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Autore Discussione: LORENZO MONDO  (Letto 69148 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Giugno 20, 2010, 08:04:36 am »

20/6/2010 - PANE AL PANE

Se la storia chiede scusa
   
LORENZO MONDO

Guerre lontane, dimenticate, se non fosse per gli strascichi dolorosi nell’animo dei sopravvissuti, per qualche inattesa insorgenza, per una occasione celebrativa o deprecativa.

Il primo ministro inglese David Cameron ha comunicato nell’aula di Westminster i risultati di una lunga inchiesta sul «Bloody Sunday», la domenica di sangue in cui, il 30 gennaio del 1972, nell’Ulster, l’esercito britannico sparò sulla folla. In tredici rimasero sul terreno e soltanto adesso ottengono giustizia: i manifestanti - repubblicani e cattolici - erano inermi, i soldati aprirono il fuoco senza preavviso e senza nessuna giustificazione. Facendo luce su quell’evento, che assunse una portata simbolica, grazie anche a una celeberrima canzone degli U2, il premier inglese ha detto che «la verità, per quanto dolorosa, non ci rende più deboli, ma più forti. Questo è ciò che ci distingue dai terroristi».

Un altro quarantennio è occorso perché, in un diverso scenario e contesto, il governo degli Stati Uniti dovesse confrontarsi con le ferite di una guerra combattuta con armi dalle conseguenze devastanti. Il presidente Obama è chiamato a una difficile decisione, se accogliere o no la richiesta del Vietnam di essere risarcito con 300 milioni di dollari per i defolianti scaraventati dagli aerei americani nella disastrosa guerra con Hanoi: dovevano stanare i guerriglieri, ma hanno provocato 200 mila vittime, con danni irreversibili sulla salute dei superstiti, e hanno desertificato ampie zone del Paese. Mettiamoci pure gli interessi commerciali e strategici con l’ex nemico, ma la consapevolezza del problema e gli aiuti già predisposti da Washington suonano come una implicita offerta di scuse.

Gli accertamenti della verità e i ravvedimenti, sia pure a cadenze generazionali, valgono più dei perduranti silenzi e mistificazioni, ma resta l’interrogativo di fondo sulle inutili violenze della storia, sul suo cammino costellato di lacrime e di sangue. Non bastano a placare il nostro turbamento le ragioni della realpolitik e nemmeno il placebo delle buone intenzioni.

Certo, in quanto esseri umani, siamo immersi nella storia, siamo partecipi dei suoi processi faticosi e contraddittori, possiamo soltanto occupare gli spazi di libertà e integrità che ci sono consentiti. Ma dobbiamo difenderci ogni volta, contro la disinformazione e la retorica, con una buona, salutare dose di disincanto.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7499&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #46 inserito:: Giugno 27, 2010, 09:23:56 am »

27/6/2010 - PANE AL PANE

Il passo falso del cardinale
   
LORENZO MONDO

Non è che meravigli più di tanto, in questi tempi, che un principe della Chiesa si trovi nel mezzo di una bufera. Ma che il cardinale Sepe sia indagato per corruzione nell’inchiesta sulle Grandi Opere è una notizia che brucia dolorosamente nell’animo dei credenti. L’attuale arcivescovo di Napoli è stato presidente di Propaganda Fide, l’organismo che presiede alle attività missionarie in ogni parte del mondo. L’ente dispone di un patrimonio di nove miliardi di euro (con 2000 appartamenti a Roma) e la cosa di per sé non suscita scandalo, dal momento che deve sostenere 1077 delle 2883 circoscrizioni ecclesiastiche del mondo, quelle delle zone più povere dell’Asia e dell’Africa. Dietro questi numeri, un occhio scevro di pregiudizi vede affiorare i volti emaciati degli ultimi della terra, la dedizione di preti e volontari che divulgano il Vangelo, costruendo scuole, ospedali, opere caritative. Conta piuttosto il modo con cui si impiegano le ingenti risorse, inseparabile dallo spirito con cui vengono promosse, senza lasciarsi contaminare da opportunismi e compromissioni con le potenze di questo mondo.

Ecco, il cardinale, che pure è diventato popolare a Napoli per le denunce contro la camorra e per il suo linguaggio da scugnizzo, è accusato di avere intrattenuto a suo tempo rapporti, e coltivato interessi di natura finanziaria, con personaggi dal non limpido profilo etico. Si tratterebbe di uno scambio di «favori», di una pratica che siamo soliti attribuire alle congreghe della politica. Stupisce che, assistito dalla millenaria sapienza della Chiesa, non abbia saputo tenersi alla larga da inaffidabili compagnie, non abbia evitato, come detta il Catechismo, «le occasioni prossime di peccato». Lascia poi interdetti, come indizio di una carente prudenza ecclesiale, la sua autodifesa che chiama in causa, pubblicamente e non nelle segrete stanze o nel confronto con i magistrati, i suoi nemici «dentro e fuori la Chiesa». Con esplicita allusione a una lotta di potere che scuote i sacri palazzi. E’ un’altra croce per Benedetto XVI, per la sua proclamata, inflessibile volontà di fare chiarezza, di non venire meno al dovere della verità. I credenti, in turbata attesa, registrano, tra tutti, un episodio minore ma emblematico della vicenda: la concessione di un alloggio in uso gratuito per anni a Guido Bertolaso, per metterlo al riparo da certi dissidi familiari. Questo, da parte di Propaganda Fide, e non per un tucul nell’Africa profonda, ma per un costoso appartamento nel centro di Roma.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7526&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #47 inserito:: Luglio 04, 2010, 08:48:03 pm »

