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Autore Discussione: ADINOLFI -  (Letto 65810 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Settembre 04, 2008, 06:51:42 pm »

 4 settembre 2008,

Le forme discutibili


Mario Adinolfi


Alla festa democratica, luogo che per giorni e giorni è stato tristissimo, è arrivato D'Alema e ha riportato il caro vecchio orgoglio di partito.
Non so se sia l'ingrediente più utile in questa fase, ma la frase "dobbiamo darci una mossa" chi può contestarla?

Baffino è stato bravissimo, poco da dire. Almeno fino a quando non s'è messo a parlare con un sottofondo di ammirazione di Vladimir Putin: "Si vede che viene da un’esperienza professionale nella quale ha preso un certo stile asciutto. Ha saputo restituire ad un paese che aveva vissuto un umiliante declino, un orgoglio nazionalistico. Magari lo ha fatto con forme anche discutibili ma ora con questo paese bisogna fare i conti".

Appena mi capita a tiro gli chiedo lumi su cosa intende per "stile asciutto" e "forme discutibili", con addosso il mio pregiudizio di sapere benissimo cosa intende.

Putin è un dittatore sanguinario e credo ci sia poco altro da aggiungere. Il suo stile asciutto prevede l'uccisione dei giornalisti non addomesticabili, le sue forme discutibili prevedono l'invasione degli stati sovrani che non si piegano al russo "orgoglio nazionalistico". Le "petites madeleines" proustiane degli ex comunisti che vogliono sentire profumo dei bei tempi andati mi preoccupano sempre.

Diamoci una mossa, caro Lìder Massimo, smuovendo anche le nostre piccole-grandi nostalgie.


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La scelta di Sarah

3 settembre 2008, 14.36.00


Per il Tempo oggi ho scritto questa riflessione sulle decisioni private di Sarah Palin e sulla possibilità di far convivere "choice" e "life". Sfogliando Vanity Fair ho notato che anche Fabrizio Rondolino si è interrogato sul rapporto tra sinistra e diritto alla vita. Vuoi vedere che tra democratici riusciamo ad avviare un dibattito su qualche tema vero?


LA PALIN IRRISA E LA NECESSITA' DI UN DIBATTITO A SINISTRA SUL DIRITTO ALLA VITA
di Mario Adinolfi per il Tempo

Non devo confermare la mia appassionata vicinanza alle idee (e al modo di proporle) di Barack Obama. L'ho confermata anche scrivendo su queste pagine dopo la Convention di Denver. Ma non posso negare di essere rimasto affascinato da alcune caratteristiche della donna che John McCain ha voluto accanto a sé nella corsa verso la Casa Bianca, quella Sarah Palin irrisa dagli intellettuali liberal dell'una e dell'altra parte dell'oceano, che io credo possa rivelarsi invece una
carta importante nel tentativo di rimonta dell'anziano candidato repubblicano. La forza della governatrice dell'Alaska è uscita in tutta evidenza con due scelte che hanno a che fare con il diritto alla vita: la decisione di tenere il proprio figlio, anche dopo che l'amniocentesi aveva reso chiaro che sarebbe nato affetto dalla sindrome di Down; la notizia, uscita in questi giorni, di una gravidanza avanzata della diciassettenne figlia di Sarah Palin, anche qui con decisione di far nascere il bambino e di creare una nuova famiglia.

Attenzione: le idee di Sarah Palin in materia di diritto alla vita, concretizzate in queste due decisive scelte di vita, interrogano fino in fondo la sinistra. Il quadro anche iconografico offerto dalla famiglia Obama è splendido, il discorso di Michelle a Denver semplicemente perfetto, le due bambine sono adorabili. Una fotografia senza ombre. In quel bambino down, in quella madre diciassettenne, si annidano interrogativi. Sì, perché siamo tutti consapevoli che tra le cause principali del ricorso all'aborto, ci sono le gravidanze delle donne minorenni e molto giovani, così come quelle che riguardano figli che porteranno con sé per tutta la vita un problema di salute. Anzi, con la teorizzazione del valore decisivo della diagnosi pre-impianto, tutta la sinistra "pro-choice" ha scolpito nelle proprie tavole della legge una scelta che oggi da "liberal" sembra impossibile contestare.

Sarah Palin ci offre un'occasione per ragionare: quanta bellezza, quanta forza umana e anche politica, ci sono nella decisione di far nascere un figlio down e di amarlo nella sua presunta imperfezione? Analogamente, mi chiedo, da padre di una ragazza dodicenne, se tra quattro o cinque anni mia figlia dovesse arrivarmi davanti in una condizione simile a quella della figlia di Sarah Palin, sarei capace di far prevalere il diritto alla vita sul borghesissimo istinto di risparmiarci scorno e problemi derivanti da quella nascita? Questi interrogativi arrivano dritti al cuore della campagna elettorale americana, dove il campione migliore partorito dagli ambienti liberal
statunitensi dovrà vedersela con un candidato repubblicano oggettivamente indebolito da una convention democratica che è stata stellare. Ma c'è il fattore Sarah Palin. Non va sottovalutato. E
dall'epicentro di quel terremoto valoriale sempre garantito quando si avvia un dibattito serio sui temi della scelta e della vita. E se la soluzione fosse, molto semplicemente, scegliere sempre (o almeno ogni volta che è umanamente possibile) la vita? Tra i democratici americani il dibattito è iniziato, grazie a Sarah Palin. Non sarebbe male fare lo stesso anche tra noi democratici italiani.

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Menichini e Orlando

martedì 2 settembre 2008, 13.59.00


Stefano Menichini e Federico Orlando sono il direttore e il condirettore di Europa, tecnicamente sono i miei "capi", Menichini è diventato anche un blogger di successo (forse per via di qualche mia spintarella sulla strada del dialogo via web) Orlando faceva il condirettore pure di Indro Montanelli che scriveva gli articoli solo con la lettera 22, è stato il più grande di tutti noi e forse dunque per il suo braccio destro aprirsi un blog apparirebbe quasi un "tradimento". Oggi devo dire un paio di cosette a entrambi e come al solito lo farò senza cautele, sfacciatamente, tanto da anni mi sopportano e sulle pagine di Europa ho combinato di peggio senza che loro abbiano mai alzato il telefono per limitarmi, lasciando quotidianamente spazio ad una riflessione che si è snodata in territori anche complicati da gestire, in assoluta libertà. Forse anche per questo (e non per il caso personale, ma per il segnale che ne deriva) Europa è un giornale che andrebbe più letto, più tutelato, anche più amato dal popolo democratico.

Le prime cosette le scrivo a Orlando a cui devo un grazie: in queste ore non proprio facili, in cui ho provato ad aprire un dialogo con le persone che mi leggono invitandole a impicciarsi di una questione che poteva tranquillamente restare privata e professionale, lui ha avuto il tempo di dedicarsi al mio dilemma stimolato anche dalla lettera di un affezionato lettore di Europa. Ne è uscito un dialogo che mi riguarda per niente banale e in qualche modo ispiratore. C'è un passaggio di Orlando che mi aiuta ulteriormente nella riflessione attorno alla questione della mia partecipazione al reality di Mediaset: "Il problema che Adinolfi pone a noi lettori di Europa, come io posi a me stesso, è quello di superare i cavalli di frisia, le trincee psicologiche che sono dentro di noi: specie se il nostro avversario non si limita a combatterci e a metterci in cornice, come dice Anna Finocchiaro un po’ tardivamente, ma requisisce tutti gli spazi. Se non resta altra mossa che quella del cavallo, facciamola e cerchiamo di portare scompigli fra le sue pedine dilaganti". Stampo e conservo. Promesso.

