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Autore Discussione: LEGA e news su come condiziona il governo B.  (Letto 81471 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Luglio 11, 2008, 10:46:22 pm »

Timori e sospetti di manovre


di Massimo Franco


Il sospetto di un attacco strumentale è forte. E lo alimenta il modo plateale col quale i socialisti europei hanno chiesto al francese Nicolas Sarkozy, presidente di turno dell’Ue, di premere su Silvio Berlusconi. Ma le accuse di razzismo arrivate ieri dal Parlamento di Strasburgo contro il governo italiano che prende le impronte digitali ai bambini rom sono comunque un segnale.

Dicono che l’idea lanciata dalla Lega e fatta propria dal centrodestra offre un pretesto facile agli avversari della maggioranza berlusconiana.
La misura presa in Lombardia, Lazio e Campania in nome dell’«emergenza nomadi» mette il governo sotto una lente di ingrandimento negativa. I numeri della votazione all’Europarlamento confermano un blocco di centrosinistra pronto a materializzarsi su temi sui quali l’Ue si mostra inflessibile: forse perché vuole esorcizzare i fantasmi xenofobi che aleggiano su tutto il Vecchio Continente; o più semplicemente perché teme che la «ricetta italiana» diventi contagiosa.
Ma alcune defezioni che ieri si sono registrate nello stesso Ppe suonano come elemento di riflessione per Palazzo Chigi.

L’altolà di Strasburgo non è vincolante. Sa di manovra politica. Ed è stato deciso senza aspettare il parere che avrebbe dovuto dare la Commissione Ue. Per questo i ministri degli Esteri, Franco Frattini, e dell’Interno, Roberto Maroni, hanno reagito stizziti, dicendo che andranno avanti «fino in fondo». Il responsabile al Viminale arriva a prevedere che presto la prassi sarà imitata altrove. Sul piano internazionale, tuttavia, il contraccolpo c’è. Ad allungare un’ombra sono le riserve esplicite di molti esponenti cattolici, prima ancora che dell’opposizione. Gli episodi di intolleranza che si sono registrati nel recente passato, insieme con le dichiarazioni sbrigative di qualche alleato berlusconiano, all’estero accreditano il profilo di un governo più estremista di quanto non sia.

D’altronde, nello stesso centrodestra non tutti sembrano convinti dell’efficacia dell’operazione. Ma per la Lega, soprattutto, la scelta è irreversibile. Risponde all’esigenza di placare la domanda di sicurezza di un elettorato spaventato non solo al Nord. È una bandiera controversa issata davanti al Paese con un obiettivo insieme ideologico e mediatico. Per questo, sebbene divida, difficilmente sarà ammainata. Il «censimento», come viene chiamato eufemisticamente dai promotori, è una sorta di trincea che promette protezione contro i criminali e visibilità politica ad alcune forze della coalizione.

Le impronte digitali dei bambini rom segnano dunque il recinto culturale della maggioranza, o almeno di una sua porzione. Debbono segnare la discontinuità di un centrodestra guidato da un Berlusconi votato per la terza volta come premier dagli italiani, ha obiettato ieri Sarkozy alle rimostranze socialiste. L’osservazione è ineccepibile. Rimane da capire se anticipa un appoggio politico di altri Paesi; oppure se il governo è avviato all’ennesimo braccio di ferro con l’Europa, in una solitudine che qualche avversario conta di trasformare in isolamento.

11 luglio 2008

da corriere.it
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« Risposta #61 inserito:: Luglio 11, 2008, 10:49:11 pm »

11/7/2008
 
La Lega sulle spine
 
 
 
 
 
LUCA RICOLFI
 
Tutti parlano delle difficoltà del Partito democratico, ma Veltroni non è il solo a soffrire. Anche Bossi ha la sua croce, solo che si vede di meno.
Il fatto che la politica italiana stia tornando a polarizzarsi su un’unica questione - le vicende giudiziarie di Berlusconi - porta al centro della scena i partiti che su quella questione hanno le idee chiare (Pdl e Idv), mentre mette in difficoltà i partiti che hanno le idee confuse, o semplicemente hanno altre priorità (Pd e Lega). Per questo il partito di Veltroni è in grande difficoltà nello schieramento di opposizione, mentre il partito di Bossi lo è in quello di maggioranza.

A prima vista Veltroni è messo peggio di Bossi, ma secondo me è vero il contrario. Se la legislatura non finisce anticipatamente, Veltroni ha qualche anno di tempo per capire che cosa vuole essere il Pd. Bossi, invece, ha pochi mesi per riprendere il timone delle riforme. La piega che hanno preso gli eventi politici, infatti, è estremamente pericolosa per la Lega perché è la negazione di tutto ciò in cui il partito di Bossi ha creduto e per cui continua a battersi: meno tasse, più sicurezza, federalismo fiscale. Per adesso l’elettorato leghista aspetta e spera, ma fra qualche mese - se nulla si sarà mosso - potrebbe perdere la pazienza e indurre Bossi a qualche sterzata. Apparentemente non sta succedendo granché, salvo la baruffa sui guai giudiziari del premier. Ma non è così, perché proprio sui tre temi che interessano la Lega si sentono i primi scricchiolii.

Alla Lega interessa la riduzione del carico fiscale sulle famiglie e sulle piccole imprese, mentre il Dpef (Documento di programmazione economico-finanziaria) prevede cinque anni di pressione fiscale inchiodata al 43 per cento, ossia al livello lasciato da Visco e Prodi.
Una scelta grave, che contraddice il programma elettorale del centro destra e non è mai stata spiegata in modo convincente.

Alla Lega interessa la sicurezza. Ma sia la norma blocca-processi (nella versione originaria), sia il disegno di legge sulle intercettazioni non sono congegnati per aumentare la sicurezza, ma semplicemente per tutelare Berlusconi. Il blocco dei processi, se non dovessero intervenire le modifiche di cui giusto ieri si è cominciato finalmente a discutere, avrebbe il solo effetto di aumentare il caos dei tribunali, mentre il giro di vite sulle intercettazioni (pur essendo sacrosanto come strumento di tutela della privacy) non potrà non creare ostacoli alle indagini. Quanto alle altre norme - pacchetto sicurezza e decreto fiscale - non si può non osservare che senza nuove carceri è inutile inasprire le pene, e senza nuove risorse economiche è difficile rafforzare l’azione delle forze dell’ordine.

Resta il federalismo fiscale, il vero cavallo di battaglia della Lega.
Qui l’unico che pare avere le idee chiare è Calderoli, che giusto qualche giorno fa - in un’intervista a questo giornale - ha enunciato un principio semplice e ragionevole: il costo dei servizi deve essere uniforme in tutta Italia. Ciò significa che gli enti locali devono disporre di risorse strettamente proporzionali ai servizi erogati, e se spendono più del necessario devono avere il coraggio di aumentare le tasse locali, autodenunciando così la propria incapacità amministrativa. Il problema è che mettere in pratica un principio del genere richiede una vera rivoluzione copernicana nei rapporti fra eletti ed elettori, nonché uno straordinario lavoro di ridisegno delle istituzioni di cui - al momento - non paiono esservi segnali significativi né nel dibattito politico né nell’attività parlamentare. Per tutte queste ragioni la Lega rischia e i suoi dirigenti sono sulle spine. L’elettorato spera ancora che la maggioranza, a un certo punto, finisca di occuparsi di Berlusconi e cominci a occuparsi seriamente dei problemi del Paese. Ma se questo non dovesse accadere, o finisse per generare risultati modesti, Bossi potrebbe ritrovarsi - fra qualche mese - nella posizione assai scomoda in cui già si trova Veltroni. Forse anche per questo, almeno sul federalismo, Bossi sembra guardare più a sinistra che a destra. Quel che non si capisce è perché Veltroni non colga l’occasione al volo.
 
da lastampa.it
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« Risposta #62 inserito:: Luglio 13, 2008, 06:15:33 pm »

Berlusconi hard: dove finisce il gossip e incomincia la pornopolitica



A meno di clamorosi ripensamenti, non ci sarà più un decreto
intercettazioni. I presupposti della necessità e dell'urgenza sembrano
svaniti d'incanto. Quella necessità e quella urgenza che l'art. 77, comma
2°, Cost. pretende collegate a "casi straordinari" perché il Governo possa
legiferare per decreto.