4/7/2010 - PANE AL PANE

L'ultima offesa a Taricone
   
LORENZO MONDO

Appartengo alla minoranza (mi auguro robusta) che non ha mai visto Il Grande Fratello televisivo. Fin dall’esordio della trasmissione, ho trovato intollerabile che si abusasse, per un giocoso se non futile intrattenimento, del titolo affibbiato da George Orwell al grande dittatore nell’agghiacciante romanzo 1984. Sono rimasto pertanto basito davanti allo spazio spropositato che i media hanno riservato alla drammatica fine di Pietro Taricone: da chiedersi cosa mai occorrerebbe fare per lo scienziato che riuscisse a debellare il cancro. Comprendo la commozione, alla quale aderisco (Humani nihil a me alienum puto) per un uomo giovane, bello e simpatico tradito crudelmente dal suo vitalismo, per una vita e una lusinghiera carriera troncate dal suo «folle volo», dallo schianto col paracadute nell’aeroporto di Terni.

Trovo significativa la parabola di un ragazzo del Sud che approfitta di un successo fortunosamente azzeccato (favorito dallo scandalo di un amplesso in diretta) per dare una svolta alla sua esistenza. Perché, stando alle sue esibizioni successive e alle testimonianze degli addetti ai lavori, Taricone si è adoperato a far dimenticare l’esperienza del Grande Fratello, ha rifiutato di farsi imprigionare nel ruolo del palestrato e dello sciupafemmine a beneficio del voyeurismo televisivo. Affidandosi al salvacondotto dell’ironia e dell’autodisciplina, ha studiato recitazione, ha intrapreso una dignitosa carriera di attore, ha cercato stabilità col mettere su famiglia. Come osserva Marco Risi, «aveva scelto la professionalità contro la popolarità». Quanto basta per meritare il più condiviso rispetto.

Ma qui mi fermo. Per rilevare le reazioni, spinte fino alle lacrime, dei numerosissimi fans alla notizia della sua morte. Non era l’attore a commuoverli, ma ancora una volta il protagonista insuperato del Grande Fratello; schiavizzati dal gran baraccone televisivo, come dimostra lo stucchevole appellativo di «Guerriero» profuso nelle rievocazioni, che rimanda ad una sua vetusta, spavalda asserzione rivolta ai compagni di gara: «Io so’ un sanculotto, sono un guerriero, e non posso fare le pulizie». Hanno voluto inchiodarlo cioè a una vicenda ormai dismessa, al trash televisivo, imponendo alla sua figura, senza esserne consapevoli, l’ultimo sfregio.

Sia pace alle sue ceneri, sottratte ai rumori e al visibilio degli spettatori accomodati in poltrona davanti al piccolo schermo. Domani, con altri frusti vessilli, si ricomincia

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7555&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #48 inserito:: Luglio 12, 2010, 10:14:37 am »

12/7/2010 - PANE AL PANE

Gli sprechi e i pretesti
   
LORENZO MONDO

Nel contenzioso tra Stato e Regioni sui tagli di spesa, nel gran pasticcio delle rispettive competenze istituzionali, sulle quali plana l’ombra del vaticinato federalismo, spicca una decisione di Enrico Rossi, il presidente della Toscana.

Uomo di punta del Partito democratico, ha annunciato che chiuderà sette uffici della Regione in varie città del mondo: New York, Shanghai, Mosca, Francoforte, San Paolo, Buenos Aires, Abu Dhabi. Manterrà aperta soltanto la sede di Bruxelles. Per il sostegno alle imprese toscane (di questo si tratta, e non della superflua promozione di Firenze città d’arte) si appoggerà all’Istituto nazionale per il commercio estero e alle ambasciate.

Enrico Rossi vanta altre iniziative tese al risparmio, come la riduzione degli assessori da 14 a 10 e la chiusura di cinquanta ospedali e vari «punti nascita» periferici, senza pregiudizio per la Sanità che, proprio per avere i conti in regola, ha consentito tra l’altro l’abolizione del ticket sui farmaci.

Il suo ultimo gesto, al di là dei risultati in termini economici, acquista un forte significato simbolico. E sembra rinviare la palla al centro, richiamare alle proprie responsabilità l’Ice e le ambasciate, imputate magari di scarsa incisività.

Il governo, ovviamente, gongola perché sente legittimata la sua linea del rigore. Anche se Rossi minimizza, afferma di avere voluto semplicemente «far uscire l’argomento dalla discussione», togliere pretesti per tagli ingiustificabili e di ben altra portata. Resta il fatto che la sua decisione, assunta senza stracciarsi le vesti, dovrebbe valere come esempio, su questo e altri versanti, per molti enti locali.

