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Autore Discussione: MONICA GUERZONI. -  (Letto 40567 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Maggio 10, 2013, 11:06:50 pm »

Sale Speranza.

Ipotesi Bersani capogruppo Pd, l'accordo non c'è. «E sabato in assemblea può scattare la rissa»

Civati organizza i giovani ribelli.

D'Alema da Firenze: «L'unica vittoria di Renzi è che io non sono più in Parlamento»


ROMA - «Se andiamo avanti così rischiamo che sabato finisca il Pd...». Sabato è domani, manca un giorno all'assemblea nazionale e Pippo Civati, punto di riferimento per tanti giovani ribelli, quasi spera nel big bang. Dal caos può venir fuori di tutto. Anche un segretario a sorpresa, frutto di una conta sanguinosa. Un nome come lo stesso Civati, persino? Lui dice che «è presto per parlarne», ma teme che il Pd possa non reggere un nome in continuità con la vecchia dirigenza.

«Il primo che si alza scoppia la rissa - avverte Civati - Se c'è il voto segreto finiamo in mano ai franchi tiratori». Laura Puppato raccoglie le firme su un documento anti larghe intese e una quindicina di giovani parlamentari, tra cui Fausto Raciti ed Enzo Lattuca, aprono ai ribelli. «Occupy Pd», critico con il governo Letta, organizza le truppe, si prepara a premere alle porte della Fiera di Roma e cerca un outsider da lanciare... Brutto clima, in casa democrat . I «facilitatori» Sereni, Scalfarotto, Zanda, Speranza, Amendola e Sassoli hanno proposto due vie d'uscita.

Due strade entrambe impervie, per arrivare alla scelta di un segretario. La prima è una figura di garanzia. Un vecchio saggio o «padre nobile» disposto ad accettare la reggenza fino al congresso di ottobre, senza coltivare velleità di ricandidarsi. Per questa soluzione era stata individuata Anna Finocchiaro. Ma bersaniani e franceschiniani - che fanno asse tra loro e con i lettiani - temono per la senatrice un «effetto Marini», il rischio cioè che possa essere impallinata per il suo bagaglio politico dai 750 membri dell'assemblea che hanno diritto di voto. Motivo per cui si lavora anche su altri nomi, tra cui Fassino, Chiamparino e Chiti. Ma il sindaco di Torino dovrebbe spogliarsi della fascia tricolore e il suo predecessore mollare la remuneratissima presidenza della Compagnia di San Paolo. Resterebbe Chiti, già ministro e presidente della Toscana.

La seconda via «passa attraverso il rinnovamento». Cercasi giovane virgulto che traghetti il Pd verso le assise per poi candidarsi, da protagonista. Chi meglio di Nicola Zingaretti? Ma il presidente del Lazio si tira fuori perché non può lasciare la Regione. Anche Gianni Cuperlo smentisce di essere in campo in questa fase, ecco allora spuntare il segretario lombardo Maurizio Martina ed Enzo Amendola, che coordina i leader regionali. Dal gioco dei veti incrociati esce meno malconcio degli altri Roberto Speranza, 34 anni, che stando ai pronostici dell'ultim'ora lascerebbe a Pier Luigi Bersani la guida del Pd alla Camera. Prima dalemiano e poi bersaniano, stimato da Enrico Letta (che vedrebbe bene anche una figura di esperienza), bene accetto da Matteo Renzi, Speranza ha dato buona prova come segretario regionale lucano. Al momento è lui a raccogliere i maggiori consensi. L'assemblea fu eletta con le primarie del 2009 e sulla carta i rapporti di forza sono quelli di allora: Bersani 53 per cento, Franceschini 34, Marino 12.

Ma gli equilibri interni sono molto cambiati e tutto può succedere, visto che tanti guardano ormai a Matteo Renzi. I suoi nemici sono preoccupati per l'attivismo del sindaco, che incontra Barroso e lavora al nuovo libro, «Oltre la rottamazione». Massimo D'Alema, rottamato illustre, nega di essere in guerra con Bersani, dice che voterà con disciplina un nome condiviso e si toglie una bella pietruzza dalla scarpa: «L'unica vittoria di Renzi è che io non sono più in Parlamento».

Monica Guerzoni

10 maggio 2013 | 12:05© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_maggio_10/pd-civati-assemblea-rissa_8f5c4456-b931-11e2-a28f-ca192031e3e7.shtml
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« Risposta #31 inserito:: Maggio 18, 2013, 05:21:29 pm »

Un patto per la tregua tra Renzi e Letta: lealtà e mosse condivise

E il sindaco vede Epifani: spazio ai suoi nel Pd


ROMA - Il futuro è dietro l'angolo e i cartomanti della politica non hanno dubbi, lo scontro tra Enrico Letta e Matteo Renzi sarà inevitabile e senza esclusione di colpi. Ma il presente conferma che tra il presidente del Consiglio e il sindaco di Firenze c'è un patto di non belligeranza o, per dirla con le parole del premier, «un asse molto forte e consolidato». I duellanti naturali si sono visti ieri mattina e gli orologi di Palazzo Chigi hanno scandito quaranta minuti di confronto «tra amici», a tutto campo: il governo, il Pd, Firenze. Nel Pd dipingono Renzi come «rottamato» da Letta e il premier come «molto preoccupato» per le mosse del sindaco. Una lettura non priva di fondamento visto come andò tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008, quando Enrico era sottosegretario alla presidenza del Consiglio e Walter Veltroni vinse le primarie per la segreteria, terremotando in poche settimane il governo di Romano Prodi. «Ma questa volta non accadrà - è la promessa che Renzi ha fatto a Letta -. Io non ti tradirò, perché agli amici si deve lealtà». Il premier apprezza il sostegno che il sindaco ha offerto al governo e non dubita che l'ex sfidante di Bersani manterrà i patti. «Anche io sarò leale con te Matteo - è l'impegno che Letta ha preso con Renzi -. Le prossime scelte le faremo insieme». Dove le prossime scelte riguarderanno la battaglia congressuale del Pd.

Solo il tempo dirà se l'accordo tra i due leader del centrosinistra reggerà all'onda d'urto del governo e della ricostruzione del Pd, ma intanto l'asse sembra essere solido. I due si sentono spesso e mostrano di non curarsi troppo di chi insiste nel dipingerli come destinati a incrociare le spade, in uno scontro per la premiership che si annuncia cruento. «Non è così, nel modo più totale - assicura Renzi -. Io non farò nulla per sabotare il governo, nessuno sgambetto e niente polemiche». Davvero Letta non teme che lei possa far saltare il banco, come Veltroni con Prodi? «Non scherziamo... Perché mai il premier dovrebbe avere paura di me? Io ho detto chiaramente che non farò il segretario del Pd. Enrico è uno dei miei amici più cari. Immaginare una rivalità tra me e lui è pura follia, il nostro rapporto personale è più che ottimo...».

Eppure, a leggere tra le righe delle dichiarazioni, la rivalità è nelle cose e il sindaco involontariamente la sottolinea: «Tra noi ci sono differenze anagrafiche e caratteriali. Lui è più saggio e riflessivo, io sono più esuberante. E poi io ho dieci anni di meno». Quel che pensa del governo «di servizio», Renzi lo ha messo nero su bianco nel libro che sta per uscire, «Oltre la rottamazione», dove racconta aneddoti che riguardano anche il premier. Renzi sta mostrando un certo attivismo. Ha visto anche Dario Franceschini e oggi dovrebbe incontrare Massimo D'Alema. Ieri invece ha pranzato con il segretario del Pd Guglielmo Epifani e il piatto forte è stata la necessità di «sostenere convintamente» l'esecutivo. Ma sulla tavola imbandita è spuntata anche un'altra pietanza: gli esponenti di fede renziana che entreranno nei nuovi organismi del partito.

Monica Guerzoni

17 maggio 2013 | 7:16© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_maggio_17/letta-renzi-patto-tregua_2764415e-beaf-11e2-be2c-cd1fc1fbfe0c.shtml
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« Risposta #32 inserito:: Maggio 21, 2013, 04:52:38 pm »

Si riunisce la giunta del Senato per le immunità «Berlusconi è ineleggibile»: la mozione dei 5 Stelle minaccia anche il governo

Democratici verso il no. Ma c'è l'incognita del voto segreto


ROMA - Per il governo è una mina da disinnescare subito, prima ancora che piombi sul tavolo della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato. L'organismo che ha il potere di decidere il futuro politico di ogni singolo eletto si riunirà alle 14 per la prima volta e all'ordine del giorno c'è l'elezione del presidente. La scelta fa litigare i partiti e si incrocia con un'altra, ben più delicata faccenda: la mozione per l'ineleggibilità del senatore Silvio Berlusconi annunciata con gran clamore dal M5S.

Beppe Grillo ha promesso di mangiarsi il cappello se il «Pdmenoelle» voterà sì. E il problema, per la tenuta dell'esecutivo, è che alcuni democratici sarebbero pronti a votare con i grillini. In Parlamento c'è chi accredita il «pressing» di Palazzo Chigi sul segretario del Pd perché i senatori non facciano scherzi, ma il ministro Dario Franceschini smentisce: «È materia di esclusiva competenza parlamentare». Così la pensa anche il segretario Guglielmo Epifani, il quale ha lasciato ai senatori libertà di «fare le proprie valutazioni».

