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Autore Discussione: Piergiorgio ODIFREDDI.  (Letto 82157 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Ottobre 14, 2011, 05:18:53 pm »

13
ott
2011

Il libro di Jobs

Piergiorgio ODIFREDDI

Ho osservato con distacco misto a imbarazzo le celebrazioni funebri della scorsa settimana per la morte di Steve Jobs. Osannato,  si può ben dire, come un’icona del nostro tempo, simile a quelle che lui stesso ha contribuito a rendere popolari sui desktop dei nostri computer.

Obama è arrivato a parlarne come di ‘uno dei più grandi innovatori americani’, che ‘ ha trasformato le nostre vite’ e ‘cambiato il modo in cui vediamo il mondo’. Se questa è la percezione della realtà del presidente degli Stati Uniti, si può ben capire perché egli stia rischiando la non rielezione!

Al di là delle iperboli mediatiche, Jobs è infatti stato  uno stilista, che ha contribuito a trasformare il computer in un bell’oggetto e un bel giocattolo, ma niente o poco di più. Una specie di Benetton, cioè,  come quello passato alla storia per essersi arricchito vendendo magliette colorate, ma non certo per aver inventato la tessitura o vestito le genti.

In ogni caso, il mercato dei prodotti Apple è assolutamente minoritario nel mondo dell’informatica, e  i prezzi dei suoi prodotti contribuiscono a renderlo tale anche in Occidente. La vera rivoluzione sono i prodotti clonati e a basso prezzo, che possono arrivare alle masse povere e sottosviluppate: come quelli che si cerca di produrre, ad esempio, in quell’India che è oggi, per questo e altri motivi, la vera patria dell’informatica.

Farebbe dunque ridere, se non facesse piangere, che i fighetti che giocano a fare i rivoluzionari e militano in ‘Sinistra e liberta’ abbiano salutato Jobs con manifesti di cordoglio. Come se, invece di essere un capitalista e un monopolista, egli fosse un eroe proletario e libertario.

Vendola ha cercato di correre ai ripari, sconfessandoli e prendendo posizione a favore del software libero: cioè, dell’esatto opposto di quello della Apple. Ma le sue parole non possono nascondere la triste constatazione che il motivo per cui, con la scusa della crisi economica, si stanno impunemente smantellando le conquiste di mezzo secolo di lotte libertarie, è che ormai persino la sinistra estrema si è lasciata irretire dagli iidoli falsi e bugiardi del capitalismo.

Scritto giovedì, 13 ottobre 2011 alle 11:44 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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« Risposta #61 inserito:: Ottobre 28, 2011, 05:17:44 pm »

21
ott
2011

Gianluigi ODIFREDDI

La morte, dal Sahara all’Himalaya

La globalizzazione ci ha tolto, fra le tante liberta’, anche quella di andarcene in qualche altro paese e staccarci per un po’ dal nostro mondo. Infatti, le notizie che ci sommergono a casa ci rincorrono dovunque e ci raggiungono inesorabili, che lo vogliamo oppure no.

Benche’ io sia in Nepal, ho dunque saputo ugualmente della morte di Gheddafi, e delle reazioni piu’ o meno sdegnate alla sua esecuzione sommaria e al bistrattamento del suo cadavere. Cose che, l’una e l’altra, qui non potrebbero apparire piu’ irrilevanti.

Il caso ha voluto pero’ che oggi abbia visitato la cittadina santa di Pashupatinah, che costituisce una versione nepalese dell’indiana Varanasi. In particolare, vi si puo’ assistere ai riti di cremazione dei cadaveri, sulla riva del fiume: sullo stesso luogo dove venivano cremati anche i re del Nepal, fino a che ci sono stati.

Al proposito, e’ interessante notare la differenza tra il destino dell’ultimo re nepalese e quello del rais libico. Il primo e’ stato spodestato dai maoisti, sfrattato dalla reggia e condannato a vivere da cittadino normale, in due camere e cucina. Come l’ultimo imperatore cinese, d’altronde. Cosa peggio ci potrebbe essere, per un ex potente?

In fondo, l’esecuzione sommaria di un ex dittatore e’ il meglio che gli possa capitare, una pena molto piu’ umana e gradita di un’umiliante cattura seguita da un processo farsa e un’esecuzione differita e non meno cruenta, come fu per Saddam Hussein. Per non parlare, appunto, di una traumatica riduzione nei ranghi, un vero ergastolo da scontare giorno per giorno.

Solo i paladini del cosiddetto “movimento per la vita” possono pensare che vivere sia meglio che morire, in qualunque condizione e a tutti i costi. Si sbagliano, e l’esistenza dei martiri (cioe’ degli esaltati che si suicidano per interposta persona) dovrebbe ricordarglielo: anche di quelli ante litteram, come il rais, che ha preferito la morte fisica in un cruento combattimento a quella civile in un esilio dorato.

Quanto al cadavere, chi crede che sia l’anima a fare la differenza fra l’uomo e il resto del creato, dovrebbe considerare un corpo morto soltanto come una macchina da rottamare. L’esatto contrario di come viene trattato nei riti funebri, cioe’, in parte per motivi totemici e in parte per credenze superstiziose.

Paradossalmente, le cerimonie di cremazione induiste, come quelle alle quali ho assistito oggi, testimoniano un piu’ razionale distacco dalla vita e una piu’ saggia accettazione della morte. Non solo, ovviamente, della rabbia selvaggia che aizza a scempiare i cadaveri, come se fossero ancora vivi. Ma anche della sofferenza di coloro che a parole credono nella vita eterna, ma che vengono smentiti nei fatti dalle lacrime e dallo strazio, assenti invece nei ghat dell’India o del Nepal.

