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Autore Discussione: MONICA GUERZONI. -  (Letto 46972 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Gennaio 29, 2012, 11:40:34 pm »

Dietro le quinte - Nell'esecutivo qualcuno soffre la sua loquacità

Il ministro Fornero e i colleghi diffidenti

Polillo: «Una fontana che piange»

Il sottosegretario in tv: «Un politico con un pizzico di esperienza non avrebbe mai fatto quella scenata»


ROMA - «Un politico con un pizzico di esperienza non avrebbe mai fatto l'icona della fontana che piange...». L'immaginifico giudizio è piovuto sul ministro Elsa Fornero nella notte di giovedì, dagli schermi di Rai3. Ospite di «Linea notte», il programma condotto in tandem da Bianca Berlinguer e Maurizio Mannoni, il sottosegretario Gianfranco Polillo ha rivelato d'un fiato ciò che pensa dell'autorevole collega. Un breve ma corposo sfogo, che autorizza a chiedersi se la professoressa torinese non sia accerchiata da incomprensioni e gelosie che rischiano di isolarla all'interno del governo.

Ma cosa ha detto, Polillo? Il sottosegretario all'Economia - un tempo comunista con simpatie miglioriste, poi socialista e infine vicino a Fabrizio Cicchitto, del quale è stato consigliere - ha dissertato in rapida successione dell'inesperienza politica, dell'emotività e dell'ingenuità del ministro del Lavoro. «Persona molto addentro ai problemi teorici», riconosce il sottosegretario, che poi però ricorda quando Fornero scoppiò a piangere presentando alla stampa la sua riforma delle pensioni, rivelando di essere «molto emotiva» e diventando «l'icona della fontana che piange».

Il sottosegretario all'Economia Gianfranco PolilloIl sottosegretario all'Economia Gianfranco Polillo
I due non si amano, è chiaro. E Polillo in diretta tv non lo nasconde: «Ci discuto molto, anche a me dà ordini tassativi. Io le dico "guardi ministro che il Parlamento è una cosa complicata", bisogna fare gli emendamenti... È una persona che non avendo mai fatto politica bisogna accettarla per quella che è, anche con certe ingenuità». È chiaro che al ministro del Lavoro l'idea di essere «accettata per quella che è», nemmeno fosse un caso politico o umano, non è piaciuta per nulla. Ma i collaboratori giurano che il ministro abbia incassato i complimenti con la più assoluta indifferenza: «Il solito Polillo... Le sue parole si commentano da sole».

A freddo, due notti e due giorni dopo il programma, il sottosegretario spiega che le sue parole in tv «sono state equivocate» e che la sua intenzione era schierarsi in difesa del ministro: «Siccome l'attaccavano io volevo difenderla, spiegare in modo protettivo che una persona che ha insegnato tutta la vita forse non ha dimestichezza con il Parlamento. La politica è un mestiere, se io vado a insegnare faccio disastri molto peggiori... Volevo metterci una pezza, ma forse non ci sono riuscito».

Non ci è riuscito, no. E più di un esponente del governo lo ha chiamato per chiedergli cosa gli sia saltato in mente. Eppure non è un mistero che il temperamento di Fornero - guai far precedere il suo cognome dal «la» - ha fatto più volte saltare i nervi ai politici e discutere (riservatamente) i tecnici. L'ultima querelle è scoppiata quando il decreto «milleproroghe» è stato rispedito in Commissione per la ferma opposizione del ministro del Lavoro, che non voleva tassare i lavoratori autonomi. In tanti alla Camera hanno orecchiato i mugugni dei tecnici di Piero Giarda, responsabile dei Rapporti con il Parlamento. Ma il ministro, che conosce le insidie dei regolamenti e lo stress delle sedute d'Aula, non si è mai lasciato andare a considerazioni meno che lusinghiere nei confronti della collega: «Il ministro Fornero ha finora risolto un problema molto importante che le era stato affidato, la riforma delle pensioni. Il resto, carattere o atteggiamenti, conta poco o nulla nella vita collettiva. Riuscissimo tutti a fare risultati come lei...».

Se è vero che la stima di Monti nei suoi confronti è intatta e che «un caso Fornero non esiste», come assicura il sottosegretario Giampaolo D'Andrea, è vero anche che il ministro non fa molto per farsi nuovi amici nell'esecutivo. I colleghi soffrono la sua eccessiva loquacità e qualcosa, da ieri, ne sa anche il ministro dello Sviluppo. «Corrado Passera ha la tendenza a gettare il cuore oltre l'ostacolo - ha scherzato Fornero parlando di crescita - Gli dirò di essere meno ottimista». Una punzecchiatura? Macché, ha subito chiarito la responsabile del Welfare, era solo un «messaggio affettuoso».

Monica Guerzoni

mguerzoni@rcs.it

29 gennaio 2012 | 9:06© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_gennaio_29/fornero-colleghi-diffidenti_d77c9910-4a43-11e1-bc89-1929970e79ce.shtml
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« Risposta #16 inserito:: Febbraio 29, 2012, 04:33:49 pm »

Duello nel centrosinistra tra L'ex segretario pd e il leader di sel

Veltroni litiga con Vendola: «Io di destra? Inaccettabile, mi chieda scusa»

D'Alema e Bindi intervengono in difesa del compagno di partito

ROMA - «Non sono un tipo da facili arrabbiature, ma ci sono cose che non tollero...». Era da tempo che a sinistra non si sentiva il vecchio adagio di Pietro Nenni, «c'è sempre uno più puro che ti epura». Walter Veltroni lo ha intonato con altre parole, ma il senso è quello. L'ex segretario, che dal 2009 non parlava in conferenza stampa perché convinto di «non averne titolo», ha chiamato i cronisti parlamentari nella saletta della Camera per respingere, con «dispiacere e sorpresa», i giudizi di Nichi Vendola. Accuse che bruciano, perché provengono dalla stessa famiglia politica.

Per via delle sue idee riformiste sull'articolo 18, il leader di Sel lo ha bollato come interprete di una «destra colta e con il loden». Un giudizio sferzante, che l'interessato non poteva lasciar cadere senza una richiesta ufficiale di pentimento: «Le scuse di Nichi? Sì, sarebbero gradite». Per uno che non ha mai cambiato bandiera e che può scandire senza imbarazzo «sinistra è la parola della mia vita», la verità andava ripristinata. A costo di sfidare il sarcasmo dei social network e stimolare reazioni acide da parte degli alleati di un tempo. «Nella vita ne ho visti di maestri salire in cattedra, maoisti o filosovietici che pensavano di essere più a sinistra degli altri - si è sfogato Veltroni, rispedendo al mittente i giudizi «verbalmente violenti e cinici» di Vendola -.

Il vecchio vizio di attribuire l'etichetta di traditore o nemico a chi non la pensa come te, è pericoloso e inaccettabile». Tra i dirigenti di Sel, dove la reazione di Veltroni è stata accolta con malcelata soddisfazione, la lettura prevalente è che l'ex leader del Pd abbia «strumentalizzato Vendola per aprire in anticipo il congresso del suo partito». In realtà Veltroni non ha parlato di future alleanze ed è stato bene attento a non tirare in causa Bersani. Anzi, ha sottolineato come la sua posizione sul lavoro sia «quella del Pd» e ha detto di voler contestare non solo la frase sulla destra in loden, ma anche quel che lui pensa ci sia dietro: «Spero sia un incidente e che Vendola abbia la bontà di dire che, essendo cresciuti insieme e sapendo quel che ho fatto nella mia vita, queste parole gli siano sfuggite». E se invece Nichi ritenesse davvero che Walter abbia una posizione di destra? «Diventerebbe un problema politico, da discutere seriamente».

Che il problema sia politico lo confermano il livello e il tono delle prese di posizione. Massimo D'Alema, per una volta, difende l'ex segretario: «Certamente Veltroni non è di destra». E Rosy Bindi avverte: «Non si possono fare caricature del dibattito interno al Pd e delle posizioni dei suoi dirigenti». Per Veltroni la sinistra «non è un posto dove guardarsi in cagnesco» e lui, promette, non porterà rancore. Eppure la coda velenosa di questo scontro tra ex amici rischia di allungarsi ancora. Il presidente della direzione di Sel, Fabio Mussi, sospetta che Veltroni abbia «voluto parlare a nuora» e gli consiglia di «far riposare Lama, Trentin, Berlinguer e gli altri esponenti storici della sinistra». Figure simbolo, alle quali Veltroni ha fatto riferimento per ricordare come «certi rivoluzionari» nutrano odio per i riformisti. «Siamo alla demonizzazione e alla scomunica - prova a voltare pagina il veltroniano Walter Verini -. Un metodo che tanti guai ha provocato alla sinistra».

Monica Guerzoni

29 febbraio 2012 | 8:52© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_febbraio_29/veltroni-litiga-con-vendola-io-di-destra-inaccettabile-mi-chieda-scusa-monica-guerzoni_965fd55a-62a3-11e1-8fe6-00ac974a54fa.shtml
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« Risposta #17 inserito:: Agosto 11, 2012, 10:37:58 am »

Crescita, il premier dà i compiti ai ministri Chiesti «dossier» sulla sfida d'autunno

Il 24 la prossima riunione del governo.