La storia è antica e ha origine nella legge 361 del 1957, in base alla quale i beneficiari di concessioni pubbliche (come quelle televisive) sono ineleggibili. Per capire come potrebbe finire bisogna far di conto e sondare gli umori dei commissari. L'organismo è formato da 23 membri e quel che preoccupa fronte berlusconiano e governo è che, sulla carta, M5S, Pd e Sel hanno la maggioranza: 13 voti. L'incognita è come voterà il Pd, diviso sul da farsi. Negli anni, per cinque volte, alla Camera il centrosinistra ha respinto ogni richiesta di ineleggibilità del Cavaliere e l'orientamento contrario alla mozione sembra prevalere anche stavolta. Ma il voto è segreto e i 101 franchi tiratori che hanno impallinato Prodi sono un precedente che non si può trascurare. I grillini sono determinati a provarci e quel che li fa infuriare è l'intesa che si sta saldando sulla scelta del presidente, che spetta alle opposizioni. I Cinquestelle, come anche Sel, puntano allo scranno più alto, ma il favorito è il leghista Raffaele Volpi. Un nome gradito al Pdl, che potrebbe ottenere voti anche dal Pd.

«Se danno la presidenza alla finta opposizione la mozione sull'ineleggibilità non ha futuro - teme il candidato grillino Mario Giarrusso, che sospetta "pressioni del Quirinale" -. Si creerebbe un precedente micidiale, perché tutto dipende dal presidente...». Se i grillini ci tengono tanto è perché sarà il presidente a decidere quando calendarizzare la mozione contro Berlusconi. «Un conto è portarlo in Giunta tra un mese, altra cosa è aspettare un anno», rivela l'arcano Giarrusso. Sul sito di Grillo l'ideologo Paolo Becchi prevede una «santabarbara delle larghe intese». Nel Pd tendono a sdrammatizzare, ma il Pdl non vuole rischiare: Renato Schifani ha detto chiaramente che se i democratici dovessero votare coi Cinque Stelle cadrebbe il governo. «Combattere Berlusconi a colpi di regolamento è una sciocchezza, il Pd dovrebbe sfilarsi dalla trappola con uno strattone energico» è il consiglio che l'ex presidente della Giunta, Marco Follini, offre ai democratici. Gli otto del Pd sono tormentati dai dubbi. Per Felice Casson i precedenti contano poco. «Non possiamo escludere nulla» è la posizione di Doris Lo Moro, ex magistrato che ritiene Berlusconi incompatibile: «Se mi convincessi che per vent'anni abbiamo sbagliato nascerebbe un problema politico grande come una casa, ma non lo ignorerei». Claudio Moscardelli propende per il no: «Votare l'ineleggibilità dopo vent'anni mi parrebbe singolare». Rosanna Filippin invita a ragionare «con le carte sul tavolo» e rassicura Letta sulla tenuta del governo: «I suoi problemi non vengono dalla Giunta, ma dalle necessità degli italiani».

Monica Guerzoni

21 maggio 2013 | 9:58© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_maggio_21/berlusconi-ineleggibile-governo_76e21c1e-c1da-11e2-a4cd-35489c3421dc.shtml
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« Risposta #33 inserito:: Maggio 31, 2013, 11:16:28 pm »

I lettiani: Renzi vuol far cadere il premier

Il sindaco: vedo troppa democristianeria. Bindi, 44 firme contro la maggioranza


ROMA - Matteo Renzi è amico di Enrico Letta, un «amico vero» e non di quelli che si dicono tali e poi «zac, ti accoltellano». Ma il duello tra il sindaco e il premier è nelle cose e il futuro sfidante si porta avanti col lavoro. Bacchetta il presidente del Consiglio per qualche «eccesso di democristianeria», dice che il «film» delle larghe intese non gli piace e sprona Palazzo Chigi ad accelerare sulle riforme: «Dai ragazzi, lavorate... Non ne posso più dei piagnoni, diamoci una smossa! Letta è una persona seria, ma usciamo dalla sabbia mobile che sta bloccando tutto... I politici devono smetterla di giocare al Conte zio dei Promessi Sposi, con la logica del sopire e troncare».

Una botta che ha fatto scattare l'allarme a Palazzo Chigi, anche se Renzi promette che resterà al fianco di Letta «perché prima delle ambizioni personali c'è l'Italia». Staccherà la spina al premier? «Se il governo va bene io sono contento. Posso pure saltare un giro, l'importante è che non salti il Paese». La tregua nel Pd è durata un giorno. Guglielmo Epifani ha quasi pronto l'organigramma della sua segreteria e, in asse con Pier Luigi Bersani, ha deciso di non mettere la macchina organizzativa del Pd nelle mani di Renzi, che l'aveva chiesta per Luca Lotti. Ma il fronte rovente è la legge elettorale. La mozione di Roberto Giachetti sul Mattarellum è stata interpretata come una «mina» scagliata contro Palazzo Chigi. «Renzi vuole far cadere il governo», è la lettura dei lettiani e di tutti coloro che, nel Pd, tifano per le larghe intese. Il premier teme che mettendo il carro della legge elettorale davanti ai buoi il governo possa deragliare, ma Renzi derubrica il caso a «tecnicalità parlamentare». Intanto però terremota il Pd, dicendo che il governo, a cominciare dall'Imu, «ha messo a segno le richieste del centrodestra». Rinfaccia a Bersani l'«arroganza» con cui voleva «smacchiare il giaguaro» e tiene il fiato sul collo del premier. «L'unica preoccupazione - è l'affondo del sindaco intervistato da Lilli Gruber, su La7 - è che governo e maggioranza rinviino troppo, con il rischio di fare melina. Non vorrei che il governo delle larghe intese diventasse delle lunghe attese».

Giachetti nega di aver agito per conto di Renzi, che ieri a Roma ha visto i suoi a cena. Ma gli oppositori del sindaco leggono la conta con cui si è chiusa la tesa riunione del gruppo della Camera come la prova che la mina Mattarellum sia stata preparata col preciso intento di indebolire progressivamente il governo, proprio nel giorno in cui Letta sperava di incardinare solennemente la riforma costituzionale. Se così non fosse, è l'interpretazione dei filogovernativi, perché mai i renziani avrebbero votato compatti, o quasi, contro la decisione di respingere la mozione Giachetti? I voti in disaccordo con la linea del gruppo sono stati 34 e tra questi i parlamentari vicini a Renzi sono la grande maggioranza. Dal Pdl Fabrizio Cicchitto dice il sindaco «vuole liquidare in fretta l'esecutivo» e anche nel Pd sono in molti a pensarla così. Letta si fida di Renzi e ha messo in conto gli strappi, ma il premier (che ieri lo ha chiamato) non si aspettava un colpo così a due giorni dal voto nelle città.

Ma i razzi sul governo non partono soltanto dai democratici di fede renziana. Rosy Bindi ha raccolto 44 firme in calce a un documento di critica alla mozione di maggioranza: bindiani, dalemiani e prodiani, oltre a Pippo Civati, Laura Puppato e Walter Tocci. Un'altra fronda di allergici alle «divergenze parallele», come le chiama Gero Grassi, che pure ha votato secondo le indicazioni del capogruppo Roberto Speranza. La tensione è alta, dietro la tattica parlamentare si intravedono le manovre precongressuali, che presto verranno alla luce in un documento antigovernativo cui lavorano diverse anime del Pd. Renzi chiede di fissare la data delle assise. Massimo D'Alema, «con tutto il rispetto per Epifani», rilancia la candidatura di Gianni Cuperlo e si dice favorevole a «disgiungere le partite» di premiership e leadership. Quanto alla durata del governo, l'ex premier invita alla prudenza: «Berlusconi è uomo mutevole...».

Monica Guerzoni

30 maggio 2013 | 8:10© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_maggio_30/letta-renzi-governo_e8d5e338-c8e6-11e2-b696-db4a64575c16.shtml
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« Risposta #34 inserito:: Giugno 18, 2013, 05:16:22 pm »

 Sull'Iva corsa contro il tempo: difficile evitare l'aumento

Il premier porta al G8 l'emergenza crescita

E chiarisce con Bersani

Per l'ex leader pd l'esigenza di coprirsi a sinistra


LOUGH ERNE (Irlanda del Nord) - Rompere il muro delle belle parole e tornare a casa con qualche fatto concreto in valigia: «La mia linea? Fare ogni giorno una cosa in più per il Paese...». Al G8 di Lough Erne, in Irlanda del Nord, Enrico Letta arriva oggi con l'ambizione di condividere con i grandi del mondo la sua agenda, in cima alla quale c'è sempre la stessa ossessione: offrire un futuro ai giovani disoccupati. Il tema non è prioritario per economie in crescita come Usa e Giappone ed è per questo che il premier non molla la presa, con la speranza che il coordinamento dei Paesi europei si decida a porre la questione al summit.

Per Letta è il primo G8 e sarà importante capire quale accoglienza i grandi del Mondo riserveranno al nostro capo di governo, la cui diplomazia è al lavoro per concordare un vertice bilaterale con Obama e gli altri leader. Sull'esito della due-giorni serpeggia all'estero un certo pessimismo.
Il padrone di casa, David Cameron, si è chiesto con una battuta se esista un «cimitero» per i comunicati del G8, ma Letta non dispera di raccogliere qualche piccolo frutto anche dall'albero irlandese, come dote per il Consiglio europeo del 27 e 28 giugno. Il premier guarda a quella data come a un punto di svolta per la tenuta del suo governo: strappare fondi contro la disoccupazione dei giovani sarebbe la conferma che Palazzo Chigi non vuole vivacchiare «a colpi di chiacchiere e promesse», ma conquistare credibilità e durare grazie ai fatti.

