premier aspetta l'assistente sociale che lo "intervista" sulla sua condizione - immaginate quale sarà il suo umore - e verifica se ha residenza e di che vivere (sic!), poi il faccia a faccia verterà su un'eventuale attività rieducativa. Previti faceva l'avvocato per don Picchi. Ma il Cavaliere, in realtà, rifiuta la condanna e rifiuta anche l'idea di una riabilitazione e di un reinserimento.
Se fosse una partita, quella del Cavaliere finirebbe 2 a 0. Lui lo sa, ma si rifugia nella solita aggressione ai giudici, "quei comunisti che vogliono togliermi di mezzo a ogni costo". In realtà, proprio dai giudici gli arriverà qualche mese di libertà in più. "Oltre Natale, forse gennaio" ipotizzano a Milano. Perché è difficile che il tribunale di sorveglianza trovi il tempo per esaminare l'affaire Berlusconi prima, il ruolo è già pieno, ci sono processi dei detenuti. Mesi preziosi. Che Berlusconi sfrutterà per fermare il treno della decadenza con la scusa dell'interdizione. Condannato il primo agosto, libero nei 6 mesi successivi. È l'anomalia italiana.
 (06 ottobre 2013) © RIPRODUZIONE RISERVATA

Da – repubblica.it


Titolo: LIANA MILELLA Lasciate a casa Nitto
Inserito da: Admin - Ottobre 31, 2013, 05:09:44 pm
27 ott 2013
Lasciate a casa Nitto
Tre giorni di magistrati a congresso, e la totale autocensura su Berlusconi. Non lo nomina il presidente dell’Anm Rodolfo M. Sabelli, non lo cita nessuno. Per tutti è l’Innominato. Lo sfascio della giustizia italiana dipende da lui, non solo per non aver fatto una legge, che sia una, per affrontare i mali cronici della macchina giudiziaria, ma soprattutto per aver costantemente delegittimato la giustizia stessa. Ogni giorno solo insulti. Che quantomeno saranno entrati nel cuore e nella mente del popolo del centrodestra.
E passi. Questa è cronaca di un ventennio. Ma perfino un’affermazione scontata – e pienamente condivisibile – come quella fatta dal segretario dell’Anm Maurizio Carbone sul fatto che un condannato (Innominato anch’esso, per carità) a una pena superiore a due anni debba avvertire il dovere morale di farsi da parte, diventa il sintomo di una pericolosa sovversione.
Non basta ancora. Ecco che l’ex Guardasigilli, attuale presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, nonché super falco berlusconiano Francesco Nitto Palma viene invitato a una tavola rotonda con il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati. Il quale fa una chiosa a margine di un ragionamento del giurista francese Antoine Garapon sui comportamenti anti-istituzionali dell’ex presidente Sarkozy. Dice Bruti:  “Per una volta possiamo fare gli sciovinisti con i francesi. L’ex presidente Sarkozy, in quanto a comportamenti anti-istituzionali, ne ha da fare di strada, noi siamo andati molto, ma molto avanti. Possiamo dare qualche lezione”. Finisce il dibattito ed ecco il solerte Nitto pronto a sfoderare la solita spada di servizio: “È accaduta una cosa molto grave, il capo della procura di Milano, ufficio presso cui pende un procedimento a carico di Berlusconi, ha fatto davanti a tutti un chiaro riferimento al leader del Pdl. Mi domando se ciò porti acqua al mulino della sua serenità”. Ancora: “Non presenterò alcun esposto, è un caso politico, ne parlerò con Berlusconi e con il segretario Alfano”. Per chiedere cosa? La pena di morte?
Ora, tutti ricorderete che Nitto è un ex magistrato. Acido, come ho sempre scritto in questo blog. È sua la proposta di legge per inasprire al massimo il controllo disciplinare sulle toghe. In discussione al Senato, prevede che qualsiasi loro comportamento, anche nella vita di tutti i giorni, sia monitorato come possibile fonte di processo disciplinare. Ovviamente, Nitto pretende che la sua legge sia retroattiva, perché la regola della non retroattività, che per il Pdl dovrebbe valere per Berlusconi nel caso della decadenza, non deve valere per i magistrati. Che poi Palma, invitato al congresso dell’Anm, in un libero confronto, già applichi la sua legge che ancora non esiste, e tenti di intimidire il procuratore di Milano per portare acqua ai processi del suo leader di partito, si commenta da sé.
Ma io mi chiedo: signori magistrati, ma uno come Nitto Palma, al vostro congresso, che ce lo invitate a fare? La sua totale mancanza di obiettività, il suo costante livore, lo confina a partecipare solo ai convegni del Pdl. Lì sta bene, altrove no.
Tre giorni di magistrati a congresso, e la totale autocensura su Berlusconi. Non lo nomina il presidente dell’Anm Rodolfo M. Sabelli, non lo cita nessuno. Per tutti è l’Innominato. Lo sfascio della giustizia italiana dipende da lui, non solo per non aver fatto una legge, che sia una, per affrontare i mali cronici della macchina giudiziaria, ma soprattutto per aver costantemente delegittimato la giustizia stessa. Ogni giorno solo insulti. Che quantomeno saranno entrati nel cuore e nella mente del popolo del centrodestra.
E passi. Questa è cronaca di un ventennio. Ma perfino un’affermazione scontata – e pienamente condivisibile – come quella fatta dal segretario dell’Anm Maurizio Carbone sul fatto che un condannato (Innominato anch’esso, per carità) a una pena superiore a due anni debba avvertire il dovere morale di farsi da parte, diventa il sintomo di una pericolosa sovversione.
Non basta ancora. Ecco che l’ex Guardasigilli, attuale presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, nonché super falco berlusconiano Francesco Nitto Palma viene invitato a una tavola rotonda con il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati. Il quale fa una chiosa a margine di un ragionamento del giurista francese Antoine Garapon sui comportamenti anti-istituzionali dell’ex presidente Sarkozy. Dice Bruti:  “Per una volta possiamo fare gli sciovinisti con i francesi. L’ex presidente Sarkozy, in quanto a comportamenti anti-istituzionali, ne ha da fare di strada, noi siamo andati molto, ma molto avanti. Possiamo dare qualche lezione”. Finisce il dibattito ed ecco il solerte Nitto pronto a sfoderare la solita spada di servizio: “È accaduta una cosa molto grave, il capo della procura di Milano, ufficio presso cui pende un procedimento a carico di Berlusconi, ha fatto davanti a tutti un chiaro riferimento al leader del Pdl. Mi domando se ciò porti acqua al mulino della sua serenità”. Ancora: “Non presenterò alcun esposto, è un caso politico, ne parlerò con Berlusconi e con il segretario Alfano”. Per chiedere cosa? La pena di morte?
Ora, tutti ricorderete che Nitto è un ex magistrato. Acido, come ho sempre scritto in questo blog. È sua la proposta di legge per inasprire al massimo il controllo disciplinare sulle toghe. In discussione al Senato, prevede che qualsiasi loro comportamento, anche nella vita di tutti i giorni, sia monitorato come possibile fonte di processo disciplinare. Ovviamente, Nitto pretende che la sua legge sia retroattiva, perché la regola della non retroattività, che per il Pdl dovrebbe valere per Berlusconi nel caso della decadenza, non deve valere per i magistrati. Che poi Palma, invitato al congresso dell’Anm, in un libero confronto, già applichi la sua legge che ancora non esiste, e tenti di intimidire il procuratore di Milano per portare acqua ai processi del suo leader di partito, si commenta da sé.
Ma io mi chiedo: signori magistrati, ma uno come Nitto Palma, al vostro congresso, che ce lo invitate a fare? La sua totale mancanza di obiettività, il suo costante livore, lo confina a partecipare solo ai convegni del Pdl. Lì sta bene, altrove no.

Da - http://milella.blogautore.repubblica.it/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Cancellieri e Alfano, dimissioni a confronto
Inserito da: Admin - Novembre 05, 2013, 06:29:56 pm
4
nov
2013

Cancellieri e Alfano, dimissioni a confronto

Liana MILELLA

La mia idea, del tutto personale, su Cancellieri è presto detta. Se nel governo Letta è rimasto Alfano deve rimanerci pure lei. Perché non si possono fare due pesi e due misure. Anzi, alla luce del “poi”, non si sarebbe dovuta dimettere neppure la Idem. Il metro per misurare un errore – perché, per certo, Cancellieri non doveva usare i toni che ha usato parlando con la compagna di Ligresti – deve essere sempre lo stesso, non può cambiare se a essere sotto accusa, e gravissima accusa nel caso Shalabayeva, è il segretario di un potente partito, in quel momento protetto da Berlusconi, oppure due ministri donna con qualche sponsor, ma senza la forza di una appartenenza. Sarebbe troppo facile, ma anche troppo sbilanciato.
Misuriamoli, allora, i casi Cancellieri e Shalabayeva. Nel primo il ministro della Giustizia fa una telefonata di troppo, esprime solidarietà a una vecchia amica la cui famiglia – si badi, assai chiacchierata famiglia – è finita in galera. Telefonata pessima, che si può interpretare solo conoscendo come è fatta Cancellieri. Una fin troppo spontanea, che ti dà subito del tu, che parla e dà giudizi del tutto liberi. Sentendola parlare dietro le quinte uno subito pensa “questa qui, prima o poi, finisce nei guai”. Tant’è, c’è finita. Anche per aver segnalato ai vice direttori del Dap lo stato di detenzione precario di Giulia Ligresti. È stata una grave interferenza? Sfido tutti i ministri a dichiarare che non hanno mai accettato una segnalazione e non si sono mai mossi di conseguenza. Non me lo dite che non è mai successo perché non ci credo. Cancellieri doveva lasciare Ligresti in carcere? Obiettivamente, se fosse stata male o peggio, sarebbe stato un casino.
Ma veniamo al paragone con quanto ha fatto Alfano. Un ministro dell’Interno che, scaricando la responsabilità sul suo capo di gabinetto, ovviamente defenestrato, ha consentito la deportazione di una bambina di sei anni e di sua madre in un Paese in cui entrambe rischiano la vita e sono in balia degli acerrimi nemici del marito. Un marito ricercato, mi dicono. Replico: e da quando in qua una moglie e una bimba di sei anni sono colpevoli delle colpe del marito e del padre? Un ministro che ha consentito agli emissari kazaki di spadroneggiare al Viminale come se si trattasse del loro, e non del nostro, ministero. Un ministro che non ha controllato, bensì ha avallato una sporca operazione di polizia, imposta da un paese straniero, senza mai chiarire fino in fondo il film dei fatti. Un ministro che – come tutti dicono nel palazzo – nella sua stanza di ministro non ci sta mai. Un ministro che a quella mamma e a sua figlia non ha avuto neppure il coraggio di chiedere scusa.
E allora, sono paragonabili i casi Cancellieri e Alfano, o la bilancia pende pericolosamente dalla parte di Alfano? Qual è il metro delle dimissioni? Il potere di chi sbaglia o l’effetto e la portata effettiva dell’errore? Libero il Pd di dividersi su Cancellieri, ma prima di dire sì o no alle dimissioni meglio riflettere bene su Alfano.

DA - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/11/04/cancellieri-e-alfano-dimissioni-a-confronto/


Titolo: LIANA MILELLA FI prepara norma salva-Berlusconi
Inserito da: Admin - Dicembre 13, 2013, 06:16:54 pm
Niente carcere per chi ha 75 anni.

FI prepara norma salva-Berlusconi

Emendamento ad personam per azzerare le ipotesi di arresto

di LIANA MILELLA
   
Niente carcere per chi ha 75 anni. FI prepara norma salva-Berlusconi(lapresse)
ROMA - Le notti di Silvio sono turbate dalla paura d'essere arrestato da un pm senza scrupoli? Ci pensa Forza Italia a metterlo tranquillo e a restituirgli il riposo. Lo strumento giusto è un bell'emendamento al disegno di legge Ferranti - Donatella Ferranti, la presidente Pd della commissione Giustizia della Camera - che stringe le maglie sulla carcerazione preventiva e che sarà tra i primi ddl in discussione in aula alla Camera nel nuovo anno. Detto fatto, la soluzione è semplice, come ai vecchi tempi in puro stile norma ad personam: vietare, sic et simpliciter, la custodia cautelare per chi ha superato la veneranda età di 75 anni. Nessuna deroga, stop all'arresto e basta, proprio in ragione dell'età avanzata. Una manna per Berlusconi, perché gli eviterebbe ogni possibile e brutta sorpresa. Qualsiasi reato dovessero contestargli, anche grave, lui sarebbe salvo. La discussione sul ddl è cominciata in aula lunedì, tra gli emendamenti presentati finora non figura quello sui 75 anni, ma buone fonti di Fi spiegano che è solo una questione strategica. Meglio presentare il testo, che ovviamente creerà un caso e un caos, solo quando la discussione sarà entrata nel vivo e il ddl starà marciando verso il voto. Un blitz, come sempre quando si parla di giustizia per Silvio.

Nell'entourage di Berlusconi non si parla d'altro. La norma sui 75 anni viene considerata per lui l'ultima spiaggia. Una strada per metterlo in totale sicurezza, nella quale però tutto dipende da come si comporterà il Nuovo centrodestra di Alfano. Se il gruppo dell'ex Guardasigilli, com'è accaduto al Senato per la decadenza, fa fronte comune anche sui 75 anni, allora una speranza di far passare la norma si apre. Un fatto è certo: appena qualche settimana fa, mentre si discutevano in commissione gli emendamenti al ddl Ferranti, gli allora compagni di partito Francesco Paolo Sisto, rimasto in Forza Italia, ed Enrico Costa, divenuto il capogruppo degli alfaniani alla Camera, avevano firmato assieme un emendamento per escludere dall'arresto gli over 70, anche nel caso di reati gravi come la corruzione. A opporsi, in quell'occasione, è stato il relatore, oggi forzista, Carlo Sarro, vice presidente della commissione Giustizia e avvocato del ben noto Nicola Cosentino. Ma in quel momento Berlusconi era ancora senatore e godeva dello scudo immunitario contro un possibile arresto, mentre adesso, dopo l'avvenuta decadenza, è tornato a essere un cittadino come tutti, esposto anche a una possibile cattura.

La norma sui 75 anni rischia di essere una pesante zeppa sul ddl presentato sin da aprile da Ferranti, che ha firmato il testo con altri esponenti del Pd. Il ddl 631 è stato poi fuso con altre proposte, tra cui quelle dei forzisti Brunetta e Sisto e dell'adesso alfaniano Costa. Ne è venuto fuori un ddl che impone al pm e al gip maggiore cautela nel decidere l'arresto preventivo. La principale parola d'ordine è che magistrato e giudice non devono valutare la pericolosità del reato in astratto, ma soppesare bene "l'attualità" concreta della necessità di un arresto. Il criterio, come ha detto in aula la relatrice Pd e avvocato torinese Anna Rossomando, dev'essere quello di "una custodia cautelare come extrema ratio", solo quando si è davvero certi che nessuna altra misura possibile, come gli arresti domiciliari, risulti inadeguata. Siamo nel trend di misure che riducono al massimo il ricorso al carcere, anche per evitare il sovraffollamento, nella linea ormai del governo Letta. Ma a questo punto il problema è che gli alfaniani, come Costa, non sarebbero affatto soddisfatti del risultato raggiunto, perché ritengono che il testo sia "troppo morbido" rispetto all'esigenza di alzare l'asticella della carcerazione preventiva. Qui s'innesta la possibilità che sul primo e importante ddl sulla giustizia si ritrovino assieme l'ex Guardasigilli e l'ex premier.

© Riproduzione riservata 12 dicembre 2013

http://www.repubblica.it/politica/2013/12/12/news/niente_carcere_per_chi_ha_75_anni_fi_prepara_norma_salva-berlusconi-73380912/


Titolo: LIANA MILELLA Un errore, non un parametro
Inserito da: Admin - Dicembre 24, 2013, 06:10:39 pm
18
dic
2013
Un errore, non un parametro

Liana MILELLA

Inutile dire che l’evasione di Bartolomeo Gagliano sarà ovviamente sfruttata da tutti i nemici, e sono tantissimi, delle politiche positive sul carcere. A voler fare dietrologia, sembra davvero incredibile che sia avvenuta il giorno stesso in cui il decreto Cancellieri, proprio sul sovraffollamento nei penitenziari italiani, è fresco di consiglio dei ministri. Un caso? Lo sarà certamente. Ma bisogna stare molto attenti a non utilizzarlo come un’arma contro le norme che incentivano la detenzione domiciliare, gli sconti di pena, l’attenuazione delle manette a tutti i costi. Il caso di Genova va solo chiamato con il suo nome — un errore aver dato quel permesso — e valutato nella sua incredibile anomalia — un istituto di pena dove non si conosce la storia criminale di un proprio detenuto e quindi lo si propone per il permesso premio —. È tutta colpa del magistrato di sorveglianza che non ha valutato, con la dovuta attenzione e come la legge gli impone di fare, il fascicolo di Gagliano? Sicuramente delle responsabilità ci sono. Dovranno essere valutate. Certo, è difficile, in tempi di Internet, raccontare ancora la storia di un detenuto con gravi precedenti — ha ucciso più volte e ha violato più volte i permessi che gli erano stati concessi — che non sono conosciuti dalle persone che hanno a che fare con lui. Possibile? Davvero ci volete far credere che, schiacciando un bottone, non compare sul video del direttore di un carcere oppure di un giudice di sorveglianza tutta la storia giudiziaria di un detenuto, con i crimini commessi e le condanne subite? Se davvero è così, allora il problema non è il decreto cosiddetto svuota-carceri (brutta espressione, che certo non contribuisce a migliorare la sua fama), ma la basilare riforma di un casellario giudiziario in cui, con un click, si sappia tutto di Gagliano, se è un pluri-omicida che è meglio tenere dentro, anche se fa il bravo, piuttosto che metterlo in libertà.

Da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2013/12/18/un-errore-non-un-parametro/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Grasso: non abolite il Senato. Resti un'assemblea di eletti
Inserito da: Admin - Marzo 31, 2014, 11:45:58 pm
Grasso: non abolite il Senato. Resti un'assemblea di eletti

Intervista al presidente di Palazzo Madama che contesta la riforma proposta da Renzi: "Non sia un organismo che dia la fiducia, ma che si occupi di leggi costituzionali e etiche”

di LIANA MILELLA
   
ROMA — Sindaci e governatori nel nuovo Senato? "Ci sarebbe una sovrapposizione di poteri diversi". Chi dovrebbe scegliere i futuri senatori? "Anche la gente". Il nome? "Sempre Senato". I rapporti tra Montecitorio e palazzo Madama? "No al bicameralismo perfetto". La fiducia? "Solo alla Camera". L’ obiettivo istituzionale? "La stabilità e la rappresentatività indicata dalla Corte costituzionale". Nel suo studio le foto sono soprattutto quelle della vita da magistrato, anche se spicca l’ ultima con Papa Francesco. Lui, il presidente del Senato Pietro Grasso, ragiona solo da politico. Quando gli si dice che un accreditato gossip lo descrive come il futuro capo dello Stato, con aria visibilmente seccata, replica: "Non scherziamo. Io penso a fare bene il mio lavoro, e da presidente parlo della riforma del Senato, nel mio pieno ruolo istituzionale e super partes".

E come si sente come probabile ultimo presidente di questo Senato?
"Da fuori mi vedono come l'ultimo imperatore, io mi sento l’ultimo dei mohicani...".

Renzi è stato netto, ha detto "se il Senato non va a casa, vado a casa io". Domani esce il suo testo. Se vestisse i suoi panni che farebbe?
"Quello che sta facendo lui, lavorando con tutte le mie forze per superare il bicameralismo perfetto, diminuire il numero dei parlamentari, semplificare l'iter legislativo".

Ma da qui come la vede? Abolire il Senato è davvero necessario e indispensabile?
"Aldilà delle semplificazioni mediatiche nessuno parla di abolire il Senato, ma di superare il bicameralismo attuale. L'urgenza è prima istituzionale che economica: dobbiamo accelerare il processo legislativo, senza indebolire la democrazia".

Che aria ha avvertito nei suoi incontri con la gente, ritengono il Senato un’inutile fonte di sprechi? Un duplicato della Camera? Una perdita di tempo? Un residuo del passato?
"Certamente la gente pensa, a ragione, che quasi mille parlamentari siano troppi, che la politica costi molto e produca poco, che sia venuto il momento di dare una sterzata. Ma avverto anche la forte preoccupazione di mantenere, su alcuni temi, la garanzia di scelte condivise. Con un sistema fortemente maggioritario, con un ampio premio di maggioranza e una sola Camera politica, il rischio è che possano saltare gli equilibri costituzionali e ridursi gli spazi di democrazia diretta".

E sarebbe?
"Affidare a una sola camera anche le scelte sui diritti e sui temi etici potrebbe portare a leggi intermittenti, che cambiano ad ogni legislatura, su scelte che toccano profondamente la vita dei cittadini e che hanno bisogno di essere esaminate anche in una camera di riflessione, come ritengo debba essere il Senato".

Quindi il suo Senato ideale come si chiama e com’è fatto?
"Io immagino un Senato composto da senatori eletti dai cittadini contestualmente alle elezioni dei consigli regionali, e una quota di partecipazione dei consiglieri regionali eletti all'interno degli stessi consigli. Per rendere più stretto il coordinamento tra il Senato così composto e le autonomie locali, prevederei la possibilità di partecipazione, senza diritto di voto, dei presidenti delle Regioni e dei sindaci delle aree metropolitane".

Che fa, la stessa proposta del capogruppo di Forza Italia Romani? Ancora un Senato di eletti? Ma così crolla il progetto Renzi...
"Non è la stessa proposta, perché io immagino un Senato composto da senatori eletti dai cittadini contestualmente alle elezioni dei consigli regionali, e una quota di partecipazione dei consiglieri regionali eletti all'interno degli stessi consigli. Per rendere più stretto il coordinamento tra il Senato così composto e le autonomie locali, prevederei la possibilità di partecipazione, senza diritto di voto, dei presidenti delle Regioni e dei sindaci delle aree metropolitane".