Scritto venerdì, 21 ottobre 2011 alle 19:34 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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« Risposta #62 inserito:: Novembre 07, 2011, 05:18:55 pm »

6
nov
2011

Regole senza significato

PIERGIORGIO ODIFREDDI


Nei pressi dell’incrocio fra le strade che da Lumbini e Pokhara portano a Katmandu, una teleferica assediata di pellegrini conduce al tempio di Manakamana, dedicato a Parvati. La dea dispensa favori in cambio di sacrifici animali: i devoti sfilano dunque pazientemente e coloritamente nel sancta sanctorum, trascinando una capra o una pecora, che poi vengono sgozzate e decapitate in un annesso, e lasciate scalciare fino alla morte sul pavimento intriso di sangue.

Il tempio fatto macello, o il macello fatto tempio, è il soggetto dell’ultimo ponderoso libro di Roberto Calasso, “L’ardore”, da non confondere con il quasi omonimo “Ada, o l’ardore” di Vladimir Nabokov. Quest’ultimo era infatti un razionalista, oltre che un famoso entomologo, mentre il primo è un vero anacronismo vivente: un irrazionalista integrale, che guida la sua casa editrice alla ricerca della saggezza perduta dall’Occidente scientifico e moderno, e in questo libro crede di ritrovarla nei riti dell’Oriente mitologico e antico.

“L’ardore” è un commento ai Brahamana: la parte più insulsa e snervante dei Veda, analoga al Levitico nella Bibbia. Incurante del fatto che i maggiori indologi li abbiano presi per quello che sono, e cioè “una massa indigesta di ciarpame” e di “regole senza significato” (Frits Staal), o “un balbettio di idioti e un farneticare di folli” (Max Müller), Calasso li considera espressioni della saggezza induista e li “spiega” sulla base della mitologia fantastica, che sembra preferire all’evoluzionismo “positivistico”.

Il problema della mattanza animale da parte degli umani carnivori esiste, naturalmente, e viene più o meno rimosso per sublimazione nei templi orientali, nelle sinagoghe mediorientali e nei supermercati occidentali. Ma pretendere di affrontarlo sulla base delle leggende degli dèi vedici e delle connesse regole rituali, come se le prime appartenessero alla storia e le seconde alle leggi di natura,  rivela un’ingenuità sconcertante e antimoderna.

Calasso non dedica neppure una riga delle sue 500 pagine al tentativo più coraggioso, ovviamente fallito, di affrontare il problema alla radice: quello del jainismo, che precede storicamente l’induismo, ancor oggi sopravvive come può nel Gujarat, e il cui ideale di non violenza totale e assoluta ispiró il Mahatma Gandhi, che vi era nato.

Soprattutto, Calasso sembra aver dimenticato (o rimosso) il detto freudiano, che condensa in due parole il giudizio moderno e clinico non solo sulle pratiche dei Brahamana, ma su tutte le gesticolazioni che si performano nelle cerimonie, sacre e profane (religiose, politiche, sportive, sociali, familiari), dell’antichità e della modernità: che “la ritualità è una psicosi collettiva, e la psicosi una ritualità individuale”.

Dunque, chi pretende (inutilmente, e sapendolo) di decostruire i riti non è un nichilista. Semmai, un portatore di sanità mentale in un mondo infettato da  plurime e variegate psicosi individuali e collettive, che non potranno essere superate prima di essere ammesse e riconosciute come tali.

Scritto domenica, 6 novembre 2011 alle 07:55

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« Risposta #63 inserito:: Novembre 16, 2011, 11:55:03 am »

13
nov
2011

10 maggio 1994 – 12 novembre 2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Dunque, l’era berlusconiana iniziata il 10 maggio 1994 è durata 6.393 giorni, circa 17 anni e mezzo. Ma non si è trattato di un nuovo ventennio, perché in questo periodo Berlusconi è stato presidente del Consiglio per 3.335 giorni, poco più di 9 anni, mentre è stato all’opposizione per 3.058 giorni, poco più di 8 anni. Cifre interessanti, sulle quali è possibile fare alcune considerazioni astratte.

Anzitutto, per quanto riguarda la permanenza al potere, con i suoi 3.335 giorni (e 4 governi) Berlusconi risulta essere di gran lunga il più longevo governante dell’Italia repubblicana, sopravanzando di circa un anno e mezzo i 2.748 giorni (8 governi) di De Gasperi, e i 2.679 giorni (7 governi) di Andreotti. Ma, soprattutto, risulta essere il terzo più longevo governante dell’Italia unita, dietro i 7.572 giorni (1 governo) di Mussolini, e i 3.837 giorni (5 governi) di Giolitti, ma davanti ai 3.189 giorni (9 governi) di Depetris, e i 2.104 giorni (3 governi) di Crispi.

Ma non appena si accosta Berlusconi non solo a Mussolini o Giolitti, ma anche a Depetris, De Gasperi, Andreotti e Crispi, si percepisce quanto deludente e sterile sia stata la sua lunga permanenza al potere, in termini di realizzazione di riforme e di opere, e addirittura di ordinaria amministrazione. Coloro che hanno governato più a lungo, ma anche molti di coloro che hanno governato di meno, hanno impresso svolte ben più radicali e profonde di lui, e saputo mandare avanti ben più efficacemente la macchina dello Stato. E in quest’ottica, suona appunto impietoso il giudizio di Le Monde, secondo cui Berlusconi “lascia l’Italia come l’ha trovata”.