Anche per questo Letta è molto soddisfatto per l'esito del Consiglio dei ministri che ha portato al via libera del «decreto del fare».
Ci sono state tensioni tra Pd e Pdl ma alla fine, ha commentato il presidente, «con un grande lavoro di squadra abbiamo messo i primi mattoni per la crescita». I collaboratori lo descrivono «concentrato in modo maniacale» sulle riforme e contento di aver «governato bene, dal punto di vista politico», un provvedimento zeppo di piccole insidiose mine. E se Alfano, Brunetta e Schifani hanno fatto fibrillare la maggioranza rivendicando come vittorie del Pdl il colpo a Equitalia e altre misure, Letta pensa che qualche punto a favore del centrodestra possa riequilibrare le forze e stabilizzare le larghe intese.

Berlusconi vuole andare avanti e il premier è convinto che sia sincero, anche perché, va ripetendo ai suoi, «un piano B in questo momento non ce l'ha nessuno». Allo scenario di una nuova maggioranza formata da Pd e fuoriusciti a Cinquestelle Letta non vuole nemmeno pensare e si è piuttosto stupito che Bersani si sia messo a capo dei ribaltonisti. Ma poi l'ex segretario e il premier si sono sentiti, Pier Luigi ha spiegato a Enrico che il suo obiettivo era piantare paletti a sinistra in vista del congresso del Pd e puntellare, allo stesso tempo, il governo: «Non ho alcuna intenzione di spodestarti da Palazzo Chigi». Letta ha capito e archiviato il caso.

Se molti pensano che le prime riforme concrete abbiano rafforzato il premier, lui continua a navigare a vista, consapevole che all'improvviso il mare può tornare a gonfiarsi. Mercoledì la Consulta dovrà pronunciarsi sul legittimo impedimento di Berlusconi e nel calendario della presidenza del Consiglio quella data è segnata in rosso. Ma non è paura, spiegano, è piuttosto quella «preoccupazione figlia della responsabilità» che è un po' la bussola del capo del governo. L'errore che l'ammiraglio non vuole fare è pensare di aver portato la nave in un porto sicuro, come accadde a Mario Monti: no, Letta ha giurato ai suoi che non si monterà la testa, neppure se l'Europa dovesse dargli ufficialmente ragione sulla disoccupazione giovanile.

In realtà un tema che lo preoccupa c'è ed è l'imminenza dello scatto dell'Iva. Letta lavorerà di concerto con il ministro Saccomanni per scongiurarlo, fino all'ultimo minuto utile, sapendo entrambi, però, che le risorse non ci sono e che evitare l'aumento sarà molto difficile. Il borsino delle emozioni di Palazzo Chigi dice che «al momento prevale un pessimismo di fondo». Ieri però Letta aveva voglia di festeggiare e, un po' a sorpresa, è andato a cena a Cesenatico tra vecchi amici per il concertone dei Nomadi, la band di cui è fan da sempre. Affetto sincero e anche la voglia di farsi vedere vicino alle vite delle persone normali.

Ma ora è tempo di ragionare sullo scenario internazionale, il premier vuole essere in prima fila per riportare la pace in Libia e trovare una soluzione al dramma siriano. Ieri ha avuto un lungo incontro con il ministro degli Esteri Emma Bonino, appena rientrata dalla Russia. La strategia sulla Siria è mediare, coinvolgendo Putin, tra Obama che vuole armare i ribelli e la Merkel che è contraria.

Monica Guerzoni

17 giugno 2013 | 10:21© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_giugno_17/premier-porta-al-G8-emergenza-crescita-guerzoni_f4b5ee38-d70e-11e2-a4df-7eff8733b462.shtml
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« Risposta #35 inserito:: Luglio 15, 2013, 06:10:23 pm »

IL CASO

Dal Pd a Palazzo Chigi tutti i malumori per la missione di Renzi

Lo sfogo di Fioroni: il governo non c'è più


ROMA - Il blitz europeo di Matteo Renzi piomba su un governo già piuttosto provato da una lunga serie di problemi, dal caso Kazakistan alle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi. Il partito democratico si spacca tra filo-lettiani e filo-renziani e molti accreditano un presidente del Consiglio «preoccupato» e «arrabbiato» per le mosse, in progressiva accelerazione, del sindaco di Firenze. È chiaro che avere un aspirante presidente del Consiglio che gli soffia sul collo, dall'Italia e dall'Europa, non può riempire di gioia l'inquilino di Palazzo Chigi. Ma Enrico Letta non ha alcuna voglia di mettersi a polemizzare con Renzi, con le drammatiche emergenze che il Paese vive di questi tempi. E a chi gli chiede conto della strategia renziana, il premier ripete con pazienza lo stesso leitmotiv: «La Merkel mi ha esplicitamente chiesto se riceverlo o no e se la cosa mi avrebbe creato dei problemi. Io le ho detto che non mi avrebbe dato problemi... quindi sono davvero tranquillissimo».

Tanta olimpica serenità, i suoi la spiegano con questo ragionamento: «Renzi deve avere paura che Letta cada, perché quando si faranno le primarie per la premiership lui perderà ed Enrico tornerà a Palazzo Chigi». Ma non tutti hanno voglia di mostrarsi tranquilli come il capo del governo. L'ex ministro Beppe Fioroni sfoga su Twitter il suo fastidio per la scalata di Renzi: «Tra tifo, visite e tour il governo Letta non c'è più, ma tranquilli: Enrico è stato informato, tutti vogliono fare tutto, ma prima viene l'Italia». Parole molto polemiche, che servono a rendere il clima.

Francesco Boccia, il presidente della commissione Bilancio della Camera che è tra i politici più vicini al capo del governo, vuole leggerla in positivo e smentisce il duello sottotraccia, assicurando che quanti passano le giornate «a sperare in un conflitto tra Renzi e Letta perdono tempo e sprecano energie». Per Boccia la guida di Letta è «solida» e il contributo di Renzi al Pd e alla maggioranza non può che far bene ai democratici e al Paese». Eppure al Nazareno il tour europeo del sindaco ha agitato non poco le acque, i bersaniani denunciano un problema di protocollo e di forma, un modo per ribadire che non faranno sconti al sindaco. Il responsabile organizzazione, Davide Zoggia, ritiene «un po' inopportuna» la visita di Matteo dalla Merkel perché un primo ministro dovrebbe vedere un altro primo ministro e non un politico che aspira a diventarlo. «Sarò all'antica - spiega Zoggia -. Ma c'è un problema di forma, Immagino che anche altri sindaci avrebbero delle cose da dire alla Merkel, però stanno al loro posto».

Ecco, il punto è questo. Per i filo-governativi Renzi non sa stare al suo posto e per questo, sperano, «finirà per bruciarsi». Letture che fanno infuriare i sostenitori del primo cittadino di Firenze. «L'organizzazione del partito lasci Renzi libero di incontrare chi vuole - attacca il senatore Andrea Marcucci - .Forma, protocollo e sostanza sono stati integralmente rispettati, Zoggia se ne faccia una ragione». E anche il ministro Graziano Delrio difende il «giovane» Matteo, convinto che «avere partiti forti con leader forti e riconosciuti è solo un bene, per il governo e per il Paese».

15 luglio 2013 | 7:47
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Monica Guerzoni

da - http://www.corriere.it/politica/13_luglio_15/renzi-merkel-malumori_ca1b4688-ed10-11e2-91ec-b494a66f67a7.shtml
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« Risposta #36 inserito:: Agosto 04, 2013, 08:26:56 am »

Letta si appella alla «responsabilità»: un delitto fermare il governo

Ma il premier avverte: non mi farò logorare. Telefonata al Cavaliere


ROMA - «La vita del governo dipende dallo stato d'animo di Berlusconi, che può cambiare da un momento all'altro... Se il sistema nervoso del Cavaliere regge si va avanti, altrimenti tutti a casa». La premonizione, confidata al premier al mattino da un ministro del Pdl, prende forma bruscamente alle otto di sera, quando Enrico Letta si ritrova di colpo sull'orlo del precipizio. Ma il capo dell'esecutivo non resterà alla guida del governo a ogni costo, non si farà logorare dal Pdl (né dal Pd) per meri obiettivi elettorali e non accetterà di «vivacchiare» pur di restare attaccato alla poltrona di Palazzo Chigi: «Basta minacce e basta ultimatum - è il suo stato d'animo -. Se ci sono le condizioni vado avanti, altrimenti sarò io stesso a spegnere la luce».

Le larghe intese sono nelle mani di Berlusconi e la drammatizzazione delle ultime ore conferma che la crisi si può aprire da un momento all'altro, vanificando cento giorni di lavoro in cui Letta ritiene di aver dato il massimo. «Sarebbe un delitto non andare avanti, perché il lavoro comincia a dare i suoi frutti. Sarebbe un delitto se tutto si fermasse malamente...». Così ha parlato Letta ai gruppi di Scelta civica, nel pomeriggio, già allarmato per gli umori neri che filtravano da Palazzo Grazioli. Le conseguenze della sentenza il premier le ha messe nel conto, eppure confida nel senso di responsabilità di Berlusconi, al quale ha telefonato per esprimere umana comprensione e vicinanza e al quale avrebbe chiesto di non fare scelte affrettate.