Catricalà irritato per una relazione mancante


ROMA - Per «mettere in sicurezza il Paese» e convincere l'Europa che «l'Italia può farcela da sola» bisogna spingere sul tasto della crescita ed è questo il compito che Mario Monti ha assegnato ai ministri prima di partire per le sue vacanze lampo. Già il 20 agosto, dopo l'intervento al meeting di Rimini il 19, il premier rientrerà a Palazzo Chigi, anche per preparare la riunione del 24 agosto.

Sarà un Consiglio dei ministri sui generis , una sorta di «seminario» strategico tutto interno all'esecutivo per mettere a fuoco successi e insuccessi dei primi nove mesi e delineare le riforme chiave della «campagna d'autunno». Il nuovo decreto sulla crescita e il capitolo due delle semplificazioni su cui sta lavorando Corrado Passera, il secondo atto della spending review di Piero Giarda, l'attuazione degli strumenti già individuati per la riduzione del debito...
I partiti della maggioranza anomala che sostiene Monti spingono per un «colpo secco» alla montagna di quasi duemila miliardi che grava sulle sorti del Paese, ma il governo, d'intesa con Bankitalia, ha scelto la linea soft. Nei piani del ministro Vittorio Grilli si partirà con un programma pluriennale di dismissioni per 15-20 miliardi l'anno, pari all'1 per cento del Pil. Quanto alla tassazione dei risparmi detenuti in Svizzera Palazzo Chigi frena, perché il negoziato «sarà lungo» e ci vorrà «molta prudenza», se non si vuole che i capitali messi al sicuro Oltralpe fuggano altrove.

Nella coda del cdm, durato quasi sei ore, alcuni ministri avrebbero chiesto a Monti quanto sia alto il rischio che l'Italia debba ricorrere all'aiuto dell'Europa. Il premier però ha tranquillizzato e ricordato che c'è tempo perché «nulla accadrà fino al 12 settembre», quando la Corte costituzionale tedesca si pronuncerà sulla legittimità del fondo «salva Stati». Chi c'era descrive il professore come «vigile» e «pronto a tutto», ma non allarmato. Al mattino - incontrando il presidente Gianfranco Fini per ringraziarlo della disponibilità a riaprire la Camera in caso di provvedimenti economici d'urgenza - Monti avrebbe infatti parlato della battaglia per salvare l'euro come di «una fase di attesa e di relativa tranquillità».
Prima degli auguri di buone vacanze, qualche momento di tensione. Sulla «golden share», le norme antiscalata per le aziende strategiche, il ministro Grilli voleva una linea più decisa mentre Moavero, temendo che la Ue possa stoppare il provvedimento, ha invitato alla cautela: «Non possiamo esagerare». Da Palazzo Chigi filtra anche che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, si sia molto «scocciato» perché mancava la relazione tecnica al testo di revisione della geografia giudiziaria. Attimi di imbarazzo, in cui si è ventilata persino l'ipotesi di far slittare l'approvazione, poi però l'inciampo si è risolto e il testo sui tribunali è stato approvato.

A deludere il capo del governo, poi, è stato il rinvio al 24 agosto del confronto sull'agenda programmatica, uno slittamento inevitabile visto che alcuni ministri hanno inviato a Palazzo Chigi schede definite in camera caritatis «impresentabili» da alcuni colleghi. Il premier aveva pensato di congedarsi per le ferie lanciando sul sito del governo la sintesi dei dossier sui provvedimenti varati e su quelli in cantiere, per offrire ai cittadini un'idea visibile della mole di lavoro che il governo sta portando avanti. Fornero, Passera, Riccardi e altri hanno seguito alla lettera le indicazioni dell'ufficio stampa, alcuni invece hanno presentato cartelline incomplete, troppo lunghe o scritte con linguaggio burocratico. E così il presidente ha dovuto rinviare al 24 la discussione sull'agenda.
Sul piano politico Monti ha riferito ai ministri degli incontri con Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini e della telefonata con Pier Luigi Bersani. Se pure è preoccupato per la tenuta della maggioranza il premier non lo ha dato a vedere e ha spiegato che, almeno sul fronte della crescita, tra i partiti e con il governo c'è sintonia di vedute. A mettere in agitazione l'esecutivo è invece il lavoro bipartisan dei partiti per «correggere» la riforma delle pensioni, allargando la platea degli esodati da salvaguardare e ritoccando verso il basso l'età pensionabile. Il ministro del Welfare Elsa Fornero è molto preoccupata e in cdm lo ha detto chiaro: «Dobbiamo evitare che il testo venga stravolto». Ma Giarda, con un sorriso serafico, l'ha subito placata: «Non ti preoccupare Elsa, di emendamenti ce ne sono tanti altri...».


Monica Guerzoni
mguerzoni@rcs.it

11 agosto 2012 | 8:29© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_agosto_11/crescita-compiti-ministri_8516780c-e37d-11e1-880a-4d5f3517dc36.shtml
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« Risposta #18 inserito:: Ottobre 14, 2012, 03:59:52 pm »

Centrosinistra Nel «manifesto» il riconoscimento delle coppie gay

Via all'alleanza Pd-Vendola

E su Monti nasce un caso

Renzi, deluso: «Le regole per le primarie? Sbagliate. Ma non si ferma il vento con le mani...». Primarie il 25 novembre

BETTOLA (Piacenza) - «Casini non lo abbiamo definitivamente perso, non lo abbiamo mai trovato...». Siglando l'alleanza con i democratici di Pier Luigi Bersani e i socialisti di Riccardo Nencini, Nichi Vendola sbatte la porta in faccia a colui che gran parte del Pd vorrebbe come alleato: il leader dell'Udc, appunto, che il presidente della Puglia liquida come «un conservatore».
Bersani esulta perché «la miccia è accesa», ma tra il leader centrista e il capo di Sel sono fuochi d'artificio. Casini denuncia che «l'ipoteca di Vendola sulle primarie è superiore a quella di Renzi» e giudica «un errore» cancellare Monti dal Manifesto del centrosinistra. E Bersani, che pure non vorrebbe polemizzare nel giorno del battesimo dell'alleanza, lo stoppa con garbo: «Casini non si preoccupi, è una bella giornata questa... Non solo per noi, ma per l'Italia».

Ora dunque è ufficiale, nella coalizione non c'è posto per Casini. Per non chiudere del tutto i leader hanno lasciato uno spiraglio in quel passaggio della Carta d'intenti, dove democratici e progressisti «si impegnano a promuovere un accordo di legislatura» con le forze «del centro liberale». Troppo poco, per i riformisti del Pd. Eppure il segretario alza «orgoglioso» il calice mezzo pieno: «Le primarie sono la più grande e bella cosa che la politica può offrire».
Nasce così, in un mix di entusiasmo e polemiche dal retrogusto amaro, il polo «democratico e progressista». L'alleanza alternativa al «liberismo, al berlusconismo e al populismo» con cui Bersani conta di approdare a Palazzo Chigi dopo aver battuto, alle primarie, sia Vendola che Matteo Renzi.
Nelle dieci parole d'ordine scolpite nella Carta d'intenti - che Renzi fa virtualmente in pezzi con l'aggettivo «generica» - c'è già, in pillole, il programma di governo: Europa, democrazia, lavoro, uguaglianza, libertà, sapere, sviluppo sostenibile, beni comuni, diritti e responsabilità.

Le regole per le primarie sono pronte. Il sindaco di Firenze è deluso e arrabbiato, eppure dispensa sorrisi e ostenta ottimismo: «Le regole sono sbagliate, ma non si ferma il vento con le mani». Renzi si è impegnato a «rispondere con lealtà», ma a sera da Arezzo si lascia scappare che lui di Bersani si fidava, il patto era «regole per aumentare la partecipazione e purtroppo non è andata così». Si voterà il 25 novembre versando «almeno due euro», con eventuale ballottaggio il 2 dicembre. Per iscriversi e votare gli elettori dovranno fare due file e la questione delicatissima delle deroghe per accedere al secondo turno (avendo saltato la registrazione entro il primo) è stata demandata a un Comitato dei garanti presieduto da Luigi Berlinguer e composto da Mario Chiti, Francesco Forgione e Francesca Brezzi.

E i renziani? Niente, lamentano dallo staff del sindaco, nemmeno un garante piccolo piccolo. «È uno scandalo, un gioco scoperto e senza ritegno per limitare il numero dei votanti», attacca Roberto Reggi per conto di Renzi. Perché mettere le patate roventi nelle mani dei garanti, invece di pelarle subito? «Questo vizio del Pd di rimandare i problemi deve finire. E un altro tema micidiale - si sfoga l'ex sindaco di Piacenza - è la pubblicazione dei votanti».

