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Autore Discussione: ADINOLFI -  (Letto 70911 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Luglio 08, 2008, 10:32:23 am »

7 luglio 2008,

La proposta è la democrazia diretta




In questi anni di battaglia direttista sul web e nei territori propri della politica (partiti ed elezioni), abbiamo speso molto tempo alla definizione del nostro messaggio utilizzando tutti gli strumenti a disposizione, dai blog alle occasioni mediatiche che ci sono state fornite. Da qualche anno abbiamo consegnato l'idea di democrazia diretta nei confini dell'area del centrosinistra e dalla nascita del Partito democratico ne abbiamo fatto parte, con un qualche protagonismo che ci viene riconosciuto, anche se il dato numerico di consenso raccolto pare a molti essere esiguo (anche se il fatto che in Italia nel Pd esistano qualche migliaio di direttisti io continuo a non considerarlo un elemento di secondo piano, anzi).

Comunque, non è nella dimensione quantitativa che valutiamo l'impatto dell'idea di democrazia diretta come contributo al dibattito politico. L'esperienza di Generazione U è stata sempre considerata, forse anche a causa del nome che abbiamo scelto per questa aggregazione di blogger, come una mera rivendicazione basata sull'età anagrafica delle classi dirigenti. Al centro della "U" c'è invece la questione dell'inversione di rotta rispetto a un sistema che si stava consegnando o forse oggi si è consegnato all'idea che la democrazia sia di fatto un impaccio, un sistema decrepito da oltrepassare di fatto attraverso l'investitura di leadership carismatiche a cui delegare ogni forma di decisione.

Contro questo viaggio verso il territorio di una democrazia sostanzialmente sempre meno forte, sempre meno valore-in-sé determinante, noi abbiamo proposto l'iper-democrazia della rete, vista non come mezzo tecnologico ma come messaggio politico realizzato. E' una proposta che abbiamo consegnato alla battaglia interna nel Partito democratico che, pur con le sue mille contraddizioni, è comunque il partito delle primarie, strumento principe della democrazia diretta, come dimostra il sistema americano che alle ultime primarie ha visto la partecipazione di milioni di giovani cittadini alla selezione dei candidati per il ruolo politico più importante del pianeta.

A questa nostra generazione di aspiranti dirigenti del Pd, è stato sempre rimproverato di non avere una proposta politica alternativa alle oligarchie che intendiamo sostituire. Non è così, lo abbiamo dimostrato anche con il lavoro programmatico elaborato alle primarie. Ma, soprattutto, noi siamo i portatori di una proposta di metodo che avrebbe impedito lo scivolamento nell'autoreferenzialità priva di responsabilità propria dell'attuale vertice "democratico". La proposta è la democrazia diretta interna al partito e un sistema a prevalente democrazia diretta per l'Italia: il contrario esatto dello scivolamento verso il totalitarismo a cui stiamo assistendo in queste settimane, il contrario esatto di caminetti, liste bloccate, cavalli di Caligola fatti deputati e senatori e ministri. Per questo abbiamo scelto, come direttisti, un partito che si proclama "democratico". Alla direzione nazionale del Pd di giovedì porteremo questo contributo.


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« Risposta #46 inserito:: Luglio 10, 2008, 10:10:58 am »

8 luglio 2008,

Perché attaccare Grillo è un errore


Nel giorno di piazza Navona (a cui io vorrei partecipare, ma non parteciperò per i già spiegati motivi) il mio partito si conquista i titoli dei quotidiani on line con un ormai consueto "attacco a Beppe Grillo". Sarà ormai un anno che provo a spiegare ai democratici che comandano che attaccare Grillo è un errore di metodo e di merito. Sarà il caso di ripetere le mie ragioni e sperare in un livello di ascolto maggiore la prossima volta. A scanso di equivoci, anche queste argomentazioni insieme a quelle di ieri proverò a ripeterle nella riunione della direzione nazionale del Pd in programma per giovedì.

Beppe Grillo può non piacere, è ovvio e il perché l'abbiamo sottolineato qui molte volte: propone un approccio distruttivo alla questione politica, è irrispettoso anche verso chi forse merita più rispetto, non accetta il contraddittorio, ha condotto una campagna con toni e metodi messianici, propri a volte del pifferaio magico più che del maieutico. E poi Beppe Grillo può non piacere perché dice alcune verità.

Dietro quelle verità e dietro un uso rivoluzionario dello strumento blog, aiutato dalla maestria dello Studio Casaleggio e Associati, si è formato un popolo. Io ho partecipato ad entrambi i V-Day (8 settembre e 25 aprile). Al primo V-Day ero candidato alle primarie, al secondo da pochissimo reduce dalla candidatura alla Camera per il Pd. Ebbene, ho trovato attorno a me solo simpatia e voglia di discutere. Ho trovato una valanga umana composta da giovani e giovanissimi, accomunati da un dilemma attorno al territorio del non voto. Insomma, sono sfacciato se dico che la riconquista di consenso, l'allargamento della platea di voti potenziali per il Pd, dovrebbe partire dal popolo di Grillo?

Guardate, non è un popolo giustizialista e neanche banalmente qualunquista. E' un popolo composto da persone consapevoli, che utilizzano il web quotidianamente e dragano quotidianamente le informazioni necessarie a nutrire la loro indignazione verso un paese che li espelle, li vuole lontani. Chiedono ascolto e chiedono democrazia. Lo striscione più bello durante il primo V-Day era quello che, orgoglioso della marea di gente che si ritrovava a piazza Maggiore a Bologna, recitava: "Ignorateci, adesso".

La politica che ignora questo popolo così nuovo, così non incasellabile nelle vecchie categorie giacobine e girotondine anche per un fattore generazionale, rende un cattivo servizio a se stessa. Un Pd che continua ad attaccare questo popolo, non capisce che quel popolo sarebbe il suo lievito.

E', in fondo, il popolo della rete: privo di un passato ingombrante e ricattabile, dunque carico di futuro.


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« Risposta #47 inserito:: Luglio 11, 2008, 10:33:53 pm »

10 luglio 2008, 19.42.31

Uccidere il padre, ma anche la madre


Si annuncia un fine settimana piuttosto fitto e sarà il caso di spiegare perché, invece di andare a caccia di un po' di riposo o di un po' di mare o di mia figlia rifugiata in Toscana o di far semplicemente quel che più mi aggrada, finirò per trascorrere almeno quarantotto ore tra eventi politici curiosamente entrambi convocati da organizzazioni che si riferiscono al numero "mille", anche se i tre zeri sono ben lontani dal raggiungerli.
 
Venerdì mattina andrò a parlare all'assemblea dei Mille di Marco Simoni e Ivan Scalfarotto, direi anche di Luca Sofri ma il mio amico Wittgenstein è un po' di braccino corto, si lamenta sempre che c'ha altri cavoli da fare e che non lo convocano in tempo e lui butta i soldi dell'aereo e così, forse per recupero costi, pare che non parteciperà all'evento che pareva da lui stesso convocato. Secondo me è per ragioni del genere, attinenti a pigrizia, snobismo e avarizia di sé e scarsa dimestichezza con le regole zozze della politica vera (che è sangue, un po' di merda e tanta fatica quotidiana spesso inutile), che questa nostra generazione non arriva mai da nessuna parte. Altra ragione è che tra noi siamo spesso a guardarci come cane e gatto, invece di fare rete sul serio, allora salutiamo positivamente il fatto che almeno domani a piazza Sant'Andrea delle Fratte ci ritroviamo in molti e che il titolo dell'iniziativa di questi Mille qui è: "Uccidere il padre". Roba molto contundente, roba che fa molto Generazione U, poi però ti accorgi che tra quelli che dovrebbero uccidere il padre è annunciata in pompa magna Giovanna Melandri e subito mi viene in mente un veltronianissimo: uccidere il padre, ma anche la madre.