L’opinione pubblica ha accolto ad esempio con scetticismo e indifferenza le proteste per la riduzione o la soppressione di finanziamenti a una serie di attività alle quali si è attribuita, con eccessiva longanimità, una valenza culturale e sociale. Penso al formicaio di festivalini, convegni, esibizionismi di varia natura che, oltre a non lasciare il segno, interessano appena i proverbiali quattro gatti. Con finanziamenti a pioggia, tanto più inopportuni quando piove a dirotto sulla nostra economia. Conta nel caso la sommatoria delle spese, che risulta comunque pesante, ma ancor più la necessità di mandare un segnale.

Ci sono parecchi intoppi da rimuovere, talora a malincuore, per lasciare spazio alle difesa delle cose di cui non possiamo assolutamente privarci.

La crisi non sarà del tutto inutile se ci convertirà a una maggiore sobrietà e oculatezza.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7581&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #49 inserito:: Luglio 18, 2010, 10:57:59 am »

18/7/2010 - PANE AL PANE

I mafiosi al santuario
   
LORENZO MONDO

Il santuario di Polsi, fondato dai monaci basiliani in fuga dall’Oriente dopo la caduta di Costantinopoli, sorge nel cuore dell’Aspromonte, in una valle di selvaggia bellezza. Ogni anno, al 2 settembre, vi convergono migliaia di pellegrini con ogni mezzo, anche a piedi, per festeggiare la Madonna della Montagna. Ne parla Corrado Alvaro in un famoso, nostalgico capitolo di Gente in Aspromonte. Ma si dà il caso che, per assumere le più solenni decisioni, si diano convegno lassù anche i capi della ’ndrangheta.

Nel corso delle lunghe indagini che hanno condotto all’arresto di trecento affiliati tra la Calabria e la Lombardia, i carabinieri hanno filmato a Polsi l’incontro che ha portato alla nomina dell’ottantenne Domenico Oppedisano a capo supremo della mafia calabrese. Un bel colpo che, al di là della circostanza, documenta ciò che tutti da quelle parti sapevano sulla particolare «devozione» dei malavitosi. L’ho appreso personalmente quando, tempo fa, ho avuto occasione di salire, per una strada accidentata, dal paese di San Luca al santuario.
Adesso il vescovo di Locri-Gerace, Giuseppe Fiorini Morosini, reagisce alle ultime notizie affermando che «Polsi è luogo di fede, non di malavita», che i boss ripresi nel video offendono l’espressione più genuina della pietà popolare. Ci mancherebbe che tanta brava gente, e meno che mai la Madonna, abbiano di che spartire con certi criminosi e blasfemi rituali.

Ma lascia insoddisfatti che la cosa appaia nelle parole del presule quasi una novità. È vero poi che in una recente omelia ha lamentato come la fede sia spesso «ridotta a gesti sporadici legati alla tradizione religiosa e culturale e compiuti durante l’anno o in certe occasioni della vita». Ma ci piacerebbe leggere nelle sue parole, abbastanza generiche e cautelose, anche un riferimento al celebrato pellegrinaggio di Polsi. Perché «la pietà popolare» non è esente da torbide contaminazioni e di questo occorre soprattutto inquietarsi, non tanto dei delinquenti acclarati che giurano sul Vangelo o tengono in casa i santini della Madonna. Un amico, accennando alle case nuove che fanno cintura al vecchio abitato di San Luca, mi confidava che a ciascuna di esse corrispondeva un sequestro.

E penso allora all’esorbitante e ramificato intreccio di famiglie mafiose sul territorio, all’omertà dettata dall’interesse e dalla rassegnazione, all’ancestrale e pagano legame tra fede e violenza. I giuramenti nefandi dei boss rappresentano soltanto l’escrescenza di una situazione drammatica che va denunciata senza eufemismi, sceverando con rigore il grano dal loglio infestante

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7608&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #50 inserito:: Luglio 25, 2010, 12:23:23 pm »

25/7/2010 - PANE AL PANE

Vittime della barbarie
   
LORENZO MONDO

Assegniamo a questa estate torrida anche un possibile, agghiacciante primato. Una sommaria contabilità ha stabilito che in Italia, nel solo mese di luglio, sono state assassinate nove donne. Ancora ieri, nei pressi di Roma, un uomo ha ridotto in fin di vita, dandole fuoco e dopo averla stuprata, l’ex moglie che lo aveva denunciato per maltrattamenti. Sono diverse le motivazioni di questa ferocia. Ci sono uomini che non sopportano di essere stati abbandonati dalla persona con cui hanno convissuto o che non accettano un rifiuto delle loro profferte amorose. Altri sono mossi da una belluina foga sessuale o dall’avidità, da qualche premeditata forma di sfruttamento, o dalla semplice intolleranza per chi, magari in famiglia, osa opporsi alla prepotenza del maschio. Colpisce in ogni caso che tante vittime della furia omicida appartengano al genere femminile.