Stefano Menichini ha stampato su Europa e conservato per i posteri attraverso il suo blog uno schietto attacco ai "passatisti" intitolandolo senza mezzi termini: "L'amarcord ipocrita sulle feste di una volta". Temo di essere perfettamente d'accordo con il mio direttore sul concetto espresso e sull'orrenda retorica dei bei vecchi tempi, con un problema. Io alla festa Democratica di Firenze ci sono andato ieri, ho condotto pure il mio bravo dibattito sul palco centrale intitolato a Giorgio La Pira (e l'accesso al palco centrale non l'avevo mai avuto in decenni di militanza, dunque avevo la mia brava vanagloria a rendermi benevolo), ma io una festa nazionale triste come questa di Firenze non l'ho mai vissuta in vita mia.

Caro direttore, dalla fotografia che ho portato con me dalla Fortezza da Basso (collocazione splendida, ma vagamente simbolica di una chiusura in se stessi di questi dirigenti arroccati che sono il guaio del nostro Pd) derivo una sensazione spiacevole e affermarla non è nostalgia, non è "si stava meglio quando si stava peggio", non è "viva il grande Partito comunista", figuriamoci se potrei mai anche solo pensarlo. Andavo alle feste dell'Unità, sempre da ospite, uscendone però con la sensazione di un popolo in cammino. Il "verso dove" non era sempre chiaro, ma il cammino sì. Ora non abbiamo né l'uno, né l'altro. E questa condizione è indifendibile.


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« Risposta #61 inserito:: Settembre 09, 2008, 05:54:54 pm »

9 settembre 2008, 7 ore fa


Fascistelli


Devo dire che vedere Alemanno e La Russa infilare una gaffe dopo l'altra, per provare a rendere onore alle loro immonde radici, essendo poi costretti a tentare patetiche retromarce per farle dimenticare, un qualche divertimento lo regala.


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La sfida di Ratzinger

8 settembre 2008, 10.13.00

Io non so se serva davvero una nuova generazione di politici cattolici, come chiede papa Benedetto XVI. Anzi, tendo come al solito a pensare che non servano mai uomini, servono idee, che poi gli uomini vengono di conseguenza.

Con tutto il rispetto, insomma, ritengo che quello che serve alla società italiana è un partito popolare di ispirazione cristiana.
E, anche di fronte alla svolta paternalista, individualista e populista della destra nostrana, credo che questa sia la grande occasione per il Pd.

Il guanto di Ratzinger si può raccogliere, anche senza dover baciare l'anello.


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« Risposta #62 inserito:: Settembre 19, 2008, 10:33:41 am »

18 settembre 2008, 12.34.02

Non ci incazziamo più su niente?


Ho capito, di aspettarsi una qualche reazione popolare dopo la nuova legge sulle europee che uccide la democrazia partecipata e sancisce il trionfo delle oligarchie, non se ne parla.

Ma il portafoglio?

Il 16 settembre il prezzo del petrolio è tornato sotto i 90 dollari al barile (89,2 dollari per la precisione), cioè ai livelli del primo bimestre di quest'anno, quando la benzina super costava in media 1,38 euro al litro.

Perché allora  la benzina super costa in media oggi 1,45 euro al litro?

Io, comunque, ho rottamato l'automobile.


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« Risposta #63 inserito:: Settembre 26, 2008, 06:43:47 pm »

25 settembre 2008,

Mossa azzeccata


Da sei mesi gliene dico di tutti i colori, ma questa mossa di unire ufficialmente il Pd all'Udc nella battaglia per salvare le preferenze alle elezioni europee, contro l'oscenità oligarchica delle liste bloccate, mi pare azzeccata e necessaria.

Spero non ci sia il fondo di ipocrisia di chi sa che Berlusconi è determinatissimo a portare a casa la nuova legge, votandosela anche con la sola sua maggioranza. Spero che ci si impegni sul serio per aprire una crepa in quel monolite che sembra essere il centrodestra. Basta convincere una manciata di senatori tra Lega e Pdl a esprimete qualche dubbio e poi, sulla pressione, aprire un tavolo di trattativa seria direttamente con il presidente del Consiglio.

Direi che si può fare. Ops. Cambiamo slogan. Direi che si dobbiamo farcela.

Ne va della qualità della nostra democrazia.

Alla sola idea di subire l'onta di una nuova legge elettorale a lista bloccata, gli italiani dovrebbero scendere in piazza e urlare. Ma deve esserci in giro un qualche anestetico nell'aria...



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« Risposta #64 inserito:: Ottobre 02, 2008, 01:58:30 pm »

1 ottobre 2008, 22.53.30

Era solo un articolo

Qualcuno si è offeso, ma dai, era solo un articolo.
Domani ci incartano il pesce (auguri alla nuova edizione di Europa, il quotidiano che mi pubblica tutti i giorni da tre anni...e ci vuole coraggio).



SALVATEMI DA FACEBOOK

di Mario Adinolfi


L'appello lo devo lanciare a voi, abituati ad avere a che fare con la parola "blog", meno a proprio agio invece attorno alla locuzione "social network": finché c'erano il confusionario MySpace  il lavorista LinkedIn o, peggio ancora, l'inutile Second Life, avevo resistito senza particolari difficoltà. Da un mesetto abbondante sono finito invece nell'incubo Facebook. E, insomma, ora dovete salvarmi. Ma, dico io: può un trentasettenne che si considerava persino brillante trascorrere metà del proprio tempo sul web ad aggiungere fantomatici "amici" al proprio fantomatico network di cui, realisticamente, non sa che farsene?

Per essere chiari: io oggi toccherò quota milleseicento amici su Facebook. Milleseicento persone che, in massima parte, ritengono utile essere in contatto con me anche se non ci siamo mai rivolti, né probabilmente ci rivolgeremo mai, la parola. Un'orgia di facce messe più o meno in posa per rendersi interessanti, seducenti, originali, divertenti. Una voglia di raccontarsi per come si è, spesso con scarsissimi veli protettivi, partendo dalla data esatta di nascita e arrivando agli album fotografici dell'ultima estate appena esaurita. Un colossale database di privato reso pubblico. Il più delle volte, agghiacciante.

Ora, i miei blog hanno sempre avuto come sottotitolo la parola "idee". Nei social network in generale e su Facebook in particolare, l'idea è assolutamente assente. C'è il corpo, il proprio vissuto, l'anedottica sempre uguale delle esistenze umane, la caccia (anch'essa sempre uguale) al brivido della conquista, spesso virtuale e raramente fisica. Ma c'è un fatto che va sottolineato: su Facebook c'è una marea di gente, una valanga di persone che crescono ogni giorno e si connettono. Una rete nella rete, ormai molto derisa dagli snob, ma certamente illuminante sulle disperate solitudini che agitano gran parte delle giovani generazioni.

