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Autore Discussione: MONICA GUERZONI. -  (Letto 40415 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Settembre 19, 2015, 11:17:09 am »

L’INTERVISTA MARIA ELENA BOSCHI
«Avanti perché non abbiamo paura Grasso? Aspettiamo la sua scelta»
Le riforme costituzionali in Aula a Palazzo Madama.
La ministra per le Riforme non «è preoccupata per i numeri».
E aggiunge: «La doppia lettura conforme non si ridiscute»

Di Monica Guerzoni

«Io non sono per nulla in ansia, non sono preoccupata per i numeri».
Avete giocato d’azzardo, ministro Boschi. Ha vinto Renzi o il governo rischia?
«Oggi ha vinto l’Italia e non c’è nessun rischio. Se avessimo avuto paura avremmo cercato di fare melina, invece di chiedere una accelerazione sui tempi per andare direttamente in aula. Il gioco d’azzardo non ci piace, mantenere l’impegno con i cittadini sì».
Per le opposizioni fermare i lavori in commissione è una forzatura inaccettabile.
«Si era creata in commissione una fase di impasse. Calderoli, con i suoi 500 mila emendamenti, ha fatto spendere un sacco di soldi al Senato e poi, dieci minuti prima della capigruppo, li ha ritirati, tanto per dare il senso di quanto fossero importanti. E comunque ne restavano 3.150».
Perché tanta fretta di andare in aula senza un accordo?
«Abbiamo l’esigenza di rispettare la data del 15 ottobre, perché poi dobbiamo presentare la legge di Stabilità. L’Europa ci riconosce spazi finanziari di flessibilità se in cambio facciamo le riforme. La sola clausola delle riforme vale qualcosa come otto miliardi da spendere. E poi quale fretta? Sono 70 anni che stiamo aspettando la fine del bicameralismo paritario».
Siete corsi in aula perché il commissione la maggioranza non aveva i numeri?
«Ma certo che c’erano. Il piano andava spostato all’Aula perché il confronto politico era bloccato. Tutte le volte ci dite che non abbiamo i numeri, però alla fine le riforme passano sempre».
La vostra accelerazione fa diminuire o aumentare i dissidenti? Per Calderoli non avete i numeri.
«Il voto sul calendario vede uno scarto di oltre 70 senatori. Calderoli è un fantasista, ma la realtà è più forte di lui».
Se Grasso riterrà ammissibili gli emendamenti all’articolo 2 e la riforma ne uscirà stravolta, ritirerete il ddl o manderete tutti a casa?
«Vedremo cosa deciderà Grasso nella sua autonomia, la Finocchiaro ci ha già dato l’interpretazione secondo la quale non si può rimettere in discussione la doppia lettura conforme. Ma la riforma non sarà stravolta».
Vuole dire che la seconda carica dello Stato non potrà che seguire le orme della presidente della commissione?
«Voglio dire che se Camera e Senato hanno già votato un testo, nessuno può rimetterlo in discussione. È la tesi della Finocchiaro, dei costituzionalisti, delle consuetudini. È un principio che vale da sempre. Se lo superi vale per tutti gli altri articoli e vorrebbe dire riaprire tutto il provvedimento».
Per questo avete forzato, fino allo scontro istituzionale con il presidente del Senato?
«Ma quale scontro? Stiamo solo dicendo che in Aula si voti, dopo anni di immobilismo si fanno le cose e i risultati si vedono. Noi abbiamo chiesto e ottenuto che i senatori potessero esprimersi, cioè fare il loro dovere: votare. Nessuno, tantomeno il governo, ha messo in discussione che il presidente convochi la capigruppo. Come sempre la maggioranza l’ha chiesto e lui l’ha convocata».
Dopo una nota in cui rivendicava le sue prerogative.
«Il governo non le ha mai messe in discussione».
Il presidente ha fatto filtrare un certo fastidio per le pressioni del governo.
«Se il presidente del Senato ha qualcosa da dire lo dice. Non lo fa filtrare. Questa è la Costituzione, non una fiction».
Il cerino è nelle mani di Grasso. La vita del governo dipende dal presidente?
«Macché. La vita del governo dipende dal Parlamento, ogni giorno. Grasso in mano non ha nessun cerino, ma solo la Costituzione e il regolamento del Senato. Ha detto che ci farà sapere solo in Aula. Bene, adesso siamo in Aula, lo aspettiamo».
Se apre le danze sull’elettività sconfessando la Finocchiaro, lei dovrà dimettersi?
«La Finocchiaro dimettersi? Ma sta scherzando? Si fa fatica a trovare un senatore stimato quanto Anna. Per favore, sono normali dialettiche parlamentari, non è una sfida all’ultimo sangue».
La riforma è blindata?
«Si lavora per trovare un accordo. Senza chiusure. Andare in Aula non vuol dire che si interrompono confronti e incontri, ci sono tutti i margini. Anche se avessimo finito i lavori in commissione d’amore e d’accordo, Calderoli aveva annunciato sei milioni e mezzo di emendamenti per l’aula... Meglio affrontarlo subito».
È vero che, se la situazione precipita, avete pronto un nuovo ddl che abolisce il Senato con un solo articolo?
«No. Ma se si apre il principio della doppia conforme è chiaro che tutto può essere messo in discussione, compreso quello. Ma non vivo l’ansia, la drammatizzazione la fanno gli altri. Cerco di dare una mano per trovare l’intesa. Come sempre in passato, la maggioranza c’è, si è visto sul calendario. Mi piacerebbe che ci fosse anche il Pd tutto unito e spero in una soluzione che tenga tutti assieme, magari con un pezzo delle opposizioni».
Tutti i voti sono buoni, anche quelli di Verdini, Tosi e Berlusconi?
«Sì. Se chi le ha votate le rivotasse, la riforma avrebbe più valore. La nostra prima esigenza è rispettare i tempi. Vogliamo chiudere prima possibile per lasciare l’ultima parola ai cittadini con il referendum».
Perché non provate a portarla a casa con la vostra sinistra, invece che con i voti sparsi della destra?
«Come lei sa, la sinistra da sola in Senato non basta. Cercheremo di coinvolgere la minoranza pd, ma è molto importante coinvolgere soprattutto la maggioranza degli italiani. E a loro io dico che non molliamo perché, se non fossimo stati determinati su mercato del lavoro, pubblica amministrazione, scuola, oggi non avremmo tanti posti di lavoro in più, il Pil che cresce e i consumi che aumentano. L’Italia ha svoltato grazie alle riforme, non ci fermeremo adesso».
Eppure, Bersani capirebbe chi votasse no.
«È legittimo. Rispetto al testo iniziale del governo abbiamo apportato 134 modifiche, tutto si può dire tranne che non siamo stati disponibili. Noi ci siamo confrontati tanto anche dentro al Pd, lunedì in direzione affronteremo anche il tema delle riforme. Dall’inizio del mandato di Renzi abbiamo fatto 25 direzioni contro le 9 della segreteria Bersani. Però a un certo punto bisogna decidere, non può esserci sempre un rilancio».
I dissidenti la voteranno o il loro no sarà l’anticamera della scissione?
«Qualcuno la voterà, spero tutti. Ma sono certa che non ci sarà scissione».
Qualcuno pensa che l’elettività si possa introdurre nel comma 5. E lei?
«Questa soluzione risolverebbe il tema della doppia conforme. Perché no? Ma sono tecnicalità. Il problema non è il comma 5, ma cosa fa il Senato. Alla Camera abbiamo dovuto modificare in parte le funzioni del Senato perché chiesto da una parte della minoranza e lo abbiamo fatto perché rientrava nella mediazione. Ora la stessa parte del Pd ci chiede di cambiare le funzioni... L’importante è che si mettano d’accordo tra minoranza della Camera e minoranza del Senato. Questo ping pong non è serio per i cittadini, non possiamo tenerli inchiodati altri 18 mesi perché i parlamentari della minoranza non si fanno una telefonata».
Ministro, si è scritto che tra i suoi sogni ci sia anche quello di fare il premier...
«Faccio sogni molto più belli, mi creda. Il premier è Renzi. Sicuramente fino al 2018, io spero anche fino al 2023. Se vuole ne riparliamo allora, ma chissà dove saremo».

17 settembre 2015 (modifica il 17 settembre 2015 | 13:11)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/15_settembre_17/avanti-perche-non-abbiamo-paura-grasso-aspettiamo-sua-scelta-1d9f575c-5d19-11e5-aee5-7e436a53f873.shtml
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« Risposta #61 inserito:: Ottobre 28, 2015, 06:09:19 pm »

La controfinanziaria dei dissidenti Pd
La proposta dei delusi dalla legge di Stabilità. E gira un documento sulla «deriva del Pd». Dopo l’addio di D’Attorre si riparla di scissione, ma Speranza: non esco neanche con le cannonate

Di Monica Guerzoni

Prima di annunciare sul Corriere l’addio al Pd, Alfredo D’Attorre ha parlato con Bersani. E martedì, nell’auletta dei gruppi di Montecitorio, ha comunicato la sua sofferta decisione a Speranza, Cuperlo e agli altri colleghi della sinistra anti-renziana. Una riunione di corrente rimasta riservata, il cui umore prevalente è condensato nelle parole di Cecilia Guerra, già viceministro: «Maldipancia sulla legge di Stabilità ne abbiamo tutti, anche molto forti. Alcune scelte sono estranee al nostro credo di sinistra e faremo una battaglia senza sconti. Ma restando nel Pd». Lo strappo di un bersaniano di stretta osservanza come D’Attorre ha portato a galla il profondo malessere di tanti che, a sinistra, non si riconoscono nelle scelte di Renzi. L’idea della scissione di un’intera area torna a riaffacciarsi.