Il fatto non si spiega soltanto con la relativa inermità della donna, con una prevaricazione favorita dalla forza fisica dell’aggressore. C’è qualcosa di più che rimanda, negli assassini, a pulsioni ancestrali. La donna, da tempo e per gradi, è riuscita ad acquisire nei nostri Paesi i diritti che competono all’uomo e che nessuno, per quanto riguarda la famiglia, il lavoro, i comportamenti sociali, mette formalmente in dubbio. Ma resiste nelle latebre di menti oscurate e retrive (non necessariamente malate) la persuasione che essa sia in fondo oggetto di inalienabile possesso. E’ il lascito di millenni di sottomissione femminile, quella predicata e praticata, con poche eccezioni, in tutte le culture, da Oriente a Occidente. Una sottomissione che produce, in situazioni estreme, disvalore e disprezzo.

La cronaca nera presenta in questi giorni un caso che, nella sua anomalia, appare per certi versi emblematico. Riguarda il serial killer che ha ucciso in Friuli due prostitute. Erano due donne avvenenti, che offrivano facoltose prestazioni. L’uomo, dopo averle abbordate via internet, ha agito non per brama sessuale ma per impadronirsi del loro denaro. Le ha abbattute a bastonate e le ha finite, non curandosi delle loro implorazioni, con i dardi scagliati da una balestra. Era infatuato di quell’arma medioevale che portava sempre con sé e che diventa quasi l’icastico segno di una perdurante barbarie. Con essa, in tempi apparentemente così alieni, dobbiamo fare i conti. Non soltanto, beninteso, a beneficio delle donne, delle nostre impareggiabili compagne di vita

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7638&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #51 inserito:: Agosto 08, 2010, 09:44:54 am »

8/8/2010 - PANE AL PANE

A Bronte non è colpa di Garibaldi
   
LORENZO MONDO

Un sedicenne che ammazza a coltellate un tredicenne, durante la lite per una ragazzina contesa. E’ accaduto a Bronte, un paese alle falde dell’Etna, felicemente noto per la produzione di inarrivabili pistacchi. Suscita turbamento questa storia di precoce gelosia, questa riproposizione di uno scontro da «cavalleria rusticana» che coinvolge due minorenni, sebbene uno di essi fosse armato soltanto delle proprie mani.

E’ inutile e ingeneroso accanirsi sulla figura del giovane assassino, che merita qualche attenuante poiché appartiene a una famiglia dissestata, con il padre in carcere e la madre che ne è da poco uscita per spaccio di droga. Una vicenda penosa, su cui non ci sarebbe molto da dire e resterebbe soltanto da compatire, se non fosse per certe reazioni che è accaduto di sentire e che sono il sintomo di un persistente costume.

Appaiono scontate le parole della madre in lacrime che giura sulla bontà del suo ragazzo dalle mani sporche di sangue. Le fa eco il comandante dei carabinieri, il quale afferma che l’assassino non aveva precedenti penali (quasi ignorasse che esiste una prima volta e che a quell’età è possibile recuperare). E tende a ritenere che egli volesse solo spaventare il rivale, come suggerirebbero le ridotte dimensioni del coltello. Poco importa che sia bastato a uccidere e a provocare uno squarcio nella mano di un amico che era intervenuto per dividere i contendenti.

Hai la sensazione di un atteggiamento più che pietoso riduttivo, a partire dal fatto sottovalutato che troppi da quelle parti usino ancora portarsi in tasca un coltello. Peggio accade quando interviene, a chiarire, lo psicologo di turno, secondo il quale Bronte, scenario di frequenti violenze, non «ha ancora elaborato il trauma collettivo dei fatti del 1860, la sconfitta, l’ingiustizia subita, e insieme il senso di colpa»: alludendo con questo alla feroce rivolta contadina, altrettanto ferocemente repressa da Nino Bixio, emissario di Garibaldi, durante l’impresa dei Mille.

Il solo a vederci chiaro sembra essere il sindaco di Bronte, che denuncia «la ferocia e l’indifferenza» esistenti purtroppo nella sua comunità e foriere di altre vittime innocenti. A questo occorre mettere riparo, e il primo passo consiste nel tenere gli occhi aperti senza ricorrere a patetiche, insostenibili giustificazioni o alla fatalistica rassegnazione. Senza addebitare a Garibaldi la colpa di certe primitive sopravvivenze.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7691&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #52 inserito:: Agosto 23, 2010, 05:59:25 pm »

23/8/2010 - PANE AL PANE

Ma l'Italia non è Somalia
   
LORENZO MONDO

È passato il Ferragosto, ma l’ipotizzato sgombero dei somali che hanno occupato abusivamente l’ex caserma dei vigili a Torino, non è avvenuto. Toccherà aspettare un’altra estate? L’indugio sull’episodio è giustificato da una serie di motivi, al di là del fatto nudo e crudo che, d’altronde, non è senza precedenti in città. Va sottolineato innanzitutto il modo in cui i 15 profughi hanno preso possesso del malandato edificio, già messo in vendita da un Comune a corto di fondi. Eran 300 quando sono stati sloggiati da un’altra ex caserma, concessa come rifugio temporaneo, ma solo i 15 sono stati accompagnati, non si sa bene da chi, su un autobus del servizio pubblico, a sfondare le porte di quella che proclamano essere la loro nuova casa. Registriamo questa operazione impunita e farsesca che la dice lunga sulla capillare inosservanza della legge e sulle complicità che ostacolano, nel campo del soccorso umanitario e della sicurezza, ogni benintenzionata iniziativa.