Detto questo, Renzi ha per ora deciso di comportarsi «come un soldato» e di rispettare il regolamento, sperando che le norme si rivelino un boomerang per l'avversario. «Innanzitutto chiedo il voto ai delusi del Pd - ha detto da Arezzo, con una stoccata a Bersani - . Se poi prendiamo i voti dei delusi dell'altra parte va anche bene».

Il leader del Pd inizia la sua corsa oggi dalla pompa di benzina di Bettola, gestita un tempo da Bersani padre. Una scelta che sa di radici popolari e di sinistra, per far capire con un'immagine simbolica che lui vuole «governare con il popolo» e portare - come dice Vendola - l'Italia «oltre Monti», rispettando gli impegni con l'Europa e però anteponendo al risanamento la giustizia sociale e la solidarietà con i più deboli.Sul tema dei diritti è Vendola ad aver ottenuto una prima e importante vittoria con il riconoscimento delle coppie gay, altra mossa di sinistra che aumenta la distanza con l'ala cattolica. Bersani aveva fatto a suo tempo consistenti aperture, ma ieri al Centro congressi Roma eventi si è scelto di «dare sostanza normativa al principio riconosciuto dalla Corte costituzionale, per il quale una coppia omosessuale ha diritto a vivere la propria unione, ottenendone il riconoscimento giuridico». Il passo avanti è agli atti. Se il centrosinistra andrà al governo Anna Paola Concia è convinta che una legge per le coppie omosessuali si farà: «Noi vorremmo il matrimonio, ma se non riusciremo a ottenerlo avremo almeno le unioni civili...».

Monica Guerzoni

14 ottobre 2012 | 8:33© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_ottobre_14/via-ad-alleanza-pd-vendola-e-su-monti-nasce-caso_bbbf4416-15c7-11e2-9913-5894dabaa4c4.shtml
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« Risposta #19 inserito:: Dicembre 22, 2012, 06:29:40 pm »

GLI SCENARI


Rilancio dell'«agenda». Ma niente lista Monti
Il Professore ai suoi: troppi ostacoli, il rischio è dividere. Tensione con Casini


ROMA - Chi ci spera ancora rischia di rimanere deluso. Ma il presidente del Consiglio dimissionario sente di avere «la coscienza a posto», di fronte ai cittadini e di fronte ai leader dei partiti. La tentazione è forte, è vero. E però il Professore non sbaglia quando ricorda ai suoi ministri che mai, in nessuna dichiarazione ufficiale, ha affermato di volersi candidare alle Politiche, mai ha fatto balenare pubblicamente la possibilità di un endorsement a favore di quelle forze centriste che hanno investito tutto sul suo nome.

E così, dopo averci riflettuto intensamente per settimane, il Professore ha maturato la convinzione che le condizioni per una discesa in campo per adesso non ci sono. E dunque non ci sarà il suo nome sulle liste. Troppi ostacoli sul cammino, troppi rischi per quel «tesoro» di idee e riforme a cui il premier uscente tiene assai più del proprio destino personale. Ai ministri, che lo hanno visto ancora incerto sull'approdo, Monti ha spiegato che la discesa in campo non è nel suo stile e che, per quanto tirato per la giacca, non può accettare «una candidatura che rischia di dividere anziché unire». La posizione durissima del Pd, D'Alema in primis, lo ha impressionato e scoraggiato. E pure la squadra di governo si è divisa in favorevoli e contrari. Se Corrado Passera si è molto speso per convincere il Professore alla sfida, Paola Severino, tra gli altri, lo ha messo in guardia: «Pensaci bene, Mario. Ci sono troppi rischi... E se non vinci?».

Alla fine, come sempre, il Professore ha fatto di testa sua. E non è per via dei sondaggi non brillantissimi che ha scelto la linea soft, cautela e gradualità. Quando è salito al Quirinale per rassegnare il mandato Monti era di «animo sereno», ma aveva dipinta sul viso un'espressione mesta. «Il clima non era allegrissimo...», confermano i collaboratori più stretti. E però al Colle, dopo giorni non privi di incomprensioni, la scelta di restare fermo e di non concedere il proprio «brand» a Montezemolo e Casini - con il quale ci sono alcune tensioni - lo ha rimesso in sintonia con Napolitano.

Non si pensi però che Monti abbia scelto il disimpegno, perché la road map di Palazzo Chigi non prevede l'uscita di scena. Il primo e «fondamentale» passo è far conoscere agli elettori quanto è stato fatto in questo anno «difficile e affascinante» e quanto ancora un esecutivo che raccolga l'agenda Monti potrebbe fare: un manifesto programmatico che gli consentirebbe di restare sulla scena da riserva della Repubblica, in attesa di una chiamata che potrebbe arrivare dopo il voto in caso di risultato elettorale incerto e ingovernabilità al Senato. Il secondo step - ma qui davvero Monti non ha ancora deciso - potrebbe essere una sorta di appoggio esterno, diluito nel tempo, alle liste centriste, il cui destino elettorale è appeso alle sue mosse.

La sua eredità al Paese il professore la consegnerà domani durante la conferenza stampa di fine anno, sotto forma di memorandum. Una sorta di «Bibbia» dell'esecutivo tecnico che sposti l'attenzione dalle persone ai contenuti e metta nero su bianco il bilancio delle cose fatte e il progetto di quelle da fare. In due parole: l'Agenda Monti. I pilastri sono consolidamento dei conti e crescita economica, ma la novità è un pacchetto di provvedimenti per alleggerire finalmente la pressione fiscale per famiglie e imprese. Se la stabilizzazione verso il basso dello spread consentirà, come Monti spera, di allentare la morsa del rigore, sarà possibile rivedere gli scaglioni dell'Irpef e introdurre vantaggi fiscali per le imprese che fanno innovazione e si internazionalizzano. Riforme che i cittadini aspettano con ansia e che Monti aveva anche pensato di spendere in campagna elettorale, se mai avesse deciso di scendere nell'agone.
È una agenda corposa quella che Monti si appresta a presentare «per vedere chi ci sta», con la consapevolezza che Vendola e l'ala sinistra del Pd diranno no. Se c'è una cosa che lo ha frenato è stato il timore che un suo schierarsi avrebbe contribuito a spaccare il Paese, mentre Monti vuole essere colui che unisce. «E il memorandum - avrebbe confidato al suo entourage - può essere lo strumento migliore per federare i moderati». L'agenda, nella sua versione definitiva, contiene le grandi riforme strutturali che garantirebbero il consolidamento della finanza pubblica. Su pensioni e Imu non si torna indietro, ma una seconda patrimoniale non è la cura che serve all'Italia. Sul fronte della crescita il capitolo più «pesante» è quello delle liberalizzazioni ideate da Passera: professioni, servizi, energia, gas, trasporti e servizi pubblici locali. Ma c'è molto di più: dalla fase due della spending review di Piero Giarda ai progetti di Elsa Fornero per mettere in moto l'occupazione dei giovani.

Monica Guerzoni

22 dicembre 2012 | 7:32© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_dicembre_22/agenda-monti_d18e1ea6-4c00-11e2-a778-2824390bcabe.shtml
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« Risposta #20 inserito:: Gennaio 02, 2013, 05:21:07 pm »

Le trattative

Il malessere di Udc e Fli contro «Bondi-Torquemada»

I centristi difendono Cesa e Buttiglione. Casini: non rottamo.

Bersani premier solo se vince al Senato. In forse la lista di Fini


ROMA - Il nuovo anno del centro montiano si apre all'insegna della tensione, con l'Udc in rivolta sotterranea e Pier Ferdinando Casini in grande freddo con il premier in carica. A gelare i rapporti è il ruolo che il Professore ha affidato a Enrico Bondi, commissario del governo per la spending review. L'incarico di supervisore dei curriculum innervosisce gli aspiranti parlamentari, che si sentono osservati, studiati, giudicati e temono di essere respinti col bollino di «impresentabili». Tanto che i centristi hanno preso a paragonare Bondi a Torquemada, il grande inquisitore spagnolo dell'epoca dei re cattolici. Casini, in un'intervista ad Avvenire - oltre a gelare le aspettative del Pd mandando a dire a Bersani che «sarà premier solo se avrà la maggioranza alla Camera e al Senato» - chiarisce la definizione delle liste: «Ci sarà un rinnovamento profondo ma non la rottamazione di persone onestamente impegnate in politica».

La tensione è alta, al punto che l'Udc due giorni fa avrebbe minacciato lo strappo, nel tentativo di smussare le forbici del commissario. Per dire del clima, il 31 dicembre sul sito Formiche.net - rivista fondata dal giornalista Paolo Messa, consigliere «pro tempore» del ministro Corrado Clini ed ex portavoce di Marco Follini quando era segretario dell'Udc - è spuntato un articolo che parla di Bondi come di un «tagliatore di teste» e definisce «giacobina» l'idea di «consegnare il potere di decidere chi deve sedere in Parlamento a un soggetto terzo».