La fine del berlusconesimo segna però anche la fine della Seconda Repubblica, e dell’illusione di una democrazia dell’alternanza. Perché è vero che alternanza c’è stata, e alla fine della legislatura i conti saranno equamente pareggiati tra i due poli. Ma non si è certo trattato di un’alternanza democratica, perché degli otto cambiamenti di presidenza del consiglio di questi diciassette anni e mezzo (Berlusconi I, Dini, Prodi I, D’Alema I e II, Amato II, Berlusconi II e III, Prodi II, Berlusconi IV, Monti), ben quattro sono stati provocati da tradimenti del mandato elettorale, ribaltoni e congiure di palazzo.

La maggioranza uscita dalle urne è stata ribaltata da Bossi nel 1994, Mastella nel 1998, di nuovo Mastella nel 2008, Fini nel 2010, Scilipoti e i sedicenti “responsabili” nel 2011. E l’era berlusconiana si incastona fra due congiure di palazzo, o governi del presidente che dir si voglia: quello di Dini-Scalfaro nel 1994, e quello di Monti-Napolitano tra un paio di giorni.

Berlusconi se ne va, forse definitivamente, ma non sono gli elettori a mandarlo via, e meno che mai il Pd (nonostante le patetiche rivendicazioni del suo segretario). Se ne va per il collasso dell’istituzione parlamentare e per l’attacco della speculazione globale. Dunque, c’è poco da gioire e da far festa: paradossalmente, infatti, con lui rischia di essersene andata anche quel poco di democrazia che ci rimaneva, e sulla quale riponevamo le nostre residue speranze per il futuro.

Scritto domenica, 13 novembre 2011 alle 01:24

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/11/13/10-maggio-1994-12-novembre-2011/
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« Risposta #64 inserito:: Novembre 27, 2011, 03:30:42 pm »

25
nov
2011

Un ottimo inizio

Piergiorgio ODIFREDDI


Non mi riferisco, naturalmente, al nuovo Governo dei Rapaci Bigotti. Ché, anzi, il suo inizio è stato pessimo, fra genuflessioni in Chiesa e benedizioni dal Vaticano. Un governo accolto con comprensibile e interessato entusiasmo da banchieri, industriali e preti, e con incomprensibile e autolesionista entusiasmo da lavoratori, pensionati e loro “rappresentanti”. Ne riparleremo dopo la depredazione dei beni e dei diritti che i primi perpetreranno sui secondi.

Mi riferisco, invece, a una notizia che potrebbe preannunciare un vero cambiamento epocale: il fatto che Trenitalia abbia finalmente deciso di adeguarsi agli standard minimi di civiltà, e di riservare alcune carrozze dei suoi treni a coloro che vogliono starsene tranquilli a pensare o a leggere, o anche solo a non far niente, senza essere torturati dalle chiacchiere e dai telefonini dei vicini.

Ho letto la notizia in aeroporto, dopo aver inutilmente cercato una zona sorda al riparo dagli altoparlanti e dai video che inondano gli inermi viaggiatori di ciarpame visivo e sonoro. Ma avrei potuto leggerla in un bar o in un ristorante, dove ormai l’inquinamento ambientale è universale, e non si riesce a evitare neppure implorando. Addirittura, persino nei taxi è diventato difficile far spegnere la radio, e le richieste in proposito devono passare al vaglio dei tassisti, che sembrano non capire che si può preferire il silenzio anche se non si sta andando all’ospedale o al cimitero.

Tra le misure del Governo dei Rapaci Bigotti non sembra essere stato annunciato un silenziamento d’ufficio dell’imposizione di pubblicità e di sguaiatezza che è il segno caratteristico dell’era berlusconiana. Ma fino a quando continueremo a rimanere sommersi dai richiami per allodole di Publitalia non solo sui media, ma addirittura per le strade e nei luoghi pubblici, ci sarà poco da illuderci: di Berlusconi non ci saremo liberati e la sua era continuerà, con o senza di lui.

Lo confermano le vicende dell’imposizione dall’alto, e dell’accettazione dal basso, del Governo dei Rapaci Bigotti. In fondo, se fino a un paio di settimane fa le politiche berlusconiane erano approvate solo da una metà della popolazione, ora sono accolte da una maggioranza bulgara che non farebbe onore alla democrazia italiana, se ancora ci fosse. Anche per questo sono benvenute le carrozze del silenzio di Trenitalia: per evitare di dover ascoltare le manifestazioni del nuovo pensiero unico al quale l’Italia si è rapidamente uniformata, nel giro di una settimana di repentino rintontimento generale

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/11/25/un-ottimo-inizio/
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« Risposta #65 inserito:: Novembre 30, 2011, 05:58:49 pm »

29
nov
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Giuro, nel nome della SS. Trinità

Immaginiamo che cosa sarebbe successo se, nel momento del suo giuramento di fedeltà alla Costituzione, il primo presidente comunista della storia d’Italia avesse alzato il pugno chiuso. Ipotesi assurda, ovviamente, perché già da giovane Napolitano era quanto di meno comunista si potesse pensare, e di alzare il pugno chiuso non gli è probabilmente mai passato in mente, nemmeno sulla Piazza Rossa. Ma sarebbe stato comunque uno scandalo, per l’ovvio motivo che una carica pubblica richiede il silenziamento delle opinioni private, e mezza Italia sarebbe giustamente insorta.