Ma mentre il Costituente evidentemente pensava alla cura dell'interesse
generale, da quanto trapelato sembra che il presidente del Consiglio
Berlusconi volesse proteggere il più personale degli interessi. Necessità e
urgenza a fronte dell'imminenza della pubblicazione di alcune
intercettazioni che lo ritrarrebbero in estenuanti giochi erotici con
giovani ministre; e mentre parla con l'amico Confalonieri delle tangenti
sessuali versategli dalle stesse in cambio di una rapida e folgorante
carriera politica.

Dunque, un decreto legge per occultare quelle conversazioni, ma
ufficialmente emanato per salvaguardare la privacy dei cittadini dall'oppressione
giudiziaria. Il blocco definitivo dell'Informazione per impedire una singola
pubblicazione. Se questo decreto legge fosse stato emanato, ci saremmo
trovati di fronte al più clamoroso caso di censura mai registrato nel mondo
occidentale.

A parte ciò, la vicenda riapre l'annosa questione dei limiti del diritto di
cronaca. La domanda che va posta è la seguente: fino a che punto si estende
la tutela della riservatezza del personaggio pubblico?

Come sempre, la risposta va ricercata nell'interesse pubblico che la
pubblicazione è destinata a soddisfare. Un interesse pubblico che va
valutato nella maniera più obiettiva, per evitare che si confonda con la
curiosità morbosa, sempre all'erta quando ad essere diffusi sono particolari
della vita sessuale, considerati dall'art. 4, comma 1° lett. d) del Codice
della Privacy quali dati sensibili.

La risposta è nel codice di deontologia dei giornalisti, parte integrante
del Codice della Privacy. Da un lato, l'art. 6, comma 2°, secondo cui "La
sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve
essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro
ruolo o sulla loro vita pubblica". Dall'altro, l'art. 11, comma 2°, che
ammette la descrizione delle abitudini sessuali "nell'ambito del
perseguimento dell'essenzialità dell'informazione e nel rispetto della
dignità della persona se questa riveste una posizione di particolare
rilevanza sociale o pubblica".

La soluzione, quindi, è semplice. Il personaggio pubblico, soprattutto il
politico, ha un rapporto con la collettività. Un rapporto caratterizzato
proprio dal tipo di funzione, espletata su delega di quella collettività che
la Costituzione considera titolare della sovranità ("La sovranità appartiene
al popolo", dice l'art. 1). Si tratta di un rapporto continuo, che deve
svilupparsi nella massima trasparenza e verità. Incaricata di mantenere il
collegamento tra personaggio pubblico e collettività è proprio l'Informazione
(e, per essa, il giornalista). Ebbene, il dato sessuale (sensibile) può
essere diffuso se la sua conoscenza incide sul rapporto del personaggio
pubblico con la collettività.

Ora, nel caso in questione, non può certo considerarsi di interesse pubblico
conoscere le parole che fanno da contorno ai giochi erotici telefonici di
Berlusconi con alcune sue ministre. Che Berlusconi sia un maiale francamente
non deve interessare nessuno, se non lui e le sue interlocutrici, che pare
non siano da meno. Per costoro, essere maiali non può in alcun modo
pregiudicare l'esercizio delle loro funzioni pubbliche. Insomma, siamo nel
peggior gossip, che penetra nella sfera (più) privata del personaggio
pubblico e che invece va tutelata come quella di qualsiasi soggetto. Quelle
conversazioni non costituiscono notizia. La loro pubblicazione costituirebbe
una palese violazione del diritto alla riservatezza.

Stessa conclusione va adottata per quelle conversazioni che pare siano state
intercettate tra due ministre e vertenti sul come gratificare sessualmente
Berlusconi, con particolare riferimento a precise anatomie. E' chiaro che da
tali conversazioni la collettività non potrebbe trarre spunti sul come il
presidente del Consiglio e le sue ministre governano l'Italia. Trattasi di
conversazioni la cui acquisizione obiettivamente non può incidere sul
rapporto che li lega alla collettività, poiché i destini del Paese non
dipendono minimamente dall'organo sessuale di Berlusconi, né dal come alcune
ministre si consigliano di maneggiarlo. Qui siamo al livello del caso
Sircana, il cui accostarsi in auto ad una prostituta transessuale non poteva
minimamente incidere sulla sua attività di portavoce del governo Prodi.

Opposte conclusioni vanno invece tratte dalla telefonata intercettata tra
Berlusconi e l'amico Confalonieri, da dove emergerebbe che la nomina di
alcune ministre è sostanzialmente dipesa dai loro favori sessuali. Sebbene
la composizione del governo rientri nei poteri discrezionali di un premier,
non c'è dubbio che l'assegnazione di un dicastero in base alla disponibilità
sessuale della sua titolare costituisca comportamento non solo vergognoso,
ma anche dannoso per la stessa collettività, che di conseguenza ha il
diritto di sapere. L'intreccio tra sesso e affidamento di delicatissime
funzioni pubbliche sconfina nella pornopolitica, stretta parente della
corruzione. Qui l'interesse pubblico alla conoscenza di quelle conversazioni
riemerge in tutta la sua pienezza prevalendo su qualsiasi profilo di
riservatezza. Qui c'è la notizia, perché la pubblicazione mira a ristabilire
il rapporto tra Berlusconi, ministre e collettività in termini di verità.

Una verità, peraltro, particolarmente imbarazzante se si pensa allo
stridente contrasto che produce l'accostamento del nome di uno di questi
dicasteri al comportamento di chi avrebbe ceduto le proprie grazie per
ottenerlo. E che, nel contempo, allontana sempre di più il Cavaliere dal
sogno di salire un giorno al Quirinale, per avvicinarlo alla figura
ironicamente evocata da Di Pietro soltanto qualche giorno fa.


da spaziolibero@margheritaonline.it
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« Risposta #63 inserito:: Luglio 17, 2008, 11:17:11 pm »

Maroni, la ritirata dopo la vergogna

Paolo Soldini


Il ministro dell’Interno di quello che fu uno dei più prepotenti governi del mondo risale in disordine e senza speranza le valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza. Ci vorrebbe un generale Diaz per dar conto della botta che ha preso Roberto Maroni quando l’altra notte, in sede di discussione della Finanziaria, si è fatto polpette della sua arrogante pretesa di smontare un pezzo di civiltà di questo paese per imporre il razzistico provvedimento della schedatura con le impronte digitali dei piccoli rom. Le impronte digitali verranno prese a tutti quelli che chiederanno la carta d’identità dal 1° gennaio del 2010. Si può discutere se è bene o male, utile o inutile, ma si tratta di una cosa molto, molto diversa da quanto stava scritto nell’ordinanza «sui campi nomadi» e da quanto (contraddicendosi ogni volta che apriva bocca) andava sostenendo da settimane l’improvvido ministro dell’Interno: che la misura non era discriminatoria ma serviva, anzi, a «tutelare» i bambini nomadi. In realtà era discriminatoria in modo odioso e contraria a tutte le norme europee e internazionali sui diritti civili e l’uguaglianza dei cittadini e non tutelava proprio nessuno. Persino il superfluo ministro agli Affari comunitari era in grado di accorgersene.

