LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. => Discussione aperta da: Admin - Dicembre 30, 2007, 04:46:57 pm



Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI.
Inserito da: Admin - Dicembre 30, 2007, 04:46:57 pm
POLITICA

Il Pd, la laicità e la vergogna

di PIERGIORGIO ODIFREDDI


ROMA - Caro direttore, nel suo editoriale "Non nominate il nome di Dio invano" del 27 dicembre 2007, Eugenio Scalfari ha ampiamente commentato "pensieri e parole" della senatrice Paola Binetti, citando in particolare il dialogo che ella aveva tenuto con me su "La Stampa" del 23 dicembre. Il giornale indicava nei titoli lei e me come, rispettivamente, "l'anima teodem e quella atea del Partito Democratico", e l'espressione "anima atea" andrebbe forse sottolineata.

Anzitutto, perché costituisce un ossimoro positivo e virtuoso da contrapporre, assieme ad "anima laica", a quelli negativi e viziosi di "ateo devoto" e "ateo in ginocchio". E poi, perché il suo singolare suggerisce e richiama, a differenza delle espressioni appena citate, la situazione di isolamento o di minoranza in cui si trovano nella nostra società odierna coloro ai quali essa viene applicata. Nella fattispecie, le anime laiche e atee non sembrano effettivamente essere molte nel Partito Democratico in generale, e nella Commissione dei Valori in particolare. Sembra infatti che la laicità e l'ateismo, che costituiscono una sorta di nudità teologica naturale, siano diventate quasi una vergogna da nascondere sotto i variopinti paramenti delle fedi e dei credi.

Non sono stati molti i commissari che hanno reagito alla prima bozza del Manifesto dei Valori del Partito Democratico, stilata dal filosofo cattolico Mauro Ceruti, che a proposito della laicità partiva dicendo che essa "è un valore essenziale del Pd", per continuare: "Noi concepiamo la laicità non come un'ideologia antireligiosa e neppure come il luogo di una presunta e illusoria neutralità, ma come rispetto e valorizzazione del pluralismo degli orientamenti culturali e dei convincimenti morali, come riconoscimento della piena cittadinanza - dunque della rilevanza nella sfera pubblica, non solo privata - delle religioni". Ora, io non mi sento di sottoscrivere nessuna di queste affermazioni. E poiché la Binetti mi aveva già accusato di avere dei pregiudizi nei confronti dei cattolici, ho ribadito alla Commissione di non credere di averne, così come non credo di averne nei confronti degli astrologi o degli spiritisti: semplicemente, mi limito a constatare che essi hanno visioni del mondo antitetiche a quella scientifica, e più in generale alla razionalità, e ne deduco che sarebbe bene che esse rimanessero confinate nel campo individuale. E, così come non propongo l'abolizione degli oroscopi, non propongo neppure di impedire le prediche: mi sembra sensato, però, pretendere che non sia sulla base di queste cose che vengano prese le decisioni politiche dei nostri governanti e del nascente partito.

Apriti cielo! Il deputato Francesco Saverio Garofani, membro del coordinamento nazionale del Pd, ha subito inveito sul sito del partito contro le mie "provocazioni" e la mia "idea caricaturale della laicità". E Ceruti gli ha subito fatto eco, affermando: "Odifreddi non si può nemmeno definire un laico. Diciamo che non è proprio interessato all'incontro con una cultura spirituale. Laicità per lui è sinonimo di diniego assoluto della religione. Ma il suo è un retaggio del passato".

Sarebbe troppo facile ribattere che se un diniego è retaggio del passato, a maggior ragione dovrebbe esserlo ciò che viene negato, che per forza di cose deve precedere la propria negazione. Mi sembra più costruttivo cercare invece di espellere una certa confusione di idee a proposito della laicità e dintorni, che sembra albergare nelle menti dei cattolici citati. Compresa la Binetti, che nel nostro dialogo ha ribadito più volte non solo di considerare se stessa laica, ma anche che la laicità è uno dei valori fondamentali predicati dal fondatore dell'Opus Dei: quel Josemarìa Escrivà de Balaguer, alla cui beatificazione in Piazza San Pietro hanno assistito il 31 maggio 2001 sia Veltroni sia D'Alema. A questo proposito la Binetti ha dichiarato, nel nostro colloquio su "La Stampa": "La circostanza che Veltroni e D'Alema apprezzino Balaguer è il segno che viene compresa la santificazione del lavoro promossa dall'Opus Dei".

A me, invece, questo atto pubblico da parte del sindaco di Roma e dell'allora presidente dei Ds sembrano un perfetto esempio di come un politico laico non dovrebbe comportarsi, qualunque siano le sue credenze, secondo la mia definizione di laicità: agire come se la religione e la Chiesa non ci fossero, senza naturalmente far nulla affinché non ci siano. Questa posizione è un compromesso tra i due estremi del clericalismo e dell'anticlericalismo.

Il primo va inteso come la pretesa di agire, e far agire, in ossequio alla volontà della religione e della Chiesa, e io non saprei trovarne una formulazione migliore dell'Articolo 7 della Carta delle Finalità del Campus Biomedico di Roma: "L'Università intende operare in piena fedeltà al Magistero della Chiesa Cattolica, che è garante del valido fondamento del sapere umano, poiché l'autentico progresso scientifico non può mai entrare in opposizione con la Fede, giacché la ragione (che ha la capacità di riconoscere la verità) e la fede hanno origine nello stesso Dio, fonte di ogni verità".

A scanso di equivoci, questa non è un'invenzione di Borges: il Campus esiste veramente, in esso lavora la Binetti. Non c'è bisogno di battersi in Italia contro l'anticlericalismo, che va inteso come la pretesa di agire per far sì che la religione e la Chiesa non ci siano: questi sì che sarebbero i veri retaggi del passato, dalla Rivoluzione Francese alla Guerra Civile di Spagna, ma per fortuna oggi nessuno li propone seriamente. Proprio per questo, però, la posizione intermedia del laicismo rimane scoperta sul fianco sinistro e viene percepita come un estremismo, quando invece essa è già il compromesso razionale tra le due opposte irrazionalità di coloro che vorrebbero imporre agli altri le loro credenze da un lato, e le loro avversioni a queste dall'altro.

Naturalmente, non è affatto anticlericalismo, ma laicismo allo stato puro, rifarsi al motto risorgimentale della "libera Chiesa in libero Stato". Che la religione e il Vaticano abbiano la massima libertà di parola e di azione, senza che lo Stato interferisca né con l'una, né con l'altra. Ma che le stesse libertà le abbia anche lo Stato, senza dover essere costretto a subire la pressione ufficiale e ufficiosa delle gerarchie ecclesiastiche, a legiferare in ossequio alle loro credenze, e a pagare di tasca propria per la propaganda e gli affari altrui: in particolare, tra le tante revisioni costituzionali mettiamo mano anche all'Articolo 7, per ridare all'Italia la libertà che Mussolini e Togliatti le hanno tolta. Questo dovrebbe fare un partito democratico, e questo mi auguro che faccia il Pd nel nuovo anno.

(30 dicembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: PIERGIORGIO ODIFREDDI - «Tutta questa vicenda ha il sapore di una gran furbata».
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2008, 06:13:51 pm
21/01/2008
 
DONATELLA TROTTA

«Tutta questa vicenda ha il sapore di una gran furbata».

Piergiorgio Odifreddi non è solo un matematico impertinente. È anche un polemista amante del paradosso, degno membro dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, irriducibile laicista autore di un libro dal titolo anticrociano e provocatorio: Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici).


Odifreddi, ci spieghi meglio la sua idea.
«Semplice: il Papa, che si rivela molto furbo, è riuscito a rigirare la frittata. Ha trasformato il dissenso di 67 professori e poche centinaia di studenti nel tentativo di censurarlo. E i media lo hanno seguito a spron battuto. Ma io penso che il caso La Sapienza non sia che un seguito di ciò che è avvenuto con il referendum sulla procreazione assistita: trasformare una posizione di debolezza in forza, e una situazione avversa a proprio vantaggio».