Per quanto Roberto Speranza assicuri che «non uscirà neanche con le cannonate». L’ex capogruppo a Renzi chiede «di non fare spallucce davanti alla sofferenza profonda che c’è nel nostro popolo» e rivela la fatica di spiegare sul territorio le ultime mosse da «Robin Hood al contrario», che ruba ai poveri per dare ai ricchi: «Togliere la tassa sulla casa ai miliardari è una enormità». E la scissione? «Non esiste. Dobbiamo batterci nel Pd». Tra i parlamentari che sondano il terreno fuori dal Pd e dialogano con Fassina, Civati e D’Attorre, gira un documento riservato sulla «deriva del Pd». Un testo che alcuni dissidenti interpretano quasi come un manifesto scissionista. Ma l’autore, l’onorevole Carlo Galli, non autorizza una lettura così estrema. Il professore di Storia delle dottrine politiche a Bologna lo ha inviato riservatamente ad alcuni parlamentari della sinistra dem per condividere alcune riflessioni sulla cultura di governo di Renzi, in rapporto con l’Europa a trazione tedesca. «Se voto la Stabilità? Vediamo cosa si porta a casa con gli emendamenti, perché così è molto brutta — risponde Galli —. Non è di sinistra e ci sono punti inaccettabili. Togliere la tassa sulla casa ai proprietari di castelli è una provocazione».

L’analisi di D’Attorre è largamente condivisa dai parlamentari che fanno capo a Speranza e Cuperlo, circa ottanta. Per loro «la Stabilità è di destra» e in diversi sono tentati di non votarla. «Uscire? Io sono già fuori» rivendica Corradino Mineo e ricorda di non aver mai preso la tessera: «La Stabilità è imbevibile». Ma la consapevolezza che Renzi non avrebbe più i numeri al Senato e la paura di dover poi uscire dal Pd senza un approdo, convinceranno i più a turarsi il naso. Certo, se l’alleanza con Verdini diventerà strutturale, la spaccatura sarà insanabile. Ma per ora la scelta è restare «con tutti e tre i piedi», come dice Bersani. La minoranza presenterà una proposta organica, quasi una controfinanziaria condivisa da «tutti coloro che non si sono consegnati a Renzi» (copyright Speranza). Cuperlo teme che il Pd diventi «un serpentone di centro». La Guerra lavora agli emendamenti: «Il problema è la filosofia, non puoi tagliare le tasse senza preoccuparti degli effetti di equità». Non c’è nulla contro l’evasione ed elevare il tetto per l’uso del contante avrà effetti sull’economia criminale: «Sembra la cura del cavallo di Berlusconi e Tremonti nel 2001. Che non funzionò». Anche Barbara Pollastrini chiede al leader di ascoltare «il campanello di allarme». Davide Zoggia, che pure si è sempre mosso in sintonia con D’Attorre, non lo seguirà: «È un amico, ma fuori non c’è uno spazio politico utile». Stefano Fassina abbraccia l’ultimo fuoriuscito: «Capisco l’amarezza sua e di tanti altri».

18 ottobre 2015 (modifica il 18 ottobre 2015 | 07:15)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/15_ottobre_17/controfinanziaria-dissidenti-pd-451c1c3e-751a-11e5-a7e5-eb91e72d7db2.shtml
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« Risposta #62 inserito:: Novembre 04, 2015, 06:08:48 pm »

Renzi e le Regioni: i governatori guadagnano più di me
Il premier prima attacca. Poi annuncia un decreto sui conti delle Regioni.
D’Attorre, Galli e Folino lasciano il Partito democratico

di Monica Guerzoni

ROMA Stanco di incassare critiche alla «sua» legge di Stabilità Matteo Renzi è passato al contrattacco e, leggendo un lungo testo scritto all’assemblea dei gruppi del Pd, ha difeso i 25 pilastri della manovra: «È la botta definitiva per rilanciare l’Italia». Poi l’attacco ai governatori, che «guadagnano tutti più del presidente del Consiglio». E sulle tasse: «Se volete un premier che le alzi, cambiate premier. Io penso che le tasse debbano andare giù: è la caratteristica di questo governo».
Il premier vedrà i presidenti alle 18 e andrà giù duro sulla gestione delle Regioni, perché le Asl sono troppe e serve più trasparenza, perché «non c’è alcun costo standard applicato» e ci sono troppi sprechi, «troppi dislivelli nelle spese sanitarie». Lo Stato, rimprovera il premier minacciando di ricorrere anche lui alla demagogia, «non è la controparte delle Regioni». Dopo l’attacco, la svolta: tra una settimana il governo farà un decreto per salvare i bilanci regionali dopo l’intervento della Corte dei conti. Una mossa con cui il premier conta di disarmare Chiamparino, che nelle casse del Piemonte ha un «buco» di sei miliardi.

Argomenti che non hanno convinto l’ala sinistra, tanto che oggi altri tre deputati lasceranno il gruppo per seguire le orme di Stefano Fassina. L’ex viceministro lavora a nuovi gruppi parlamentari con Sel e i fuoriusciti del Pd e sabato, dal palco del Teatro Quirino, rilancerà «Futuro a sinistra». È l’embrione di un nuovo partito, che potrebbe candidare Fassina a Roma. Scenario che Renzi mostra di non temere, convinto com’è che la «cosa rossa» sarà una «sinistra di testimonianza», incapace di governare. «Chi va a raggiungere Landini, Camusso, Vendola, Fassina faccia pure - ha confidato a Vespa -. Io non seguo la logica del vecchio Pci, mai nemici a sinistra». Sarà scissione? «Non è in corso nessuno smottamento». Su quel fianco Renzi vede «un delirio onirico», un mix di «ideologismo e velleitarismo». Ma intanto i nemici, a sinistra, cominciano a essere parecchi. Dopo Mineo, oggi usciranno Alfredo D’Attorre, Vincenzo Folino e Carlo Galli.

Alle 21 Renzi parte in quarta. Il bersaglio grosso è il M5S. Imola? «Un flop». E l’Italicum? «Sono patetici». A metà discorso fa a pezzi la sinistra europea ed è un modo per dire che «non c’è spazio a sinistra del Pd», perché «le elezioni si vincono nelle periferie, non nei salotti». Le opposizioni «sono tristi», mentre il Pd è «il partito dell’allegria» e il suo leader nutre «cinque elementi di grande ottimismo». Le riforme, il Pil che cresce, il Jobs act che funziona, Expo «Caporetto dei gufi» e la fiducia ritrovata: «Siamo un presidio di stabilità, il Nord Est va meglio della Germania». E la spending ? «Sono i tagli...». Apre a qualche aggiustamento «di dettaglio» e rivendica il taglio delle tasse: «Se volete un premier che le alza, cercatene un altro».

Basta gufi è il leitmotiv di Renzi, che sfida i dissidenti: «La stabilità è di sinistra e non è in deficit». Alla minoranza, che ha pronti dieci emendamenti, concede solo la disponibilità a ragionare sulle proposte antievasione del Nens. Ma il tetto del contante resta a 3 mila euro (non c’è nesso con l’evasione). La sua legge, insomma, è una «scommessa sulla fiducia» e Renzi ne difende con puntiglio le 25 scelte chiave. E i soldi per il Sud? «Non dite che non ci sono».

4 novembre 2015 (modifica il 4 novembre 2015 | 10:59)
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« Risposta #63 inserito:: Novembre 04, 2015, 06:26:59 pm »

Renzi e le Regioni: i governatori guadagnano più di me
Il premier prima attacca. Poi annuncia un decreto sui conti delle Regioni.
D’Attorre, Galli e Folino lasciano il Partito democratico

Di Monica Guerzoni

ROMA Stanco di incassare critiche alla «sua» legge di Stabilità Matteo Renzi è passato al contrattacco e, leggendo un lungo testo scritto all’assemblea dei gruppi del Pd, ha difeso i 25 pilastri della manovra: «È la botta definitiva per rilanciare l’Italia». Poi l’attacco ai governatori, che «guadagnano tutti più del presidente del Consiglio». E sulle tasse: «Se volete un premier che le alzi, cambiate premier. Io penso che le tasse debbano andare giù: è la caratteristica di questo governo».