Quel che i centristi non accettano è il veto sul nome del segretario Lorenzo Cesa per i suoi trascorsi guai giudiziari, risolti in prescrizione. Né intendono cedere alla richiesta di Bondi, e dunque di Monti, di convincere al passo indietro il presidente Rocco Buttiglione, sulle cui spalle gravano ben più di tre lustri di Parlamento. Il braccio di ferro va avanti da giorni, con Bondi che insiste e Casini che resiste, determinato a non cedere sovranità al punto da farsi imporre le candidature da fare e quelle da evitare. Il punto, per via Due Macelli, è che non sono chiari i criteri di selezione e che il partito «è sì disposto ad accettare il vaglio di Bondi, ma non può lasciar passare il fatto che alcuni nomi siano considerati tabù».

Giorni fa al tavolo delle trattative si era pensato di confinare al Senato indesiderati, naufraghi e riciclati del Parlamento, ma con la lista unica il Professore ci ha ripensato: i nomi più discussi, sempre che riescano a scampare alla ghigliottina di Bondi, dovrebbero dunque finire nelle liste dei rispettivi partiti alla Camera. È il caso ad esempio di Italo Bocchino: Monti non ha dimenticato la dichiarazione un po' avventata con cui, un anno fa, il vicepresidente di Fli rischiò di far saltare il suo governo sul nascere proponendo un esecutivo Monti senza il Pdl per il 2013.

Alla Camera il premier non intende schierare politici, se non nella lista Udc e in quella di Fli. Ma nulla è ancora deciso, non si sa ancora se Gianfranco Fini riuscirà a presentare la sua lista... Le ragioni che tengono i finiani col fiato sospeso sono diverse, non ultimo il fatto che lo stesso leader teme una conta dolorosa nelle urne. Nel listone del Senato finirebbero dunque quei parlamentari uscenti rimasti apolidi, come Mario Mauro o Pietro Ichino. Oltre a Casini, che ha «prenotato» uno scranno a Palazzo Madama, traslocherebbe al Senato anche il capogruppo di Fli Della Vedova, tra i più accesi sostenitori della lista unica.

Monica Guerzoni

2 gennaio 2013 | 8:01© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_02/il-malessere-di-udc-e-fli_a9afd568-54a8-11e2-bf2b-52f2ccd54966.shtml
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« Risposta #21 inserito:: Gennaio 02, 2013, 05:23:59 pm »

Il listone al Senato

Pronti nome e simbolo: «Con Monti per l'Italia»

Nel logo c'è un tricolore stilizzato. Il Professore si è rivolto all'agenzia di creativi pugliesi che ha lavorato per Vendola


ROMA - Il colore è il bianco. Il nome della lista è «Con MONTI per l'Italia», dove il leader della coalizione spicca in caratteri maiuscoli. E, a caratterizzare il logo, c'è il tricolore, che incornicia il simbolo sotto forma di bandiera stilizzata. Il logo per il listone del Senato - che sarà riprodotto in piccolo nei simboli delle liste alla Camera - è pronto. Aspetta solo il definitivo via libera di Mario Monti, al quale i bozzetti sono stati consegnati poche ore prima del brindisi di fine anno, lunedì.

Il premier doveva sciogliere la riserva ieri pomeriggio, ma poi ha deciso di prendersi qualche ora di riflessione in più. Ma il tempo stringe e oggi stesso Monti dovrebbe presentare nome e logo. Scartata la proposta di Italia Futura, con le stelle dell'Europa e la scritta «Agenda Monti», sul tavolo del premier resta il simbolo realizzato da una nota agenzia di giovani creativi pugliesi, gli stessi che hanno ideato altre campagne vincenti (e controcorrente) di leader di sinistra, da Michele Emiliano a Nichi Vendola. Sulle prime i pubblicitari avevano progettato un logo molto più «frizzante», ma il Professore, com'è nel suo stile, ha optato per un messaggio graficamente più sobrio che esprime rigore, affidabilità e senso dello Stato.

Ogni riferimento all'agenda è sparito e così la parola «presidente», che sembrava dover accompagnare il nome di Monti. Lo staff del Professore medita di renderlo pubblico oggi stesso, per poi stamparlo e avviare immediatamente la raccolta delle firme per la presentazione delle liste. L'ipotesi più probabile è che lo schieramento montiano si presenti a Montecitorio con una formazione a tre punte: la lista della società civile che fa capo, tra gli altri, a Montezemolo e Riccardi, quella dell'Udc e quella di Fli. Su quest'ultima però la riflessione è ancora aperta, perché nell'entourage di Monti il partito di Fini è visto come uno scoglio.

Il presidente ha ancora qualche dubbio sull'assetto da dare all'alleanza. Monti ha infatti preso in considerazione l'ipotesi di presentare alla Camera addirittura cinque liste, così da moltiplicare le forze sul territorio. L'ipotesi allo studio è di affiancare alle sigle fondatrici una lista di ex pdl e un'altra di ex pd, alla quale stanno lavorando quei parlamentari cattolici che hanno lasciato Bersani al seguito di Lucio D'Ubaldo: il senatore ha depositato il simbolo «Democratici popolari con Monti», però con buona dose di realismo ammette che «in dieci giorni fare 27 liste per le 27 circoscrizioni sarebbe complicato».

Diversi ministri hanno fatto sapere di essere pronti a candidarsi, da Mario Catania a Giulio Terzi di Sant'Agata. Altri invece sono in ritirata. Il premier ha chiamato per gli auguri Corrado Passera e ha provato a convincerlo a tornare in corsa al suo fianco. Ma il ministro dello Sviluppo ha tenuto il punto, convinto com'è che la coalizione di Monti debba presentarsi alla Camera in formazione unitaria.

M. Gu.

2 gennaio 2013 | 9:54© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_02/pronti-nome-e-simbolo-monti-per-italia-guerzoni_9a8ed4aa-54a6-11e2-bf2b-52f2ccd54966.shtml
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« Risposta #22 inserito:: Gennaio 05, 2013, 11:42:01 am »

Il vertice notturno tra il premier, Casini e Fini

Liste Monti: solo una può usare il nome del Prof

Si tratta di «Verso la Terza Repubblica».

Il leader Udc: non andremo in campagna alleati di una lista nostra concorrente


ROMA - Per tentare di risolvere il pasticcio dei simboli Mario Monti si è dovuto infilare in un vertice in notturna con Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini e alla fine, dopo lunga e tormentata discussione, i dubbi e le ansie dei centristi erano ancora tanti. Correre alla Camera con un listone unico, come al Senato, o schierare più liste, differenziando i simboli?

Il problema della «confondibilità» delle insegne elettorali, sollevato dal Pdl, ha costretto il Professore a rivedere la strategia, in una affannosa corsa contro il tempo e in un clima niente affatto disteso. I leader di Udc e Fli sono arrivati all'incontro di Montecitorio con il sospetto che il premier in carica stia favorendo vistosamente la formazione civica di Montezemolo e Riccardi. E con il timore di restare schiacciati nelle urne dal peso dell'unica lista che potrà richiamarsi al nome di Monti: quella di Verso la Terza Repubblica, appunto. La legge vieta infatti alla coalizione di schierare più simboli che contengano il nome del leader. E così, con il Pdl che minaccia le ricorsi e carte bollate, per tutto il giorno si è ragionato di un ritorno alla lista unica. Ma il tempo stringe, i veti sui nomi di alcuni politici hanno fatto impennare la tensione e nell'Udc ci sono forti resistenze sulla prospettiva di «chiudere bottega». Fosse per Monti, Riccardi e Montezemolo, sarebbe ben comodo schierare il simbolo e il nome del leader solo nella lista della società civile, per distinguersi dai politici di professione e fare il pieno di voti. Ma Casini e Fini hanno ben chiaro che senza il «marchio» Monti il loro consenso rischia di ridursi assai... Da qui il braccio di ferro culminato in notturna, con Casini per nulla disposto a farsi triturare: «Certo non andremo in campagna elettorale alleati di una lista che, alla Camera, è nostra concorrente». Trattativa dura, finché un possibile compromesso è saltato fuori: presentarsi con liste separate - società civile, Udc, Fli e forse «ribelli» del Pdl - che richiamino la leadership di Monti grazie a segni grafici diversi.

«Presentare il nostro simbolo senza il nome del premier è pericoloso, rischiamo di finire svuotati», aveva confidato ai suoi Casini.
Ma Benedetto Della Vedova, uno dei dirigenti finiani più graditi al Professore, spera ancora che il dilemma dei simboli costringa gli alleati a unirsi nella squadra più larga: «Ho sempre pensato che la lista unitaria "Con Monti per l'Italia" può dare forza all'intero progetto».
Se Udc e Fli sono in allarme, è anche perché Monti sta privilegiando l'anima civica dello schieramento.