Resta però il fatto che il Papa non ha potuto parlare di persona alla Sapienza...
«Già, ma è stata una sua rinuncia. Non mi si venga a dire che qualche studente e professore, che avranno pure il diritto di dissentire e manifestare, fossero pericolosi: la situazione era sotto controllo, non c’erano rischi per il Pontefice. La verità è che al di là del suo tratto umano questo è un Papa reazionario, polemico, che cerca la rissa con tutti: prima gli islamici a Ratisbona, poi gli amministratori locali a Roma...».

Non le sembra di esagerare? In questi casi si è trattato di malintesi, poi chiariti: mica può bollare un messaggero di pace come guerrafondaio!
«Macché: sono convinto che lui non tolleri il dissenso: è abituato a parlare solo di fronte ai Papa boys. In questo, hanno dimostrato molto più coraggio e spirito democratico i politici, in occasione delle venute di Bush che è un gran reazionario, accolto da proteste ben più cospicue».

E come interpreta allora le manifestazioni di solidarietà espresse in piazza San Pietro?
«Un’adunata oceanica, per un Papa fascista come Pio XII. Comunque, il Vaticano è uno Stato estero, e in quei confini possono fare ciò che vogliono; è fuori che mi dà fastidio quando vogliono imporre la loro presenza. E trovo scorretto che ieri in piazza ci fossero anche esponenti istituzionali come il vicepremier Rutelli: il suo ruolo pubblico glielo impediva, come ben sa Prodi che è un cattolico adulto. Basti pensare che persino De Gaulle si rifiutava di fare la comunione in pubblico, per non rappresentare solo una parte dello Stato: questo è essere laico. Senza commistioni sgradevoli».

Ma come può definire fascista chi proprio ieri ha ribadito i princìpi di libertà, tolleranza e fraternità che l’ispirano, ivitando a «essere sempre rispettosi delle opinioni altrui»?
«C’è un equivoco di fondo: il Papa si presenta come un accademico, ma la teologia non è materia di studio nelle università laiche, non ha statuto scientifico. C’è un fossato tra la teologia e la scienza, che è l’unico sapere assoluto, nello spazio e nel tempo, con un linguaggio e un metodo matematico universalmente riconosciuto (si pensi a Pitagora), che procede per dimostrazioni e verifiche sperimentali». Ma la teologia è limitrofa alla filosofia, insegnata ovunque... «Già, ma questo papa ha riferimenti un po’ confusi: quando a proposito di Galileo ha citato Feyerabend, campione del relativismo assoluto, mi è venuto un colpo. Ma come, proprio lui, che si scaglia contro il relativismo male del secolo? Ma ormai, anche i più importanti filosofi laici, da Cacciari a Severino, son diventati tutti papisti, e pontificano troppo, soprattutto di scienza, senza competenze. Il problema è la battaglia tra scienza e religione, saperi che si presentano come assoluti. Ma mentre tutti usano la scienza, il cattolicesimo è una minoranza nel mondo».

da www.ilmattino.it


Titolo: Piergiorgio Odifreddi. John Nash genio e follia...
Inserito da: Admin - Marzo 11, 2008, 06:07:31 pm
John Nash genio e follia

di Piergiorgio Odifreddi


Ottant'anni vissuti tra schizofrenia e invenzioni fondamentali per il genere umano. Qui il grande matematico dialoga con Piergiorgio Odifreddi. Sulla sua vita, le teorie, la malattia, gli scacchi, il Nobel. Colloquio con John Nash  John NashUn libro, di Sylvia Nasar e un film, diretto da Ron Howard, entrambi intitolati 'A Beautiful Mind' e di grande successo, hanno raccontato la storia di John Nash, il genio che ha legato il suo nome a una serie di risultati ottenuti nel giro di una decina d'anni e pubblicati in una decina di articoli, un paio dei quali gli sono valsi il premio Nobel per l'economia nel 1994.

È una tragica ironia del destino che un uomo (oggi 80enne, è nato nel 1928 a Bluefield in Virginia) che ha vissuto 25 anni da squilibrato, soffrendo di schizofrenia paranoide e credendosi l'imperatore dell'Antartide e il Messia, sia passato alla storia per aver introdotto la nozione di 'equilibrio' che porta il suo nome, ed è universalmente usata nella teoria dei giochi (che analizza le situazioni del conflitto cercandovi un apporto di razionalità): di un comportamento, cioè, che non può essere migliorato con azioni unilaterali, nel senso che lo si sarebbe tenuto anche avendo saputo in anticipo il comportamento dell'avversario. Questa 'mente meravigliosa' ha partecipato lo scorso anno al Festival di Matematica di Roma, e la cosa dev'essergli piaciuta: ci ritorna quest'anno per una conversazione pubblica con Robert Aumann, anch'egli un teorico dei giochi premiato col Nobel per l'economia nel 2005. Per l'occasione abbiamo chiesto a Nash di ripercorrere con noi alcune delle tappe della sua vita e della sua carriera.

Professor Nash, l'anno scorso al Festival lei ha giocato una partita a scacchi con l'ex campione del mondo Spassky. Com'era andata?
"Come principiante non ho potuto fare molto. Quando Spassky ha fatto una certa mossa con il suo alfiere, ho pensato che ci fosse un tranello e non ho risposto nella maniera ovvia. Invece il tranello era appunto quello, che non c'era tranello".

Gli scacchi possono essere una metafora della matematica, o viceversa?

"Ci sono molte somiglianze tra un teorema e una partita: ad esempio, nella precisione e nella bellezza. Giocare bene è come fare una bella dimostrazione".

A proposito di giochi, lei ne ha inventato uno chiamato Hex.
"Sì, all'inizio dei miei studi, nel 1949. L'ho fatto per illustrare in pratica alcuni concetti teorici. È un gioco in cui il primo giocatore ha un vantaggio teorico nei confronti del secondo, ma non sa come sfruttarlo in pratica".

L'ha mai commercializzato?
"A Princeton è stato molto popolare al dipartimento di Matematica. Ma quando cercammo di venderlo a un editore, scoprimmo che qualcuno in Danimarca lo aveva già introdotto".

Com'è arrivato a interessarsi della teoria dei giochi?
"Era stato pubblicato da poco il libro di von Neumann e Morgenstern 'La teoria dei giochi e il comportamento economico', che oggi è un classico. E in quel libro si faceva un parallelo molto ambizioso e attraente con l'economia".

Lei all'epoca si interessava già alle applicazioni economiche?
"Avevo un certo interesse. Prima di andare a Princeton avevo seguito un corso di economia, oltre a quelli di matematica, fisica e chimica".

E quelli furono gli unici studi di economia che fece?
"Da un punto di vista formale, sì".

L'università di PrincetonLei ha studiato a Princeton quando Einstein insegnava lì. Lo ha mai incontrato?
"Sì. All'epoca riflettevo anche sulla cosmologia e sulla gravitazione, e sapevo che lui aveva una personalità stimolante. In fondo anche lui era un matematico, e i suoi studi sullo spazio-tempo erano dei pezzi di bravura matematica".

Spiegò le sue teorie ad Einstein, dunque?
"Sì, ma lui non aveva molto tempo per ascoltare. Mi disse che avrei dovuto studiare di più".

In pratica, la rimandò a scuola?
"Sì, diciamo così".

Nel film 'A Beautiful Mind' c'è un'unica scena in cui si accenna alla teoria dei giochi.
"Ho apprezzato molto il lavoro del regista e dello sceneggiatore. La teoria dei giochi non è che si possa applicare a qualunque cosa, ma in quella scena del film sono riusciti a concentrare l'attenzione su alcuni interessanti elementi psicologici".

Sono riusciti a spiegare la sua teoria, dell'equilibrio di Nash?

"Non credo che ci abbiano seriamente provato".