Renzi vuole come senatori sindaci e governatori regionali, lei perché è contrario?
"Perché ritengo che per una vera rappresentatività sia indispensabile che almeno una parte sia eletta dai cittadini, come espressione diretta del territorio e con una vera parità di genere. Una nomina esclusivamente di secondo grado comporterebbe una accentuazione del peso dei partiti piuttosto che di quello degli elettori".

Quindi un fifty-fifty?
"Non si tratta di percentuali, su quelle vedremo. Credo sia utile la presenza di rappresentanti delle Assemblee regionali, proprio per rafforzare la vocazione territoriale del Senato, estendendo la funzione legislativa regionale a livello nazionale. Ma sindaci e presidenti di Giunte regionali, che esercitano una funzione amministrativa sul territorio, a mio avviso non possono esercitare contemporaneamente una funzione legislativa nazionale, ma soltanto consultiva e di impulso".

Altro che Senato delle autonomie, il suo assomiglia a quello di adesso, solo con meno poteri e competenze.
"Niente affatto. Il Senato che immagino io, anche in parallelo con la riforma del Titolo V, è un luogo di decisione e di coordinamento degli interessi locali fra di loro e in una visione nazionale, e in questo senso dovrebbe sostituire la Conferenza Stato-Regioni".

E come la mette con i soldi? Questo suo Senato, sicuramente, avrà un costo maggiore rispetto a uno di sindaci e governatori perché gli eletti, proprio come quelli di adesso, dovranno necessariamente essere retribuiti. Quindi, con questo sistema, dove va a finire il risparmio previsto da Renzi?
"Possiamo ottenere risparmi maggiori diminuendo il numero complessivo dei parlamentari e riducendo le indennità, solo per iniziare. Poi mi faccia dire che non si può incidere sulla forma dello Stato solo con la calcolatrice in mano".

Questo suo Senato rispetto alla fiducia al Governo che fa?
"Non dà la fiducia, non si occupa di leggi attuative del programma di governo, né di leggi finanziarie e di bilancio. Il rapporto col Governo su questi punti deve restare solo e soltanto alla Camera".

Di quali leggi dovrebbe occuparsi?
"Oltre a tutte le questioni di interesse territoriale, delle leggi costituzionali o di revisione costituzionale, di legge elettorale, ratifica dei trattati internazionali, di leggi che riguardano i diritti fondamentali della persona".

Solo questo?
"Io immagino che una Camera prettamente ed esclusivamente politica debba essere bilanciata da un Senato di garanzia, con funzioni ispettive, di inchiesta e di controllo, anche sull'attuazione delle leggi. Chiaramente il Senato dovrà partecipare, in materia determinante, ai processi decisionali dell'Unione Europea, sia in fase preventiva che attuativa".

Prevede anche i senatori a vita o cittadini illustri che siano?
"L'apporto di grandi personalità del mondo della cultura, della scienza, della ricerca, dell'impegno sociale non può che essere utile. In che modo e in che forma sarà da vedere".
 
Due questioni calde, la tagliola sulle leggi del governo che vanno a rilento e i poteri "di vita e di morte" del premier sui ministri. Progetto ammissibile e condivisibile?
"Un termine chiaro entro cui discutere le proposte del governo, in un sistema più snello, non può che accelerare e semplificare l'iter legislativo. La ritengo una buona proposta. La seconda ipotesi non mi sembra sia prioritaria in questo momento".

Praticabilità politica. Dopo il caos del voto sulle province, finito con la fiducia, che prevede per il voto su questa riforma?
"Se si vuole un'accelerazione e una maggioranza di due terzi non si deve procedere mostrando i muscoli, ma cercando proposte più possibili condivise e aperte alla riflessione parlamentare. I senatori non sono tacchini che temono il Natale, e sono pronti a contribuire al disegno di riforma del Senato".

Ne è davvero convinto o s'illude?
"Hanno compreso, credo, le aspettative dei cittadini: partecipazione democratica, efficienza delle istituzioni, diminuzione del numero di deputati e senatori, taglio radicale ai costi della politica. Diminuendo di un terzo il numero dei parlamentari tra Camera e Senato, e riducendo le indennità, si otterrebbe un risparmio ben superiore a quello che risulterebbe, bilancio alla mano, dalla sostituzione dei senatori con amministratori dei comuni, delle aree metropolitane e delle regioni".

Un prossimo voto di fiducia di questo Senato sul futuro Senato è ipotizzabile?
"Non penso che si possa riformare la Costituzione con un maxi-emendamento e senza alcun contributo delle opposizioni".

Il timing di Renzi prevede prima la riforma del Senato, poi quella elettorale, il famoso Italicum. Forza Italia dice già di no e vuole il contrario. Lei che tempistica prevede?
"Dal momento che la legge elettorale riguarda solo la Camera approviamo prima la riforma del Senato, per poi passare immediatamente all'Italicum".

Lei sta già riorganizzando gli uffici di questo Senato. Perché? Per mantenere lo status quo o in vista della riforma?
"Sto lavorando per proporre al Consiglio di presidenza una riorganizzazione che risponda ad alcune esigenze attese da anni. Questo non ostacola le riforme, anzi le anticipa: razionalizzando le strutture, eliminando quelle non necessarie, valorizzando la prospettiva regionale ed europea del Senato, tagliando dal 30 al 50% le posizioni apicali e andando a ricoprire i posti restanti con nomine a costo zero, senza alcun aumento in busta paga per nessuno. Inoltre è già stato deliberato l'accorpamento di molti servizi con quelli corrispettivi della Camera, e si va verso l'unificazione dei ruoli del personale di Camera e Senato. Voglio che il nuovo Senato parta già nella sua piena efficienza".

Politica e mafia. La polemica sul 416-ter. La sua proposta, appena eletto, è agli atti. Adesso? È d'accordo sull'ipotesi del decreto legge cambiando il testo uscito dal Senato?
"Come ho detto, la mia proposta è agli atti. L'ho presentata il primo giorno, ho ancora il braccialetto bianco al polso e spero che si faccia presto e bene".

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/03/30/news/grasso_i_futuri_senatori_devono_essere_scelti_anche_dalla_gente-82274935/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA - Se Cantone fallisce…
Inserito da: Admin - Giugno 10, 2014, 11:32:29 am
6
giu
2014

Se Cantone fallisce…

Liana MILELLA

C’è un rischio, e grande, tutte le volte che, per risolvere un problema di portata gravissima, si identifica in una singola persona il possibile “salvatore”. Da un mese, la parola corruzione è costantemente associata alla figura di Raffaele Cantone, il magistrato napoletano cui Renzi ha affidato il compito di presiedere l’Authority anti-corruzione. Non solo, lo ha pure incaricato di occuparsi di Expo e degli appalti corrotti. A parlare con Cantone si percepisce subito la sua grande preoccupazione. Chi, come lui, è stato pubblico ministero per una vita, sa bene che anomalie criminali gravissime come le mafie e la corruzione, ben radicate come sono quelle italiane, non si azzerano da un giorno all’altro, e nemmeno da un anno all’altro. Con il realismo che contraddistingue il suo modo di ragionare Cantone dice che il suo ufficio potrà seminare degli anticorpi, ma poi chi può dire come, quando e quanto attecchiranno. Ma c’è un’altra preoccupazione, e riguarda questa classe politica, chiamata definitivamente a fare i conti con il suo stesso malaffare, se è vero, come è vero, che ancora una volta i politici sono protagonisti delle ruberie. La manovra anti-corruzione che il governo deve necessariamente affrontare sarà uno spartiacque decisivo per il governo Renzi, e per Renzi stesso. I rinvii, perché di questo si tratta, fanno stare col fiato sospeso. Ce la farà Renzi a dare a Cantone, innanzitutto, dei collaboratori dal curriculum adamantino – le nomine sono quattro – oppure prevarranno logiche spartitorie? Ce la farà a dargli gli strumenti necessari per “entrare” effettivamente nelle singole gare d’appalto e per scoprire dove si annida il marcio? Ce la farà a mettergli in mano un concreto potere sanzionatorio? E soprattutto, il governo Renzi avrà la forza, a fronte di lobby potenti che remano contro (in primis gli avvocati), di cambiare le regole della prescrizione? Andrebbe fermata dopo il rinvio a giudizio, ci si può spingere alla sentenza di primo grado, ma una seria lotta alla corruzione non può che passare di lì. Altrimenti guardiamoci in faccia e diciamo la verità, qua si sta facendo “ammuina”.

DA - http://www.repubblica.it/politica/2014/06/08/news/mose_tremonti_milanese-88359705/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Il privilegio di Genovese sulle intercettazioni
Inserito da: Admin - Agosto 09, 2014, 05:36:01 pm
8
ago
2014

Il privilegio di Genovese sulle intercettazioni

Liana MILELLA

Il Parlamento insiste con i privilegi della casta, e il Pd con lui. Accade, alla Camera, che si debba votare per autorizzare l’uso delle intercettazioni nel processo al deputato Pd Francantonio Genovese, già destinatario di un mandato di arresto votato favorevolmente dai suoi colleghi. Che invece, sulle intercettazioni, fanno muro. Causidicamente distinguono un prima e un dopo, le registrazioni delle telefonate effettuate prima che fosse formalmente indagato, e quelle successive. Bene, le prime vengono autorizzate, le seconde vengono stoppate dalla Camera, perché i magistrati di Messina avrebbero dovuto chiedere un’autorizzazione.
Ora, io mi chiedo, ma ci può essere una legge così anacronistica da ordinare che si debba chiedere l’autorizzazione per intercettare un telefono? Per l’ovvia ragione che magari il via libera arriva anche, ma comunque la telefonata sarà investigativamente inutile perché chi parla sa ufficialmente di essere intercettato.
E allora la beffa, la presa in giro grottesca è totale. Per Genovese varranno solo le intercettazioni fatte “prima” della data in cui viene formalmente indagato. Tutte quelle successive, al macero. Si oppone M5S, che vuole autorizzare tutto, ma finisce lo stesso 319 a 95. Con il Pd a favore, ovviamente.

Da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2014/08/08/il-privilegio-di-genovese-sulle-intercettazioni/?ref=HREC1-6


Titolo: LIANA MILELLA Giustizia, dietrofront del governo su autoriciclaggio.
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2014, 06:36:38 pm
Giustizia, dietrofront del governo su autoriciclaggio.
Testo ammorbidito su pressing Ncd e Forza Italia
Sarà colpito solo chi si è procurato il denaro "sporco" commettendo reati puniti con una pena di almeno cinque anni.
Cantone (Anticorruzione): non lo annacquerei. Critiche dalle procure

Di LIANA MILELLA 
   
ROMA - Aveva garantito il Guardasigilli Andrea Orlando, appena cinque giorni fa, dalla tribuna delle Camere penali: "Non ci sarà nessuna marcia indietro sull'auto-riciclaggio". Una promessa che si sta rivelando dai piedi di creta. Che si spiaggia sui tavoli dei magistrati, in testa quelli che ogni giorno hanno a che fare con i reati di evasione, quando finalmente, dopo 25 giorni di attesa, arriva il testo del nuovo disegno di legge anti-corruzione, nel quale, agli articoli 3, 4 e 5, sono contenute le nuove norme sull'auto-riciclaggio e sul falso in bilancio. Chi ipotizzava una trattativa sotto banco tra Pd e Forza Italia, con lo zampino decisivo anche degli alfaniani di Ncd, è convinto che quei sospetti si stiano rivelando fondati. Perché il reato, atteso da anni, secondo quanto si sente nelle procure, rischia di essere controproducente.

La ragione è semplice. Basta leggere il testo. Che prevede di colpire soltanto chi ha commesso "un delitto colposo punito con la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni". Come spiegano subito le toghe, già in allarme, restano fuori i reati tipici dei riciclatori, la truffa, l'appropriazione indebita, ma soprattutto l'infedele dichiarazione e l'omessa dichiarazione dei redditi. Reati puniti nel massimo fino a tre anni. Quindi fuori dal futuro reato di auto-riciclaggio. Si potrà fare una truffa, o fare una dichiarazione infedele, e riciclare conseguentemente i proventi di quel reato senza che il magistrato possa fare nulla.

Questa è la versione definitiva di un testo che, tra palazzo Chigi e ministero della Giustizia, ha subito molte modifiche e nel quale hanno molto inciso i mal di pancia di Ncd, identici nel contenuto a quelli di Forza Italia. I berlusconiani chiedevano ancora di più. Volevano che il reato fosse contestabile soltanto qualora ci si trovasse di fronte ai delitti di mafia e di traffico di stupefacenti. Via tutti gli reati, corruzione compresa. Questo braccio di ferro ha bloccato il ddl anti-corruzione per settimane. Alla fine ha prevalso un compromesso che le toghe considerano però del tutto inaccettabile.

Alla fine viene fuori un reato a metà. Innanzitutto cala la pena rispetto alla previsione originaria, doveva essere dai 3 agli 8 anni, ma il minimo si ferma a due. Verrà punito con questa pena chi "sostituisce, trasferisce, ovvero impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa". Ma ci sarà il tetto a monte, se cioè è stato commesso un reato che supera i 5 anni di pena.

Non solo. Al comma principale ne segue un secondo, nel quale si dice che "l'autore del reato non è punibile quando il denaro o i beni vengono destinati all'utilizzazione e al godimento personale". Una precisazione che, se non fa proprio danno, viene valutata dai magistrati come una possibile fonte di confusione.

Per intenderci, potrebbe avvenire quello che è avvenuto con il famoso testo del voto di scambio tra politica e mafia, il 416-ter, che per essere troppo dettagliato e arzigogolato, alla fine è caduto davanti alla Cassazione. Dicono i pm che questa clausola dell'auto-ricioclaggio potrebbe portare a lunghe diatribe con l'imputato con la necessità di dimostrare che effettivamente il denaro riciclato era o non era usato per fini solo personali. Una fonte di confusione e non di vantaggio.

Ma il vero problema della norma è il suo uso immediato. Già oggi, nella commissione Finanze della Camera, sarà utilizzata come emendamento del governo al testo sul rientro dei capitali dall'estero che il governo, e il ministro Padoan in particolare, ha particolare premura di approvare. Lì dentro c'è la voluntary disclosure, per cui chi si auto accusa di aver portato fuori capitali, potrà godere di uno sconto nella sanzione. In commissione c'è già una versione del reato di auto-riciclaggio, su cui aveva lavorato il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco. Testo diverso da quello del governo e che non conteneva la limitazione dei reati fino a 5 anni. Proprio su questo testo ci sono state le pressioni di Forza Italia e Ncd per una versione più morbida. Il rischio adesso è che salti tutto, rinviando ancora nel tempo l'entrata in vigore di un reato che ancora non esiste.

© Riproduzione riservata 24 settembre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/09/24/news/giustizia_dietrofront_del_governo_su_autoriciclaggio-96525124/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_24-09-2014


Titolo: LIANA MILELLA Rettifiche lampo e maxi multe, rischio bavaglio per le testate web
Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2014, 11:53:43 pm
Rettifiche lampo e maxi multe, rischio bavaglio per le testate web
Nella riforma della diffamazione sanzioni da 50 mila euro e interdizione per i direttori

di LIANA MILELLA
10 ottobre 2014
   
ROMA - Quando di mezzo ci sono i giornalisti la voglia di bavaglio è sempre dietro l'angolo. Adesso l'obiettivo è soprattutto il web, le testate online, considerate troppo libere e incontrollabili. Non solo dovranno rettificare subito, ma soprattutto dovranno cancellare tutto. Per legge. Ci hanno provato con le intercettazioni a mettere il bavaglio, adesso passano per la diffamazione. Quel singolare ddl "Loch Ness" (come lo chiama Gasparri) che compare e scompare come lo storico mostro. Ora che rispunta al Senato, dopo un anno di misterioso sonno, rivela subito di che pasta è fatto. Pasta punitiva, tutta giocata su rettifiche capestro ad horas, su multe per migliaia di euro (fino a 50mila per un falso cosciente), sull'interdizione per sei mesi, sulla responsabilità dei direttori per qualsiasi notizia diffamatoria anonima. Come dice il Dem Felice Casson "di positivo, nel ddl, c'è che finalmente viene cancellata la previsione del carcere per i giornalisti...". Ma il prezzo da pagare per la cella (assai rara) che non c'è più è uno stillicidio pesante giornaliero che colpirà pesantemente anche le testate online. Ieri il testo, già votato alla Camera ma assai rimaneggiato in commissione Giustizia al Senato, è giunto in aula. Discussione generale. Se ne riparla tra un paio di settimane, ma bisogna dire subito che la legge, così com'è, proprio non va. Emendamenti compresi.

Il carcere non c'è più. E sia. Ma ci sono le multe. Normalmente fino a 10mila euro. Ma fino a 50mila "se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità". Rispondono anche, "a titolo di colpa", il direttore o il vice direttore responsabile. "La pena è in ogni caso ridotta di un terzo". Ma i due rispondono pure "nei casi di scritti o di diffusioni non firmati". E veniamo alle rettifiche, il comma dolente. È scritto che "il direttore è tenuto a pubblicare gratuitamente e senza commento, senza risposta e senza titolo, con la seguente indicazione "rettifica dell'articolo (titolo) del (data) a firma (l'autore)" nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa, o nella testata giornalistica online (solo registrate, quindi niente blog, ndr.) le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità". Salvo che queste rettifiche non abbiano un risvolto penale, vanno pubblicate. Per le testate online va fatto "non oltre due giorni", "con la stessa metodologia, visibilità e rilevanza". Se non si rettifica entra in scena il giudice che "irroga la sanzione amministrativa", avverte il prefetto e pure l'ordine professionale. Il quale sospende fino a sei mesi.

Ma non è finita qui. Siamo alla distruzione definitiva. Oltre alla rettifica e alla richiesta di aggiornare le informazioni, l'interessato "può chiedere l'eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori o dei dati personali". Non basta nemmeno. "L'interessato può chiedere al giudice di ordinare la rimozione delle immagini e dei dati ovvero di inibirne l'ulteriore diffusione". Dulcis in fundo: "In caso di morte dell'interessato le facoltà e i diritti possono essere esercitati dagli eredi o dal convivente".
 
© Riproduzione riservata 10 ottobre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/10/10/news/censura_testate_online-97762029/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_10-10-2014


Titolo: LIANA MILELLA Vergogna istituzionale
Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2014, 04:20:25 pm
14
ott
2014
Vergogna istituzionale

Di Liana Milella.

Montecitorio? Oppure una malfamata balera? Lega e M5s stanno dando il peggio durante le votazioni per l’elezione dei due giudici della Consulta. Siamo arrivati alla diciottesima, e ancora si vota a vuoto. Già questo è uno scandalo. In più si aggiunge la vergogna degli scherzi e delle battute di infimo ordine. Come quella del leghista Calderoli, che ha storpiato il nome dell’ex avvocato generale dello Stato da Caramazza in “caraminchia”. Adesso si è inventato un volantino, perfino distribuito in Transatlantico, in cui invita a votare per il presidente del Senato Grasso per toglierselo dai piedi. Sono giorni che lavora a questo “nobile” progetto. M5s va oltre. Annuncia che voterà scheda bianca “in attesa che passi il cadavere di Violante”. Una frase inaccettabile in sé, ma particolarmente grave in questo caso visto che tutti sanno che Violante ha avuto qualche problema di salute. Ma se Lega e M5s disprezzano il Parlamento che ci stanno a fare? Escano, per evitare di abbassare ancora di più il già basso livello delle nostre istituzioni.

Da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2014/10/14/vergogna-istituzionale/


Titolo: LIANA MILELLA Consulta, Il Pd archivia Violante: “Stallo colpa anche nostra”.
Inserito da: Admin - Ottobre 21, 2014, 05:18:43 pm
Consulta, Il Pd archivia Violante: “Stallo colpa anche nostra”. Fi, summit sul candidato
Il premier: “Camere bloccate e noi siamo corresponsabili”. Tesauro: “Fare presto”. Ma il nuovo voto non è ancora fissato

di LIANA MILELLA

ROMA. Andare oltre Violante per superare lo stallo della Consulta. Per evitare, come dice Matteo Renzi, di essere ancora "corresponsabili" di un ritardo nella nomina dei due giudici costituzionali di nomina parlamentare che ormai ha superato i 115 giorni. Il premier apprezza Napolitano, che "ha sfidato le Camere in una situazione di stallo", per la scelta dei sostituti del presidente Giuseppe Tesauro e di Sabino Cassese con 22 giorni di anticipo rispetto alla naturale scadenza del 9 novembre. Ma adesso tocca alla politica darsi una scossa. Il segretario del Pd ci metterà del suo (finora era stato descritto come "assente" dalla partita della Corte) e domani vedrà i capogruppo di Senato e Camera Luigi Zanda e Roberto Speranza. Ma nelle sue parole, pronunciate durante la direzione Pd, i suoi già vedono un’archiviazione della candidatura di Luciano Violante, l’ex presidente della Camera che ha sfiorato i 550 voti, senza raggiungere il quorum richiesto di 570. Forza Italia accusa il Pd di non votarlo in modo compatto. Il Pd di rimando accusa Forza Italia di non aver mai fatto cadere le preclusioni contro di lui in quanto ex capo del partito dei giudici.

La partita per la Corte riparte daccapo. Mentre l’attuale presidente Tesauro ripete ancora quanto ha già detto una settimana fa, invitando il Parlamento a fare "una buona riflessione, magari un po’ più rapida di quanto è stato programmato". Ma proprio i tempi potrebbero essere non come li auspica Tesauro. Intanto un dato, è improbabile che la presidente della Camera Laura Boldrini convochi una seduta in settimana. Il presidente del Senato Piero Grasso torna giovedì mattina da un viaggio di rappresentanza in Argentina e sconsiglia, via filo, altre votazioni a oltranza che finiscano con un nulla di fatto. Si risolvono in un danno. È realistico pensare che la seduta "buona" si possa tenere la prossima settimana, magari martedì, a candidati già individuati e con buone chance di riuscita.