Io sono stato preso nell'ingranaggio e non so uscirne. Per fortuna ho un aereo da prendere, una capitale europea dove fare qualcosa, una compagnia di giro da frequentare. Forse, per questa settimana, da Facebook mi riuscirò in qualche modo a disintossicare. Poi dalla capitale europea tornerò, magari dopo averla pure raccontata qui, e nel mio mare di nuovi "amici" mi ritufferò. Anzi, ora che ci penso, mi sono sincerato che l'albergo abbia la connessione wi-fi libera e in valigia ho messo il notebook. Perché non si vive più senza social network. Quando lo conosci, non c'è rimedio. O forse sì?


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« Risposta #65 inserito:: Ottobre 03, 2008, 09:09:48 am »

2 ottobre 2008, 11.15.02

Diary from this swinging London - 1

Per Europa sto scrivendo le mie solite notarelle dai rimbalzi che faccio in giro per l'Europa. Viaggiare fa bene alla salute mentale e fa tornare la voglia di raccontare. Almeno a me.



DIARIO (ON LINE) DA UNA LONDRA ATTERRITA - PRIMA PARTE

di Mario Adinolfi per Europa


Tutto al contrario
A Londra in questi giorni va tutto al contrario e non solo perché questi matti degli inglesi hanno il volante a destra con ciò che ne consegue. In questi giorni a Londra c'è il sole (incredibile, un sole vero, mi sono svegliato e, ops: cielo azzurro e sgombro); in questi giorni a Londra la connessione web è lentissima (almeno nel mio hotel, mentre leggo che in Italia parte finalmente il WiMax, bella notizia); in questi giorni a Londra quelli che hanno i soldi vorrebbero tanto metterli sotto al materasso, invece di "far girare l'economia". E così le prime pagine dei giornali aprono a titoli cubitali sulla decisione del governo di garantire cinquantamila sterline per ogni deposito bancario, visto che le banche di questi giorni hanno la tendenza a finire a gambe per aria e quelle più morigerate si affrettano a definire "garantiti" i soldi dei loro clienti. Che una volta si diceva "l'ho messa in banca" quando una situazione pareva solida e certa. Ora si dice per sfottere.

L'Italia lontana
L'Italia sembra lontana anni luce da qui e per una volta pare una distanza rassicurante. I timori di Profumo, i rimbalzi di Unicredit, le tranqullizzazioni di Tremonti qui non arrivano proprio. I londinesi tirano un sospiro di sollievo per il sì statunitense al piano di salvataggio dei colossi del credito, si godono atterriti il tentativo di risalita del loro indice Ftse (l'equivalente del nostro Mibtel) e ridono all'inglese per la vignetta di prima pagina del Daily Telegraph, dove lo straordinario Matt in quattro centimetri quadrati disegna una pensionata che nel tavolino della cucina tiene in mano un giornale con gli andamenti di borsa e il marito alla credenza: "Abbiamo finito anche le bustine del tè, siamo affacciati sull'abisso". Ho riso anche io. Unici italiani citati nei titoli in tutto il Telegraph di ieri: Giovinco come nuova stella della Juventus (e a Torino manco gli hanno rinnovato il contratto, è troppo giovane); Capello, che qui è un eroe. Rido già meno.

Marble Arch
Che poi, esci per strada e sarà il sole, sarà che Londra a me pare l'unico centro del mondo immaginabile quando non sono a New York, e non sembra che ci sia poi tanto da aver paura. La gente corre, corre, corre e dà l'impressione di sapere dove sta andando. Davanti al Marble Arch si snoda l'incrocio tra la bellezza immota di Hyde Park, la frenesia commerciale occidentale di Oxford Street, l'avvio del regno musulmano di Edgware Road, dove se passeggi di notte e ti dicono che sei a Beirut, ci credi. E in questa mescolanza che parte da un arco in marmo che ci riporta dalle parti di Roma, senti che c'è una vittoria possibile e Londra è sempre Londra, anche quando ha un po' di paura.

Numeri
Chance di vittoria di David Cameron alle prossime elezioni inglesi: 80%. Dopo il discorso di ieri al congresso conservatore: 95%. Numero di stanza nel mio hotel: 565, è palindromo, porta bene. Fuso orario inglese rispetto all'Italia: -1. Giorni che ho impiegato ad accorgermene: 2.

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« Risposta #66 inserito:: Ottobre 04, 2008, 03:53:13 pm »

3 ottobre 2008, 12.20.30

Diary from this swinging London - 2

DIARIO (ON LINE) DA UNA LONDRA ATTERRITA - SECONDA PARTE

di Mario Adinolfi per Europa


L'altalena
Bisogna passare una mattinata con gli inglesi che si occupano di Borsa, per capire bene quello che significa essere ansiosi in questa ottobrata londinese. Guardarli corrucciati, ma speranzosi, quando all'apertura il loro indice Ftse fa segnare un mezzo punto di crescita; vederli agitarsi quando ogni pugno di minuti si mangia un decimale di quell'avanzata effimera; osservarli diventare frenetici quando alle dieci del mattino tutto il listino gira in negativo e s'annuncia un'altra giornata di perdite. Questa è la nuova swinging London e l'altalena non regala sensazioni piacevoli.

Giovani europei crescono
Da Starbucks in Regent Street incontro un gruppo che pare preso dritto dritto dal film sull'appartamento spagnolo, do you remember it? Manuela ha 24 anni, è calabrese e parla in maniera incredibilmente fluente almeno tre lingue, quelle che, ammirato, le ho sentito spiccicare. E' minuta, carina, determinata e stanca. E' all'ennesimo stage presso un'istituzione italiana a Londra, dopo laurea e specializzazione: della sua competenza linguistica prova a fare un lavoro, ma sa già che a fine anno lo stage finirà e arrivederci e grazie. E' arrabbiata, ce l'ha con la politica, tutta, governo e opposizione. Ce l'ha con un'Italia che lascia soli i suoi figli. Esther le propone una strada: lei ha 26 anni, spagnola di Madrid, è reduce da un colloquio per una multinazionale americana che ha sede in un piccolo centro inglese "in the middle of nowhere". Il colloquio è andato bene, lei spera di non essere presa perché vorrebbe restare vicino alla nonna in Spagna, ma lascerà fare al caso. Se la chiamano, va lì, nel posto sperduto. E sia quel che deve essere.

Ricercare costa
Poi c'è il ventitreenne in pieno Erasmus all'università di Lovanio, viene dalla Puglia, mi faccio raccontare della forza dell'Opus Dei che ho conosciuto tempo fa proprio in quell'ateneo belga. C'è ancora, più forte che mai. E dalla Sardegna invece arriva Vincenzo, venticinque anni, più indulgente verso la politica italiana e ammiratore di Renato Soru. Incontro anche il mio amico Pasquale, dottorando under 30 con barbetta tra il mefistofelico e il persiano e allora con lui mi faccio un altro giro su Edgware Road, la Beirut londinese di cui vi raccontavo ieri. Pasquale ha un cervello grande così, prova a far di tutto per non lasciare il nostro paese, ma intanto ha messo un piede alla Ucl, l'università che raccoglie 350 ricercatori dottorandi da tutto il mondo. Da Costa caffè, in mezzo a un suk arabo e con davanti la Islamic Bank of England, mi racconta le sue ambizioni e le recenti ingiustizie subite dalla sua terra, la Basilicata. Mi incupisco. Per rimettermi di buonuomore, mi promette i biglietti per il West Ham. La squadra di Zola. Che qui è ancora idolatrato, perché a Londra avere talento è ancora un motivo di vanto e da noi Baggio, che era Baggio, finiva in panchina.