Un generale Diaz non ce lo abbiamo. Possiamo mettere in fila, però, la truppa che ha contribuito a ricacciare gli invasori oltre le Alpi del buon senso, del diritto delle genti e della morale (morale: che bella parola). La Commissione europea, particolarmente il commissario agli Affari Sociali Vladimir Špidla, ma anche il francese Jacques Barrot (Giustizia e Libertà pubbliche) e lo stesso presidente Barroso, il quale, ancorché politicamente legato a Berlusconi (il quale sua sponte et pour cause gli ha promesso l’appoggio alla ricandidatura), ha comunque fissato, in una intervista al TG1 i paletti del "rispetto delle norme e dei princìpi europei". Poi l’Unicef, quindi l’Onu, con la condanna espressa non "da alcuni funzionari", come scrivevano ieri servilmente "alcuni giornali" (tra cui il Messaggero), ma da Doudou Diene, incaricato speciale sul razzismo per il Segretario Generale, da Gary McDougall, responsabile del comitato per la tutela delle minoranze e da Jorge Bustamante, responsabile per le politiche sull’immigrazione. Il governo italiano ha poco da risentirsi ed esprimere "sconcerto". Si sconcerti piuttosto per il dilettantismo dei suoi ministri e dei loro consiglieri diplomatici. Che hanno fatto rischiare all’Italia anche una crisi diplomatica con Bucarest, dove l’ambasciatore Daniele Mancini è stato convocato perché riferisse alle autorità italiane che il governo romeno "non può accettare che i cittadini romeni siano sottoposti a soprusi e a pratiche discriminatorie che non rispettano la dignità della persona umana". Poi il parlamento europeo, il quale ha votato una mozione di condanna della direttiva che Maroni, sceneggiato con ampi gesti dal suo collega più pleonastico, nella conferenza stampa tenuta qualche giorno fa ha bollato come "manovra strumentale della sinistra". Peccato che la mozione tanto strumentale e tanto di sinistra sia stata votata non solo dai liberal-democratici, ma anche da 21 deputati del Ppe, con altri 77 che si sono astenuti. Intere nazionalità, come i francesi, hanno votato il documento contro il governo Berlusconi. Il che ha aperto un problema politico di prima grandezza nel momento in cui Forza Italia sta cercando di portare dentro il gruppone Ppe gli eurodeputati di An. Infine, dopo il parere negativo di costituzionalisti, giuristi, avvocati, esperti di diritto internazionale, parroci, vescovi, Famiglia Cristiana, è arrivato quello, ufficialissimo anche se un po’ tardivo, del Garante della Privacy Francesco Pizzetti, il quale ha ammonito a non "fare ricorso a queste tecniche (le impronte digitali) secondo criteri discriminatori, specialmente di natura etnica o religiosa, che contrastino con la nostra Costituzione e con le carte dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino che il nostro paese ha siglato". Chiaro, no?

Chissà se qualche giornale, di quelli specializzatissimi in retroscena (qualche volta anche veri), ci racconterà come è maturato l’indietro-marsch di Maroni e soci. La nostra impressione è che abbia pesato, e molto, la rivolta nel Ppe della quale Barroso nella sua visita-lampo a Roma deve aver parlato con qualche preoccupazione a Berlusconi e che in caso di ulteriore incaponimento di Maroni avrebbe rischiato di avere un impatto duro, qui da noi, nei non semplicissimi rapporti tra Fi e An e in quelli ancor meno semplici tra la Lega e tutti e due gli alleati. L’inasprirsi, nelle ultime ore, dei toni sul tema giustizia potrebbe essere un segnale. Ma queste sono impressioni e illazioni. La cosa certa è che dopo uno schiaffone come quello che gli è stato stampato sulla faccia, ancorché di bronzo, il ministro dell’Interno dovrebbe dimettersi. In qualsiasi paese civile, un ministro che non riesce a far passare un provvedimento su cui ha puntato tutto, farebbe le valigie e a casa. Ma siamo nell’ Italia del cavalier Berlusconi e sapete che succederà? Maroni sosterrà che nessuno lo ha sbugiardato, per carità, ci mancherebbe altro. Io quelle cose le ho sempre dette, sono i giornali che non hanno capito. Le impronte digitali per tutti? Ma certo, è proprio quello che volevamo… Ah, come sarebbe bello se almeno per una volta il ministro dell’Interno della Repubblica italiana dicesse la verità. Che volete, ci piace sognare.

Pubblicato il: 17.07.08
Modificato il: 17.07.08 alle ore 8.15   
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« Risposta #64 inserito:: Luglio 20, 2008, 08:30:49 am »

2008-07-19 21:33

GIUSTIZIA: BOSSI, NON SCARICO BERLUSCONI

 di Massimo Colaiacomo



ROMA - Sul far della sera, il leader del Carroccio da' lo strappo e fa calare il sipario. Basta speculazioni e basta quel tramestio di voci che si rincorrono, alimentate da questo o quello dei luogotenenti: la riforma della giustizia si fa, la vuole Berlusconi e Bossi e' pronto a seguirlo. Nessuna intesa sottobanco con le opposizioni, nessun rischio che un improvviso bouleversement delle alleanze possa riportare le lancette dell'orologio indietro di quattordici anni. Cullato dalle acque della laguna dove si trovava per la Festa del Redentore, Bossi prende d'infilata la questione e scandisce: se Berlusconi vuole la riforma della giustizia, la Lega e' pronta a seguirlo.

''Io non scarico i miei alleati''. ''La riforma della giustizia e' cosa che vuole Berlusconi e se la vuole lui va bene anche a me''. E tutti i timori sul possibile rallentamento della riforma federalista a causa del suo intreccio con la giustizia, svaniscono come d'incanto perche' il governo ''puo' farle e tutte e due. Rotto il legame, e quindi il sospetto dello scambio fra federalismo e giustizia, Bossi ha scelto di dettagliare i contenuti del federalismo: deve tagliare l'economia dei trasferimenti mantenendo alle Regioni cio' che producono, e intervenire la' dove il territorio non e' in grado a provvedere a se stesso. Per chi non avesse ancora capito, Bossi fa ancora un passo piu' in la'. E chiarisce che la riforma della giustizia, per motivi forse diversi da quelli di Berlusconi, preme anche alla Lega. ''La magistratura e' un problema'', scandisce Bossi.