Oggi Berlusconi, di nuovo a Roma, potrebbe indicare un nuovo nome per la Corte, anche se il gruppo parlamentare aveva deciso che la scelta era di sua competenza, soprattutto dopo i flop di nomi giunti da palazzo Grazioli, come l’ex Antitrust Antonio Catricalà e l’ex avvocato generale dello Stato Ignazio Francesco Caramazza. Sarà la volta del costituzionalista Giovanni Guzzetta, sponsorizzato dal capogruppo Renato Brunetta, di cui è stato capo di gabinetto quando era alla Funzione pubblica? Oppure di Francesco Paolo Sisto, il presidente della commissione Affari costituzionali, avvocato barese vicino a Raffaele Fitto? È più probabile che possa toccare a un outsider. Ma Berlusconi deve fare i conti con un gruppo frastagliato che rivendica la sua indipendenza. Dice Brunetta: «Chapeau a Napolitano che da solo ha scelto i suoi giudici, ma qui bisogna mettere d’accordo 950 persone".

Non si respira aria migliore nel Pd. Dove superare la candidatura di Violante sta comportando più di una preoccupazione. Innanzitutto lo sgarbo di sostituire un esponente di spicco del partito, tra i saggi del Quirinale, ex responsabile per le Riforme.

Ma ostinarsi sul suo nome rischia ormai di far portare al Pd «la responsabilità» della mancata elezione dei giudici. Lo sanno bene Zanda e Speranza, che però temono la reazione di chi ha sostenuto Violante contro qualsiasi altro candidato per la Corte. Un tecnico puro, a questo punto. Il nome che ricorre con maggiore insistenza è quello del costituzionalista della Sapienza Massimo Luciani, che nella sua veste di avvocato è un volto già molto noto nelle stanze della Consulta. Non resta che superare gli indugi e parlare con Forza Italia augurandosi che abbia e voti un nuovo nome.

© Riproduzione riservata 21 ottobre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/10/21/news/consulta_il_pd_archivia_violante_stallo_colpa_anche_nostra_fi_summit_sul_candidato-98617551/?ref=HREC1-17


Titolo: LIANA MILELLA La bufala dell'anticorruzione
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2014, 06:55:21 am
14
dic
2014

La bufala dell'anticorruzione

Liana MILELLA

Non pigliamoci in giro. La presunta manovra del governo contro la corruzione fa ridere. Renzi rimprovera chi la critica tra i magistrati pigliandosela perfino con il garbato Sabelli? E fa male. È una manovra ridicola per almeno tre buoni motivi. Il primo: se tutto va bene, vedrà la luce tra un anno, tra passaggi e contro passaggi parlamentari, perché è stato un errore inserire le nuove norme, tre in verità (stretta sul patteggiamento, confisca per gli eredi, corruzione punita fino a 10 anni), dentro un ddl “pesante” come quello che riforma il processo penale. Il secondo: perché solo il reato di corruzione meritava un aumento di pena, anziché 4-8 anni, 6-10 anni, anziché una maggiorazione di tutti i reati della sfera corruttiva? Così aveva ipotizzato coraggiosamente l'ufficio legislativo del Guardasigilli Orlando, ma poi è prevalsa un editio decisamente minor. Terzo motivo: la riforma della prescrizione è debole, perché non la blocca definitivamente con la sentenza di primo grado, ma la sospende soltanto. Poi, se il processo di appello non si fa in due anni e quello in Cassazione in un anno, l'orologio comincerà a correre di nuovo. Già mi immagino la bagarre degli avvocati per far durare il processo il più a lungo possibile. E poi, sono comunque norme che valgono per i reati futuri, come ci ha tenuto a dire lo stesso Renzi e com'è scritto nella norma transitoria e come ha preteso e imposto Ncd. E allora perché le si spaccia come una risposta ai guai di adesso?

Da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2014/12/14/la-bufala-dellanticorruzione/?ref=HREC1-1


Titolo: LIANA MILELLA Diffamazione, Renzi non può firmare una legge che fa male alla ...
Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2014, 04:53:40 pm
Diffamazione, Renzi non può firmare una legge che fa male alla stampa
Le nuove norme saranno approvate dopo le feste. E hanno un solo obiettivo: dare una stangata ai giornalisti.
Perchè la politica vuole celebrare il funerale delle notizie?


di LIANA MILELLA

19 dicembre 2014

   
Uno spettro si aggira per Montecitorio, la nuova legge sulla diffamazione. Pronto a colpire giornali e siti web, negando agli uni e agli altri la libertà di fare cronaca e dare giudizi e interpretazioni. Pronto a imporre una rettifica capestro. Pronto a battere cassa duramente. Sull'altare del carcere che scompare  -  per una diffamazione grave non si andrà più in galera  -  la categoria dei giornalisti sta per essere messa in riga in un clima di indifferenza generale che preoccupa. Passate le feste, la politica imporrà una cattiva legge, già votata al Senato, che si pone un solo obiettivo: stangare la stampa per imbavagliarla, regolare un conto antico, costringere di fatto i direttori a non pubblicare notizie che "costerebbero" troppo. Addirittura fino a 50mila euro, una cifra insostenibile in tempi di grave crisi come quella che la stampa sta attraversando.

Dieci domande. La prima domanda da porsi è questa: la futura legge è necessaria? La seconda: per evitare il carcere, che non è la prassi ma un'assoluta rarità, i giornalisti possono pagare un prezzo così alto? La terza: perché non si può fare una legge semplice, di un solo articolo con su scritto "è abolito il carcere" e fermarsi qui? La quarta: perché si impone una multa da 10 a 50mila euro? La quinta: perché le rettifiche devono essere prese per oro colato e pubblicate senza commento? La sesta: non sono pochi due giorni di tempo per pubblicare la rettifica? La settima: possono essere trattati allo stesso modo i quotidiani, i libri, i siti web, i semplici blog? L'ottava: perché, in una legge sulla diffamazione, viene inserito il diritto all'oblio e s'impone ai siti di cancellare in tutta fretta le notizie presuntamente diffamatorie? La nona: perché il principio della querela temeraria, la richiesta di una cifra spropositata rispetto a quanto si è scritto o detto, non viene inserito correttamente? La decima: com'è possibile che una maggioranza politica in cui il Pd è l'azionista più forte, che esprime addirittura un premier potente come Renzi, consenta di mettere il bavaglio ai giornalisti?

La fine del web libero. Di queste dieci domande l'ultima è sicuramente quella su cui è un dovere riflettere. Perché non è accettabile che chi dovrebbe avere più a cuore degli altri un giornalismo libero e scevro da paure e da auto censure, lavori invece per il disegno opposto. Perché è inutile girarci intorno: se questa legge sarà approvata, così come la possiamo leggere adesso negli stampati della Camera, ci sarà un solo e immediato risultato. Una stampa sul chi vive, editori che imporranno ai propri direttori di essere molto più attenti di prima a pubblicare notizie scomode e che potrebbero produrre diffamazioni da migliaia di euro, visto che a rispondere, e poi a pagare, non sarà il singolo autore dell'articolo, ma anche il direttore che lo ha autorizzato. Un direttore responsabile di tutto, anche di poche righe non firmate. Sarà la fine del web libero. Perché l'obbligo della rettifica continua e immediata ne stroncherà la stessa natura di informazione in continuo movimento. La battaglia per resistere alle richieste di cancellare definitivamente le notizie sarà talmente distruttiva da corrodere la forza stessa di chi fa informazione online. Sull'altare del carcere che non c'è più celebreremo il funerale delle notizie. Ma ne vale davvero la pena? Renzi e il Pd hanno il dovere di chiederselo.
 

© Riproduzione riservata 19 dicembre 2014

da - http://www.repubblica.it/politica/2014/12/19/news/milella_su_diffamazione-103290831/?ref=HRER2-2


Titolo: LIANA MILELLA Cantone, la foglia di fico del Pd
Inserito da: Admin - Dicembre 22, 2014, 06:01:48 pm
22
dic
2014

Cantone, la foglia di fico del Pd
Liana MILELLA

"Noi abbiamo nominato Cantone". Detto uno, dieci, cinquanta volte. Da Renzi e da quelli del Pd. Come presunto tagliando ormai fatto nella lotta alla corruzione. Eh no, miei cari, Cantone non basta. Lui è bravo. Con quel piglio simpatico che non guasta. Una macchina macina lavoro, a guardare gli interventi  fatti dalla sua Authority in poco tempo. Ma Cantone davvero non è sufficiente. Soprattutto non può essere la foglia di fico per coprire tutto il resto che si sarebbe dovuto fare sulla corruzione, e invece non si è ancora fatto. Si è annunciato certo, ma non si è fatto. Questo è un dato incontestabile, e bene fanno i magistrati a parlarne e a criticare il governo e la debolezza delle iniziative (checché ne dica Renzi che li invita a tacere proprio come faceva Berlusconi). E chissà quanto ci vorrà per farlo, supposto che si faccia in tempo e non si vada a votare prima. Una legge seria per alzare le pene della corruzione in modo da farne un vero deterrente per chi delinque. Una prescrizione bloccata almeno con il rinvio a giudizio. Il falso in bilancio punito con 5 anni. Interventi di cui si parla da anni, e sui quali si sono già persi mesi di tempo. Alcuni disegni di legge ci sono, ma sono insufficienti. E i tempi parlamentari sono biblici. Allora si dica la verità, e non ci si copra dietro Cantone.

Da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2014/12/22/cantone-la-foglia-di-fico-del-pd/?ref=HREC1-3


Titolo: LIANA MILELLA Berlusconi potrebbe beneficiare della depenalizzazione.
Inserito da: Admin - Gennaio 05, 2015, 05:03:41 pm
Il giallo del salva-Silvio nella riforma del fisco: sarà libero di candidarsi. Renzi: "Pronto a cambiare"

Berlusconi potrebbe beneficiare della depenalizzazione. Il premier: non è vero, è condannato in via definitiva

Di LIANA MILELLA
04 gennaio 2015
   
Il giallo del salva-Silvio nella riforma del fisco: sarà libero di candidarsi. Renzi: "Pronto a cambiare"
ROMA - Il 24 dicembre, quasi fosse un regalo di Natale, il consiglio dei ministri ha approvato un decreto legislativo sui rapporti tra fisco e contribuente che, se dovesse restare così com'è adesso, consentirebbe a Berlusconi di cambiare il suo destino giudiziario. Cancellando la condanna a 4 anni nel processo Mediaset. Una norma "super salva Silvio". Di cui però Renzi dice: "A me non risulta affatto che sia così. Non mi pare realistico che una nuova legge possa cancellare una condanna passata in giudicato. Ma se davvero dovesse essere possibile sono pronto a bloccare la legge e a cambiarla".

C'è il giallo e lo scontro politico tra ministero dell'Economia e palazzo Chigi e si dividono anche gli avvocati di Berlusconi. Per Franco Coppi "la legge si può ben applicare a Berlusconi". Invece Nicolò Ghedini la pensa all'opposto. Se la norma è com'è stata pubblicata sul sito del governo, la conseguenza pare scontata: se si facesse il processo adesso il reato di Berlusconi non esisterebbe più. Quindi può fare un "incidente di esecuzione". Quindi può cadere la sentenza e con lei anche l'interdizione dai pubblici uffici. Ovviamente, se cade la sentenza, cade anche l'esclusione dalle candidature della legge Severino, che è solo una conseguenza della condanna.

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Titolo: LIANA MILELLA Intercettazioni, spunta il bavaglio nella riforma della ...
Inserito da: Admin - Gennaio 31, 2015, 04:56:16 pm
Intercettazioni, spunta il bavaglio nella riforma della diffamazione

Emendamento di Ncd alla legge in discussione in commissione Giustizia. Si vuole limitare l'uso sia per pm che giornalisti

Di LIANA MILELLA
27 gennaio 2015
   
ROMA - Migliora un po' la legge sulla diffamazione, anche se dentro potrebbero finirci, perché tentano di infilarcele Ncd e M5S, una stretta sulle intercettazioni, una norma anti-D'Addario e filo De Girolamo, e perfino una filo Grillo. Molte sorprese in un corposo fascicolo di emendamenti, scaduti ieri in commissione Giustizia a Montecitorio, che conta quasi cento pagine. Il Pd si dà da fare per togliere il peggio quanto a rettifiche (più tempo e spazio ad hoc), multe (calano), diritto all'oblio (viene cancellato), ma l'occasione è troppo ghiotta per non tentare qualche colpo di mano.

La campagna contro la legge sulla diffamazione
Ecco le tre sorprese. Ncd rilancia il leit motiv caro ad Alfano, ma anche a Berlusconi, sulle intercettazioni. Per "garantire la riservatezza" delle telefonate registrate bisogna agire "sulle modalità di utilizzazione cautelare" e va data "una precisa scansione procedimentale all'udienza di selezione ". Presa di peso dal ddl Orlando sulla riforma del codice penale, la contorta espressione significa che pm e giornalisti non saranno più liberi di usare gli ascolti. Proposta di Alessandro Pagano, di certo condiviso dal sottosegretario alla Giustizia Enrico Costa.

Seconda sorpresa. Ancora Pagano. Pure stavolta un repechage. Ai tempi dell'ex premier la norma fu proposta per bloccare le registrazioni a palazzo Grazioli di Patrizia D'Addario, ora potrebbe servire alla capogruppo Ncd Nunzia De Girolamo per via dell'inchiesta sulla Asl di Benevento. Prevede il carcere da 6 mesi a 4 anni per chi "fraudolentemente effettua riprese o registrazioni di comunicazioni a cui partecipa o svolte in sua presenza".

Terza sorpresa, firmata dall'M5S Andrea Colletti: "L'articolo 278 del codice penale è abrogato". Che dice il 278? "Chiunque offende l'onore o il prestigio del presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a 5 anni". Maxi sanatoria quindi per tutte le volte che Grillo se l'è presa con Napolitano. Come norma più favorevole si applicherebbe anche la passato. M5S insiste anche per "la pubblicazione integrale degli atti non più segreti ".

È da vedere se questi tre emendamenti supereranno le rigide maglie dell'ammissibilità, visto che poco c'entrano con una legge sulla diffamazione che, come primo obiettivo, si pone quello di abolire il carcere per i giornalisti. Fino a ieri il prezzo che la categoria -  tutta, indistintamente, su qualsiasi mezzo d'informazione cartaceo, televisivo o via web -  rischiava di pagare era molto alto. Adesso il danno potrebbe attenuarsi. Le modifiche ci sono, del Pd, di Sel, di M5S, ma è ancora presto per dire quali passeranno. Vediamo le principali. A cominciare dalla proposta di abrogare il cosiddetto diritto all'oblio (emendamenti simili di Pd, Sel, M5S) che avrebbe imposto la cancellazione di migliaia di notizie sulle testate web.

Il commento: Renzi non puo' firmare una legge che fa male alla stampa

Ma c'è molto altro. Per esempio sull'entità delle multe e sulle rettifiche. Molte modifiche sono firmate dal responsabile Giustizia del Pd, il renziano David Ermini, e questo le fa pesare più di altre. La multa fino a 10mila euro per la diffamazione semplice si dimezza. Quella per la diffamazione consapevolmente falsa arretra da 50mila a 30mila euro. Lo stesso Pd (Marzano) e Sel (Farina) propongono anche una multa dimensionata "in base al reddito e al patrimonio".

Le rettifiche, previste "senza commento, senza risposta, senza titolo" dal Senato, cambieranno. Il Pd (Ermini e Vazio) propone rettifiche "senza inserire nel testo commenti o risposte", il che significa che la rettifica non deve essere manipolata al suo interno, ma può essere seguita da una chiosa. In più, gli stessi autori, lanciano l'idea di uno spazio ad hoc solo per le rettifiche. Per "la stampa non periodica" propongono un tempo maggiore, 15 giorni, per pubblicare la smentita su un quotidiano anche online. Il direttore risponderà solo in caso di culpa in vigilando.

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Titolo: LIANA MILELLA Il Pd si divide sull’anticorruzione Orlando convoca un vertice...
Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2015, 10:58:21 am
Il Pd si divide sull’anticorruzione
Orlando convoca un vertice per oggi.
Ncd per la linea soft su prescrizione, falso in bilancio.
L’Authority anti mazzette insiste: “Serve una corsia preferenziale per il ddl Grasso”


Di LIANA MILELLA
05 febbraio 2015

ROMA. Raffaele Cantone insiste, "serve una corsia preferenziale sul ddl anti-corruzione", ma sono parole al vento. L'ha detto tante volte da quando è al vertice dell'Authority, lo ha ripetuto ieri, giusto mentre al Senato andava in scena l'ennesimo scontro nella maggioranza (Pd diviso, Ncd più con Forza Italia che con l'alleato di governo), foriero di un nuovo rinvio. Succede da due anni, è accaduto pure ieri. Oggi il Guardasigilli Andrea Orlando cercherà di metterci una pezza. Di buon mattino riunisce al Senato i responsabili Giustizia, i presidenti delle commissioni Giustizia, i capigruppo dei partiti. Insomma, il solito parterre.

E pure il solito diverbio su prescrizione, falso in bilancio, pene più dure contro la corruzione, un'unica figura di reato per la concussione cancellando la legge Severino, adesso anche la gola profonda per la corruzione, quelle operazioni sotto copertura che Pd e M5S teorizzano, ma che Ncd rifiuta. È un film già visto. Appena eletto senatore del Pd Piero Grasso presentò il suo ddl anti-corruzione, l'unico atto da parlamentare prima di diventare presidente del Senato. Ma quel testo ha avuto vita difficile. Soprattutto perché il governo ha voluto firmare la "sua" legge. Ancora oggi se ne lamenta il Pd Felice Casson: "A giugno 2014 stavamo per votare, ma venne in commissione il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, ci chiese 30 giorni di tempo per attendere il testo del governo... Siamo ancora qui ad aspettare...".

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Titolo: LIANA MILELLA Pene più severe per ladri e rapinatori
Inserito da: Admin - Marzo 16, 2015, 11:39:26 pm
Pene più severe per ladri e rapinatori

Il ministro Orlando: da due a sei anni per chi svaligia gli appartamenti, da quattro a dieci per gli assalti armati Emendamento alla riforma del processo penale.
Tra gli obiettivi c’è il blocco dei benefici a chi viene condannato

Di LIANA MILELLA
12 marzo 2015

ROMA - Blitz del governo contro furti in casa e rapine. Le statistiche rivelano che i due reati crescono esponenzialmente e il Guardasigilli Orlando e il suo vice Costa sposano la linea “cattivista”. Per una volta, sulla giustizia, sono d’accordo Pd e Ncd dopo le tante spaccature di questi giorni su anti-corruzione e falso in bilancio.

La notizia trapelata da via Arenula è che sta per essere depositato alla Camera un emendamento, da inserire nel testo sulla riforma del processo penale, per innalzare il tetto della pena per i furti in appartamento, che verrebbero puniti con un minimo di 2 anni e un massimo di 8 anni, a fronte dell’attuale forbice di uno-sei anni. Di pari passo cresce anche la pena per le rapine, dove però aumenta solo il minimo che passa da 3 a 4 anni, mentre resta fermo il massimo di 10 anni. Il gioco degli aumenti bloccherà non solo i benefici condizionali, ma anche il bilanciamento delle circostanze aggravanti e attenuanti.

Raccontano i collaboratori del ministro che Orlando è letteralmente saltato sulla sedia quando ha letto gli ultimi dati del Censis. Numeri che innanzitutto documentano la spaventosa frequenza dei furti, una casa svaligiata ogni due minuti, ma anche l’aumento esponenziale con il raddoppio dei furti in dieci anni. Erano 110.887 nel 2004, ma già nel 2013 erano saliti a 251.422. Ben il 127% in più. Nello stesso periodo sono calati invece gli omicidi (-29,7%).

Nel 2013 ben 15.263 persone denunciate per furti in casa, +139,6% sul 2004. Andrea Orlando e il vice ministro Enrico Costa ne parlano, ragionano su che fare e in che tempi, decidono che "bisogna agire subito". Nasce così l’idea dell’emendamento da collocare nel ddl sul processo penale, da cui Orlando non ha voluto tirar via la delega sulla riforma delle intercettazioni e in cui adesso mette un aumento di pena che può “trascinare” l’intero provvedimento per l’ovvio interesse trasversale che tutti hanno rispetto a due reati, furti in casa e rapine, odiati dalla gente che vedono violata la propria privacy. Gli aumenti di pena, come spiega Costa, "sono soprattutto funzionali a interrompere la spirale degli sconti, dal bilanciamento tra aggravanti e attenuanti, alla sospensione condizionale. Ma è ovvio che conta anche il segnale sia politico che concreto contro gli autori di furti e rapine".

C’è anche un’altra coincidenza, anche questa da tenere ben presente. Con questi aumenti il governo si “copre” prima di essere ancora attaccato da chi, come la Lega, lo accusa di avere la mano troppo morbida nei confronti della criminalità di strada. Non è certo un caso che la notizia esca proprio in coincidenza con il lasciapassare definitivo, nel consiglio dei ministri di oggi, del provvedimento sulla tenuità del fatto, una delega al governo che consente di evitare il processo per i reati bagattellari, però puniti da 1 a 5 anni. Un tetto molto alto, nel quale ovviamente già adesso non rientrano furti e rapine, ma che è già costato al governo molte polemiche. Hanno protestato le donne vittime di violenza e le associazioni animaliste. Orlando ha rassicurato tutti ricordando che il giudice, per poter evitare il processo, deve avere il consenso delle vittime. Questo esclude sia le donne violentate che gli animali maltrattati. Tuttavia il dubbio resta. Strategicamente, gli aumenti di pena per reati odiosi come furti e rapine vanno nella direzione opposta.

