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Autore Discussione: Stefano FOLLI. -  (Letto 106815 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Aprile 26, 2012, 03:38:49 pm »

Un risultato che fa gioco alla politica

di Stefano Folli

24 aprile 2012

In attesa di verificare se Hollande entrerà all'Eliseo fra due settimane (probabile ma non del tutto scontato), i mercati finanziari gli hanno dato ieri il benvenuto. Crollo generale delle Borse, assai vistoso in Italia e un rapido peggioramento degli spread. Niente d'imprevisto, a dire la verità: anzi, sarebbe giusto rilevare che il sussulto non è stato provocato solo da un candidato-presidente non ancora eletto, bensì da una condizione di malessere che attraversa l'intera Europa e tocca Paesi che si ritenevano immuni dal "virus" che divora le capitali indebitate.
In Olanda si è dimesso il premier e si può credere che questa notizia abbia turbato gli operatori persino più del primo turno delle elezioni in Francia. In fondo gli olandesi sono tra i più fedeli alleati di Angela Merkel e del rigore tedesco condividono di solito fin le sfumature. Eppure anche loro sono in subbuglio.

E a Roma? La soddisfazione per il successo di Hollande è palpabile. A sinistra, certo, ma non solo. L'idea diffusa è che dopo il 6 maggio il "Mitterrand pallido", una volta insediato, possa spezzare il vecchio patto di ferro con la Germania, indebolendo la posizione della cancelliera. È uno di quei casi in cui le differenze fra destra e sinistra si stemperano. Nessuno, s'intende, può rivaleggiare con Bersani, convinto che il vento di sinistra che soffia dalla Francia sia in grado di gonfiare le vele del Partito Democratico in Italia. Inutile obiettare che Hollande contesta proprio quelle linee di politica economica, ispirate alla Bce e all'ortodossia europea, che il Pd ha sostenuto fin qui votando i provvedimenti del governo Monti.
Ma è legittimo: non tanto cambiare idea, quanto augurarsi che d'ora in poi qualcosa muterà; e che Hollande si rivelerà un così abile politico da riuscire a tessere la tela degli scontenti e da presentarsi poi alla Merkel per rinegoziare i vincoli di bilancio. Quale sarà il prezzo da pagare a questa svolta, se mai ci sarà? Non si sa ancora, ma le spinte speculative sono già in atto.

Difficile credere che si fermeranno per incanto. Colpisce invece che anche a destra si guardi al nuovo possibile presidente con simpatia. Sarkozy aveva irritato tutto l'arco del centrodestra berlusconiano, lui che all'inizio sembrava in sintonia con quel mondo. Per cui la rottura si era consumata da tempo e adesso l'area Pdl e Lega non si rammarica di certo per l'eventuale uscita di scena dell'ex amico.
Giulio Tremonti si è espresso per Hollande in modo esplicito, ma anche chi non arriva a tanto ammette a denti stretti che un presidente socialista apre nuovi spazi, allarga i margini di chi deve fare politica in Europa contenendo lo strapotere tedesco e richiamando l'attenzione dei vari governi nazionali sul problema della crescita economica. È un'opportunità di cui anche il presidente del Consiglio è consapevole, benché la linea dell'Esecutivo contempli la più assoluta lealtà agli impegni presi. Ma quello che accade a Parigi è troppo importante per non interessare da vicino Palazzo Chigi.

Il punto semmai è un altro. È vero, la vittoria di Hollande è un sasso gettato nello stagno dell'Unione, sia pure a caro prezzo. Ma più che un successo del nebuloso programma socialista, il voto di domenica sembra una sconfitta di Sarkozy e della sua politica troppo filo-Markel.
Diciamo meglio: il voto è un messaggio contro l'Europa della moneta unica. Il punteggio di Marine Le Pen, lo si è già detto, ha del clamoroso. La leader del FN si prepara a egemonizzare buona parte della destra francese, superando di slancio la vecchia frattura fra gollisti e "petainisti": temi che ai giovani d'oggi, che hanno votato in massa la figlia di Jean-Marie, non dicono granché.

Eppure l'area che un tempo era berlusconiana e che oggi Alfano prova a rigenerare rischia di trovarsi stretta in una morsa. Hollande forse farà una politica populista che potrebbe trovare estimatori anche a destra, ma il vantaggio politico sarà del centrosinistra bersaniano. Per il buon motivo che finalmente il Pd avrà in Europa (un'Europa fino a ieri tutta di destra dopo la caduta di Zapatero a Madrid) una sponda ragguardevole.
Viceversa la destra moderata dovrà maneggiare l'ingombrante presenza della Le Pen. La quale pronuncia parole di fuoco verso Bruxelles e Francoforte: proprio le parole che Berlusconi e i capi del Pdl, nel loro complesso, vorrebbero gridare anche loro.

Ma non possono, non è la loro parte in commedia. E tuttavia la sofferenza è grande. Fra Hollande e Marine Le Pen la scomposizione politica in Francia rischia di essere travolgente. Tanto da far apparire le manovre dei partiti italiani quello che sono: piccoli giochi tattici al riparo del governo "tecnico".


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« Risposta #61 inserito:: Aprile 26, 2012, 03:39:37 pm »

Un'Italia più stabile può sfruttare la nuova centralità in Europa

di Stefano Folli

26 aprile 2012


È stato un 25 aprile in cui i temi domestici si sono mescolati alla questione europea come mai in passato. Si sono udite tre voci, distinte nei loro ambiti istituzionali, ma convergenti sui punti essenziali: Giorgio Napolitano, il premier Monti e il presidente della Bce, Mario Draghi. Vediamo la sostanza delle cose dette.

Il presidente della Repubblica ha richiamato i partiti all'esigenza di garantire la stabilità interna e al tempo stesso di impiegare il tempo di qui alla fine della legislatura, cioè meno di un anno, per rispondere in modo efficace al malessere del paese, attraverso il rinnovamento della proposta politica e, se possibile, le riforme. L'inquietudine del capo dello Stato per il dilagare degli istinti demagogici nel dibattito pubblico è evidente, ma la cosiddetta "anti-politica" si sconfigge solo con scelte convincenti. Con la tanto invocata "buona politica", di cui si sono viste scarse tracce negli ultimi mesi. A quanto sembra il Quirinale ritiene che i partiti tradizionali stiano perdendo tempo e che tali ritardi, nella condizione sociale ed economica in cui si dibatte l'Italia, aprano sentieri imprevedibili alle forze anti-sistema.

Ne deriva che parlare di elezioni anticipate al solo scopo di favorire manovre tattiche è poco responsabile. Nessuno, peraltro, pensa seriamente che si voterà in autunno, tre o quattro mesi prima della scadenza naturale della legislatura. Ma Napolitano, infastidito dal cicaleccio, ha voluto, come suol dirsi, tagliare la testa al toro. La sua contrarietà al voto anticipato, manifestata senza ambiguità, dovrebbe chiudere la sterile discussione. In teoria, lo sappiamo, i partiti potrebbero ottenere lo scioglimento facendo cadere Monti. Ma il prezzo sarebbe troppo alto: vorrebbe dire, tra l'altro, regalare su un vassoio d'argento a Grillo una magnifica campagna elettorale.