E qui entra in gioco il sindaco Sergio Chiamparino, che tiene duro sulla necessità di un sollecito allontanamento degli occupanti, ai quali era stato proposto «un programma di inserimento con relativo sostegno economico». Chiamparino è uomo d’onore e non c’è da dubitare delle sue parole, tanto più che la maggior parte del gruppo originario dei rifugiati ha accettato l’offerta. Restano i pochi irriducibili, aizzati a suo dire dai Centri sociali e da Rifondazione comunista. Ma allora il discorso si allarga, investe l’offensiva di Chiamparino, condotta in campi diversi, per dare credibilità a una sinistra non ottusa che, puntando sulla civile ragionevolezza e sul diffuso sentimento popolare, trovi la capacità di giocare la sua partita nell’arengo della politica nazionale. Quanto agli irriducibili profughi, bisognerebbe almeno persuaderli che qui, nonostante le nostre magagne, non ci teniamo ancora a diventare Somalia. E affiora un secondo pensiero che si tende a rimuovere. Non possiamo giudicare i criteri con i quali viene concessa la qualifica di rifugiati politici (che si potrebbe estendere paradossalmente a mezzo mondo). Ma sorprende il fatto che nessuno di questi abbia mai pensato, invece di trasferirsi in una Italia malamata e vituperata, di lottare per la libertà e la dignità del proprio paese. Potrebbero magari tornarci, dopo avere imparato, istruiti da qualche zelante patrocinatore, le note baldanzose di Bella ciao.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7735&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #53 inserito:: Settembre 12, 2010, 08:40:33 am »

12/9/2010 - PANE AL PANE

Corano bruciato e donna lapidata?
   
LORENZO MONDO

Il mondo in balia di un idiota. È l’esatto e lapidario giudizio espresso sulla pensata del reverendo, si fa per dire, Terry Jones, pastore di una minuscola, insignificante Chiesa battista degli Stati Uniti, che ha promesso di bruciare pubblicamente alcune copie del Corano.
Immediata è stata la reazione del generale Petraeus, comandante delle truppe americane in Afghanistan, contro un gesto delirante che - ha detto - potrebbe causare la morte di molti dei suoi soldati. Ma non è soltanto quel teatro di guerra, dove opera il fondamentalismo talebano, a essere in ebollizione.

Crescono le proteste e si minacciano attentati in varie parti dell’ecumene islamica. C’era in fondo da aspettarselo: le famose vignette satiriche su Maometto, che avevano già suscitato tanta rabbia, sono sopravanzate dall’oltraggio al libro sacro che, per i musulmani, non venne ispirato ma dettato da Dio, virgola dopo virgola, al suo profeta.

Noi, cristiani o agnostici, pur deplorando il rogo spettacolare di un libro, caro a moltitudini di credenti, assistiamo con apprensione alla persistenza di un radicalismo religioso così primitivo e minaccioso. Così esteso, al confronto delle minoranze fondamentaliste che allignano nell’americana «cintura della Bibbia».

Chi bruciasse una Bibbia, con tutta l’enfasi possibile, passerebbe da noi inosservato e non, necessariamente, per indifferenza nei riguardi del sacro testo. Perché varrebbe semmai, in linea con i suoi insegnamenti, la sollecitudine per le persone. Nella particolare contingenza, ci preoccupa la sorte delle comunità cristiane del Medio Oriente che, già perseguitate oltre misura, rischiano adesso di pagare un ulteriore tributo di sangue.

Ma non si tratta soltanto d’una questione, per così dire, di famiglia. Accanto agli stolidi propositi del signor Jones abbiamo letto sui giornali, con inquietante coincidenza, i malcerti sviluppi del caso Sakineh, la donna iraniana condannata a morte (l’esecuzione della sentenza è stata sospesa solo provvisoriamente). Non vorremmo che un rogo cartaceo offrisse un pretesto agli ayatollah di Teheran per procedere alla lapidazione effettiva di una donna, in spregio alla mobilitazione degli occidentali «sacrileghi» per la sua salvezza.

Lo «scontro di civiltà» previsto dal politologo Hungtinton si scongiura, oltreché dialogando con l’Islam moderato, evitando anche offensive provocazioni.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7820&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #54 inserito:: Settembre 19, 2010, 06:18:42 pm »

19/9/2010 - PANE AL PANE

Il Papa a Londra nel solco dell'eterno
   
LORENZO MONDO


La visita di Benedetto XVI in Gran Bretagna - la prima visita di Stato da parte di un Papa - suggerisce un garbuglio di estemporanee considerazioni. Essa intanto sancisce formalmente il superamento, in sede storica, dell’inimicizia tra la Chiesa di Roma e la nazione plasmata, 500 anni fa, dallo scisma di Enrico VIII.

La persistenza di atavici pregiudizi - di natura teologica e politica - contro i «papisti» non ha più ragion d’essere in una società aperta come quella inglese, per di più segnata profondamente dal multiculturalismo e dall’agnosticismo. D’altra parte, le persone colte hanno dovuto apprezzare per tempo, oltre alla lealtà, la vivacità della minoranza cattolica: insieme alla figura del cardinale Newman, che il Papa è venuto a beatificare, basti ricordare eminenti poeti come il gesuita Gerald Manley Hopkins e l’anglocattolico Eliot, i romanzieri Chesterton e Graham Green. E, più su, all’epoca della grande frattura, l’inobliabile e archetipica presenza di Tommaso Moro, martire della libertà di coscienza.