Troppo faziosa? Troppo ''rossa''? No: semplicemente ''non c'e' un solo magistrato del Nord e questo non va bene''. La soluzione? Bossi non si fa pregare dai cronisti: ''bisognerebbe far eleggere i magistrati dal popolo, cosi' possiamo sperare che venga fuori il meglio''. Pochi minuti di esternazioni e tutte le tessere di un mosaico che sembrava in fibrillazione sono tornate al loro posto. Ci aveva pensato il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, a fare una strizzata d'occhio in mattinata quando si era riferito alla giustizia come a ''un tema molto complesso ma soprattutto molto grande'' e quindi da sottrarre a rigide scadenze temporali. Per rendere piu' flautate le sue parole all'orecchio delle opposizioni, Calderoli aveva rincarato che il federalismo e' in collegato alla Finanziaria, aveva la precedenza sul resto. ''Ho qualche dubbio - aveva chiuso - sul fatto che si riesca a fare tutto''. Parole che non sono passate inosservate nel Pd.

''Chiare'' per la presidente dei senatori, Anna Finocchiaro, che ha elogiato la schiena dritta della Lega che dice no a ricatti o scambi e non considera prioritaria una riforma della giustizia. Uno da sempre scettico sulla possibilita' di staccare Bossi dal centrodestra e' Marco Follini. ''Mi e' sempre apparsa una trovata per meta' troppo ingenua e per meta' troppo spregiudicata. Le dichiarazioni di Bossi - sentenzia Follini - dovrebbero apparire ovvie anche a quanti tra di noi gli hanno fatto in questi giorni un po' troppo la corte''.

Parola di chi Berlusconi, invece, lo ha scaricato per davvero. 


da ansa.it
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« Risposta #65 inserito:: Luglio 20, 2008, 08:31:30 am »

19/7/2008


Bossi: Giustizia e federalismo insieme
 
Bossi ha aggiunto: «L'importante è che il Federalismo tagli il costo dei trasferimenti dando alle Regioni ciò che producono»

Il leader della Lega: "Il presidente è un nostro alleato, se vuole riformare la Giustizia siamo pronti a seguirlo»


VENEZIA

Per il ministro delle Riforme Umberto Bossi riformare la giustizia e fare il federalismo in contemporanea è possibile. Bossi ne ha parlato, questa sera a Venezia, a bordo di un traghetto dove sta partecipando alla festa del Redentore con la Lega veneziana.

«Giustizia e federalismo possiamo farle tutte e due - ha detto Bossi -, noi andiamo avanti con il federalismo se poi Berlusconi vuole la riforma della giustizia, la Lega è pronta a seguirlo: la Lega non scarica i prorii alleati». «L’importante è che il federalismo - ha aggiunto Bossi - tagli l’economia dei trasferimenti mantenendo alle Regioni ciò che producono, e intervenendo là dove il territorio non è in grado a provvedere a se stesso.

Lo Stato - ha proseguito - oggi si piglia tutto e poi ridà quando vuole e come vuole». Sulle competenze che lo Stato deve mantenere in tema di federalismo, Bossi ha detto che devono essere poche: «molto poche - ha sottolineato - visto come le ha utilizzate fino ad oggi per schiavizzare il paese».

da lastampa.it
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« Risposta #66 inserito:: Luglio 20, 2008, 06:00:57 pm »

2008-07-20 13:32

BOSSI: DIALOGO CON L'OPPOSIZIONE


 PADOVA - Per Umberto Bossi sulle riforme "c'é spazio per il dialogo con l'opposizione". "Certo - ha detto il leader della Lega - siamo pronti ad accogliere le loro proposte anche sul federalismo".  "Da parte nostra - ha aggiunto Bossi, parlando a Padova al congresso della Liga Veneta-Lega Nord - non ci sarà una chiusura al Pd e a Veltroni". E dopo le dichiarazioni concilianti con gli alleati del Pdl e con Berlusconi sulla riforma della giustizia, Bossi ha detto però di non essersi ancora sentito al telefono con il premier "che mi sembra - ha osservato - abbia altro da fare in questo momento che parlare con me".

INNO CI VUOLE SCHIAVI DI ROMA? MAI PIU'
"Non dobbiamo più essere schiavi di Roma. L'Inno dice che 'l'Italia è schiava di Roma...', toh! dico io". E' la frase che Umberto Bossi ha pronunciato oggi a Padova, con il dito medio levato, parlando ai delegati della Liga Veneta-Lega Nord riuniti a congresso. "Dobbiamo lottare - ha aggiunto - contro la canaglia centralista. Ci sono quindici milioni di uomini disposti a battersi per la loro libertà. O otterremo le riforme, oppure sarà battaglia e la conquisteremo, la nostra libertà". Un Bossi in forma e particolarmente combattivo quello presentatosi stamani davanti ai leghisti del Veneto: "Dobbiamo lottare - ha insistito - contro questo stato fascista. E' arrivato il momento, fratelli, di farla finita". E sempre sul progetto di federalismo, il leader del Carroccio ha detto di non essere contrario alla perequazione tra regioni più ricche e quelle più povere. "Ma deve essere una perequazione giusta - ha proseguito - non come è adesso, dove chi più spende più ha soldi dallo Stato. E' una truffa, è uno schifo". "Adesso ogni regione deve vivere con i soldi che produce - ha detto ancora Bossi -, poi, certo, serve una certa perequazione, ma basta mandare i soldi a Roma e vedere i sindaci costretti ad andare col cappello in mano nella capitale". Il Senatur intende dare battaglia anche sui trasferimenti assegnati in base alla spesa storica: "Anche questa della spesa storica - ha spiegato - intendo toglierla di mezzo con il federalismo". "Il federalismo - ha concluso Bossi - non è solo la storia mia, è la storia nostra. Non lo farò soltanto io ma milioni di persone".

LOMBARDO-VENETO PUO' ABBATTERE STATI
Per il leader della Lega, Umberto Bossi le regioni del "Lombardo-veneto hanno la forza di battere chiunque, di abbattere gli Stati e forse sarà necessario farlo". "La storia ha dimostrato - ha aggiunto Bossi parlando al congresso veneto della Lega Nord - che ogni volta che il Lombardo-veneto si è unito, ha vinto".

STOP A PROFESSORI CHE NON SONO DEL NORD
"Dopo il federalismo bisogna passare anche alla riforma della scuola". E' l'intendimento della Lega che Umberto Bossi ha ribadito stamani a Padova, al congresso della Liga Veneta-Lega Nord. "Non possiamo lasciare martoriare i nostri figli - ha aggiunto - da gente (i professori ndr) che non viene dal nord. Il problema della scuola è molto sentito perché tocca tutta la famiglia". E qui Bossi ha voluto citare un esempio: "E' la verità - ha spiegato - un nostro ragazzo è stato 'bastonato' agli esami perché aveva presentato una tesina sul federalista Carlo Cattaneo". "La Padania - ha aggiunto Bossi - ormai è nel cuore di tutti. Noi ai bambini insegniamo fin da quando nascono che non siamo schiavi e non lo siamo mai stati".
 
da ansa.it
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« Risposta #67 inserito:: Luglio 22, 2008, 02:15:25 pm »

22/7/2008
 
I giusti, i fessi
 
 
 
 
 
RENATO BRUNETTA
 
Caro Direttore,
Mina, nel suo articolo su La Stampa di domenica, ha impareggiabilmente evocato le persone a cui dedico il mio lavoro e alle quali non smetto di pensare mentre mi batto, secondo taluni in modo veemente, per far funzionare il settore pubblico. Ho in mente il ragionier Giustini, che in tutta la sua carriera s’è assentato solo cinque minuti. Ho in mente la sua maestra (la mia la ricordo ancora con devota commozione quando portava a mio padre i compiti per casa per il suo alunno ammalato...), che amava insegnare e conservava memoria di quel suo antico e bravo alunno.