Si capisce invece che il successo del governo Monti e dell'Europa nel promuovere la crescita economica rappresenta la sfida cruciale dei prossimi mesi. Se si vedrà qualche risultato concreto, le elezioni del 2013 potranno rappresentare una vittoria del sistema, garantendone la coesione. In caso contrario, il voto del prossimo anno potrebbe provocare una drammatica lacerazione del tessuto civile nel paese. Ecco allora che la stabilità interna va spesa al più presto sul tavolo europeo. La probabile elezione di Hollande in Francia rafforzerà il fronte di chi chiede - con l'Italia in prima fila - sensibili novità nella politica economica. Una richiesta rivolta, è ovvio, alla Germania. E non è un caso che ieri il governo tedesco abbia risposto a Mario Draghi, dichiarandosi d'accordo con la sua analisi: dove l'accento è sullo sviluppo, da ottenere con molto coraggio e con "riforme strutturali".

Proprio la prospettiva di un socialista all'Eliseo rafforza la posizione dell'Italia agli occhi di Angela Merkel. Il timore dell'isolamento a Berlino è secondo solo alla paura di ondate inflazionistiche nell'area della moneta unica. E l'attenzione con cui gli ambienti della cancelleria hanno commentato i giudizi di Napolitano circa gli sforzi insufficienti che l'Europa dedica alla crescita, la dice lunga sulla centralità italiana in questa fase. Mario Monti dispone quindi di un'ottima occasione per accelerare il passo del governo, anche nel rapporto con l'opinione pubblica. Si può discutere sul paragone storico un po' approssimativo fra la fase d'oggi e il biennio della Resistenza («dobbiamo essere uniti come ai tempi della Liberazione»): ma il richiamo alla determinazione collettiva nei prossimi mesi decisivi è da condividere.

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« Risposta #62 inserito:: Maggio 03, 2012, 07:30:49 pm »

Elezioni e segni di nervosismo

Stefano Folli

03 maggio 2012


A essere maliziosi, si potrebbe pensare che la scivolata del Governo al Senato (battuto su un emendamento che riguarda le pensioni degli alti dirigenti) sia anche una risposta ai toni sferzanti usati dal presidente del Consiglio nella conferenza stampa di lunedì. È probabile che, come ha spiegato il sottosegretario Catricalà al Tg3 e poi ha confermato lo stesso premier, il bersaglio dello «sdegno» fosse Maroni, non Alfano.

Fosse cioè un ex ministro degli Interni che incita i sindaci allo sciopero fiscale contro l'Imu o a forme di «disobbedienza civile». Un caso davvero singolare, a dir poco.
Viceversa la posizione di Alfano è un'altra. Da lui non viene un invito alla rivolta fiscale, semmai la proposta di alleggerire o abrogare la tassa sulla prima casa. È faccenda ben diversa, come pure la proposta di «compensare» i crediti che le imprese vantano verso le amministrazioni con le somme dovute al fisco. Chiaro che il governo non può essere d'accordo e non è contento che il più grosso gruppo parlamentare voglia presentare un disegno di legge sull'argomento, ma la posizione del Pdl, così formulata, è legittima. Al contrario, le tesi della Lega contengono elementi eversivi. E i sindaci, come ricorda il successore di Maroni al Viminale,il prefetto Annamaria Cancellieri, portano la fascia tricolore.

Sia come sia, i voti del Pdl ieri a Palazzo Madama si sono mescolati con quelli della Lega e dell'Italia dei Valori. Ne ha fatto le spese una norma complicata (e ignota al grande pubblico) che permetterebbe agli alti dirigenti dello Stato di andare in pensione senza vedersi ridotto l'assegno nonostante il taglia-stipendi in vigore. Il fatto in sé non è troppo grave, ma rappresenta la conferma che la navigazione di Monti non è e non sarà tranquilla nel prossimo futuro. Le amministrative alle porte sollecitano i partiti ad adottare forme di «guerriglia» politica che nei loro calcoli dovrebbero aiutarli a recuperare consenso. Una guerriglia che comincia ora, ma è destinata ad allungare la sua ombra sul residuo della legislatura, cioè almeno sette-otto mesi.

Rispetto a questo scenario, il presidente del Consiglio ha voluto rinverdire la sua immagine originaria: il nemico delle corporazioni, l'uomo che non tratta coi partiti, che ascolta e poi decide in autonomia. In altri termini, il castigamatti che l'opinione pubblica predilige, delusa com'è dalle forze politiche tradizionali. Più volte sollecitato a ritrovare la grinta dei giorni migliori, Monti ha cercato di sfuggire alla tenaglia in cui si sente stretto. Ha capito che per migliorare gli indici di gradimento nei sondaggi occorre ricreare la magia di dicembre. Ed ecco gli aspri accenti di lunedì contro i lacci e lacciuoli di partiti e sindacati. Ecco la nomina di un super-commissario (Bondi) e due super-consulenti (Amato e Giavazzi).

La scelta è stata salutata con favore, ma ha pure sollevato varie perplessità. Se l'incarico a Bondi era così indispensabile per gestire il risanamento della spesa pubblica perché non è stato affidato subito, appena insediato l'esecutivo «tecnico»? Il fatto che si siano aspettati cinque mesi per decidere non equivale a delegittimare, almeno in parte, alcuni ministri? È difficile stabilire oggi se questa nomina sia una prova di forza o di debolezza del premier. Tuttavia Monti sembra determinato a procedere lungo il suo sentiero, tornando a farsi apprezzare per le sue caratteristiche di uomo competente ed estraneo agli intrighi romani. Magari esibendo una squadra ristretta di collaboratori fidatissimi. È un'operazione ad alto rischio, ma è forse la sola che vale la pena tentare lungo il piano inclinato su cui siamo avviati.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-03/elezioni-segni-nervosismo-063614.shtml?uuid=AbyoOtWF
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« Risposta #63 inserito:: Maggio 08, 2012, 09:32:54 am »

Messaggio chiaro alle forze politiche

di Stefano Folli

08 maggio 2012

I risultati, per certi versi clamorosi, delle amministrative suggeriscono la domanda cruciale: quei dati, ossia la frammentazione delle liste, la grande avanzata dei "grillini", la sconfitta del Pdl, La Lega che si riduce a Tosi, sindaco anti-bossiano di Verona, la tenuta (non di più) del Pd, la modesta prestazione del "terzo polo", l'astensione diffusa, il fenomeno Orlando a Palermo; ebbene quei dati costituiscono nel loro insieme un messaggio rivolto a chi? Ai protagonisti e comprimari di un sistema politico malato e incapace di riformarsi? Una sorta di ultimo avviso ai naviganti? Oppure sono un segnale ostile per il governo Monti e le sue politiche di rigore? Un modo per sottolineare che esiste una «sofferenza sociale» insostenibile, come ieri sera dicevano, con accenti stranamente simili, esponenti del Pd e del Pdl?

Il rebus è decisivo per capire quale destino ci attende. Se più simile alla Francia, per così dire; o invece malauguratamente più incline a emulare la Grecia.

A Parigi i francesi hanno saputo attivare di nuovo il meccanismo dell'alternanza, in forme ordinate e garantite dall'eccellente legge elettorale a doppio turno. Ad Atene il disastro ha invece preso forma quando il governo "tecnico" prima si è insediato e poi si è affrettato a correre verso le elezioni anticipate, sulla base di un calcolo sbagliato.
Ora anche l'Italia politica è al bivio. Chiaro che sul voto ha pesato la crisi economica e il malessere sociale.