Prova ne sia il vertice «segreto» che si è tenuto alla Camilluccia, dove i politici (tranne qualche transfugo di Pd e Pdl) sono rimasti fuori dalla porta. Per oltre quattro ore, nel chiuso dell'hotel Villa Maria Regina, il premier ha preso appunti e registrato i suggerimenti programmatici di un centinaio tra professori, responsabili tematici di Italia Futura, esponenti delle Acli e di Sant'Egidio. Freschi di passaggio sotto l'ala di Monti c'erano anche gli ex pd Pietro Ichino e Maria Paola Merloni, nonché l'ex pdl Mario Mauro. Il seminario sull'Agenda, che Monti voleva tenere riservato, è stato introdotto da Andrea Riccardi. Poi il premier ha ribadito di voler «smontare il bipolarismo» e che la sua formazione è tutt'altro che moderata: «Faremo riforme molto incisive e radicali».

Monica Guerzoni

4 gennaio 2013 | 9:34© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_04/rebus-simbolo-centristi-lavorano-compromesso-monica-guerzoni_bb60e072-5638-11e2-9534-ad350c7cbb97.shtml
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« Risposta #23 inserito:: Febbraio 02, 2013, 05:43:33 pm »

L'INTERVISTA L'EX MINISTRO PRODIANO: «IL RECUPERO DEL CAVALIERE NON MI STUPISCE, LUI È IL PIÙ GRANDE VENDITORE DEL MONDO»

«Per il Pd era meglio non gonfiare troppo il petto»

Parisi: altro che vittoria annunciata Un errore l'euforia post primarie


ROMA  «Berlusconi si conferma come il più grande venditore del mondo».


Detto da lei, onorevole Arturo Parisi, che aveva festeggiato il ritiro del Cavaliere come un bene per la democrazia...
«I grandi venditori sono quelli che vendono cose che non possiedono, annunciando risultati lontani per costruire, sul loro annuncio, la vittoria annunciata. Così ha riaggregato un campo che appariva definitivamente sbandato».

A forza di recuperare punti, può ribaltare i pronostici?«Che abbia recuperato è fuori dubbio, quanto è tutta un'altra cosa. Non credo tuttavia che questo gli possa bastare per rovesciare i pronostici».

Ritiene concreto il rischio di un Senato ingovernabile?
«Il problema non è l'ingovernabilità del Senato, ma la governabilità del Paese. Il rischio è una vittoria insufficiente rispetto ai compiti che ci attendono. Sulla scia della lontana lezione di Berlinguer, D'Alema e Bersani ripetono da tempo che per governare il Paese ci vuole ben altro che il 50% più uno degli elettori. Figuriamoci se questi dovessero essere quel 35% che oggi i sondaggi attribuiscono ai progressisti, o quel 30% riconosciuto al Pd».

All'indomani delle primarie Bersani si è mosso da premier in pectore. Poi cosa è successo? Dove ha sbagliato, se ha sbagliato?
«Se il presidente Napolitano conferma la sua determinazione a dare l'incarico al leader della coalizione vincente, non riesco ad intravvedere un altro premier in pectore. Quello che certo andava evitato era di gonfiare il petto troppo e troppo presto. Anche su questo ha investito Berlusconi per impostare il contrattacco. Come nel '94, ha lasciato crescere la prospettiva della vittoria progressista per dimostrare che solo lui poteva provare a fermarla».

Se Berlusconi dovesse rivelarsi determinante per governare, può il Pd fare accordi con il centrodestra sulle riforme?
«Su quelle istituzionali, più che possibile resta doveroso. Non vorrei tuttavia risentire Bersani, dopo un anno di trattative cuore a cuore, proclamarsi imbrogliato come è capitato per il Porcellum. E neppure vorrei rivedere la destra approvare in solitudine al Senato una riforma costituzionale che ha introdotto nientedimeno che il sistema presidenziale, che ora giustamente si guarda bene dal ricordare come un merito.
Quanto invece alle altre riforme, è un'altra cosa».

La grande coalizione è di nuovo possibile?
«Ho paura che quella pensabile non sia una grande coalizione, ma solo una grossa coalizione. Il Paese ha invece bisogno di una proposta chiara e forte, fondata sul consenso diretto ed esplicito della maggioranza dei cittadini. Se questo non risultasse ora possibile, tanto vale modificare subito la legge elettorale e ritornare al più presto al voto».

E Monti?
Ha alzato i toni contro il Pd, ha aperto al Pdl...«Era quello che aveva già iniziato a fare Casini quando diceva, senza riderne, di lavorare per un governo aperto al Pdl senza Berlusconi e magari a Bersani, senza tutto il Pd. Ho paura che anche Monti stia imparando a fare politica troppo in fretta».

Non sbaglia Bersani a non cercare un patto con Monti prima del voto?
«Era quello che avrebbero dovuto fare tutti. Lo ripeto inutilmente da anni. Se l'unica via per dare al Paese una maggioranza ampia e coerente era, come dice Bersani, un accordo tra i moderati e i progressisti, tanto valeva stringere un patto davanti agli elettori, davanti agli elettori mantenerlo e, nel caso, scioglierlo. Si è invece preferito rinviare tutto a dopo il voto all'insegna del "parla tu con i tuoi che io parlo ai miei, e poi ci parleremo tra noi". Esattamente come ha imparato a rispondere Monti quando dice che dichiarare le alleanze prima è "vecchia politica"».

Bersani è ancora in tempo o rischia la fine di Occhetto e della gioiosa macchina da guerra del '94?
«Qua si gioca alle elezioni come se fosse un normale incontro sportivo. Fra un mese riscopriremo che, quello che pensavamo fosse il fischio di fine della partita, era invece il fischio di inizio».La vedo a disagio...

Sta pensando di non votare il Pd?
«Votare voto. Ma sempre più da elettore di opinione. Per me il totale dà ancora Pd, però gli addendi della somma col segno meno sono ancora troppi. Non è questo il Pd per il quale 20 anni fa mi ero messo in cammino. Ma ora la priorità è accompagnare Berlusconi all'uscita».


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Guerzoni Monica

(30 gennaio 2013) - Corriere della Sera

da - http://archiviostorico.corriere.it/2013/gennaio/30/Per_era_meglio_non_gonfiare_co_0_20130130_efd1ef3a-6aca-11e2-82e4-8aecb8ed7b90.shtml
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« Risposta #24 inserito:: Febbraio 18, 2013, 12:15:01 pm »

i candidati fuori scena

Da Bombassei a Galli, da Idem a Vezzali: tutte le liti della campagna elettorale

Parole forti Briatore su Twitter contro il ministro Catania, Michele Boldrin contro Loretta Napoleoni


ROMA - Gli storici duelli nei collegi del maggioritario sono un ricordo lontanissimo, consegnato a ritagli ingialliti di giornale. Ai tempi del Porcellum, delle liste bloccate e dei parlamentari nominati, l'onore e l'onere della rissa politica è riservato ai soli leader, intenti a beccarsi ogni giorno in un metaforico pollaio che li vede rinchiusi in gabbie separate: Berlusconi contro Monti, Monti contro Bersani, Bersani contro Berlusconi, Berlusconi contro Giannino, Ingroia contro Bersani, Grillo contro tutti: «I politici? Facce di bronzo, facce di merda, facce da culo - li apostrofa un giorno sì e l'altro pure il guru di M5S - Parassiti, pidocchi, mignatte, zecche, virus...». Ma dietro le quinte della scena madre, e dunque sulle poltroncine degli studi tv, i comprimari se le menano di santa ragione, dando vita a scontri furibondi destinati a rimbalzare in eterno sulle pagine del web.

Tra i «castigamatti» di professione va ascritto di diritto l'economista Michele Boldrin, classe 1956, che ama definirsi un «liberista combattente». Il 15 febbraio a Piazza Pulita il candidato di Fermare il declino - già noto per aver litigato a tempo debito con Alessandro Sallusti, Renato Soru, Roberto Cota, don Gallo, Roberto Castelli, Stefano Fassina e moltissimi altri - si è fatto notare per un siparietto niente affatto sobrio con Loretta Napoleoni, solido punto di riferimento dei grillini. «Lei non è un'economista», l'ha derubricata Boldrin. E la signora, piuttosto offesa: «Lei è un cafone». Come racconta Il Foglio di sabato in un lungo ritratto firmato da Marianna Rizzini, il litigio è approdato il giorno dopo su Twitter. E lì Napoleoni ha invitato le potenziali elettrici di Fermare il declino a «riflettere sul maschilismo di personaggi come Boldrin», al quale tra l'altro addebita «tentativi di stupro intellettuale del branco di omiciattoli italioti».Parole forti, ma nemmeno troppo in una campagna che ha sdoganato tutti gli insulti possibili e immaginabili e liberalizzato le più acrobatiche metafore, intrise di giaguari, tacchini e altri animali.