Perché non prova lei a spiegarcela, in quattro parole ?
"Un gioco può essere descritto in termini di strategie, che i giocatori devono seguire nelle loro mosse: l'equilibrio c'è, quando nessuno riesce a migliorare in maniera unilaterale il proprio comportamento. Per cambiare, occorre agire insieme".

Italo Calvino, ha scritto una frase che molti usano per descrivere la teoria dell'equilibrio di Nash: a volte nella vita non riusciamo a raggiungere il meglio, ma almeno possiamo evitare il peggio. È una buona descrizione della sua nozione?
"Direi di sì. Perché unilateralmente possiamo solo evitare il peggio, mentre per raggiungere il meglio abbiamo bisogno di cooperazione".

Ci vuole parlare delle sue vicende personali?
"Allude alla mia malattia? Ebbene, era l'anno 1962. Avevo 34 anni. Successe qualcosa che mi portò lontano dalla matematica: incominciai a soffrire. Mi hanno diagnosticato un tipo di schizofrenia molto raro".

Russell Crowe, in una scena di "A Beautiful Mind"Aveva allucinazioni, visioni, come nel film?
"Visioni no, almeno non agli inizi: non è che quando si sta male si abbiano necessariamente illusioni visive, come nel film. Le allucinazioni, più che su qualcosa che si vede, sono su qualcosa che si pensa. In seguito le mie furono anche uditive, sentivo delle voci".

Potrebbe fare qualche esempio di allucinazione non sensoriale?
"Visto che siamo alla vigilia delle elezioni. Immagini una persona che dovrebbe essere democratica, ma pensa da repubblicano. O una che dovrebbe essere repubblicana, e pensa da democratico".

E come ci si accorge che questo è uno stato allucinatorio? Ad esempio, come facciamo a sapere se uno che vota Berlusconi o Veltroni è una persona sana che vuole veramente votare per loro, o uno schizofrenico che vorrebbe votare per l'altro?
"È complicato. Ma comunque, scherzi a parte, la psicosi è un fatto reale, non illusorio, e ci sono stadi diversi di psicosi".

Parliamo di matematica: che legame c'è tra essa e il pensiero allucinatorio?
"Io direi nessuno. Nel suo lavoro il matematico deve pensare in termini razionali e logici, anche se può commettere errori. Come uno scacchista, d'altronde".

Qualcuno pensa, o almeno dice, che troppa logica fa diventare matti.
"Non ho molta esperienza, ma il matematico italo-statunitense Giancarlo Rota ha scritto in un suo libro che i logici effettivamente sono un po' tutti matti".

Io sono un logico...
"Sì, ma non dev'essere paranoico e pensare che mi riferisca a lei. Se no, finisce per darmi ragione. In ogni caso, io credo che Rota avesse abbastanza colto nel segno".

E dove starebbe il nesso fra logica e follia? Forse nel fatto che il pensiero logico è astratto, e tende a essere distante dal mondo reale?
"Direi piuttosto che il pensiero logico deve essere introspettivo, mentre il pensiero matematico deve guardare alla realtà".

E la sua esperienza coi logici conferma la sua teoria?
"Abbastanza. Ad esempio, ho incontrato il grande logico Alonzo Church, che a onor del vero non è mai stato matto, né sul punto di diventarlo, ma certo si comportava in maniera molto strana. Aveva una caratteristica tipica dei pazienti psichici: parlava con se stesso, da solo, mentre camminava. E si mangiava tutti i biscotti alle feste".

E di Kurt Gödel, grande logico, anch'egli professore a Princeton, scomparso 30 anni fa, cosa può dirci?
"È anche lui un esempio di ciò che stiamo dicendo. La sua follia lo condusse addirittura alla tomba, perché si lasciò morire di consunzione. E sicuramente anche prima aveva forti elementi di eccentricità".

Abbiamo parlato di scacchi, e sembra che anche lì ci sia un legame con la follia: basta ricordare Bobby Fischer, che è morto da poco in circostanze simili a quelle di Gödel, perché non si lasciò curare di una malattia banale.
"Fischer non sembrava razionale a parlarci, ma giocava in modo razionale".

Lei da malato riusciva a fare matematica?
"Il delirio non era continuo, ma intermittente: le crisi andavano e venivano, e quando accadevano mi sentivo come sotto tortura. Si trattava di stati di irrazionalità che io stesso, nei momenti di lucidità, non accettavo. E quando tornavo razionale, ero pronto a lavorare e a fare ricerca".

Questo avveniva negli anni '60. E negli anni '70?
"Negli anni '70 non ho lavorato. Negli anni '80 coltivavo i miei hobbies, dall'informatica ai programmi statistici. Passavo da un'attività all'altra".

Si può dire che la matematica le sia stata d'aiuto per la sua malattia?
"Se una persona ha problemi mentali è come se fosse scollegata dalla realtà, e qualunque tipo di terapia psicologica può esserle di aiuto. Quando, in concomitanza con la farmacoterapia, si è introdotta anche la psicoterapia, l'interazione fra le due cose è sicuramente stata di aiuto".

Ha detto prima che a un certo punto ha cominciato a sentire delle voci. Nella storia ci sono altri esempi: il Socrate platonico, ad esempio, diceva anche lui di sentire una voce.
"Sì chiamavano demoni, all'epoca. E si parlava di sogni in cui uno aveva l'impressione di ricevere il messaggio di Dio".

Sogni e voci, però, sono cose diverse.
"Un sogno non è considerato un'allucinazione, ma se ci si crede, l'effetto potrebbe essere lo stesso. Se Dio non esiste, ma tu hai l'impressione di sentire la voce di Dio, cosa cambia?".

Possiamo allora classificare come schizofrenici tutti quelli che nella storia hanno sentito delle voci?
"Forse sarebbe esagerato, ma certo sentire delle voci non è un fatto positivo".

Com'è avvenuta la sua ripresa?
"È stata una ripresa progressiva. Mi sono reso conto che certe cose non erano fondate".

E alla fine sono arrivati il Premio Nobel e la fama.
"Il Nobel mi ha dato la possibilità di portare avanti il mio lavoro. Mi sono occupato di nuovo di teoria dei giochi e di cosmologia, e ho sviluppato qualche idea nuova".

Quanto è cambiata la sua vita, dopo il Nobel?
"Per molti il Nobel non ha cambiato molto la loro vita, o solo in misura molto modesta: avevano già avuto i loro risultati, e il premio ha solo aggiunto un onore. Per me invece è stato diverso, perché nel 1994 io non avevo neppure un lavoro. E dopo l'ho avuto. Forse, se non avessi vinto il Premio Nobel, per me ora sarebbe tutto diverso".

(11 marzo 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI.
Inserito da: Admin - Luglio 30, 2008, 11:01:41 pm
Geniale folle Sacks

di Piergiorgio Odifreddi


Il sospetto di schizofrenia. La dipendenza dalle droghe. E il disastro come scienziato. Un grande medico, divulgatore e scrittore, racconta a un collega matematico la sua vita fatta di contraddizioni, stupore e successo. Colloquio con Oliver Sacks  Oliver SacksAma definirsi "uno scienziato fallito". Invece è un uomo di successo, un autore di bestseller, un classico della divulgazione, dai suoi libro vengono tratti dei film. La sua fortuna è cominciata nel 1966, quando ancora giovane e sconosciuto, il dottor Oliver Sacks venne assunto all'ospedale Beth Abraham del Bronx, dove trovò un gruppo di pazienti sopravvissuti alla pandemia di encefalite letargica degli anni 1916-1927, che li aveva congelati nei movimenti e lasciati catatonici. Sacks li trattò con un farmaco sperimentale che permise loro di tornare temporaneamente alla vita, prima che gli effetti collaterali riprendessero il sopravvento e li rinchiudessero di nuovo nella prigione del loro corpo.