Numeri
Sterline necessarie per un abbonamento mensile flat al wi-fi in tutta Londra: 15 (18,5 euro). Anni da cui il servizio è disponibile: 3. Anni che mancano alle Olimpiadi: 4. Metri di distanza tra cartelli che ci ricordano che le prossime Olimpiadi si fanno a Londra: 3. Sterline che guadagna ogni settimana J. K Rowling, inglese autrice di Harry Potter: 3 milioni. Patrimonio personale in sterline dell'autrice di Harry Potter: 560 milioni. Posizione in classifica tra le persone più ricche del Regno Unito: 1. Posizione in classifica del primo scrittore nostrano tra le persone più ricche d'Italia: ahahahahahah.

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« Risposta #67 inserito:: Ottobre 07, 2008, 11:19:40 pm »

Oggi 7 ottobre 2008, 4 ore fa


Generazione U e il Pd, un anno dopo


La settimana prossima festeggeremo il primo compleanno del Partito democratico, pieni di dubbi e qualche rabbia per come sono andate le cose con il paese consegnato alle destre e anche per una sorta di paralisi anche delle passioni oltre che della politica che ci affligge tutti, ma questo non toglie nulla alla forza evocativa che assume per tutti noi la data del 14 ottobre. In particolare, per quel gruppo di blogger che sotto le insegne di Generazione U un anno fa si sottopose al giudizio degli elettori delle primarie (convincendone 5.906 che la nostra fosse la migliore opzione possibile per guidare il Pd), il 14 ottobre è la data di una festa che noi vivemmo allora come festa della democrazia diretta: dell'idea di fondo che guida il nostro impegno in politica da sempre.

Generazione U ha avuto il merito, credo, di aver offerto al Pd e al paese un compatto e motivato gruppo di giovani e giovanissimi appassionati di politica, che il 14 ottobre sono diventati classe dirigente partendo da territori che molti considerano ameni come quelli del web. Parlando all'assemblea costituente del Pd il 27 ottobre 2007 chiesi a nome di tutto il movimento che lì rappresentavo di non ignorare, di non punire, di considerare adeguatamente il mondo della rete. Beppe Grillo compreso e forse siamo stati gli unici nel Pd a tenere vivo un legame con una realtà importante e vivace come quella che dai V-Day ha espresso un desiderio di protagonismo politico a cui dovremmo essere proprio noi democratici quelli in grado di dare risposta.

Dopo l'esperienza entusiasmante della prima assemblea costituente del Pd venne la fase faticosa: quattro mesi di lavoro in commissione statuto, per riuscire a ottenere regole che rispondessero alla idea direttista per cui ci siamo battuti alle primarie. E allora le battaglie a colpi di emendamenti per avere i circoli on line, la possibilità di avere referendum interni, i forum tematici e soprattutto le primarie per le candidature a ogni livello. Abbiamo portato a casa qualche risultato, qualche scippo c'è pure stato, ma anche perché ci è arrivata tra capo e collo una campagna elettorale difficilissima da combattere, E l'abbiamo fatto in prima fila, dando l'anima, da protagonisti anche grazie alla campagna Un Blogger in Parlamento ideata da Luigi Beccia.

Nel frattempo in tutta Italia la pattuglia di Generazione U, agguerrita e contundente, si prendeva i suoi spazi: ad Ancona con Andrea Gramillano si arrivava alla guida del circolo cittadino, stesso valore quasi "egemonico" assumeva il gruppo romano di Pietralata di Cristian Umbro e Salvatore Maiolino, in Abruzzo Marco De Amicis era protagonista (con Luigi) di battaglie che avevano forte eco mediatica e poi i campani di Marco Giordano e Tonia Limatola, l'avamposto lombardo di Tiziana Fabro, i toscani che non mollano con la Demagora di Leonardo Bertini e il gruppo livornese di Alessio Botta dove ho chiuso la campagna elettorale per le politiche, la resistenza in Basilicata di Ottavio Romanelli, la forza del giovanissimo Timoteo Carpita, ormai punto di riferimento in Umbria e non sto a citare i tantissimi altri che militano per noi e per il Pd nei più sperduti angoli d'Italia.

La mazzata delle elezioni non ci ha fermato, ha rafforzato invece la convinzione che qualcosa vada non solo cambiato ma, appunto, "invertito a U" come ribadito in un intervento duro che ho pronunciato a maggio alla direzione nazionale del Pd. Ne è nata l'iniziativa Riavvia il Pd a giugno (con Lorenza Bonaccorsi, Paolo Zocchi e Francesco Soro) e a luglio una sulla questione morale voluta dal nostro Massimo Cardone. A settembre poi è arrivata la battaglia per avere primarie davvero aperte tra i giovani (con il sostegno alla richiesta di chiarezza nei regolamenti avanzata dalla radicale Giulia Innocenzi) e grazie al lavoro di Marco De Amicis e soprattutto di Cristian Umbro siamo riusciti ad avere una presenza forte all'interno del futuro movimento dei Giovani democratici.

Oggi i blogger di Generazione U sono protagonisti della vita interna del Pd, dai massimi organi dirigenti (siamo in direzione nazionale) ai forum tematici, dal partito locale al costituendo movimento dei Giovani democratici. Tutto è successo attraverso la rete e grazie alla capacità di ognuno di tenere duro nonostante la nostra professione non sia la politica e quella per la democrazia sia solo una grande passione civile, che ci nutre ma non ci dà da mangiare.

Sempre ricordando la nostra idea di fondo, che per cambiare il mondo può bastare il coraggio anche di una sola persona, basta che non sia una persona sola. E noi, con la nostra amicizia che sta forte alla base del nostro impegno e della nostra tenacia, siamo dimostrando anche in un solo anno di fatica che no, non è stato, non è e non sarà un esercizio inutile.

Contro lo svuotamento della democrazia attuato dalle destre, resta solo una battaglia democratica da fare: quella per la democrazia diretta figlia dell'idea di fratellanza evocata dalla rete, che Generazione U continuerà a combattere, perché è questa la buona battaglia.

Buon compleanno Pd, con tutti i tuoi limiti e alla faccia di chi ci vuole male.
 
(per festeggiare un anno di Generazione U nel Pd e discutere del prossimo anno di attività, ci troviamo domenica alle 17.30 nel covo di via Monterone 82)


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« Risposta #68 inserito:: Ottobre 09, 2008, 12:15:25 am »

8 ottobre 2008,


Vergogna italiana: Francesca Mambro è libera



Io non lo so come sia persino giuridicamente possibile, visto che i condannati per strage perdono il diritto a tutti i benefici di legge e visto che Francesca Mambro è stata condannata con sentenza passata in giudicato per il più orribile, vile e sanguinoso attentato della storia italiana. Fatto sta che la condannata ormai è completamente libera, oggi con la condizionata, dal 2013 in via assoluta e definitiva (comico il commento del suo avvocato: "La Mambro esce dal carcere a tutti gli effetti con la spada di Damocle che nei prossimi cinque anni non potrà fallire altrimenti perderà questo beneficio". Poverina, lei e la sua spada di Damocle).