Comunque. Sabato ho promesso a Marco Cappato che andrò all'hotel Ergife a dire due cose agli altri Mille riuniti, quelli radicali e socialisti, che si rivedono dopo il raduno di Chianciano. Anche lì, si ragiona e si pensa e c'è quella sensazione di pestare di continuo l'acqua nel mortaio delle idee, ma almeno di idee si parla e allora qualcuna andiamola a portare, magari modesta, ma pur sempre idea. L'impostazione dell'assemblea dell'Ergife, con Pannella e Del Bue a fare da dei-ex-machina, è comunque molto aperta e dunque interessante.

All'Ergife la cosa continua anche domenica e anche gli altri Mille vanno avanti fino a domenica e magari faccio un salto qua e uno là, sperando di recuperare vigore, che la sensazione che mi attraversa è di profonda stanchezza accompagnata ad un qualche sapore di inutilità di ogni sforzo. Ma sarà tutto momentaneo, no? Ci tornerà la voglia.

La direzione nazionale del Pd, che doveva esserci oggi, è stata spostata a martedì. Luca Sofri ancora smadonna. Io spero che per martedì mi sia tornata la voglia di combattere, anche grazie a qualche idea rubata al fine settimana.

Dai, dai, dai.

(è solo una citazione da Boris)

ps: se poi per caso avete tempo da perdere sabato sera, alle 21 parlo alla festa dell'Unità di Roma, nell'ambito del ciclo di dibattiti organizzati dalla libreria Rinascita


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« Risposta #48 inserito:: Luglio 12, 2008, 11:42:59 pm »

 12 luglio 2008,

Notizie dai Mille


Se volete notizie dall'assemblea dei Mille, quelli con Scalfarotto, vi segnalo il sito ufficiale con la relazione di Simoni più un paio di post pepati usciti sulla rete. Le foto invece le ha scattate Carlo Traina, lo ringrazio, perché m'ha spiegato bene che forse è ora di tagliare la barba.



Per quanto riguada i Mille di Pannella, da quelli ci vado tra poco e se proprio non riuscite ad aspettare fino a domani, stasera vi racconto qualcosa alla Festa dell'Unità: parlo allo stand di Rinascita dalle 21.

C'è pure gente più interessante di me, che quando c'ho caldo sono fiacco (tipo Michele Mezza e Enrico Menduni, per capirci, mica i soliti ragazzini in cerca di gloria).

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A magliettate

11 luglio 2008, 17.09.00

La scena è andata più o meno così. Esauriti gli interventi alla lettera A (tra cui Adinolfi Mario) e quelli alla lettera B (tra cui Bianchi Diego, detto Zoro), comparso il commissario del popolo Walter Verini che si accertava che tutti quelli che dovevano intervenire dopo fossero bravi ragazzi rispettosi, da dietro il muro della sala grande della sede nazionale Pd di via Sant'Andrea delle Fratte dove i Mille si riunivano per "uccidere il padre", è comparso il padre.

E io mi sono detto: adesso, sai come volano i coltelli, sai che randellate che gli tirano, a Walteri', stavolta so' cavoli tuoi. Invece Ivan e Marco chiamano l'applauso, porgono una maglietta arancione come gentile ricordo e nella terrazza grande della sede nazionale Pd di via Sant'Andrea delle Fratte io girovagavo senza entrare più nella stanza, perché il sangue mi fa senso e immaginavo che l'avrebbero ucciso a magliettate.

Non è andata a finire proprio così, con il padre è finita a linguainbocca, con lui che diceva: "Sì, ammazzate chi vi pare, il padre, il nonno, lo zio e il cugino, però cercate di portare dentro un po' di società". E tutti facevano sì con la testa e grandi applausi e volemose bene che il figliolo s'era perso ed è stato ritrovato a vai con l'ammazzatora, non un vitello grasso magari, un agnellino sì. Che bela e non s'accorge mai di quello che gli sta per accadere.

ps: nel mio intervento ho provato a spiegare che hai voglia a dire che c'abbiamo la faccia feroce, ma se poi andiamo tutti a caccia della prima cooptazione disponibile, non finiremo mai da nessuna parte. Servirebbe una sana e proficua stagione di conflitto politico, non banalmente generazionale, ma fondata sull'idea di democrazia diretta contrapposta al modello oligarchico-personalistico oggi preminente nel Pd. La prima parola del mio intervento è stata "Veltroni" e mi pare di essere stato l'unico a pronunciarla con quell'accento un tantinello aggressivo che abbisognava, non per altre ragioni, ma perché il titolo del convegno mi pareva invitasse a farlo. E ho parlato di accountability per le classi dirigenti, dunque anche per Veltroni, che la parola gliela traducevo e voleva dire: rendere conto. Se si perde, se si cambia linea politica ogni dieci giorni (dialogo con Berlusconi, rottura con Berlusconi, alleanza con Di Pietro, mai con Di Pietro eccetera), se non si riesce a dare un'identità a questo cacchio di partito, se la fiducia nei sondaggi va a picco, se manco sulla sicurezza siamo riusciti a proporre idee alternative convincenti, il concetto di accountability dice che le classi dirigenti rendono conto, rimettono il mandato e vanno in cerca di una rilegittimazione. Attraverso nuove primarie, non attraverso le tessere dei capibastone, ma questa è un'altra storia e la racconteremo dopo la riunione della direzione nazionale di martedì, nella stessa sala dove oggi volevamo uccidere il padre, ma mi sa che la cosa non è riuscita tanto bene, però forse qualcuno adesso spera in una bella cooptazione e non ha capito che sono anni che ci spera e non arriva mai e mica è un caso.

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« Risposta #49 inserito:: Luglio 15, 2008, 05:25:55 pm »

14 luglio 2008,


Questione morale


La politica italiana deve affrontare una gigantesca questione morale, che parte dalle leggi ad personam berlusconiane e arriva agli ultimi arresti che riguardano la presidenza e la giunta regionale abruzzese. Una questione morale senza differenze di colori, che è passata attraverso inchieste che hanno riguardato o riguardano esponenti di destra, di centrodestra, di centro, di centrosinistra, di sinistra con una dimensione colossale, quantitativamente e qualitativamente superiore anche alle devastanti vicende di Tangentopoli.

Un'idea di corruzione diffusa, inscindibilmente connessa all'attività politica, almeno nella percezione popolare, senza alcuna possibilità di invocare una presunta "diversità".

Neanche Enrico Berlinguer avrebbe potuto invocarla se avesse avuto nel suo partito una giunta regionale decapitata (Ottaviano Del Turco in Abruzzo), il sindaco di una grande città che fa finta di niente ma è stata sporcata dagli schizzi di un'inchiesta sui suoi più stretti collaboratori (Marta Vincenzi a Genova), la condizione di pregiudizio oggettivo in cui versa la guida politica della monnezza (Antonio Bassolino in Campania), i dubbi che riguardano il "modello Roma" e i regali fatti dall'amministrazione capitolina ai grandi costruttori della Capitale. Non sono di mezzo secolo fa le vicende legate a Unipol e al mondo delle cooperative rosse, gli strascichi che sono rimasti sul fondo.