La narrazione dello straordinario caso in 'Risvegli' e l'omonimo film con Robert De Niro, catapultarono il dottore a una fama mediatica consolidata con le raccolte di casi clinici 'Emicrania', 'L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello', 'Vedere voci' e 'L'isola dei senza colore' l'ultimo 'Musicofilia'. C è poi 'Zio Tungsteno', un'autobiografia e, allo stesso tempo, una storia della chimica dalle origini agli inizi del Novecento. Nel suo ufficio di New York abbiamo parlato con Sacks non solo della sua opera, ma anche della sua vita, non meno interessante dei libri che ha scritto, delle droghe che ha sperimentato, e del fascino che su di lui esercitano i suoi pazienti. E abbiamo scoperto un personaggio di stampo rinascimentale.

Professor Sacks, cominciamo dalla sua infanzia. Ha raccontato di aver letto da bambino tanti libri scientifici e tutti in ordine storico...
"Credo di essere stato precoce. Quei libri li ho non solo letti, ma conservati, e ciò che ho perso ho cercato di recuperare. Ad esempio, uno dei miei favoriti era 'L'interpretazione del radio' di Soddy: quando mio padre morì, nel 1990, andai a recuperare i miei vecchi libri nella casa dove ero nato nel 1933, e quando presi quello di Soddy in mano si disintegrò in polvere, mangiato da un fungo. Ma non potevo starne senza: ho speso un bel po' di tempo per ritrovarlo e di soldi per ricomprarlo".


Ha detto una volta che la scienza è una cura contro il caos mentale...
"Ho chiesto al mio psicanalista se ero schizofrenico, e lui disse di no. Allora gli domandai se ero nevrotico, e lui rispose: lei è un po' più di nevrotico. Oltre quello, non ho approfondito. Ma il fatto è che, quando avevo dieci o undici anni, mio fratello Michael impazzì, e io rimasi terrorizzato nel vederlo allucinato, a volte catatonico per il terrore: avevo paura di lui, e paura per lui. Ma anche di me stesso e per me stesso: mi chiedevo se quello che succedeva a lui fosse preordinato anche per me".

Suo fratello è guarito?
"No, ha vissuto una vita tragica. Ha fatto vari lavori, in maniera meticolosa: era ossessivamente scrupoloso e accurato. Ha smesso di lavorare verso i cinquant'anni".

Lei è medico, scrittore, neuroscienziato, divulgatore. Come fa a conciliare tanti mestieri?
"A Oxford ho cominciato a studiare la combinazione chiamata PPP: Physiology, Psychology, Philosophy, (Fisiologia, Psicologia, Filosofia), con l'idea che le tre branche dovessero confluire. Questo era un pio desiderio negli anni '50, ma forse si sta realizzando ora. Nel '65 arrivato a New York, decisi di essere un vero grande scienziato: ho preso una borsa di studio in neurochimica e neuropatologia. È stato un disastro".

Non sembrerebbe a giudicare dai risultati.
"Sono sempre stato impacciato. Rovescio le cose, perdo i campioni, e una volta ho lasciato cadere un hamburger in una centrifuga molto costosa. Così a un certo punto mi dissero: Sacks, se ne vada! Si dedichi ai pazienti, non alla ricerca. Dunque, sono uno scienziato fallito, anche se uno scrittore popolare".

Un suo professore disse: Sacks andrà lontano, se non cerca di andare troppo lontano.
"Tendo a essere stravagante e esagerato. Per esempio, un mio libro di centomila parole ha come origine due milioni di parole. Altra mia stranezza: calcolo l'età in base alla tavola di Mendeleev".

Quella degli elementi chimici?
"Sì. E ho l'abitudine di fare come regalo di compleanno un po' dell'elemento corrispondente all'età. A un amico che ha compiuto 80 anni, ho regalato una bottiglia di mercurio: se fosse stato un anno più giovane, avrei dovuto dargli del platino. E oggi ho in macchina un bel pallone di zeno per un amico che compie 54 anni".

La tavola di Mendeleev si vede nella sua camera nel film 'Risvegli'...
"La tavola è il mio amuleto: ne porto una nel portafoglio da sessant'anni, come altra gente porta la foto del figlio o l'immagine della Madonna. E ne avevo una gigante su una parete del mio appartamento, all'epoca del film".

La star di quel film è Robert De Niro
"Passò quarantott'ore con il paziente il cui ruolo recitava, perché, disse, si può avere un'idea di cosa significhi essere Amleto o Ofelia, ma non un malato di Parkinson. Era così bravo, che un giorno mi chiese di mostrargli come un paziente si sarebbe bloccato in una certa situazione. Appena glielo mostrai, mi cadde addosso in una maniera tale che mi fece vacillare. A quel punto capii che non stava fingendo: era diventano parkinsoniano. A volte, a cena dopo le riprese, vedevo il suo piede rivolto all'interno, come se gli fosse rimasto un frammento di distonia. E a volte diceva cose che il vero paziente avrebbe potuto dire".

Anche lei ama sperimentare certe situazioni su se stesso?
"Essere, ricordare, immaginare, imitare: sono tutti aspetti di un'unica cosa".

Robert De Niro, interprete di "Risvegli"Per questo che ha cercato di diventare parkinsoniano?
"Una volta ho preso un forte neurolettico con effetti parkinsoniani. Volevo vedere cosa succedeva, e farlo vedere ai miei studenti. E mi sono stupito nell'osservare che il mio braccio sinistro continuava a lungo a galleggiare in aria in maniera catatonica. Ma anche l'opposto mi affascina: una volta sono andato al Metropolitan Museum con un amico, un artista con sintomi parkinsoniani. Lui ebbe una crisi, si fece un'iniezione di apomorfina direttamente attraverso i pantaloni, e dopo mi disse: 'Ora ho dimenticato di essere parkinsoniano. Ma in 30 o 40 minuti, quando l'effetto svanisce, me lo ricorderò'".

Nei suoi libri sembra però essere cauto sull'uso delle sostanze chimiche come medicine.
"Negli anni '60 ho provato di tutto, anche le droghe. Anzi, ero quasi diventato dipendente. Avevo avuto un'adolescenza magica con la chimica, in senso intellettuale. Ma poi tra i 15 e i 30 anni ero passato attraverso anni confusi e depressi: interminabili anni di scuola, che non ho mai amato, perché io devo fare le cose per conto mio. Solo a 33 anni, quando cominciai ad avere i miei pazienti, ricominciai a godermi le cose. Nel frattempo le amfetamine erano state un modo per rivitalizzare la passione intellettuale, che avevo perso".

Quando cominciò a drogarsi?
"Verso il 1963, più o meno a trent'anni, e terminai nel febbraio 1967. Non so quanti danni mi feci, ma sono sicuro di aver fatto fuori milioni dei miei neuroni. Ciò nonostante, eccomi qua, quarant'anni dopo, vivo e vegeto".

Faceva esperimenti su se stesso?
"Dire così sarebbe un tentativo di legittimazione. In realtà le droghe le ho prese sia edonisticamente, per piacere o curiosità, che distruttivamente, per farmi del male. Prendevo amfetamine a dosi enormi: pillole da 400 milligrammi, che per 24 ore raddoppiavano la pressione e triplicavano il polso, fino a 200 battiti. Molti dei miei amici ebbero infarti o morirono e io stesso, l'ultimo giorno del 1965, mi vidi allo specchio nel mezzo di una mania amfetaminica e mi dissi: Oliver, non sopravviverai un altro anno".