A inizio settimana partecipavo ad un salottino televisivo e all'uscita due fini intellettuali, che proclamano l'amicizia-con-la-terrorista che in società fa tanto chic, cinguettavano: "Povera Francesca, lei vorrebbe uscire la sera...". Ingiustizia sanata. Io ho gettato lì un commento che non sono stato capace di trattenere e la più grossa dei due fini intellettuali ha sibilato rabbia.

Sì, perché in questo vergognoso paese ormai la melma ci sommerge e allora il percorso di Francesca Mambro diventa il simbolo perfetto del fatto di quanto bene e male siano concetti ormai inutili, soppiantati dalle più hobbesiane la forza e la debolezza. Mambro e i suoi amici del giro buono sono forti e vincono, chi è morto per mano sua è debole e perde. Francesca Mambro ha avviato questo percorso con il primo governo Berlusconi, facendo uscire sul Corriere della Sera un'intervista agghiacciante e rivendicativa nei confronti degli amici missini: "Loro al governo, noi all'ergastolo". E' trascorso poco e la situazione è stata sanata. Loro di nuovo al governo, lei libera. E con il plauso generale della comunità di intellettuali che vogliono provare il brivido dell'amicizia con chi ha ucciso.

A noi cittadini comuni resta il senso della fine del senso, con la nostra capacità persino di indignazione ormai indebolita, i forti sono loro, davanti alla vergogna italiana è il trionfo dei senza vergogna.

Questi gli omicidi per i quali, strage di Bologna a parte (85 morti, 200 feriti), Francesca Mambro è stata condannata a nove ergastoli.

28 maggio 1980. Partecipa all'attentato compiuto davanti al liceo romano Giulio Cesare in cui viene assalita la pattuglia di vigilanza e ucciso l'appuntato di polizia Francesco Evangelista (detto "Serpico"), e ferito il suo collega Giuseppe Manfreda. Per aver ucciso Francesco Evangelista, Francesca Mambro è condannata all'ergastolo.
 
23 giugno 1980. Su ordine di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, Gilberto Cavallini uccide a Roma il sostituto procuratore Mario Amato. Il magistrato, 36 anni, è appena uscito di casa; da due anni conduce le principali inchiesta sui movimenti eversivi di destra. Amato aveva annunciato che le sue indagini lo stavano portando "alla visione di una verità d'assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori degli atti criminosi". Mambro e Fioravanti la sera dell'omicidio festeggiano ad ostriche e champagne. Per essere la mandante dell'omicidio di Mario Amato, Francesca Mambro è condannata all'ergastolo.

9 settembre 1980. Mambro e Fioravanti con Soderini e Cristiano Fioravanti, uccidono Francesco Mangiameli, dirigente di Terza Posizione in Sicilia e testimone scomodo in merito alla strage di Bologna. Per aver ucciso Francesco Mangiameli, Francesca Mambro è condannata all'ergastolo.

5 febbraio 1981. Mambro e Fioravanti tendono un agguato a due carabinieri: Enea Codotto, 25 anni e Luigi Maronese, 23 anni. Dagli atti del processo è emerso che durante l'imboscata Fioravanti ha fatto finta di arrendersi. Poi ha gridato alla Mambro, nascosta dietro un'auto, "Spara, spara!". Per aver ucciso Enea Codotto e Luigi Maronese, Francesca Mambro è condannata all'ergastolo.

30 settembre 1981. Viene ucciso il ventitreenne Marco Pizzari, estremista di destra e intimo amico di Luigi Ciavardini, poiché ritenuto un "infame delatore". Del commando omicida fa parte Mambro. Per aver ucciso Marco Pizzari, Francesca Mambro è condannata all'ergastolo.

31 luglio 1981. Nell'ambito del regolamento di conti all'interno della destra eversiva, viene ucciso Giuseppe De Luca. Per aver ucciso Giuseppe De Luca, Francesca Mambro è condannata all'ergastolo.

21 ottobre 1981. Alcuni Nar, tra cui Mambro, tendono un agguato, a Roma, al capitano della Digos Francesco Straullu e all'agente Ciriaco Di Roma. I due vengono massacrati. L'efferatezza del crimine è racchiusa nelle parole del medico legale: "La morte di Straullu è stata causata dallo sfracellamento del capo e del massiccio facciale con spappolamento dell'encefalo; quello di Di Roma per la ferita a carico del capo con frattura del cranio e lesioni al cervello". Il capitano Straullu, 26 anni, aveva lavorato con grande impegno per smascherare i soldati dell'eversione nera. Nel 1981 ne aveva fatti arrestare 56. La mattina dell'agguato non aveva la solita auto blindata, in riparazione da due giorni. Per aver ucciso Francesco Straullu e Ciriaco Di Roma, Francesca Mambro è condannata all'ergastolo.

5 marzo 1982. Durante una rapina a Roma, Mambro uccide Alessandro Caravillani, 17 anni. Il ragazzo stava recandosi a scuola e passava di lì per caso. Mambro sostiene che Caravillani sia stato ucciso da un proiettile di rimbalzo. Per aver ucciso Alessandro Caravillani, Francesca Mambro è condannata all'ergastolo.

Per la strage di Bologna, Francesca Mambro è condannata all'ergastolo. Ha subito altre condanne per complessivi 84 anni e otto mesi per i reati di: furto e rapina (una ventina in tutto), detenzione illegale di armi, violazione di domicilio, sequestro di persona, ricettazione, falso, associazione sovversiva, violenza privata, resistenza e oltraggio, attentato per finalità terroristiche, occultamento di atti, danneggiamento, contraffazione impronte.

Nel 1994 Francesca Mambro concede l'intervista intitolata "Loro al governo, noi all'ergastolo". Dal 1998  potevate incontrare Francesca Mambro libera per le strade di Roma, lavora presso "Nessuno tocchi Caino" insieme al marito e collega d'imprese Giusva Fioravanti, in regime di semi-libertà. Da dieci anni già non vive più in carcere: ha ucciso 96 persone, ne ha ferite centinaia e non c'è nessun italiano nella storia del nostro paese che abbia ucciso quanto lei.

La libertà definitiva per Francesca Mambro, che per aver ucciso 96 persone è stata in carcere 16 anni, arriverà nel 2013: giusto compimento della legislatura, mi verrebbe da dire.

Qualcuno deve spiegarmi come questo sia possibile. Ma la melma sale, tutto è indifferente, giusto e ingiusto sono aggettivi inutili e allora che Mambro sia libera, che gli intellettuali cinguettino, tanto chi è morto per mano sua a 17, 23, 36 anni è già stato dimenticato, chi è morto bambino in una sala d'aspetto della stazione di Bologna, non può parlare. Vince sempre chi è più forte e "giustizia" in questo paese è una parola senza senso.

Il simbolo di questa insensatezza è la libertà di Francesca Mambro.