Insomma, il Pd si ritrova al centro di una questione morale che lo riguarda e così trova le armi spuntate quando invoca rispetto per i magistrati guardando all'altro lato della barricata. Nel paese cresce la sensazione del bar morettiano di Ecce Bombo, particolarmente azzeccata in tempo di bipartitismo incipiente: "Rossi e neri sono tutti uguali".

Io so che non è così. Io, che faccio parte della famiglia democratica e la conosco bene dall'interno, so che non c'è quella indifferenza rispetto alla morale che è tipica delle destre italiane dell'era berlusconiana, peraltro codine e ipocrite perché continuo ad invocare un law and order di pura facciata.

Eppure, proprio perché so che rossi e neri non sono tutti uguali, che non siamo in un film di Alberto Sordi, chiedo al mio partito di non fare finta di niente, come sta invece facendo su tutti i punti di criticità dal 14 ottobre ad oggi elevando a sistema la teoria della faccia di bronzo, procedendo invece all'immediata sospensione degli accusati dal partito, fino ad eventuale scagionamento. Lo dirò domani alla direzione del partito, facendo eco ai tanti vostri interventi che mi arrivano via web e via email.

Poi, sempre martedì dalle 15, linee telefoniche aperte per una diretta televisiva speciale con me su Nessuno Tv (canale 890 di Sky, anche in streaming web): potrete dire la vostra sul tema "politica e questione morale" per due ore telefonando al numero 800.198.667. Sarà la mia ultima diretta televisiva della stagione (ci ritroveremo con una novità il 1 settembre) e la dedicherò all'amico Gianfranco che non c'è più e che per primo vi ha fatto aprire la bocca in tv.

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« Risposta #50 inserito:: Luglio 28, 2008, 11:23:18 pm »

27 luglio 2008, 19.08.08

E la libertà


Va bene che l'ho seguito da lontano, anzi, nel cuore di un paese che si ribellò al comunismo mezzo secolo fa e oggi, quasi vent'anni dopo la rivolta definitiva e la mia successiva visita addirittura in "delegazione ufficiale" (anche se di quel viaggio ricordo soprattutto la visita alla stadio per vedere Maradona giocare in Coppa Campioni), è letteralmente rifiorito, ma il dibattito congressuale di Rifondazione comunista è piaciuto solo a me?

Insomma, m'è sembrato un conflitto libero e democratico sui destini di una forza politica. E se ne avessimo tanto bisogno anche noi nel Pd, in particolare dopo le visitine a Casini di Fassino e Rutelli?

A me gli unanimismi (nel nostro partito, poi, assolutamente e solo di facciata) stanno significativamente sulle scatole.

Dai, diciamoci tutto e di tutto. Facciamo come questi comunisti qui. Compresa la decisione di chi perde, alla fine, di non andare alla scissione.


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« Risposta #51 inserito:: Luglio 30, 2008, 11:02:35 pm »

30 luglio 2008,

E vai con lo sputtanamento... (bacio di Di Pietro ndr).


Perché la logica berlusconiana è da sempre dimostrare che "siamo tutti uguali" e chi di Mara Carfagna colpisce, di Mora Misteriosa perisce.

Così il "Chi", settimanale gossip di famiglia, manda il suo avvertimento al leader della moralistica piazza Navona.

Quella logica berlusconiana, figlia della craxiana chiamata di correità nel Parlamento travolto da Tangentopoli, è un altro elemento della sua vittoria.

Se tutti sono briganti uguali, se per ogni Previti c'è un Del Turco (a cui manifestare diabolica solidarietà), se per ogni Mills c'è un Tavaroli, se per ogni Mara c'è una Mora, l'Italia può restare calma e affondare in quel fango che sente essere sua sostanza primaria.

L'operazione è sottile e mi ha sempre messo paura.


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« Risposta #52 inserito:: Agosto 01, 2008, 12:03:00 am »

 31 luglio 2008,

Hanno una televisione?


Nei commenti al mio post precedente un lettore mi ha gentilmente riferito d'aver trovato il mio nome in un articolo di Repubblica e in uno del Magazine del Corriere della Sera, per due motivi differenti. La cosa ha vinto la mia inenarrabile pigrizia da vigilia agostana e mi ha spinto fino all'edicola, per vedere di cosa si trattava. Del Magazine discuteremo in altra sede, che anche su quelle parole qualcosa da dire ce l'ho. Prendiamo prima di petto la questione posta da Repubblica.

Ora, qualcuno di voi sa che tra le tante cose combinate in questi anni, c'è anche il ruolo di vicedirettore di quell'esperienza televisiva particolare denominata Nessuno Tv. Lo sa Repubblica e lo scrive e scrive anche che Nessuno Tv sta per diventare Red Tv, cioè la televisione di D'Alema e ci snocciola in mezza pagina tutto il futuro palinsesto. Ora, si dà il caso che da quaranta mesi io metta la faccia più o meno tutti i santi giorni davanti a quelle telecamere e insieme a me ci mettano faccia, intelligenza, fatica e qualche goccia di sudore una quarantina tra ragazze e ragazzi che fanno di tutto per tenere in piedi la baracca e produrre decine di ore di televisione a settimana, guadagnando quattro spiccioli.

Ora, io ritengo che far sapere a queste persone e anche far sapere a me che la televisione a cui abbiamo lavorato con tanto impegno per anni sta per diventare la tv personale di un oligarca, che ci cambia il nome e ci manda il suo segretario a comunicare a mezzo Repubblica (e un mese fa lo stesso segretario, che non sta nella pelle, aveva abbozzato il racconto a mezzo Espresso) come sarà il nostro palinsesto da qui a un mese, sia una mancanza di tatto e anche una mancanza di intelligenza (di intelligenza politica e di intelligenza tout court).

Ho letto che il nostro direttore dalemiano ha smentito. Se magari la prossima volta, prima di smentire, evita di dare i virgolettati a un bravo giornalista come Goffredo De Marchis che sa fare benino il suo mestiere, ci evitiamo tutti una brutta figura.


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Un anno dopo

Oggi 31 luglio 2008, 15 ore fa

Un anno fa, più o meno a quest'ora notturna in cui sto scrivendo oggi, mandai un sms a Marco. Solo quattro parole: "Ce l'abbiamo fatta". Le nostre firme per la candidatura di Generazione U alle elezioni primarie, che sono state l'atto di nascita del Pd, erano sufficienti e valide: oltre duemila raccolte in dieci giorni in dodici regioni d'Italia, convalidate da eletti dell'Ulivo che guardavano con diffidenza questo gruppetto di ragazze e ragazzi che da un blog avevano deciso di piombare da protagonisti dentro un'elezione che doveva essere blindatissima e riservata ai soliti noti.

Oggi quel gruppetto rappresenta il Pd a livello locale e ha rappresentanza fino ai massimi organi nazionali, siamo persino sulla soglia della Camera dei deputati e ovunque prosegue la nostra battaglia per l'affermazione di una generazione che non sopporta la cooptazione, agisce nel territorio del conflitto politico con al centro l'idea di far vincere il direttismo, quella teoria della democrazia diretta che contrapponiamo alla visione oligarchica che permea l'intera quadro dei partiti italiani, Pd compreso.

La nostra battaglia di un anno fa è stata bellissima, le ragazze e i ragazzi che portarono le firme a piedi salendo le scale del Palazzo (come si vede in questo video da pelle d'oca girato e montato da Erasmo) ricorderanno quel momento come qualcosa di davvero importante nella loro vita.