Il premier vedrà i presidenti alle 18 e andrà giù duro sulla gestione delle Regioni, perché le Asl sono troppe e serve più trasparenza, perché «non c’è alcun costo standard applicato» e ci sono troppi sprechi, «troppi dislivelli nelle spese sanitarie». Lo Stato, rimprovera il premier minacciando di ricorrere anche lui alla demagogia, «non è la controparte delle Regioni». Dopo l’attacco, la svolta: tra una settimana il governo farà un decreto per salvare i bilanci regionali dopo l’intervento della Corte dei conti. Una mossa con cui il premier conta di disarmare Chiamparino, che nelle casse del Piemonte ha un «buco» di sei miliardi.

Argomenti che non hanno convinto l’ala sinistra, tanto che oggi altri tre deputati lasceranno il gruppo per seguire le orme di Stefano Fassina. L’ex viceministro lavora a nuovi gruppi parlamentari con Sel e i fuoriusciti del Pd e sabato, dal palco del Teatro Quirino, rilancerà «Futuro a sinistra». È l’embrione di un nuovo partito, che potrebbe candidare Fassina a Roma. Scenario che Renzi mostra di non temere, convinto com’è che la «cosa rossa» sarà una «sinistra di testimonianza», incapace di governare. «Chi va a raggiungere Landini, Camusso, Vendola, Fassina faccia pure - ha confidato a Vespa -. Io non seguo la logica del vecchio Pci, mai nemici a sinistra». Sarà scissione? «Non è in corso nessuno smottamento». Su quel fianco Renzi vede «un delirio onirico», un mix di «ideologismo e velleitarismo». Ma intanto i nemici, a sinistra, cominciano a essere parecchi. Dopo Mineo, oggi usciranno Alfredo D’Attorre, Vincenzo Folino e Carlo Galli.

Alle 21 Renzi parte in quarta. Il bersaglio grosso è il M5S. Imola? «Un flop». E l’Italicum? «Sono patetici». A metà discorso fa a pezzi la sinistra europea ed è un modo per dire che «non c’è spazio a sinistra del Pd», perché «le elezioni si vincono nelle periferie, non nei salotti». Le opposizioni «sono tristi», mentre il Pd è «il partito dell’allegria» e il suo leader nutre «cinque elementi di grande ottimismo». Le riforme, il Pil che cresce, il Jobs act che funziona, Expo «Caporetto dei gufi» e la fiducia ritrovata: «Siamo un presidio di stabilità, il Nord Est va meglio della Germania». E la spending? «Sono i tagli...». Apre a qualche aggiustamento «di dettaglio» e rivendica il taglio delle tasse: «Se volete un premier che le alza, cercatene un altro».

Basta gufi è il leitmotiv di Renzi, che sfida i dissidenti: «La stabilità è di sinistra e non è in deficit». Alla minoranza, che ha pronti dieci emendamenti, concede solo la disponibilità a ragionare sulle proposte antievasione del Nens. Ma il tetto del contante resta a 3 mila euro (non c’è nesso con l’evasione). La sua legge, insomma, è una «scommessa sulla fiducia» e Renzi ne difende con puntiglio le 25 scelte chiave. E i soldi per il Sud? «Non dite che non ci sono».

4 novembre 2015 (modifica il 4 novembre 2015 | 10:59)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_novembre_04/renzi-regioni-governatori-guadagnano-piu-me-manovra-stabilita-ac928ee2-82d1-11e5-a218-19a04df8a451.shtml
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« Risposta #64 inserito:: Dicembre 13, 2015, 06:32:11 pm »

Il Commento - LA KERMESSE FIORENTINA NEI GIORNI DELLE POLEMICHE SULLE BANCHE
La Leopolda dei «wow»
Boschi ai margini, Renzi fa lo show.
Punta sulla strategia del tutto-va-bene.
Attacca la minoranza dem e rinsalda l’asse con Ncd, viste anche le apparizioni in sala

Di Monica Guerzoni, inviata a Firenze

I sorrisi sulle labbra contro le facce depresse dei gufi. L’ottimismo contro il disfattismo. Più “wow” e meno “mah”. Matteo Renzi risponde agli attacchi sul salvataggio delle banche con la strategia del tutto-va-bene. Non un modo per negare il “tantissimo” che resta da fare per portare l’Italia nel futuro, quanto una studiata iniezione di fiducia in grado, Renzi ne è convinto, di rimettere in moto la crescita. Con uno “show” pieno di sparate a effetto il leader del Pd salva una Leopolda sfregiata dalle proteste dei risparmiatori e dalla bordata di Saviano contro la padrona di casa, Maria Elena Boschi. Alla sua prima, durissima prova di resistenza, la numero due del governo si tiene ai margini della kermesse e Renzi, pur senza citarla, rompe l’assedio. Si scaglia contro chi strumentalizza la vita (e la morte) delle persone, dichiara che riscriverebbe tale e quale il decreto salva banche e assicura che il governo non ha scheletri nell’armadio.

Un governo che mai ha fatto favoritismi nei confronti di qualcuno: nessuna «leggina», insomma, per il padre della Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria. E ce n’è anche per la minoranza del Pd, che lo ha contestato per non aver sventolato i vessilli del partito e alla quale Renzi risponde che lui le bandiere “dem” le tiene stampate nel cuore. Sarà stata anche sottotono, questa sesta kermesse del turbo-renzismo, però ha lanciato la corsa verso la seconda parte della legislatura, che vedrà “due Leopolde elettorali”. Quella del 2016 per il referendum e quella del 2017 per le elezioni politiche dell’anno successivo. E qui, viste anche le apparizioni in sala di deputati di Ncd, la minoranza non sembra affatto tranquillizzata dalle smentite di Renzi. Anzi comincia a temere che la Leopolda sia ben più di una riunione di corrente. Un altro partito, il partito della nazione.

13 dicembre 2015 (modifica il 13 dicembre 2015 | 17:51)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_dicembre_13/leopolda-wow-717901f6-a1b7-11e5-80b6-fe40410507f1.shtml
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« Risposta #65 inserito:: Dicembre 26, 2015, 11:34:06 pm »

Sul padre «Il mio babbo ha 67 anni, cosa potevo dirgli quando accettò l’incarico in Banca Etruria?»
Boschi affronta la prova dell’Aula: non siamo i Berlusconi d’Arezzo
Oggi il voto sulla sfiducia: sì di Cinquestelle, Lega e, a sorpresa, Sinistra italiana. Ma non andrà al Senato

Di Monica Guerzoni

«Ci dipingono come i Berlusconi di Arezzo, invece siamo una famiglia semplice che ha origini contadine». Ecco l’immagine che Maria Elena Boschi proverà a cancellare oggi, quando parlerà in Aula per spazzar via la nuvola di sospetti che ha gettato un’ombra sul governo. Costretta a metterci la faccia, la ministra delle Riforme passa al contrattacco: «Preoccupata? Macché, io sono tranquillissima».

La mozione di sfiducia individuale presentata dal M5S l’ha umiliata nel momento di massimo consenso, come conferma il calo nei sondaggi. Eppure la numero due dell’esecutivo si sente forte dei numeri e giura di non temere brutte sorprese. Dalla sua parte il Pd compatto e una maggioranza che Ettore Rosato definisce «più larga del governo». Contro di lei Cinquestelle, leghisti e Sinistra italiana, che ha scelto la linea dura: «Sfiducia». Fuori dai giochi resterà Forza Italia, costretta a non partecipare al voto per nascondere l’abisso tra la linea colpevolista di Brunetta e quella innocentista di Romani.

Con l’hashtag #BoschiACasa, Grillo sprona il Parlamento a prendere atto che «la fiducia degli italiani non c’è più». Ma lei, 34 anni e un largo fronte di rapporti politici trasversali, continua a dirsi «serena, determinata a uscirne a testa alta». Nei venti minuti che le spettano per la replica, cercherà con forza di scrollarsi dalle spalle «l’abnorme conflitto di interessi» denunciato da Saviano. Se la mozione sarà respinta con ampio margine, Renzi dichiarerà chiuso il caso e proverà a voltare pagina. Salvo sviluppi giudiziari...

Il bis al Senato non ci sarà. Boschi ha fatto verificare da tecnici che «mai una sfiducia individuale è stata votata sia al Senato che alla Camera, è la prassi». Dunque la richiesta di dimissioni sarà discussa solo a Montecitorio. «E tanto peggio per il M5S, se ha sbagliato a presentarla» chiosano nel suo entourage, celando la tensione per il prevedibile show di leghisti e grillini.

L’avvocatessa ha trascorso una «giornata normale» tra ritocchi alla Stabilità e un convegno sulle riforme. Poi si è chiusa a limare il suo intervento, dosando attacco e difesa e scardinando l’impianto della mozione con cui Grillo la impegna a «rassegnare immediatamente le dimissioni». Per lei la richiesta è «campata in aria e del tutto strumentale», costruita con il solo intento di indebolire il governo: «Sono totalmente estranea alle vicende di Banca Etruria, non c’è stato da parte mia alcun interesse personale». Quando il Cdm approvò il decreto legge che ha trasformato le banche popolari in società per azioni lei non era presente, ribadirà oggi, assicurando che non c’è alcun nesso tra il suo ruolo al governo, la speculazione finanziaria e l’incarico del padre in banca Etruria: «Nessun favoritismo, nel modo più assoluto. E poi Pier Luigi Boschi è stato vicepresidente solo per otto mesi...». Oltre a difendere il decreto «salvabanche», ribadirà che le sue 1.500 azioni della banca aretina, per un migliaio di euro, «sono state azzerate, come per tutti».