Ma si è trattato pur sempre di elezioni amministrative parziali, meno di dieci milioni di italiani coinvolti. Tanti, ma niente di paragonabile a un voto nazionale per rinnovare il Parlamento. E in fondo le situazioni locali, con le loro logiche talvolta contraddittorie, sembrano aver motivato gli elettori non meno delle considerazioni di ordine generale. In un caso come nell'altro, il voto equivale a una sentenza che misura la qualità dell'offerta politica. E ci vuole poca immaginazione per vedere ciò che è lampante: la sentenza è di condanna per chi ha perso credibilità e in più si porta dietro l'impronta della cattiva aministrazione.

È il caso del Pdl, che paga una volta per tutte le disillusioni provocate dall'ultimo Berlusconi non meno che le pessime prove fornite da alcuni sindaci. Ma Bersani, l'Hollande italiano, non deve esagerare con l'auto-compiacimento. Il risultato del Pd, certo, non è negativo come quello del Pdl: ma la strada è ancora lunga prima che di definire una seria proposta per il governo del paese.

È noto che l'idea del segretario del Pd è quella di mettere insieme Vendola e Casini, così come Hollande ha saputo avere i voti di Mélenchon, estrema sinistra, e Bayrou, moderato. Ma Roma non è Parigi, per mille ragioni, e il nostro sistema elettorale non è quello francese. E poi è tutto da dimostrare che Bersani riesca a tenersi Vendola ed escludere Di Pietro. Il che pone problemi nuovi, accentuati dal dilagare del movimento "5 stelle" e dalla sua prevedibile influenza sull'Italia dei Valori, nonché sulla sinistra radicale.

In altre parole, il sistema politico italiano è agli inizi di una possibile eruzione. E da parte di qualcuno c'è la tentazione di scaricare tutto sul governo Monti, in nome del consenso elettorale da riguadagnare. Sarebbe l'ultimo errore, in grado davvero di spingere l'Italia verso una forma di ingovernabilità alla greca. È noto, in ogni caso, che a sinistra si sognano le elezioni anticipate. Ma solo se la destra fosse così ingenua da provocare essa stessa la caduta di Monti. Sarebbe quello sbocco "populista" che Alfano e lo stesso Berlusconi hanno fin qui evitato con decisione. Ma le pressioni interne ed esterne aumentano.
Forse perché una campagna elettorale è più facile e meno onesta di un serio lavoro di auto-riforma che coinvolga l'intero sistema politico. Alfano, Bersani e Casini sono in ritardo su tutte le tabelle di marcia, riguardo al rinnovamento. Ma scaricare le inadempienze sul governo Monti vorrebbe dire accentuare l'irresponsabilità della politica. Alimentando, invece di contenere, nuovi successi dei "grillini", il bau-bau dei partiti.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-08/messaggio-chiaro-forze-politiche-063551.shtml?uuid=Ab16DJZF
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« Risposta #64 inserito:: Maggio 11, 2012, 12:14:22 pm »

Patto rinnovato con il Quirinale di un premier combattivo

di Stefano Folli

11 maggio 2012

Sono solo frasi di circostanza, quelle indirizzate da Mario Monti al presidente della Repubblica in occasione del sesto anniversario dell'elezione al Quirinale? Senza dubbio no. Di solito i messaggi augurali si assomigliano un po' tutti. Ma questo è diverso, sia nel linguaggio sia in quello che dice o sottintende. Il premier afferma di voler portare a termine il mandato ricevuto con tutta la determinazione necessaria. Si riferisce soprattutto all'impegno e alla dedizione indispensabili in questa stagione drammatica, ma la sottolineatura è stata interpretata come la garanzia che la legislatura sarà completata.

In ogni caso, il messaggio contiene una replica implicita ai ritratti apparsi sui giornali negli ultimi giorni, in cui il presidente del Consiglio è raffigurato come un uomo provato, inquieto e solo. Come è logico, il premier «tecnico» non può permettere che passi questa immagine sulla stampa. Tanto meno può consentire che un momento di stanchezza si trasformi in un «cliché» che lo danneggerebbe nei rapporti con i partiti, all'interno, e di sicuro anche con i partner, in Europa.

Sarà anche vero che sei mesi a Palazzo Chigi valgono come dieci anni alla Commissione europea (sue parole), ma a questo punto Monti deve trovare in se stesso tutte le risorse e le energie fisiche e mentali per andare avanti. In fondo, le forze politiche – in particolare il Pdl, ma anche il Pd di Bersani per altri versi – abbaiono, ma non possono mordere. Berlusconi concede parecchio all'insofferenza e all'avventurismo del suo partito, ma al dunque si rende conto che rovesciare Monti equivale a consegnare l'Italia a un destino greco.

Così come è consapevole che la partita politica si gioca soprattutto in Europa: il che impone di non destabilizzare il presidente del Consiglio, l'unico oggi in grado di negoziare con la Merkel e Hollande un risultato utile per il nostro paese.

Di qui il richiamo berlusconiano alla necessità di cercare un accordo sulle riforme «con l'opposizione»: cioè con il Pd (che per la verità era all'opposizione del governo di centrodestra, ma oggi sostiene Monti insieme al Pdl e all'Udc). C'è da dubitare che questa affermazione avvicini di un passo le riforme istituzionali ed elettorali, più che mai avvolte nella nebbia. Ma il punto non è di merito, è politico: con le sue parole, sia pure annegate in un discorso pirotecnico, l'ex premier fa sapere di non avere intenzione di spaccare la larga non-maggioranza che tiene in piedi il governo (versione italiana e lacunosa di quella «grande coalizione» che qualcuno vedrebbe come l'unica soluzione seria, ma non realistica, per rispondere ai fattori di disgregazione). Del resto, «la tenuta sociale è a rischio» dice Corrado Passera. E se il pericolo cresce, la politica, se ancora ha un senso, è obbligata ad agire in modo responsabile.

Ognuno quindi deve misurare i passi, da qui in avanti. Il presidente della Repubblica continuerà ad essere «un punto di riferimento sicuro» per l'esecutivo, scrive Monti. Ma Napolitano a sua volta ha bisogno di essere rassicurato sul fatto che a Palazzo Chigi c'è un uomo che non si lascia sopraffare dalle pressioni e dalla violenza delle polemiche. E che inoltre sa affrontare la crisi economica con la giusta dose di sensibilità sociale. La lettera è servita anche a questo: a rinsaldare il patto Quirinale-governo.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-11/patto-rinnovato-quirinale-premier-064043.shtml?uuid=AbXaMsaF
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« Risposta #65 inserito:: Maggio 16, 2012, 04:55:05 pm »

E sullo sfondo della Grecia i partiti pro-Monti attendono gli eventi

di Stefano Folli

16 maggio 2012


Sullo sfondo del disastro greco e con il Pil che va a picco, l'Italia politica continua a manifestare una singolare apatìa. Sul piano europeo ha delegato a Monti di negoziare con la Germania e gli altri partner qualche vantaggio per la nostra economia. Ma qual è il supporto che le forze politiche offrono al presidente del Consiglio? Nella sostanza è abbastanza generico, secondo il principio del minimo indispensabile. Certo, Pierluigi Bersani vorrebbe che il profilo dell'Unione fosse più politico, che la Banca centrale avesse un ruolo più incisivo, che i mercati finanziari fossero regolati.