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« Risposta #69 inserito:: Ottobre 10, 2008, 11:28:08 pm »

10 ottobre 2008,

Obama e Cameron


Mi sono ritrovato all'improvviso, nel corso di una bella trasmissione Radio Incontro organizzata per discutere ancora del caso Mambro, a dover rispondere ad un ascoltatore estremamente preoccupato per la condizione di catastrofe che stanno vivendo le borse mondiali. La richiesta era quella di indicare una possibile soluzione e a me ne viene in mente solo una, così l'ho consegnata alla riflessione del mio interlocutore con una frase sola, forse troppo semplice, ma non superficiale: "La soluzione alla cattiva gestione dell'economia è sempre la crescita di una buona politica".

Io non ho mai creduto nella dottrina della "mano invisibile", quella che ha nutrito per un paio di secolo i liberisti di mezzo mondo, secondo i quali esiste un meccanismo miracoloso nelle economie di mercato che, attraverso le leggi della libera concorrenza, si "autoregolano". Io credo nel decisivo ruolo di controllo e vigilanza del sistema politico che deve con attenzione regolare la libertà del sistema economico. In questo contesto, però, il crollo di consenso e di conseguente legittimazione delle classi politiche nel mondo occidentale, genera a mio avviso il crollo delle impalcature del nostro sistema economico.

Da questo punto di vista, alla richiesta di soluzione invocata dall'ascoltatore di Radio Incontro, io non voglio sfuggire. Noi abbiamo maledettamente bisogno di buona politica e da questo punto di vista, forse, siamo alla fine di un tunnel. Non voglio impostare questa riflessione in un'ottica di parte: la buona politica è oggi il cambiamento. Le vecchie impalcature collassano perché gruppi dirigenti troppo statici hanno reso un pessimo servizio all'idea stessa di democrazia. Ancora una volta, le novità arriverenno dal mondo anglosassone e hanno due nomi precisi: Barack Obama in America e David Cameron nel Regno Unito.

Un democratico e un conservatore. Se fossi cittadino americano, voterei Barack Obama perché la dinastia dei Bush ha completamente fatto il suo corso, chiudendo la sua storia nell'ignominia, tradendo persino i suoi principi con il maxipiano da 700 miliardi di dollari che sta affossando ulteriormente l'economia americana. Se fossi cittadino britannico, voterei David Cameron perché il suo discorso al recentissimo congresso conservatore è stato assai convincente e l'ha fatto somigliare nei miei ricordi al primo strepitoso Tony Blair, quello del congresso laburista di Blackpool. La dozzina d'anni di dominio laburista è arrivata naturalmente al suo capolinea, Gordon Brown non gode della fiducia di una parte considerevole persino del suo partito e il potere, nei paesi normali, logora chi ce l'ha per troppo tempo.

Nel cambiamento politico, affidato a personalità giovani e serie che godano di una reale legittimazione popolare, risiede la soluzione possibile per il disastro economico che vediamo srotolarsi sotto i nostri occhi. Obama e Cameron, un democratico e un conservatore, sono la luce su cui fissarci per uscire da questo maledetto tunnel. Le due opzioni in campo sono: il capitalismo totalitario alla cinese o la democrazia dell'economia sociale di mercato. I liberisti puri abbandonano il campo, sconfitti. Per tutti, c'è la grande occasione di mostrare al mondo che l'Occidente sa rigenerarsi e lo sa fare attraverso il voto dei cittadini che sanno capire quando è il momento di cambiare.


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« Risposta #70 inserito:: Ottobre 17, 2008, 12:00:21 am »

Ieri 15 ottobre 2008, 14.33.09


Contro le élites

YOUDEM, ALDO GRASSO E LA TV MORTA SENZA WEB

di Mario Adinolfi per Europa


Due premesse
Devo necessariamente premettere, per prima cosa, che io lavoro per la "concorrenza". Youdem la guardo anche perché faccio il vicedirettore a Nessuno Tv e l'esordio dei "cugini" (da noi diciamo "i laziali") non può non incuriosirmi. A me è sembrato un ottimo esordio, in linea con quanto promesso da Veltroni alla presentazione e con le idee di fondo, che conosco bene, di Bruno Pellegrini che la realizza insieme a Luciano Vanni e Andrea Soldani. Una televisione di flusso, basata sugli user generated contents, cioè sui contenuti generati dagli utenti democratici. Il modello è la Current Tv di Al Gore, che non è solo una grande idea di comunicazione innovativa, ma anche un business di proporzioni potenzialmente colossali. A me Youdem piace, ad Aldo Grasso no che l'ha stroncata con un intervento in voce sul sito del Corriere della Sera. Qui, la seconda premessa doverosa: Aldo Grasso ha un pregiudizio colossale verso la rete e i blogger, ne ho fatto le spese personalmente beccandomi stroncature a ogni passo e la cosa ha costruito una forte reciproca antipatia. Però, come io ho riflettuto su alcune cose scritte da Grasso nei miei confronti, traendone beneficio, spero che lui possa provare a riflettere su qualche idea che gli regalo qui. Le antipatie personali resteranno intatte, ma forse qualcosa si smuoverà anche nel pensiero tetragono di colui che si considera il papa della critica (televisiva e non solo).

Il mondo analogico delle élites novecentesche
Aldo Grasso rappresenta il mondo analogico delle élites novecentesche, di quelli che pensano che il percorso di ogni idea sia: un gruppo di eletti (per censo e casta) pensa, attraverso i mezzi di comunicazione l'idea viene elaborata, dibattuta, trasmessa al popolo. Ogni allargamento eccessivo della base di coloro che pensano e trasmettono, è deleterio. Toglie potere alle élites e dunque va combattuto. Nella critica contro Youdem trasmessa ieri attraverso il sito del Corriere, Grasso diceva testualmente: "Ben vengano le televisioni. A noi quando hanno chiuso la Tv delle Libertà della Brambilla, francamente ci è dispiaciuto". Passi l'errore di grammatica ("a me mi" non si dice, lo insegnano da piccoli, ma qui non si è pedanti). Il divertente è l'uso del "pluralis maiestatis". Grasso, voi che siete dispiaciuti per la Brambilla, chi siete? E, ormai, quanti siete?

L'abbattimento delle barriere
La rete abbatte la barriere: toglie potere alle élites, redistribuendolo. Youtube, i social network, i blog non sono solo luoghi per giovani perditempo, come prova a dire Grasso da anni. Sono un nuovo modello rivoluzionario di distribuzione dei contenuti, che quasi azzera anche i costi di produzione e potenzialmente apre praterie alle idee di chiunque. Sì, di chiunque. Ed è nell'indeterminatezza di questo "chiunque" che risiede la forza rivoluzionaria del modello. Ad oggi del tutto potenziale, d'accordo, siamo agli albori: le idee sono ancora poche e raffazzonate. Ma si raffineranno. Noi siamo piccoli. Ma cresceremo. E allora virgola, ce la vedremo.