Giornata drammatica, scandita dai continui contatti con il Quirinale, dall'incontro con Schifani a Palazzo Chigi, dalle riunioni di emergenza con Franceschini e dai confronti, anche duri, con Alfano. Al suo vice il premier ha dovuto ripetere che il Paese non può permettersi di tornare alle urne proprio quando, grazie ai sacrifici degli italiani, si vedono i primi segnali di ripresa: «Se in una giornata così difficile lo spread è stabile, vuol dire che i fondamentali sono stabili». Se invece cadesse il governo, gli italiani si ritroverebbero a dover pagare tra settembre e dicembre sia la prima che la seconda rata dell'Imu... Scatterebbe l'Iva e gli esodati resterebbero in mezzo al guado.

La guerra di nervi si gioca anche a colpi di sondaggi. Il Pdl registra una impennata di consensi per Berlusconi. Da Palazzo Chigi - dove si valuta anche lo scenario di una imminente sfida con Matteo Renzi per la premiership - accreditano un Letta secondo solo a Napolitano quanto a gradimento personale. E sottolineano un dato: la stragrande maggioranza degli elettori del Pd e del Pdl non vuole che la sentenza incida sul destino dell'esecutivo. «Il Paese ha bisogno di essere governato e non considero che il logoramento faccia parte degli interessi del Paese - è il monito di Letta -. Io spero prevalgano gli interessi generali, sono convinto che questo accadrà». Un'altalena estenuante, cauta fiducia mista a forte preoccupazione: «Sono consapevole che il momento è delicato, ma prima di tutto viene l'Italia». La determinazione a «fare le cose» e la presa di distanza dalle vicende giudiziarie. Berlusconi incandidabile? «Da quello che ho capito c'è solo da applicare la legge - risponde Letta - non ci sono elementi di discrezionalità».

E se molti dubitano che il governo possa continuare la sua battaglia contro l'evasione, lui giura che tirerà dritto «con la massima determinazione». Letta naviga a vista, nervi saldi e bussola in mano. Ai partiti il premier ha promesso un «patto di coalizione» che, se la barca delle larghe intese supererà lo scoglio più alto, si concretizzerà in un documento programmatico, i cui capisaldi saranno legge di stabilità e semestre italiano di presidenza in Europa.

3 agosto 2013 | 7:34
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Monica Guerzoni

DA - http://www.corriere.it/politica/13_agosto_03/letta-governo-responsabilita_144d5b28-fbfe-11e2-a7f2-259c2a3938e8.shtml
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« Risposta #37 inserito:: Agosto 07, 2013, 05:28:23 pm »

L'intervista

Epifani:«Il Cavaliere faccia un passo indietro»

Il segretario del Pd: si prenda atto della sentenza e dei suoi effetti, non vedo altre strade


ROMA - Non c'è alcuna strada, alcuna via di uscita per Berlusconi se non il rispetto e l'applicazione della sentenza. Anche se il prezzo da pagare fosse la fine delle larghe intese. Guglielmo Epifani non è disposto a trattare. Per il segretario del Pd le regole della democrazia vengono prima del destino dei singoli: «La legge è uguale per tutti».

Il Pdl chiede agibilità politica per il leader.
«Non vedo altra possibilità che prendere atto della sentenza e degli effetti che produce, non ci sono strade ed è anche sbagliato cercarle.
Ho preferito usare l'arma della chiarezza prendendomi qualche insulto di troppo, ma con tutto il rispetto che si deve alla storia e ai problemi e spesso anche ai drammi di una parte politica, le sentenze vanno rispettate ed eseguite. Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, per quanto possa essere dura. In qualsiasi ordinamento democratico il principio di legalità non può mai essere discusso».

Il Pdl non mollerà il leader al suo destino.
«Gira un video di Berlusconi giovane che dice che, quando uno fosse condannato per evasione fiscale, deve fare un passo indietro».

Berlusconi deve fare un passo indietro?
«Quello che è giusto fare e che avviene normalmente. Come ha detto lui stesso in quel video. Negli Usa cosa sarebbe successo?
Nei Paesi democratici c'è una severità enorme nei reati fiscali e societari».

E la stabilità del governo?
«Il principio di legalità in uno stato democratico viene prima di qualsiasi valutazione politica».

Anche prima dell'esecutivo?
«È il fondamento. Se annulliamo legittimità e legalità non c'è più nessun caposaldo, per questo bisogna avere una linea rispettosa ma anche molto ferma. Io non vedo altre strade».

Il Pdl ha intravisto un'apertura nelle parole di Napolitano.
«A me invece è parso assai chiaro, ha detto "non forzate le mie parole". Non lo si tiri per il bavero, lo si lasci fuori.
Lo dico anche a Grillo, le cui parole ritengo inaccettabili e intollerabili».

Non c'è dunque alcun sentiero, se non per la grazia o l'amnistia, per una riforma della giustizia che porti a qualche forma di salvacondotto?
«Adesso stiamo parlando del tema in sé, le conseguenze di carattere sanzionatorio della sentenza. E su questo terreno non c'è via di uscita.
È chiaro che siamo di fronte a un fatto enorme, però guardiamo anche cosa succede negli altri Paesi. E poi la stragrande maggioranza della opinione pubblica e degli elettori del Pd chiedono che Letta vada avanti, ritengono che vengano prima gli interessi del Paese che quelli di una parte o di un singolo».

Quagliariello ha rivelato un piano per far cadere il governo.
«Non so, Quagliariello ha notizie che io non ho. Da un lato è prevalsa l'idea di far continuare l'attività del governo, dall'altra invece, giorno dopo giorno e ora dopo ora, lo si tiene in fibrillazione continua. E così un esecutivo che deve pensare agli interessi generali in una fase di crisi profonda, finisce per risentire di questa zavorra che è l'imposizione di temi di parte. Il logoramento del governo è un rischio che il Paese non può permettersi».

Se si andasse al voto, il Pd avrebbe tutto da guadagnare...
«La nostra convenienza è la convenienza del Paese. Come insegna la vicenda del governo Monti, a noi semmai si può rimproverare un eccesso di responsabilità. Ma un partito non personale è questo, è una forza che si assume la responsabilità. Dopodiché il nostro problema è che il governo non tiri a campare e sia messo in condizione di agire, per questo ci vuole fermezza. È una scelta che non subiamo, ma che vogliamo. Non ci facciamo tirare la giacca. Non ci facciamo condizionare da vicende, che pur avendo una grande rilevanza, non sono il cuore della scelta che il Paese ci chiede. Qualche timido segnale di decelerazione c'è, ma da qui a fine anno la crisi toccherà il fondo...».

Un governo di larghe intese non rischia di avere le mani legate?
«Il governo ha le mani legate dal peso del debito, dalle scelte dell'Europa che non si smuovono da una linea di austerità e dalla eredità del governo di centrodestra, che ha assunto il fiscal compact e l'obiettivo del 3 per cento nel rapporto deficit pil. Se si ragiona entro questo limite le cose che il governo sta facendo, con poche risorse, sono tutte buone. Piccole cose, intendiamoci. Ma dopo anni di tagli, il provvedimento su cultura e spettacolo è un'inversione di tendenza. Ora dobbiamo chiedere uno sforzo ancor più grande per dare impulso all'occupazione e agli investimenti».

Prevede guerriglia in Parlamento?
«In questi giorni c'è una specie di bonaccia, paradossalmente si lavora in un clima diverso che fuori. Per questo ritengo ci sia bisogno di un tagliando, anche se mi hanno detto che ho usato una parola da Medioevo. Hanno detto che vogliono andare avanti? Ecco, siamo alla prova del fuoco.
Il Paese vuole che si affrontino i problemi: scuola, esodati, precari della pubblica amministrazione...».

E il Porcellum?
«Due cose dobbiamo fare, il conflitto di interessi e la legge elettorale. Da settembre avanti tutta».

Se il Pdl non ci sta, il Pd voterà con Scelta civica e cinquestelle?
«Noi partiamo dal nostro testo e su quello tiriamo dritti. E poi valutiamo chi effettivamente vuole la riforma elettorale».

Intanto c'è chi, come Bersani e Renzi, spinge per andare a votare.
«In un grande partito possono esserci idee diverse, ma l'idea che il governo deve proseguire è una posizione condivisa».

Si dice che Letta mediti di staccare la spina per fermare Renzi...
«Se leggiamo tutto in una logica di contrapposizione interna non cogliamo la durezza della fase. Renzi mille volte ha detto "il governo va avanti se fa le cose". Bersani ha detto "non facciamoci logorare", Letta ha detto "non tiro a campare". Sono tutti d'accordo su un punto: si va avanti per fare. Niente trame, questo è il cuore delle scelte. Ma quando c'è da dire dei no, si dicono dei no. Come finisce questa vicenda dell'Imu e dell'Iva? Le risorse vanno usate sia per ridurre le tasse, sia per sostenere gli investimenti e l'occupazione.»

Non volete si dica che è il governo del Pdl?
«Non lo era prima e non lo è, a maggior ragione, oggi».

Il Pd ha paura che Renzi faccia il segretario?
«Il segretario lo decidono gli iscritti e i nostri elettori, che si registreranno all'albo delle primarie. Le regole saranno rispettose di tutti.
Le primarie saranno aperte, anche se ovviamente quelle per il premier lo sono di più, perché è un altro campo di gioco».

Renzi parlerà alle feste del Pd e chi non lo ama teme che soffi sul fuoco.
«Nessun timore. Renzi è molto più accorto di come talvolta viene dipinto, io penso che non soffierà sul fuoco».