Qualche giorno fa, dovendo ricorrere al termine «cazzata», Berlusconi si è incaricato di spiegare che il sostantivo non è più una parolaccia. E dunque ecco su Twitter l'imprenditore Flavio Briatore che cinguetta con un suo seguace a proposito di un tale «caghetta». E chi sarebbe, chiede al suo follower il già manager di Formula 1, Mario Catania? Sbagliato! Il simpatico epiteto, chiarisce l'amico di Briatore, era rivolto a Gianfranco Fini... Ma fa nulla, perché nella pagina «social» di Briatore ce n'è anche per il ministro dell'Agricoltura, candidato dell'Udc e colpevole di aver detto in quel di Saluzzo, terra natale dell'imprenditore piemontese, che l'Italia di Briatore non gli piace. Giudizio prontamente ricambiato via Twitter dal marito della Gregoraci: «Che figo questo ministro... Chiediamogli quanti posti di lavoro ha creato e con quale meritocrazia è andato al governo». Avanti così, in un crescendo rossiniano che rischia di allontanare ancor più gli italiani dalla politica. Quando Monti invita Bersani a «silenziare Fassina», Renato Brunetta difende l'avversario democratico e si scaglia contro il premier: «È impazzito? Ha perso la testa». E quando il Professore inciampa nella gaffe sulla «statura accademica» dell'onorevole pidiellino, Brunetta ricambia con «tecnocrate autoritario, disinformato e pasticcione». Ma il più elettrico, verbalmente parlando, è il Cavaliere. Oscar Giannino lo insidia in Lombardia e Berlusconi prova a stopparlo: «Qualcuno ha detto che sono un guitto senza testa. Lo ha detto uno che è pronto a entrare in un circo per come si veste e si chiama Giannino».

Duelli imprevisti e duelli mancati. Che fine hanno fatto la canoista democratica Josepha Idem e la schermidrice montiana Valentina Vezzali? Dovevano incrociare focosamente le lame e invece si sono limitate a punzecchiarsi, una in punta di fioretto, l'altra in punta di remo. A distanza di sicurezza si sono tenuti anche Piero Ichino e Maurizio Sacconi, per non dire di Giampaolo Galli e Alberto Bombassei: nessuno è riuscito a mettere l'uno contro l'altro l'ex direttore generale di Confindustria, candidato con Bersani e il patron della Brembo, schierato con Monti.

Paradossi di una campagna irripetibile. Si spera...

Monica Guerzoni

18 febbraio 2013 | 10:55© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/elezioni/notizie/18-febbraio-tutte-le-liti-della-campagna-elettorale_35d43138-7993-11e2-9a1e-b7381312d669.shtml
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« Risposta #25 inserito:: Marzo 18, 2013, 05:23:40 pm »

Il retroscena

Nel "governo Bersani" la carica di donne

In pista Tinagli, Mosca e Marzano

Accantonati i politici di professione


ROMA - «Ho buttato via due ministri!». Nella battuta con cui Bersani commenta l'elezione di Boldrini e Grasso c'è in nuce la lista che spera di consegnare al Quirinale, se e quando sarà. Dopo aver portato «una boccata d'aria fresca» in Parlamento, il segretario del Pd progetta la stessa rivoluzione per Palazzo Chigi. Un «governo di cambiamento» dove al posto di D'Alema, Veltroni, Fioroni, Bindi, Vendola o Visco siedano talenti che poco o nulla hanno a che fare con la politica di professione. «Gente nuova e di esperienza», è la formula magica che ronza nella testa di Bersani. I nomi? Lui non li fa, ma al Nazareno le voci si rincorrono. Il leader vuole «giovani sperimentati» e molte donne ed ecco che nel totoministre entrano Maria Chiara Carrozza, rettore del Sant'Anna di Pisa e la filosofa Michela Marzano, Paola Muti del Regina Elena e Irene Tinagli: l'onorevole economista montiana potrebbe tornare utile nella chiave della «corresponsabilità».

Se mai toccherà a lui il segretario si muoverà con il «metodo Boldrini» cercando figure autorevoli come Stefano Rodotà, figure che possano incrinare la rigida obbedienza dei grillini. Intelligenze esterne alla logica partitocratica: da Gianpaolo Galli a Salvatore Settis. Il socialista Riccardo Nencini ha in tasca una rosa di papabili: il campione delle nanotecnologie applicate alla medicina Mauro Ferrari per la Sanità e Alessandro Cecchi Paone per un futuribile ministero dei Diritti civili. E i «giovani turchi»? Matteo Orfini e Stefano Fassina, pur apprezzati da Bersani, pensano più alla segreteria che al governo. E Andrea Orlando, il cui nome riecheggiava per la Giustizia, è in corsa per guidare il gruppo alla Camera: sfida ardua, perché la sua area ha giocato duro nella partita delle presidenze. Si dice che Bersani abbia proposto a Franceschini e Finocchiaro di restare ai loro posti almeno per un po', ma tra i giovani bersaniani c'è chi propone di sparigliare lanciando due renziani: Richetti e Marcucci.

Per lo storico Gotor si parla dell'Istruzione, mentre il cammino verso Palazzo Chigi di Errani e Migliavacca è tutto in salita: con Bersani vittorioso sarebbero entrati al governo da sottosegretari alla presidenza del Consiglio, ma col nuovo schema anche «gli emiliani» rischiano di dover fare un passo indietro. Bersani è stato chiaro: «Io, Franceschini e Finocchiaro siamo di una generazione che è capace di non mettersi davanti al bene collettivo...». La novità è che ora il leader include anche se stesso nel novero dei «rottamandi» e apre all'ipotesi di gazebo in estate: «Spero che non si vada a votare a giugno. Quanto alle primarie, siamo talmente collaudati che non vedo problemi». Gli elettori potrebbero trovare sulla scheda due nomi, Matteo Renzi e Fabrizio Barca, che è in corsa anche per i ministeri economici. Ma se gli elettori del centrosinistra fossero chiamati a scegliere il candidato premier anche Laura Boldrini potrebbe essere un bel nome.

Per gli Interni si è vociferato di Emanuele Fiano e per il Lavoro di Guglielmo Epifani, ma chissà: forse anche l'ex leader della Cigl appartiene ormai ad un'altra era... E se pure Enrico Letta dovesse fare le spese del nuovo che avanza, il vicesegretario ha due discepoli che godono della stima di Bersani, Francesco Boccia e Alessia Mosca.

Monica Guerzoni

18 marzo 2013 | 11:03© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/politica/13_marzo_18/tinagli-mosca-donne-totoministri_f52d3414-8fa8-11e2-a149-c4a425fe1e94.shtml
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« Risposta #26 inserito:: Aprile 07, 2013, 06:20:08 pm »

L'intervista - Il capogruppo alla Camera: ma serve un esecutivo di cambiamento

«Cavaliere legittimato, non ha voti di serie B È giusto confrontarsi»

Speranza: importante il confronto sul Colle


ROMA - «Dire che il Pd non può scegliersi l'avversario politico è una cosa intelligente e giusta, io la condivido».
Non era scontato, presidente Roberto Speranza. Lei è il capogruppo dei deputati del Pd, quindi un bersaniano di ferro.
«Ho letto l'intervista di Franceschini non in contraddizione con la linea di questi mesi, anche sul piano della cultura politica».
Non è una rottura?
«Al contrario, la sua posizione sta dentro una riflessione che il gruppo dirigente ha avviato da settimane e assume un punto di vista con più coraggio. Immaginare che sia una parte a scegliere chi comanda nell'altra non è nel novero delle cose reali. La legittimazione di Berlusconi arriva dai voti, i nostri non sono di serie A e i loro di serie B».
Novità importante... Berlusconi non è più il demonio. Ci si può dialogare e magari fare anche un governo assieme?
«Il tema del dialogo è fuori discussione, Bersani stesso si è detto disponibile a incontrare l'ex premier. Il punto è l'esito, la formula politica. Alla domanda di cambiamento emersa dal voto bisogna rispondere con una traiettoria adeguata, non con una formula sbagliata, di arroccamento contro le forze antisistema».
Le fa paura Grillo, quando dice che se il Pd fa un governo con il Pdl la gente prende i bastoni?
«Non dobbiamo avere paura di confrontarci con gli altri. Ma non significa fare un governo con ministri del Pd e del Pdl, non è la scelta della direzione nazionale. La prospettiva non è una formula politicista come il governissimo, è quel governo di cambiamento di cui l'Italia ha bisogno».
Qual è la sua formula?
«Un governo che conti in primis sulla forza parlamentare del centrosinistra e che sia capace di interpretare la domanda di cambiamento, anche oltre i confini del nostro schieramento.
Quello che è chiaro è che l'alternativa non può essere o voto anticipato o alleanza stretta tra Pd e Pdl».
L'ex segretario parla di governo di transizione.
«Come faremo tecnicamente, anche sul piano parlamentare, lo si vedrà con il passare dei giorni. Per ora noi stiamo alle decisioni prese. Nessuno scambio inaccettabile, ci muoviamo dentro il mandato costituzionale cercando una modalità condivisa per eleggere il capo dello Stato».
Dopodiché c'è il governo...
«Il confronto sul Quirinale può creare condizioni migliori per farlo nascere. La nostra proposta sulle riforme istituzionali l'abbiamo avanzata a tutte le forze politiche, ma il tema del governo ha bisogno di uno sbocco sul terreno del cambiamento. Però il giudizio sugli anni di Berlusconi a Palazzo Chigi non cambia, sarebbe fuorviante».
Bersani resta isolato?
«È un'immagine sbagliata, il Pd ha dimostrato nei momenti decisivi di saper essere unito nell'interesse del Paese».
Sulle commissioni 30 deputati si sono smarcati dalla linea del Pd. Riuscirà a tenere il gruppo?
«Il Pd non è una caserma, si discute. Tutti i nostri parlamentari, non solo quelli che hanno firmato il documento, hanno fretta di impegnarsi. Ma nel pieno rispetto dell'ordinamento e in coordinamento col Senato».
Barca è pronto a guidare il Pd. E Bersani, è pronto a cedergli il posto?
«Bersani è il segretario. Oggi il tema per il Pd non è il congresso e non sono le primarie per la premiership. Il punto è il governo. Quando una personalità di valore come Barca decide di stare nel campo della politica se ne arricchisce la democrazia».
Se non farete le primarie Renzi farà la scissione.
«Le primarie si fanno quando si vota, non quando si fa un governo. Scissioni io non ne vedo».