© Riproduzione riservata 12 marzo 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/03/12/news/pene_piu_severe_per_ladri_e_rapinatori-109320921/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_12-03-2015


Titolo: LIANA MILELLA Il giallo della norma sul caso De Luca.
Inserito da: Admin - Giugno 25, 2015, 10:21:20 am
Il giallo della norma sul caso De Luca.
Renzi chiede all'Avvocatura un parere prima di cambiare la Severino
Confronto su una legge ad hoc per salvare la Regione.
Era pronto un decreto, poi il premier si è fermato per un ulteriore approfondimento: "C'è uno spazio interpretativo da colmare"

LIANA MILELLA
24 giugno 2015

ROMA. Renzi sta per cambiare la legge Severino. Un decreto per il caso De Luca. Per sospendere il governatore della Campania solo dopo l'insediamento della giunta e quindi consentirgli di fare prima la scelta e la nomina del vice presidente che amministrerà al suo posto. Il premier stava per farlo già ieri sera, con un decreto legge che in bozza era pronto per essere approvato dal consiglio dei ministri, ma si è fermato per un ulteriore approfondimento. Per coprirsi le spalle, come dice chi contesta un decreto per De Luca e già parla, come fa l'avvocato Pellegrino, di «norma ad personam».

Proprio in vista delle prevedibili critiche il premier ha discusso durante il consiglio, ha sentito il parere di molti ministri, ha formalmente deciso che palazzo Chigi chiederà innanzitutto un parere al ministero dell'Interno e all'Avvocatura dello Stato. Per verificare compatibilità e conseguenze.

È molto probabile che il decreto possa essere approvato già venerdì. Sarà estremamente sintetico. Punterà ad affrontare e risolvere il caso specifico. Quello di un governatore che viene eletto, ma ha sulla testa una condanna in primo grado, per cui in base alle disposizioni della legge Severino sull'ineleggibilità e incandidabilità deve essere sospeso proprio dallo stesso presidente del Consiglio. Il quale non sceglierà in base a pareri divergenti, ma sulla base di una norma specifica. Dirà il decreto che la sospensione scatta solo dopo l'insediamento della giunta, perché se fosse firmata prima porterebbe, com'è stato ripetuto ieri a palazzo Chigi, a «una paralisi assoluta».

Racconta chi ha preso parte al consiglio dei ministri che il premier non ha nascosto una preoccupazione, quella che qualche magistrato possa contestargli un'omissione di atti di ufficio per non aver provveduto ancora, a molti giorni dall'elezione di De Luca, alla sua sospensione. La querelle giuridica è nota. Ma Renzi ne fa una questione politica, di cui para espressamente durante la riunione dell'esecutivo aprendo un dibattito con gli altri ministri presenti. «Che cosa succede se sospendo De Luca e questo porta alla paralisi assoluta?». Parlano nell'ordine il ministro dell'Interno Alfano, quello della Cultura Franceschini, degli Esteri Gentiloni e degli Affari regionali Delrio. Franceschini mette in guardia dal rischio tempi, perché il decreto dovrà essere convertito. Alfano critica esplicitamente la legge Severino e la norma che impone di sospendere chi è condannato in primo grado: «È inaccettabile. Basta vedere cos'è successo ad Agrigento dove il sindaco è stato sospeso, ma poi è stato assolto».

Il capitolo delle compatibilità tra legge Severino e norma costituzionale - l'articolo 45 che salvaguardia e garantisce gli eletti - viene affrontato da Del Rio, e a questo punto è inevitabile pensare a un rinvio, a un approfondimento. Il decreto è lì, è già pronto, potrebbe essere già approvato, ma il premier preferisce prevedere le critiche e poter contare su risposte pronte. Dice questo durante la conferenza stampa. Parla di «un provvedimento inedito», perché «la legge non prevede quando deve essere sospeso il presidente risultato eletto che non era nel suo incarico quando è stato colpito dalla legge Severino». C'è, per Renzi, «uno spazio interpretativo» da colmare. Per questo serviranno i pareri dei tecnici. Solo dopo si muoverà il governo. Per certo, dopo questo consiglio dei ministri, Renzi capirà quali sono le reazioni politiche alla sua mossa.

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24 giugno 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/06/24/news/il_giallo_della_norma_sul_caso_de_luca_renzi_va_sospeso-117557060/?ref=HREC1-5


Titolo: LIANA MILELLA Il governo contro furti e scippi: "Triplicate le pene minime"
Inserito da: Admin - Luglio 12, 2015, 11:23:40 am
Il governo contro furti e scippi: "Triplicate le pene minime"
Anche per le rapine aumentano gli anni di carcere: almeno 4 (invece dei tre attuali)

Di LIANA MILELLA

ROMA. Promessa. Garantita da indiscrezioni. Adesso messa su carta e in procinto di essere formalmente depositata alla Camera, in commissione Giustizia, dove si discute la riforma del processo penale. Sta per materializzarsi una forte stretta del governo su scippi, furti in casa e rapine. I reati più avvertiti dagli italiani, che minano la sicurezza della propria casa e la possibilità di muoversi liberi in strada. Per questo il governo ha elaborato aumenti di pena, mirati soprattutto a evitare che scippatori, ladri e rapinatori, una volta arrestati dalle polizie magari dopo fatiche investigative, vengano rimessi in libertà.

Per una volta sono d'accordo Pd e Ncd, tante volte in conflitto sulla giustizia, ma decisi in questo caso a sostenere insieme i cambiamenti. Vediamoli subito. Ecco come saranno modificate le pene per i reati di "furto in abitazione e furto con strappo ", ovvero l'articolo 624-bis del codice penale. Resta invariato il tetto di 6 anni della pena massima, ma la pena minima passa da un anno previsto oggi a ben 3 anni. È una modifica rilevantissima, perché ovviamente triplicare la portata della pena minima cambia la natura delle conseguenze penali del gesto criminale commesso. Ancora: se le caratteristiche del furto in casa o dello scippo sono aggravate da comportamenti violenti e dall'uso di armi la pena minima passa a 4 anni, mentre quella più elevata resta a 10 anni, com'è già oggi nel codice.

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08 luglio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/07/08/news/il_governo_contro_furti_e_scippi_triplicate_le_pene_minime_-118594077/?ref=HREC1-2


Titolo: LIANA MILELLA L'emergenza De Luca...
Inserito da: Admin - Luglio 12, 2015, 04:30:37 pm
27 giugno 2015
L'emergenza De Luca...

Liana MILELLA
A volte sono le coincidenze a svelare quanto vi sia di grottesco in un fatto. Nell'affaire De Luca c'è una contemporaneità su cui riflettere. Quella di un colloquio tra il premier Renzi e il ministro dell'Interno Alfano per decidere se fare o non fare il decreto per De Luca. È venerdì 26 giugno e il mondo è squassato dal terrorismo dell'Is. E di cosa parlano il presidente del Consiglio e il titolare del Viminale? Non della sicurezza dell'Italia e di cosa possono rischiare i nostri connazionali all'estero, ma di De Luca. Un signore che, se le leggi contano in questo Paese, dovrebbe star seduto nel salotto di casa sua e non certo cercare di sedersi invece sullo scranno di governatore della Campania. Il decreto legislativo Severino sulle liste pulite è un buon testo, osannato e votato da tutti quando fu approvato, che ovviamente non avrebbe mai potuto prevedere il singolare caso di un signore che, pur condannato, pur fuori da quella legge, non solo si è candidato alle primarie (e il Pd ha accettato che lo facesse), ma anche alle elezioni. Se mentre il terrorismo fa strage, l'emergenza italiana è De Luca, allora vuol dire che c'è qualcosa di profondamente malato nella nostra politica.

Da - http://milella.blogautore.repubblica.it/2015/06/27/lemergenza-de-luca/?ref=HREC1-10


Titolo: LIANA MILELLA Flick: "Inutile punire chi registra, vogliono colpire la stampa"
Inserito da: Admin - Agosto 06, 2015, 11:36:02 am
Flick: "Inutile punire chi registra, vogliono colpire la stampa"
L'intervista. L'ex guardasigilli stronca la norma Pagano

Di LIANA MILELLA
27 luglio 2015

ROMA - Punire le intercettazioni fraudolente? "Reato inutile perché già esiste". La riforma degli ascolti? "Andatevi a rileggere il mio ddl di 19 anni fa...". L'ex Guardasigilli ed ex presidente della Consulta, nonché famoso avvocato, Giovanni Maria Flick stronca la norma Pagano.

Carcere fino a 4 anni per intercettazioni abusive. È un reato che ha senso mettere nel codice?
"Ho molte perplessità. Il testo sembra voler punire chi diffonde le intercettazioni, non chi le fa. E questo mi pare un po' freudiano".

È lecito registrare il contenuto di una conversazione privata? E magari divulgarlo?
"Sì perché, come la Cassazione ha ripetuto ancora di recente, quando io parlo con una persona accetto il rischio che registri e diffonda ciò che ci siamo detti. L'articolo 15 della Costituzione considera inviolabili la libertà e segretezza della conversazione che, quindi, va difesa solo contro le intercettazioni di terzi, non contro l'uso che uno degli interlocutori faccia di quanto gli è stato detto".

Qui non stiamo parlando di giornalisti ma di comuni cittadini che parlano e uno dei due registra l'altro. Se ciò è lecito, che senso ha fare il nuovo reato?
"Non io, ma la Cassazione lo ripete. Non c'è differenza sostanziale tra il memorizzare nel cervello o il memorizzare su un taccuino o farlo su un registratore. Quando una notizia che il mio interlocutore mi ha dato spontaneamente nella nostra conversazione è entrata nel mio patrimonio cognitivo, posso farne quello che mi pare, proprio come posso farlo con una lettera a me indirizzata".

E il reato allora?
"I reati ci sono già, con dei limiti precisi: quando si invade la vita privata di una persona inserendosi nel suo domicilio, articolo 615 bis, o quando si prende cognizione illecitamente di una comunicazione o di una conversazione tra altre persone, articolo 617, che fa pendant col 616 che punisce chi prende cognizione o rivela il contenuto di una comunicazione a distanza non diretta a lui".

Se la maggioranza insiste che succede ai giornalisti?
"Quello che succede ai cittadini. Se l'intercettazione avviene in modo illecito in una conversazione di terze persone, il reato c'è già. Se partecipo alla conversazione posso registrare, che lo sappia o meno il mio interlocutore. Se offendo il suo diritto all'immagine, riprendendola contro il suo consenso, potrà reagire tutelando la propria immagine in sede civile. L'aggiunta di una sanzione penale ulteriore non riesco proprio a capirlo".

La politica vuole meno intercettazioni, nelle carte dei giudici e sui giornali. Se ne può uscire senza danneggiare stampa e indagini?
"Penso proprio di sì a tre condizioni: equilibrio e buon senso da parte di tutti; una riforma chiara ed applicabile che non persegua secondi fini nell'uno o nell'altro senso (ridurre drasticamente o al contrario allargare a dismisura le intercettazioni); riflettere su quello che 19 anni fa era stato proposto perché a me sembra ancora valido. Senza dimenticarsi mai che le intercettazioni servono al processo solo quando sono indispensabili; tutte le altre non sono giustificate e non devono andare in circolazione neppure per il controllo democratico".

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27 luglio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/07/27/news/flick_inutile_punire_chi_registra_vogliono_colpire_la_stampa_-119882539/?ref=HRER3-1


Titolo: LIANA MILELLA La Corte europea ci condanna: Mini-prescrizioni aiuto agli evasori
Inserito da: Arlecchino - Settembre 11, 2015, 11:34:23 am
La Corte europea ci condanna: "Mini-prescrizioni aiuto agli evasori"
Nelle truffe Iva i giudici dovranno disapplicare la normativa italiana La riforma bloccata in Senato

Di LIANA MILELLA
09 settembre 2015

ROMA - Brutta sorpresa per il governo sulla prescrizione. Ancora una volta l'Europa bacchetta l'Italia per colpa dei tempi di cancellazione dei reati troppo brevi. Dopo i ripetuti richiami dell'Ocse su una prescrizione corta che non consente di contrastare adeguatamente la corruzione, stavolta è la Corte di giustizia del Lussemburgo, su sollecitazione del tribunale di Cuneo, che per la prima volta invita addirittura i giudici italiani a "disapplicare" la legge ex Cirielli qualora essa "leda gli interessi finanziari della Ue". Legge del dicembre 2005, voluta da Berlusconi per via dei suoi processi, che ha ridotto della metà il tempo concesso ai magistrati per indagare e chiudere i dibattimenti.

Sul tavolo della Corte Ue le frodi carosello e gli acquisti di champagne di Ivo Taricco e di altri imputati avvenuti tra il 2005 e il 2009 aggirando il pagamento dell'Iva, reati in parte già prescritti o in corsa verso l'ultimo termine del 2018. Un caso di denegata giustizia che ha spinto i giudici italiani a chiedere alla Corte se il nostro diritto non rischi di creare una nuova possibilità di esenzione dall'Iva, ovviamente non prevista dal diritto dell'Unione. Quesito che ha ottenuto risposta pienamente positiva in Lussemburgo visto che l'articolo 325 del Trattato sul funzionamento della Unione stabilisce che gli Stati membri debbano lottare con misure effettivamente dissuasive contro le attività illecite che ledono gli interessi della stessa Ue. Poiché il suo bilancio è finanziato anche dalle entrate dell'Iva, la sua mancata riscossione ne danneggia concretamente gli interessi. La decisione di Lussemburgo piomba sul braccio di ferro politico che, ormai da mesi, blocca la riforma, già di per sé soft, della prescrizione proposta dal governo Renzi, orologio fermo dopo la sentenza di primo grado, due anni per l'Appello e uno per la Cassazione, poi le lancette ripartono se il dibattimento non è finito. In sostanza tre anni in più per chiudere un processo. Ma il ddl è bloccato al Senato dopo il via libera della Camera, per via della rissa nella maggioranza tra il Pd e i centristi di Ncd.

Come più volte ha dichiarato il vice ministro della Giustizia, l'alfaniano Enrico Costa, il testo non passerà mai se la prescrizione per la corruzione dovesse restare quella proposta dalla Pd Donatella Ferranti, il massimo della pena più la metà. Nessun compromesso possibile. Inutili i numerosi incontri per tentare una mediazione. I magistrati, nel frattempo, hanno bocciato la riforma che, come ha detto più volte il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli, non risolve il problema, perché per ottenere un risultato la prescrizione andrebbe fermata dopo l'inizio dell'azione penale.

A complicare la partita politica c'è l'intreccio tra prescrizione e riforma delle intercettazioni. Anche qui Ncd alza il prezzo, chiede che tutti i casi di ingiusta detenzione portino a una denuncia disciplinare per le toghe. Il responsabile Giustizia del Pd David Ermini tenta di chiudere su entrambi i fronti: "La partita sulla prescrizione è durata anche troppo a lungo. Ma bisogna lavorare pure sui tempi dei processi". Quasi una mano tesa a Costa che si limita a una provocazione: "I processi lumaca generano prescrizioni. Le prescrizioni lunghe generano processi lumaca. I processi rapidi impediscono le prescrizioni". Una conferma che non esistono margini di possibile trattativa. Soprattutto perché la presidente della commissione Giustizia della Camera, la Pd Donatella Ferranti, non molla sulla prescrizione della corruzione. Definisce "un monito ultimativo" la decisione di Lussemburgo e chiede che "la riforma esca dal limbo parlamentare per diventare al più presto legge ". Ma Costa ribatte: "Se il testo resta così com'è al Senato Ncd vota contro".

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09 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/09/09/news/la_corte_europea_ci_condanna_mini-prescrizioni_aiuto_agli_evasori_-122486218/?ref=HREC1-1


Titolo: LIANA MILELLA Sul nuovo bavaglio è scontro alla Camera, oggi il sì alla legge
Inserito da: Arlecchino - Settembre 23, 2015, 04:15:15 pm
Sul nuovo bavaglio è scontro alla Camera, oggi il sì alla legge
Scomparsa l'udienza filtro, il governo limita ancora l'uso delle intercettazioni. Protesta M5S: no alla delega in bianco

Di LIANA MILELLA
22 settembre 2015

ROMA -  E siamo arrivati alla fine. Almeno del cammino a Montecitorio della riforma delle intercettazioni. Oggi si vota. Il Pd fa muro sulla delega, Ncd pure, sarà a favore Forza Italia perché è la legge che Berlusconi non è riuscito a fare. Decisamente contro i grillini, decisi a spendere oggi l'ora scarsa che resta dal contingentamento dei lavori. Domani ci sarà il voto complessivo sulla riforma del processo penale e lì, in diretta tv, M5S si toglierà qualche soddisfazione mediatica. Ma il "come" e il "che cosa" è al momento top secret.

Un fatto è certo. Non è destinata a placare gli animi l'ultima trovata del Pd per cambiare il testo della delega. Finisce nel cestino la famosa "udienza stralcio" o "udienza filtro" che dir si voglia. Doveva essere il momento in cui le parti - il giudice, gli avvocati - decidevano le intercettazioni effettivamente rilevanti da portare al processo, innanzitutto depositandole. Quindi rendendole pubbliche. Quindi pubblicabili. Ma il Pd, all'improvviso, ci ripensa. Si rende conto, come dice una fonte importante al loro interno, "che l'effetto potrebbe essere controproducente, soprattutto se il processo riguarda non uno, ma decine e decine di imputati".

La preoccupazione è evidente: se l'intero pacchetto delle sbobinature finisce in mano a tante persone, il rischio di veder pubblicate anche quelle che si vorrebbero considerare riservate aumenta a dismisura. Ragiona una fonte governativa: "Mettere l'udienza filtro nella delega significa creare un automatismo. Poi saremo costretti a farci i conti. Invece è preferibile avere più margine di flessibilità".

A questo punto la formula diventa generica. Nel testo si parlerà di una "scansione processuale per selezionare il materiale intercettativo ". La relatrice del ddl, la presidente Pd della commissione Giustizia Donatella Ferranti, la rivendica come "una mia idea", ne parla come di una correzione che evita l'equivoco di un'udienza stralcio che, per esempio prima degli arresti, non si può fare. David Ermini, il responsabile Giustizia del Pd, minimizza: "Il governo si assume la libertà di scegliere se fare o no l'udienza a seconda dello stato del processo". Il vice Guardasigilli Enrico Costa manda giù il boccone, ma è chiaro che lo considera indigesto: "Basta che non si sacrifichi il contraddittorio tra le parti, perché sulle intercettazioni non può scegliere solo il giudice ". Vittorio Ferraresi, capogruppo M5S in commissione Giustizia, taglia corto: "Il governo è libero di agire come vuole, ma per noi resta un bavaglio, contenuto in una legge piena di norme pessime".

Il bavaglio. Già, il vero obiettivo, anche se il Guardasigilli Andrea Orlando promette di dar vita in pochi giorni a una commissione con magistrati e giuristi. Tuttavia la delega è chiara su tre punti. Il primo: "Prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni". Significa che il governo dovrà scrivere una norma per dire ai magistrati di utilizzare il meno possibile le intercettazioni nelle motivazioni degli arresti. Il secondo punto: ci sarà "una precisa scansione processuale per selezionare il materiale intercettativo".

L'obiettivo del governo è ridurre anche il numero degli ascolti depositati per gli avvocati. Il terzo punto: garantire che non escano più le conversazioni degli imputati con gli avvocati e quelle di chi, per caso, viene in contatto con l'imputato. Nella delega non è previsto, ma una legge così dovrà comportare anche multe salate per chi pubblica. Il carcere, quello sì, resta per le registrazioni abusive.
 
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22 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/09/22/news/sul_nuovo_bavaglio_e_scontro_alla_camera_oggi_il_si_alla_legge-123397855/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_22-09-2015


Titolo: LIANA MILELLA Scontro Pd-Ncd: a rischio la nuova prescrizione anti-corruzione
Inserito da: Arlecchino - Settembre 28, 2015, 07:36:35 pm
Scontro Pd-Ncd: a rischio la nuova prescrizione anti-corruzione
I centristi voteranno contro il testo che allunga i termini dei processi

Di LIANA MILELLA
28 settembre 2015

ROMA - Prescrizione lunga addio. Niente bonus di tre anni dopo la sentenza di primo grado e soprattutto nessun aumento per i reati di corruzione. Gli alfaniani, che stanno tenendo in scacco il Pd dal 24 marzo, quando il ddl del governo è passato faticosamente alla Camera, dopo mesi di trattative, adesso puntano i piedi e fanno saltare il banco. "A Montecitorio i numeri sono quelli che sono, e il testo è passato, ma a palazzo Madama invece..." dice Nico D'Ascola, senatore di Ncd e aspirante presidente della commissione Giustizia al posto del forzista Nitto Palma. Lo scontro di marzo se lo ricordano tutti, una lite epocale tra il Guardasigilli Andrea Orlando, il suo vice ministro Enrico Costa, la presidente Pd della commissione Giustizia Donatella Ferranti. Litigarono sulla prescrizione della corruzione, che Ferranti ha portato al massimo della pena più la metà (adesso è il massimo più un quarto). Ncd per tutta risposta si astenne, ma adesso è ben intenzionato a votare contro.

Ieri, a Sorrento, dove si svolgeva una summer school dei centristi con Alfano, Lupi, Quagliariello, aspettavano Orlando per affrontare la questione. Lui non c'è andato e loro, sia Costa che D'Ascola, hanno sparato a zero. "Una prescrizione più lunga di tre anni significa solo processi più lunghi" ha arringato Costa diretto alla platea. Idem D'Ascola: "Con i tre anni in più salta la ragionevole durata del processo, viene meno il rispetto dell'articolo 111 sul giusto processo. Non possiamo accettare. Allora tanto vale fare a meno della prescrizione, pur di garantire un processo rapido. Abbiamo sempre detto che i processi sono troppo lunghi, adesso non possiamo allungarli ancora di più. E poi basta guardare i dati di via Arenula per rendersi conto che un allarme prescrizione non esiste".