E Casini, a sua volta, si unisce al coro contro Moody's, l'agenzia di rating che ha colpito a sorpresa le banche italiane, declassandole di nuovo. Il leader dell'Udc ci legge la trama di «un disegno criminale» e auspica l'avvento di un'agenzia europea che sostituisca quelle anglosassoni. Ottima idea, tuttavia non proprio a portata di mano.

Sono frasi di buon senso che chiunque potrebbe sottoscrivere, ma non aiutano più di tanto il presidente del Consiglio nel suo difficile cammino. In tempi di recessione, chi non è favorevole a riprendere la crescita? Forse più significativa è la colazione che oggi Monti offre a Berlusconi, accompagnato da Alfano e Gianni Letta. A cinque giorni dai ballottaggi e alla vigilia del G8 di Camp David, l'incontro ha un valore politico da non sottovalutare. È un gesto di riguardo verso il partito di maggioranza relativa (almeno nell'attuale Parlamento) e verso il predecessore di Monti: tanto più dopo i recenti equivoci.

Ma l'incontro, se ha un senso, è quello di sottolineare l'appoggio del fronte berlusconiano al governo tecnico. Nei giorni scorsi, all'indomani del primo turno delle amministrative, si era levato un vento minaccioso di cui era prova l'aspra campagna del "Giornale" e di "Libero" a favore delle elezioni anticipate. Però Berlusconi ha imboccato la strada opposta a quella invocata dagli intransigenti e ha confermato il sostegno a Monti. Certo, con l'avvertimento che «non esistono cambiali in bianco», che le tasse sono troppo alte e che «voteremo solo le misure che ci convincono». Del resto i punti controversi non mancano, a cominciare dalla legge anti-corruzione e dalla Rai. Ma è evidente che al vertice del Pdl non hanno intenzione di affossare il governo, ben sapendo che siamo sull'orlo dell'abisso, senza alternative e con l'area moderata tutta da ricostruire.

Il problema in ogni caso è il «che fare» dei prossimi mesi. I partiti della non-maggioranza si limiteranno a votare in modo svogliato il governo? O cominceranno a porre le fondamenta politiche della prossima legislatura? I fatti dicono che sulle riforme siamo in alto mare. Luigi Zanda parla di una data limite, il 28 maggio, per portare in aula al Senato il pacchetto costituzionale. Poi sarà troppo tardi (in tanti pensano che già lo sia).

La riforma elettorale assomiglia sempre di più alla classica tela di Penelope. Ora è stato riesumato persino il doppio turno alla francese, modello eccellente ma che per anni era stato lasciato nel cassetto. La sensazione è che il "Porcellum" goda di ottima salute. Giorgio La Malfa sul "Foglio" vorrebbe un'iniziativa parlamentare comune di Pdl, Pd e terzo polo. Una sorta di prova generale della grande coalizione pro-Europa nella prossima legislatura. Ma per ora la tattica prevale di gran lunga sulla strategia.

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da - http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-05-16/sfondo-grecia-partiti-promonti-082747.shtml?uuid=AbshpHdF
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« Risposta #66 inserito:: Maggio 24, 2012, 10:36:10 am »

Un'urgenza: doppio turno elettorale per la stabilità del sistema

di Stefano Folli

23 maggio 2012


Secondo giorno della nuova fase politica. Cosa c'è al di là di quel voto amministrativo definito da Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, come l'evento che ha «archiviato il passato»? Nessuno lo sa con precisione. In Parlamento è già difficile accettare l'idea che sia stato posto uno spartiacque definitivo fra il recente passato e il futuro prossimo. Attendersi idee chiare sul «che fare» è pretendere troppo dai vertici dei partiti tradizionali.

Il disorientamento è totale nel centrodestra, ma il compiacimento un po' troppo insistito con cui nel Pd si commenta il risultato elettorale la dice lunga sulle vere preoccupazioni che attanagliano anche il partito di Bersani. Serpeggia un non-detto: la paura che Parma non sia un episodio isolato, figlio di circostanze particolari, ma possa trasformarsi in un paradigma valido su scala nazionale, con la delegittimazione del vecchio personale politico. Sta di fatto che solo due punti sono chiari.

Primo, il governo di Monti è più forte oggi di ieri. Sarà sempre esposto a qualche forma di pressione parlamentare, ma è evidente che i partiti della maggioranza "ABC" (Alfano-Bersani-Casini) non hanno proprio alternative. Dovranno garantire al premier un sostegno più convinto, così da far passare i provvedimenti che contano. Il disgelo in commissione alla Camera sulla legge anti-corruzione, con l'opposizione del solo Di Pietro, è un segnale in tal senso. Da parte sua il presidente del Consiglio sa di dover muovere passi decisi, come ha cominciato a fare, per contrastare la recessione.

Secondo, i partiti hanno due strade davanti. Possono rotolare stancamente verso l'approdo del 2013, senza iniziative riformatrici al di là delle buone intenzioni di cui sono sempre prodighi. Se prevarranno i tatticismi, come è probabile, possiamo essere sicuri che avranno prevalso gli istinti conservatori. Oppure possono individuare tre iniziative su cui mettere a fuoco un messaggio chiaro agli elettori. La credibilità si ricostruisce sui fatti, non sulle generiche promesse. Dunque rivoluzione, più che riforma, del finanziamento pubblico, abbattimento dei costi della politica e nuova legge elettorale. Quest'ultima scelta non è solo un noioso aspetto tecnico volto a indispettire il cittadino alle prese con i problemi concreti del vivere. È un passaggio politico essenziale per impedire che il prossimo Parlamento sia ingovernabile.

Se il rischio è la Grecia, meglio tentare di assomigliare alla Francia. Il sistema a doppio turno rappresenta l'ipotesi più idonea per dare un assetto stabile al sistema prima che sia troppo tardi. È o dovrebbe essere nell'interesse di tutti. Del Pd che non vuole rinunciare al suo vantaggio competitivo. Del Pdl (o come si chiamerà) desideroso di proporsi come forza post-berlusconiana. Della Lega che avrà una buona ragione per tornare, più mansueta, alle vecchie alleanze. Di Casini che dopo la delusione del "terzo polo" ha bisogno di cambiare spartito. E anche di Vendola-Di Pietro che restano legati al Pd, ma in uno schema che supera le stucchevoli diatribe sulla «foto di Vasto».

C'era un tempo in cui Berlusconi non voleva sentir parlare di doppio turno. Ma tutto cambia. Spartiacque è anche superare le antiche idiosincrasie e trovare il coraggio di rimodellare tutto, correndo qualche rischio. Ma c'è da scommettere che non se ne farà nulla.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-23/unurgenza-doppio-turno-elettorale-063926.shtml?uuid=AbOIvqgF
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« Risposta #67 inserito:: Maggio 31, 2012, 04:29:16 pm »

Prevale la ragion di Stato: non alterare l'equilibrio tecnico-istituzionale

di Stefano Folli

29 maggio 2012

Non sorprende che il presidente del Consiglio abbia difeso il suo sottosegretario Catricalà con l'unico tono che era possibile usare in questa circostanza: fermo e definitivo. La "copertura" da parte di Monti è totale, un mantello protettivo che equivale alla conferma della fiducia.