Che cosa succederà, dunque, ora che il nuovo sottosegretario all’Interno ha fatto il segno della croce dopo aver giurato? Niente, ovviamente, perché da noi è ben diverso professarsi apertamente comunisti, oppure cattolici! Nei confronti dei primi c’è una convenzione ad esclusione, sfruttata in maniera quasi comica da Berlusconi nelle sue campagne elettorali. Nei confronti dei secondi c’è invece un complotto ad inclusione, che fa sì che senza il benestare della Chiesa non si possano ricoprire le alte cariche dello Stato: nemmeno quando si è più libertini del marchese De Sade.

Il gesto del nuovo sottosegretario è comunque istruttivo. Anzitutto, perchè in uno stato non confessionale è ridicolo giurare “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”: infatti, non lo si fa nemmeno quando si mettono le mani sulla Bibbia, che viene fatta intervenire solo come minaccia suprema contro lo spergiuro. E poi, perchè quel gesto rivela una preoccupante confusione mentale del neosottosegretario, che allontanandosi dal tavolo del presidente del Consiglio deve averlo scambiato, per troppa abitudine, con l’altare del prete.

A meno che non si trattasse di un puro scongiuro, come quello dei calciatori prima delle partite di calcio. Dello stesso genere, cioè, delle corna che il presidente Leone aveva fatto il 7 settembre 1973 a Napoli, all’ospedale dov’erano ricoverati i contagiati dal colera, e ripetuto il 18 ottobre 1975, quand’era stato contestato dagli studenti a Pisa: provocando, almeno lui, il dileggio delle persone normali.

In entrambi i casi, si tratta di gesti che ricordano vuote mitologie. Il segno delle corna, il tradimento della moglie di Minosse col Toro di Creta. Il segno della croce, la confusione fra il simbolo del supplizio romano e l’invenzione niceana della trinità. E’ forse possibile, aspettarsi soluzione razionali dei problemi e delle crisi da gente che fa le corna o si segna? Non è forse necessario, chiedere che le superstizioni rimangano fuori dalle sale di comando?

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/11/29/giuro-nel-nome-della-ss-trinita/
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« Risposta #66 inserito:: Dicembre 05, 2011, 11:49:02 pm »

5
dic
2011


Piergiorgio ODIFREDDI


Lacrime da coccodrillo

Dunque, i Monti hanno partorito i topolini. Nelle direzioni che, essendo facilmente prevedibili, erano state facilmente previste: da questo blog, in particolare.

La signora Fornero si è commossa, all’annuncio della fine dell’adeguamento delle pensioni all’aumento del costo della vita: cioè, a una loro sostanziale diminuzione. Ovviamente, erano lacrime di gioia, visto che le misure di contenimento delle pensioni sono la sua specialità, e che lei è stata chiamata al ministero delle sedicenti Politiche Sociali proprio per farle passare dalla teoria universitaria alla pratica governativa.

Il signor Monti, coerentemente, ha sorriso quando è intervenuto al posto del ministro, per permetterle di riaversi dall’emozione.
Mentre c’era, ha fatto pure un po’ di populismo ad uso del popolo bue, annunciando di rinunciare allo stipendio da presidente del Consiglio e da ministro dell’Economia. Ma non, ovviamente, al vitalizio preventivo che gli è stato elargito da Napolitano, con la sua nomina a senatore a vita, appunto.

L’una e l’altro sarebbero risultati più credibili se, ad esempio, avessero annunciato non un innalzamento dell’età pensionabile di coloro che hanno maturato la pensione lavorando, bensì un abbassamento delle pensioni di coloro che le ricevono in misura superiore a quanto hanno maturato. Ad esempio, i lavoratori autonomi, il cui prelievo è inferiore del 12 per cento a quello dei lavoratori dipendenti (21 per cento, rispetto al 33).

Oppure, se avessero annunciato non un gesto simbolico di rinuncia per i ministri a un cumulo di stipendi, che nel caso di Monti sarebbero stati addirittura tre, bensì la proibizione di questo cumulo a tutti i livelli di cariche pubbliche: non solo statali, ma anche, e soprattutto, regionali, provinciali e comunali.

Di riforme strutturali serie, nella legge “salva Stato” e “spremi cittadino”, non se ne vedono. In particolare, nessun tentativo di recupero dei 100 miliardi stimati di evasione fiscale: una cifra che ogni anno supera l’insieme di tutte le manovre del corrente annus horribilis. Nessun cenno a una patrimoniale, che colpisca almeno le proprietà di coloro che non denunciano i redditi. Al loro posto, solo specchietti per allodole: ad esempio, il buffetto (o la buffonata) dell’uno e mezzo per cento sul condono per il rientro dei capitali
all’estero; o la tassa sulle auto di lusso e le barche, già imposta senza effetto dai governi democristiani decine di anni fa.

Ben reali e concreti sono invece il ritorno dell’Ici sulla prima casa, l’aumento delle imposte comunali e l’aumento dell’Iva, da una parte. E le esenzioni alle imprese e gli incentivi allo sviluppo, dall’altra. Non c’è da stupirsi che i sindacati siano contrari, e la Confindustria, il Pdl e gli speculatori della borsa favorevoli. Quanto al Pd, nemmeno coloro che hanno le lacrime facili, come la signora Fornero, riuscirebbero ormai a trovarne per piangere sulla sua ignavia, probabile prodromo della sua scomparsa nel cestino dei rifiuti della storia italica.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/12/05/lacrime-da-coccodrillo/?ref=HREA-1
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« Risposta #67 inserito:: Dicembre 10, 2011, 04:40:51 pm »

Conflitti d’interessi, ancora e sempre

9
dic
2011

Per una procreazione responsabile

PIERGIORGIO ODIFREDDI

 A Trento un interessante conflitto ha opposto una sedicenne incinta e i suoi genitori. Lei vorrebbe tenere il figlio concepito con un albanese. Loro si sono rivolti al tribunale per farla abortire (di nuovo, visto che la ragazza è recidiva). Ma ill giudice ha negato l’imposizione dell’intervento, perché per la nostra legislazione l’aborto è un diritto (limitato), ma non un dovere.