Monica Guerzoni

7 aprile 2013 | 9:27© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_aprile_07/speranza-capogruppo-pd-berlusconi-confronto_6a1b9224-9f45-11e2-bce6-d212a8ef12b1.shtml
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« Risposta #27 inserito:: Aprile 20, 2013, 12:17:13 pm »

Sospetti anche su dalemiani e renziani. E una certezza: è stato «fuoco amico»

La carica di quei centouno franchi tiratori

Ex Ppi e Sel: non siamo noi, c'è la prova

Schede fotografate per evitare l'accusa di tradimento.

C'è chi accusa gli ex popolari, chi i «giovani turchi», chi i renziani


ROMA - Lo sguardo attonito di Miguel Gotor, consigliere del segretario: «È finita, è finita». Lo sfogo rabbioso del leader socialista Riccardo Nencini, appena fuori dall'Aula: «Per le faide interne stanno buttando a puttane tutto». E dentro, nell'emiciclo di Montecitorio, le facce di pietra dei democratici, che a decine resteranno immobili sui banchi per lunghissimi, angosciosi minuti, a contemplare l'abisso di veleni, rancori, vendette in cui l'intero Pd è precipitato. I bersaniani accusano i popolari, i popolari puntano a dito i dalemiani - che hanno accolto come «una ferita» la scelta di Prodi - Beppe Fioroni giura che i suoi hanno votato tutti l'ex premier, al quale lui sarà grato per sempre perché lo nominò ministro: «Io non dimentico». Finché a poco a poco, nel corridoio dei passi perduti, s'insinua tra i fedelissimi del segretario il sospetto che sia stato «quel bastardo» del sindaco di Firenze a rovesciare il tavolo: in combutta con D'Alema. «Qui la prima gallina che canta è quella che ha fatto l'uovo - attacca a caldo Paola De Micheli, la faccia allegra della segreteria - Non è stato Matteo Renzi il primo a dire che la candidatura di Prodi non c'è più?». No, il sindaco si arrabbia, dice che i «doppiogiochisti» non gli sono mai piaciuti e che non è stato lui a complottare contro Prodi... I toscani sono nel mirino e accusano gli emiliani, i 40 che già su Marini avevano strappato e che ora accusano i renziani di «paciugare» con D'Alema e Monti. «Noi emiliani Romano lo abbiamo scelto e votato» respinge i sospetti Maria Cecilia Guerra, senatrice e sottosegretario di Modena.

Cosa sia successo nel segreto dell'urna nessuno lo saprà mai, l'unica certezza è che si tratta di fuoco amico, fuoco incrociato. «Altro che franchi tiratori, cento voti sono tanti, non è ammissibile, non è comprensibile...», fa di conto Davide Zoggia, sotto choc. È un agguato, una congiura di palazzo... Anzi più agguati, più congiure insieme. Forse due diverse fazioni organizzate. «Non c'è un disegno unico, è una maionese impazzita» sintetizza la crisi il renziano Ermete Realacci. Parte la caccia ai colpevoli, scatta lo psicodramma collettivo. Chi è stato? Chi ha tradito? I primi a salire sul banco degli imputati sono gli amici di Franco Marini, altra vittima sacrificale di un Pd che scopre, in modo traumatico, di aver cambiato bruscamente pelle. Ma no, i Popolari, che sono una trentina, hanno le «prove documentali» e qualcuno, con riservatezza, mostra il cellulare con la foto della scheda, dove c'è scritto «PRODI». Gli ex dc invitano i cronisti a guardare altrove, a indagare nel campo dalemiano: «I numeri corrispondono, loro sì che sono più di cento». Troppo facile, anche i seguaci dell'ex premier, così come i giovani turchi, tirano fuori i palmari e ostentano la scheda, consapevoli del rischio che corrono perché fotografare il voto non si può. Fiutato il rischio del tutti-contro-tutti i parlamentari si sono attrezzati. «Sapevamo che ci avrebbero messo in mezzo», alza le mani un fioroniano.

Sandro Gozi, prodiano della primissima ora, non ha dubbi: «Dalemiani e popolari». Un grande elettore emiliano ha una tesi più sofisticata, sostiene che i conti tornano alla perfezione, che «Renzi ha cacciato Marini e imposto Prodi, poi lo ha impallinato per sfasciare il partito e farsi la sua lista elettorale sulle macerie del Pd». Vendola, il leader di Sel, esce a razzo dall'Aula e vuole si sappia, subito, che non sono suoi quei 50 voti finiti in regalo a Rodotà: «Siccome lo sappiamo come gira qui dentro abbiamo scritto tutti "R. Prodi"». Il fondatore dell'Ulivo e padre nobile del Pd bombardato dai suoi parlamentari, dagli stessi grandi elettori che al mattino, all'assemblea del Capranica, avevano alzato compatti la mano per dire «sì, io lo voto, io sono con Prodi». Ed è da quel gesto che bisogna partire. Dal momento in cui Pier Luigi Bersani, alle nove del mattino, propone ai suoi grandi elettori il nome del candidato ufficiale. Ovazione, con prodiani (e renziani) che scattano in piedi, come un sol uomo, e acclamano l'unità ritrovata. Ma ecco che Luigi Zanda, capogruppo al Senato, prende la parola e dice che forse, viste le «sensibilità diverse», servirebbe una consultazione sui nomi ancora in pista. E lo dice perché nella notte i «giovani turchi» avevano dato battaglia, chiedendo primarie tra Prodi e D'Alema. È lo stesso Zanda a concludere che, visto l'applauso energico su Romano, forse la consultazione non serve più... Forse si può votare senza formalismi, per alzata di mano. Nuovo applauso e centinaia di braccia che scattano verso l'alto, spazzando via ogni dubbio: «Il candidato è Prodi, approvazione unanime».

Dieci ore più tardi, alla Camera dei deputati, la maschera collettiva va in pezzi. La presidente Boldrini legge il verdetto di condanna: 395 voti. Centouno franchi tiratori. «È un tiro al piattello», geme Gianclaudio Bressa. «Una guerra per bande», respinge i sospetti il fioroniano Gero Grassi. Anche le giovani leve che Bersani ha portato in Parlamento con le primarie sono sotto accusa. I dirigenti, frastornati, raccontano dei «ragazzini che hanno votato Rodotà» spinti da «qualche decina di mail e sms», se la prendono con «i nostri giovanissimi, che sono come i grillini» e che «appena arrivati vogliono sfasciare tutto». Matteo Orfini mostra il messaggio di un militante: «Inciucioni e incapaci», c'è scritto. «Chi ha alzato la mano in assemblea e poi non ha votato Prodi mi fa schifo», dice ai giornalisti l'ex portavoce di D'Alema. Arriva un cronista di Sky e gli chiede di parlare in tv e lui, per una volta, declina. Ci metta la faccia, onorevole... E Orfini, con una risata amara: «Sempre io? E che palle!».

Monica Guerzoni

20 aprile 2013 | 7:42© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/elezioni-presidente-repubblica/notizie/20aprile-pd-franchi-tiratori_48276628-a979-11e2-8070-0e94b2f2d724.shtml
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« Risposta #28 inserito:: Aprile 21, 2013, 12:18:13 am »

TERREMOTO PARTITO DEMOCRATICO

La rivolta dei giovani del Pd «Non abbiamo sabotato Prodi»

Tredici firme contro la «caccia alle streghe» nel partito: «Pd dilaniato da vecchi rancori»

Alessandra Moretti e Marianna Madia guidano la rivolta. Lo scontro generazionale è iniziato. In vista del congresso che verrà i giovani del Pd firmano un documento per respingere l'accusa di aver sabotato Romano Prodi. Non sono stati loro, scrivono in questa lettera che il «Corriere» ha intercettato, a impallinare nel segreto dell'urna il fondatore dell'Ulivo e padre nobile del Pd. Sono stati eletti grazie alle primarie, è vero, il che li ha resi «più sensibili alle rimostranze del territorio». Ma non ci stanno a passare da capri espiatori. Respingono con forza la «caccia alle streghe» e dipingono un Pd «dilaniato da vecchi rancori». Rancori che le giovani leve sono determinate a scardinare. Il documento porta in calce 13 firme ma i promotori contano di raccoglierne un centinaio.