Basta con le cricche
La potenzialità più affascinante è la fine della logica delle cricche, che in Italia raggiunge il suo apice. Grasso ha usato la settimana scorsa una paginata del Magazine del Corriere della Sera per una ripicca in linguaggio cifrato contro Giovanna Salza, direttore della comunicazione di Air One, per una questione di mancato accesso alla sala vip. Ma è mai possibile che in questo paese il giornalismo delle élites si sia ridotto ormai a pura guerra tra clan? No, non è possibile. Qualcosa di nuovo è alle porte e la rete lo sta rendendo possibile: è la rivoluzione dei contenuti generati dagli utenti (per inciso, domani alla Casa del Cinema di Roma alle 20 ne discuteremo con Luca Sofri e anche con il direttore di Corriere.it in un evento organizzato da Current Tv e Warner Bros). Per ora, è una questione di quantità: le élites si restringono e si arroccano, la marea della rete conta miliardi di individui pensanti. Occorre lavorare sulla qualità e la rivoluzione sarà compiuta. E anche per la tv, come per ogni forma di comunicazione top-down, sarà la morte, se non sposerà la logica reticolare del web.


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« Risposta #71 inserito:: Ottobre 18, 2008, 10:13:12 pm »

18 ottobre 2008,

Una notte, una mattina, le belle parole



Saranno state le tre di notte, stanotte, in una sala di poker accaldata per eccessivo affollamento. In mano ho le paperelle. Insomma, per voi profani, una coppia di due. La coppia più bassa e più incerta del texas hold'em. Il tavolo l'avevo dominato, l'heads up finale era andato senza scossoni, l'ultimo avversario rimasto a separarmi dalla seconda vittoria consecutiva nella mia specialità preferita (sit and go da dieci giocatori, stack tremila e bui da dieci minuti a partire da 25-50: poco margine di manovra, non bisogna mai sbagliare una mossa o si è fuori) era bravo e tenace e benvestito, ma poco fantasioso e così era finito rapidamente all'angolino. Senza farla troppo lunga: all in con la coppia di due, il rivale non folda, ormai aveva troppo poco davanti, era costretto a chiamare con donna e sette off (cioè, di seme diverso, incoltivabile anche l'ambizione del colore). Flop: jack, cinque e nove. Turn: king. River: due. Tris di due. Gioco, partita, incontro. Stretta di mano.

Da un tavolo limitrofo arriva Daniele. Personaggio particolare, filatelico di professione, si siede a giocare sempre chiedendo un bicchiere di vino rosso e conserva una sorta di eleganza nonostante la barba sale e pepe appaia sostanzialmente mal rasata. C'è un'istintiva simpatia, nata da qualche chiacchiera su Gronchi rosa e dintorni e da un'amicizia comune. Daniele mi aveva promesso dall'America una maglietta particolare di Obama, raffigurato in un ideale francobollo e con la scritta: "CHANGE". Ma si sa come sono le promesse di noi giocatori, possono valere moltissimo o niente del tutto, farci affidamento non è una grande idea. Vanno ascoltate e dimenticate. Io avevo dimenticato la promessa di Daniele, lui no e mi si è avvicinato con un pacchetto arancione e dentro la tshirt azzurrocielo con il francobollo ocra e la faccia di Obama e la scritta.

Ora, io stanotte ho vinto parecchio ai tavoli di poker, ma l'unico vero premio mi è sembrata quella maglietta del futuro presidente americano che sa giocare (e bene) a texas hold'em e vi assicuro che non è un caso.

Questa mattina alle undici e mezzo sono stato convinto ad andare a fare colazione. La tshirt di Obama mi tirava un po' sulla pancia, si sa che non sono proprio esile, ma sembrava una tecnica per rendere più visibile la scritta in stampatello maiuscolo: "CHANGE". Sono uscito così, bermuda reebok e maglietta Obama. Io sono sempre distratto, ma chi mi accompagnava ha un occhio estremamente allenato dalla sua passione per la fotografia a cogliere lo sguardo degli altri: e mi ha raccontato di un'attenzione, di un'istintiva simpatia, di una sorta di coinvolgimento con sussulto del passante casuale.

Mi appare chiaro, indossavo l'effige di una persona che si è fatta simbolo. Non conta più il fatto che sia un bravo politico o un ottimo pokerista o un eccellente giocatore di basket. Non conta più cosa dice, perché ormai si è incarnato nella Parola. La sua parola è cambiamento. E' la stessa parola che, se ci pensate, riguarda in questi giorni il nostro Roberto Saviano. Ormai non è più lui, ormai è incarnato nella parola che ha diffuso.

Ci sono in giro dei presagi. Simboli di non rassegnazione. Parole. Alla dittatura di chi vi spiega sempre che "servono i fatti, mica le belle parole", rispondete che il mondo non è mai stato cambiato dai fatti spicci di Joe l'idraulico.

Il mondo lo cambiano le belle parole. E le belle persone.




(It was a creed written into the founding documents that declared the destiny of a nation.Yes we can)


Non eravamo alla direzione del Pd

17 ottobre 2008, 15.56.00


Prima o poi la finirò di guardare e pensare che l'antipaticissimo tipo in questione, se guarisse da inutili spocchie e sciocche teorie elitiste, potrebbe tornare utile alla battaglia per cambiare davvero questo cazzo di paese, partendo dalla Rete.



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« Risposta #72 inserito:: Ottobre 25, 2008, 07:05:05 pm »

24 ottobre 2008,

Noi facinorosi e la questione del realismo

OBAMA, FACEBOOK, LA PIAZZA, L'AGORA'

di Mario Adinolfi per Europa (in edizione straordinaria per la manifestazione del Circo Massimo)


Noi facinorosi

Noi dobbiamo decidere molte cose in queste giornate particolari, che sono giornate di piazza reale e virtuale, di scuole occupate e di blog intasati, di lotta e di social networking. Quando dico noi intendo dire noi "facinorosi", noi che non stiamo esattamente a nostro agio in questo clima nazionale che oscilla quotidianamente tra la commedia degli equivoci e la tentazione autoritaria. Quando dico noi intendo dire noi democratici, vorrei aggiungere noi direttisti, noi cioè che crediamo che l'azione diretta anche dei singoli in democrazia debba essere un valore tutelato e patrimonializzato. Quando poi i singoli si associano e l'azione diretta diventa di massa, il simbolo più prossimo che ci viene in mente è quello del corpo civile metaforizzato nell'idea di rete e non a caso la rete è il connettore attraverso cui questo flusso di idee "facinorose" corre e scorre.


La corsa alla presidenza americana

Diedero del facinoroso anche a Barack Obama qualche mese fa, lo fecero i vertici del partito democratico, lo invitarono a un "reality ckeck", cioè a una verifica realistica delle sue possibilità reali di battere Hillary Clinton prima e il candidato repubblicano poi nella corsa alla Casa Bianca. Gli dissero di "non farsi incantare da internet" per non fare la fine di Howard Dean che quattro anni prima era stato surclassato dal realismo di John Kerry. Obama, pressato da questi realisti, diede un'occhiata al suo profilo Facebook dove i suoi sostenitori erano diventati più di un milione e concluse che la cosa non doveva necessariamente portare sfiga.