Naturalmente, non si può pretendere molto di diverso, in un paese in cui la politica famigliare è ispirata a valori predicati da eunuchi che si rifanno agli insegnamenti di una “famiglia” in cui tutti i membri (padre, madre e figlio) erano vergini.

Ma in un paese ideale e razionale, cosa ci si potrebbe aspettare? Una procreazione responsabile richiederebbe anzitutto e sopratutto  la considerazione e la difesa del diritti dei nascituri. Diritti che includono quelli enunciati in teoria dalla Costituzione: salute, istruzione, lavoro. Ma anche quelli rivendicati in pratica da chiunque: benessere, felicità, autorealizzazione.

In mancanza di adeguate prospettive che rendano l’adempimento di queste condizioni se non certe,  cosa ovviamente impossibile da assicurare, almeno probabili e prevedibili, i tribunali dovrebbero intervenire per impedire la procreazione. Anzitutto, in maniera preventiva, forzando all’uso di anticoncezionali. E poi, quando la prevenzione avesse fallito, imponendo la cessazione della gravidanza.

Le problematiche sollevate dal caso di Trento, in altre parole, non hanno nulla a che vedere col fatto che la madre sia minorenne, o che il padre sia extracomunitario, o che i due non siano sposati. La procreazione responsabile è un dovere civile e sociale anche, e soprattutto,  dei cittadini adulti sposati. E uno stato degno di questo nome dovrebbe vigilare affinché essa fosse praticata, e imposta quando non lo tosse.

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« Risposta #68 inserito:: Dicembre 16, 2011, 11:51:38 pm »

16
dic
2011

Onorevoli disonorati

Piergiorgio ODIFREDDI

A imporre l’Ici alla Chiesa, non ci avevano pensato. A fare un’asta sulle frequenze televisive, neppure. Tassare i capitali non si può, se no scappano. Liberalizzare licenze o farmaci, nemmeno, perché taxisti e farmacisti si lamentano. Almeno una riforma epocale, a costo zero, il governo Monti la potrebbe però fare, per passare alla storia: abolire il titolo di “onorevole” per quella razza di personaggi che siedono in Parlamento, a disonore delle istituzioni e degli elettori.

L’ultimo a fare un involontario outing è stato Antonio Razzi, appunto. L’onorevole è residente in Svizzera, e dopo essere stato eletto per ben due volte nell’Italia dei Valori nella Circoscrizione Estero, è passato dapprima al gruppo Noi Sud (se fosse una battuta non farebbe ridere, ma non lo è), e poi al movimento dei sedicenti Responsabili. Il suo voto, insieme a quello dell’onorevole Domenico Scilipoti, medico omeopata di fama brasiliana, pure lui eletto nell’Italia dei Valori e passato ai Responsabili, è stato determinante per prolungare l’agonia del governo Berlusconi e del paese per un intero anno, a partire dal 14 dicembre 2010.

Basta andare su YouTube e digitare i nomi dei due “onorevoli”, per assistere a spettacoli che chiamare indecorosi e surreali sarebbe un’understatement. L’ultimo in ordine di tempo l’ha carpito l’onorevole Franco Barbato, sempre dell’Italia dei Valori, che ha registrato con un telefonino le dichiarazioni dell’ex compagno di partito Razzi, il quale ha spiegato che la sua motivazione per lasciare l’opposizione e dar vita a un ribaltone e a una nuova maggioranza era stata … la maturazione della pensione da parlamentare!

In un paese normale l’indignazione popolare avrebbe travolto il personaggio, costringendolo immediatamente a pensionarsi senza pensione. Nel nostro, invece, l’onorevole Alessandra Mussolini, che siede in Parlamento da cinque legislature soltanto perché portatrice dell’handicap di un indegno cognome, e che contende a Scilipoti l’Oscar per le piazzate più indegne, si è scagliata non contro Razzi, ma contro Barbato! Perché, secondo lei (e non solo secondo lei), gli elettori hanno diritto di conoscere le porcate fatte dai parlamentari soltanto quando e come essi decidono di farglielo sapere.

Naturalmente, la lista dei parlamentari a cui il titolo di “onorevole” si addice come quello di “uomo d’onore” a un mafioso, è lunga e variegata. Forse nel nostro Parlamento l’unica vera e stabile maggioranza è proprio quella degli onorevoli disonorati e, soprattutto, disonoranti. Perché dunque non abolire almeno il titolo, e con esso l’assurda pratica di considerare onorevole chi invece le istituzioni le disonora, e che in un paese onorato dovrebbe esserne tenuto alla larga come un appestato?