Io lo ricordo come un passaggio della battaglia per l'affermazione della democrazia diretta, della piena responsabilizzazione del singolo cittadino che deve sapere che può bastare una sola persona per cambiare il mondo, basta che non sia una persona sola. E questa è tra le ragioni stesse della mia vita.



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« Risposta #53 inserito:: Agosto 03, 2008, 12:31:15 pm »

 2 agosto 2008,

2 agosto, contro Francesca e Giusva


DA UNA EMAIL SU BOLOGNA, MAMBRO E FIORAVANTI

di Mario Adinolfi per Europa

Oggi, sul mio blog


Oggi, 2 agosto, sul mio blog scriverò quello che da sei anni è sempre lo stesso post.
Un ricordo di quanto hanno combinato Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, oltre la condanna all'ergastolo per la strage di Bologna, meritandosi altri ergastoli che però non bastano a tenerli in quella galera in cui dovrebbero stare. In qualsiasi paese decente, i condannati con sentenza passata in giudicato per il più orrendo crimine compiuto nell'Italia repubblicana, non sarebbero da anni liberi di passeggiare nel centro di Roma, costruendo il loro diritto alla felicità. Una vasta pubblicistica prova a dire che sono stati condannati ingiustamente, allora si riapra il processo, anche se io tendo a credere alle certezze dei familiari delle vittime e alla solidità delle condanne espresse dai giudici di ogni grado studiando montagne di carte. Ma in questo paese non si può scrivere contro due assassini, che tali comunque sono, liberi e belli e capaci di lanciarti occhiate di odio se ti incrociano per strada o anche di scrivere articoli contro il sottoscritto, perché loro hanno persino la faccia di firmare articoli.

Aggredito in diretta radiofonica
Una mattina, mentre conducevo un programma radiofonico, sono stato aggredito in diretta dal fratello di Francesca Mambro a cui ho lasciato un'ora di tempo per dire tutte le sue ragioni, cariche di livore. Io continuerò, ogni 2 agosto, a ricordare a Mambro e Fioravanti che la loro libertà è una vergogna, persino se fossero innocenti per Bologna. Loro si irriteranno, si irriteranno i radicali e Massimo Bordin, Francesco Cossiga e Maria Giovanna Maglie, il mio amico Luca Telese e il biografo Giovanni Bianconi, i tanti che stanno nel gruppone chic di chi sta al fianco di due assassini che non sopportano chi li chiama con il loro nome, che è assassini, altro che nessuno-tocchi-caino quando Abele non può più neanche piangere.

L'email di un giovanissimo
In coincidenza con l'anniversario della strage e in coincidenza con il mio tentativo di resistenza solitaria via blog alla rimozione dalla memoria del ruolo svolto da Francesca Mambro e Giusva Fioravanti negli anni Settanta e Ottanta, mi arriva alla casella di posta elettronica ieri una email di un giovanissimo, paradigmatica del clima creato attorno a questi due assassini: "Mi chiamo Marco, sono un ragazzo di roma, ho 22 anni e le scrivo in merito a quanto letto nei suoi articoli riguardo Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Vengo subito al punto: lei è un ipocrita sputasentenze che dovrebbe vergognarsi. Come fa a dire che i due ex Nar sono gli autori della strage di Bologna? E' ormai cosa evidente che Fioravanti e Mambro sono stati accusati ingiustamente. Io a differenza sua sono anni che mi documento sui fatti di cronaca di quel periodo storico e trovo ridicole le sue teorie su bologna. Comunque ognuno è libero di pensarla come vuole l'importante è rispettare tutti; cosa che lei non fa quando scrive che guarda con rancore Fioravanti e Mambro giocare con la loro figlioletta Arianna nei pressi di casa sua. Chi è lei per giudicare queste persone? Pensi prima a fare bene il suo lavoro di giornalista".

Una nuova mitologia di estrema destra
L'email di Marco è paradigmatica: ritenere fondata una sentenza dello Stato passata in giudicato, così come fanno tutti i familiari delle vittime, vale l'accusa di essere un "ipocrita sputasentenze che dovrebbe vergognarsi". Mambro e Fioravanti non devono vergognarsi, loro possono camminare a testa alta, continuando a fare proseliti anche tra i giovanissimi, facili prede di una nuova mitologia di estrema destra a cui noi non stiamo dando molta attenzione e su cui invece dovremmo soffermarci di più. Ma questo è un altro discorso. Oggi, semplicemente, un saluto e un ricordo carico di dolore per le ottantacinque persone che una strage fascista e infame ventotto anni fa spazzò via da Bologna e da questa terra.

Questi gli atti criminali compiuti dai terroristi Mambro e Fioravanti al di là della strage di Bologna.

28 febbraio 1978. Giusva Fioravanti ed altri notano due ragazzi seduti su una panchina che dall'aspetto (capelli lunghi e giornali) identificano come appartenenti alla sinistra. Fioravanti scende dall'auto, si dirige verso il gruppetto e fa fuoco: Roberto Scialabba, 24 anni, cade a terra ferito e Fioravanti lo finisce con un colpo alla testa. Poi, si gira verso una ragazza che sta fuggendo urlando e le spara senza colpirla.

9 gennaio 1979. Fioravanti ed altre tre persone assaltano la sede romana di Radio città futura dove è in corso una trasmissione gestita da un gruppo femminista. I terroristi fanno stendere le donne presenti sul pavimento e danno fuoco ai locali. L'incendio divampa e le impiegate tentano di fuggire. Sono raggiunte da colpi di mitra e pistola. Quattro rimangono ferite, di cui due gravemente.

16 giugno 1979. Fioravanti guida l'assalto alla sezione comunista dell'Esquilino, a Roma. All'interno si stanno svolgendo due assemblee congiunte. Sono presenti più di 50 persone. La squadra terrorista lancia due bombe a mano, poi scarica alla cieca un caricatore di revolver. Si contano 25 feriti. Dario Pedretti, componente del commando, verrà redarguito da Fioravanti perché, nonostante il ricco armamentario "non c'era scappato il morto". Che Fioravanti fosse colui che ha guidato il commando è accertato dalle testimonianze dei feriti e degli altri partecipanti all'azione, e da una sentenza passata in giudicato. Ciononostante, Fioravanti ha sempre negato questo suo pesante precedente stragista.

17 dicembre 1979. Fioravanti assieme ad altri vuole uccidere l'avvocato Giorgio Arcangeli, ritenuto responsabile della cattura di Pierluigi Concutelli, leader carismatico dell'eversione neofascista. Fioravanti non ha mai visto la vittima designata, ne conosce solo una sommaria descrizione. L'agguato viene teso sotto lo studio dell'avvocato, ma a perdere la vita è un inconsapevole geometra di 24 anni, Antonio Leandri, vittima di uno scambio di persona e colpevole di essersi voltato al grido "avvocato!" lanciato da Fioravanti.

6 febbraio 1980. Fioravanti uccide il poliziotto Maurizio Arnesano che ha solo 19 anni. Scopo dell'omicidio, impadronirsi del suo mitra M.12. Al sostituto procuratore di Roma, il 13 aprile 1981, Cristiano Fioravanti - fratello di Valerio - dichiarerà: "La mattina dell'omicidio Arnesano, Valerio mi disse che un poliziotto gli avrebbe dato un mitra; io, incredulo, chiesi a che prezzo ed egli mi rispose: "gratuitamente"; fece un sorriso ed io capii".