Agli amici Maria Elena ha confidato di sentirsi «ferita» per l’«assedio» ai genitori: «C’è un accanimento incredibile contro di noi». E chissà se è vero che, quando il «babbo» fu chiamato a Banca Etruria, lei non era convinta, ma non lo frenò: «Ha 67 anni, cosa potevo dirgli? Ora mi fa soffrire che sia lui a scusarsi con me... Non deve rimproverarsi nulla, ha fatto solo il suo dovere».

18 dicembre 2015 (modifica il 18 dicembre 2015 | 09:36)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/15_dicembre_18/boschi-affronta-prova-dell-aula-non-siamo-berlusconi-d-arezzo-a0d88a5e-a54d-11e5-a238-fd021b6faac8.shtml
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« Risposta #66 inserito:: Gennaio 03, 2016, 06:14:16 pm »

Bersani: «Referendum? Un errore  Renzi pensi al voto nei Comuni»
L’ex segretario del Pd: «Su Banca Etruria andare fino in fondo».
«Di Maio avanza? I grillini non sono i barbari» «L’Italicum va cambiato»

di Monica Guerzoni
 
«Il referendum non è un appuntamento dirimente per il futuro dell’Italia».
Renzi ha puntato su quel tavolo tutte le sue carte, onorevole Pier Luigi Bersani.
 «Fatico a pensare che gli italiani percepiscano la riforma del Senato come l’appuntamento epocale. È un passo in avanti, per quanto contraddittorio, ma è sbagliato appendere tutto lì. Cercherei di mettermi in sintonia con quel che pensano mediamente i cittadini, che hanno altre preoccupazioni e sensibilità».
 
 Il premier ha rivendicato il suo 2015, alla faccia dei gufi.
 «Nel merito non ci sono novità. Il 2016 confermerà il concetto che la crisi è finita, ma temo confermerà anche che la ripresa rimane incerta e bloccata. Quanto ai gufi, sono un po’ stanco di rispondere a queste volgarità. Io pongo dei problemi che riguardano la democrazia nel medio periodo in Italia e in Europa e non so a quale volatile corrispondano le mie preoccupazioni».
 
 Cosa la preoccupa?
 «Sono rimasto stupito nel vedere come, nel commentare la Spagna, sia arrivato un inno all’Italicum anche da editoriali autorevoli di casa nostra. È una questione seria, che merita riflessioni di fondo».

 Con l’Italicum rischiate?
 «Dal Mediterraneo alla Scandinavia non c’è più un solo Paese nel quale il sistema politico cammini su due gambe. È un fenomeno strutturale, al quale non si risponde trasformando la governabilità in una camicia di forza della rappresentanza. Solo in Italia si allude a una soluzione del genere. Siamo gli unici ad avere nel DNA il vincitore obbligatorio, che era la Dc perché avevamo il muro di Berlino in casa. Ma adesso che non c’è il muro, agli elettori non puoi dire che l’alternativa è un salto nel buio».



Al ballottaggio gli italiani sceglieranno i 5 Stelle?
 «Inviterei a non confondere il ballottaggio con la proposta storica del Pd di doppio turno di collegio, che prevede uno spazio di composizione politica. Questi fenomeni nuovi ci inducono a ragionare e a modificare l’impianto. Anche Paolo Mieli sul Corriere invitava a considerare come in Francia ci sia il rischio che il partito più grande rimanga fuori da ogni responsabilità e non credo che da noi possiamo desiderare prospettive del genere. Io sono perché si cambi l’Italicum».

Il premier sulle riforme ha deciso di giocarsi il futuro.
 «Qui non parliamo del futuro di Renzi, ma del futuro dell’Italia e dell’Europa».

 Di Maio sorpassa Renzi ...
 «Io non ho mai pensato che il M5S fosse transitorio e rido quando mi dicono che nel 2013 sbagliai un rigore a porta vuota. I sondaggi riconoscono gli sforzi del M5S di uscire da una vocazione protestataria e a loro dico: “Cari 5 stelle scegliete di essere partito, cioè una parte, una verità parziale. Nella pretesa di essere un movimento che ha tutte le verità in tasca c’è un piccolo germe autoritario da estirpare”».

 Perché si preoccupa della strategia degli avversari?
 «È importante per la democrazia. Non possiamo pensare che debba esserci un vincitore obbligatorio, perché fuori ci sono i barbari. Non funziona. È un riflesso mentale del tempo dei blocchi, Dc e Pci».

 Nel 2018 il leader del Pd vincerà al primo turno?
 «Da qui al 2018 ne possono cambiare di cose... Non si può far girare tutto attorno al vincere o perdere. C’è l’Italia che ha problemi e ci sono tre parole chiave da pronunciare: produttività, investimenti e riduzione della forbice sociale, senza cui non c’è crescita. Parlo di fisco e sanità, su cui ho preoccupazioni non piccole».

 Lei come vede le Amministrative? Per Renzi si eleggono i sindaci, non il premier.
 «Ridurre il significato di queste elezioni non è il modo migliore per motivare i nostri. Se non contano niente ci riposiamo tutti, io invece penso sia un appuntamento importante. Negli ultimi anni abbiamo vinto nei comuni perché il Pd si è messo con umiltà a organizzare il campo di un centrosinistra civico ampio».

 Siete in tempo? A Roma e a Napoli non avete i candidati.
 «Una politica così non la improvvisi all’ultimo. Chi dirige, diriga. Dica cosa pensa di fare per vincere e noi siamo tutti pronti a combattere».

 Fa bene il premier a sfidare l’Europa?
 «Non è sbagliato alzare la voce con la Germania, ma se vogliamo farci capire dai tedeschi dobbiamo spiegare come recuperare produttività, ridurre il debito e gestire le sofferenze e gli incagli delle nostre banche. Questo è il terreno su cui combattere e su cui chiedere con forza politiche che non ci penalizzino. Se ai tedeschi parliamo solo di Italicum e Senato avremo qualche zero virgola, ma non otterremo una sponda vera dall’Europa».

 Come vede gli sviluppi dell’inchiesta su Banca Etruria?
 «Si leggono cose impressionanti e tocca alla magistratura andare fino in fondo. Governo e Parlamento, invece di fare la commissione d’inchiesta, facciano l’indagine, per avere informazioni che aiutino a produrre norme urgenti. E qualche idea ce l’avrei. Se allora non avessi messo il dito nel mercato, ora non avremmo la trasferibilità dei mutui».

 Non vedremo Errani o altri bersaniani al governo?
 «Sono stupito di queste illazioni. Speranza e Cuperlo hanno posto temi che riguardano l’asse del Pd e si aspettano risposte politiche, non certo posti alla tavola di Natale».

31 dicembre 2015 (modifica il 31 dicembre 2015 | 11:32)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_dicembre_31/intervista-bersani-renzi-errore-referendum-voto-comuni-0f3c30c2-afa8-11e5-98da-4d17ea8642a3.shtml
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« Risposta #67 inserito:: Maggio 13, 2016, 06:12:39 pm »

L’incontro a Bologna

Bersani diserta la direzione pd e va da Letta e Prodi.
La battuta: noi reduci
Bersani non partecipa alla direzione del Pd a Roma e arriva a sorpresa all’incontro su Beniamino Andreatta a cui partecipano i due ex presidenti del Consiglio

Di Monica Guerzoni, inviata a Bologna

Pier Luigi Bersani, che ha disertato la direzione pd, arriva a sorpresa e l’abbraccio con Enrico Letta strappa l’applauso ai duecento stipati nella sala Stabat Mater dell’Archiginnasio. Qualche metro più in là Romano Prodi osserva la scena, quindi si apre un varco tra la folla ulivista per abbracciare l’ex segretario: «Volevo venire anch’io tra i reduci...». Nelle stesse ore in cui a Roma la minoranza del Pd si scaglia contro il «bullismo anagrafico» di Boschi, a Bologna i «reduci» dell’Ulivo si incontrano per celebrare «l’incredibile attualità» di Beniamino Andreatta, padre del defunto centrosinistra.

Il controcanto a Renzi
Nelle sue parole gli ex «giovanotti di una sinistra di governo», per dirla con Bersani, cercano una bussola per il presente. E per quanto nessuno lo citi per nome, è impossibile non cogliere nei ragionamenti dei predecessori il controcanto critico a Matteo Renzi. Comincia Letta, rivolto ai giovani della sua Scuola di politiche intitolata ad Andreatta: «La politica è il noi, non è l’io. Non è questa ipertrofia dell’ego». E poi, a Prodi: «Non siamo nostalgici, ma Romano ha insegnato a tutti noi l’idea del grande progetto collettivo, pacificatore, mobilitante, unificante e non del grande progetto personale».