Il ragionier Giustini, forse, passa per stupido. Gli altri, i «furbi», compreso quello che in falsa malattia se la spassa con la brasiliana, lo considerano certamente un «fesso». Invece è un giusto, e come tale merita d’essere premiato. La maestra godeva di rispetto, aveva uno status sociale di cui andava orgogliosa e che s’è perso. Sì, certo, perché la società corre, perché si considera troppo la ricchezza materiale, ma anche perché alcuni suoi colleghi odierni il rispetto proprio non lo meritano. Il ragionier Giustini e la sua maestra non si sono rassegnati ad essere uguali ai «furbi». Perché mai dovremmo farlo noi? Perché dovremmo rassegnarci a tollerare i privilegi dei peggiori, accontentandoci della loro mediocrità? Dobbiamo invece premiare il merito, l’impegno e l’onestà. A cominciare da noi stessi e dai dirigenti, naturalmente.

Grazie, Mina, per averci presentato queste persone. E’ per loro che non intendo arrendermi. Per me vale sempre l’impegno di Giacomo Brodolini: «Da una parte sola, dalla parte dei lavoratori!».

Ministro della Funzione Pubblica
 
da lastampa.it
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« Risposta #68 inserito:: Luglio 22, 2008, 02:17:35 pm »

22/7/2008
 
Poltrone e parchi
 
 
 
 
 
STEFANIA PRESTIGIACOMO
 
Caro Direttore,
di parchi e ambiente mi voglio e mi devo occupare e mi dispiace che chi ha scritto ieri, nella sua doppia veste di giornalista e di presidente di parco, non abbia colto l’urgenza di ripensare l’uso, il valore e le modalità di gestione di ciò che dovrebbe rappresentare la parte più pregiata del nostro Paese.

Credo infatti che sui parchi italiani ci sia molto da fare, ma non per «svenderli ai privati» come pure qualcuno travisando le mie parole ha scritto, non per ridurne la quantità e la qualità, non per far «dimettere» lo Stato dalla gestione ambientale del territorio. Io voglio fare esattamente l’opposto.

In Italia abbiamo circa 800 aree soggette a tutela fra parchi, riserve e aree protette nazionali e regionali. E circa 800 enti a gestirle. Dei 23 parchi nazionali alcuni sono commissariati, solo 2 hanno approvato il Piano Pluriennale economico sociale (quello del parco d’Abruzzo, ad esempio, ha impiegato 5 anni a ottenere il parere favorevole dalla Regione). E tutti questi enti sono condizionati da pastoie burocratiche e sovrapposizione di competenze. Questo gran numero di organismi drena una cospicua quantità di denaro pubblico che, disperso in tanti rivoli, però poi si rivela esiguo per ogni singola realtà. Risorse che alla fine servono per pagare presidenti, direttori, consigli direttivi e quasi null’altro, tranne pochissime lodevoli eccezioni. E la situazione per gli anni a venire è che, chiunque governi, di fondi pubblici non ce ne saranno di più. Allora ho posto un problema politico. Il modello che carica sul pubblico tutte le spese di gestione e «tutela» di un immenso patrimonio che va difeso, protetto, gestito, valorizzato è un modello plausibile, è un modello che ha futuro? O non significa condannare parchi e riserve a una vita grama? Non significa condannare il settore parchi a sopravvivere come una sezione del sottogoverno?

Per questo credo che non vadano cambiati i parchi ma gli enti parco, che si trovano spesso a (non) gestire territori sconfinati, che comprendono fino a 83 Comuni, attraversati da strade e autostrade. Ritengo indispensabile ripensare questo modello e affiancare al pubblico il coinvolgimento dei privati che aiutino la fruizione di questi beni di enorme valore. Occorre infatti dotare queste zone di servizi, di piccole strutture ricettive e di ristorazione, di aree artigiane, di tutte quelle iniziative che non scalfiscano minimamente lo stato dei luoghi e la loro integrità, ma siano forte volano di sviluppo per il territorio.

Occorre cambiare rotta per difendere i parchi. Perché ritengo che il ministero dell’Ambiente debba occuparsi della protezione e della valorizzazione dell’ambiente e non del «poltronificio».

Ministro dell’Ambiente
 
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« Risposta #69 inserito:: Luglio 23, 2008, 10:52:12 pm »

La Lega sovversiva

Nicola Tranfaglia


Mi sembra di essere piombato in una situazione grottesca e paradossale. Ci sono due ministri, Bossi e Maroni, che, dopo le elezioni di aprile 2008, hanno giurato fedeltà alla costituzione e alla repubblica davanti al Capo dello stato e alle telecamere delle emittenti pubbliche e private e ora si comportano come se il giuramento non ci fosse stato e parlano come emissari della Padania contrapposta all’Italia. Bossi, ministro delle Riforme nel quarto governo Berlusconi, il 19 luglio scorso ha parlato contro «la canaglia centralista», ha insultato l’inno nazionale di Mameli e ha invitato i Padani a non far martoriare i propri figli dagli insegnanti del Sud.

Ha minacciato la repubblica di mobilitare quindici milioni uomini del Nord per liberare il paese e fare la riforma federalista. Roberto Maroni, ministro dell’Interno della repubblica, ha condotto una campagna martellante per prendere le impronte digitali ai bambini dei Rom e, quando le Camere hanno stabilito che la schedatura riguarderà tutti gli italiani dal 2010, ha negato il carattere discriminatorio di quella norma e ha difeso la scelta del governo. Mi chiedo se sogno o son desto. Mai nella storia d’Italia era successo che ministri in carica insultassero lo Stato di cui sono espressione e portassero avanti le pretese della parte politica che rappresentano.

Ma l’aspetto più grave della situazione è che, di fronte a un simile comportamento, nessuna istituzione della repubblica reagisca in maniera adeguata. I presidenti delle Camere che sono alleati della Lega nel governo, hanno difeso i simboli nazionali, ma non hanno segnalato la contraddizione della Lega né hanno messo in discussione l’alleanza. Anzi il presidente dei deputati di Forza Italia alla Camera on. Cicchitto ha sottolineato che la coalizione è salda e che la Lega ne fa parte a pieno titolo. Il Capo dello Stato è rimasto in silenzio. E il presidente del Consiglio ha rassicurato Bossi e Maroni che va tutto bene e che i rapporti tra gli alleati non presentano problemi di nessun genere. Sembra di sognare. Abbiamo due ministri in carica, i più importanti della Lega, che offendono la repubblica e i suoi simboli, che adottano iniziative razziste o le annunciano per il futuro, e nessuno si preoccupa. O, al massimo, danno un buffetto scherzoso agli autori delle iniziative.

Ma, se le cose stanno così, non solo è urgente che il presidente del Consiglio vada alla Camere (come ha chiesto il PD di Veltroni) e dica quale è la sua opinione sulle parole di Bossi e che cosa pensa degli insulti alla repubblica, ma anche che chieda ai due ministri di osservare il giuramento appena fatto e di non parlare più di una inesistente Padania che si contrappone alla costituzione repubblicana e allo stato democratico. I leghisti vorrebbero introdurre nel nostro paese regole e leggi che contraddicono in pieno ai principi costituzionali e alle regole, introdotte anche dalle convenzioni dell’ONU, sull’eguaglianza dei cittadini del Nord e del Sud nell’Italia repubblicana. E’ prevedibile una tale presa di posizione da parte di Berlusconi dopo che alla Camera il gruppo della Lega Nord, con le parole del capogruppo Cota, ha riaffermato, come se nulla fosse, le parole di Bossi e ha ripetuto gli insulti a Roma e alla "canaglia centralista"?