23 giugno 1980. Su ordine di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, Gilberto Cavallini uccide a Roma il sostituto procuratore Mario Amato. Il magistrato, 36 anni, è appena uscito di casa; da due anni conduce le principali inchiesta sui movimenti eversivi di destra. Amato aveva annunciato che le sue indagini lo stavano portando "alla visione di una verità d'assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori degli atti criminosi". Mambro e Fioravanti la sera dell'omicidio festeggiano ad ostriche e champagne.

9 settembre 1980. Mambro e Fioravanti con Soderini e Cristiano Fioravanti, uccidono Francesco Mangiameli, dirigente di Terza Posizione in Sicilia e testimone scomodo in merito alla strage di Bologna.

5 febbraio 1981. Mambro e Fioravanti tendono un agguato a due carabinieri: Enea Codotto, 25 anni e Luigi Maronese, 23 anni. Dagli atti del processo è emerso che durante l'imboscata Fioravanti ha fatto finta di arrendersi. Poi ha gridato alla Mambro, nascosta dietro un'auto, "Spara, spara!".

30 settembre 1981. Viene ucciso il ventitreenne Marco Pizzari, estremista di destra e intimo amico di Luigi Ciavardini, poiché ritenuto un "infame delatore". Del commando omicida fa parte Mambro.

21 ottobre 1981. Alcuni Nar, tra cui Mambro, tendono un agguato, a Roma, al capitano della Digos Francesco Straullu e all'agente Ciriaco Di Roma. I due vengono massacrati. L'efferatezza del crimine è racchiusa nelle parole del medico legale: "La morte di Straullu è stata causata dallo sfracellamento del capo e del massiccio facciale con spappolamento dell'encefalo; quello di Di Roma per la ferita a carico del capo con frattura del cranio e lesioni al cervello". Il capitano Straullu, 26 anni, aveva lavorato con grande impegno per smascherare i soldati dell'eversione nera. Nel 1981 ne aveva fatti arrestare 56. La mattina dell'agguato non aveva la solita auto blindata, in riparazione da due giorni.

5 marzo 1982. Durante una rapina a Roma, Mambro uccide Alessandro Caravillani, 17 anni. Il ragazzo stava recandosi a scuola e passava di lì per caso. Mambro sostiene che Caravillani sia stato ucciso da un proiettile di rimbalzo. Viene condannata come esecutrice dell'assassinio.

Per le sentenze definitive emesse dopo tre gradi di giudizio, Francesca Mambro e Giusva Fioravanti hanno ucciso novantotto persone e ne hanno ferite a centinaia. Oggi li potete incontrare liberi in giro per Roma e per l'Italia, che è un paese incapace di rispettare i suoi morti. Cosa voglio? Voglio che stiano silenziosi e che si vergognino ogni volta che esce un libro che li chiama "innocenti".



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« Risposta #54 inserito:: Agosto 05, 2008, 10:30:12 am »

4 agosto 2008,

"Spero che ci vogliano ancora un po' di bene"


Inevitabilmente, a far seguito alla campagna di stampa per la beatificazione di Mambro e Fioravanti (leggasi ieri Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, mancavano le aureole, poteva disegnarle di pugno attorno alle foto dei suoi due amici che sono tanto chic), arriva oggi puntuale su Repubblica l'intervista di Gianni Alemanno che sostiene l'incredibile "pista palestinese" per la strage di Bologna.

Che chiude il cerchio con l'intervista che Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera fece a Mambro e Fioravanti il 12 giugno 1994, sotto il titolo: "Loro al governo, noi all'ergastolo". Che spiega perché dopo poco i due tornarono liberi nonostante la valanga di ergastoli e di decenni di galera che avevano sulle spalle, nonostante il reato di strage vieti l'accesso ai benefici per i detenuti, nonostante i due non abbiano mai raccontato tutto quello che sanno. O forse proprio per questo.

Rileggiamo quell'intervista del 1994.




"LORO AL GOVERNO, NOI ALL'ERGASTOLO"
di Gian Antonio Stella per il Corriere della Sera del 12 giugno 1994