I voti di Ncd al Senato sono determinanti e il partito di Alfano può permettersi di fare la voce grossa. Da marzo ad oggi D'Ascola si è incontrato decine di volte con David Ermini, il responsabile Giustizia del Pd, un renziano doc, ma non c'è stato verso di raggiungere un accordo. Muro altissimo di Ncd che non vuole contemporaneamente sia lo stop di tre anni (2 per l'appello e uno per la Cassazione) che l'aumento per la corruzione. "O l'uno o l'altro, tutte e due le cose insieme sono inaccettabili, mettano pure la corruzione prescrittibile in 25 anni, ma allora i tre anni per tutti gli altri reati saltano" avrebbe ripetuto Costa ad Alfano e Lupi.

Un ricatto bello e buono, che rischia di far saltare una legge già debole, che di certo non cancella la famosa ex Cirielli approvata da Berlusconi nel dicembre 2005 per salvarsi dai suoi processi e che decisamente non piace ai magistrati. L'Anm l'ha attaccata in tutte le sedi, proponendo una soluzione molto più razionale, peraltro seguita in altri Paesi: l'orologio della prescrizione si ferma all'atto del rinvio a giudizio, quando lo Stato ha concretizzato la sua volontà di perseguire il reato. Il Guardasigilli Orlando gli ha contrapposto la soluzione invisa a Ncd, tre anni di bonus per fare i processi, con la prescrizione ferma dopo la sentenza di primo grado. L'emergenza corruzione ha imposto, in corso d'opera, di allungare almeno i termini previsti per questo reato. Un emendamento di Donatella Ferranti ha aumentato i termini mettendoli nell'articolo del codice penale, il 157, che regola la prescrizione e dove ci sono già gli altri reati che ne abbisognano di una più lunga, come quelli gravi e quelli a sfondo sessuale.

L'8 settembre la Corte di giustizia del Lussemburgo ha bocciato l'Italia proprio per via della prescrizione troppo corta che impedisce di punire in tempo le frodi e ha invitato i giudici a disapplicare la legge. La Cassazione lo ha già fatto. Poteva essere l'occasione giusta per accelerare, invece ecco la frenata di Ncd.
 
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28 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/09/28/news/scontro_pd-ncd_a_rischio_la_nuova_prescrizione_anti-corruzione-123827059/?ref=HREC1-16


Titolo: LIANA MILELLA Fumata bianca per la Consulta, eletti tre giudici con asse Pd-M5S.
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 17, 2015, 07:12:55 pm
Fumata bianca per la Consulta, eletti tre giudici con asse Pd-M5s.
I dem tagliano fuori Fi
Gli eletti sono Barbera (Pd), Modugno (5Stelle), Prosperetti (area popolare). Fi non ha partecipato al voto. Berlusconi: "Grave che alla Consulta non ci sia giudice di centrodestra". M5s: "Ha vinto il metodo". Boldrini e Grasso: "Soddisfatti"

Di LIANA MILELLA
16 dicembre 2015

ROMA - Chiuso l'accordo sui giudici costituzionali, con l'asse Pd-Cinque Stelle. E per la Consulta arriva la fumata bianca. Dopo 31 sedute andate a vuoto. Eletti i tre giudici: Barbera, Modugno e Prosperetti. Modugno - il più votato - ha avuto 609 preferenze, Barbera 581, Prosperetti 585. Il quorum richiesto era di 571 voti, pari ai due terzi degli aventi diritto. Ai nomi di Augusto Barbera, espresso dal Pd, e di Franco Modugno, votato dalla rete dei 5Stelle, si è aggiunto oggi Giulio Prosperetti, classe 1946, professore all'Università di Tor Vergata di diritto della sicurezza sociale. In passato è stato assistente di diritto costituzionale con Leopoldo Elia e di diritto del lavoro con Gino Giugni. Il nome, che circolava già ieri sera, raccoglie i consensi della galassia centrista, da Area Popolare (Ncd con Udc), a Scelta civica, ai Popolari per l'Italia.

La protesta di Berlusconi.  Ira di Forza Italia, esclusa dall'intesa. I parlamentari azzurri non hanno partecipato al voto. "È molto grave che la Corte Costituzionale non abbia neppure un giudice al suo interno che appartenga al centrodestra. È una cosa molto, molto grave", ha detto Silvio Berlusconi alla presentazione del libro di Vespa. Ma l'accusa può anche essere ritorcersi contro FI. Infatti dal giugno 2014 il partito di Berlusconi non è riuscito ad esprimere un candidato che sostituisse Luigi Mazzella, a suo tempo indicato da Fi. A causa delle divisioni interne gli azzurri hanno "bruciato" vari candidati prima di Sisto (Donato Bruno, Antonio Catricalà, Francesco Caramazza, Maria Elena Sandulli e Stefania Bariatti) anche quando il Patto del Nazareno era vivo e vegeto.

Giorgia Meloni si scaglia contro i Cinque Stelle: "Oggi è il giorno in cui i grillini bloccano, di fatto, la mozione di sfiducia del centrodestra all'intero Governo per imporre quella individuale, alla Boschi. Cioè la Boschi si può sfiduciare ma Renzi no. Che nell'accordo non ci fossero solo i nomi per la Consulta? Che finaccia i duri e puri cinquestelle...", scrive su Facebook. Il Movimento intanto esulta: "Ha vinto il metodo".

Determinante, per l'esito della votazione di stasera è stato il parere dei Cinque Stelle: sia i deputati che i senatori - al termine della loro assemblea - si sono espressi a favore della terna. Già stamattina Renzi aveva annunciato che la partita della Corte stava per chiudersi dopo una "figura

di m...". L'ok all'accordo, a quanto si apprende da fonti dem, è arrivato anche per il comportamento tenuto oggi in Aula dal capogruppo Fi Renato Brunetta. Insomma, lo scontro con il numero uno dei deputati azzurri potrebbe aver contribuito alla svolta e all'asse con i pentastellati.

Annullare ogni missione per partecipare alla "votazione decisiva": è la richiesta arrivata, attraverso un sms, dai vertici parlamentari del Pd a deputati e senatori.

Dai presidenti di Camera e Senato - Boldrini e Grasso - che avevano minacciato sedute a oltranza, arriva una nota: "L'elezione dei nuovi giudici della Corte Costituzionale è motivo di profonda soddisfazione. A loro vanno i nostri più sentiti auguri di buon lavoro". La partita della Consulta è chiusa. Ora resta da capire come inciderà - questa giornata - sugli equilibri politici.

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16 dicembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/12/16/news/consulta_boldrini_ottimista-129591496/?ref=HRER1-1


Titolo: LIANA MILELLA Cantone accusa Roma: dagli asili alle strade, ecco tutti gli ...
Inserito da: Arlecchino - Marzo 16, 2016, 04:41:44 pm
Cantone accusa Roma: dagli asili alle strade, ecco tutti gli appalti illegali
Il documento dell'Anac approvato la scorsa settimana denuncia un metodo "sistematicamente" irregolare negli anni 2012-2014


Di LIANA MILELLA
15 marzo 2016

ROMA - Dalla manutenzione delle strade ai servizi per i disabili, dagli ospizi agli affitti delle case, dalla macellazione della carne alla tutela del verde pubblico, dall'acquisto di nuovi software alla gestione dei canili. Non c'è un solo capitolo in cui Roma Capitale, il grande Comune di Roma prima gestito da Alemanno e poi da Marino, abbia rispettato le regole della buona amministrazione. Raffaele Cantone, il presidente dell'Autorità anticorruzione, non ha dubbi. Ha firmato il 10 marzo l'ultimo capitolo della sua lunga ispezione su Roma, che copre gli anni dal 2012 al 2014 e attraversa le giunte degli ultimi due sindaci di destra e di sinistra, e chiude con un giudizio pesantissimo.

"L'indagine - scrive Cantone - ha rivelato la sistematica e diffusa violazione delle norme. Ha palesato il ricorso generalizzato e indiscriminato a procedure prive di evidenza pubblica, con il conseguente incremento di possibili fenomeni distorsivi che agevolano il radicarsi di prassi corruttive". Inutilmente Roma Capitale, con i suoi numerosi dipartimenti, ha cercato di difendersi inviando a Cantone, dopo il primo rapporto del settembre 2015, altrettanti dossier "a difesa". Che però non intaccano l'analisi dell'Autorità anticorruzione. Il rapporto di 15 pagine conferma le indagini della procura di Roma su Mafia Capitale e sul malaffare come prassi abituale di comportamento ed è stato inviato sia alla procura che alla Corte dei conti.

Contro la Costituzione. Proprio così. Cantone lo scrive nell'ultima pagina. "La gestione delle attività contrattuali di Roma Capitale, nei suoi molteplici aspetti e modalità, non è conforme ai principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione sanciti dall'articolo 97 della Costituzione". Le conseguenze sono inquietanti. Il rapporto dell'Anac le elenca: "Si riscontrano ricadute negative sulla qualità delle prestazioni e sull'incremento dei costi, nonché sulla lesione della concorrenza, come effetto della sottrazione alle regole di competitività del mercato di una cospicua quota di appalti, affidati per la maggior parte senza gara".

I diciotto rilievi. Cantone conferma, punto per punto, i rilievi che aveva sottoscritto contro la gestione di Roma Capitale nell'ottobre scorso. A nulla sono valsi, come vedremo, i tentativi del Comune di dimostrare che ha le carte in regola. Resta il pesantissimo elenco di omissioni con cui la prossima amministrazione dovrà fare i conti. Ecco il vizio principale, il ricorso "facile" alla cosiddetta "procedura negoziata", che è il contrario di una gara pubblica a cui tutti possono partecipare. Qui invece si invita un numero limitato di imprese, con cui "si negozia" l'appalto. Ma, secondo Cantone, c'è un difetto di origine, perché ci sono "carenza o difetto di motivazione dei presupposti" per ricorrere a questo tipo di procedura. Non basta. C'è "il ricorso sistematico ad affidamenti allo stesso soggetto", ci sono "le proroghe", anch'esse ingiustificate e non motivate. C'è "l'improprio frazionamento degli appalti". Ci sono "le varianti non motivate". Le imprese invitate sono sempre le stesse, manca "l'obbligatoria rotazione". E come se non bastasse "non sono sufficienti neppure i requisiti".

Ognuno ha il suo sistema. Cantone ha esaminato, nella prima fase dell'indagine, 1.850 procedure negoziate, il 10% del totale. Nella seconda fase ne ha messe a fuoco 36, tra appalti, lavori in economia, cottimi fiduciari, affidamenti a cooperative. Ha confermato "i rilevanti profili di criticità nei comportamenti delle strutture gestionali di Roma Capitale". Ha scoperto, non senza sorpresa, che nel Comune di Roma "ciascun dipartimento ha sistemi informativi diversi", che quindi non si parlano tra di loro. Per di più l'Ufficio contratti, incardinato presso il Segretariato generale, "è dotato di un sistema centralizzato esclusivamente per le gare ad evidenza pubblica". Tutte le altre, di conseguenza, sfuggono in mille rivoli incontrollabili.

Il boom delle Coop. L'indagine dell'Anac rivela che, soprattutto per le cooperative che operano nel sociale, nel triennio 2012-2014 "c'è stato un esorbitante numero di affidamenti di cospicuo valore economico avvenuti in gran parte in forma diretta, a conferma del mancato rispetto dei principi basilari di concorrenza, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità".

L'innovazione tecnologica. Il Dipartimento si difende dalle accuse di Cantone, scrive di "5 gare annullate", di proroghe obbligate "per la mancanza di personale", di imprese scelte senza nuove verifiche (per il Sistema informativo di riscossione e per la Gestione del Sistema Dorado 380) perché già state fatte in precedenza. Ma Cantone ribatte che ciò dimostra "l'omesso controllo dei requisiti sia generali che speciali".

Disabili senza controlli. Sui 2milioni di euro per l'affidamento del servizio per i disabili Cantone ribadisce "l'uso improprio della procedura negoziata", "violazioni della pubblicazione della gara", un avviso di gara troppo ristretto, Nota che anche l'Atac, quando aveva gestito il servizio, non lo aveva fatto correttamente e si era rivolto a terzi senza avvisare il Dipartimento.

Case ad anziani e rom. Anomalie anche in questo settore, con la beffa che il Dipartimento politiche sociali e abitative, a Cantone che critica l'assenza dei controlli, fa notare come "per immigrati e rom non vi siano regolamentazioni specifiche". Quindi perché rispettarle?

Strade, canili e software. Cantone annuncia che il suo occhio si allargherà anche alla (contestata) gestione dei canili di Roma. Si stupisce che il Dipartimento Tutela ambientale vanti, come una novità, l'acquisto solo adesso di un software per monitorare gli appalti. Critica la proroga per gli affidatari della manutenzione stradale. Sul mondo della macellazione e della relativa conservazione a freddo critica il ricorso sempre alle stesse imprese.

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15 marzo 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/03/15/news/il_rapporto_dell_autorita_anticorruzione_il_documento_dell_anac_approvato_la_scorsa_settimana_denuncia_un_metodo_sistematic-135495071/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_15-03-2016


Titolo: LIANA MILELLA Prescrizione, ecco la mossa del governo. Tempi più lunghi ma ...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 15, 2016, 12:18:23 pm
Prescrizione, ecco la mossa del governo. Tempi più lunghi ma non per la corruzione
Il nuovo accordo per superare gli effetti della legge ex Cirielli, voluta da Berlusconi nel 2005, che ha accorciato i tempi dell'azione penale


Di LIANA MILELLA
15 aprile 2016

ROMA -  Il governo è pronto a giocare una doppia carta segreta per sbloccare l’impasse sulla prescrizione, quell’insieme di regole, fissate nella berlusconiana legge ex Cirielli del 2005, che portano alla morte certa dei processi, soprattutto quelli di corruzione, un reato difficile da scoprire che "brucia" subito i pochi anni disponibili. Come svela Repubblica, innanzitutto via dal testo - oggi al Senato dopo il sì della Camera il 23 settembre 2015 - il famoso, e assai divisivo, emendamento Ferranti che raddoppia i tempi di prescrizione per il solo reato di corruzione. Poi un’inversione del nuovo orologio della prescrizione. Stop dopo il primo grado, ma anziché dare 2 anni all’appello e 1 alla Cassazione, meglio fare il contrario, 1 all’appello e 2 alla Cassazione.

I DATI: Il boom delle prescrizioni, "cancellati" 132mila processi
 
TEMPI INVARIATI PER LA CORRUZIONE
Fu la presidente Pd della commissione Giustizia di Montecitorio Donatella Ferranti a volere una prescrizione più lunga per la corruzione, come risposta alle insistenti pressioni, anche dell’Europa, per i processi dei colletti bianchi italiani che arrivano a sentenza con molta difficoltà e spesso non ci arrivano proprio. Tant’è che proprio dalla giustizia Ue è giunto l’ordine di ignorare la prescrizione per i processi sulle frodi all’Iva che hanno un impatto europeo. Quindi un doppio binario, almeno per questi processi, già esiste.

Già alla Camera gli alfaniani del Nuovo centrodestra fecero fuoco e fiamme per bloccare l’emendamento Ferranti. Si astennero sul testo, strappando al Guardasigilli Andrea Orlando la promessa che quel passaggio sarebbe stato tolto al Senato. Enrico Costa, oggi ministro Ncd della Famiglia, ma fino a ieri vice ministro della Giustizia, ne ha fatto una sua battaglia personale, condivisa con l’attuale presidente della commissione Giustizia del Senato Nico D’Ascola. Infiniti, in questi mesi, i contatti tra D’Ascola e il responsabile Giustizia del Pd David Ermini. Alla fine il cedimento. Via la norma Ferranti, la corruzione verrà trattata come tutti gli altri reati, ai quali si concede, nei fatti e come vedremo, un mini aumento di tre anni. In pratica si torna al testo del governo, approvato il 29 agosto del 2014, che aveva piazzato la prescrizione all’interno del ddl monstre sul processo penale, oltre 30 articoli che spaziano dall’aumento delle pene minime per furti e scippi, al regolamento carcerario, alle nuove regole per accedere all’appello e alla Cassazione, alle intercettazioni.
 
DAL "2 PIU' 1" ALL’ "1 PIU' 2"
A questa novità ne segue una seconda. Anche questa condivisa dal Pd. Oggi il ddl Orlando dà ai processi tre anni di vita in più. È previsto che l’orologio si blocchi, ma solo temporaneamente, con la sentenza di primo grado. Al processo di appello sono concessi due anni in più, in cui in pratica le lancette si fermano. Un altro bonus di un anno si può spendere in Cassazione. Una proposta criticata subito dall’Anm che ha sempre parlato di un "pannicello caldo" optando, come tutti i più importanti magistrati in Italia tra cui lo stesso neo presidente del sindacato delle toghe Pier Camillo Davigo, per una soluzione ben più tranchant, quella di tanti Stati esteri. Definitivo stop alla prescrizione con il rinvio a giudizio, perché è giusto che il processo si svolga con serenità. Succede negli Usa, ma non solo.

Cosa sarebbe pronto a fare adesso il Pd? Un’inversione del "2 più 1" in un "1 più 2". In pratica: stop dopo la condanna in primo grado, un solo anno di prescrizione in più per l’appello e due anni per la Cassazione. Una soluzione che potrebbe svuotare ancora di più la legge, visto che i processi soffrono la scadenza della prescrizione soprattutto in fase d’appello, visto che in Italia ci sono 26 distretti a fronte di 146 sedi di tribunale e una sola Cassazione. Ma proprio alla Suprema corte sono i magistrati molto attenti alle scadenze della prescrizione, quindi i due anni in più concessi in quella fase sarebbero sprecati.
 
LE CRITICHE DELL’ANM
Come Davigo ha sostenuto in molte interviste sulla prescrizione, "la soluzione sarebbe un’altra, e cioè disincentivare i ricorsi in appello, visto che le statistiche italiane dimostrano che in pratica tutti i processi risultano appellati, mentre in Francia siamo fermi al 40%". Una soluzione sarebbe quella di eliminare il divieto della "reformatio in peius", oggi possibile solo se è stato il pm a impugnare la sentenza, utilizzandola come un forte disincentivo a presentare comunque appello, anche in assenza di motivi necessari. La paura di una condanna più pesante rispetto a quella incassata in primo grado rappresenterebbe già di per sé un forte disincentivo.
 
LE CONSEGUENZE POLITICHE
Le nuove proposte – via l’aumento ad hoc per la corruzione, inversione dell’orologio del bonus – rischiano di compromettere una partita già politicamente avvelenatissima. Potrebbe essere favorevole Ncd, ma si spaccherebbe il Pd. Sempre critiche le toghe. La partita si giocherà tutta al Senato, dove il ddl sul processo penale è affidato alle "cure" di due Pd, l’ex giudice istruttore Felice Casson e l’avvocato Giuseppe Cucca.  I tempi si preannunciano lunghi. Mercoledì prossimo finisce la discussione generale sui 40 articoli del governo e gli oltre 40 ddl allegati. Il testo base potrebbe essere pronto a fine mese. Almeno due settimane per gli emendamenti in commissione. Un tempo nel quale Pd e Ncd potranno continuare a farsi la guerra mentre i processi continuano ad andare in prescrizione.

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15 aprile 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/04/15/news/prescrizione_nuovo_accordo_per_allungare_tempi-137668822/?ref=HREC1-1


Titolo: LIANA MILELLA Legittima difesa, alla Camera è scontro sulla legge
Inserito da: Arlecchino - Aprile 21, 2016, 05:16:39 pm

Legittima difesa, alla Camera è scontro sulla legge
La proposta di Costa: se ci sono bambini, la reazione è giustificata. No di Ncd al progetto di legge del Pd. Al via la discussione. Lega sulle barricate

Di LIANA MILELLA
20 aprile 2016

ROMA - Legittima difesa,  giornata di duro scontro. In Parlamento, nella maggioranza, e pure in piazza. Alla Camera torna in discussione la legge. Il governo si divide. E davanti a Montecitorio, dalle 10 e 30, gli esponenti dell'Idv, che con i suoi tre parlamentari appoggia il governo Renzi, faranno propaganda alla loro legge di iniziativa popolare sulla legittima difesa che finora ha raccolto oltre 200mila firme. Un segnale di quanto il problema sia avvertito nel Paese. Una manifestazione cui però prenderà parte anche il ministro della Famiglia Enrico Costa, già vice della Giustizia, il cui partito, il Nuovo centrodestra, è intenzionato a chiedere al Pd che ci si fermi sulla riforma perché il testo non li convince. Lo stesso Costa ha chiesto, dopo l'ennesimo caso di cronaca sulla legittima difesa, che la presenza di bambini sul luogo di una rapina, e quindi la necessità di difenderli, sia di per sé considerata una ragione sufficiente per giustificare la legittima difesa stessa.
 
LA PROPOSTA DELLA LEGA
 Finisce così ai ferri corti tra i partiti del governo la querelle sulla norma - l'articolo 52 del codice penale - che dovrebbe consentire alla vittima di una rapina nella propria casa o nel proprio negozio di difendersi dall'aggressione o dalla concreta minaccia di morte senza temere poi di finire a sua volta indagata e imputata. Dall'opposizione la Lega, autrice della prima proposta di riforma con il capogruppo in commissione Giustizia Nicola Molteni, si batte per una norma più permissiva ed effettivamente difensiva nei confronti di chi spara per difendere se stesso e la sua famiglia. Si badi, non la sua proprietà. Deve esistere, secondo la Lega, "una presunzione assoluta di legittima difesa", per cui non esiste né aggressione né reato se la vittima difende la sua incolumità e il bene della vita. Solo in questo modo, per il partito di Salvini, si supera l'eccesso colposo di legittima difesa, oggi causa di molte polemiche e di processi.
 