Crediamo proprio di no e pensiamo che si deve prender atto che ci sono due ministri di grande rilievo nell’attuale governo (Riforme e Interno) che si ritengono ministri della Padania piuttosto che della repubblica e si comportano come se non seguissero il progetto della coalizione di maggioranza ma gli interessi di un altro Stato, che ha un suo parlamento, sue leggi e suoi organi separati. Non era mai avvenuto nei centocinquant’anni dell’Italia unita. Non nei sessant’anni dello Stato liberale. Non nel ventennio fascista e neppure nei sessant’anni della democrazia repubblicana. Succede ora con il ritorno di Berlusconi al potere che porta con sé in una posizione privilegiata tra gli alleati la Lega Nord di Bossi, le attribuisce ministeri di primaria importanza e le permette di dire e fare quello che vuole, al governo e in parlamento.

A quale esito porterà la repubblica la presenza nel governo Berlusconi di due logiche diverse? E di due stati differenti: la Padania e l’Italia repubblicana? È difficile prevedere che cosa accadrà ma è certo che la Lega Nord proseguirà su una strada autonoma ed estranea alla costituzione malgrado i giuramenti fatti al momento di formazione del governo Berlusconi. Bossi e Maroni difendono i voti presi dalla Lega e la sua specifica ideologia che ha nel Dna la secessione e la lotta allo Stato italiano così come si è formato nei precedenti centocinquant’anni ed è in fondo una lotta per l’egemonia culturale all’interno della destra che governa oggi l’Italia. Sta al presidente del Consiglio scegliere tra l’assimilazione della Lega alla coalizione di maggioranza e l’adozione delle parole d’ordine della Lega Nord come ideologia di tutta la destra unita.Di qui, da questa attuale incertezza nasce il tentativo di Berlusconi di abbassare i toni e di rassicurare gli alleati leghisti senza adottarne gli slogan.

Ma i gravi insulti di Bossi ai simboli dell’unità nazionale e le iniziative discriminatorie in preparazione (o già fatte come quelle iniziali di Maroni contro i bambini Rom) provocano aperte contraddizioni all’interno della maggioranza parlamentare e rischiano di suscitare reazioni di altri organi costituzionali. Staremo a vedere. E molto dipenderà anche dall’opposizione che non può, in nessun caso, rinunciare alla difesa della costituzione repubblicana e dello Stato democratico di fronte a quello che Gramsci, in altri tempi, avrebbe chiamato il "sovversivismo" strisciante delle classi dominanti italiane.

Pubblicato il: 23.07.08
Modificato il: 23.07.08 alle ore 8.13   
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« Risposta #70 inserito:: Luglio 27, 2008, 12:20:36 am »

Propaganda e fallimenti

Vittorio Emiliani


Perché il ministro dell’Interno Roberto Maroni suona a tutta forza l’allarme sugli immigrati clandestini reclamando addirittura lo stato di emergenza per l’intero suolo nazionale? Forse la situazione degli arrivi si è tanto aggravata rispetto agli anni scorsi? No.

C’è un certo incremento rispetto al dato (annuale però) del 2006 e soprattutto a quello del 2007, ma, essendo, questi ultimi, dati del solo primo semestre, che includono quindi arrivi di irregolari per la campagna dei vari raccolti agricoli, non ci sono anomalie così straordinarie da dover suonare i tamburi dell’emergenza. Fra l’altro è noto a molti - non a tutti purtroppo - che una parte rilevante di questi migranti clandestini vanno ad aggiungersi ai loro connazionali entrati regolarmente in base alle quote prestabilite. Sappiamo benissimo - ma ipocritamente facciamo finta di non saperlo - che, senza questi lavoratori, stagionali e fissi, reclutati "in nero", spesso trattati come bestie da fatica, la nostra agricoltura non reggerebbe, non si raccoglierebbero ortaggi, frutta, olive, uva, non si potrebbero tenere in vita le stalle, né effettuare le lavorazioni stagionali di aratura, potatura, sarchiatura, monda del riso. A proposito: nelle risaie del triangolo Pavia-Vercelli-Novara dove si concentra (con appendici nel Milanese e nel Ferrarese) la produzione dei nostri risi sono comparse parecchie mondine provenienti dalla Cina. Lo stesso discorso va ripetuto per i cantieri edili e stradali, per i lavori industriali più faticosi e usuranti (a cominciare dalla metallurgia, dalle fonderie e dalle concerie), per la sanità e l’assistenza, per ristoranti e alberghi, per la pesca, per il commercio, per tutta una serie di mestieri chiaramente disertati, da anni e anni, dai giovani italiani. L’immigrazione è servita e servirà - sia detto col massimo pragmatismo - anche a colmare il deficit di natalità delle famiglie italiane pure in regioni del Centro-Nord dove i servizi sociali sono presenti in modo diffuso. Il 6 per cento del Prodotto Interno Lordo è ormai da attribuire agli immigrati che pagano quasi 2 miliardi di euro di tasse e concorrono alla crescita dei Paesi di origine inviando colà rimesse per 4,3 miliardi di euro (777 milioni verso la sola Romania, ma 200 milioni diretti in Asia). Ma torniamo al governo Berlusconi e alla decisione di accogliere la richiesta del ministro Maroni di proclamare in tutto il Paese lo stato di emergenza per l’immigrazione irregolare. Le cifre degli arrivi, certamente non trascurabili, non giustificano l’improvvisa estensione all’intero Paese di misure anti-clandestini che certamente renderanno ancor più difficile e crudele la condizione di questi disperati provenienti da Paesi lontani, spesso da Paesi devastati da conflitti interni sanguinosi. Non a caso sui quasi 12.000 stranieri approdati clandestinamente da gennaio a giugno sulle nostre coste (di cui 10.000 soltanto a Lampedusa) c’è una altissima quota di africani, più di un quarto, quindi oltre 3.000, sono partiti dalle coste della Somalia, Paese più che mai alla disperazione. Fra quanti chiedono asilo politico (ben 4.237 le domande in tal senso presentate da gennaio a maggio) numerosi - informano i gesuiti del Centro Astalli di Roma - sono pure gli afgani i quali, per lo più, transitano soltanto dall’Italia per dirigersi verso il Regno Unito (come facevano pochi anni fa i curdi verso la Germania).

La grancassa sugli immigrati clandestini è di tipo propagandistico e non risolve alcun problema di fondo, anzi, drammatizzandoli, li aggrava. Berlusconi e Bossi - così come Alemanno a Roma - hanno puntato tutto sulla sicurezza e quindi sulle misure anti-immigrati. Con la manovra finanziaria appena approvata stanno già deludendo le attese di quanti confidavano in un aumento degli organici e dei mezzi delle forze di polizia. La manovra Berlusconi-Tremonti taglia fondi anche alla sicurezza, porta a ridurre di alcune migliaia gli agenti dell’ordine, toglie ai Comuni, alle Province e alle Regioni risorse destinate a servizi - come quelli sanitari, assistenziali, scolastici di base - che concorrono alla pace sociale nelle città. Il governo deve coprire questo palese tradimento di promesse elettorali di massa e lo fa amplificando il problema dei clandestini, col rischio di accrescere uno stato di paura già sproporzionato - come ha fatto notare di recente il Censis - all’entità reale della criminalità. Proprio il Censis ha documentato che gli italiani temono assai più la disoccupazione che non la stessa criminalità e l’immigrazione irregolare. Gli intervistati avvertono che il confine fra lavoro e non-lavoro si è fatto sempre più sottile, più labile. Per questo il 66 per cento degli italiani pone la disoccupazione in cima ai propri pensieri, contro il 60 per cento che vi pone la criminalità e il 59 per cento l’immigrazione.