Assistiamo oggi al paradosso di una Chiesa anglicana, cardine delle istituzioni britanniche, che si presenta afflitta, tra l’accesa controversia e l’inclinazione alla diaspora, da una profonda crisi. Questo non autorizza sentimenti di rivalsa da parte dell’interlocutore.
Il Papa, consapevole di una irreligiosità che non concede tregua a nessuna fede, esorta invece alla difesa delle comuni radici cristiane, contro un «secolarismo aggressivo». Anche se un altro nemico, che ha il volto del fondamentalismo islamico, si è affacciato a turbare il suo viaggio di amicizia con i fratelli separati e di apertura verso lo stesso Islam. Sei spazzini di etnia araba sono stati arrestati per il sospetto che tramassero un attentato sulla strada percorsa da Benedetto XVI. Tutto deve essere ancora accertato, ma intanto è squillato un campanello d’allarme in una Londra memore della strage perpetrata da cittadini inglesi di fede musulmana nel luglio del 2005.

Forse le contestazioni mosse al Papa da certi movimenti (concernono i sacerdoti pedofili, i diritti degli omosessuali, le donne prete) troveranno compensazione in un più diffuso sentimento di unità davanti a un pericolo comune, emblematizzato, nell’attuale circostanza, dalla persona di un Papa eletto a bersaglio. Luci e ombre di un viaggio che, muovendosi attraverso i rivolgimenti e le contraddizioni di una storia secolare, non intende smarrire il solco dell’eterno.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7850&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #55 inserito:: Ottobre 03, 2010, 12:16:32 pm »

3/10/2010 - PANE AL PANE
 
Il dono prezioso della piccola Idil
 
LORENZO MONDO
 
Grazie Idil, profuga minima dell’infuocata Somalia, grazie ai tuoi sette etti e mezzo di vita che lottano strenuamente per durare. Sei la protagonista di una storia eccezionale, perché venuta alla luce dopo essere stata custodita e nutrita per un mese nel ventre della tua madre morta. Ci commuove questa trasmissione inconsapevole dello spirito vitale che ti ha fatto varcare, tutta sola, il buio prenatale, mentre tenevi ancora un piede nell’aldilà. Così, nel tuo corpicino sembrano raccogliersi le suggestioni di miti e favole antiche, prendere forza, a beneficio di tutti, il sentimento della speranza.

Questo è avvenuto, beninteso, con l’assistenza di medici ai quali non fanno difetto sapienza e umanità. Ma la tua nascita è arrivata nel mezzo di polemiche e sospetti che chiamano in causa la malasanità: una parola nella quale si fanno convergere le deficienze delle strutture ospedaliere e la carente professionalità del personale sanitario. Nell’arco di un mese, si sono moltiplicate le accuse per fatti che hanno comportato, dal Nord al Sud della Penisola, la morte di madri o neonati. Stando alle recriminazioni e denunce, il nostro Paese sarebbe funestato, senza il concorso di Erode, da una strage di innocenti. Inutile osservare che, secondo attendibili statistiche, l’Italia registra al riguardo indici di bassa mortalità che molti ci invidiano. Escludendo gli errori marchiani e i casi conclamati di incuria, come i litigi in sala parto, resta l’impressione che non si accetti l’incidente inevitabile, contro cui non valgono scienza e coscienza. Il dolore spesso non conosce ragioni e merita rispetto. Meno persuade l’atteggiamento di certi parenti delle vittime che, prima ancora di asciugarsi le lacrime, invocano risarcimenti, non soltanto morali, per il danno sofferto.

Tant’è che i ginecologi si sentono sotto attacco e manifestano pubblicamente il loro disagio: «Di giorno siamo in trincea alle prese con il dilemma del tipo di parto da eseguire, di notte non dormiamo più per l’incubo delle denunce». Grazie allora a Idil, anche perché il felice esito della sua nascita avventurosa apre uno spiraglio di riconoscimento e fiducia per i molti medici e infermieri che prestano la loro opera con abnegazione. Uscendo dall’ombra soltanto in casi che colpiscono l’immaginazione e fanno titolo sui giornali. Non confondiamoli con i lestofanti, di ogni genere e specie, che pullulano purtroppo nel nostro Paese.

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« Risposta #56 inserito:: Ottobre 10, 2010, 09:37:35 am »

10/10/2010

Gite scolastiche rinunciare si può
   
LORENZO MONDO

Tra le tante proteste, più e meno motivate, degli insegnanti contro i tagli del governo sul sistema scolastico, si affaccia la minaccia di non prestarsi più ad accompagnare gli allievi nelle gite o, detto con parole più impegnative, viaggi di istruzione.

I malumori sono comprensibili, si tratta per loro di ore perse e non retribuite, di un superlavoro faticoso che comporta notevoli responsabilità. Meno comprensibile, senz’altro eccessivo, il lamento sul danno che soffrirebbero i ragazzi se fossero privati di questa forma di vacanza. In realtà, è il caso di dire, non tutto il male vien per nuocere.