LO SCONTRO NELLA MAGGIORANZA
 Ma il Pd ha già superato l'ipotesi Lega, con un testo proposto da Ermini e approvato in commissione Giustizia, quello che oggi dovrebbe andare al voto dell'aula. Un testo che non modifica l'articolo 52 del codice penale, ma il 59. E proprio qui sta lo scontro tra i partiti di governo, il Nuovo centrodestra del ministro dell'Interno Angelino Alfano e il Pd. Quella dei Dem, dice Ncd, sarebbe una soluzione "blanda, inadatta, che non risolve affatto il problema della legittima difesa". Tant'è che proprio oggi i centristi chiederanno a Montecitorio di non portare il testo in aula, ma di tornare in commissione Giustizia per un nuovo esame e modifiche sostanziali.
 
DOVE STA IL CONFINE DELLA DIFESA
 Basta leggere e incrociare il testo attuale dell'articolo 52, la proposta della Lega, e quella di David Ermini, di professione avvocato, per capire il centro della querelle. Dice l'attuale articolo 52: "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa". Un testo del genere, ovviamente, mette nelle mani del giudice la valutazione della difesa compiuta, sarà lui a stabilire se quella difesa era commisurata al pericolo, oppure se chi si è difeso ha esagerato, oppure addirittura ha aggredito l'aggressore quando costui aveva già regredito dall'azione criminale. Il tipico gesto della vittima che spara al ladro quando già sta scappando e lo colpisce alle spalle.
 
LA PROPOSTA DEL PD
 Questa valutazione, secondo la Lega, non deve più essere affidata al giudice, ma la legge deve già contenere delle indicazioni molto precise. Anche Ncd chiede garanzie simili, compresa quella sui minori presenti, che ovviamente fanno aumentare la necessità di una legittima difesa. Ma il Pd con Ermini è attestato su una frontiera differente, tant'è che la sua modifica non riguarda l'articolo 52, ma il 59 del codice penale che riguarda le "circostanze non conosciute o erroneamente supposte". Ermini scrive che, quando di mezzo c'è un caso di legittima difesa, "la colpa dell'agente è sempre esclusa se l'errore riferito alla situazione di pericolo e ai limiti imposti è conseguenza di un grave turbamento psichico ed è causato, volontariamente o colposamente, dalla persona contro cui è diretto il fatto".     
 
IL NO DI NCD
 Ma è proprio sul presunto "errore" che il partito di Alfano oggi punta i piedi e chiede di mandare all'aria il testo Ermini. Il ragionamento centrista è questo: "Non possiamo limitarci, su una questione particolarmente sentita da tante vittime, a fare una legge solo sui casi di errore. Noi dobbiamo disciplinare nella sua pienezza la legittima difesa e mettere al sicuro le vittime dicendo fin dove possono difendersi. Altrimenti avremo lavorato inutilmente".   

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20 aprile 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/04/20/news/scontro_parlamento_legittima_difesa-138013299/?ref=HREC1-3


Titolo: LIANA MILELLA Prescrizione: tre anni in più per chiudere i processi.
Inserito da: Arlecchino - Aprile 28, 2016, 06:04:24 pm
Prescrizione: tre anni in più per chiudere i processi.
Tempi sospesi dopo il primo grado
L'intervento punta a ridurre il numero di giudizi decaduti e quindi di reati impuniti a causa dei tempi troppo stretti.
In dieci anni ne sono stati prescritti un milione e mezzo

Di LIANA MILELLA
28 aprile 2016
   
ROMA. La prescrizione. Un brutto incubo per la magistratura. Adesso una scommessa per la politica. I dati stanno lì, inesorabili. Negli ultimi dieci anni si contano 1.468.220 processi andati al macero. "Morti". Cancellati dalla scadenza dei tempi della prescrizione. L'ultimo dato disponibile sul tavolo del Guardasigilli Andrea Orlando racconta che nel 2014 sono stati falcidiati 132.296 processi.

PARTIRE DAI DATI. Quando il governo Renzi si insedia e Orlando entra in via Arenula, le statistiche sono già lì, e parlano chiaro. Tant'è che Renzi, il 30 giugno del 2014, quando annuncia i 12 interventi chiave sulla giustizia, cita anche la prescrizione. Il 29 agosto, dopo una consultazione online estiva, il testo della nuova prescrizione è pronto. È contenuto all'interno del corposo ddl sul processo penale, in cui si riscrive la filosofia dei riti, Appello e Cassazione compresi. Dal quel giorno ci vorranno circa tre mesi per veder approdare il ddl penale - d'ora in avanti lo chiameremo così - in Parlamento.

I DUE BONUS. Cos'è la prescrizione? È il tempo massimo in cui un reato può essere perseguito dallo Stato. La legge Cirielli del dicembre 2005 ha accorciato questi tempi. Per ogni reato ha stabilito che la prescrizione si misura aggiungendo alla pena massima - 10 anni per la corruzione - un quarto, cioè 2 anni e mezzo. Prima della legge ad personam di Berlusconi la formula era il massimo della pena più la metà, 5 anni per la corruzione.

COSA CAMBIA. La soluzione di Orlando non cambia gli anni di prescrizione per ciascun reato. Ma modifica il percorso del processo. I termini si fermano quando i giudici pronunciano la sentenza di primo grado. Nella fase del processo di appello le toghe potranno godere di due anni in più rispetto alla naturale scadenza del reato. Un altro anno di bonus ci sarà per la Cassazione. Quindi la prescrizione "guadagna" tre anni. Con questa soluzione il reato di corruzione, da 12 anni e mezzo di prescrizione passa a 15 anni e mezzo.

IL BLITZ DI FERRANTI. La prescrizione è un "veleno" sordido per i processi? Per questo, all'inizio del 2015, Orlando decide che è opportuna una legge ad hoc solo per questo "veleno". Stralciata dal ddl penale, la nostra prescrizione si incammina alla Camera e qui trova degli amici - la presidente Pd della commissione Giustizia Donatella Ferranti - e dei nemici, l'attuale ministro delle Regioni Enrico Costa di Ncd. Ferranti è abile, esperta di lavori parlamentari. Elabora il testo base e giusto al primo articolo ci piazza una bomba. Due righe, quanto basta per scatenare un putiferio. L'ex pm ed ex segretaria del Csm aggiunge un comma all'articolo 157 del codice penale, quello che regola la prescrizione. Scrive che "sono aumentati della metà i termini per gli articoli 318, 319 e 319-ter del codice penale".

TRE ARTICOLI ESPLOSIVI. Andiamo a leggere il codice. 318: corruzione per l'esercizio della funzione, il pubblico ufficiale che incassa la mazzetta, pena da uno a 6 anni. 319: corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, pena da 6 a 10 anni. 319-ter, corruzione in atti giudiziari, pena da 6 a 12 anni, ma fino a 20 anni se dalla corruzione deriva una condanna superiore a 5 anni o all'ergastolo.

ESPLODE LO SCONTRO. Con un blitz il testo passa in commissione Giustizia. Ncd fa le barricate. Minaccia in aula. Si scontrano Orlando e Costa, allora suo vice. Quel 23 marzo 2015 Ncd si astiene e fa promettere ad Orlando che cambierà il testo al Senato. Ne nasce un braccio di ferro infinito che dura ancora adesso.

I CALCOLI DIVISIVI. Trattano Costa, D'Ascola, Ermini, Ferranti. Ma non se ne esce. la divisione è profonda. Facciamo l'esempio della corruzione. Con la proposta Ferranti, la prescrizione per la corruzione arriva a 21 anni e mezzo. Il massimo della pena, cioè 10 anni, più la metà, cioè 5 anni, più i 3 anni di bonus tra Appello e Cassazione, più altri 3 anni e mezzo (un quarto dei 15 anni della prescrizione complessiva) se nel processo si verificano degli atti interruttivi.

TRATTATIVE INFINITE. Ne stanno discutendo da 404 giorni, ma non riescono ad arrivare a un accordo. Il Pd fa muro sulla proposta Ferranti, vuole un segnale chiaro sulla corruzione. In fondo si tratta solo di tre reati, restano fuori la concussione e la corruzione per induzione, crimini importanti che non dovrebbero prescriversi mai. Ma i centristi non accettano assolutamente, come dicevano ancora ieri Schifani e Lupi, come tante volte ha ripetuto Costa, perché "un processo possa durare così a lungo".

L'INTESA
POSSIBILE. Adesso però, al Senato, ce la potrebbero fare. È ottimista David Ermini, il renziano responsabile della Giustizia. "L'aumento per la corruzione resta, ma con qualche piccolo escamotage" diceva ieri sornione.

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28 aprile 2016
Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/04/28/news/tre_anni_in_piu_per_chiudere_i_processi_contro_il_malaffare_tempi_sospesi_dopo_il_1_grado-138616048/?ref=HREA-1


Titolo: LIANA MILELLA Orlando: "Daremo mezzi e risorse per processi più rapidi. ...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 28, 2016, 06:07:04 pm
Orlando: "Daremo mezzi e risorse per processi più rapidi. Entro luglio la prescrizione"

Intervista al ministro della Giustizia: "Davigo? Non c'è nessuna guerra con i magistrati. Sulle intercettazioni seguiremo le linee delle procure"


Di LIANA MILELLA
26 aprile 2016

Nuova guerra giudici e politica?
"Assolutamente no, anche perché pregiudicherebbe i passi avanti che abbiamo compiuto finora". Davigo? "Un magistrato capace che spero sappia guidare l'Anm in una fase non semplice di cambiamento della magistratura". Il Guardasigilli Andrea Orlando cerca di spegnere i fuochi della polemica e promette "per l'estate la nuova legge sulla prescrizione". Sulle intercettazioni garantisce che "saranno rafforzate quelle per i reati contro la pubblica amministrazione" e che "non saranno limitate come strumento di indagine". Vanta i passi in avanti nella giustizia civile e sulla corruzione cita l'Onu: "Dicono che la nostra legge è buona".

Lei era a Washington nello scorso week end, ma qui in Italia è esplosa l'ennesima guerra sulla giustizia. Pensa sia utile litigare sempre sulle stesse cose?
"Un'intervista non fa una guerra e sappiamo che parlare male dei politici in un momento di crisi democratica è una tentazione facile in tutt'Europa e che può provocare consenso, non so se utile a individuare soluzioni. Noi vogliamo parlare di come rendere la giustizia più efficiente, la guerra non la vogliamo e faremo di tutto per evitarla ricercando il confronto. Attenderei comunque di vedere qual è l'effettiva posizione dell'Anm e cercherei di capire se ci sono le condizioni per proseguire un confronto che fino a qui è stato positivo, ha portato risultati importanti per il Paese, non per questo o quell'esecutivo, o per questa o quella giunta dell'Anm. Mi è parso che la discussione che ne è seguita mostri una pluralità di posizioni articolate, per cui alla fine conviene a tutti tornare al merito e stare al merito. Come invita a fare il direttore di Repubblica Calabresi e come da ultimo si è impegnato a fare Davigo".

Il merito. È fatto di rimproveri reciproci sulle cose non fatte. Renzi chiede "sentenze rapide", i magistrati lamentano che non hanno i mezzi e la prescrizione uccide i processi. Chi ha ragione?
"Si può essere tutti d'accordo su tre cose messe in fila. Che vanno cercati più mezzi come stiamo facendo, che vanno introdotti nuovi meccanismi processuali per rendere più rapido il processo e modificare il meccanismo della prescrizione, e che tra i diversi uffici ci sono performance diverse, a parità di leggi e risorse. Indicare cosa non funziona nei diversi uffici non significa negare gli altri tipi di intervento. Sennò non ci sarebbero percentuali così diverse sulla prescrizione, con uffici che ne hanno una prossima allo zero e realtà dove i numeri sono molto più alti".

È rimasta negativamente famosa tra le toghe la battuta di Renzi sui "giudici fannulloni". Anche lei quindi dice che ci sono toghe più lente?
"Questa discussione può funzionare meglio se stiamo ai numeri. I magistrati italiani, in media, lavorano più dei colleghi europei, ma spesso gli uffici sono organizzati in modo molto diverso. Queste differenze pesano tanto sulle performance del civile, quanto sul penale. Io rivendico il merito di aver costruito la banca dati che consente di misurare le differenze, e quindi di intervenire".

Negli Usa le hanno fatto i complimenti perché l'Italia ha scalato 49 posizioni nella classifica di Doing Business. Ma un processo civile che dura 8 anni non è economicamente inaccettabile?
"Penso sia abbastanza improbabile che un Paese con processi che duravano quasi 9 anni improvvisamente, nell'arco di un anno o due, abbia i più rapidi d'Europa. Ma se stiamo ai numeri scopriamo che, se proseguirà il trend di miglioramento che si è manifestato tra il 2013 e il 2014, cioè gli ultimi dati consolidati, nell'arco di 4-5 anni potremmo avere processi con tempi in linea con l'Europa e questo è dovuto all'importante lavoro di deflazione che ci ha portato da 6 milioni di cause pendenti a 4,2 e all'informatizzazione dei tre gradi di giudizio, che siamo gli unici ad aver fatto nella Ue".

Perché l'impegno messo nel civile non c'è nel penale? Come spiega che la prescrizione, un testo varato a palazzo Chigi il 29 agosto 2014, non sia ancora legge?
"Non è così. Questo è stato uno dei temi che più ha diviso la maggioranza, il Parlamento e l'opinione pubblica. I risultati nel civile ci sono stati perché la materia era ed è meno divisiva e perché si è potuto intervenire sotto il profilo organizzativo senza nuove norme, tant'è vero che la riforma organica del processo civile è in coda dietro a quella del processo penale che il Senato discute in questi giorni. Ma alcuni interventi di deflazione del processo penale sono stati realizzati".

Sulla prescrizione le toghe vorrebbero uno stop definitivo dopo il rinvio a giudizio. La proposta del governo (blocco dopo il primo grado e 3 anni in più tra Appello e Cassazione) è troppo per Ncd. Come se ne esce?
"Tenendo come riferimento ciò che è uscito dal Consiglio dei ministri e verificando quali possano essere le modifiche introdotte dal Parlamento sulle quali c'è il necessario consenso".

Perché non avete tenuto conto delle proposte di Gratteri?
"Su ecoreati, processo penale e beni confiscati il lavoro di Gratteri è stato tenuto in considerazione ed utilizzato".

L'orologio dei tempi parlamentari segna quasi 602 giorni. Lei può fare una previsione di quando si chiuderà?
"Sulla prescrizione credo sia ragionevole pensare di chiudere entro l'estate. Capisco la diffidenza, ma è la stessa che faceva scommettere molti sul fatto che falso in bilancio, autoriciclaggio, estensione della responsabilità all'incaricato di pubblico servizio, sconti di pena per l'imputato che collabora, ecoreati, sarebbero tutti andati a finire in un nulla di fatto".

La corruzione. Tema del tutto divisivo. Dice Davigo, i politici inquisiti non si vergognano, ribatte Renzi "faccia i nomi".
"Per il lavoro che abbiamo da fare - noi vogliamo sconfiggere la corruzione tanto quanto Davigo - non mi avventurerei in complesse ricostruzioni storico sociologiche. Cercherei di capire se i meccanismi di prevenzione e di repressione funzionano. L'Onu ha certificato che la nostra legge anticorruzione attua le convenzioni internazionali. Ci sono altre cose da fare? Discutiamone, purché le idee e le priorità non cambino ogni sei mesi, altrimenti sarà difficile fare un'analisi obiettiva dell'efficacia degli strumenti e la discussione rischia di spostarsi più su quello che si presume che manchi che su quello che dobbiamo fare per far funzionare bene ciò che già c'è".

Intercettazioni. Il premier lamenta una "barbarie giustizialista". Per le toghe gli ascolti sono fondamentali per le inchieste. La sua delega ostacolerà le inchieste e renderà impossibile pubblicare gli ascolti?
"La delega rafforza la possibilità di ascolti per i reati contro la pubblica amministrazione e non li limita come strumento di indagine in nessun ambito. Si pone gli stessi obiettivi di diverse e importanti procure che hanno disciplinato l'utilizzo di quelle penalmente non rilevanti. Si tratta di procure che non credo abbiano fatto sconti a nessuno sul fronte della corruzione".

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26 aprile 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/04/26/news/_daremo_mezzi_e_risorse_per_processi_piu_rapidi_entro_luglio_la_prescrizione_-138468026/?ref=HREC1-2


Titolo: LIANA MILELLA Riforma Giustizia, Renzi: "Non metto la fiducia contro Anm".
Inserito da: Arlecchino - Settembre 29, 2016, 05:25:42 pm
Riforma Giustizia, Renzi: "Non metto la fiducia contro Anm". E al Senato il ddl slitta
Il nuovo annuncio del premier sulla battaglia in corso nell'aula di Palazzo Madama.
Si tratterebbe, in sostanza, di un atto ostile nei confronti dell'Anm

Di LIANA MILELLA
28 settembre 2016
ROMA -  "Tendenzialmente mi sentirei di escludere la fiducia" sulla riforma della giustizia in discussione al Senato, perché si tratterebbe, in sostanza, di un atto ostile nei confronti dell'Anm. Questo il nuovo annuncio del premier Matteo Renzi sulla battaglia in corso nell'aula di Palazzo Madama. Ma tutto potrebbe essere rinviato, in attesa che le acque si calmino, visto che la maggioranza ha chiesto una inversione dell'ordine del giorno sui provvedimenti in aula. Facendo slittare così il ddl sul processo penale.

Non è una battaglia sui grandi principi, ma banalmente sui numeri della maggioranza al Senato, quella che si sta giocando sul disegno di legge che riforma anche i tempi della prescrizione e, con una futura delega al governo, pure le intercettazioni. Provvedimento fortemente divisivo, in cui da ben due anni si scontrano le anime garantiste e quelle più radicalmente riformatrici della politica. I magistrati – ora con l'Anm di Pier Camillo Davigo, ma già prima con Rodolfo Sabelli – hanno sempre detto che la riforma è destinata a danneggiare le indagini e i tempi del processi. “Inutile e dannosa” l'ha definita lo stesso Davigo domenica davanti al Guardasigilli Andrea Orlando. Prescrizione sempre minacciosa, bavaglio sulle intercettazioni, scure sui tempi delle indagini col rischio che i procuratori generali avochino i fascicoli se il pm non rispetta i tempi della chiusura delle indagini.

Ma tant'è. Adesso, in queste ore nell'aula di palazzo Madama, non è tanto in discussione il contenuto degli oltre 40 articoli del ddl, ma che figura faranno il governo Renzi e il Guardasigilli Orlando di fronte agli oltre 170 voti segreti in cui rischiano di convergere i mal di pancia della sinistra Pd e la voglia di far cadere Renzi dei 5stelle.

Per questo Renzi e Orlando, ormai da giorni, giocano a buttarsi l'uno sull'altro la responsabilità di chiudere la partita con un voto di fiducia. Dice il premier di buon mattino “non metto la fiducia contro l'Anm”, ma appena poche ore prima, durante il consiglio dei ministri, lo stesso Renzi ha autorizzato la fiducia. Gliel'ha chiesta il ministro della Giustizia Orlando, che a sua volta, mentre la chiede, dichiara anche che non la vuole e preferisce “votare articolo per articolo”.

Lo ripete da giorni, mentre dal Senato gli arriva l'insistente tam tam di Luigi Zanda, il realista capogruppo del Pd, che ascolta le voci dei colleghi ed è certo che, con i voti segreti, la maggioranza rischia seriamente di andare sotto. Un gioco delle parti, in cui il dato di fatto è uno: dal 30 giugno del 2014 il governo Renzi promette la riforma della prescrizione per allungare i tempi della giustizia, il 29 agosto 2014 vara il suo ddl, su cui i magistrati si dichiarano subito contrari, ma siamo ancora qui con un maggioranza incerta sull'esito delle votazioni. Nonostante il presidente del Senato Piero Grasso – autore di un suo ddl sin dal primo giorno di legislatura che contiene anche il blocco della prescrizione dopo il primo grado – abbia in tutti i modi sollecitato il governo ad andare avanti.

Come andrà a finire? Il ministro dell'Interno Alfano, che a palazzo Chigi ha chiesto con insistenza il voto di fiducia, a Renzi e Orlando l'ha spiegata così: “Noi di Ap ci impegniamo a votare in modo compatto il testo che è uscito dalla commissione Giustizia. Ma non ammettiamo cambiamenti. Se questo dovesse avvenire allora bisogna fermarsi e tornare in commissione”. Su questo Renzi autorizza la fiducia, ma si riserva di fare un'ulteriore verifica sui numeri. Perché, anche con la fiducia, il governo rischia lo stesso. Il gruppo Ala di Verdini ha già annunciato che non voterà comunque la fiducia, quindi il governo va sotto, a meno che i senatori di Ala non escano dall'aula in modo da far abbassare il numero legale. Ma potrebbe non bastare, perché ci sono forti perplessità del Pd. Quelle del relatore Felice Casson per esempio, che ha mantenuto, nonostante gli insistenti inviti al ritiro, gli emendamenti sulla prescrizione. Non una sospensione di 36 mesi dopo il primo grado, equamente divisi tra appello e Cassazione, ma uno stop definitivo. Proposta che M5S condivide e che, nell'incertezza dei numeri, potrebbe anche passare in aula.

Per questo, proprio in queste ore, si stanno freneticamente facendo i conti di chi c'è e chi non c'è in aula. Renzi, dopo le verifiche notturne, ha frenato sulla fiducia, giustificandosi con l'Anm, ma lo spauracchio è il rischio per il governo di cadere proprio con la fiducia. “I numeri sono risicati” ammette lo stesso Orlando. Le prime verifiche della mattina confermano che tra oggi e domani ci sono troppi parlamentari assenti, per cui “radio Senato” già dice che, a questo punto, la fiducia potrebbe essere messa martedì della prossima settimana. Nel frattempo si voteranno i primo articoli che non presentano ostacoli, fermandosi proprio sulla prescrizione.