Ritiene che il sindaco sia più adatto per Palazzo Chigi?
«Su questo ho le mie opinioni, in ogni caso il Pd ha bisogno di un segretario di alto profilo che innanzitutto si occupi del partito, l'unica forza politica non personale e quindi che va preservata e riformata. Poi è evidente che ognuno è libero di decidere dove candidarsi».

Lei si candida?
«No, lo confermo. Sono abituato a mantenere la parola».

È bufera sul giudice Esposito, chi ha ragione?
«Bisogna abbassare i toni. Al di là di quello che ha detto è meglio il riserbo per chi ha una funzione di giudice, anche se dall'altra parte sono arrivati attacchi non accettabili. Il gioco al massacro deve finire, per non indebolire le istituzioni».

7 agosto 2013 | 8:08
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Monica Guerzoni

da - http://www.corriere.it/politica/13_agosto_07/il-cavaliere-deve-fare-un-passo-indietro-l-esecutivo-prima-di-tutto-c-e-la-legalita-monica-guerzoni_9cc44fec-ff1a-11e2-a99f-83b0f6990348.shtml
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« Risposta #38 inserito:: Agosto 11, 2013, 05:03:15 pm »

Il retroscena

I ministri e la ricerca di un sentiero bipartisan per il caso Berlusconi

Enrico Letta: è il sostegno alla nostra azione a dare consensi


Silvio Berlusconi minaccia la crisi ad agosto e le elezioni a ottobre, eppure Enrico Letta è tranquillo. «Tranquillo davvero, mica per finta!» va ripetendo il premier in queste ore tesissime, in cui il governo balla sull'Imu e sembra destinato a naufragare, da un momento all'altro. Invece la barca va e il capo dell'esecutivo è convinto che la navigazione, pur travagliata, sia destinata a proseguire a lungo. Il Cavaliere aspetta dal Quirinale un segnale sulla giustizia e il Partito democratico è in guerra, tra renziani e non, per la data del congresso. Eppure Letta non sembra turbato, non più di tanto almeno:«Non temo le vicende berlusconiane, né le vicende interne del mio partito».

Ha trascorso il sabato in famiglia, a Pisa, concentrato sul dossier energetico che oggi lo porterà a Baku, capitale dell'Azerbaijan. Il tema del gasdotto Tap è per lui «straimportante, perché influirà sugli scenari energetici del nostro Paese per i prossimi decenni». Domani sarà di nuovo a Roma, pronto a sprofondare nelle tensioni fra i partiti, ma «determinatissimo» a non affogare.

Se i toni di Berlusconi non lo allarmano è anche perché Letta pensa, in cuor suo, che alla fine cautela e ragionevolezza prevarranno. Un'alternativa al suo governo non c'è e la situazione economica e sociale del Paese non consente strappi: e poi come si fa a tornare al voto con un sistema elettorale che non consegnerebbe la vittoria a nessuno, obbligando i partiti a nuove larghe intese? Non si pensi però che Letta sia indifferente al destino politico del leader del centrodestra.

Nella più assoluta riservatezza alcuni ministri a lui vicini, del Pd e del Pdl, lavorano (del tutto informalmente) alla ricerca di un viottolo: un sentiero che sia il meno accidentato possibile, nel quale Berlusconi possa incamminarsi alla ricerca della agognata «agibilità politica». La soluzione ancora non c'è, ma dal poco che trapela alcuni princìpi sono già chiari: la procedura dovrà essere individuata dalle forze politiche, dovrà essere compatibile con la tenuta dei partiti di maggioranza e dovrà rivelarsi di aiuto a Giorgio Napolitano. Un ministro la spiega così: «Bisogna trovare il modo di uscire dall'attesa messianica del Pdl e dal ponziopilatismo del Pd...».

Due giorni fa, quando il capo dello Stato ha chiamato a Castelporziano la delegazione del Pd capitanata da Guglielmo Epifani, si è parlato anche di questo. E i democratici, pur senza dare il via libera, non hanno chiuso del tutto le porte. Da questa partita Enrico Letta intende tenersi rigorosamente fuori, per restare concentrato sulle cose da fare. Ai collaboratori e ai parlamentari amici ha spiegato che bisogna tenere distinto il piano del governo dal piano dei problemi giudiziari di Berlusconi e non intende cambiare strategia. «La missione delle larghe intese prescinde dal conflitto politico - spiega Marco Meloni, deputato tra i più ascoltati da Letta -. Se Berlusconi decidesse di accelerare verso la crisi, gli italiani addosserebbero a lui la responsabilità, mentre adesso il leader del Pdl è forte nei sondaggi perché garantisce la stabilità dell'esecutivo».

È con argomenti come questi che l'ala filogovernativa del Pd cerca di convincere gli alleati-avversari a non staccare la spina: se Letta andrà a casa in autunno gli italiani si ritroveranno a pagare l'Imu per intero, l'Iva scatterà inesorabilmente e lo spread tornerà a salire... E c'è un altro scenario che spaventa il Pdl. Nell'entourage di Berlusconi lo chiamano il «fattore Prodi». Se la situazione dovesse precipitare Napolitano potrebbe dimettersi e a quel punto, temono nel Pdl, al Colle potrebbe salire un «avversario storico» come Romano Prodi. Ma al momento è fantapolitica. Anche perché dal Quirinale smentiscono con forza che il capo dello Stato abbia mai fatto balenare, negli ultimi giorni, la possibilità di lasciare.

11 agosto 2013 | 8:48
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Monica Guerzoni

da - http://www.corriere.it/politica/13_agosto_11/contatti-tra-ministri-per-cavaliere_64a4ceaa-0250-11e3-8e0b-f7765a3f55a3.shtml
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« Risposta #39 inserito:: Novembre 29, 2013, 06:56:11 pm »

«Intese meno larghe, ma più forti»
La verifica «lampo» di Letta

E su Renzi chiarisce: no a conflitti infantili tra primedonne.
Nuova maggioranza già nata ma non si esclude un altro esame

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI TRIESTE - Enrico Letta sbuca che è buio dal Teatro Verdi, vede i giornalisti e allunga il passo. E quando la domanda sullo strappo di Forza Italia arriva, il premier si chiude nel loden blu e si infila in auto. Un no comment che dice molto sul suo stato d’animo e sulla sua strategia. Avanti, senza Berlusconi. Con i rischi (ma anche le possibilità) che la nuova maggioranza offre. «Le nuove intese sono meno larghe, ma più coese e dunque, potenzialmente, siamo più forti - guarda avanti Letta -. Adesso il governo ha un alibi in meno e qualche responsabilità in più».

Può suonare stridente con la tensione di queste ore, eppure il premier si ostina nel dirsi «tranquillo e fiducioso». I numeri risicati su cui il governo può contare in Parlamento non gli fanno paura. «D’altronde - è il suo ragionamento - la svolta c’è stata il 2 ottobre, quando abbiamo dimostrato di poter andare avanti senza i voti di Berlusconi. Adesso quel passaggio di chiarezza è ufficiale e va bene così».

Stasera si vota la decadenza del Cavaliere dal Senato. L’ex premier chiama gli italiani in piazza e chiede la revisione del processo Mediaset, ma Letta non vuole «buttare benzina sul fuoco». Non vuole pronunciare «parole che finiscano per rendere confusa una situazione già non semplice». Il momento è decisivo e il suo governo lo vede come un baluardo, «l’unico antidoto al caos».
Atterrato a Roma da Trieste Letta sale al Quirinale e concorda, con Napolitano, la via più indolore dopo la fine delle larghe intese. La fiducia di ieri sera vale come verifica che la maggioranza c’è. Se poi il pressing per un nuovo passaggio parlamentare dovesse aumentare, Letta non lo esclude a priori. «Non siamo pregiudizialmente contrari», spiegano a Palazzo Chigi. Ciò che più lo distoglie dal suo «impegno incessante» per tirar fuori il Paese dalla crisi sono le polemiche politiche, soprattutto quelle che arrivano dal suo partito. Quando Renzi ha detto che se non si fa come vuole lui il governo è finito, Letta si è lasciato scappare un commento a caldo: «Non riuscirà a trascinarmi in un conflitto infantile tra primedonne...». Ma nulla di più, perché il premier comprende le tensioni congressuali e sta ben attento a non offrire il fianco.
Incassata la fiducia sulla legge di Stabilità al Senato, il prossimo banco di prova sono le primarie del Pd. Solo allora Letta saprà se il nuovo segretario vorrà mantenere le profferte di lealtà. L’assalto di Matteo Renzi sulla legge elettorale è inevitabile e Letta si prepara a fronteggiarlo. «Siamo i primi a volerla, l’Italia deve battere il populismo e ritrovare il suo assetto bipolare - non si stanca di ribadire -, Grillo è al 25% e, se andiamo a elezioni ora, nessuno ha la maggioranza». Renzi chiede che il governo lavori sulle idee del Pd? Letta risponde che sono anche le sue. «La riforma delle istituzioni, il dimezzamento dei parlamentari e la fine del finanziamento ai partiti sono cavalli di battaglia di questo esecutivo». E il rimpasto? Per adesso non è all’ordine del giorno. Eppure da Palazzo Chigi non arriva un «no» pregiudiziale a una verifica di maggioranza. «Ma vediamo, aspettiamo - prende tempo il premier, parlando con i collaboratori -. Il nuovo segretario sarà un nostro interlocutore privilegiato. Una leadership forte e un Pd forte non possono che dare una marcia in più all’esecutivo».