Su queste colonne abbiamo scritto tante volte che l’Italia criminale, sanguinaria, violenta che ogni giorno entrava nelle case italiane coi giornali, ma soprattutto coi telegiornali, non corrispondeva ad un Paese reale, che certamente ha i suoi problemi, ma che nelle graduatorie europee degli omicidi volontari, per esempio, si colloca (nonostante mafia-camorra-n’drangheta e C.) alla pari o al di sotto di molti Paesi sviluppati con 1,1 omicidi ogni 100 mila abitanti. Lo stesso dicasi per furti, rapine, borseggi, spaccio di droga, ecc., con la sola eccezione delle rapine in banca, decisamente più numerose da noi essendo gli sportelli più capillari e meno difesi. Quanto a Roma, sta decisamente più in basso di Milano in questa classifica "noire" (omicidi 1 ogni 100 mila residenti contro 1,5 di Milano). Ma con Veltroni sembrava diventata, per giornali e tv, la capitale del crimine. Con Alemanno, pur succedendo le stesse cose, non più. Miracolo tutto mediatico.

Ugualmente a livello nazionale: quando governava Romano Prodi, giornali e telegiornali (tanti) vicini a Berlusconi dipingevano col sangue un Paese che in realtà stava nella media di pericolo criminale dell’Europa avanzata. Quelle stesse fonti di informazione (o di deformazione), ora che al governo c’è Silvio Berlusconi, hanno messo la sordina, se ben fate attenzione (si pensi all’imprenditrice sgozzata nella Bergamasca), su delitti un tempo strillati a tutta forza. L’Italia cioè è, più o meno, quella di prima, di un anno fa, ma il sangue cola assai di meno dal video o dai titoli dei giornali in base ad una precisa strategia di imbonimento mediatico. Poiché dunque nella realtà di tutti i giorni le cose non sono cambiate e le promesse sparate in fase pre-elettorale non possono venire mantenute, bisogna inventarsi dei fragorosi diversivi. L’emergenza-immigrati è uno di questi. Ieri ce l’ha spiegata il ministro Calderoli. Lo stesso che alcuni giorni fa, sul "Sole 24 Ore", ha ammesso che, sì, aver tolto l’Ici ai Comuni non è stata una misura in direzione del federalismo. Se ne accorge adesso, dopo tre mesi che sta al governo? Era a pescare quando Tremonti ha varato quella misura? Tanti esponenti del Berlusconi IV sembrano pericolosi dilettanti allo sbaraglio, nettamente peggiori dei titolari dei precedenti governi di centrodestra. Ed è logico: il Capo ha voluto circondarsi di fedelissimi. Mediocri, inesperti, pasticcioni e però fedelissimi. Per restare al Viminale, non vi pare che Giuseppe Pisanu - che pure non era un gigante - si stagli nel ricordo, per competenza, consapevolezza del ruolo e sensatezza, rispetto a Roberto Maroni detto Bobo?

Pubblicato il: 26.07.08
Modificato il: 26.07.08 alle ore 9.54   
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« Risposta #71 inserito:: Luglio 27, 2008, 11:07:12 pm »

Manovra, la Lega toglie l'assegno alle casalinghe


Quella contro i precari non è l’unica norma «anti-sociale» contenuta nel maxi emendamento alla manovra economica: tra le vittime dei tagli di Tremonti ci sono anche le casalinghe. La Lega Nord, infatti, che va avanti dritta con il paraocchi nella sua battaglia contro gli immigrati, ha voluto che venissero modificati i criteri per ottenere l’assegno sociale: in sostanza, potrà ricevere i 400 euro mensili solo a chi avrà dimostrato di aver lavorato per 10 anni continuativamente con un reddito superiore all'importo dell'assegno.

Di fatto, tutte le donne che non lavoravano perché impegnate ad accudire figli, anziani e casa, non hanno diritto a nessun riconoscimento del loro lavoro. Alla faccia del centrodestra difensore della famiglia tradizionale.

Pubblicato il: 27.07.08
Modificato il: 27.07.08 alle ore 19.25   
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« Risposta #72 inserito:: Luglio 27, 2008, 11:09:07 pm »

2008-07-27 21:04


Bossi: il nuovo Alberto da Giussano sono io


ROMA - "Il Barbarossa oggi non è una persona, ma è uno Stato, cioé l'Italia centralista. E il nuovo Alberto da Giussano sono io" così il ministro delle Riforme Umberto Bossi si è definito intervenendo sulle pagine di Tv Sorrisi e Canzoni in edicola domani per commentare l'inizio delle riprese di Barbarossa il kolossal storico prodotto da Raifiction ispirato alle vicende di Alberto da Giussano, il condottiero che, alla guida dell'esercito della Lega Lombarda, sconfisse nel 1176 l'imperatore Federico I di Svevia a Legnano. Una fiction, le cui riprese sono in corso in Romania (rpt Romania) con la regia di Renzo Martinelli, fortemente voluta dalla Lega Nord. Alberto da Giussano oggi è, per il ministro, "il simbolo della Lega" e Bossi conferma di sentirsi il suo erede spirituale. Il leader leghista suggerisce poi altre figure della storia lombarda che meriterebbero di essere raccontate sullo schermo. "Bisognerebbe portare in tv la storia di San Carlo Borromeo, e quella del Medeghino il grande condottiero milanese del sedicesimo secolo, fratello di Papa Pio IV".

ALBERTO DA GIUSSANO, GUIDO' LOMBARDI CONTRO BARBAROSSA - Alberto da Giussano, di cui Umberto Bossi si considera erede spirituale, è il condottiero lombardo che guidando i comuni padani nella celebre battaglia di Legnano il 29 maggio 1176 sconfisse l'esercito romano-germanico di Federico Barbarossa. Personaggio forse persino leggendario fu cantato da Giosué Carducci nella Canzone di Legnano: "Or ecco, ecco, io non piango più. Venne il dì nostro, O milanesi, e vincere bisogna". Il condottiero è da sempre uno dei simboli della Lega insieme al carroccio (mezzo bellico usato proprio nella battaglia campale di Legnano) ed è la figura al centro del primo manifesto della lega lombarda nel 1983 con sopra la scritta Autonomia è.


da ansa.it 
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« Risposta #73 inserito:: Agosto 03, 2008, 07:49:50 pm »

Fannulloni : Crollo del fenomeno in luglio: -40%

Assenteismo: pedinamenti e denunce record

Trenta lavoratori denunciati per truffa e peculato al Museo Baglio Anselmi di Marsala


ROMA - Ieri trenta dirigenti, istruttori tecnici e lavoratori socialmente utili sono finiti nel mirino delle Fiamme Gialle, che li ha denunciati per truffa e peculato. Se ne andavano dopo aver timbrato o non si presentavano affatto al lavoro nel Museo archeologico regionale «Baglio Anselmi» di Marsala. E proprio ieri il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, ha annunciato che la prossima settimana renderà noti dati che definisce «sorprendenti» sulla riduzione dell'assenteismo negli uffici pubblici, nel mese di luglio. In pratica una contrazione di ben oltre il 40 per cento.