Del resto, al punto in cui erano giunte le cose in relazione alla polemica sul Csm, Catricalà non avrebbe avuto altra strada che le dimissioni, se il premier non avesse parlato. Ma Monti ha parlato, appunto, e allora le incomprensioni e gli equivoci dei giorni scorsi risultano cancellati. Ha prevalso la "ragion di Stato", perché una crisi nella struttura di vertice di Palazzo Chigi è qualcosa che non ci si può permettere in questo momento.

I compiti assegnati a Catricalà sono troppo delicati per immaginare che una sua uscita di scena non avrebbe contraccolpi sul delicato equilibrio tecnico-istituzionale su cui si regge l'impianto del governo. Certo, le ferite ci metteranno un po' di tempo a rimarginarsi. Ma la strada scelta da Monti è la più realistica: qualsiasi altra avrebbe messo in luce i punti deboli del governo e ne avrebbe di fatto minacciato la stabilità.

Quindi la scelta è stata di puntellare l'equilibrio, senza scossoni o colpi a effetto. In un governo di partiti probabilmente le cose sarebbero andate in modo diverso, ma questo è un esecutivo che risponde a logiche peculiari: i contrasti intestini non hanno uno sfogo sul piano politico e si risolvono in conflitti anche duri, ma sempre all'interno dei "palazzi". E diventa difficile spostare qualche tassello, soprattutto quando è rilevante, come nel caso del sottosegretario alla presidenza.

È una situazione che vale oggi e varrà nei prossimi mesi, via via che ci avviciniamo alle elezioni politiche. Ci si dovrà muovere con crescente circospezione. E se è vero per il premier, a maggior ragione è vero per i partiti. Il clima da pre-campagna elettorale favorisce l'immobilismo e certo non incoraggia l'attività riformatrice. Correggere la Costituzione in questa atmosfera, quando non si è riusciti a farlo nei primi quattro anni della legislatura, sembra un'impresa un po' troppo ambiziosa. Sulla carta sarebbe ancora plausibile la riforma della legge elettorale nella chiave del doppio turno alla francese. Ma è singolare che gli sforzi dei due maggiori partiti vadano in tutt'altra direzione.

Berlusconi, introducendo il diversivo del semi-presidenzialismo, dimostra di non guardare con interesse alla modifica dell'attuale "porcellum". E Bersani, dal canto suo, lasciando filtrare le indiscrezioni sull'ipotesi di una "lista civica" da affiancare alle liste ufficiali del Pd, lascia capire che si sta già attrezzando per andare a votare nel 2013 con l'attuale legge. Infatti la lista civica ha un senso, non tanto con l'eventuale doppio turno, quanto con il "porcellum", nel tentativo di drenare voti da Grillo, sì, ma anche dalla coppia Vendola-Di Pietro. Il che induce a dire che i due alleati tutti i torti non li hanno, dal loro punto di vista, nel chiedere chiarezza a Bersani. Stretti fra Grillo, da un lato, e la possibile lista civica, dall'altro, rischiano di subire un mezzo salasso elettorale. Bersani, senza darlo troppo a vedere, sta sfumando la famosa foto di Vasto. E lo fa riscoprendo una qualche forma di "vocazione maggioritaria" adeguata alle circostanze. La lista civica avrebbe in fondo l'obiettivo di rafforzare la centralità del Pd rispetto ai due partiti minori della coalizione. In fondo ancora una volta i maggiori partiti, Pdl e Pd, hanno interesse a mantenere lo "status quo".

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-29/prevale-ragion-stato-alterare-063905.shtml?uuid=AbtPh0jF
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« Risposta #68 inserito:: Giugno 10, 2012, 11:21:19 pm »

Per avere un senso le primarie esigono la riforma elettorale

di Stefano Folli

09 giugno 2012

I critici diranno che ci vuol altro per restituire credibilità al sistema politico; e magari aggiungeranno che la partitocrazia è più che mai salda, come si è visto nelle nomine delle Autorità indipendenti. Eppure è difficile negare che ieri Bersani abbia avuto la sua giornata. Il lancio delle "primarie" aperte da tenere entro la fine dell'anno per scegliere il candidato premier costituisce senza dubbio una svolta. Comunque si voglia giudicarla, è un'iniziativa politica: il segnale che si può uscire dal ridotto della Valtellina dei partiti frustrati.

E dal momento che a destra anche il Pdl abbraccia la prospettiva delle "primarie", rompendo il tabù che aveva dominato gli anni del berlusconismo trionfante, ecco che il quadro si è mosso su entrambi i versanti. Ma è il Partito Democratico ad aver conseguito un vantaggio. Primo, perché le "primarie" sono un'idea nata a sinistra. Secondo, perché il Pdl, dovendo dare uno sbocco ai suoi tormenti, è indotto ad adeguarsi in un processo d'imitazione. Sono gli effetti, sia pure tardivi, del crescente distacco, quasi incolmabile, fra la cosiddetta società civile e il ceto politico.

Vedremo. Certo, con un po' di malizia si potrebbe pensare che le "primarie" collocate verso la fine dell'anno, quando il clima elettorale sarà già rovente, finiranno per svolgersi in un clima favorevole al segretario in carica più che a qualche "outsider" o magari a un esterno. Ma questo è un dato imposto dalla realtà che diventa normale tattica politica. Molto più interessante è capire in quale cornice si andrà al voto. Le "primarie" fatte senza aver modificato nel frattempo l'attuale legge elettorale sarebbero un grave errore. Nessuno capirebbe il messaggio di rinnovamento e l'effetto sarebbe a dir poco controproducente. Ne deriva che i capipartito hanno poche settimane per accordarsi sulla riforma. Poche settimane prima delle ferie estive per dare un senso al passo compiuto ieri.

Sul tavolo ci sono due ipotesi. La prima resta il sistema a doppio turno francese, che il Pdl ha collegato a una riforma semi-presidenziale oggi impossibile. Il Pd ha lasciato aperto uno spiraglio, quando ha suggerito, con Violante, di far svolgere un referendum all'inizio della prossima legislatura per coinvolgere i cittadini nella scelta della forma di governo. Può bastare questo al Pdl? La riforma elettorale subito in cambio di quella «fase costituente» nel prossimo Parlamento su cui insiste Enrico Letta. Se c'è la volontà, potrebbe essere la soluzione del rebus.

È chiaro che il doppio turno piace poco alle forze intermedie. Vendola e Di Pietro, ad esempio, preferiscono tornare al vecchio "Mattarellum", con il suo 25 per cento di proporzionale. È una riforma che si potrebbe fare in fretta ma sempre con un'intesa con il Pdl. La logica sarebbe molto diversa da quella del modello francese e i grandi partiti dovrebbero negoziare a fondo le candidature con i loro alleati.

Doppio turno o "Mattarellum". O magari nulla. Non è una questione tecnica, ma tutta politica: dalla quale emergeranno gli assetti politici della prossima legislatura. E forse non è un caso che Romano Prodi abbia scelto proprio la giornata di ieri per sferrare un duro attacco al Pd e alle sue «tendenze suicide» (con riferimento alle recenti nomine). Un'uscita non proprio imprevedibile che ha raccolto il plauso di Di Pietro.