27 novembre 2013
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Monica Guerzoni

Da - http://www.corriere.it/politica/13_novembre_27/intese-meno-larghe-ma-piu-forti-verifica-lampo-letta-4150e3e4-572d-11e3-a452-4c48221dc3be.shtml
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« Risposta #40 inserito:: Dicembre 29, 2013, 01:45:55 pm »

L’ipotesi di discuterne nel contratto di coalizione
Pressing sul rimpasto: ora il premier riflette sul «nuovo inizio»
Letta non vede di buon occhio l’idea di un riassetto.
Anche per i rischi sulla tenuta dell’esecutivo


ROMA - La tensione è tornata improvvisamente a salire, nella maggioranza. Dopo Scelta civica anche i renziani hanno cominciato a invocare un rimpasto di governo, antica pratica da prima Repubblica alla quale, notoriamente, Enrico Letta guarda con antipatia. Adesso però a Palazzo Chigi si comincia a ragionare attorno all’idea di cambiare qualche casella, contestualmente alla firma del contratto di coalizione. Potrebbe essere un modo per segnare la discontinuità e rafforzare l’esecutivo, chiedendo magari un sacrificio a figure tecniche come Fabrizio Saccomanni.

La versione ufficiale di Palazzo Chigi è che «la squadra non si cambia», se non per sostituire quei sottosegretari che hanno seguito Berlusconi fuori dal governo. Eppure Letta ci sta riflettendo: «Si parlerà di tutto a gennaio con il contratto di coalizione». Per il premier dunque il termine rimpasto non è più un tabù, ma un dossier da esaminare con attenzione e cautela. Letta sa bene che, storicamente, ci sono rimpasti che rafforzano i governi e rimpasti che li indeboliscono. E se il vero obiettivo del segretario pd fosse portare il Paese al voto anticipato? E se toccando anche una sola tessera venisse giù tutto il mosaico? Preoccupazioni che il premier dovrà trovare il modo di conciliare con il pressing dei renziani. I quali evocano un «riassetto della squadra» e lasciano girare i nomi di Annamaria Cancellieri ed Enrico Giovannini, oltre a quello del ministro dell’Economia.

Nel Nuovo centrodestra del vicepremier Angelino Alfano si parla di rimpasto come di «un tema secondario», se non altro per valutare se sia il caso di suddividere meglio le energie tra partito e governo: l’ipotesi che il ministro Maurizio Lupi possa lasciare le Infrastrutture per guidare il nuovo partito è ancora attuale, ma nessuna decisione in merito è stata presa.

«Non sentiamo alcuna pressione su noi cinque - conferma il ministro Nunzia De Girolamo - Non abbiamo ricevuto alcuna richiesta, né da Letta, né dagli alleati. Le voci da panettone natalizio sulle poltrone non mi interessano, sono totalmente concentrata sulle cose da fare». I ministri del Nuovo centrodestra, insomma, non si sentono nel mirino di Renzi e hanno già fissato al 3 gennaio la prossima riunione per fare il punto sulle proposte da inserire nell’Agenda 2014: semplificazione normativa, lavoro, riforme istituzionali, legge elettorale, sicurezza.

Per il ministro Gaetano Quagliariello la fiammata polemica dei renziani «è soltanto pretattica». Però anche lui è convinto che bisogna accelerare: «Dobbiamo sederci al più presto attorno a un tavolo e cominciare a discutere, per definire il programma nel dettaglio. È evidente che solo da quel momento varranno gli aut aut».

Gli echi delle voci renziane, «o si cambia o si muore», sono arrivati anche sulle cime dei monti dove il premier è salito per qualche giorno di vacanza. Ma Letta non ha alcuna intenzione di versare benzina sul fuoco, si tiene a distanza di sicurezza da fibrillazioni e polemiche e sta bene attento a non raccogliere provocazioni che, a suo giudizio, «non meritano reazione alcuna». Il Paese sta attraversando un momento delicatissimo, dal punto di vista economico e da quello politico-istituzionale e il capo del governo, nelle sue conversazioni private con i leader dei partiti, chiede a tutti di far prevalere il senso di responsabilità: «Stoppiamo per qualche giorno tutti questi discorsi, a gennaio li affronteremo».

Al di là degli aut aut e dei toni minacciosi, che Letta ovviamente non apprezza, l’inquilino di Palazzo Chigi è il primo a essere convinto che il suo governo abbia bisogno di una svolta. È stato lui a parlare di «nuovo inizio» e certo non vuole deludere le aspettative: «Dopo l’uscita di Berlusconi non abbiamo più alibi e il cambio di passo ci sarà, ma non prima di aver definito il cronoprogramma del 2014». Una scadenza rigorosa e formale, per la quale i primi quindici giorni dell’anno saranno «decisivi». Sia chiaro però che il contratto di coalizione «va costruito assieme a tutti gli azionisti della maggioranza». Così ragiona Letta in queste ore, in cui vorrebbe staccare almeno un po’ la spina dopo le bacchettate del Quirinale sul decreto salva Roma.

E se Matteo Renzi scalpita, ha fretta di rimettere in moto l’azione del governo per poterne rivendicare il merito, Letta non può accettare che sia il segretario democratico a dettare (da solo) l’agenda. «Ogni sollecitazione avanzata con spirito costruttivo è gradita, però ricordiamoci che questo - ha osservato il presidente del Consiglio parlando al telefono con i collaboratori - non è soltanto il governo del Pd». Il 2 gennaio Letta tornerà a Roma dalle sue brevi ferie di fine anno e si metterà subito al lavoro sui dossier. Obiettivo, trovare un’intesa con i partiti e sottoscrivere il «Patto 2014» entro la fine del mese.

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29 dicembre 2013

Monica Guerzoni

Da - http://www.corriere.it/politica/13_dicembre_29/pressing-rimpasto-ora-premier-riflette-nuovo-inizio-letta-a815739e-7058-11e3-a541-158387497691.shtml
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« Risposta #41 inserito:: Gennaio 27, 2014, 04:29:18 pm »

Franceschini: Nessun big bang.

Quest'anno si sistemano le cose - Intervista al Corriere della Sera

24 Gennaio 2014

Finché c'è il bicameralismo nessuno ha vantaggi ad andare al voto. Le tensioni nel partito?
Io non avrei detto la frase di Matteo e non avrei avuto la reazione di Cuperlo

di MONICA GUERZONI

«Quante dietrologie! Questo bisogno mediatico di fare tutti i giorni notizia è una malattia».

Cosa c'è dietro il lungo silenzio che solo ieri il premier ha rotto, ministro Dario Franceschini?

«È tutto molto semplice, quando si hanno responsabilità di governo ci possono essere giorni in cui si sceglie di lavorare lontano dai riflettori».

Con quali risultati?

«Io credo si sia trovato il giusto equilibrio, che smentisce le voci quotidiane di attriti tra Enrico e Matteo. Mentre Renzi chiudeva l'accordo sulla legge elettorale, Letta lavorava all'agenda di governo. E stata una scelta di buon senso. Il premier ha favorito l'accordo, ma restando fuori dalle trattative, il che è servito a evitare una legge elettorale a maggioranza coinvolgendo l'opposizione».

Poi però Renzi ha stoppato la firma del contratto di governo, che Letta sperava di chiudere entro oggi.

«Possibile che ogni cosa debba essere vista come rivalità tra Letta e Renzi? E un incubo, per il sistema Paese e per i diretti interessati».

Ora mi dirà che non c'è una vittoria politica di Renzi...

«Mi rifiuto di entrare in questo schema. State tutti aspettando un big bang che non ci sarà, sia Letta che Renzi hanno interesse a far sì che il 2014 sia l'anno in cui si sistemano le cose per consentire a chi verrà dopo di riuscire a governare».

C'è chi pensa che le cose si possano sistemare con Renzi che va a Palazzo Chigi, senza passare per le urne.

«Perché non credere mai alle parole? Renzi ha detto tante volte che a Palazzo Chigi ci arriverà per legittimazione popolare e non con una scorciatoia».

Si può sempre andare a votare.

«Certo, ma con la legge elettorale non modificata e in conseguenza di un disastro complessivo nessuno vuole andarci. Chi mai avrebbe vantaggio a ritrovarsi di nuovo senza maggioranza e ancora in un sistema bicamerale? Penso davvero che leggere tutto nella chiave della rivalità sia una malattia».

Non dica che è colpa dei giornalisti, la rivalità esiste e sembra aver fermato le macchine del governo.

«Le assicuro che non è così. Nella settimana in cui si affronta un percorso difficile e complicato tra commissione e aula, il buon senso fa capire che non sono i giorni giusti per affrontare i temi dell'agenda e dell'assestamento della squadra. La riforma del sistema di voto andrà in Aula la settimana prossima e quella successiva. Per questioni di regolamento e di contingentamento dei tempi, inevitabilmente si andrà a chiudere l'Impegno 2014 dopo l'approvazione della legge elettorale alla Camera, nella prima settimana di febbraio. Ma non c'è nessun blocco, nessuno stop».

Su preferenze e premio si continua a litigare. Ce la farete?

«La proposta uscita è un punto di mediazione positivo e insperabile fino a una settimana fa e bisogna dare atto a Renzi di aver allargato all'opposizione tenendo dentro la maggioranza. Qualche tensione però sarà inevitabile. Poiché è evidente che ogni forza ha qualche aspetto che vuole cambiare, conviene partire dal metodo. Il testo si può migliorare purché ci sia l'accordo sulle modifiche tra le forze che hanno condiviso il testo base, preferenze o liste bloccate comprese».

Teme anche lei, come Renzi, i franchi tiratori del Pd?