Il referendum
Da Roma arriva la notizia che Renzi ha chiesto una moratoria sulle polemiche, ma Letta guarda con preoccupazione alla mobilitazione casa per casa alla quale il premier ha chiamato il popolo del Pd: «Ritengo sbagliato fare di questo referendum una specie di armageddon. È una cosa che farà del male alla riforma». Voterà sì, ma l’Italicum va cambiato perché «non va bene e questo è un problema». E se il leader del Pd ha deciso di anticipare il congresso, Letta non ha ancora deciso il timing del suo ritorno in campo: «Per ora ritorno a casa, a Parigi...».

La lezione di Andreatta
In prima fila, con Pier Ferdinando Casini e Vasco Errani, c’è il sindaco Virginio Merola, teorico di un nuovo Ulivo. C’è l’onorevole Marco Meloni che dirige la scuola lettiana, c’è l’ex deputato prodiano Andrea Papini e c’è la signora che interroga speranzosa Bersani: «Quando mandiamo a casa Renzi?». E lui, ridendo e mostrando l’orologio al polso: «Aspetta, ora che abbiamo un momentino...». Nostalgia e disincanto. La lezione di Prodi su Andreatta è una lunga serie di moniti a chi ci governa, in Italia e in Europa. «L’ossessione del pensiero breve, che sta minando le democrazie di tutti i Paesi, è una vera tragedia e non solo da noi» avverte il professore, spronando i leader a ritrovare «il senso della storia» invece di rincorrere il consenso a ogni elezione: «Sul welfare stiamo arretrando e facciamo finta di non accorgercene». Sulla riforma costituzionale, Prodi non parlerà prima della fine dell’estate: «Dirò la mia quando sarà il momento». Bersani si è già espresso a favore, ma l’idea di un referendum pro o contro Renzi non gli va giù: «L’ho già detto, non può essere un sì cosmico contro un no cosmico». Alle amministrative il Pd rischia? «Io darò una mano. La vedo bene laddove ancora si respira un’aria di centrosinistra, dove invece si è rotto questo meccanismo la vedo più complicata». Finisce con Merola che promette una piazza per Andreatta e Prodi, felice, che ci scherza su: «Per me basta una rotonda».

10 maggio 2016 (modifica il 10 maggio 2016 | 09:42)
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Da - http://www.corriere.it/politica/16_maggio_10/bersani-diserta-direzione-pd-va-letta-prodi-battuta-noi-reduci-renzi-ex-premier-be904cda-1677-11e6-a3a2-ca09c5452a5d.shtml
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« Risposta #68 inserito:: Luglio 12, 2016, 11:42:44 am »

L’italicum
Rosato: solo dopo il referendum si potrà parlare di legge elettorale
Il capogruppo del Pd alla Camera: tra i deputati dem vedo troppe ipotesi. Anche il sondaggio del Corriere dimostra che bisogna trovare una maggioranza sufficiente

Di Monica Guerzoni

Renzi con l’Italicum rischia di diventare «il Fassino d’Italia», ha detto al «Corriere» Carlo De Benedetti. State studiando le contromisure, presidente Ettore Rosato?
«Legare gli effetti dell’Italicum a un turno di Amministrative sarebbe un errore. Il che non vuol dire non riflettere con attenzione, anche sulle cose che dice De Benedetti».

Se non cambiate l’Italicum, la tessera «numero 1» del Pd voterà no al referendum.
«Il giudizio sulla riforma costituzionale non può essere condizionato da altri. L’attuale testo della Costituzione è sopravvissuto a tante leggi elettorali diverse, alcune buone come il Mattarellum e alcune pessime, come il Porcellum. La riforma che approviamo è asettica rispetto alla legge elettorale. E quindi non adombrerei il dibattito su questo contenuto molto importante con la discussione, pur legittima, sulla legge elettorale».

Non temete che al ballottaggio vinca il M5S?
«Di solito perde chi ha meno voti, non chi ha la legge elettorale meno conveniente. Io sono ancora dell’idea che l’Italicum garantisca governabilità e rappresentanza. È il frutto di una difficile mediazione, che ha ridato all’Italia una legge elettorale dopo una lunghissima incapacità del Parlamento di farne una diversa dal Porcellum».

Rimettendosi al Parlamento, Renzi si lascia aperte tutte le strade?
«Fa quello deve fare un premier e un leader. Tiene aperte le porte alle cose che si possono fare, con realismo e con senso di responsabilità».

Stando al sondaggio del «Corriere», dal gruppo da lei presieduto arriva una spinta forte a cambiare l’Italicum...
«Come si vede anche da quei dati lì, non basta volerlo cambiare, bisogna trovare una maggioranza sufficiente per modificarlo e che veda tutti nella stessa direzione».

Franceschini è stato il primo a chiedere di modificare l’Italicum, la preoccupa che una parte del gruppo risponda al ministro della Cultura?
«Il primo è stato Bersani. Franceschini ha raccolto una sensibilità esistente, rimandando peraltro a dopo il referendum».

Non è che lei, presidente, ha perso il controllo del gruppo parlamentare?
«Assolutamente no. Ma poi io rivendico la nostra anormalità. Tra di noi c’è una discussione, dalle altre parti c’è invece l’espulsione».

Aspettate la Consulta o aspettate il referendum?
«Anche Forza Italia oggi ci dice che non vuole modificare l’Italicum prima del referendum. Io penso che, dopo la consultazione, quella sulla legge elettorale sia una discussione che va tenuta aperta, con l’accortezza di non fare polemica e accademia, ma di verificare se c’è un vero consenso verso modifiche puntuali».

Se vincete il referendum...
«Ma noi lo vinciamo».

Il sistema francese proposto da Luciano Pizzetti può essere una soluzione?
«La proposta del sottosegretario dimostra che le alternative sono dieci, non una. Il che depotenzia qualsiasi ipotesi di cambiamento, in questa fase. Spero che dopo il referendum ci sarà più serenità anche nei gruppi di opposizione, per verificare i reali spazi di convergenza. Discuterne oggi, dopo la chiusura di Forza Italia, serve solo a chi rema per il no al referendum».

I quesiti saranno spacchettati?
«La riforma nel suo complesso ha una logica e frazionare i quesiti mi sembra una operazione molto artificiale, però a decidere sarebbe la Corte costituzionale, a cui naturalmente ci rimettiamo».

Martedì al Senato vi aspettate un avvertimento da parte dell’Ncd sugli enti locali?
«Ma no, il rapporto con la coalizione è solido e non vedo all’orizzonte strappi».

9 luglio 2016 (modifica il 10 luglio 2016 | 08:06)
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Da - http://www.corriere.it/politica/referendum-riforma-costituzionale/notizie/rosato-solo-il-referendum-legge-elettorale-pd-italicum-43d75e82-4617-11e6-be0f-475f9043ad28.sh
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« Risposta #69 inserito:: Luglio 14, 2016, 04:57:12 pm »

Il sindaco di Bari «Vedo una tragedia devastante. Chi ha sbagliato deve pagare»
Antonio Decaro, figlio di un macchinista: la gara per ammodernare la linea è il 19 luglio, una beffa.
«A pochi chilometri da qui c’è una grande azienda che fa diagnosi sui binari»

Di Monica Guerzoni

«È una scena devastante, devastante... Come un aereo caduto». Antonio Decaro, 45 anni, risponde al telefonino alle otto di una sera tragica per la Puglia e per l’Italia. Il sindaco di Bari, che non ha competenze dirette sui trasporti della zona del disastro, ha davanti agli occhi i rottami dei due treni, le carrozze sbriciolate e quasi non si capacita di quello che vede. «Io sono figlio di un macchinista delle ferrovie — racconta, con la voce che tradisce commozione e sgomento —. Sono cresciuto guardando i treni, mi sono laureato in ingegneria dei trasporti proprio per questa grande passione. Per me i treni sono sempre stati il simbolo della libertà».

E adesso, sindaco?
«Un simbolo di morte. Ero al congresso dell’Anci e sono scappato via, ho sentito gli altri sindaci, mi sono messo in contatto con Renzi, Emiliano e Delrio e sono venuto qui... Intorno a me vedo tanti trolley e zaini di gente in partenza e per fortuna l’incidente è successo in un orario in cui i pendolari non viaggiano. È luglio e le scuole sono chiuse, se fosse accaduto a giugno avremmo avuto una strage di dimensioni apocalittiche».

Quel binario unico diventerà anche il simbolo di un Sud le cui speranze sono state tradite?
«No, questo no. La Regione Puglia ha fatto sforzi straordinari nel settore dei trasporti, grazie ai finanziamenti europei. Questa linea ferroviaria è stata sempre un simbolo di efficienza, è incredibile quello che è accaduto. Forse è la strage più grave per il trasporto pubblico del nostro Paese».

Come è stato possibile?
«Qui gli ingegneri dei trasporti parlano di errore o di falsa partenza, che non andava data in una delle due stazioni. Essendo la linea a binario unico, la velocità commerciale è più alta del solito... Uno dei due treni non doveva partire, lo dico da ingegnere. Deve essere andata per forza così, perché le linee della Ferrotranviaria sono tra le più moderne».