Monica Guerzoni

I commenti e alcune dichiarazioni, comparse stamani sulla stampa, che attribuiscono ai neo eletti in parlamento, scelti con il metodo delle primarie, il ruolo di franchi tiratori nell'elezione del Presidente Romano Prodi, non corrispondono in alcun modo alla realtà ed appaiono strumentali per tentare di trovare capri espiatori sui quali scaricare la responsabilità di questo gravissimo risultato ai danni del Paese. Non possiamo in alcun modo accettare questo attacco senza fondamento: 1) Perchè abbiamo convintamente sostenuto la candidatura a Presidente della Repubblica di Romano Prodi, di cui condividiamo i valori di riferimento quale padre fondatore dell'Ulivo e fervente difensore della Costituzione, nonchè quale figura politica di grande prestigio che continua a guardare e a parlare al futuro in qualità di economista, europeista e persona impegnata a livello internazionale in rappresentanza dell'Onu; 2) perchè proprio in quanto eletti con le primarie abbiamo l'abitudine di metterci sempre la faccia ed affrontare apertamente e direttamente le battaglie nelle sedi politiche e/o pubbliche opportune senza nasconderci dietro il comportamento politicamente vigliacco del voto segreto in urna; battaglia che abbiamo condotto a viso aperto e con grande tormento nella scelta di scheda bianca nel terzo scrutinio di voto per l'elezione a Presidente della Repubblica di Franco Marini. Non ci stiamo quindi al gioco post voto di caccia alle streghe di chi oggi sostiene che questo risultato disastroso sia da addebitare alla irresponsabilità di una nuova generazione di parlamentari, come lo stesso Roberto Speranza, al quale rinnoviamo la stima e la fiducia, ha oggi evidenziato. Il voto con le primarie ha probabilmente generato in noi una maggiore sensibilità alle rimostranze del territorio e alle sue aspettative politiche, sensibilità di cui andiamo particolarmente orgogliosi e a cui non intendiamo rinunciare in alcun modo. Questa capacità di «tenere l'orecchio a terra» non riduce in noi la consapevolezza e la capacità che il nostro ruolo di parlamentari della Repubblica richiede di saper coniugare il richiamo del territorio con l'esercizio delle responsabilità istituzionali di rilievo nazionale che siamo chiamati a svolgere in questa fase politica di particolare crisi della credibilità politica della classe dirigente. Purtroppo, questo è un partito dilaniato da vecchi rancori che proprio noi vogliamo scardinare. Rancori che si sono consumati ieri in aula e che hanno prodotto il triste e vergognoso risultato di ieri. Adesso siamo concentrati per mettere in sicurezza le istituzioni democratiche del Paese, votando Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica e iniziando a dare le risposte urgenti di cui il paese ha necessità. Un minuto dopo dobbiamo lavorare perché il Pd abbia una nuova vita.

Paolo Bolognesi, Umberto D'Ottavio, Marilena Fabbri, Francesco Laforgia, Marianna Madia, Alessia Morani, Alessandra Moretti, Irene Manzi, Chiara Scuvera, Roberto Rampi, Alessia Rotta

20 aprile 2013 | 19:25
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« Risposta #29 inserito:: Maggio 06, 2013, 11:38:25 am »

Ottimismo a Palazzo Chigi: la strada è tracciata

Il premier e Berlusconi: tra noi patto molto chiaro

Letta: non penso che Berlusconi possa fare gesti unilaterali, perché dovrebbe modificare il suo profilo?


ROMA - Il fondale è pieno di scogli e il comandante ha ben chiaro che alla sua nave, varata da una settimana appena, tocca «navigare a vista». Ogni miglio di mare nasconde nuove insidie. Eppure Enrico Letta, che oggi a Madrid incontrerà il premier spagnolo Mariano Rajoy, non sembra troppo preoccupato per la tenuta del suo governo. «Non penso che Berlusconi possa fare gesti unilaterali - è la riflessione che ha affidato ai collaboratori - Perché dovrebbe modificare il profilo responsabile e istituzionale che si è costruito?».

Gli aut aut dell'ex premier piovono su Palazzo Chigi con cadenza quasi quotidiana, ma Letta non sente di avere il fiato del Cavaliere sul collo. E, con buona dose di realismo politico, si prepara a sciogliere pazientemente un nodo al giorno. «La durata del governo è legata alle riforme che faremo», è il leitmotiv. Il patto tra Letta e Berlusconi si fonda su un rapporto che il premier ritiene «molto chiaro e franco», declinato su pochi punti fondamentali. Per Letta la riforma elettorale e costituzionale è un «passaggio essenziale». Ma in cima alla lista, per dare un segnale di speranza sulla fine della dinamica recessiva, c'è il congelamento dell'Imu: e qui il presidente del Consiglio è consapevole di non potersi permettere temporeggiamenti. «Stop alla rata di giugno, piano complessivo sulla casa e poi discussione con la maggioranza», è la sua tabella di marcia. Ormai, ragionano a Palazzo Chigi, il governo è incardinato. La road map è tracciata e l'importante è non perdere la bussola delle cose da fare. Evitando di buttare sul percorso, già piuttosto accidentato in partenza, «elementi di preoccupazione ulteriore». Comprensibile dunque che il dossier giustizia, per dire di uno dei più spinosi e meno condivisi, sia destinato a finire in coda all'agenda.

Venerdì scorso Berlusconi ha chiamato Letta, di ritorno dal tour che lo ha visto a Berlino, Parigi e Bruxelles e si è complimentato per l'«ottimo debutto in Europa». Da allora a oggi, nonostante le fibrillazioni politiche siano aumentate, nella sostanza i rapporti tra i due non sono mutati. I limiti di un governo nato dall'emergenza e costretto al compromesso sono chiari a entrambi, così come le reciproche regole di ingaggio. Ma se molti pensano che Berlusconi stia solo aspettando il momento giusto per staccare la spina al governo, la sua durata è invece un obiettivo comune. «Io sono assolutamente filogovernativo - è il ragionamento del Cavaliere -. Ho vinto su tutta la linea... Volevo Napolitano ed è stato rieletto, chiedevo le larghe intese e abbiamo la prima grande coalizione. Perché mai dovrei spegnere le luci di Palazzo Chigi?». L'elettorato del Pd soffre, dopo le dimissioni di Bersani i democratici sono un partito in cerca d'autore e il Pdl, che invece procede compatto, non ha che da approfittarne. «Se Letta dura e noi riusciamo a costruire un grande rassemblement dei moderati - è il piano di Berlusconi, convinto di avere in tasca la "golden share" del governo - il centrodestra governerà il Paese per i prossimi vent'anni».

Uno scenario da incubo per il Pd. L'ex ministro Beppe Fioroni, punto di riferimento dei cattolici democratici, ha fiutato l'aria prima di altri e avverte: «La durata del governo deve deciderla il Pd, non Berlusconi. Dobbiamo metterci la faccia e la forza. Se invece l'esecutivo resta una partita tra il Cavaliere e Letta, Berlusconi si divertirà a farci credere che può staccare la spina quando vuole». Il problema è che il Pd non ha un leader e non è affatto scontato che l'Assemblea nazionale di sabato riesca a rimettere il treno democratico sui giusti binari. «La mia preoccupazione è che il Pd non regga...», ha confidato ai suoi Berlusconi, che ha accolto di buon grado la punizione di Michaela Biancofiore per contenere i maldipancia degli avversari-alleati. «Dobbiamo essere calmi, responsabili e collaborativi», va ripetendo Angelino Alfano ai membri del governo. Più difficile tenere a bada i falchi del Pdl, soprattutto quelli rimasti fuori dalla spartizione delle poltrone. «Abbandoniamo ogni egoismo - placa gli animi Daniela Santanché -. Siamo avanti nei sondaggi, ma tornare al voto sarebbe una follia. Sulle macerie non si costruisce».

Berlusconi coltiva ancora la speranza di sedere a capotavola della Convenzione per le riforme, non però a costo di minare il campo. E così, se il Pd non allenterà il veto, potrebbe tirarsi fuori. La pacificazione lettiana è anche la sua mission . «La persecuzione nei miei confronti è finita», va ripetendo Berlusconi agli amici. E se pure dovesse arrivare una condanna sui diritti tv Mediaset, la subirà con animo più sereno, soddisfatto perché «il clima è cambiato e la furiosa contrapposizione di cui sono stato vittima non esiste più».

Monica Guerzoni

6 maggio 2013 | 8:07© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_maggio_06/guerzoni-premier-e-berlusconi-tra%20noi-patto-molto-chiaro_113eff8c-b611-11e2-9456-8f00d48981dc.shtml
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