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/12/16/onorevoli-disonorati/
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« Risposta #69 inserito:: Dicembre 19, 2011, 04:55:04 pm »

17
dic
2011

Morte di un ateo reazionario

Piergiorgio ODIFREDDI

Una dozzina di anni fa, durante un viaggio a Calcutta, trovai un libretto su Madre Teresa dal salace titolo La posizione missionaria, annacquato in La posizione della missionaria nella traduzione italiana di Minimum Fax di qualche anno dopo.
Non conoscevo l’autore, ma mi colpì il suo coraggio nello smascherare come una ciarlatana quella che in Occidente veniva allora, e viene tuttora, considerata come una “santa”.

Memorizzato il nome di Christopher Hitchens, lo tenni d’occhio. Ma dopo l’11 settembre 2001 rimasi molto deluso nel leggere su Internazionale alcuni suoi articoli, ancora facilmente reperibili in rete, che questa volta smascheravano lui come un reazionario schierato con la politica di Bush, favorevole alla sedicente “guerra al terrorismo”, paladino dell’invasione dell’Iraq e allergico ai pacifisti.

Quando nel 2007 uscì il suo best seller Dio non è grande, pochi mesi dopo il mio Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), mi precipitai a leggerlo, sperando di trovare in lui un alter ego nella mia battaglia “per l’onore dello spirito umano”.
Ma dovetti abbandonarlo deluso dopo qualche capitolo, infastidito dalla sua retorica alla Oriana Fallaci, irrazionale e violenta.

Per ironia della storia, a unire i nostri nomi e i nostri libri ci hanno pensato l’Avvenire e il cardinal Ravasi, stigmatizzando il nostro approccio alla religione come “ironico e sarcastico”, e la nostra lettura dei testi sacri come “fondamentalista”. Con la successiva pubblicazione nel 2008 di L’illusione di Dio di Richard Dawkins, e nel 2009 del Trattato di ateologia di Michel Onfray, nella visione clericale si è costituito un “quartetto ateo”, la cui musica profana suona dissonante alle orecchie assuefatte a quella sacra.

Ravasi non ha perso occasione per ribadire, anche recentemente, che la strombazzata iniziativa del Cortile dei Gentili è aperta all’ascolto dei non credenti addomesticati o addomesticabili, ma che noi quattro vi siamo solennemente esclusi. Così facendo, ha perso l’occasione di dibattere con Hitchens, che è morto il 15 dicembre a Houston. Peccato, perché i loro stili stavano fra loro come il diavolo e l’acqua santa, e ci saremmo tutti molto divertiti a starli a sentire. A parte Ravasi, ovviamente.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/12/17/morte-di-un-ateo-reazionario/
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« Risposta #70 inserito:: Gennaio 16, 2012, 11:52:28 am »

« Morte di un ateo reazionario Il 2012 e la fine del mondo »

21
dic
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Da Montesquieu a Napolitano

Ieri il presidente della Repubblica ha difeso il suo operato nella costituzione del governo Monti, e l’aderenza e fedeltà alla Costituzione dell’intero processo di nomina del governo dei tecnici. Parole inutili, ovviamente. Anche perché neppure coloro che lo accusano di aver fatto uno “strappo costituzionale”, si sarebbero aspettati che lui ammettesse le accuse. Non potendo dir altro che ciò che ha detto, Napolitano avrebbe potuto risparmiarsi la fatica di dirlo. Ma, si sa, le cerimonie del potere sono dei riti, e tutti i riti sono vuoti.

Se avesse invece deciso di lasciare da parte la forma dei riti, per affrontare la sostanza della questione, il presidente avrebbe anzitutto potuto far notare che il governo Monti è il primo della storia repubblicana, che quasi rispetti il principio di separazione dei poteri enunciato nel 1748 da Montesquieu nello Spirito delle leggi. Un principio non rispettato nella teoria della nostra Costituzione, e mai applicato nella pratica di tutti i precedenti governi.

Come si insegna infatti a scuola, evidentemente per confondere gli studenti, il principio in questione stabilisce che ci sono tre tipi di potere: legislativo, esecutivo e giudiziario. E che i tre poteri devono essere indipendenti e sovrani. Immediato corollario del principio è che le tre funzioni di parlamentare, ministro e giudice sono fra loro incompatibili. Dunque, un governo composto di parlamentari va contro il principio di separazione dei poteri, benché questa sia stata la prassi fino a ieri.

E anche di oggi, in parte, perché Monti è stato nominato senatore a vita pochi giorni prima di essere nominato presidente del Consiglio. E poiché i senatori a vita sono legislatori a tutti gli effetti, la sua presenza nel governo viola il principio di separazione dei poteri. E’ dunque singolare che la nomina di Monti sia stata interpretata come “un colpo di genio politico”, quando in realtà non era altro che la reiterazione del fatto che la nostra Repubblica sarà anche fondata sul lavoro, ma certo non lo è sulla separazione dei poteri.

Quanto a coloro che spiegano che il governo Monti non costituisce uno “strappo costituzionale”, perché ha regolarmente ricevuto la fiducia del Parlamento, forse si dimenticano che sia questo Parlamento, sia quello precedente, sono in realtà essi stessi delle imbarazzanti anomalie democratiche. I parlamentari infatti non sono stati eletti, ma nominati dalle segreterie dei partiti. E gli elettori non hanno votato per i parlamentari, ma per i partiti stessi. Dunque, il nostro non è un sistema parlamentare, ma partitico.

Il presidente della Repubblica avrà certo ragione, quando afferma che tutto si è svolto nel rispetto della Costituzione.
Ma questo significa soltanto che è la Costituzione ad avere torto, perché la democrazia che si fonda su di essa non è altro che un simulacro di ciò che una vera democrazia potrebbe e, soprattutto, dovrebbe essere.