ROMA - "Ma guarda Teodoro... E Gianfranco... E Francesco...". Ogni volta che comincia un telegiornale, in un paio di celle di Rebibbia due bocche si spalancano con divertito stupore. Perchè a loro, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, marito e moglie, condannati a diversi ergastoli per diversi omicidi politici commessi durante la loro forsennata avventura contro tutto e tutti tra le file dei Nuclei armati rivoluzionari, la novità fa ancora un certo effetto. Quelli che adesso sono lì, al governo, a trattare di presidenze bicamerali e consigli d'amministrazione, sono proprio i ragazzi con cui sono cresciuti, tra volantini, sprangate, manifestazioni, lutti, passioni, alla federazione roma na del Fronte della Gioventù di via Sommacampagna. "Vedere Storace andare a discutere alla Rai è fantastico - sorride Fioravanti. Capirà, lo conosciamo da una vita. Insomma: noi ci siamo sparati e lui è lì a trattare sui direttori dei tiggì. Fantastico. Ed è giusto che sia così. Lui ha fatto una scelta, noi un'altra. Lui è al governo, noi in galera". C'era Er Pecora: "Il segretario era lui, Teodoro Buontempo - ricorda la Mambro - Magari uno un pò rozzo, ma anche una persona che a differenza di altri al partito dava davvero tutto, senza chiedere niente. Più vicino agli emarginati che chiunque altro. Generoso. Sempre disponibile". C'era Maurizio Gasparri, futuro sottosegretario agli Interni, che non piaceva troppo alle teste più calde perchè era figlio di un ufficiale dei carabinieri. Destra istituzionale, destra d'ordine. Legatissimo a Gianfranco Fini: "Non è giusto dire che portava la borsa a Fini - scherza Fioravanti - Lui gli portava il cestino fin da quando andavano all'asilo" . C'era Giovanni Alemanno, destinato a diventare pure lui deputato e che nel ricordo di Francesca è "un ragazzo che già allora cercava di capire le ragioni degli altri, di quelli della sinistra che la pensavano in modo diverso da noi". C'era Francesco Storace, fisico da torello, bicipiti d'acciaio e risata torrenziale, sul quale nessuno avrebbe mai scommesso che sarebbe diventato l'ariete scagliato contro il cavallo di viale Mazzini. E poi c'era lui, Gianfranco Fini. Cosa avete pensato, a vederlo vicino a Clinton? Mambro: "Mi sono sentita vecchia. Sa, come quei vecchi che sanno come va a finire la storia. Per noi Fini era l'istituzione. Il sistema. Eravamo contro tutti e dunque anche contro di lui. Lui lì era una prova in più che abbiamo sbagliato tutto". Fioravanti: "Fini è sempre stato un uomo prudente. Allora, in realtà, noi dicevamo che era un vile. Altri tempi. Oggi occorre riconoscere che, forse perchè è sempre stato lento a prendere le decisioni, come ha raccontato in un'intervista, è uno che ha fatto meno errori degli altri". Come maturò la vostra rottura? Fioravanti: "Il problema del Msi è che ha sempre seguito una linea reducista, revanscista, vittimista. Per cui è vero che nessuno dei suoi ha mai fatto politica per il potere. Ma molti dei giovani che chiedevano di fare politica, non solo di sventolare le bandiere e fare il saluto romano e attaccarsi alle croci runiche, se ne sono andati. Tanto è vero che adesso è sprovvisto di una vera classe dirigente". Mambro: "Mi sono sentita alla radio i discorsi dei missini alla Camera e al Senato. Valensise... Maceratini... Fini... Da non credere. Adesso sì, fanno politica. E finalmente l'hanno piantata con l'anticomunismo viscerale. Allora erano attaccati al revanscismo, al nostalgismo, a Mussolini, a tutti quei simboli... Noi volevamo fare politica e loro erano preoccupati solo di non perdere quelle sacche di voti che consentivano al partito di vivacchiare col quattro per cento. Sembravano paralizzati: la sinistra riusciva a fare politica anche se le Brigate Rosse sparavano e noi no. Era pazzesco". E così ve ne andaste alla deriva... Fioravanti: "Ci fu una fase in cui ci offrirono tutte le poltrone possibili e immaginabili, per far rientrare il nostro dissenso. Arrivarono al punto di offrire a Francesca, che aveva 18 anni, di entrare nel comitato centrale. La rottura arrivò dopo Acca Larentia, quando un ufficiale dei carabinieri sparò e uccise un ragazzo amico di Francesca. Beh, c'erano tutti : Almirante, Fini, tutti... Eppure l'unica che voleva denunciare i carabinieri era mia moglie. Una ragazzina. Al partito interessava di più il voto dei carabinieri che quello di noi ragazzi. E infatti, quando uscimmo, nei primi tempi la nostra motivazione principale era di punire il partito". Mai ipotizzata una "spedizione" contro Almirante o Fini? Fioravanti: "No. Ci ho ripensato, anni dopo. E mi sono chiesto come mai non ci pensammo. Strano, no? Andavamo a sparare ai poliziotti per "difendere l'onore della destra", per dimostrare che la destra non era legata ai servizi e alle stragi, e non abbiamo mai pensato di scaricare il nostro odio su quelli che odiavamo. "Fatto sta che nessuno si alzò mai per proporre una cosa simile". Non avete più cercato un contatto con i vostri ex camerati? Fioravanti: "No. Per orgoglio, forse. Ma non l'abbiamo fatto. Anche se con qualcuno restano rapporti affettivi. A noi non interessa che il Msi riconosca noi come figli degeneri. Possiamo farne a meno. Ma sarebbe importante per il Msi, riconoscerci. Fare i conti con la nostra storia, cominciata con il dissenso "dentro" il Msi. Così come noi, i figli degeneri, dovremmo smetterla di odiare i nostri genitori". Come la vedete, questa destra vincente? Mambro: "Beh, è una cosa strana. Abituati come eravamo ad essere i reietti della terra, quelli delle chiavi inglesi, dei volantinaggi... Eppure quello che mi muoveva verso destra era anche il fascino del perdente. Lo stare "contro"". Sotto il fascismo avrebbe fatto la partigiana? Mambro: "Forse sì. Probabilmente sì. Io riconosco l'autorità, non l'autoritarismo. La storia non si fa con i se. Ma certo alcune cose non mi piacciono. Le leggi razziali per me sono una cosa allucinante". Fioravanti: "Lo stesso vale per me. Anche la mia era una scelta "contro". Io non sono mai stato fascista. Mai. Sono stato un anti antifascista. Perchè mio padre, mia madre, mio fratello, il vecchietto che incontravo mentre portava a spasso il cane erano fascisti. Era il mio mondo e non accettavo che venisse confuso coi servizi segreti, le stragi, l'antisemitismo". Ma questo sfondamento della destra vi piace o no? Mambro: "Moltissimi di quelli che conoscevo e che frequentavo sono stati eletti. So che sono persone perbene. Spero che non deludano chi li ha votati". Fioravanti: "La cosa che più mi ha incuriosito è stato il fenomeno Berlusconi. Che ha dimostrato la vacuità della politica. Noi ci siamo scannati su Evola e su Trotzkji, ci siamo sprangati, ci siamo sparati e alla fine ecco che vincono le massaie. E stata una grande lezione di democrazia". Beh, questa... Fioravanti: "No, guardi: lo dico senza ironia. Perchè se ci sono venti milioni di massaie è giusto che le massaie mandino lì Berlusconi. Questa in fondo è la politica: dare più pane a più gente possibile. La battuta più stupida di Almirante è stata: il mio voto vale più di quello di un alcolizzato. Falso. Dico di più: adesso a me sta benissimo che sia così. Perchè la democrazia è questa". Ma voi siete ancora di destra? Mambro: "Ho una storia di destra, questo sì. E finalmente vedo che qualcuno comincia a sforzarsi di capire cosa è successo. Ma non so cosa voglia dire oggi, essere di destra o di sinistra. Meno male. Stiamo uscendo dagli schemi. Ho scoperto l'importanza di altri valori. Più personali. E a farmi voler bene anche da chi era molto lontano da me. Anzi, anche se alla destra abbiamo fatto perdere un pò di voti, spero che anche lì ci vogliano ancora un pò di bene. E che riescano a riconoscere una cosa: che in fondo, paradossalmente, siamo stati noi ad aprire un dialogo a sinistra, superando la cultura dell'odio".

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« Risposta #55 inserito:: Agosto 06, 2008, 11:01:24 pm »

5 agosto 2008, 17.18.46

No, il ridicolo no (basta con gli ex Pci che litigano)


Io già ho esercitato la virtù della pazienza leggendo le cronache dei giornali sul derby YouDem contro Red Tv (che, lo ricordo ai distratti, per ora si chiama Nessuno Tv, non è la tv di D'Alema e lo stesso suo collaboratore che gioca a fare l'editore televisivo senza averne titolo, cioè il mio una volta collega-blogger Matteo Orfini, oggi sull'Unità dice che l'idea di Bersani che intervista Vasco "era solo una battuta", così come il mio direttore dice che la cosa di Samantha di Sex and the City era una boiata, ma allora ditelo prima pure a Goffredo De Marchis che su Repubblica con battute e boiate c'ha imbastito foto, titoli e quasi una paginata, più tutto quello che ne è seguito, inclusa la rincorsa di povero Veltroni).

Ma su Bassolino che dice "non firmo contro Berlusconi", seguito pure da Cacciari, tanto per fare un altro po' di casino da crisi isterica di post comunisti che non sanno più che cazzo fare se non litigare tra loro pure sul nulla, a me viene su di tutto insieme all'invocazione a evitarci il ridicolo.

Più una proposta da inserire nello statuto: chi ha occupato cariche istituzionali o di dirigenza nazionale di partito nel Pci non può fare il dirigente del Pd.

Codicillo che ci risolverebbe molti problemi, credo, che quel gruppo dirigente lì è allo sbando e noi dovremmo essere bravi a spiegarglielo.


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« Risposta #56 inserito:: Agosto 18, 2008, 04:15:47 pm »

17 agosto 2008, 13.43.21

Gli insopportabili



L'intervista di Claudio Sabelli Fioretti a Michele Serra mi ha ricordato perché la sinistra non vince più e non vincerà nei prossimi venti anni. Perché dice senza ridere che Carlin Petrini, quello dello slow food, è "uno dei pochi leader mondiali che abbiamo in questo paese" e a riprova porta il fatto che "frequenta Carlo d'Inghilterra".

Perché la colpa di tutto è sempre del Vaticano, nuovo sfogatoio per la frustrazione radical-chic, dunque il Pd non va votato perché "c'è una spina che non si può inghiottire: la Binetti".

Perché questi insopportabili maitre-à-penser ci rifilano sempre le loro belle serate atticiste: "Ogni tanto mi chiedo se non sto frequentando troppi giornalisti, professori, urbanisti, architetti, scrittori". Colpo finale, finto egualitarista, ancora più insopportabile: "Avrei bisogno di frequentare idraulici".