Come fece a smettere?
"Ci fu un episodio preciso. Avevo cominciato a lavorare in una clinica per malati di emicrania nel 1966, poco dopo la catastrofe in laboratorio (quando ho buttato l'hamburger nella centrifuga): era una specie di posto nel nulla, ma la cosa divenne immediatamente di estremo interesse per me, per la varietà sia del fenomeno che dell'impatto che può avere sul paziente. Una notte andai nella sezione dei libri rari della biblioteca e presi un volume scritto nel 1873: 'L'emicrania, il mal di testa e altri disturbi collegati', di Edward Liveing. Era un venerdì notte, la sera in cui avevo l'abitudine di prendere una forte dose di amfetamine, e indulgere in fantasie. Ma questa volta non riuscii a staccarmi dal libro e cominciai a leggerlo sotto l'influenza della droga, che sembrò investire le pagine e l'argomento. Al culmine dell'eccitazione mi sembrò che mi si aprisse un paradiso neurologico e vidi l'emicrania come una meravigliosa costellazione. Lessi con una concentrazione catatonica: gli occhi fissi, le labbra secche e un senso di profonda meraviglia. Mi dissi: che libro meraviglioso, che meraviglioso argomento, il meglio della scienza medica dell'era vittoriana. Mi domandai chi avrebbe potuto essere il Liveing del nostro tempo, e ingenuamente scorsi una mezza dozzina di nomi nella mente. Poi esclamai ad alta voce: scemo, puoi esserlo tu! Fotocopiai il libro, che divenne l'ispirazione di 'Emicrania', e smisi di prendere amfetamine".

Parliamo di casi clinici, ne ha mai trovati con strane capacità matematiche? Io sono un matematico...
"Ho scritto un articolo sui matematici ciechi dalla nascita, o quasi. Un matematico francese, che mostrò che una sfera si può rivoltare dall'interno all'esterno, in seguito dichiarò di essere stato aiutato nella scoperta del risultato dalla sua immaginazione tattile, che la gente normale non ha".

Quindi, a volte, non avere un senso può essere vantaggioso.
"C'è un libro meraviglioso intitolato 'Mani privilegiate', di un paleontologo olandese Geerat Vermeij, che divenne cieco all'età di due o tre anni: con la sensitività preternaturale delle sue mani è riuscito a descrivere aspetti dei molluschi marini che altri scienziati avevano mancato".

Si può essere ciechi in tanti modi diversi?
"Sì. Ho scritto un saggio intitolato 'The mind's eye' - l'(occh)io della mente - sui diversi modi di essere ciechi, o sui diversi adattamenti alla cecità. Per alcuni essa stimola una compensazione dell'immaginazione visiva, una specie di realtà virtuale o quasi-allucinatoria controllabile. Altri perdono il mondo visivo o rinunciano ad alcuni suoi aspetti (memoria, nostalgia, valori visivi), dedicandosi ad altri sensi. L'individualità usa ciò che ha, e non è noto quanto essa sia determinata dalle circostanze, o dagli sforzi volontari".

Il mio maestro di piano associava colori alle tonalità.
"È un'associazione diffusa. Un compositore mi ha raccontato che quando aveva cinque anni disse al suo insegnante di piano che gli piaceva molto un certo pezzo blu, in re maggiore. Ma si possono associare anche i colori ai numeri, dato che lei è un matematico. Io me ne sono interessato da quando ho letto il libro 'Indagini sulle facoltà umane e il loro sviluppo', che Francis Gaulton ha scritto nel 1883: fu il primo studio dettagliato e statistico sulle associazioni cromatiche delle lettere o delle cifre. Mentre studiava la memoria e l'immaginazione visiva, Gaulton si accorse che qualcuno gli diceva di vedere le lettere o le cifre colorate: non si trattava di un'immaginazione, perché era invariabile, irresistibile, ininfluenzabile, e risaliva sempre alle memorie più remote".

Si diverte ancora coi suoi strani pazienti?
"Quando lavoravo in clinica la gente diceva che nessun dottore ambizioso avrebbe dovuto studiare casi come quelli, ma io l'ho fatto per quarant'anni e non mi stufo mai: continuo a vedere cose nuove, o cose vecchie sotto una nuova luce. E mi sono arrabbiato quando un mio collega, un giorno, disse che dopo vent'anni uno ha visto ormai tutto: non è vero, un argomento non si esaurisce mai".


(25 luglio 2008)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Numeri senza memoria
Inserito da: Admin - Agosto 23, 2008, 09:39:11 am
LIBRI

Numeri senza memoria

di Piergiorgio Odifreddi


Uno smemorato professore in possesso di una memoria breve di soli 80 minuti è il protagonista di un altro romanzo dedicato al mondo delle equazioni. La recensione di un matematico impertinente  Non è certo una novità che in un romanzo un matematico possa entrare come protagonista, e la matematica come metafora della vita, o di un atteggiamento verso di essa: basta ricordare, ad esempio, l'Ulrich de 'L'uomo senza qualità' di Robert Musil, o il Richard Hieck de 'L'incognita' di Hermann Bloch.

Di recente, però, sembra che le sofferte profondità della letteratura degli anni Trenta abbiano ceduto il passo ad allegre superficialità più consone allo spirito del postmoderno.

Sulla scia del successo di libri di bravi scrittori, in fondo rivolti all'infanzia, quali 'Il mago dei numeri' del tedesco 'Hans Magnus Enzensberger, o 'Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte' dell'inglese Mark Haddon, arriva ora 'La formula del professore' della giapponese Yoko Ogawa (Il Saggiatore, 2008, pp. 200, E 15), in cui il matematico interviene non come uno spiritello che si manifesta al momento dell'appisolamento, o un bambino autistico che gioca ossessivamente coi numeri, bensí come uno smemorato professore in possesso di una memoria breve di soli 80 minuti: ce ne sarà mai uno normale, al mondo?

La governante, che ovviamente non capisce nulla di formule, viene comunque contagiata dal morbo della matematica grazie alle osservazioni dell'ignaro e inconsapevole Pigmalione, e l'autrice ne approfitta per snocciolarci una serie di luoghi comuni su numeri ed equazioni, culminanti nella formula che dà il titolo al libro, e che sorprendente altro non è che la più nota dell'intera matematica.

Paul Auster ha comunque magnificato il romanzo, a dimostrazione che nel regno dei ciechi di matematica anche l'orbo è una medaglia Fields. Queste mie sono comunque le osservazioni di un matematico, che vorrebbe che anche i bravi scrittori se ne intendessero di più.

(20 agosto 2008)


da espresso.repubblica.it


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Razzismo, io ho un sogno
Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2008, 06:21:50 pm
6/10/2008
 
Razzismo, io ho un sogno
 
 
PIERGIORGIO ODIFREDDI
 
Il 28 agosto 1963 Martin Luther King pronunciò davanti al Lincoln Memorial di Washington il famoso discorso passato alla storia per la frase I have a dream, «Io ho un sogno», che risuonò più volte come un potente richiamo alle orecchie dei manifestanti per i diritti civili che erano convenuti nella capitale degli Stati Uniti.

Oggi, 45 anni dopo, il Paese che allora viveva ancora nella segregazione razziale ha una donna «negra» come Segretario di Stato dell’amministrazione più conservatrice e antilibertaria del dopoguerra, ha un candidato «negro» alla Presidenza della Repubblica e potrebbe presto avere un presidente «negro».

Rileggere quel discorso rischia dunque di diventare un esercizio di pura retorica. Ma basta focalizzare lo sguardo altrove, dalla nuova America di mezzo secolo fa alla vecchia Europa di oggi, per sentire risuonare in quelle parole un monito attuale e per nulla retorico, che denuncia la condizione vergognosa dei nostri immigrati e dei nostri extracomunitari. Sono loro oggi i veri negri del mondo, anche se la loro pelle non è necessariamente nera, e i loro Paesi d’origine non stanno necessariamente in Africa.

E perciò, amici immigrati ed extracomunitari, è a voi che mi rivolgo per dirvi che, pur dovendo affrontare le asperità politiche di oggi, e probabilmente di domani, anch’io come Martin Luther King ho un sogno ricorrente.