C’è da considerare, innanzitutto, il profilo etico della questione. Si è affermato infatti nelle scuole italiane un andazzo che prevede trasferimenti per più giorni in luoghi lontani e di forte richiamo turistico, a costi piuttosto elevati. È una scelta che diventa discriminatoria per i non abbienti, penalizzante anche se i loro genitori, per evitare frustrazioni, devono sottoporsi a sensibili sacrifici.

Mentre le famiglie con maggiori disponibilità potrebbero provvedere da sole, senza il supporto della scuola, a «istruire» i loro rampolli. Basterebbe semmai, a stimolare sensibilità e intelligenza, scandagliare la regione di provenienza, facilmente accessibile da ogni punto di vista. Non c’è territorio, in qualunque plaga d’Italia, che sia avaro di offerte paesaggistiche, artistiche e storiche. Con le dovute eccezioni, appare dubbioso anche il profitto che si trae da siffatte spedizioni. I docenti si trovano sovente alle prese con allievi indisciplinati e tardi, devono contrastare (parlo di ragazzi delle scuole superiori) le loro pulsioni trasgressive, tra amoreggiamenti e soste in birreria.

L’ultimo pensiero dei discenti sono i musei, le cattedrali, le testimonianze storiche che dovrebbero essere l’obbiettivo primario del viaggio. Assistono annoiati alle spiegazioni, riservate di solito a una piccola covata di resistenti; rumoreggiano disturbando i visitatori e bisogna stare attenti - professori e custodi di musei - perché non facciano danno.
Rabbrividisco ancora al ricordo di uno zaino strusciato ribaldamente contro un affresco in quel di Ferrara. Insomma, il «viaggio di istruzione» si risolve spesso in pura perdita sotto il profilo conoscitivo. E non sarà la minacciata sospensione, o un più sobrio contenimento - se ne persuadano gli insegnanti protestatari - a turbare la nostra coscienza

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« Risposta #57 inserito:: Ottobre 17, 2010, 03:46:54 pm »

17/10/2010 - PANE AL PANE

Quando vincono le buone notizie
   
LORENZO MONDO

Che sollievo! È quello che abbiamo provato per il salvataggio dei 33 minatori cileni rimasti intrappolati per 60 giorni nelle viscere della terra. Ma anche, ad un secondo pensiero, per l’attenzione provocata nei media, con alti indici di ascolto, da una buona notizia: caduta nel bel mezzo del parossismo innescato dal nefando delitto che ha avuto come vittima Sarah, la ragazza di Avetrano.

Il crimine, si sa, è una irriducibile passione mediatica nazionale. Non c’è altro paese che dedichi altrettanto spazio, attraverso i dibattiti di giornali e televisioni, alle efferatezze della cronaca nera. Quando non basta la stretta attualità, si ripropongono, aggrappandosi a pseudonotizie e futili pretesti, fatti di sangue dei quali si sarebbe persa memoria.

Dove si tratti dell’onesta testimonianza di un diffuso malessere nazionale o di un voyeurismo callidamente indotto, è materia di sociologi e psicologi. Certo non dovrebbe considerarsi ineluttabile questo appiattimento sulle manifestazioni più sconfortanti dell’agire umano (e mettiamoci in coda le non edificanti rissosità che contraddistinguono la vita politica, le scempiaggini e le volgarità che imperversano negli spettacoli di intrattenimento televisivo).

La storia della miniera di Atacama sta a dimostrare che è possibile e fruttuosa una immissione di aria pulita nelle rappresentazioni irrespirabili che ci vengono fornite del mondo in cui viviamo. Senza indulgere con questo a edulcorate, pacificanti considerazioni.
Alla base di Esperanza si sono registrate, da parte dei minatori e dei soccorritori, toccanti prove di coraggio e solidarietà, perfino di attaccamento alla comunità nazionale, che ci riconciliano con la specie umana. Abbiamo apprezzato le risorse tecnologiche e l’efficienza progettuale che hanno permesso di condurre a buon fine le operazioni di soccorso. Ma non si possono dimenticare le condizioni di lavoro degli uomini del sottosuolo, le vittime, nello stesso Cile, di altri precedenti disastri.

Può infastidirci il corteggiamento mediatico che rischia di «guastare» gli scampati, l’eventuale sfruttamento politico dell’impresa. Resta tuttavia, al netto, la positiva conclusione della vicenda. Si tratta ovviamente di un caso eccezionale, che ha suscitato una speciale emozione perché sfiorato, fino all’ultimo, dall’ala della tragedia. Eppure lascia sospettare che tanta gente sia disposta ad appassionarsi, non solo per l’orrore e l’insipienza, ma anche per la quotidianità delle «buone notizie».