Moderne? Trentasette chilometri di binario unico, la chimera del doppio binario inseguita per decenni...
«Questo tratto della zona nord non era stato ammodernato, ma a quanto mi risulta dai tecnici e dal presidente della Regione, l’ammodernamento era stato anche appaltato. Se mi attende un attimo chiedo al sindaco di Andria».
Prego.
«Ecco... Mi ha detto che il 19 luglio si aprono le buste per la gara. Una coincidenza che fa venire i brividi».

Il progetto è del 2007 e i soldi ci sono dal 2012. Perché i lavori non sono mai partiti?
«La prego, rischierei di dire cose che non conosco. Quel che so è che nella mia città abbiamo una linea metro tra le più moderne, che collega con un quartiere lontano e difficile come San Paolo, ed è sempre gestita da Ferrotranviaria, che è una società privata».

Delrio ha annunciato una commissione di inchiesta.
«Oggi è il momento di stare vicini alle famiglie. Ma da domani questa comunità chiede giustizia. È incredibile che accadano queste cose in una terra dove, a pochi chilometri di distanza da qui, c’è una grande azienda che si occupa di indagini diagnostiche sui binari ed esporta il know how in tutto il mondo».

Eccellenza e inefficienza, modernità e ritardi secolari.
«No, questo è un altro Sud, in senso positivo. Di sicuro ci sono ancora esempi negativi, come le Ferrovie del Sudest in concessione, ma non è tutto così. Ci sono tante eccellenze. La Puglia ha fatto sforzi immani e queste linee ferroviarie sono considerate tra le più efficienti del territorio, solo questo tratto, ripeto, non è stato ammodernato».

Un ritardo fatale, costato la vita a 25 persone.
«È una tragedia, che non doveva accadere. Ma anche tra Lecce e Milano la linea adriatica delle Ferrovie dello Stato ha un tratto a binario unico, quindi bisogna solo capire cosa è successo».

Renzi non si fermerà finché le responsabilità non saranno state accertate.
«La gente qui vuole risposte, chi ha sbagliato deve pagare».

12 luglio 2016 (modifica il 13 luglio 2016 | 07:16)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/16_luglio_12/vedo-tragedia-devastante-chi-ha-sbagliato-deve-pagare-sindaco-bari-treni-a4079faa-486b-11e6-9c18-dd6019c078c3.shtml
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« Risposta #70 inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:36:23 am »

Il retroscena
Crisi di governo, il valzer delle correnti pd stringe il leader
Dalla minoranza a Areadem le anime si riallineano e al segretario restano solo una cinquantina di deputati

Di Monica Guerzoni

Le centinaia di lettere di solidarietà arrivate al Nazareno nelle ultime ore, da ogni parte d’Italia, devono aver lusingato Matteo Renzi almeno un poco. E forse l’affetto epistolare di quegli italiani che ancora lo vogliono premier lo fa sentire meno solo, ora che nel Pd anime e casacche hanno ripreso vorticosamente a volteggiare. Far la conta delle correnti e degli spifferi è un lavoro da certosini medievali e c’è sempre il rischio che, tra scrittura e stampa, qualche altro parlamentare abbia deciso di riposizionarsi. Verso quali lidi? La sirena che tutti seduce è, ancora una volta, Dario Franceschini. La sua sintonia con il Quirinale rassicura e attrae peones e capicorrente e, al tempo stesso, irrita e preoccupa Renzi.
Torna il rito delle delegazioni di partito che salgono al Colle: tante idee, una decisione

Con i suoi cento parlamentari, tra cui i due capigruppo Rosato e Zanda, il ministro della Cultura e leader di Areadem ha dalla sua parte la maggioranza dei gruppi: un peso destinato a crescere a vista d’occhio, tanto che qualcuno già ne pronostica 130. Sulla carta dunque, Renzi è in minoranza. L’abbandono è stato repentino come lo era stato l’avvicinamento al nuovo capo, dopo la vittoria alle primarie. I franceschiniani prestati al renzismo sono tornati a essere franceschiniani e basta, lasciando all’inquilino del Nazareno forse meno di cinquanta deputati. Le cronache parlamentari li raccontano attovagliati tre sere fa in un’osteria romanesca tra Camera e Senato, su invito dei due toscani che si spartiscono la guida dei «falchi»: Maria Elena Boschi e Luca Lotti. Con loro, in ordine sparso, Alessia Morani, Davide Ermini, Alessia Rotta, Francesco Bonifazi. Nel menu tonnarelli cacio e pepe, tiramisù e un bel governo Renzi bis. Sempre a tavola hanno imbastito la linea i seguaci di Bersani e Speranza, tanto che da domenica sera nel Pd si litiga su se e quanto i parlamentari della minoranza abbiano alzato i calici, domenica a casa di Guglielmo Epifani. Bersani era a Piacenza, ma di certo il suo cuore era a Roma con i compagni, che ora guardano a un governo Franceschini senza alzare troppo il sopracciglio.

I 50 «spring dem»
Ieri a metà pomeriggio girava voce di un accordo già fatto tra la minoranza — che conta una ventina di senatori e una trentina di deputati —, Areadem e i giovani turchi vicini al ministro Andrea Orlando. Voce che Speranza però non conferma: «Non c’è ancora nulla, aspettiamo le consultazioni». Il trionfo del No ha rafforzato la sinistra non-cuperliana, che aveva subìto perdite non irrilevanti in campagna elettorale. Un dalemiano storico come Ugo Sposetti ha votato Sì, giustificato dai colleghi che lo apprezzano come un «comunista doc, antico, partitico e disciplinato». La stessa scelta, per ragioni diverse, hanno fatto l’ex dissidente del Senato Vannino Chiti, Josefa Idem e i senatori Martini, Lo Moro, D’Adda, Bubbico, Sollo. Il ministro Maurizio Martina non ha cambiato idea, resterà con Renzi anche nella cattiva sorte. Per ora. I 50 parlamentari di Primavera democratica, ribattezzati ironicamente «spring», sono la sua ricca dote. La balcanizzazione ha ringalluzzito anche i cattolici di Beppe Fioroni, che studiano raffinate trame al Falchetto, a pochi passi dalla sede dove Murri fondò la Dc: 30 parlamentari, legati a doppio filo all’area di Lorenzo Guerini.

I giovani turchi
L’ago della bilancia saranno però i giovani turchi. La notte della débâcle aveva visto la rottura tra Orlando e Matteo Orfini, che si era chiuso a Palazzo Chigi senza consultare i suoi e sposando la linea «al voto, al voto». Ma la moral suasion di Mattarella, sussurrata da franceschiniani molto vicini al presidente come Francesco Saverio Garofani, ha convinto Orfini a frenare e riportato la calma tra i «turchi»: 40 alla Camera e 17 al Senato. Abbastanza per fare la differenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
8 dicembre 2016 (modifica il 9 dicembre 2016 | 17:08)


Da - http://www.corriere.it/la-crisi-di-governo//notizie/valzer-correnti-pd-stringe-leader-17e35e26-bd8f-11e6-bfdb-603b8f716051.shtml
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« Risposta #71 inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:31:42 pm »

DOPO IL VOTO
Referendum, il voto e l’addio di Renzi C’è un altro Pd che festeggia
Parte la resa dei conti nel partito
La minoranza esulta e si prepara alla sfida del congresso. «Renzi ha preso un colpo vero», festeggia Speranza. La riscossa di una sinistra decisa a riprendersi il partito

Di Monica Guerzoni

«Aspettiamo di capire se è una mucca o un toro». Sono le 23 quando Pier Luigi Bersani, da Piacenza, pregusta una vittoria clamorosa, che lo tira fuori dall’isolamento e riapre i giochi nel Pd. «È un toro!», esulta a mezzanotte il leader della minoranza ricorrendo all’amata metafora zootecnica, felice di aver sventato il «governo del capo» e di aver fiutato il vento della protesta: l’ormai famosa «mucca del corridoio», che il leader del Pd non avrebbe visto in tempo. Il plebiscito anti-Renzi è la rivincita dei rottamati come Bersani e D’Alema, è la riscossa di una sinistra dem decimata dalla campagna acquisti del premier e ora decisa a riprendersi il partito. La minoranza esulta e si prepara alla sfida del congresso. «Renzi ha preso un colpo vero — festeggia Roberto Speranza, riunito con Stumpo, Zoggia e altri parlamentari a casa di Epifani —. Non abbiamo chiesto le dimissioni, ma ha fatto una scelta che rispettiamo. Sosterremo lo sforzo di Mattarella».