L'alternativa è rinviare tutto a dopo il referendum, il vero protagonista ormai di qualsiasi passo governativo. Una figuraccia sul processo penale – che contiene anche l'aumento delle pene per furti e scippi su cui tutti sono d'accordo – sarebbe utilizzata da chi è contro Renzi e contro il referendum per dire che il governo è debole. Quindi meglio essere prudenti e soppesare bene una possibile fiducia. Altrimenti se ne parla dopo il 4 dicembre.   
 

© Riproduzione riservata 28 settembre 2016
Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/09/28/news/riforma_giustizia_renzi_frena_non_posso_mettere_la_fiducia_contro_i_magistrati_-148673352/?ref=HREC1-5


Titolo: LIANA MILELLA Donatella Ferranti: "Emiliano scelga: o il partito o la toga, si..
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 28, 2017, 11:18:02 pm
Donatella Ferranti: "Emiliano scelga: o il partito o la toga, si dimetta se vuol diventare segretario"
La presidente della Commissione Giustizia, magistrato eletta nei democratici: "La legge non prevede deroghe di alcun tipo"

Di LIANA MILELLA
27 febbraio 2017

ROMA. "Emiliano deve scegliere, o la guida del Pd o la magistratura". Dice così Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia della Camera, toga eletta con il Pd.

Emiliano, candidato alla segreteria del Pd, ma ancora magistrato. É possibile?
"Siamo di fronte a un caso limite. Per un magistrato un conto è partecipare attivamente alla vita politica, mettendosi ovviamente in aspettativa, altro è non solo iscriversi a un partito, ma entrare nella sua direzione, al punto da candidarsi alla guida".

Quindi dovrebbe scegliere o di restare magistrato o di fare il politico a tempo pieno.
"Io credo che per i ruoli politici che Emiliano ha già rivestito nel partito, abbia già fatto una scelta di campo, quella della politica".

Emiliano non solo è stato sindaco di Bari e governatore della Puglia, ma anche segretario e presidente regionale del Pd.
"Si tratta di una condotta vietata espressamente dal nostro ordinamento disciplinare...".

Parla di quello di Berlusconi-Castelli del 2006?
"Sì, che peraltro ha anche superato il vaglio della Consulta che, con una sentenza del 2009, ha ribadito che sia i magistrati in ruolo che quelli in aspettativa devono rispettare le stesse regole".
Il divieto di iscriversi ai partiti è tassativo per entrambe le condizioni o sono possibili deroghe come sostiene Emiliano?
"La legge non prevede deroghe di alcun tipo e vieta sia la mera iscrizione che la partecipazione attiva, sistematica e continuativa alla vita dei partiti politici".

Allora Emiliano avrebbe già dovuto deporre la toga?
"A mio parere, se si vuole dirigere un partito, al punto da candidarsi alla segreteria nazionale, non si può continuare a restare in magistratura".

Perché l'azione disciplinare del pg della Cassazione è solo del 2014?
"Dovrebbe chiederlo alla Suprema Corte. Mi sfuggono le ragioni, posso ipotizzare che la notizia sia stata acquisita solo successivamente".

Ora la storia si complica. Perché lui diventa teste in un'inchiesta che vede tra gli indagati il padre di Renzi.
"Questa è una storia a parte, di cui so quello che leggo sui giornali. Sarebbe bene non sovrapporre i diversi ruoli e fare in modo che la competizione tra i candidati alla segreteria sia svincolata dalle inchieste giudiziarie".

Che differenza c'è tra la situazione di Emiliano e quella di un parlamentare che, come nel suo caso, si candida per un partito?
"La differenza è notevole, innanzitutto io non sono mai stata iscritta a un partito e non lo sono adesso. Né ho avuto mai incarichi presso la direzione del Pd. La Costituzione all'articolo 51 garantisce l'elettorato passivo a tutti i cittadini, anche ai magistrati, ma prevede, all'articolo 98, che la legge limiti per noi toghe, ma anche per altri (militari, funzionari di polizia, diplomatici), l'iscrizione a un partito che è un'associazione privata, e quindi comporta dei vincoli gerarchici interni e un'obbedienza in netto contrasto con l'essere magistrato sia pure in aspettativa".

© Riproduzione riservata
27 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/27/news/donatella_ferranti_emiliano_scelga_o_il_partito_o_la_toga_si_dimetta_se_vuol_diventare_segretario_-159355919/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P1-S1.6-T2


Titolo: LIANA MILELLA Le intercettazioni "private" resteranno secretate.
Inserito da: Arlecchino - Marzo 16, 2017, 12:40:47 pm
Giustizia, prescrizione lunga e rischio bavaglio: dopo quasi mille giorni sì alla prima fiducia sulla riforma
Il Senato ha approvato la fiducia sulla legge che cambia il processo penale. Le intercettazioni "private" resteranno secretate.
Tetto di due anni alle indagini, poi il pm dovrà passare il fascicolo alla procura generale.  Orlando tra due fuochi: centristi e Anm   
        
Di LIANA MILELLA

15 marzo 2017

Giustizia, prescrizione lunga e rischio bavaglio: dopo quasi mille giorni sì alla prima fiducia sulla riforma Passa nell'Aula del Senato la riforma del processo penale con il voto di fiducia. I sì sono stati 156, i no 121, un astenuto. Il testo, già approvato alla Camera il 23 settembre 2015, essendo stato modificato, torna ora all'esame di Montecitorio. Il maxiemendamento prevede fra l'altro che il governo dovrà adottare su proposta del ministro della Giustizia i decreti legislativi per la riforma della disciplina delle intercettazioni "nel termine di tre mesi".

SONO TRASCORSI Novecentoventisei giorni dal primo sì in consiglio dei ministri - il 30 agosto 2014 - a oggi, alla approvazione della fiducia al Senato sul disegno di legge Orlando che riscrive pezzi dei codici penale e di procedura penale. Si potrebbe risalire indietro ancora di un paio di mesi, a quel 30 giugno dello stesso anno, quando Renzi premier annunciò la riforma della giustizia in 12 punti. Dentro ci sono la prescrizione più lunga, ma pure la stretta sull’uso e la divulgazione delle intercettazioni, l’Acqua Santa e il Diavolo, vedendola dalla parte dei magistrati. Il Guardasigilli Andrea Orlando, tempra di mediatore nato, ha lavorato allo stremo su due fronti: dentro la maggioranza per sopire il conservatorismo di Ncd che ancora adesso vagheggia future modifiche nell’ultimo passaggio alla Camera, e sul fronte della magistratura per disinnescare la mina delle intercettazioni, inciampando però nel principio dell’avocazione – il pm deve chiudere con le richieste, dopo due anni di indagini, sennò si vede sfilare il caso dalla procura generale – che offre miccia all’Anm.

Per un caso, la fiducia cade proprio nel giorno del caso Lotti al Senato, e questo inasprisce la “guerra” di M5S. Un coincidenza che certo non giova né a Orlando, né al suo processo penale. Destinata a enfatizzare la dietrologia. Soprattutto sulle intercettazioni, di certo il piatto forte del ddl assieme alla prescrizione. La delega, che Orlando si appresta a esercitare con rapidità e con la “complicità” dei procuratori, inevitabilmente cambierà anche la storia del giornalismo giudiziario. Perché – ma le circolari di molte procure della Repubblica lo hanno già anticipato – in futuro gli scartafacci sugli arresti non saranno più quelli di oggi. Tra i 40 articoli del ddl penale quello che fino a ieri, prima del maxi-emendamento del governo, portava il numero 35, riscrive le regole sull’uso delle intercettazioni, non solo da parte dei pubblici ministeri e dei gip, ma anche dei giornalisti. Orlando dice che non sarà un «bavaglio», procuratori come Pignatone, Spataro, Lo Voi, sono pronti a entrare nella sua commissione, ma l’odore della stretta c’è comunque. Quando la delega sarà legge vedremo più di un pm e di un gip porsi la domanda “ma questa intercettazione la metto o non la metto?”, “la chiudo in cassaforte per sempre oppure la uso?”, “è necessaria oppure è superflua?”. Di conseguenza, inevitabilmente, caleranno anche le notizie pubblicabili. Molto, ovviamente, dipenderà dalla magistratura chiamata a una sfida sulla trasparenza degli atti.

  Non potrà che far discutere, giusto oggi, anche la norma che esclude la possibilità di utilizzare i Trojan Horse, i nuovi software spia, anche per i reati di corruzione. Sì per il terrorismo e la mafia, no invece contro le mazzette. Un’incomprensibile esclusione, mentre la corruzione dilaga e il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone dice a Repubblica “via i politici da gare e appalti”. Tant’è, la politica avrebbe potuto dare un nuovo strumento, ma si è fermata prima.

Così come si blocca sulla prescrizione, dove il compromesso è sotto gli occhi di tutti. Ancora in queste ore il ministro della Famiglia Enrico Costa, alfaniano, una vera “ossessione” per la prescrizione più lunga, contesta il rischio che la conseguenza di una simile riforma sia solo quella di avere processi più lunghi degli attuali. In realtà parliamo solo di 36 mesi, tre anni. L’orologio si ferma solo temporaneamente dopo il primo grado, resta bloccato per 18 mesi in appello e 18 in Cassazione, ma poi inesorabilmente riprende a correre. Stupisce che l’Anm, proprio su questo, non abbia fatto una grande campagna. Tutte le toghe ne parlano da sempre, quelle più famose, Pier Camillo Davigo in testa, sostenendo che la prescrizione dovrebbe fermarsi definitivamente dopo il primo grado, ma alla fine la voce del sindacato dei magistrati si è fatta sentire di più sulla proroga dell’età pensionabile per 18 colleghi e sul rischio avocazione delle inchieste che non sulla prescrizione.

Intendiamoci, l’avocazione è un pericolo, soprattutto se messa in mani cattive. La norma stabilisce che dopo due anni di indagini preliminari il pm ha solo tre mesi di tempo per decidere che fare, se archiviare o andare avanti. Davigo vede procure generali inadeguate, inadatte, ingolfate, l’inizio di un nuovo caos. Ma tant’è, su questo Orlando è stato irremovibile.

Luci – pene minime più alte per furti, scippi e rapine – ma anche ombre oscure – il rito abbreviato avrebbe potuto essere vietato ed escluso per i reati gravi, mentre invece continuerà a essere concesso – fanno sospendere il giudizio sul ddl Orlando. Ci sono deleghe da scrivere, come quella sull’ordinamento penitenziario, e capitoli delicatissimi da affrontare come quello sulle Rems, le residenze che prenderanno il posto degli ospedali psichiatrici e le sezioni specializzate degli istituti penitenziari a seconda della gravità dei casi e delle condanne. Materia incandescente,

su cui la vigilanza rispetto a soggetti deboli e privi di tutela non potrà che essere massima. Ma il cammino del ddl penale, con oggi, non è ancora finito. E l’ulteriore passaggio alla Camera permetterà di guardare ancora le criticità.     

© Riproduzione riservata 15 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/15/news/prescrizione_lunga_e_rischio_bavaglio_dopo_quasi_mille_giorni_fiducia_sulla_riforma-160584462/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P7-S1.6-T1


Titolo: LIANA MILELLA Legittima difesa, ecco l'emendamento che dà via libera all'uso...
Inserito da: Admin - Maggio 08, 2017, 10:46:26 am
Legittima difesa, ecco l'emendamento che dà via libera all'uso delle armi
In aula la discussione sulla modifica dell'articolo 52 del codice penale.
Possibile sparare in caso di aggressioni notturne e di violenza


Di LIANA MILELLA
03 maggio 2017

ROMA - Ecco il testo dell'emendamento sulla legittima difesa che oggi alla Camera metterà d'accordo Pd e gli alfaniani. È stato appena approvato dal gruppo del Pd e oggi è in Aula. Prevede che per la vittima di un'aggressione la reazione è considerata legittima difesa, quindi anche possibile con le armi, quando si verifica 'di notte', con 'violenza sulle persone o sulle cose'.

La mediazione si è resa necessaria dopo che i centristi avevano minacciato di non votare più il provvedimento se l'asticella dell'articolo 52 del Codice penale non fosse stata spostata "più in alto", ampliando cioè la possibilità di ricorrere all'uso delle armi da parte della vittima.

Oggi non viene considerato punibile chi reagisce contro il pericolo di un'offesa 'ingiusta' e se 'la difesa è proporzionata all'offesa'. Il nuovo testo considera, invece, legittima semplicemente "la reazione a un'aggressione commessa in tempo di notte nonché la reazione" all'introduzione di malviventi nel proprio domicilio "con violenza alle persone e alle cose", oppure "con la minaccia o con l'inganno". La stessa reazione armata sarà dunque considerata legittima difesa.

La discussione a Montecitorio è in corso, il voto è previsto - ma dipenderà anche dalle barricate leghiste - entro stasera.

 © Riproduzione riservata 03 maggio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/05/03/news/legittima_difesa_ecco_l_emendamento_che_da_via_libera_all_uso_delle_armi-164503361/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P1-S1.6-T1


Titolo: LIANA MILELLA Orlando: "Non doveva uscire la telefonata tra padre e figlio,...
Inserito da: Arlecchino - Maggio 19, 2017, 02:33:20 pm
Orlando: "Non doveva uscire la telefonata tra padre e figlio, subito le norme anti-abusi"
Il ministro della Giustizia: "Il punto è impedire la fuga di notizie, il governo metta la fiducia sul mio provvedimento"

Di LIANA MILELLA
19 maggio 2017

ROMA. Le intercettazioni? "Se si vuole risolvere il problema si approvi la legge". Ne è sicuro? "Se non lo fossi non ci avrei lavorato da tre anni". È convinto che dopo non uscirà più una telefonata? "Non esiste una certezza in questo senso, ma la mia legge limiterebbe il rischio". Dice così il Guardasigilli Andrea Orlando.

Telefonata Renzi figlio-Renzi padre. Cos'ha pensato appena l'ha letta?
"Che non doveva stare sul giornale perché non ha alcuna rilevanza penale. Quindi non doveva stare neppure tra gli atti processuali. E mi sono ancor più sorpreso che, non essendoci, fosse stata diffusa. Per questo è necessario fare la massima chiarezza".

Ma del contenuto che dice?
"Entrare nelle dinamiche familiari altrui è difficile quando si è direttamente coinvolti, figurarsi su quelle pubblicate da un giornale. Mi sembra un elemento di inciviltà pretendere di trarre valutazioni politiche da una conversazione del genere".

Non mi dirà che non andava pubblicata...
"Ho pensato che non era giusto diffonderla, chi si trova una conversazione del genere tra le mani, è difficile che dica di no. Il problema è evitare le fughe. Intervenire sulla pubblicazione diventa complicato nell'epoca di internet ".

Ne fa una questione di tutela della privacy?
"La Costituzione autorizza a entrare nella corrispondenza personale in funzione di finalità previste dalla legge, non per dare valutazioni morali o fare analisi socio- culturali. Le intercettazioni servono per fare i processi, i processi per accertare dei fatti".

Non ritiene che un uomo pubblico abbia diritto a una privacy attenuata?
"... e chi è un uomo pubblico? Il potere non è solo politico. Perché non ci dovrebbe essere la privacy attenuata per i giornalisti? Lei ha un potere molto grande, perché non attenuare la sua privacy per vedere come esercita questo potere? Capisce che su questa via si sa dove si inizia ma non dove si finisce".

Il politico risponde agli elettori, il giornalista ai lettori, o no?
"Mi rendo conto che la mia è una provocazione, ma esistono oggi poteri di fatto che incidono nella vita di tutti in modo assai più forte della politica".

Eppure le sentenze da Strasburgo parlano di privacy attenuata per i politici.
"Non riguardo alle intercettazioni. La loro diffusione è un'anomalia tutta italiana".

Napolitano vede "un'insopportabile violazione della privacy ". Lei ritiene davvero che quella conversazione non debba mai finire nel processo?
"In sé quella telefonata no. Un figlio che dice al padre di rispondere in modo corretto non è un fatto di rilevanza penale. In connessione con altre conversazioni potrebbe assumere un altro significato, ma proprio questa considerazione ci fa capire quanto sia arbitraria e fuorviante la pubblicazione di singoli stralci".

Il presidente Pd Orfini parla di "attentato alla democrazia".
"Le parole andrebbero pesate di più soprattutto quando si svolgono funzioni politiche così importanti. Nessuno può negare che ci siano stati fatti molto gravi su cui bisogna accettare le responsabilità. Se però si hanno elementi stringenti per parlare di una regia unica di fatti avvenuti in contesti diversi e se si ritiene che questa azione sia finalizzata a destabilizzare la democrazia, allora bisogna essere conseguenti, si devono investire le istituzioni e chiamare il popolo a una mobilitazione. Altrimenti si cade nel complottismo, un genere di cui di solito hanno fatto storicamente abuso le destre populiste".

Come esce il Pd dal caso Consip?
"Mi pare che il caso sia solo alle primissime battute. E la cattiva abitudine di trarre delle conseguenze dall'inizio di un processo, e non dalla sua fine o almeno dal suo sviluppo, si accompagna quasi sempre alla pretesa di definire giudizi morali. Questo non fa bene né all'informazione né ai processi ".

Manderà gli ispettori tra Napoli e Roma?
"Quando si ravvisa una possibile irregolarità il primo passo è l'avvio degli accertamenti preliminari. Qualora dimostrassero elementi concreti si prosegue con l'invio degli ispettori. L'eventuale azione disciplinare è all'esito del loro lavoro. È molto probabile che in alcune di queste vicende gli accertamenti preliminari porteranno alle fasi successive".

Crede alla guerra tra le procure di Roma e Napoli?
"I magistrati interessati lo hanno escluso. Le procure, quelle così grandi in particolare, non sono dei monoliti. L'ordinamento prevede un potere diffuso, l'autonomia di ogni singolo magistrato. Per questo è importante il coordinamento che i capi devono esercitare. E per questo è fondamentale che questi ruoli non restino sguarniti".

Le intercettazioni e il suo ddl penale. Renzi ostacola la fiducia. È lo strascico delle primarie?
"Non credo. Mi auguro che tutto il Pd si convinca del fatto che c'è una contraddizione tra il denunciare l'utilizzo improprio delle intercettazioni e tenere ferma una legge che affronta il tema per più di tre anni, compresa la campagna referendaria sulla quale si riteneva che la legge potesse avere un impatto negativo ".

Ma la fiducia è necessaria?
"Sì, perché penso che una qualunque modifica al testo, possibile con i voti segreti, lo rimanderebbe al Senato, e quindi, dato lo stato avanzato della legislatura, a un nulla di fatto".

Sa che Alfano non la vuole e pretende che lei cambi la prescrizione...
" L'attuale testo è stato concordato, punto per punto, con il presidente della commissione giustizia del senato, il senatore D'Ascola, del partito di Alfano".

Ma non è che Renzi rema contro il ddl penale perché teme che ostacoli la legge letterale?
"I due provvedimenti, dal punto di vista del calendario, sono assolutamente compatibili. Io voglio, almeno quanto Renzi, che la nuova legge elettorale sia approvata, tanto più che il testo di cui si sta discutendo assume uno dei punti su cui mi sono caratterizzato durante il congresso, l'esigenza di costruire un centrosinistra largo e competitivo".

Con la delega sulle intercettazioni che succede? Il governo Gentiloni farà quello che voleva fare Berlusconi, bavaglio su magistrati e giornalisti?
"Sono due interventi che non hanno alcun punto di contatto. Noi non limitiamo in alcun modo l'utilizzo delle intercettazioni come strumento di indagine, ma mettiamo paletti più stringenti per evitare la diffusione di conversazioni che non hanno rilevanza penale e in generale per evitare fughe di notizie che possono perfino pregiudicare le indagini".

Anche con le circolari delle procure, proprio quelle di Napoli e di Roma, le telefonate escono lo stesso. È proprio necessaria una legge?
"Non è che il divieto di un fenomeno di per sé lo elimini.

Sicuramente una legge è più stringente di una circolare, e vale per tutto il territorio nazionale e può stabilire responsabilità più certe. Anche la prima applicazione delle circolari ci potrà servire per capire cosa va precisato e cosa corretto ".

© Riproduzione riservata 19 maggio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/05/19/news/orlando_non_doveva_uscire_la_telefonata_tra_padre_e_figlio_subito_le_norme_anti-abusi_-165799626/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S1.8-T1


Titolo: LIANA MILELLA Legge elettorale, Grasso: "Attenti alla costituzionalità.
Inserito da: Arlecchino - Giugno 05, 2017, 11:48:57 am
Legge elettorale, Grasso: "Attenti alla costituzionalità.
E serve un patto di legislatura per salvare le leggi importanti"
Il presidente del Senato avverte le forze politiche: "Non vorrei che dopo due verdetti della Corte ce ne potesse essere un terzo"

Di LIANA MILELLA
04 giugno 2017

ROMA - "Un patto di fine legislatura per le leggi da salvare e una legge elettorale a sicura prova di costituzionalità". Piero Grasso apre il Senato a molte famiglie vogliose di selfie, si concede ai bambini sorridente, condivide l'iniziativa sulle leggi da salvare di Repubblica, lancia un patto per chiudere positivamente la legislatura e dice: "Si approvi tutto prima del voto".

Presidente Grasso, allora, rischiamo di andare a una chiusura anticipata delle Camere. Ma tante leggi - Repubblica ne ha individuate sei - potrebbero andare perdute. Lei vede una possibile soluzione?
"Chiedo alle forze politiche un patto di fine legislatura, non sui tempi - tre mesi in più o in meno non fanno la differenza - ma sui contenuti: prima del voto si approvino in via definitiva i provvedimenti importanti e si mettano in sicurezza i conti".

Lei ha vissuto una presidenza tormentata, spesso non sono mancati i contrasti con i suoi colleghi proprio sui tempi dei lavori. Condivide il nostro elenco?
"Sì, condivido l'elenco di Repubblica. Io stesso ne feci uno molto simile in un'intervista del gennaio scorso. Alle vostre sei leggi vorrei aggiungere anche quella contro l'omofobia. Ricevo spesso lettere dolorose di ragazze e ragazzi che ne sottolineano l'importanza per un effettivo salto culturale. Aggiungerei anche la riforma della giustizia civile, che è qui al Senato, fondamentale per attrarre maggiori investimenti stranieri".