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« Risposta #58 inserito:: Ottobre 24, 2010, 10:36:58 am »

24/10/2010 - PANE AL PANE

Rifiuti spazzati da un segnale forte
   
LORENZO MONDO

Davanti alla disastrosa invasione dei rifiuti napoletani e all’incapacità di provvedere al loro pacifico smaltimento, vien da fare un «modesta proposta», che potrebbe essere suggerita dal reverendo Jonathan Swift di graffiante memoria: perché non mangiarli, questi rifiuti? Si potrebbe rispondere così alle parole, in fondo non meno surreali, del vescovo di Nola, che si è schierato con i Comuni vesuviani avversi alla nuova discarica, rammentando che «la legge è per l’uomo e non l’uomo per la legge». Perché queste e altre considerazioni, accettabili in linea di principio, non sanno spiegare come si debba affrontare un evento che getta ombre funeste sulla vantata solarità del Golfo.

Esistono certo grosse responsabilità, a monte e a valle, che si sono taciute per insipienza e complicità. Per tanti anni ci si è illusi che bastasse trasferire, con grande dispendio, la «monnezza» napoletana sui treni avviati in Germania e sulle navi in Sardegna. Ma la festa è finita. E ci troviamo a deprecare che non si sia proceduto con rapidità e fermezza alla creazione di termovalorizzatori, che non si sia almeno imposta la raccolta differenziata dei rifiuti. A Napoli essa si attesta al 15% e rende inevitabile, per quanto si strilli, il ricorso alle discariche. Se quelle esistenti non sono state gestite correttamente, appare comprensibile la protesta delle popolazioni. Ma questa pagina nera del Sud certifica anche la dissoluzione di ogni spirito di solidarietà. Come dimostra tra l’altro il rifiuto opposto dalle province di Caserta, Avellino e Benevento ad accogliere parte dell’immondizia prodotta nel Napoletano. Tante ombre che si affacciano sul richiesto federalismo «solidale».

Intollerabile è comunque la guerriglia scatenata a Terzigno e dintorni, che denuncia una inquietante arrendevolezza dello Stato davanti alla criminalità. Perché, inutile nasconderselo, il tricolore bruciato dai rivoltosi accenna, più che a tentazioni secessionistiche, alla non esibita bandiera della camorra. Che fare, in tanto dissesto ambientale e sociale? A conti fatti, non sembra possibile rinunciare alla contestata, seconda discarica, garantendo in modo chiaro e sollecito le compensazioni previste per i territori coinvolti. E dando finalmente segnali forti, non compromessi da ritardi di natura burocratica e malavitosa, su interventi strutturali che rasserenino l’orizzonte della Campania. Perché Napoli, nella sua disperata vitalità, continua a eruttare tonnellate di maleodoranti rifiuti

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« Risposta #59 inserito:: Ottobre 31, 2010, 10:31:08 pm »

31/10/2010

A cosa serve la Lega del Sud?

LORENZO MONDO

È stata annunciata a Palermo la nascita di un nuovo partito, che si chiamerà «Forza del Sud». È la creatura vagheggiata da Gianfranco Miccichè, sottosegretario nel governo Berlusconi: una Lega meridionale che dovrebbe ramificarsi in Calabria, Puglia, Campania e bilanciare, a destra, il peso che la Lega Nord di Umberto Bossi esercita sul governo. Secondo le parole del fondatore, resterà ancorata al Pdl, prendendo semmai le distanze da quella parte del partito di Berlusconi rappresentata nell’isola dal Guardasigilli Angelino Alfano e dal presidente del Senato, Renato Schifani.

Ma distinguendosi anche dal governatore Lombardo, che ha aperto la sua giunta a un’alleanza variegata che include il Pd ed esclude proprio Forza Italia. Il Lombardo che, per parte sua, non perde occasione, giocando di rimessa, per mettere sotto accusa il Risorgimento e vantare il progresso morale e civile del governo borbonico, dicendosi favorevole al federalismo e perfino alla secessione. Più che l’unità d’Italia sembrerebbe per il momento in gioco l’unità della Sicilia.

Non è un bell’inizio per Miccichè, il quale si propone di sbaragliare gli avversari, forte dei clamorosi consensi ottenuti per il Cavaliere nelle elezioni regionali del 2001. Ma la partita vera riguarda il confronto emulativo con la Lega Nord. Intendiamoci, non è che le genti del Sud non abbiano il diritto di esprimersi per un autonomo reggimento. Ma il partito di Bossi è stato ed è avvantaggiato da alcune non trascurabili circostanze.

È nato dal declino della Prima Repubblica, che ha spazzato via o indebolito i partiti esistenti lasciando libero il campo per nuove formazioni. Non è ciò che accade propriamente oggi, dove di partiti, esposti a un’amebica frantumazione e moltiplicazione, ce ne sono anche troppi. In secondo luogo, occorre tenere conto del divario economico ed efficientistico che divide il Nord dal Sud. Il federalismo «virtuoso» che entrambe le leghe, almeno a parole, propugnano, presenta ben altre difficoltà per un Meridione gravato da impressionanti dissesti e inadempienze. Tuttavia, mai dire mai, lasciamo aperto qualche spiraglio all’ottimismo.

Auguriamoci che tutto, nell’orgogliosa Trinacria, non si risolva nelle solite faide tra cacicchi, nelle contrapposizioni personalistiche disposte ai più mirabolanti trasformismi, a mascherare non limpidi interessi impastando in un solo calderone destra e sinistra, garibaldini e mafiosi, federalismo e antirisorgimento. La Sicilia, e non soltanto, ha bisogno d’altro

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