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« Risposta #69 inserito:: Giugno 24, 2012, 09:12:46 am »


Le nevrosi di un sistema alla paralisi si rovesciano sulle istituzioni

di Stefano Folli

22 giugno 2012


Il tasso di nevrosi serpeggiante nei palazzi romani è molto alto, troppo per garantire una vita serena al governo. Si guarda al quadrangolare europeo di oggi a Roma e soprattutto alla scadenza del vertice di fine giugno, fra una settimana, come ai due momenti della verità. Sottinteso: se Mario Monti non strappa all'Europa, ossia ad Angela Merkel, qualche minimo risultato, nessuno vorrà o saprà garantirgli di concludere in serenità la legislatura.

Parole, si dirà: in fondo è più probabile che i partiti rotolino sull'abbrivio fino al prossimo gennaio, visto che nessuno avrà il coraggio di aprire la crisi. E tuttavia sono parole che pesano e danno corpo a quella speciale condizione di «né pace né guerra» in cui viviamo da tempo e che negli ultimi giorni si è accentuata. Il presidente del Consiglio sa di dover procedere lungo un sentiero angusto. Nei prossimi giorni otterrà – con la fiducia – il via libera parlamentare alla legge sul lavoro e poi andrà a Bruxelles. Ma al ritorno la corsa a ostacoli riprenderà con l'obiettivo di arrivare alla fine dell'anno, cioè al termine sostanziale del suo mandato.

Ogni giorno sarà una conquista, se è vero che il predecessore di Monti a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi, lascia trapelare il malcelato desiderio di costruire un nuovo partito per le elezioni basato sul rifiuto della moneta unica. E se Bersani, a sua volta, sul versante del centrosinistra, è accreditato – senza prove, in verità – di coltivare il sogno segreto di un anticipo elettorale in autunno. Niente primarie, niente fastidi, e una vittoria che i sondaggi danno per sicura.

La novità è che la nevrosi ha investito anche il Quirinale. Al tentativo piuttosto goffo di delegittimarlo, Napolitano ha replicato ieri con durezza, respingendo le insinuazioni «fondate sul nulla». Ora non è tanto significativa la risposta, prevista e inevitabile, del capo dello Stato ai suoi detrattori; quanto l'insistenza con cui si è costruito un caso davvero fragile, attraverso l'uso di intercettazioni che non si sono fermate nemmeno davanti al telefono del presidente della Repubblica. Intercettazioni «irrilevanti», si è fatto trapelare, con un gesto che assomiglia molto a un'intimidazione. Come dire: attento, anche tu sei sotto controllo.

È un pessimo clima. Nelle prossime settimane il paese potrebbe aver bisogno di nuovo di un Quirinale arbitro dei destini politici degli italiani. È grave e pericoloso indebolire a colpi d'ariete questo punto d'equilibrio istituzionale. Lo abbiamo già scritto, ma il tema ritorna: con ogni evidenza c'è la volontà politica di tenere sotto pressione il Presidente della Repubblica.

Ecco cosa s'intende per nevrosi. Un sistema politico incapace di autoriforma e giunto sul bordo dell'abisso tende a scaricare le proprie frustrazioni sul governo o addirittura sulla presidenza della Repubblica. La speranza nemmeno nascosta è di correre alle elezioni in autunno. Chi pensa di vincerle (il centrosinistra); chi preferisce giocare subito la partita perché è incalzato da Grillo (Di Pietro); chi ritiene di risalire la china con una linea esplosiva contro la Merkel (Berlusconi). Tutti temono che di rinvio in rinvio si arrivi al 2013 nella generale dissoluzione. Ma nessuno ha il coraggio di compiere la mossa decisiva e di rovesciare il tavolo. La miscela è oscura e carica di rischi. Per evitarli bisogna sperare in Monti e nella sua capacità di cogliere un risultato in Europa.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-06-22/nevrosi-sistema-paralisi-rovesciano-063930.shtml?uuid=AbBLaHwF
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« Risposta #70 inserito:: Luglio 12, 2012, 05:08:04 pm »

Il Cavaliere non cerca Palazzo Chigi ma una posizione da cui negoziare

di Stefano Folli

12 luglio 2012Commenta

Significa invece che oggi, metà di luglio 2012, questo è il messaggio che l'uomo forte del centrodestra vuol fare arrivare. A chi? A un pezzo di quell'opinione pubblica che un tempo lo votava e adesso è dispersa, divisa fra l'astensionismo e la tentazione di sostenere persino Beppe Grillo o altre liste di protesta; mentre un segmento non piccolo – è bene ricordarlo – guarda a Monti con crescente rispetto. Ma soprattutto il messaggio è rivolto ai suoi, ai rissosi protagonisti del tramonto del Pdl. In quel mondo e in quel circuito la voce del vecchio leader ha ancora un richiamo irresistibile, ha il sapore di un ricostituente quando tutto sembra perduto. E aiuta a reprimere i rancori domestici.
Viceversa meglio non indagare troppo in queste ore sul pensiero di chi opera nel campo finanziario, i famosi mercati. O su quello che si mormora nelle cancellerie europee. C'è di buono che pochi credono alla serietà di questo ritorno in campo. I più ritengono, anche giustamente, che si tratti di una mossa tattica per riaggregare le forze: del resto alle elezioni c'è tempo e tutto può cambiare cento volte di qui ad allora. Quei pochi che prendono sul serio i segnali berlusconiani prevedono il volo dello «spread» e il crollo di quel tanto di credibilità recuperata con Monti.

In realtà l'annuncio assomiglia a una mossa estrema, anche un po' disperata, di un uomo che non si rassegna a perdere l'enorme influenza esercitata per quasi due decenni. E che vede non solo la sua creatura politica disgregarsi, ma anche i suoi rilevanti interessi personali messi a rischio da nuovi e insondabili scenari.

Quello che Berlusconi vuole non è certo tornare a Palazzo Chigi: il realismo non gli ha quasi mai fatto difetto. Desidera però non abbandonare il ruolo cruciale nelle vicende italiane che è sempre riuscito a giocare. Così da negoziare con i poteri di domani tutto quello che a suo avviso merita una trattativa: dalla magistratura agli assetti televisivi e oltre. E se c'è una speranza di farlo, essa passa dalla capacità di rinnovare il centrodestra, restituendogli qualche attrattiva agli occhi degli italiani.

Per la verità il piano fa acqua da varie parti. È tutto da dimostrare che esistano sondaggi così favorevoli come quelli oggetto di indiscrezioni. E a parte lo «spread», è tutto da dimostrare che l'antico incantesimo sia ancora in grado di stregare una porzione significativa di elettorato. Certo, si è capito che il Pdl senza Berlusconi non ha una bussola. Ma il Pdl con il Berlusconi del 2013 (quasi 77 anni) sarà una storia assai diversa da quella vissuta con il Berlusconi del 1994 o del 2001 o del 2006.