Non abbiamo proprio capito, noi democratici, che il problema non è frequentare idraulici o candidare singoli operai, ma esserlo davvero?

Tornare ad essere figli del popolo, mescolati ad esso, senza spocchia o senso di superiorità e anzi, con un pizzico di vergogna per essere arrivati fin qui senza mai lavorare sul serio. La nostra sconfitta ha questa radice: Veltroni e D'Alema non hanno neanche la laurea, eppure mai un giorno di lavoro vero, tonnellate di chiacchiere in Fgci e poi tutti dietro da più di trent'anni a battere loro le mani.

E Serra a dire che Veltroni è tanto bravo, D'Alema tanto intelligente (Bertinotti no perché frequenta i salotti e lì c'è il capolavoro dell'intellettuale organico), così il coro è sempre alimentato e parte un altro giro di giostra.

Dovremmo smontargliela davvero.

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« Risposta #57 inserito:: Agosto 22, 2008, 10:49:44 pm »

Ieri 21 agosto 2008, 12.14.44

La sinistra deve diventare di destra?


Grazie a Maurizio Molinari (via la Stampa e Dagospia) ho scoperto un articolo importante scritto da Michael Moore per Rolling Stone. Il mio sosia americano si dice preoccupato per le posizioni da "falco conservatore" adottate da Obama per sedurre l'elettorato moderato dell'America profonda e invita la convention democratica che si aprirà lunedì a varare una piattaforma realmente liberal, fondata su punti molto "de sinistra" such as "pro-ambiente, pro-diritti delle donne, pro-aborto, contro la guerra, per l’aumento del salario minimo e la creazione di un servizio sanitario pubblico universale". Cuore dell'articolo, l'invito di Moore a Obama di indicare per la vicepresidenza una donna molto leftish come Caroline Kennedy.

Inutile ora star qui a dire se ci convince più l'approccio identitario di Michael Moore o quello realista di Barack Obama. L'articolo del regista americano è importante perché pone al campo progressista la domanda delle domande: la sinistra, per vincere, deve diventare di destra?

In effetti, al di là dei toni, la piattaforma politica di Obama (come in passato quella vincente di Blair) suona molto familiare agli elettori conservatori: Dio, patria e famiglia sparsi ovunque a piene mani, durezza estrema contro l'Iran, più truppe da inviare in Afghanistan, tentennamenti persino riguardo al ritiro dall'Iraq, nessuna idea di servizio sanitario nazionale gratuito, vera e propria colonna infame del sistema sociale americano.

I temi dell'uguaglianza e del solidarismo, core business delle sinistre di tutto il mondo, sono ormai da abbandonare perché "perdenti" in un contesto dove vince Hobbes anche se tutti citano Gesù?

Io continuo a ritenere che questa svalutazione dei nostri valori cardine derivi dalla svalutazione del valore cardine assoluto, quello della democrazia, in cui sostanzialmente crediamo sempre meno. Le Olimpiadi cinesi sono lo specchio di questa crisi, si moltiplicano i commenti di chi plaude alla Cina come modello (ricchezza promessa al popolo in cambio di rinuncia ai diritti, Stato totalitario fondato sul capitalismo senza democrazia) e non c'è stato manco un atleta disposto a mettere a rischio un'unghia del proprio per far soffiare almeno una bava di vento contro i diritti negati da Pechino non solo al Tibet, ma all'intero proprio popolo.

In questo contesto di svalutazione dell'idea di democrazia, ormai resa come un simulacro e un'ipocrisia "tanto è tutto un magna magna", come si devono comportare i partiti che persino nell'insegna portano la parola "democratico"? Negli Usa come in Italia si è scelto di portare avanti l'opzione leaderistica: ci si affida al numero uno, gli si delega tutto, chi discute è fuori, chi vuole dibattere è silenziato, chi ha dubbi porta sfiga.

L'opzione leaderistica è la deriva estrema delle destre, che l'hanno nel loro dna. E' la vittoria loro, triste, solitaria y final. 

La nostra battaglia dovrebbe invece essere quella della dilatazione degli spazi della democrazia, della declinazione in forma diretta degli stessi, riscoprendo in questo la ragione dell'essere progressisti. Noi vogliamo una società palesemente più democratica di quella in cui ci ritroviamo a vivere, crediamo che la democrazia sia la nostra ragione fondante del patto sociale e non un impaccio di cui liberarci, siamo disposti a mettere a rischio persino le incrostate posizioni di potere (che peraltro sono sempre meno e di sempre minore potere) per ottenere questo risultato.

Vogliamo la democrazia diretta, la indichiamo come traguardo al nostro popolo, di cui siamo parte e non leader-pifferai. Per questo obiettivo siamo disposti a spendere una vita, per restituire al cittadino quella porzione di potere che gli spetta e che gli è stata scippata, trasformandolo in suddito rassegnato e stanco.

Vogliamo ridargli l'entusiasmo di essere decisivo, ri-partendo dal principio di uguaglianza coniugato a quello di sussidiarietà, mix vincente per una possibile nuova sinistra. Che non dovrà essere di destra, altrimenti vinceranno sempre gli originali, il nostro sforzarci ad essere fotocopia non sarà mai sufficiente.

Vedrete che Obama alla convention democratica di Denver coglierà questa necessità e saremo tutti, Moore compreso, ancora una volta piacevolmente stupiti da questa nostra ultima bandiera rimasta in campo. Poi, bisognerà ricominciare a sperare anche qui da noi.


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« Risposta #58 inserito:: Agosto 31, 2008, 12:30:11 am »

30 agosto 2008, 18 ore fa

Obama e i democratici italiani

Dopo aver commentato per quattro faticosissime e divertentissime notti la convention di Denver, ho avuto l'opportunità di trarre le mie conclusioni sulla kermesse democratica scrivendo una paginata per il Tempo, rinnovato dalla direzione di Roberto Arditti. La trovate oggi richiamata in prima sul quotidiano ed ecco il testo integrale. Un testo a cui tengo molto e che spero faccia riflettere anche coloro che farà incazzare.



OBAMA E LA SINISTRA

di Mario Adinolfi per il Tempo


Quale uomo politico non sognerebbe un'investitura così dopo una corsa estenuante come le elezioni primarie? Io, che le primarie da candidato le ho vissute meno di un anno fa nel contesto minore del Partito democratico italiano, posso ammettere d'aver provato per Barack Obama un istintivo sentimento di invidia. Apparire in scena accompagnato da quella straordinaria canzone degli U2 che è "The city of blinding lights", trovarsi davanti uno stadio pieno in delirio, avere le movenze più della rockstar che del politicante, azzeccare un discorso a tratti durissimo "senza mai perdere la tenerezza": chi avrebbe saputo fare meglio? Insomma, ieri notte nello stadio dei Denver Broncos non è solo nato un possibile presidente degli Stati Uniti, ma è stata immortalata la prima vera icona politica del terzo millennio: il figlio di un keniota (che s'è subito dimenticato di essere padre) e di una ragazza del Kansas morta troppo presto di cancro. Un messaggio di speranza per tutti, inciso prima di tutto nella biografia del nuovo capo dei democratici americani.