Ritiene che il tempo rimasto, solo poche settimane nell'ipotesi più risicata, possa davvero bastare per affrontare leggi anche fortemente divisive, penso per esempio al processo penale oppure al reato di tortura? Oppure sarebbe meglio rinunciare?
"I tempi dipendono soltanto dalla volontà politica. Se in meno di una settimana si porta in aula alla Camera un testo importante come la legge elettorale, allora sembra davvero impossibile che ci vogliano anni per la legge sulla concorrenza, per il processo penale oppure per il Codice antimafia".

Scusi se insisto, ma i tempi sono importanti. Dai suoi calcoli lei trae, invece, qualche buon segnale? Oppure bisogna rinunciare e aspettare ancora un'altra legislatura nonostante quelle già trascorse proprio come nel caso della tortura?
"Dalla mia recente esperienza politica ho capito che se i partiti ne hanno intenzione, di qui ad agosto, si può fare tutto. Maggioranza e opposizioni collaborino su questi temi, attesi da anni dai cittadini, cercando di migliorare i testi laddove ce n'è bisogno: rispettare questi impegni e mettere in salvaguardia i conti fa la differenza tra l'avventurismo e la responsabilità".

Il suo è un appello ai partiti. Ma poi, sul piano dell'iniziativa concreta, il presidente del Senato che cosa può fare? Che iniziative può assumere? Fino a che punto può spingere per, non dico imporre, ma quantomeno caldeggiare l'approvazione di un provvedimento?
"Purtroppo i margini del presidente sul calendario dell'aula non vanno al di là della proposta e della moral suasion: è l'accordo tra i gruppi - che poi a loro volta determinano una maggioranza nella riunione dei capigruppo - a definire le tempistiche. Spero che le tensioni che si registrano nella maggioranza in questi giorni non si scarichino su questi temi: perché sarebbe davvero un errore imperdonabile ".

Lo scontro tra Renzi e Alfano è pubblico e nasce per la legge elettorale. Qual è il suo giudizio sul modello raggiunto? Pensa possa essere risolutivo per gli equilibri politici futuri e per avere una maggioranza stabile?
"Della legge elettorale non parlo. Il mio ruolo mi impedisce di entrare nello specifico. Sento solo il dovere di richiamare tutti a una grande attenzione: non vorrei che dopo due sonore bocciature per incostituzionalità ce ne potesse essere una terza"

Per quello che ha potuto osservare fino a oggi ritiene che questa legge andrà in porto? Oppure ci saranno degli ostacoli?
"Il mio modo di pensare è sempre stato: un passo alla volta dopo aver verificato la solidità del terreno. Registro che intorno alla legge elettorale è maturato un ampio consenso. Ora è in discussione alla Camera, io aspetto che arrivi in Senato, dove dovrà essere affrontata prima in commissione e poi in aula, in tempi rapidi, ma senza forzature ".

Ritiene che una nuova legge elettorale sia indispensabile? E se non si riuscisse a raggiungere l'accordo? Se alla fine si finisse per votare con quello che resta dell'Italicum e con il Consultellum?
"Avere una legge elettorale omogenea per entrambe le Camere è fondamentale. È una condizione necessaria, ma non sufficiente, per chiedere lo scioglimento delle Camere. I partiti valutino con la massima serietà e responsabilità i tempi per il bene del Paese, approvino in Parlamento le leggi tanto attese dai cittadini, mettano in sicurezza i conti... e poi buona campagna elettorale a tutti".

© Riproduzione riservata 04 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/04/news/legge_elettorale_grasso_attenti_alla_costituzionalita_e_serve_un_patto_di_legislatura_per_salvare_le_leggi_importanti_-167194350/?ref=fbpr


Titolo: LIANA MILELLA Codice antimafia: confische allargate anche ai corrotti.
Inserito da: Arlecchino - Giugno 05, 2017, 12:10:37 pm
Codice antimafia: confische allargate anche ai corrotti.
Ma la legge è sotto attacco da 18 mesi
Provvedimenti da salvare. La proposta di iniziativa popolare sottoscritta da Arci, Libera, Cgil, Acli e altri è ferma al Senato dal novembre 2015.
Ad ostacolarla Forza Italia e centristi. Sarà in aula a metà giugno dopo la manovra

Di LIANA MILELLA
31 maggio 2017

ROMA - Dal "buco nero" della commissione Giustizia del Senato potrebbe uscire a giorni, dopo esserci misteriosamente rimasto dalla fine di novembre del 2015 al 27 aprile di quest'anno. E approdare in aula, dopo la manovrina, nella seconda metà di giugno. Repubblica - come annuncia il direttore Mario Calabresi nel suo editoriale di oggi - ha inserito il nuovo Codice antimafia tra i sei provvedimenti da approvare prima delle elezioni: biotestamento, ius soli, processo penale, tortura, cannabis.

Trenta articoli assai tecnici quelli del Codice antimafia che ridisegnano il meccanismo delle misure di prevenzione, ma soprattutto introducono una novità rivoluzionaria, la vera "novità" del provvedimento, che lo rende visceralmente ostile alle pance di Forza Italia e degli alfaniani. Sequestri e misure contro i beni della mafia potranno essere applicate anche ai corrotti. Gli imputati di corruzione, anche in atti giudiziari, di induzione, di concussione, potranno vedersi sequestrato il patrimonio che finirà gestito dall'Agenzia per i beni confiscati. Alla Camera, dove il testo è stato votato l'11 novembre 2015, tra i reati figurava anche il peculato, ma al Senato hanno pensato bene di sfilarlo. Reato "troppo" lieve, non merita un trattamento severo...

Proprio la presenza delle norme contro i corrotti ha scatenato l'abituale guerriglia sulla giustizia di Forza Italia e di Ap. E non è un caso se i presidenti della commissione Giustizia del Senato siano stati, nell'ordine, prima il forzista Francesco Nitto Palma e attualmente l'avvocato di Reggio Calabria ed esponente di Ap Nico D'Ascola. Entrambi non si sono dati particolarmente da fare per accelerare la strada del nuovo Codice antimafia. Tutt'altro. Proprio da Ap, nelle scorse settimane, è venuto l'ultimo assalto che ha fatto slittare il voto in commissione e la possibilità di passare subito all'aula. Gli uomini dell'ex ministro dell'Interno Alfano, da sempre contro il doppio binario che consente un trattamento più aspro per chi commette reati di mafia e terrorismo, avevano proposto di inserire norme per rendere più facili i ricorsi in Cassazione anche per i mafiosi, sia per vizi di legittimità che di motivazione. Inoltre insistevano per un sistema più rigido per applicare le misure di prevenzione. Sono state necessarie più riunioni della maggioranza, in cui anche Anna Finocchiaro, il ministro Pd per i Rapporti con il Parlamento, ha giudicato "inaccettabili " le richieste dei centristi.

Dice l'ex giudice istruttore Felice Casson, ex Pd ora Mdp: "L'attuale impianto delle misure di prevenzione già funziona, ma il nuovo Codice inserisce positivamente la nuova confisca allargata ". Casson definisce "inaccettabili " le richieste dei centristi "perché ormai il principio del doppio binario per i reati di mafia e terrorismo è sottoscritto dalla Cassazione e dalla Consulta, ma anche dalle Corti europee".

Legge di iniziativa popolare, lanciata da "Io riattivo il lavoro", con un enorme bagaglio di firme è approdata alla Camera e ha soppiantato la legge del Guardasigilli Orlando. Ancora adesso l'ex relatore Davide Mattiello di Libera insiste perché la legge passi nella versione di Montecitorio, ipotesi ormai impossibile perché la commissione del Senato l'ha già modificata. La sponsorizzano Cgil, Libera, Arci, Acli, Legambiente, Avviso pubblico, Sos Impresa, il Centro studi Pio La Torre, ma sarebbe un miracolo se la legge riuscisse a farcela. Anche se il Senato dovesse licenziarla in aula la metà di giugno, nel cuneo tra manovrina e ammi dopo le amministrative, resterebbe lo scoglio dell'ulteriore passaggio alla Camera, incompatibile con l'eventuale scioglimento delle Camere a fine luglio.

Tra le novità da segnalare nel nuovo Codice antimafia sicuramente la stretta, dopo il caso

Saguto, sui giudici e gli amministratori giudiziari, che dovranno ruotare molto spesso. Singolare invece la previsione di ben sette sedi per la rifondata Agenzia per i beni confiscati, una a Roma al Viminale e altre sette in periferia (Reggio Calabria, Palermo, Catania, Napoli, Bologna, Milano).

© Riproduzione riservata 31 maggio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/05/31/news/codice_antimafia_confische_allargate_anche_ai_corrotti_ma_la_legge_e_sotto_attacco_da_18_mesi-166848949/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S1.8-T1


Titolo: LIANA MILELLA Cambia ancora il codice Antimafia: obbligatorio il vincolo ...
Inserito da: Arlecchino - Luglio 02, 2017, 05:21:00 pm
Cambia ancora il codice Antimafia: obbligatorio il vincolo associativo per le misure di prevenzione
Per i reati di corruzione, sarà necessario anche l'indizio di associazione a delinquere


Di LIANA MILELLA
28 giugno 2017

ROMA- Cambia ancora il codice Antimafia. Per applicare le misure di prevenzione anche ai reati di corruzione, la vera novità del ddl sponsorizzato da Repubblica, ci vorrà pure il vincolo associativo. Accanto al singolo reato - peculato, malversazione, corruzione propria, concussione, induzione - il soggetto dovrà essere indiziato anche di 416, l'associazione a delinquere. Presentato l'emendamento dei due relatori, Beppe Lumia e Giorgio Pagliari, entrambi del Pd. Depositato alle 11.30 al Senato, dove il ddl di iniziativa popolare - ma studiato e messo a punto dalla commissione Antimafia di Rosy Bindi - dovrebbe affrontare il suo penultimo passaggio parlamentare. Il voto potrebbe cadere già stasera o al massimo domattina, festa a Roma di san Pietro e Paolo, ma in cui sia la Camera che il Senato lavorano in quanto istituzioni nazionali.

Sarà una maratona pesante, 80 emendamenti, un clima difficile, perché Forza Italia, già ieri durante la discussione generale con l'ex toga Giacomo Caliendo, è partita all'attacco contro "la legge schifezza", una legge duramente contestata dall'avvocato Nicolò Ghedini, il difensore di Silvio Berlusconi, che addirittura ha chiesto a Gianni Letta di parlare con il Pd per cambiare il testo.
L'emendamento dei due relatori
Il senatore forzista boccia la legge come "incostituzionale" e solleva tre problemi: le misure di prevenzione si possono applicare anche per reati antichi, violando il principio delle 'ragioni di attualità'; chi viene colpito da queste misure non può giustificare il denaro come provento di un'evasione fiscale; la stretta si applica alla corruzione anche senza la mafiosità. 

Critiche che, evidentemente, hanno fatto breccia nel Pd. Anche perché a sostenere gli stessi argomenti è l'alfaniano Enrico Costa, ministro della Famiglia nel governo Gentiloni, che ha annunciato la sua contrarietà, foriera di un voto contrario alla Camera, com'è già avvenuto per la legge sul processo penale per via della prescrizione.

Nel Pd è maturata, nel corso del weekend, l'idea di ritoccare il testo. Anche alla luce di un'audizione del procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti alla commissione Giustizia del Senato in cui il magistrato solleva proprio il problema del vincolo associativo. Ieri, in una lunga riunione della maggioranza al Senato, si è cominciato a discutere delle possibili modifiche. Con l'obiettivo di andare a un emendamento che, in questa fase parlamentare, solo governo e relatori possono presentare.

Scartata, almeno fino a ieri sera, l’ipotesi di "alleggerire" il parterre dei reati di corruzione per cui sono possibili le misure di prevenzione. A chi chiedeva con insistenza di togliere dalla lista almeno il peculato e la malversazione, il Pd ha replicato dicendo che "quell'elenco non si tocca". Maggiore disponibilità invece sul vincolo associativo, appoggiandosi anche al parere fornito da Roberti.

Ovviamente un'ipotesi di questo genere restringerebbe la possibilità di utilizzare le misure di prevenzione, perché sarebbero applicabili solo quando viene contestato non solo il singolo reato, ma anche l'associazione a delinquere. È improbabile che la correzione spinga Forza Italia a votare il testo. Potrebbero ammorbidirsi le perplessità degli alfaniani. Ma le modifiche potrebbero dispiacere a Mdp, che a quel punto accuserebbe il Pd di inciucio con Forza Italia. E la maggioranza andrebbe in affanno sui numeri.

© Riproduzione riservata 28 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/28/news/antimafia_pd_corruzione-169339850/?ref=RHPPRB-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1


Titolo: DARIO DEL PORTO e LIANA MILELLA. Scafarto e Ultimo: Abbiamo in mano due bombe
Inserito da: Arlecchino - Settembre 17, 2017, 09:03:46 pm
Consip, i carabinieri alla pm: “Noi vogliamo arrivare a Renzi”
Scafarto e Ultimo: “Abbiamo in mano due bombe”. I colloqui con la procuratrice di Modena Musti riferiti da lei stessa al Csm. Riguardavano i casi della società pubblica e della Cpl Concordia

Di DARIO DEL PORTO e LIANA MILELLA
15 settembre 2017

Roma -  "Dottoressa, lei, se vuole, ha una bomba in mano. Lei può far esplodere la bomba. Scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi". Così, in più di un incontro tra Modena e Roma, il capitano del Noe Scafarto e il colonnello Ultimo si rivolsero alla procuratrice di Modena Lucia Musti. Sono le frasi shock riferite dalla magistrata durante l'audizione tenuta il 17 luglio scorso al Csm.

I colloqui risalgono alla primavera del 2015: ad aprile di quell'anno, la Procura di Modena aveva appena ricevuto gli atti dell'inchiesta sugli affari della coop Cpl Concordia, aperta dalla Procura di Napoli e poi trasmessa per competenza territoriale nella città emiliana. In quelle carte c'era anche la conversazione tra l'ex premier Matteo Renzi e il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi.

È la procuratrice a ricostruire i retroscena durante la seduta di oltre due ore e mezza davanti alla prima commissione del Csm, dove è aperto il procedimento per incompatibilità nei confronti del pm Henry John Woodcock, di cui sono relatori i togati Luca Palamara e Aldo Morgigni. Nel corso dell'audizione, la procuratrice Musti viene più volte incalzata dai consiglieri, che chiedono maggiori dettagli. E racconta di aver visto Scafarto e Ultimo particolarmente "spregiudicati" e come "presi da un delirio di onnipotenza".

Per tutto il mese di agosto, il contenuto dell'audizione, alla quale hanno preso parte non solo i componenti della prima commissione ma anche altri consiglieri del Csm, è rimasto coperto dal più stretto riserbo. Ieri mattina, Palazzo dei Marescialli ha deciso di mandare la documentazione alla Procura di Roma, che indaga nei confronti di Scafarto, di recente promosso maggiore, con le ipotesi di falso e rivelazione del segreto collegate al caso Consip. Queste nuove carte, dunque, aggiungono ulteriori tasselli sul comportamento dei Carabinieri rispetto alla complessa ricostruzione alla quale stanno lavorando il procuratore della capitale, Giuseppe Pignatone, con il suo aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi.

Al Csm, la procuratrice Musti ha raccontato di aver avuto un primo incontro a Modena con Scafarto e un secondo con lo stesso Scafarto e l'allora vicecomandante del Noe, Sergio De Caprio, conosciuto come il colonnello Ultimo a Roma. Colloqui sempre finalizzati esclusivamente a discutere dell'indagine. Gli ufficiali dei Cc le avrebbero parlato di due "bombe": una era rappresentata proprio dall'inchiesta sulla Cpl Concordia, ritenuta dagli investigatori in grado di aprire squarci sul sistema delle cooperative; l'altra era indicata nel caso Consip.

Il capitano Scafarto, ha spiegato Musti al Csm, avrebbe insistito sulla necessità di andare avanti nelle indagini sulla Cpl, al punto che la magistrata si sarebbe sentita in alcuni momenti quasi messa sotto pressione, come se la sua libertà e le sue prerogative di capo della Procura potessero in qualche misura essere coartate.

A luglio del 2015, la telefonata Renzi-Adinolfi fu pubblicata sul Fatto Quotidiano dopo essere stata depositata in diverso procedimento della Procura di Napoli, quello sulle presunte collusioni fra ex dirigenti della Concordia e la camorra, e all'insaputa dei magistrati delegati. Per questa vicenda, furono indagati per rivelazione colposa del segreto d'ufficio quattro sottufficiali del Noe, la cui posizione è stata poi archiviata. Anche la circostanza della pubblicazione della telefonata è all'attenzione della prima commissione del Csm, che in questi mesi ha già sentito il procuratore aggiunto di Napoli, Nunzio Fragliasso. Lunedì prossimo sono in programma le audizioni di altri due procuratori aggiunti: Alfonso D'Avino e Giuseppe Borrelli.

© Riproduzione riservata 15 settembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/09/15/news/consip_i_carabinieri_alla_pm_noi_vogliamo_arrivare_a_renzi_-175537057/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P5-S1.8-T1


Titolo: LIANA MILELLA L’ovazione di Mdp per Grasso e l’offerta dei bersaniani: Puoi...
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 05, 2017, 11:31:02 am
L’ovazione di Mdp per Grasso e l’offerta dei bersaniani: “Puoi essere il leader”
Il presidente del Senato star alla festa del partito, pronto un posto in lista o anche la premiership se salta l’intesa con Pisapia.
"Io superpartes, ma resto un ragazzo di sinistra"

Di LIANA MILELLA
29 settembre 2017

ROMA -  L’invito è segreto, rivolto a Piero Grasso da Mdp. Diventare uno di loro. Non appena sarà possibile. Quando il presidente del Senato avrà dismesso i panni istituzionali. E – se la trattativa di Mdp con Pisapia dovesse andare male – correre come leader dei bersaniani alle prossime elezioni. Inutile cercare conferme ufficiali dallo stesso Grasso, neppure in una giornata speciale come quella vissuta ieri a Napoli, proprio alla festa di Mdp. Dove però è il “popolo” del partito che gli si stringe intorno e lo incorona leader. Tributandogli applausi a scena aperta.

E dove Bersani ascolta in prima fila la sua intervista pubblica, facendo più volte cenno di sì con la testa. Dopo un caffè riservato tra i due, sarà Grasso a sedersi e applaudire colui che, da segretario del Pd, nel dicembre 2012 gli offrì la candidatura convincendolo a lasciare il vertice della procura nazionale Antimafia e poi lo volle al vertice del Senato.

Reduce dalle feste del Pd e di Si, anche a Napoli Grasso non conferma nulla dei retroscena che pure, di giorno in giorno, si arricchiscono di dettagli. Quando Marco Damilano, dell’Espresso, gli chiede se e con chi si ricandiderà, il presidente quasi si schermisce: «Questa è stata un’esperienza entusiasmante. Il mio futuro non lo conosco. Da presidente del Senato non posso dire nulla, altrimenti domani non potrei presiedere l’aula. Ancora non lo so. Se c’è la possibilità di fare quel percorso visionario potrei iniziarlo insieme a chi è più visionario di me».

La platea lo incoraggia. Bersani sorride. Lui – camicia aperta sul collo – spiega cosa intende per centrosinistra: «Valori, principi e programmi che non si possono tradire». Una stoccata che colpisce Renzi: «Non si può guardare al centro e a destra». Poi la battuta che manda a mille l’applausometro: «Da presidente del Senato devo essere superpartes però ero, e sono rimasto, un ragazzo di sinistra». Diventa il leit motiv della serata. Un chiaro messaggio a chi, giusto in queste ore, ha ceduto sullo Ius soli: «Alla sinistra chiedo di non fare passi indietro sui principi. Perché non possiamo metterli da parte quando chiediamo i voti».

Bisognerà attendere prima di sapere quale sarà la scelta di Grasso. Ma la sua ricetta sul futuro del centrosinistra è già nelle parole che pronuncia a Napoli: «Io sono un’idealista. Dico di avere la visione del futuro e in testa l’obiettivo dell’unità a sinistra come unico obiettivo per non perdere». Gli viene spontanea la polemica -– «Ho detto una cosa lapalissiana» – con Matteo Orfini che lo ha attaccato per aver chiesto una legge elettorale «pienamente costituzionale». E fa affermazioni che piacciono alla platea di Mdp. Come quella sull’etica della politica e sulla scelta dei candidati «prima che intervengano indagini, processi, condanne».

Legge elettorale, Ius soli, codice Antimafia. Grasso parla chiaro e incassa applausi. Il codice? «Ho verificato, questa misura è nel programma del Pd». Detto proprio mentre Orfini lo definisce «un cedimento a una visione giustizialista». Il patto per cambiarlo? «Sarebbe un boomerang». Netto sullo Ius soli. «Non sono un utopista che va contro il muro. Dobbiamo cercare i voti, mettere in salvo i conti. Ma sono fiducioso che si possa aprire una finestra a novembre».

E giù la considerazione che il popolo di sinistra vuole sentire: «Non andiamo dietro le paure, questa legge non c’entra con i migranti. Sono convinto che sia un riconoscimento di diritti che già esistono e vengono praticati». Poi la stoccata: «Mi sembra che si punti di più a valutazioni elettorali che alla giustezza della legge». Quanto alla legge elettorale

Grasso ripete quello che dice da mesi, «è necessaria, perché altrimenti ci sarebbe l’ingovernabilità». Un’ultima battuta, una delle sue: «Basta usare il latino. È una bella lingua ma parlando di Tedeschellum e Rosatellum la roviniamo».

© Riproduzione riservata 29 settembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/09/29/news/l_ovazione_di_mdp_per_grasso_e_l_offerta_dei_bersaniani_puoi_essere_il_leader_-176811934/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.4-T1