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« Risposta #71 inserito:: Gennaio 16, 2012, 11:53:12 am »

Monti il Malinconico

12
gen
2012

Piergiorgio ODIFREDDI

Quel porcellum della Costituzione

Forse i giudici della Corte Costituzionale non se ne sono accorti. Ma la conseguenza logica di dichiarare che i cittadini non possono abrogare o modificare l’attuale legge elettorale, è che la Costituzione perversamente privilegia la forma della legge elettorale alla sostanza della democrazia.

Ora, la legge n. 270 del 21 dicembre 2005 è stata definita dal suo stesso relatore, il senatore leghista Roberto Calderoli, in un’intervista del 15 marzo 2006 a Matrix: “una porcata, fatta volutamente per mettere in difficoltà una destra e una sinistra che devono fare i conti col popolo che vota”.

In seguito, in un articolo sul Corriere della Sera del 1 novembre 2006, il politologo Giovanni Sartori ha tradotto in latino l’espressione, facendo diventare la legge elettorale un porcellum. E ha sbagliato, perché sarebbe stato meglio continuare a usare il ben più incisivo termine originario.

Porcata o porcellum che sia, l’organo preposto a giudicare queste cose ci assicura che la Costituzione impedisce ai cittadini di cambiarla: il privilegio è riservato ai soli parlamentari, che di quella legge sono appunto i beneficiari. E allora, i casi sono solo due. O è una porcata, o un porcellum, anche la Costituzione. Oppure, è una porcata, o un porcellum, la decisione della Corte Costituzionale. In entrambi i casi, che non si escludono necessariamente a vicenda, siamo molto mal messi.

Nel frattempo, quella orwelliana Fattoria degli Animali che si chiama anche Parlamento, i cui membri sono appunto stati nominati grazie alla porcata, o al porcellum, ha votato contro l’arresto dell’uomo d’onore Nicola Cosentino. E la decisione va ad allungare l’elenco degli atti parlamentari ai quali si adattano entrambi i termini, italiano e latino.

Il presidente della Repubblica si è scandalizzato, perché l’onorevole Antonio Di Pietro ha gridato al regime. Forse, però, avrebbe fatto meglio a scandalizzarsi del fatto che solo lui l’abbia fatto, mentre tutti gli altri continuano a ballare al suono della musica costituzionale. E invece di difendere la sentenza della Corte, il presidente avrebbe potuto e dovuto censurarla, viste le conseguenze logiche che essa porta con sé.

O tempora, o mores, esclamava Cicerone in tempi come i nostri. Almeno lui poteva prendersela con il suo Catilina. Ma noi, ora che il nostro Catilina si è fatto da parte, ma le porcate continuano come prima, con chi potremmo e dovremmo prendercela?

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« Risposta #72 inserito:: Gennaio 22, 2012, 10:12:17 am »

21 gen 2012

Piergiorgio ODIFREDDI

Le cose giuste per le ragioni sbagliate


Il governo ha finalmente emanato il decreto sulle liberalizzazioni, sollevando le proteste più o meno civili degli interessati, dai taxisti ai farmacisti. E mai parola è stata più appropriata di “interessati”, come in questo caso.

Perché è evidente che i taxi-fascisti, che non a caso sono stati i grandi elettori del sindaco Alemanno a Roma, parlano per i propri interessi. Le loro licenze, spesso pagate con sovrapprezzi in nero, costituiscono infatti delle indebite rendite di posizione, che vengono messe in discussione dalla liberalizzazione. Ed essi sono disposti a usare i manganelli per difenderle, come hanno fatto ieri a Genova dando la caccia a Cacciari (chissà perché).

E’ però singolare che il governo abbia cercato di spiegare che le sue misure dovrebbero portare a una crescita del dieci per cento del prodotto interno lordo. Perché, come già notavano quei due buontemponi di Bouvard e Pecuchet nell’omonimo romanzo di Flaubert, “quando manca il lavoro, vuol dire che i prodotti sono troppi, e voi reclamate che vengano ancora aumentati!”.

Le liberalizzazioni andrebbero giustificate non dalla parte dei produttori, ma dalla parte dei consumatori. Cioè, misure come l’aumento del numero dei taxi e delle farmacie, o la dilatazione degli orari di apertura dei negozi, dovrebbero essere poste in atto per potenziare i servizi pubblici, con l’obiettivo di far vivere meglio i cittadini. E non per potenziare la speculazione privata, che tende sempre e comunque a sfruttarli.

Un esempio paradigmatico è costituito da quell’anomalia burocratica che sono i notai. In molti paesi, a partire dagli Stati Uniti, le loro funzioni sono svolte efficacemente, e soprattutto gratuitamente, da impiegati comunali. La stessa esistenza dei notai, dunque, è un affronto al cittadino. E il problema non è aumentarne il numero, nella speranza che la mano invisibile di Adam Smith dia un colpettino verso il basso alle loro tariffe, ma semplicemente abolirne il ruolo.

La stessa cosa vale per i taxisti. Perché mai i servizi pubblici, come i trasporti urbani, dovrebbero essere parzialmente delegati a corporazioni private di energumeni? Uno stato degno di questo nome, invece di aumentare le licenze, le abolirebbe, e provvederebbe da sé al servizio dei taxi, come d’altronde già fa per quello degli autobus.