Una stagione è finita, l'area moderata è in via di trasformazione. Monti ne sta modificando il profilo, separando il populismo dall'europeismo. Esiste già nei fatti un «partito di Monti», anche se magari non si presenterà al voto. Berlusconi vede il pericolo e vorrebbe frenarne l'esito. Tenta di trattare quello che può, giocando al meglio le carte che gli rimangono. Non sono poche, ma nemmeno tali da permettergli di rovesciare il tavolo. Il resto si vedrà. Purché sia chiaro che oggi tutto (dal presidenzialismo alle suggestioni di una grande coalizione) è strumentale. Quello che conta è il timore di Berlusconi di vedersi sfilare per sempre, nella prossima legislatura, il potere di condizionare gli eventi.


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« Risposta #71 inserito:: Luglio 14, 2012, 03:50:21 pm »

Oggi l'agenda Bersani, se esiste, dovrà uscire dal cassetto

di Stefano Folli

14 luglio 2012

È diritto del segretario del Partito Democratico anteporre una sorta di «agenda Bersani» alla più nota «agenda Monti». Ma è suo dovere precisare di cosa si tratta e quali sono i punti prioritari.

In altre parole, l'assemblea del Pd che si tiene oggi a Roma non serve solo a dirsi arrivederci prima delle vacanze estive; al contrario, la riunione rappresenta un passaggio politico piuttosto serio e un'occasione che il maggior partito del centrosinistra non può sprecare.

Bersani si è fatto precedere da un'intervista al «Financial Times», condotta in uno stile da presidente del Consiglio in pectore che vuole cominciare ad accreditarsi negli ambienti internazionali. Si parla del senso di responsabilità come caratteristica del centrosinistra di governo; e si accenna all'«eredità» di Monti che non dovrà andare dispersa. Tutto in forma alquanto generica, per cui è inevitabile attendersi che oggi il leader del Pd sia molto più preciso. L'«agenda Bersani» dovrà uscire dai cassetti. Non basta dire, come si sente spesso dalla bocca del segretario, che «noi abbiamo le nostre idee e al momento opportuno le metteremo sul tavolo». Tutto lascia presumere che quel momento sia arrivato.
Sui tagli alla spesa pubblica, sui risparmi che toccano la vita dei cittadini, sui provvedimenti per lo sviluppo, Bersani dovrà spiegare cosa non lo ha convinto nelle scelte di Monti, ma soprattutto cosa farebbe il governo di centrosinistra chiamato a decidere in luogo dei «tecnici». Del resto, il segretario è il primo a sapere quanto sia difficile reggere una campagna elettorale che si annuncia assai lunga limitandosi a denunciare il «populismo delle destre».

La formula assomiglia a un'ultima incarnazione della polemica anti-berlusconiana, mentre è evidente che il populismo è ben radicato anche a sinistra, persino in qualche frangia del Pd. E ora che il fantasma del vecchio avversario è tornato a palesarsi sulla scena, come in un'assurda macchina del tempo, c'è il rischio di essere risucchiati nell'ennesimo, inconcludente duello con il passato.

Dunque Bersani ha bisogno di dare alcune risposte che siano degne di nota.

Primo: l'agenda Bersani è in linea di continuità o di rottura con l'esperienza dell'attuale governo? Finora ha prevalso l'ambiguità, tanto è vero che quindici deputati del Pd hanno firmato a sostegno dell'agenda Monti, ossia di una chiara continuità, mentre il responsabile economico Fassina si colloca agli antipodi esatti di questa posizione. Il segretario dovrà trovare la quadra senza apparire un mero giocoliere delle parole.

A questo si lega il secondo punto.
Quanto il Pd vuole mettersi in gioco per conquistare l'elettorato di centro, i cosiddetti ceti moderati? Qualcuno ricorda in queste ore che i laburisti inglesi non hanno esitato a rivolgersi a Tony Blair, uno che sapeva bene come sottrarre voti ai conservatori.
E in Italia? Bersani guarda con evidenza ai successi di Hollande in Francia, ma c'è il rischio che il centrosinistra non riesca a uscire dal tradizionale perimetro di consensi e di contraddizioni.

Terzo. Occorrerà fare chiarezza su due aspetti cruciali. Come intende muoversi il Pd sulla legge elettorale? A Napolitano Bersani ha garantito il massimo impegno. Ma c'è il rischio che la paralisi continui e che il partito appaia privo di iniziativa. E infine, le primarie. Bersani dovrà dire una parola chiara in proposito. I candidati a quanto pare ci sono: Vendola, Tabacci, oltre a Matteo Renzi. È tutto il resto che manca.


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« Risposta #72 inserito:: Luglio 14, 2012, 03:51:38 pm »

Bersani: primarie entro la fine del 2012. Il ritorno di Berlusconi? Agghiacciante

con il Punto di Stefano Folli


Le primarie «non saranno il congresso del Pd». Lo sottolinea il segretario Pier Luigi Bersani, nel suo intervento all'assemblea nazionale del partito, che si tiene a Roma, nel Salone delle Fontane all'Eur. Bersani sottolinea che alle primarie «si parlerà di Italia e di governo del Paese». Indica una data: «si terranno com'é logico in una ragionevole distanza dalle elezioni e cioé entro la fine dell'anno». Aggiunge però che «non le faremo da soli e dunque i tempi e i modi non li possiamo decidere da soli». Quello di Berlusconi, osserva poi il leader dei democratici, è «un ritorno agghiacciante».

Giù le tasse, con maggiore pressione su rendite grandi patrimoni
Tra i punti punti programmatici del partito il segretario segnala «l'alleggerimento fiscale a carico di rendite di grandi patrimoni finanziari e immobiliari».

Patto per governo snello, rinnovato e competente
«Ci sono impegni, annuncia Bersani, che proporremo di sottoscrivere come quello di affidare alla responsabilità del candidato premier una composizione del governo snella, rinnovata, competente e credibile internazionalmente». Del patto fa parte anche l'intesa a «consentire una cessione di sovranità e cioè di sciogliere controversie su atti rilevanti attraverso votazioni a maggioranza dei gruppi parlamentari in tenuta congiunta».

Non ci è facile sorreggere la transizione
Il segretario del Pd parla anche della posizione del partito nei confronti del Governo Monti. «Non ci è facile sorreggere la transizione - ammette - e guai se, riaffermando la nostra lealtà, perdiamo il contatto con il disagio forte che c'è nel Paese e lo abbandoniamo a derive pericolose. Noi che ci stiamo caricando di responsabilità non nostre in nome della salvezza del Paese abbiamo non solo il diritto ma anche il dovere di dire sempre quel che faremmo davanti a misure del governo».

Viviamo un tempo di grande responsabilità
«Stiamo vivendo il tempo della grande crisi - osserva Bersani -, la più grande dal dopoguerra, che ci accompagnerà per un tempo non breve e secondo un percorso che nessuno oggi, in verità, é in grado di descrivere e prevedere. Un tempo non ordinario, un tempo di grande responsabilità».


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« Risposta #73 inserito:: Luglio 18, 2012, 11:09:53 pm »

Di Pietro attacca Napolitano per sfidare il Pd

di Stefano Folli

18 luglio 2012

Com'era prevedibile, Di Pietro è stato lesto ad approfittare del conflitto fra Napolitano e la procura di Palermo per guadagnare visibilità e porsi al centro della scena. Non è la prima volta e non sarà l'ultima. Possiamo considerarla una conseguenza minore della vicenda. Ma non è proprio così. L'ennesima offensiva del leader dell'IdV contro il Quirinale obbedisce a una logica politica e peserà sul futuro del centrosinistra.
In primo luogo è la conferma di un dato evidente. Qualcuno vuole una presidenza della Repubblica sempre più debole e lontana dagli incroci della politica.