E’ un sogno profondamente radicato nella Costituzione della Repubblica Italiana. È il sogno che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle convinzioni espresse nell’articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Io ho un sogno: che un giorno incasseremo questo «pagherò» che i costituenti firmarono, e di cui ogni italiano è diventato erede. Un «pagherò» che promette non solo a tutti i cittadini, ma anche a tutti i residenti, che godranno dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità. È ovvio che oggi l’Italia non sta onorando questo «pagherò», con i suoi immigrati ed extracomunitari. E invece di onorare questo suo obbligo costituzionale l’Italia ha girato loro un assegno scoperto, un assegno che è stato annullato con lo stampo di «fondi insufficienti».

Io ho un sogno: che questo assegno possa essere incassato integralmente, perché mi rifiuto di credere che la giustizia abbia fatto bancarotta. Mi rifiuto di credere che non ci siano fondi sufficienti nel grande caveau delle opportunità offerte da questo Paese. E so che quando sarà incassato, questo assegno elargirà le ricchezze della libertà e le garanzie della giustizia.

Io ho un sogno: che questo assegno possa essere incassato presto, perché altrimenti rischiamo di assuefarci al tranquillante del gradualismo. È questo il momento di realizzare le promesse della democrazia. È questo il momento di rendere giustizia a tutti i cittadini e a tutti i residenti. È questo il momento di abbandonare la desolata pianura della discriminazione. Non ci saranno in Italia né pace né tranquillità fino a quando agli immigrati e agli extracomunitari non saranno concessi i loro diritti di cittadini.

Io ho un sogno: che nel procedere verso la loro giusta meta, gli immigrati e gli extracomunitari non si macchino di crimini e delitti. Che riescano a soddisfare la loro sete di libertà senza bere alla coppa dell’odio e del risentimento. Che conducano sempre la loro giusta lotta muovendosi sul piano elevato della dignità e della disciplina. Che non permettano alla loro protesta creativa di degenerare in violenza fisica. Che si librino sulle alte vette di chi risponde alla forza fisica con la forza d’animo.

Io ho un sogno: che nel procedere verso la loro giusta meta, gli immigrati e gli extracomunitari siano accompagnati da molti dei nostri connazionali, che sono giunti a capire che il destino degli uni è legato a quello degli altri. Che la libertà degli uni è legata a quella degli altri. Che né gli uni né gli altri possono camminare da soli.

E mentre avanziamo uniti, non dovremo mai indietreggiare. A chi ci chiede quando saremo soddisfatti, rispondiamo che non saremo mai soddisfatti. Che non possiamo essere soddisfatti finché gli immigrati e gli extracomunitari saranno vittime di aggressioni e violenze. Finché i loro figli saranno discriminati nelle scuole. Finché non potranno votare, o crederanno di non aver motivo di votare. Io ho un sogno: che un giorno nella sedicente Padania i figli di coloro che un tempo furono meridionali o extracomunitari, e i figli di coloro che un tempo furono leghisti e razzisti, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

Io ho un sogno: che un giorno persino le regioni della Lombardia e del Veneto, oggi così immerse nelle nebbie dell’ingiustizia, oggi così raggelate dal vento della discriminazione, si trasformeranno in oasi di giustizia e libertà. Io ho un sogno: che un giorno persino nei comuni di Treviso e di Verona, oggi istigati da sindaci-sceriffi alla discriminazione confessionale e alla separazione etnica, i bambini infedeli e di colore potranno passeggiare tenendo per mano le bambine credenti e bianche, come se fossero fratelli e sorelle.

Io ho un sogno: che un giorno la bassa pianura in cui scorre il Po verrà elevata moralmente. Che un giorno le sue differenze saranno livellate socialmente. Che un giorno la forza della ragione si mostrerà e tutti la vedranno. È questa la mia fede, una fede laica con la quale io guardo al Nord. Con questa fede laica saremo in grado di strappare alla pianura della disperazione un sorriso di speranza. Con questa fede laica saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una consonante sinfonia di fratellanza. Con questa fede laica saremo in grado di riconquistare insieme la decenza e di difendere insieme la libertà.

Giovedì prossimo alle 20,45, al Teatro Comunale di Alessandria, l’attore Paolo Bonacelli leggerà il celebre discorso di Martin Luther King «I have a dream». A seguire, Piergiorgio Odifreddi si misurerà con le parole del predicatore nero per attualizzarle alla luce della situazione attuale in Italia. Anticipiamo uno stralcio del suo intervento.
 
da lastampa.it


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. "Un uomo sano di mente non può credere nei miracoli"
Inserito da: Admin - Febbraio 11, 2009, 02:03:20 pm
Dall'"ortodossia perfetta" degli anni giovanili alla perdita graduale della fede

"Un uomo sano di mente non può credere nei miracoli"

Così mise in discussione il disegno divino

Esce in questi giorni da Longanesi "In principio era Darwin" di Piergiorgio Odifreddi.

Qui ne anticipiamo un brano.

di PIERGIORGIO ODIFREDDI

 

CHE cosa pensasse Darwin delle scimmie è noto, ma lo è meno che cosa pensasse di Dio, benché per saperlo basti leggere il capitolo "Opinioni religiose" della sua Autobiografia, nel quale egli descrive l'evoluzione del suo pensiero al riguardo. Sui suoi anni giovanili egli commenta che, "pensando ai violenti attacchi che mi hanno rivolto gli ortodossi, sembra ridicolo che un tempo abbia voluto fare il pastore protestante": un'idea che gli era stata suggerita dal padre, dopo il suo rifiuto di diventare medico, ma che "morí di morte naturale" quand'egli si imbarcò sul Beagle alla fine del 1831. A quel tempo, comunque, Darwin era di "un'ortodossia perfetta", tanto che persino gli ufficiali credenti lo prendevano in giro per le sue continue citazioni bibliche.

Ma appena cominciò a pensare all'evoluzione, tra la fine del 1836 e l'inizio del 1838, egli si rese gradualmente conto che la Bibbia "non meritava più fede dei libri sacri degli indù o della credenza di qualsiasi barbaro", e che era impossibile per "un uomo sano di mente credere nei miracoli". Il risultato fu una graduale perdita di fede nella religione cristiana in quanto verità rivelata: "L'incredulità si insinuò nel mio spirito, e finì per diventare totale. Il suo sviluppo fu tanto lento che non ne soffersi, e da allora non ho mai più avuto alcun dubbio sull'esattezza della mia conclusione. In realtà non posso capire perché ci dovremmo augurare che le promesse del cristianesimo si avverino: perché in tal caso, secondo le parole del Vangelo, gli uomini senza fede come mio padre, mio fratello e quasi tutti i miei amici più cari, sarebbero puniti per l'eternità. E questa è un'odiosa dottrina".
Tra parentesi, questo brano fu espunto dalla prima edizione (postuma) dell'Autobiografia su esplicita richiesta della bigotta moglie Emma, che lo trovò "troppo crudo": correttamente, perché esso non lascia scampo alla religiosità istituzionale del cristianesimo. Più sottile è invece il problema di una religiosità elevata ed astratta, ad esempio quella derivata dalla contemplazione della natura, al cui riguardo Darwin nota: "Le condizioni di spirito che un tempo le grandi visioni naturali risvegliavano in me e che erano intimamente connesse con la fede in Dio, non differivano sostanzialmente da ciò che spesso si indica come sentimento del sublime. E ciò, nonostante sia difficile spiegarne la genesi, non può essere preso come prova dell'esistenza di Dio, più di quanto non lo siano i sentimenti analoghi, forti ma indefiniti, suscitati dalla musica".

L'argomento teologico più popolare agli inizi dell'Ottocento era però quello proposto da William Paley nella Teologia naturale del 1802, che faceva appello all'ordine della natura: sostanzialmente, argomentava il vescovo, come l'osservazione di un orologio rimanda a un orologiaio, così l'osservazione del creato rimanda a un creatore. Ma benché il giovane studente Darwin avesse tratto dalla lettura dell'opera di Paley "tanto piacere quanto da Euclide", l'adulto scienziato fu ben conscio che la sua teoria aveva dato il colpo di grazia all'analogia: "Oggi, dopo la scoperta della legge della selezione naturale, cade il vecchio argomento di un disegno della natura secondo quanto scriveva Paley, argomento che nel passato mi era sembrato decisivo. Un piano che regoli la variabilità degli esseri viventi e l'azione della selezione naturale, non è più evidente di un disegno che predisponga la direzione del vento".