E invece, i venti della liberalizzazione soffiano in un’altra direzione: quella del suicidio dello stato e delle sue funzioni, a favore del privato e delle sue vessazioni. Le giuste reazioni di disgusto alle serrate dei taxifascisti dovrebbero farci domandare se allargare il peso e il ruolo di certe categorie fornisca una soluzione al problema del disservizio pubblico, o non costituisca piuttosto una sua complicazione.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/01/21/le-cose-giuste-per-le-ragioni-sbagliate/
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« Risposta #73 inserito:: Gennaio 28, 2012, 06:31:41 pm »

28
gen
2012


Sport alla Borges

Piergiorgio ODIFREDDI

Nelle Cronache di Bustos Domeq, di Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares, c’è un breve racconto intitolato Esse est percipi, che riporta questa conversazione fra due amici:

La voce del presidente sentenziò: “Ferrabàs, ho già parlato con De Filippo e con Camargo. La prossima volta perde la Riserva, per due a uno. Il gioco sarà accanito, ma non ricada ancora, se ne ricordi, nel passaggio di Musante a Renovales, che tutti conoscono a memoria. Voglio immaginazione, immaginazione. Capito? Può andare”.

Radunai le forze per arrischiare la domanda: “Debbo dedurre che il punteggio è stabilito in partenza?”

Savastano mi gettò letteralmente nella polvere: “Non esiste punteggio, né formazioni, né partite. Gli stadi cadono tutti a pezzi. Oggi le cose succedono solo alla televisione e alla radio. La falsa eccitazione dei locutori non le ha mai fatto sospettare che è tutto un imbroglio? L’ultima partita di calcio è stata giocata in questa città il 24 giugno del ’37. Da quel preciso momento il calcio, come tutta la vasta gamma degli sport, è un genere drammatico, interpretato da un solo uomo in una cabina o da attori in maglietta davanti al cameramen”.

“Ma chi ha inventato tutto questo?”, riuscii a domandare.

“Non si sa. Tanto varrebbe indagare a chi siano venute in mente per primo le inaugurazioni di scuole e le visite fastose di teste coronate. Son cose che non esistono fuori degli studi di registrazione e delle redazioni. Si persuada, Domeq, la pubblicità di massa è il segno dei tempi moderni”.

Sarebbe difficile trovare un commento più appropriato alle confessioni del “campione” Cristiano Doni, il quale ha confermato che il calcio è una farsa, come d’altronde avevano già abbondantemente provato le indagini sulle cosiddette “calcioscommesse”. Il ciclismo non è da meno, come sappiamo da ben prima della morte di Pantani.

E allora, non rimangono che alcune domande. Perché la televisione continua a trasmettere lo sport, anche nei giorni non dedicati alle farse? Perché gli spettatori continuano a guardarlo, pur sapendo che è reale quanto una telenovela? E, soprattutto, perché si continua a chiamare “guardone” chi osserva chi fa sesso, invece di farlo, e “prostituta” chi lo fa per guadagno, invece che per piacere, e non si applicano le stesse categorie agli spettatori e agli atleti di questo nostro mondo malato?

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/01/28/sport-alla-borges/
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« Risposta #74 inserito:: Febbraio 06, 2012, 10:55:58 am »

2
feb
2012

La scienza all’acqua di Lourdes

Piergiorgio ODIFREDDI

Per un logico, il caso della banda di biologi e fisici che è stata “debellata” dalle forze dell’ordine per una singolare truffa, è veramente meraviglioso.

Dapprima, il fatto. La truffa consiste nell’aver preteso che le acque di Lourdes fossero miracolose, e di averle vendute come cura taumaturgica a una serie di malati ad Ancona, Milano, Venezia e Bari. Il risultato è stata una denuncia per associazione a delinquere, truffa, lesioni ed esercizio abusivo della professione medica.

E ora, l’interpretazione. La denuncia sottointende che la pretesa tecnica di “riarmonizzare la materia attraverso le frequenze delle acque di Lourdes” sia una bufala, e dunque che le acque non siano veramente miracolose. Altrimenti qualunque cosa, per quanto implausibile, dovrebbe essere possibile, perché questa è appunto la natura del soprannaturale.

Ma a sostenere che quelle acque sono dotate di proprietà fuori del comune, sono i gestori del business della fortunata (ed essa sì, miracolata) cittadina francese, che ne fanno commercio da un secolo e mezzo! Anch’essi predicano che è possibile “riarmonizzare la materia attraverso le frequenze delle acque di Lourdes”, e vi ci fanno immergere milioni di pellegrini: molti dei quali creduloni e tonti, e dunque con l’aggravante della circonvenzione di incapace.

Non solo, una serie di agenzie di viaggio di proprietà della Chiesa e del Vaticano, o almeno con loro convenzionate, si preoccupa di organizzare convogli di autobus, treni e aerei per portare da tutto il mondo masse di pellegrini in loco: fino a sei milioni all’anno, per la precisione. E una speciale commissione parigina si è arrogata il diritto di decidere quanti e quali miracoli sono “veramente” avvenuti a Lourdes: per la precisione, 68 su 200 milioni di pellegrini in 153 anni, a una media di circa uno su tre milioni di pellegrini ogni due anni.

Ma allora, chi ha veramente commesso una truffa, e costituito un’associazione a delinquere da perseguire? I quaranta sfigati che hanno preso sul serio le favole che si raccontano su Lourdes, la sua Madonna e la sua acqua? O la multinazionale che alimenta il turismo religioso e lo sfruttamento della creduloneria in una città che, con i suoi 300 alberghi, è la terza in Francia per capienza alberghiera, dopo Parigi e Nizza?

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/02/02/la-scienza-dellacqua-di-lourdes/
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