Un tempo era la destra, ma da qualche tempo, diciamo dall'avvento del governo "tecnico" di Monti, gli attacchi vengono da un altro fronte. È il mondo che va da Beppe Grillo a Di Pietro fino, per certi aspetti, a un Vendola riluttante a mescolarsi ai primi due, ma costretto dalle circostanze a schierarsi sulla stessa barricata.

Ci sono sintonie, ma anche forti rivalità all'interno di questo arcipelago. Grillo ha offuscato da tempo Di Pietro: forse non gli ha sottratto voti (non ancora), ma di sicuro gli ha rubato la leadership dell'area protestataria, insofferente verso ogni istituzione, tentata dalla ribellione anti-sistema e perciò tifosa di una certa magistratura. Vendola, per cultura e storia personale, sarebbe lontano da una tale combinazione, ma anche lui avverte la pressione dei "grillini", benché al Sud il movimento Cinque Stelle sia ancora poco diffuso.

Il punto è che sta nascendo un agglomerato intorno a Grillo e Di Pietro, per quanto poco calorose e diffidenti siano le relazioni fra i due. Tuttavia entrambi pescano nello stesso elettorato, entrambi sanno che destabilizzare le istituzioni rappresenta per loro il mezzo più veloce per guadagnare spazio e attenzione mediatica. Il Pd si sta costruendo, non senza fatica, il profilo di una forza di governo in grado di interloquire con i ceti moderati, a loro volta in cerca di una nuova prospettiva? Ed ecco che Grillo apre il fuoco (non certo da oggi) sul partito di Bersani con il giochetto "Pd = Pdl meno elle". Ed ecco Di Pietro che bombarda il Quirinale. È probabile che i due non si siano neanche parlati, ma l'interesse è convergente e finisce per assorbire anche Vendola.

La stabilità istituzionale è essenziale per chi vuole costruire uno schieramento di governo, a sinistra come a destra. L'instabilità è invece il pane di chi intende ritagliarsi un ruolo decisivo nella prossima legislatura impedendo qualsiasi equilibrio nel segno della coesione nazionale. La difesa della Procura di Palermo, fatta da Di Pietro con toni di asprezza inusitata, va molto al di là del merito della questione: diventa un pretesto per attaccare Napolitano sul terreno politico e offenderlo sul piano personale. Quell'appello fuori contesto rivolto ai magistrati («resistere, resistere, resistere») riecheggia la famosa invocazione di Francesco Saverio Borrelli, ma qui non c'è una linea del Piave da difendere, a meno di non sostenere che è il presidente della Repubblica a minacciare lo Stato di diritto.

Bersani dovrà fare attenzione. La costruzione di un asse di governo progressisti-moderati è ancora in alto mare e nessuno può garantire che sarà seducente agli occhi dell'elettorato. Viceversa, l'asse alternativo Grillo-Di Pietro (e in parte Vendola, volente o nolente) si muove già con assoluta spregiudicatezza a caccia di consensi. Ci sono voluti quasi due giorni prima che il segretario del Pd si decidesse a qualificare come «indecenti» gli attacchi al capo dello Stato. È la prova che stiamo assistendo a una corsa asimmetrica e piena di zone d'ombra. Quando invece sarebbe necessario che il Pd si attrezzasse per giocare la partita elettorale contro questo inedito e vigoroso agglomerato. La sfida del futuro governo passa di qui.


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« Risposta #74 inserito:: Agosto 09, 2012, 11:13:36 pm »

Bilancio politico di mezza estate

di Stefano Folli

09 agosto 2012


Bilancio di mezza estate nei palazzi romani. È la fotografia di un'Italia in bilico che si prepara a un autunno difficile, come dice il ministro Elsa Fornero, e poi a una primavera in cui avremo, sì, le elezioni, ma ben poche certezze sul dopo.

La verità è che il dato positivo di questi mesi è solo uno: la relativa stabilità intorno al governo Monti, ciò che permette al premier una certa libertà di manovra in una fase d'emergenza tutt'altro che conclusa, con qualche risultato rilevante sul piano interno e soprattutto al tavolo europeo. I provvedimenti sulla revisione della spesa rappresentano il sigillo di serietà a un periodo drammatico, ma comportano alcune conseguenze.

La prima è la frustrazione del Quirinale sulla questione dei decreti legge. Oggi non se ne può fare a meno, ha detto in sostanza Napolitano, anche perché il Parlamento (leggi i partiti) non ha saputo approvare nessuna delle riforme necessarie a dare funzionalità al sistema. Purtroppo è così. Il finale di legislatura coincide con un totale scoramento. Nulla o quasi di quello che era stato promesso è andato in porto.

Le forze politiche (Pdl, Pd e Udc) si limitano a offrire un sostegno obbligato a Monti, consapevoli che qualsiasi alternativa sarebbe distruttiva per loro e per l'Italia. Ma non hanno saputo realizzare ciò che il buon senso suggeriva e l'opinione pubblica si attendeva. Forse avremo una mezza riforma elettorale prima di Natale: meglio di niente, ma troppo poco per essere ottimisti circa il domani.

Nessun partito ha realmente conquistato il centro della scena, anche in termini di credibilità; nessuno sembra in grado di esercitare l'egemonia che ai tempi della prima Repubblica fu prerogativa della Dc al governo e del Pci all'opposizione. Si cerca, ma senza mai trovarlo, il baricentro del sistema. Ne deriva che il gioco delle alleanze è, sì, utile per immaginare gli equilibri futuri, ma da solo è insufficiente a garantire un modello politico realmente solido.

Al momento sappiamo che Casini e Bersani (più Vendola) in prospettiva saranno disposti a governare insieme. Ma nessuno può dire quale sarà il peso di questo nuovo centro-sinistra che rischia di essere una versione minimalista di quelli degli anni Sessanta. Dipenderà dai voti, certo, ma anche dalla capacità di esprimere una visione del paese. Casini coglie un punto centrale quando afferma di voler raccogliere tutti coloro che credono nell'esperienza di Monti, ma anche lui sembra muoversi in ritardo e in modo un po' strumentale. Dov'è finito il "partito della nazione" più volte adombrato? È pericoloso confondere le strategie con il tatticismo.

Quanto alla destra berlusconiana, Alfano ieri ha avuto l'accortezza di dichiarare chiusa la piccola polemica sullo "spread". Era logico che così fosse, ma è soprattutto opportuno che il segretario del Pdl abbia portato a Monti delle proposte concrete per il taglio del debito pubblico. I prossimi mesi saranno decisivi al riguardo e le forze politiche saranno giudicate da come sapranno affrontare un simile nodo. In un certo senso si potrebbe concludere che le future alleanze saranno determinate, più che da intese vecchio stile, dal modo in cui i partiti riusciranno a misurarsi con questa urgenza senza precedenti. Il che rende essenziale che nella prossima legislatura l'«area Monti» sia rappresentata in forme adeguate.

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