E per Darwin non solo l'osservazione della natura non sembrava fornire argomenti a favore dell'esistenza di Dio, ma ne forniva addirittura di contrari: ad esempio, la presenza del dolore, che invece "concorda bene con l'opinione che tutti gli esseri viventi si siano sviluppati attraverso la variazione e la selezione naturale". E fu proprio il dolore per la prematura scomparsa della figlia Annie, il 23 aprile 1851, a convincere Darwin ad abbandonare la pratica religiosa: da quel momento, cessò di andare in chiesa. Ma, nonostante tutto, fino al tempo in cui scrisse L'origine delle specie egli continuò ad attribuirsi l'appellativo di "teista" a causa della "estrema difficoltà, l'impossibilità quasi, di concepire l'universo come il risultato di un mero caso o di una cieca necessità".

Solo "in seguito, dopo molti alti e bassi, questa conclusione si è gradualmente indebolita", dirà in un'aggiunta all'Autobiografia. E in una lettera del 1879, a tre anni dalla morte, a un corrispondente che gli chiedeva la sua posizione nei confronti della religione egli scriveva: "Il mio giudizio è spesso fluttuante, ma anche nelle mie fluttuazioni più estreme non sono mai stato un ateo, nel senso di negare l'esistenza di Dio. Mi pare che generalmente (e tanto più quanto più invecchio), ma non sempre, la miglior definizione del mio pensiero sarebbe: "agnostico"".

L'agnosticismo di Darwin, ribadito nell'Autobiografia, risultava congeniale al suo disimpegno nei confronti dell'anticlericalismo, testimoniato da una lettera del 13 ottobre 1880 a Karl Marx, in cui egli declinava l'offerta di dedica del secondo volume del Capitale: "Benché io sia un fervido sostenitore della libertà di opinioni in ogni argomento, mi sembra (a torto o a ragione) che attacchi diretti contro il cristianesimo e il teismo abbiano assai scarso effetto sul pubblico, e che la libertà di pensiero possa meglio promuoversi con quella illuminazione graduale dell'intelletto umano che consegue al progresso delle scienze. Perciò ho sempre evitato di scrivere sulla religione, e mi sono limitato alla scienza".

Ma come da un lato l'educazione scientifica può avere un effetto positivo e antireligioso, così dall'altro lato l'educazione religiosa può sortire un complementare effetto negativo e antiscientifico. Lo conferma un passo dell'Autobiografia, in cui si può leggere una chiara allusione al Genesi: "Non dobbiamo trascurare la probabilità che il costante inculcare la credenza in Dio nelle menti dei bambini possa produrre un effetto così forte e duraturo sui loro cervelli non ancora completamente sviluppati, da diventare per loro tanto difficile sbarazzarsene, quanto per una scimmia disfarsi della sua istintiva paura o ripugnanza del serpente".


(11 febbraio 2009)
da repubblica.it


Titolo: Grinzane, Odifreddi: «Il premio? Ormai è morto»
Inserito da: Admin - Marzo 17, 2009, 08:22:18 am
Inchiesta Grinzane, Odifreddi: «Il premio? Ormai è morto»

Accuse alla politica: «In consiglio regionale destra e sinistra si erano opposte alla mia nomina come presidente»

di Vincenza de Iudicibus


ROMA (16 marzo) - «Il Grinzane? Ormai è morto». Non usa mezzi termini Piergiorgio Odifreddi, ex presidente del comitato dei garanti del premio, per commentare la vicenda che ha portato all’arresto dell’intellettuale torinese Giuliano Soria che lo presiedeva: «Temo che la storia del premio debba chiudersi qui – afferma – L’unica soluzione potrebbe essere di farlo rinascere cambiando sia il nome che il progetto».

Il “matematico impertinente” condanna nettamente l’atteggiamento di Soria: «Se avesse fatto prima le sue ammissioni – dice – non si sarebbe arrivati a questo punto. Probabilmente il premio si sarebbe salvato, e lui non sarebbe stato arrestato. Ma adesso che la giuria non c’è più, che il comitato si è sciolto, resta poco da fare».

Odifreddi non rinuncia a togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Già nei giorni scorsi aveva condannato le dimissioni della giuria, colpevole di aver rinunciato a portare a termine il lavoro cominciato. Le dimissioni vengono considerate dal matematico, oltre che un atto contro il premio, un’azione contro di lui e il comitato dei garanti scelto. Ma l’accusa più dura Odifreddi la riserva ai politici poco coraggiosi: «In consiglio regionale sia destra che sinistra si erano opposte alla mia nomina come presidente - afferma - Hanno detto che poteva essere cosa poco gradita al Cardinale. Personalmente ritengo che si tratti di un atteggiamento conservatore, fondamentalista e ottuso».

Se fosse possibile ridisegnare il premio, Odifreddi, che dal 19 marzo sarà a Roma per la terza edizione del Festival della Matematica (di cui è il coordinatore scientifico) investirebbe in un evento differente: «Lavorerei per un progetto più legato al territorio – conclude – Più equilibrato: pochi premi e più variegati, che non riguardino solo la letteratura, ma anche la scienza e altre discipline».
 
da ilmessaggero.it


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Io e il Grinzane
Inserito da: Admin - Marzo 18, 2009, 10:34:51 am
L'INTERVENTO

Io e il Grinzane

di PIERGIORGIO ODIFREDDI


Vorrei rispondere ad rem (cioè, nel merito) all'attacco ad personam (cioè, pretestuoso) che Pierluigi Battista mi rivolge nella "Lettera al sacerdote dell'anticlericalismo" sul Corriere della Sera del 16 marzo, elogiata da l'Avvenire il 17 marzo.

Anzitutto, lo ringrazio per avermi chiamato "egregio". Credo infatti che sappia, nonostante la sua avversione per le etimologie, che l'aggettivo significa "fuori del gregge", e oggi in Italia chi esprime e difende un pensiero laico è effettivamente costretto a cantare fuori dal coro dei belati. Cosa non sgradevole, comunque, visto che Albert Einstein notava nelle sue Idee e opinioni che "per essere l'immacolato componente di un gregge di pecore, bisogna prima di tutto essere una pecora".

Venendo all'articolo, Battista bolla la mia dichiarazione di ingerenza clericale nelle vicende del Premio Grinzane Cavour come "fantasticamente infondata, alla luce di un elementare buonsenso": ne deduco che, pur scrivendo sui giornali, non li legge. Neppure il suo, che il 4 marzo titolava "L'assenza cattolica agita il Grinzane". E neppure l'Avvenire, che il 3 marzo titolava "Grinzane, un futuro a senso unico?", e vedeva come "una barzelletta l'eventuale inserimento di un solo rappresentante dell'area cattolica". E neppure La Stampa, che il 1° marzo titolava "I cattolici reclamano un posto nei saggi".

Quanto all'appello al buonsenso come verifica di fondatezza, si tratta dello stesso argomento che viene puntualmente avanzato da coloro che la pensano come lui, ogni volta che qualche idea nuova viene alla ribalta: è stato infatti il "buonsenso" a far processare Galileo per aver sostenuto che la Terra girava attorno al Sole, e non viceversa, così come è stato il "buonsenso" a far avversare Darwin per aver sostenuto che l'uomo fu creato a immagine e somiglianza della scimmia, e non di Dio.