Non siate realisti

Ecco, io credo che questa non sia una stagione per i realisti, io credo che qui serva il colpo d'ala un po' visionario di chi crede e fortemente crede che un afroamericano figlio di un keniano un po' disgraziato e di una donna bianca del Kansas morta troppo presto, possa veramente diventare simbolo di un cambiamento che corre e scorre attraverso la rete, riportando milioni di persone che hanno meno di quarant'anni ad iscriversi in America alle liste elettorali, con un fenomeno di ritorno alla politica che non si verificava più da decine di anni.


Come ad Atene

Credo che però si debba a queste persone, come alle persone che affolleranno il Circo Massimo, il massimo di rispetto: il ritorno alla politica non consente ai politicanti di trattarle come fossero pubblico, spettatori, supporters. Sono, sempre per mutuare il linguaggio Facebook che politicamente peraltro affonda casualmente in una radice precisa, "amici". E allora la piazza non sia solo piazza, il Circo Massimo non sia solo il Circo di Walter, ma proviamo a trasformare il tutto in agorà, in diritto di cittadinanza, in territorio della democrazia diretta, come agli albori della storia dell'uomo libero, come ad Atene che da lì parte la lezione che ancora oggi, faticosamente, proviamo a portare avanti: che il governo dei cittadini è meglio del governo di uno solo o di pochi.

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« Risposta #73 inserito:: Ottobre 29, 2008, 03:45:09 pm »

29 ottobre 2008,

Un triste giorno


Dalle finestre di casa ascolto gli slogan degli studenti davanti al Senato, dove il decreto Gelmini è legge dello Stato. Una stupida operazione che nessuno può chiamare "riforma": è solo un colossale taglio alle risorse della già disastrata scuola italiana, senza alcuna idea di rilancio e di sviluppo della pubblica istruzione in Italia.

Ora i ragazzi, le famiglie, gli insegnanti devono continuare la lotta. Questo è un triste giorno per il paese.

Vecchio stile
Ieri 28 ottobre 2008, 13.09.00
Ma avete mai ascoltato di seguito le canzoni di notte di Guccini? Sono tre e quando è quasi l'alba o nei tempi bui servono a capire meglio.

Questa è la prima, scritta nel mio anno di nascita (1971), francamente la peggiore delle tre...

c'è ancor tempo per pensare, per maledire e per versare il vino,
per pianger, ridere e giocare e il giorno sembra ormai così vicino,
e il giorno sembra ormai così vicino




La Canzone di Notte numero 2 è la più bella ed è di più trent'anni fa (1976)

e poi, voi queste cose non le dite,
poi certo per chi non è abituato pensare è sconsigliato,
poi è bene essere un poco diffidente
per chi è un po' differente

Ma adesso avete voi il potere,
adesso avete voi supremazia, diritto e Polizia,
gli dei, i comandamenti ed il dovere,
purtroppo, non so come, siete in tanti e molti qui davanti





Infine la Canzone di Notte numero tre, che ha solo ventun'anni...

ogni giorno riapro i vetri e alzo le vele, se posso prendo,
quando perdo non sto lì a mandar giù fiele e non mi svendo
e poi perdere ogni tanto ci ha il suo miele
e se dicono che vinco stan mentendo

perchè quelle poche volte che busso a bastoni,
mi rispondono con spade o con denari,
la ragione diamo e il vincere ai coglioni, oppure ai bari,
resteremo sempre a un punto dai campioni (tredici è pari),
ma si perda perchè siam tre volte buoni
e si vinca solo in sogni straordinari...


Questo è un post personale e politico.



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« Risposta #74 inserito:: Ottobre 31, 2008, 03:52:57 pm »

31 ottobre 2008,


Sull'idea (tramontata) di coalizione


L'intervista di Massimo D'Alema a Massimo Giannini oggi su Repubblica apre un interrogativo su cui è meglio non andare di melina, che il nodo politico dei prossimi mesi per i democratici è tutto qui. L'ex premier afferma: "Bisogna lavorare per costruire attorno al Pd una vasta coalizione democratica". Lo scenario preferito da D'Alema mi pare di scorgerlo: alle europee con l'attuale legge, rafforzamento conseguente di ciò che è a sinistra del Pd che tornerebbe ad esprimere rappresentanze politiche istituzionali, dialogo con l'Udc e ex comunisti a fare perno egemonico per tenere insieme quello che insieme, in natura, non può stare.

Insomma, quando D'Alema invoca la "vasta coalizione democratica" dovremmo subito rivolgergli la domanda: "Vasta? Quanto vasta? E ancora giri con la parola 'coalizione'?". Perché tornare al concetto che l'importante è vincere (e non tanto convincere) dunque per vincere riproponiamo la vecchia idea della coalizione che va da Mastella a Luxuria, cambiandone i confini con Tabacci e Vendola, a me proprio non piace. E su questo dobbiamo discutere subito, altrimenti si annideranno nel Pd incomprensioni ed equivoci, che esploderanno subito dopo il voto delle europee rischiando di devastare e mettere sostanzialmente fine al partito.

Quello che credo D'Alema non capisca è che ad essere andato in crisi è il concetto stesso di "coalizione", ottimo strumento politico che ha condotto l'Italia fuori dalle secche nella seconda metà del Novecento, ma oggi inadatto ad essere convincente in un contesto completamente stravolto dal tempo accelerato in cui siamo condannati a vivere. L'accettazione del tramonto dell'idea di "coalizione" è l'esercizio intellettuale più complicato per i leader che si sono formati nei partiti storici repubblicani, tutti imbevuti di concetti legati allo schema iper-proporzionalista per cui la modernizzazione era legata all'allargamento dei confini delle coalizioni stesse: dal centrismo al centrosinistra, dal centrosinistra al compromesso storico. L'uccisione di Aldo Moro manda in frantumi lo schema, l'esperienza del pentapartito prepara l'Italia alla crisi devastante degli Anni Novanta, ma alcuni non hanno capito che le lancette non possono essere portate indietro.

L'idea di coalizione è tramontata, l'unica vera intuizione politica del Pd è aver consegnato il paese alla possibilità del bipartitismo: sarà Pd contro Pdl e le ultime elezioni hanno dimostrato quanto tra gli elettori sia già passato questo concetto. Ora noi dobbiamo attrezzarci per questa evoluzione e a chi è alla nostra sinistra, ma ancor di più a chi è vicino alla decisiva area moderata, dobbiamo offrire un vero diritto di cittadinanza politica all'interno di un'idea nuova di Partito democratico, realmente ricalcata sui modelli anglosassoni di riferimento (Democrats americani e neolaburisti inglesi). Io penso che se nel Pd c'è Follini, certamente nel Pd può starci Tabacci; se c'è Nesi può starci Vendola. Soprattutto, possono starci, se costruiamo una casa adatta ad accoglierli, tutti gli elettori di radice cattolica e di sinistra che attualmente ancora non votano per noi. Inutile pensare di arrivare a loro tramite la scorciatoia del mantenimento in vita di partiti e partitini. La casa comune deve essere il nuovo Pd, più aperto e con le finestre finalmente spalancate.

Dobbiamo discuterne subito, per non restare schiantati a giugno da un Pdl che veleggerà verso il cinquanta per cento dei consensi (avendo colto la lezione bipartitista facendo tramontare la stagione della coalizione) e noi a difendere la ridotta del trenta, consegnati ad un destino che non ci vedrà, a quel punto, né vincere né convincere per molti e molti anni.

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