Un crollo verticale, dopo il meno 10 per cento di maggio e il meno 20 per cento di giugno. Nemmeno un mese fa Brunetta aveva detto: «Staneremo gli assenteisti con la Guardia di Finanza. Quello che finora hanno denunciato i giornali e Striscia la notizia lo faremo noi». E così è stato a Marsala: appostamenti, pedinamenti, registrazioni con telecamere hanno documentato che i denunciati erano riusciti a eludere i sistemi di controllo duplicando i badge originali. In più, in soli quattro mesi, un gran traffico di telefonate «a sbafo» dal telefono di servizio (9mila dirette a 600 utenze dei dipendenti o dei loro familiari).

L'«effetto Brunetta» si dispiega dalle Alpi alle Piramidi (o quasi, sul canale di Sicilia). Fioccano le denunce, da parte di colleghi, da parte delle forze dell'ordine: la magistratura apre inchieste a raffica. E c'è persino un sito web (cittadinisoddisfatti.it) con una sezione dedicata alle segnalazioni del fenomeno. Qualche esempio. Dieci giorni fa, il 23 luglio, 27 dipendenti della provincia di Agrigento vengono denunciati dai Carabinieri. Il trucco usato era sempre quello dei cartellini elettronici duplicati, come a Marsala. Il 12 luglio, 70 denunce e addirittura 12 arresti scattano all'ospedale Santa Maria della Misericordia a Perugia, dopo la segnalazione di un militare dell'Arma. Alla Asl 1 di Napoli la caposala dell'ospedale Gesù e Maria denuncia alla magistratura l'assenteismo di un intero reparto, dal momento che il posto del primario era vacante. Il 10 luglio, alla Reggia di Caserta, l'Arma controlla a sorpresa le presenze dei 200 dipendenti. Quattro sono fuori senza permesso e vengono denunciati alla Procura di Santa Maria Capua Vetere.

Il 18 luglio è la volta di 4 dipendenti dell'Inpdap e il 24 luglio la denuncia scatta per 6 dipendenti della Provincia. Ad Aosta, i pm indagano tre donne e un uomo scoperti in flagranza di reato dagli agenti della Questura, coinvolta anche la Digos. A Trani a 20 assenteisti del Comune e 18 fiancheggiatori vengono notificati gli avvisi di chiusura indagini da parte della Procura. Il 31 maggio i Carabinieri di Gioia Tauro hanno eseguito 3 ordinanze di custodia cautelare, del gip Palmi. Un arresto c'è stato anche l'altro ieri a Messina: un'infermiera del Policlinico si confezionava falsi certificati di malattia. Assenteismo in calo grazie all'effetto Brunetta? «Questo lo dice lui, che adesso si diverte a fare il novello Torquemada, ma quando era europarlamentare è stato tra i più assenteisti» dice Gianni Baratta, segretario confederale Cisl.

«Il merito non è mio» ribatte il ministro. «Il Paese si è svegliato, è finita la connivenza, è finita la tolleranza da parte di tutti: colleghi, dirigenti, organi di controllo, forze dell'ordine e magistratura. Sono veramente orgoglioso che il Paese abbia saputo reagire in così breve tempo, io ho solo capito che il tempo era maturo». Risultati così importanti permetteranno, secondo il ministro, di passare alla fase 2: «Non solo punire chi viola le regole, ma premiare chi lavora bene, premiare la qualità».

M.Antonietta Calabrò
03 agosto 2008

da corriere.it
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« Risposta #74 inserito:: Agosto 04, 2008, 09:46:40 am »

4/8/2008
 
Caro ministro, non maltratti i parchi
 
 
VITTORIO COGLIATI DEZZA*
 

L’ottima inchiesta de La Stampa sui parchi ha messo bene in evidenza lo stato in cui sono ridotte le aree protette nel nostro Paese. Si direbbe di luoghi che sopravvivono nonostante i partiti, territori stretti d’assedio da fazioni che, legislatura dopo legislatura, sono andate via via riducendo le risorse loro destinate. È indubbio che si sia esaurita la spinta inerziale creatasi sull’onda dell’approvazione della legge quadro sui parchi, che si sia conclusa la stagione eroica e pionieristica dei parchi, quella che nel volgere di pochi anni seppe conquistare consenso diffuso e territori di pregio, coinvolgendo nella scommessa i più capaci amministratori, agricoltori, operatori del turismo, albergatori e quanti altri hanno voluto e saputo in questi anni invertire la rotta di territori altrimenti segnati dalla marginalità e dallo spopolamento. È ineludibile a questo punto una riflessione sulla politica di tutela di territori e biodiversità, una politica che, come in tutto il mondo, ha bisogno di risorse.

I parchi hanno bisogno di finanziamenti pubblici e privati, i soldi sono necessari anche perché attivano altre e più cospicue risorse (dal programma Life natura in 10 anni i parchi hanno recuperato 35 milioni di euro di finanziamenti comunitari), ma non cerchiamo anche qui scandali e sprechi. Inefficienze e diseconomie ci sono sicuramente e sarà utile combatterle, ma non sono la cifra di questi luoghi: la casta non abita qui. I parchi hanno bisogno di continuità gestionale, basta allora con la pratica dei commissariamenti, triste esempio di lottizzazione: lo dicemmo al ministro Matteoli, lo abbiamo detto al ministro Pecoraro Scanio, lo diciamo ora al ministro Prestigiacomo.

Ma i parchi hanno bisogno soprattutto di governo e di attenzione. E sono almeno 8 anni che i parchi non conoscono sguardi d’attenzione, ma solo occhiate rapaci. Qualunque altro organismo o ente pubblico sarebbe avvizzito dopo tanta disattenzione. I parchi invece sono sopravvissuti: hanno liberato e reso fruibili a chiunque territori altrimenti vietati all’accesso (all’Asinara e a Pianosa), hanno custodito e valorizzato le nostre migliori produzioni agroalimentari, hanno riportato l’orso sulle Alpi e il lupo sull’Appennino, hanno garantito la tenuta dei terrazzamenti delle Cinque Terre e attirato anche un turismo di numeri e di qualità (80 milioni gli ecoturisti che nel 2006 hanno speso 8,5 miliardi di euro nei territori dei parchi) in anni in cui gli altri turismi facevano registrare solo segnali di decrescita. E hanno sperimentato ed esportato in tanti casi buone pratiche di gestione del territorio. E allora, caro Ministro, dedichi più attenzione al mondo dei parchi, provi a soffiare sulla brace che ancora arde sotto la cenere di questi 8 anni, lasci perdere le fantasiose trovate gestionali (le fondazioni) buone a prendersi cura di un monumento, di un palazzo o di un giardino comunale. I parchi italiani sono qualcosa di diverso che tiene insieme territori e comunità, biodiversità e tipicità, tradizioni, cultura e modernità. Non li maltratti e non li trascuri, che sapranno ripagarla. Promuova piuttosto la terza conferenza delle aree protette per rilanciarne ruolo e funzioni, per rimotivare un personale stremato da un’assenza di prospettiva, per agganciare le aree marine protette agli standard gestionali di quelle terrestri, per far ripartire un pezzo di Paese che ha scommesso sui territori e sulla qualità, un binomio che non è né di destra né di sinistra, è semplicemente targato Italia.

*presidente nazionale di Legambiente
 
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