Questa icona nasce rendendo imbarazzanti le immaginette dei democrats italiani: i leader del Pd italiano che si sono precipitati a Denver speranzosi di rimediare almeno una foto con dedica (speranza delusa, niente photo opportunity) sono tutti over fifty e sono lo specchio di un'incapacità di rinnovamento. Voglio bene a Veltroni, Rutelli e Fassino, sono i leader del partito per cui ho votato qualche mese fa, ma ieri davanti al discorso di Obama devono essersi sentiti orribilmente vecchi. Perché non è stato tutto e solo iconografia, tutto e solo musica, tutto e solo fuochi d'artificio e stelle filanti. Di mezzo c'è stato un discorso che, ascoltato con animo attento come dovrebbero fare tutti i democratici italiani, segnala un orizzonte che dovrà essere perseguito inevitabilmente dal mondo progressista europeo.

La parola chiave del discorso di Obama è stata: cambiamento ("change"). La sinistra italiana ed europea fa una fatica boia ad accettarne il significato: cincischia attorno ai Veltroni e ai D'Alema, ai Gordon Brown e alle Ségolène Royal, la Spd tedesca è addirittura tentata d'andare a recuperare il rapporto con il partito dell'estrema sinistra. Gioca a riproporre eternamente modelli e personaggi sconfitti, si attarda in dibattiti incredibili sul valore della parola "socialismo" e sulla disposizione da far assumere agli eletti nel prossimo Parlamento europeo. Obama ieri ha giocato la carta della concretezza: sanità, istruzione, famiglia, casa, diritti, pace, difesa e, soprattutto, ambiente ed energia rompendo anche il tabù del nucleare. Ha indicato la nuova frontiera di un'America libera dal fabbisogno del petrolio mediorientale entro dieci anni: un impegno coraggioso ai limiti dell'incredibile, seguendo le cronache dai mercati di questi mesi. In pochi minuti ha saltato di netto annate interne di dibattito sulla "new left" europea, sulla dicotomia tra riformisti e massimalisti, unendo pragmatismo e radicalità in un unico originale impasto. E il discorso di Denver è diventato un discorso storico, in quarantacinque minuti.

Certo, ci sono stati gli attacchi a McCain, durissimi, tanto da trasformare (almeno nei toni) Obama in una sorta di dipietrista in salsa stars and stripes. Ma non è questo quel che resterà negli occhi e nelle orecchie di questa serata di Denver. Quello che ricorderemo è il cambiamento farsi persona e farsi leader, come in Europa e in Italia la sinistra non riesce più a fare né a essere. Quello che ricorderemo è anche il nascere di un popolo "new democrat" composto da moltissimi giovani, da una maggioranza femminile (57% dell'elettorato di Obama), dove i bianchi sono una minoranza e prevale il miscuglio delle radici, il melting pot senza paura del diverso che è il vero brodo di coltura dell'obamismo. E' anche un popolo destinato a vincere?

Nella notte di Denver ci sarebbe da scommettere sul sì, ma forse qui si scrive sull'onda di un'emotività. Quel che è certo è che i nostri Qui, Quo e Qua (come con felice intuizione Giuliano Ferrara ha definito Veltroni, Rutelli e Fassino in visita alla convention democratica) tornano in Italia avendo chiara l'idea che loro non sono Obama e non potranno mai esserlo: questo outsider figlio di nessuno, che partiva alle primarie sfavorito contro la macchina da guerra del clan dei Clinton, ha stravinto una corsa che in Italia nessun outsider avrebbe mai vinto perché il paese non concede strada a chi parte dietro e a sinistra questi canali stretti lo sono ancora di più. Spero che, avendo capito che sono lontani anni luce dal poter toccare anche solo minimamente la dimensione emotiva attinta da Obama, capiscano che è l'ora di avviare i meccanismi del ricambio.

Change. E' la parola che risuona da Denver. E per i democratici italiani, rimbomba.


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« Risposta #59 inserito:: Settembre 01, 2008, 11:21:47 am »

Ieri 31 agosto 2008, 13.54.00

Che dite, vado al reality di Mediaset?



Il giornale per cui scrivo quotidianamente da anni una rubrica che forse qualcuno di voi segue, ha accettato di pubblicare in prima questo mio appello al dibattito attorno all'idea che io partecipi alla prossima edizione de La Talpa, reality show in onda su Italia 1 dal prossimo 9 ottobre. I quesiti sono validi anche per voi, democratici o no che siate, perché in fondo fondo noi narcisisti morettiani "de sinistra" stiamo sempre lì a chiedere: Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?

Ora a voi la parola e provate a non fare solo casino.



CHE DITE, VADO AL REALITY?
di Mario Adinolfi per Europa

Cari lettori, ferie concluse? Andato tutto bene? Divertiti? Sì, grazie, divertito anche io. Adesso che siete freschi e riposati, aiutatemi a prendere una decisione. È una decisione importante, ne va del rapporto con voi che mi leggete tutti i giorni, di quel poco di stima che magari mi regalate.
Insomma, facciamola breve: mi hanno proposto di partecipare a un reality show che partirà in autunno su Mediaset.

Vado o non vado? Ditemelo, alla maniera che conoscete: email, commenti sul blog, lettere a Europa. Gli autori di questo reality hanno puntato gli occhi su di me, ragazzone oversize con il gusto per la polemica e per il gioco, capace forse di qualche pensierino fuori schema. Premessa d’obbligo: li ringrazio per la loro attenzione e per la professionalità con cui mi hanno condotto all’interno di un mondo che non conoscevo, lasciandomi una sensazione di riposante leggerezza. Io alla proposta ho reagito istintivamente chiudendomi a riccio, dicendo un bel no rotondo alla fine della prima fase della trattativa, finendo invece ammorbidito da un loro corteggiamento serrato.

Questione di soldi? Sì, l’offerta economica è buona: niente di trascendentale, non cambia la vita, ma è buona. Ora ci sarebbe da andare a firmare il contratto, tornano tutti dalle vacanze e mica si può star lì a cincischiare, a ottobre bisogna andare in Sud Africa e a Mediaset vogliono chiudere tutte le carte e partire con la fase di pre-produzione. E prima di andare negli uffici della casa madre del “nemico” vorrei sapere che ne pensate voi, perché io un’idea me la sono fatta, ma ho questo gusto maledetto per il confronto con tutti e allora torno alla domanda: voi, cari (e)lettori democratici, andreste mai a un reality show prodotto da Mediaset? Io sono orientato verso il sì perché mi sono rotto le scatole di pensare che il nostro dialogo con i cittadini si limiti al dibattito attorno all’arguzia dei calembour di Michele Serra, a quanto sarà fico il nuovo programma di Serena Dandini, a quando Nanni Moretti finirà di scrivere il prossimo film. Io sono orientato verso il sì perché mi spunta il gusto di fare qualcosa che la stragrande maggioranza del popolo di centrosinistra considererà un tradimento, mentre secondo me “traditore” è spesso l’epiteto con cui i pavidi etichettano il semplice desiderio di esplorazione di un territorio nuovo. Io sarei orientato per il sì perché le sfide mi tentano sempre, quelle controverse e che espongono al rischio oggettivo di irritare i benpensanti, ancora di più.

Io sarei orientato per il sì perché mi pagano bene ma, vi giuro, non è il principale dei motivi.
Vorrei conoscere l’opinione dei lettori e non siate banali, che io provo a non esserlo mai e in questo tempo in cui dobbiamo inventarci un modo nuovo per esistere da Democratici nella società, la puzza sotto al naso proprio non possiamo permettercela. Ma forse sbaglio e se mi spiegate bene il perché vi assicuro che mi metterò lì a pensare alle vostre parole. Voi, intanto, riflettete un po’ anche sulle mie, magari non avete molto di meglio da fare.


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