«Premesso che alla riunione dei gruppi con il segretario ho ascoltato un dibattito molto civile, le leggi elettorali non si fanno con maggioranze variabili o eterogenee, né con voti a sorpresa, perché quando si fanno così escono dei pasticci. Quindi le correzioni si fanno solo se c'è l'intesa. Spero che si recuperi anche un rapporto costruttivo con Lega e Sel, visto che Grillo chiude ogni varco al dialogo».

È almeno un mese che siete fermi, quando vedremo il rilancio?

«Non c'è nessun vuoto, nessun mese perso. Si era detto che entro gennaio sarebbe andata in Aula la legge elettorale e che entro la fine del mese avremmo avuto la nuova agenda, alla quale Enrico sta lavorando. La prossima settimana ci sarà la Direzione del Pd e appena approvata la legge elettorale passeremo alla seconda fase. Nel frattempo il consiglio i dei ministri lavora e in Parlamento ci sono provvedimenti importanti e decreti in conversione».

È sicuro che ci siano le condizioni per arrivare al 2015? Perfino il filo-governativo Cuperlo dice che, se Renzi non ci mette la faccia, è meglio andare a votare.

«Questa distinzione tra governo e maggioranza che lo sostiene è virtuale. Il governo è espressione della maggioranza e anche il Pd sta lavorando sui contenuti da mettere al centro del programma di un anno, non di vent'anni».

Letta bis o rimpasto?

«La domanda va rivolta al premier e al capo dello Stato».

Zanonato, De Girolamo... Chi esce e chi entra? Franceschini ride:

«Siccome abbiamo chiarito che non si affronterà il tema finché non avremo approvato la legge elettorale alla Camera, potete risparmiarvi le gallerie fotografiche dei ministri che escono ed entrano».

Grazie del consiglio. Ma Renzi indicherà qualche nome? Si legherà le mani oppure no?

«Siamo sempre lì, al fatto che io credo alle parole. Il segretario ha detto che la nuova squadra è competenza di Palazzo Chigi e del Quirinale. Se ci sarà questa operazione dovrà servire a rafforzare sia i contenuti che la squadra, ma lo decideranno loro».

Cuperlo denuncia la «gestione autoritaria» di Renzi.

«Io penso che sia possibile un equilibrio tra leadership forte e collegialità. Mi è dispiaciuto per le dimissioni di Cuperlo, ma bisognava far prevalere la politica e tutti capiscono che ora una spaccatura fa solo male al Pd».

Chi ha sbagliato, Cuperlo o Renzi?

«Non avrei detto la frase di Renzi e non avrei avuto la reazione di Cuperlo. Ma ognuno ha il suo carattere».

Da - http://www.areadem.info/adon.pl?act=doc&doc=18939
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« Risposta #42 inserito:: Gennaio 28, 2014, 05:58:05 pm »

Dietro le quinte

I ritocchi del segretario per l’intesa: soglia al 4% e premio dal 37% in su
No alle preferenze, la strada delle primarie

Ventiquattr’ore per l’ultima mediazione. Alle 13 scade il termine per gli emendamenti alla legge elettorale e scatta, per Matteo Renzi, la fase lampo della trattativa finale con i leader dei partiti: «Se riusciamo a chiudere un accordo che tiene, vedrete che ci stanno tutti, anche la minoranza del Pd».

Il segretario tiene le dita incrociate, ma l’ottimismo trapela. Ieri ha lanciato su Twitter un’infografica per «fare chiarezza» sull’Italicum e spazzar via i dubbi degli elettori, spiegando loro che la legge elettorale è solo un tassello di una più ampia riforma istituzionale. Mentre smentisce «strani accordi», Renzi si prende il merito di aver dato una scossa al sistema e respinge i «conservatori che sperano nella palude», tra i quali i renziani dell’ala dura annoverano anche Enrico Letta. «Molti di quelli che criticano sono gli stessi che non hanno fatto nulla in passato - attacca l’inquilino del Nazareno -. Adesso è il momento di dimostrare che cambiare si può. E si deve».

Gli ultimi nodi sono intricati eppure Renzi si sente a unpasso da una «riforma storica», che porterà il suo nome. Nel pomeriggio il leader calerà a Roma con la speranza di mettere il suo timbro alla giornata decisiva. E se conta di farcela è perché in tasca ha un «pacchettino» di modifiche che i suoi hanno limato tutto ieri, in un groviglio di contatti con gli «sherpa» delle altre forze. «Serve molta pazienza e responsabilità, ma ci sono le condizioni per chiudere - conferma Lorenzo Guerini, plenipotenziario del leader -. E se tutto va bene chiudiamo anche su programma e squadra di governo».

Le liste bloccate (che non piacciono al premier) non si toccano. Renzi è convinto che gli elettori del Pd abbiano compreso la differenza tra i collegi dell’Italicum e le circoscrizioni del Porcellum, rottamate dalla Corte costituzionale. E nel cerchio ristretto del segretario c’è la sensazione di muoversi «sotto l’ombrello» di Napolitano. «Non è un azzardo il mio - ha spiegato Renzi ai suoi -. Il capo dello Stato ci ha spronati e chiudere e io lavoro per questo». Sulle soglie la formula magica di Renzi è questa: lo sbarramento ai piccoli scende dal 5 al 4 per cento e l’asticella minima per agguantare il premio sale dal 35 al 37. L’ultimo aspetto del «pacchettino» riguarda i collegi, con il via libera ad affidare al Viminale di Alfano la delega per disegnarli, a 15 giorni dalla approvazione della legge. Infine i piccoli partiti, che Renzi, rilanciando un tweet di Pierluigi Castagnetti, sprona a «darsi una mossa per non morire».

E le preferenze? Niente da fare, Berlusconi non le vuole. Ma nel «pacchettino» il sindaco proverà fino all’ultimo a inserire uno strumento che risponde, almeno in parte, alla richiesta di restituire ai cittadini la libertà di scegliersi i parlamentari: le primarie, obbligatorie per legge oppure facoltative su modello toscano. «In questo caso il Pd le farà» è la promessa con cui Renzi conta di placare i fautori delle preferenze. Adesso quel che preoccupa il segretario è il voto segreto in Aula. Il rischio dei franchi tiratori è ridotto al minimo, ma non scongiurato. Per questo Matteo ha rinunciato alla formula imperativa del «prendere o lasciare», aprendo alle modifiche. «Se tutto il Pd si riconosce in un testo condiviso potremo anche perdere qualche pezzo, ma saranno pochi casi isolati» è stato il suo ragionamento.

I rapporti con Letta restano ibernati, eppure al Nazareno non escludono che il segretario possa vedere il premier anche oggi stesso. E se l’uscita di Brunetta ha rimesso nell’aria il fantasma del voto anticipato, al Pd smentiscono che Renzi stia brigando per ottenere le urne. La prova? «Per realizzare l’intera riforma costituzionale ci vuole almeno un anno». Eppure tra i renziani c’è chi accredita una suggestione assai spinta: la minoranza di Gianni Cuperlo starebbe valutando l’idea di spingere anzitempo il segretario a Palazzo Chigi, dopo aver convinto Letta a fare un passo indietro: una mossa ardita, che consentirebbe agli ex ds di risalire la china e riequilibrare i rapporti di forza interni. Ma Debora Serracchiani, intervistata da Maria Latella su Sky TG24, scaccia l’ipotesi: «Un governo Renzi-Berlusconi senza passare per le urne? Fa parte del teatrino della politica».

27 gennaio 2014
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Monica Guerzoni

Da - http://www.corriere.it/politica/14_gennaio_27/i-ritocchi-segretario-l-intesa-soglia-4percento-premio-37percento-su-9013e60a-871d-11e3-b7c5-5c15c6838f80.shtml
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« Risposta #43 inserito:: Febbraio 14, 2014, 06:34:57 pm »

IL GOVERNO AL BIVIO
Il premier avvisa: «Il partito può sfiduciarmi, ma deve succedere alla luce del sole»
Letta : «Se Renzi vuole il mio posto lo dica chiaramente»

ROMA - «Io farò in modo che tutto accada alla luce del sole». Adesso che è finito in trappola, Enrico Letta tenta il tutto per tutto. Sa che può essere irreparabilmente tardi e che sul suo destino politico «agirà la provvidenza», eppure passa al contrattacco e sfida il segretario del Pd, per costringerlo a gettare la maschera: «Se Renzi vuole prendere il mio posto a Palazzo Chigi deve dirlo a chiare lettere. Il mio partito vuole sfiduciarmi? Lo faccia nelle sedi opportune, perché io non mi dimetto». Il premier è deluso, impressionato dalla velocità con cui, in una manciata di giorni, si è ritrovato accerchiato e isolato. Però è convinto di essere nel giusto e determinato a far sì che ognuno, a cominciare dal sindaco di Firenze, «si assuma davanti agli italiani le proprie responsabilità».

L’INCONTRO TRA I DUE- Stamattina il premier dovrebbe incontrare Matteo Renzi, perché il capo dello Stato ha chiesto ai duellanti di cercare «all’interno del Pd» un accordo, una via di uscita. Il pressing su Letta perché si dimetta è fortissimo. Secondo fonti parlamentari anche Angelino Alfano e Maurizio Lupi, saliti ieri sera da lui, gli avrebbero chiesto di arrendersi, ma Palazzo Chigi smentisce: «Al contrario, gli hanno chiesto di restare». Il premier è davanti all’ultimo bivio. Passo indietro o estremo tentativo di rilanciare il governo? Se imboccherà questa seconda strada, chiamerà i giornalisti in conferenza stampa e presenterà il contratto di governo che ha ribattezzato «Impegno Italia», cancellando la data di scadenza dell’esecutivo. Parlerà ai lavoratori, ai disoccupati, al mondo politico ed economico. Elencherà riforme e nomi dei nuovi ministri e chiederà al Pd di rinnovargli la fiducia oppure di negargliela, domani in direzione.