Facce livide, nervosismo
Lontano dal Nazareno c’è un Pd che fa festa, mentre su, ai piani alti della sede del Pd, c’è chi piange e chi impreca. Facce livide, nervosismo che si taglia a fette. Sfumata la «rimonta bestiale» i dirigenti adesso hanno paura. E se davvero Matteo lasciasse la segreteria? Alle 23.15 Lorenzo Guerini trattiene l’emozione: «Martedì in direzione decideremo le iniziative politiche da assumere». La resa dei conti sarà inevitabile e sanguinosa. «Non si ricuce più». A Ettore Rosato bastano quattro parole per scavare il solco tra Renzi e la sinistra del partito, che si è «alleata» con Grillo, Salvini e Berlusconi per assestargli la spallata. «Temo che la scissione sia nelle cose e che i gruppi parlamentari si spaccheranno» prevede il presidente dei deputati. Ma i bersaniani a tutto pensano tranne che a lasciare il Pd. Il piano è riprendersi la «ditta» con la battaglia congressuale. «La scissione non esiste», taglia corto Stumpo. E Fornaro: «La crociata sotto le insegne del giglio magico si è trasformata in una devastante sconfitta del suo condottiero». E c’è anche, tra i vincitori, chi consiglia a Renzi di «non barricarsi al Pd come Nikita Krusciov». E un altro bersaniano dubita della tenuta dei renziani: «Non vedo Franceschini, Orlando, Martina o Delrio buttarsi nell’oceano dietro a Renzi...». È l’una di notte quando Speranza, con un drappello di parlamentari, raggiunge Massimo D’Alema al Comitato del No. L’abbraccio con l’ex capo del governo sotto gli occhi di Miguel Gotor è un gesto simbolico, che annuncia la battaglia congressuale. «Io non cerco incarichi — assicura d’Alema —. Ma il risultato chiede al Pd una profonda svolta politica, dopo che il disegno neocentrista è stato battuto». La rottamazione è fallita? «Spero questa passione gli sia passata...».

5 dicembre 2016 (modifica il 5 dicembre 2016 | 23:01)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/referendum-costituzionale-2016/notizie/referendum-costituzionale-2016-c-altro-pd-che-festeggia-4cacd978-ba8a-11e6-99a2-8ca865283c9e.shtml
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« Risposta #72 inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:37:31 pm »


Il retroscena
Il valzer delle correnti pd stringe il leader
Dalla minoranza a Areadem le anime si riallineano e al segretario restano solo una cinquantina di deputati

Di Monica Guerzoni

Le centinaia di lettere di solidarietà arrivate al Nazareno nelle ultime ore, da ogni parte d’Italia, devono aver lusingato Matteo Renzi almeno un poco. E forse l’affetto epistolare di quegli italiani che ancora lo vogliono premier lo fa sentire meno solo, ora che nel Pd anime e casacche hanno ripreso vorticosamente a volteggiare. Far la conta delle correnti e degli spifferi è un lavoro da certosini medievali e c’è sempre il rischio che, tra scrittura e stampa, qualche altro parlamentare abbia deciso di riposizionarsi. Verso quali lidi? La sirena che tutti seduce è, ancora una volta, Dario Franceschini. La sua sintonia con il Quirinale rassicura e attrae peones e capicorrente e, al tempo stesso, irrita e preoccupa Renzi.

Con i suoi cento parlamentari, tra cui i due capigruppo Rosato e Zanda, il ministro della Cultura e leader di Areadem ha dalla sua parte la maggioranza dei gruppi: un peso destinato a crescere a vista d’occhio, tanto che qualcuno già ne pronostica 130. Sulla carta dunque, Renzi è in minoranza. L’abbandono è stato repentino come lo era stato l’avvicinamento al nuovo capo, dopo la vittoria alle primarie. I franceschiniani prestati al renzismo sono tornati a essere franceschiniani e basta, lasciando all’inquilino del Nazareno forse meno di cinquanta deputati. Le cronache parlamentari li raccontano attovagliati tre sere fa in un’osteria romanesca tra Camera e Senato, su invito dei due toscani che si spartiscono la guida dei «falchi»: Maria Elena Boschi e Luca Lotti. Con loro, in ordine sparso, Alessia Morani, Davide Ermini, Alessia Rotta, Francesco Bonifazi. Nel menu tonnarelli cacio e pepe, tiramisù e un bel governo Renzi bis. Sempre a tavola hanno imbastito la linea i seguaci di Bersani e Speranza, tanto che da domenica sera nel Pd si litiga su se e quanto i parlamentari della minoranza abbiano alzato i calici, domenica a casa di Guglielmo Epifani. Bersani era a Piacenza, ma di certo il suo cuore era a Roma con i compagni, che ora guardano a un governo Franceschini senza alzare troppo il sopracciglio.

Ieri a metà pomeriggio girava voce di un accordo già fatto tra la minoranza — che conta una ventina di senatori e una trentina di deputati —, Areadem e i giovani turchi vicini al ministro Andrea Orlando. Voce che Speranza però non conferma: «Non c’è ancora nulla, aspettiamo le consultazioni». Il trionfo del No ha rafforzato la sinistra non-cuperliana, che aveva subìto perdite non irrilevanti in campagna elettorale. Un dalemiano storico come Ugo Sposetti ha votato Sì, giustificato dai colleghi che lo apprezzano come un «comunista doc, antico, partitico e disciplinato». La stessa scelta, per ragioni diverse, hanno fatto l’ex dissidente del Senato Vannino Chiti, Josefa Idem e i senatori Martini, Lo Moro, D’Adda, Bubbico, Sollo. Il ministro Maurizio Martina non ha cambiato idea, resterà con Renzi anche nella cattiva sorte. Per ora. I 50 parlamentari di Primavera democratica, ribattezzati ironicamente «spring», sono la sua ricca dote. La balcanizzazione ha ringalluzzito anche i cattolici di Beppe Fioroni, che studiano raffinate trame al Falchetto, a pochi passi dalla sede dove Murri fondò la Dc: 30 parlamentari, legati a doppio filo all’area di Lorenzo Guerini.

L’ago della bilancia saranno però i giovani turchi. La notte della débâcle aveva visto la rottura tra Orlando e Matteo Orfini, che si era chiuso a Palazzo Chigi senza consultare i suoi e sposando la linea «al voto, al voto». Ma la moral suasion di Mattarella, sussurrata da franceschiniani molto vicini al presidente come Francesco Saverio Garofani, ha convinto Orfini a frenare e riportato la calma tra i «turchi»: 40 alla Camera e 17 al Senato. Abbastanza per fare la differenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
8 dicembre 2016 (modifica il 8 dicembre 2016 | 22:46)

Da - http://www.corriere.it/la-crisi-di-governo//notizie/valzer-correnti-pd-stringe-leader-17e35e26-bd8f-11e6-bfdb-603b8f716051.shtml
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« Risposta #73 inserito:: Gennaio 17, 2017, 05:00:02 pm »

Guidi: «Fatta a pezzi per un niente Con la politica ho chiuso»
L’ex ministra dopo la richiesta di ’archiviazione di Tempa rossa: ora penso a mio figlio. «Non c’era nulla in quella intercettazione. È finito tutto in una bolla di sapone»

Di Monica Guerzoni

Le luci della ribalta l’hanno prima esaltata, poi sfregiata politicamente e nel profondo. E adesso che potrebbe uscirne a testa alta, festeggiando la richiesta di archiviazione dell’inchiesta Tempa Rossa e rivendicando pubblicamente «buona fede e correttezza al servizio del Paese», Federica Guidi si tiene alla larga da registratori e telecamere: «Sono stata fatta a pezzi e costretta alle dimissioni — si sfoga in privato —. E per cosa? Non c’era nulla in quella intercettazione. Non ero nemmeno indagata. E infatti, è finito tutto in una bolla di sapone».

«Ho sofferto troppo»
Nel passaggio dalla Procura di Potenza alla Procura di Roma lo scandalo giudiziario e mediatico su petrolio lucano, corruzione e traffico di influenze illecite, si è sciolto come il ghiaccio di questi giorni gelidi. L’impianto accusatorio del caso che la scorsa primavera fece tremare il governo Renzi non ha retto e il pm Roberto Felici ne ha chiesto l’archiviazione. Dunque niente reati, nessuna associazione a delinquere, anche se l’allora compagno della ministra, Gianluca Gemelli, è dipinto nelle carte romane come un «soggetto intraprendente, interessato alle opportunità derivanti da Tempa Rossa». Un tipo apparso ai giudici spregiudicato e millantatore, che però, «al di là di censurabili atteggiamenti, non emerge abbia mai richiesto compensi per interagire con esponenti del governo». E allora? La telefonata incriminata tra Guidi e Gemelli, l’emendamento alla legge di Stabilità che la ministra si impegnava a far approvare per sbloccare un impianto nel potentino, il nome della Boschi che spuntava nell’intercettazione? Niente di penalmente rilevante. E ora che è tutto finito, Federica non brinda. L’amarezza prevale sul sollievo: «Ho sofferto troppo. E adesso che mi sono ripresa la mia vita, mi interessano solo mio figlio, la famiglia e l’azienda. È stata dura, non voglio parlare di questa esperienza incredibile, non voglio saperne più nulla e non leggerò una riga che parli di me».