«VADO AVANTI FINO ALLA FINE» - O almeno, questo era il piano di Letta prima del big bang. «Un patto di coalizione incentrato sulla ripresa economica - che sperava di presentare già nel pomeriggio di ieri -. Un patto che convincerà tutti i partiti che sostengono l’esecutivo». Ma ieri notte il clima a Palazzo Chigi era drammaticamente mutato. A dominare era la tentazione di dare sfogo, pubblicamente, a un’arrabbiatura senza precedenti per Letta: «Io non mi dimetto. Vado avanti alla luce del sole, fino alla fine». Dove la «fine», se tutto dovesse precipitare, è l’idea estrema di rischiare la sfiducia in Parlamento: «Non sono disponibile a nessun compromesso. E non mi presto a manovre di palazzo o macchinazioni di potere. Per quanto mi riguarda non c’è alcun piano B». E se i renziani parlano apertamente delle contropartite possibili, dipingono Letta pronto ad accettare da Renzi la guida della Farnesina o, in subordine, a concedergli un «lasciapassare» per fare il commissario Ue, Letta scaccia queste ipotesi con una risata amara: «Tutte cose che respingo categoricamente. Chi le propone prova ad applicarmi standard etici e di dignità della politica che forse appartengono a chi le immagina, ma non a me». Anche questo potrebbe dire Letta davanti alle telecamere, a meno che Napolitano non gli chieda di tapparsi la bocca per il bene del Paese.

I VOLTAFACCIA - Ieri mattina, prima di partire per Milano, il premier ha fatto tappa al Quirinale ed è sceso dal Colle quaranta minuti dopo, con la speranza di avere ancora il sostegno del capo dello Stato. «Mi ha detto di andare avanti, io al governo e Renzi alle riforme», ha confidato ai suoi. Ma poi, ora dopo ora, lo scenario è cambiato. Il governo Renzi ha preso corpo, con i fedelissimi del sindaco che parlavano di una lista dei ministri: per il governo del «dopo Letta», non per un bis del premier.. Ore nere, per l’ex vicesegretario del Pd, che pure aveva messo nel conto sin dal principio i rischi di un governo pro tempore. Quel che non aveva previsto e che adesso lo addolora sono i «voltafaccia», i «tradimenti», lo schierarsi rapidissimo dei ministri a lui più vicini con il leader democratico. Un vuoto pneumatico che Letta non ha voluto vedere, nonostante gli amici abbiano fatto a gara nel metterlo in guardia. Solo ieri, a clessidra ormai quasi vuota, il premier ha ammesso di aver aspettato troppo a lungo per reagire: «Se ho tenuto nel cassetto la mia proposta di rilancio è perché mi sono fidato di Renzi, che mi chiedeva tempo per garantire il percorso delle riforme. Io sono sempre stato leale». Ma ora i lettiani, che parlano di Renzi come di un «lanzichenecco», dicono che «era tutto un bluff». «Una copertura, sotto la quale ordire la trama del nuovo governo».

12 febbraio 2014
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Monica Guerzoni

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_12/premier-avvisa-il-partito-puo-sfiduciarmi-ma-deve-succedere-luce-sole-1df6c21c-93ad-11e3-84f1-d7c36ce692b4.shtml
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« Risposta #44 inserito:: Marzo 29, 2014, 12:12:13 pm »

Il retroscena
Senato, 28 giorni per la riforma
E spunta il fronte del no
Disagio trasversale nella maggioranza. Schifani: sulla velocità sarei prudente

di Monica Guerzoni

ROMA - «Calendario parlamentare alla mano, da qui alle europee ci sono solo 28 giorni utili... Nemmeno De Gasperi, Moro e Leopoldo Elia insieme potrebbero riformare il Senato in così poco tempo!». Cinque del pomeriggio, Palazzo Madama. I senatori sciamano verso la buvette e il lettiano Francesco Russo, che tiene nel cassetto un documento con 25 firme contro «un Senato dopolavoristico», scambia battute con Roberto Calderoli. «La riforma di Berlusconi era uguale a quella di Renzi e i cittadini la bocciarono», ammonisce il vicepresidente leghista del Senato. E qui l’ex ministro della Difesa, Mario Mauro, apre l’Ipad e recita Wikipedia, alla voce Referendum costituzionale del 2006: «La maggioranza dei votanti ha respinto la riforma... Dovremmo rispettare la loro volontà, non possiamo riproporgliela pari pari. Stiamo attenti a non fare sciocchezze».

Il premier risponde agli scettici: «Non ti preoccupare»
Il voto sulle Province, dove il governo ha rischiato grosso, ha fatto rialzare la testa ai tanti che, pure nella maggioranza, covano perplessità sul metodo e sul merito. Chi parla (sottovoce) del rischio di una «deriva autoritaria» e chi invita il governo a frenare. «Alla riunione del Pd - racconta Corradino Mineo - ho detto a Renzi “attento Matteo, che infroci”!». E il premier? «Mi ha risposto “non ti preoccupare”». Il presidente avrà fatto scongiuri mentre tranquillizzava il senatore, ma raccontano che abbia incassato «con pazienza e diplomazia» le lagnanze dei suoi parlamentari, stando bene attento a non ferire l’orgoglio dei rottamandi senatori...
Come ripete da giorni il democratico Walter Tocci «Renzi non può dire “o la votate o me ne vado”», perché «non si minaccia la crisi politica per cambiare la Costituzione». E quella che sembrava la rivolta controcorrente di un singolo sta diventando un’onda. «Il drappello dei resistenti aumenterà, è molto difficile che qua dentro passi quella roba», gufa da sinistra Mineo: «Perché in Forza Italia si dovrebbero impiccare alla fine del bicameralismo, quando non sono sicuri che l’Italicum li riporterà in Parlamento?».

I mal di pancia in casa Pd e Ncd
Il Pd soffre, prova ne sia l’attivismo di Anna Finocchiaro e Luigi Zanda nel mediare e migliorare il testo del governo. «Una deriva peronista dolce, come forma di populismo, è sempre in agguato - avverte il bersaniano Miguel Gotor - Le riforme vanno sottratte a un interesse elettorale. Serve, se non un respiro costituente, almeno un sussurro...». Massimo Mucchetti ritiene «molto deboli e contraddittorie le modalità di nomina dei senatori» e teme che il combinato disposto con la nuova legge elettorale finisca per «concentrare il potere nelle mani di un solo partito, magari personale e carismatico».
Vannino Chiti invita a rafforzare le competenze: «Se sui senatori si riversa la sensazione che saranno irrilevanti, ci si complica la vita anche sulle riforme. Ridurre il numero dei senatori e lasciare 630 deputati porterebbe a uno squilibrio, è il Parlamento che bisogna riformare». Altrettanto profondo è il disagio del Nuovo centrodestra, che ha pronto un documento critico. Il capogruppo, Renato Schifani: «Noi vogliamo contribuire con un atteggiamento costruttivo e non dilatorio. Ma sulla velocità sarei più prudente, bisogna lasciare spazio al dibattito. Un percorso accidentato delle riforme sarebbe pericoloso per il governo. E il voto di fiducia sarebbe uno strappo, che nessun governo ha mai realizzato su una modifica costituzionale».

«Il rischio? Che salti tutto»
A Renzi, Linda Lanzillotta suggerisce di «non farsi prendere da furori demagogici o improvvisazioni costituzionali» e rivela il timore dei senatori di Scelta civica, «che si acceleri sulle riforme per contenere Grillo alle Europee». Ma la vicepresidente del Senato non ci sta a figurare tra i frenatori: «Rappresentare chi pone obiezioni di merito come la palude è un approccio non accettabile». Lei lo sa che se non abolite il Senato il premier vi porta alle urne, vero? «Non si può minacciare le elezioni solleticando i peggiori sentimenti della casta». Il capogruppo di Scelta civica Gianluca Susta non nasconde le sue preoccupazioni e l’ex ministro Renato Balduzzi sta limando un disegno di legge alternativo. Il socialista Enrico Buemi ne ha scritti addirittura due: il primo per abolire provocatoriamente la Camera «che costa il doppio» e il secondo, sul quale sta raccogliendo le firme, che si ispira al Parlamento norvegese: «Non possiamo fare del Senato un organo podestarile, dove una sola forza politica è depositaria di tutta la rappresentanza. E io non voterò mai un provvedimento costituzionale su cui venisse posta la fiducia». Buemi è convinto che non si possa abolire l’elezione diretta dei senatori e come lui la pensano in tanti, sia nel Pd che nel Ncd. Gaetano Quagliariello: «C’è forte preoccupazione, anche tra i rappresentanti delle Regioni, per questa sorta di nuovo centralismo municipale. Renzi ci vada coi piedi di piombo, se prendiamo una musata sulle riforme si scassa tutto». Un avvertimento che fa il paio con quello di Calderoli: «Se davvero vuole toccare i poteri del capo del governo, sappia che quello è l’innesco per far saltare tutto...».

28 marzo 2014 | 07:20
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_marzo_28/senato-28-giorni-la-riforma-spunta-fronte-no-88e69228-b63f-11e3-ac02-19a792716bb3.shtml
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