«Non leggo di me sui giornali»
Per tranquillizzare gli amici l’imprenditrice nata a Modena nel 1969 si dice «felice di aver riconquistato l’anonimato». E a chi le suggerisce di parlare per recuperare immagine e dignità, risponde che non ha motivo «di essere riabilitata». Con la politica ha chiuso. E per quanto il «doppiopesismo» del Pd a suo tempo le fece male, non intende accendere polemiche: «È stata una cosa brutale, ma è andata». L’imperativo è difendersi, proteggere il piccolo Gianguido. Tutelare la Ducati Energia, dove è tornata a lavorare al fianco del padre Guidalberto, per tanti anni vicepresidente di Confindustria. La chiamano in tanti, le porgono complimenti che non sembra gradire: «Faccio soprattutto la mamma. Sono serena, ma non so se questa ferita potrà mai rimarginarsi. Non nego che a livello umano le conseguenze sono state profonde e nemmeno una bella notizia come l’archiviazione può farmi piacere». Per questo evita con cura di incrociare il suo nome stampato sui giornali: «Quando si parla di me non li apro. Ho sviluppato una sorta di ipersensibilità per quella vicenda, una tale idiosincrasia che non mi interessa nemmeno chiuderla. Servirà ancora tempo, perché tutto questo possa decantare». Il suono di quelle due parole, Tempa Rossa, è un ciak che aziona nella sua testa il film di quei giorni. La bufera politica. Le opposizioni che attaccano. Il M5S che presenta la mozione di sfiducia. La maggioranza e il Pd che le gettano addosso una coperta di sospetti e silenzio, rimproverandole sottotraccia di non aver rivelato di che pasta fosse fatto l’uomo che, nei giorni della bufera, disse di considerare «a tutti gli effetti mio marito».

Quando Renzi disse: «Guidi è indifendibile»
Il 31 marzo Matteo Renzi, in missione negli Usa, fa trapelare attraverso i collaboratori il suo stato d’animo: «Guidi è indifendibile, ha commesso un errore e si deve dimettere. I tempi sono cambiati. Chi sbaglia, va a casa». Scaricata dal premier Federica lascia la poltrona su cui si era seduta il 22 febbraio 2014, inseguita dalle accuse di conflitto di interessi. L’addio, in una lettera al Corriere, è amaro: «La mia è anche una scelta umana, che mi costa, ma che ritengo doverosa per i principi che hanno ispirato sempre la mia vita».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
12 gennaio 2017 (modifica il 12 gennaio 2017 | 23:23)

Da - http://www.corriere.it/politica/17_gennaio_13/guidi-fatta-pezzi-un-niente-7be976a2-d90b-11e6-97e6-e1e054cdfc34.shtml
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« Risposta #74 inserito:: Febbraio 14, 2017, 06:05:53 pm »


Il dibattito nel Partito Democratico
Direzione Pd, Renzi sfida la minoranza: «Sì al congresso»
Il segretario: «Se scissione deve essere lo sia senza alibi».
Cuperlo: «Il Pd come le balene spiaggiate della Nuova Zelanda: il capo branco aveva perso l’orientamento»

Di Monica Guerzoni, dalla direzione Pd, e Alessandro Sala

Orfini: «Il nostro è un congresso senza fine...»

«Vogliamo ancora provare a costruire l’unità tra di noi?». E’ quello che si chiede Matteo Orfini, presidente del Pd, intervenendo alla direzione nazionale del partito. «Dopo il 4 dicembre abbiamo discusso sul fare o no un congresso - ha aggiunto -, abbiamo fatto una valutazione: arrivare a scadenza naturale, abbiamo provato a farlo ma è aumentata la conflittualità interna, da quando abbiamo deciso di decantare, dopo il 4 dicembre, abbiamo assistito a tutto, tranne alla decantazione». E ancora: «Il congresso è stato minacciato e agitato. Il congresso dura poco? A me sembra che il problema del nostro partito è che il congresso non finisca mai».
17:01
Qui Direzione Pd - Il calendario secondo Bersani

Ed ecco il calendario secondo Bersani. Il governo governi, entro giugno si faccia la legge elettorale e a giugno, con calma, si avvii la pratica del congresso: «Sto dicendo una assurdità? Non sto parlando da bersaniano, ma da italiano. Se decidessimo diversamente, cotta e mangiata, si apre un problema molto serio. Quando si governa non si mette l’Italia nel frullatore. Chi ha più buon senso ce lo metta» Un intervento, quello dell’ex segretario, che ha il sapore dell’ultima mediazione. O Renzi accetta di addivenire a più miti consigli, o la rottura sarà difficilmente evitabile. (Monica Guerzoni)
16:59
Qui Direzione Pd - Bersani «blinda» il governo Gentiloni

Bersani prova a blindare il governo Gentiloni, ricordando a Renzi che quando si andrà a votare gli elettori presenteranno il conto al Pd. A Renzi il leader della minoranza dice che i “messaggi sfidanti” hanno stressato gli italiani senza portare bene al Pd: «Il Paese pensa che comandiamo noi. Chi governa deve tramettere sicurezza, non ansia». Bersani insomma mette avanti il Paese e chiede il tempo di una riflessione: «La prima cosa che dobbiamo dire al mondo è quando si vota. Non mi si dica Matteo che è roba da addetti ai lavori. Non mi si dica giugno, settembre... ma guarda che mettiamo l’Italia nei guai. Diciamo agli italiani che garantiremo la conclusione della legislatura. Non possiamo parlare come la sibilla lasciando sul governo la spada di damocle che un giorno (il premier, dr) si dimette in streaming». (Monica Guerzoni)
16:45
Qui Direzione Pd - Bersani e il no a un congresso «cotto e mangiato»

Non sembra, quello di Pier Luigi Bersani, un intervento di rottura. A questo preoccupante scenario - che il leader della minoranza è solito chiamare «la mucca nel corridoio» - va contrapposto «un campo di idee largo». Ora che lavoro è diventato vago, umiliato e ricattato per Bersani l’agenda del Pd va declinata secondo i valori del centrosinistra, sennò la destra arriva: «Se conosciamo l’Italia vediamo che ce l’abbiamo già sotto i piedi». L’ex segretario dice no a un congresso «cotto e mangiato» che si trasformi in una conta, chiede tempo per una riflessione più profonda e insiste: «Un pezzo di popolo si è allontanato da noi? É vero o no che una parte di popolo non ci sopporta?». (Monica Guerzoni)
16:43
Bersani: «C’è qualcosa che ci tiene insieme?»

«Non parlo da bersaniano, ma da Bersani. Voglio provare a capire se a questo tornante troviamo qualcosa che ci tenga assieme. Qualcosa che ci faccia dire “la pensiamo tutti così”». Così l’ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, durante il suo intervento.
16:41
Delrio: «Non rassegniamoci all’alleanza con Berlusconi»

«Ricominciamo dal Mattarellum, da un sistema dove l’eletto e l’elettore si riconoscono, dove ci sia la possibilità per un’alleanza a sinistra - ha commentato il ministro Graziano Delrio - . Non rassegniamoci all’alleanza con Berlusconi».
16:39
Qui Direzione Pd - Delrio e «la fatica di stare insieme»

Graziano Delrio invoca «la fatica di stare insieme» e con voce quasi implorante chiede ai dem di non dividersi: «L’Unità sui contenuti e su una prospettiva comune. Tutto il resto rischia di indebolire non solo il Pd ma anche il Paese». Tocca a Pier Luigi Bersani. E l’ex segretario premette di non parlare da bersaniano ma da Bersani: «Sono preoccupato. Dobbiamo prendere delle decisioni per noi e per l’Italia. Noi oggi a questo tornante troviamo qualcosa che ci tenga assieme? Due o tre cose. Possiamo essere d’accordo sul fatto che questo ripiegamento della globalizzazione in tutto il mondo sta facendo affacciare una nuova destra sovranista identitaria protezionista? Un campo di idee che sta entrando nel senso comune anche a casa nostra».
16:28
Cuperlo e le «balene spiaggiate» del Pd

«Il congresso è vero che non si fa per decidere la data del voto, ma si fa per decidere cosa dire agli italiani prima di andare a votare, e poi conta il come» ha detto intervenendo dal palco Gianni Cuperlo, già sfidante di Renzi alle primarie del 2013. «Discutiamo a fondo - ha aggiunto - come non abbiamo mai fatto». Il deputato della minoranza si è poi lanciato in un paragone tra il Partito Democratico e le balene spiaggiate in Nuova Zelanda: «Il capo branco aveva perso l’orientamento. Sta a noi decidere se fare la parte delle balene o quella dei volontari che le salvano».
16:26
Qui Direzione Pd - La minoranza spiazzata

La minoranza é spiazzata dalle parole di Renzi, che ha lanciato la macchina del congresso ma non ha rimesso formalmente il mandato. «Messa così - dice dal palco Gianni Cuperlo - è una prova di tessere e di muscoli». I bersaniani sono furiosi, per loro quello dell’ex premier è stato un «discorso da capocorrente» e non l’appello unificante che qualcuno sperava. Ora tocca a Graziano Delrio e poi a Pier Luigi Bersani, che svelerà se la scissione è più o meno vicina. (Monica Guerzoni)

13 febbraio 2017 (modifica il 13 febbraio 2017 | 17:13)
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Da - http://www.corriere.it/politica/diretta-live/17_febbraio_13/direzione-pd-lunga-giornata-renzi-9177d4ae-f1d0-11e6-976e-993da0ec45b6.shtml
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