Purtroppo è difficile applicare il buonsenso alle vicende del Grinzane, quando il forzista Giampiero Leo e il pidino Stefano Lepri sono a verbale per aver ineffabilmente sostenuto in Consiglio Regionale a Torino che la mia nomina era "sgradita al cardinale" (come se questo dovesse importare). E quando il forzista Enzo Ghigo e il pidino Gianfranco Morgando mi chiamano "matematico ateo", mostrando ripetutamente di ritenere che il secondo (e forse anche il primo) attributo siano degli handicap, invece che delle garanzie: dimenticando che la gestione di Soria e la sponsorizzazione di Ghigo e Leo erano sì "cattolicamente corrette", ma certo non si sono rivelate evangeliche.

Battista mi dice che dovrei "aver conosciuto nelle mie peregrinazioni di studioso negli Stati Uniti e in Unione Sovietica la sorte di quegli intellettuali che, strappati dal recinto delle loro competenze specifiche, si perdono nelle fumisterie del vaniloquio ideologico e della banalità più corriva". Non so cosa c'entri, ma è vero, li ho conosciuti: in particolare il linguista Noam Chomsky e il fisico Andrei Sacharov, attaccati dai loro detrattori maccartisti e persecutori brezneviani con le sue stesse parole. E avendoli conosciuti, non posso che prenderli ad esempio: in particolare il primo, come ho scritto nella prefazione a Il matematico impertinente.

Infine, a proposito del suggerimento di "tornare dove mi sento a mio agio, tra i numeri e la trigonometria", io ci sono sempre rimasto: un mio libro su Darwin è uscito da qualche settimana (Battista non se n'è accorto, ma fortunatamente il pubblico e i recensori sì), un altro sulla matematica esce in questi giorni, la scorsa settimana ho diretto un Festival della Matematica a New York, e questa settimana proseguiamo a Roma, ospitando in tutto otto premi Nobel e tre medaglie Fields. Temo che la fissazione sulle mie marginali opinioni in campo religioso siano soltanto un sintomo del fatto che la lingua batte dove il suo dente (di Battista) duole.

(18 marzo 2009)
da repubblica.it


Titolo: ODIFREDDI. giallo sul licenziamento dopo il successo del Festival di Roma.
Inserito da: Admin - Marzo 26, 2009, 10:36:48 am
IL CASO

Odifreddi, giallo sul licenziamento dopo il successo del Festival di Roma

Il matematico liquidato con una mail: "Mi hanno detto che è venuta meno la fiducia". L'Auditorium nega

di SIMONETTA FIORI


 ROMA - Se la matematica è la scienza esatta per definizione, non c'è niente di esatto o di logico nell'epilogo del festival dedicato al genio aritmetico appena concluso all'Auditorium di Roma. Doveva essere la celebrazione dell'indole matematica, elevata a paradigma di ciò che servirebbe in questa confusa fase storica: pensare, ragionare, contare sull'intelletto. Così è stato per alcuni giorni, con otto premi Nobel, tre medaglie Fields, cinquantamila spettatori. Il seguito, però, inclina penosamente al teatro dell'assurdo o alla commedia degli equivoci. Tutto comincia con una mail, arrivata nel pomeriggio sul computer di Piergiorgio Odifreddi, direttore scientifico del festival.

"Un messaggio di poche righe, racconta lo studioso. "È firmato da Carlo Fuortes, amministratore delegato dell'Auditorium. Mi comunica che è venuto meno il rapporto di fiducia". Licenziato, così, sui due piedi. Dopo la pagina nera del Grinzane, il nuovo caso del Festival della Matematica. Tempi cupi per il matematico impenitente, costretto a nuova penitenza. Grazie per la collaborazione, ma finisce qui. Non ti rinnoviamo il contratto. Una comunicazione asciutta e inequivocabile. "No, non me l'aspettavo", è il solo commento di Odifreddi. "Ci sono stati dissapori, ma niente lasciava prevedere una simile conclusione".

Che succede nel "festivalificio" della capitale? Su suggestive ipotesi politiche sembrano prevalere ragioni di carattere personale. La versione d'una "censura politica" da parte di un'amministrazione cittadina ossequiosa verso le gerarchie ecclesiastiche non sembra sufficientemente argomentata, almeno in questa occasione. Semmai "l'irregolarità" di Odifreddi potrebbe aver suggerito al Comune di Roma di tagliare per quest'anno i finanziamenti alla manifestazione, che è stata sovvenzionata dalla Provincia guidata da Nicola Zingaretti. Solo supposizioni, che peraltro rimangono estranee all'improvvisa decisione di Fuortes di far fuori Odifreddi.

Ruggini personali, incomprensioni, un antagonismo tra lo studioso e l'amministratore delegato avrebbero prodotto in queste settimane la rottura definitiva. Secondo alcuni, Fuortes sarebbe stato infastidito dalle iniziative autonome d'un indisciplinato Odifreddi. In fondo era stato Fuortes a difenderne la direzione scientifica dai tanti nemici politici accumulati dal matematico in questi mesi. Tu quoque, eccetera eccetera. Sul "venir meno del rapporto di fiducia" cui fa riferimento la lettera di licenziamento non è possibile sapere di più. Tace il licenziato. È irraggiungibile anche l'artefice del licenziamento. Per tutto il pomeriggio sceglie il silenzio il presidente dell'Auditorium Gianni Borgna. Sarebbe interessante capire con quali motivazioni sia stato allontanato un direttore scientifico che in tre anni ha portato a Roma una moltitudine di premi Nobel e una caterva di medaglie Fields. Bastano dei dissidi personali per mandare in fumo il festival?

In tarda serata, la soluzione dell'enigma. Che - come già detto - ha poco di scientifico o di esatto. "Odifreddi licenziato? Ma quando mai?", cade dalle nuvole Massimo Pasquini, capo dell'ufficio stampa dell'Audiorium, incaricato di rappresentare Borgna e Fuortes. "Una mail? Ma quale mail? Con Odifreddi c'è stato solo un pacato confronto sulla formula da adottare nelle successive edizioni del festival: come rinnovarlo ed eventualmente a chi affidarlo". Strana consuetudine: avete chiesto a Odifreddi chi possa sostituirlo nella direzione scientifica? "No, no. Ma è ancora tutto aperto, non s'è deciso niente. Stiamo ancora festeggiando per lo straordinario successo di quest'anno: otto premi Nobel, tre medaglie Fields, il record dei biglietti esauriti...". Odifreddi insiste: "La mail di licenziamento è nel mio computer". Più che un epilogo "matematico", un canovaccio teatrale con poca logica e molte bugie.

(26 marzo 2009)
da repubblica.it


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Matematica, non è più un festival per Odifreddi
Inserito da: Admin - Marzo 26, 2009, 11:30:06 pm
26/3/2009 (7:41) - LA KERMESSE DEI NUMERI PERDE IL SUO DIRETTORE

Matematica, non è più un festival per Odifreddi
 

GABRIELE BECCARIA


Una mail e il «matematico impertinente» più famoso d’Italia si è trovato di fronte a uno di quei paradossi logici che ha studiato per decenni. «Ci vuole un rapporto di grande sintonia e fiducia che purtroppo, adesso, non riscontro più e quindi, per quanto mi riguarda, mi sembra impossibile continuare come gli anni scorsi». Firmato Carlo Fuortes, amministratore delegato dell’Auditorium Parco della Musica. Piergiorgio Odifreddi è stato allontanato. Da ieri non è più il direttore del Festival della Matematica.

Abbandonato il Premio Grinzane, adesso perde a sorpresa la sua creatura, intrisa di equazioni e formule, che quest’anno aveva fatto il tutto esaurito, con file di ragazzi e ragazze a comprare i biglietti delle lezioni sui «multiversi» e sui «mativersi» come se fossero esibizioni di rockstar. I Premi Nobel John Nash e Thomas Schelling non lo sanno ancora, ma il «loro» Piergiorgio, che sabato scorso li aveva portati sul palco, costringendoli a una sorta di spettacolare flusso di coscienza tra economia, storia e teoria dei giochi, è fuori combattimento.

«Sì, è vero. Hanno interrotto il nostro rapporto di collaborazione - reagisce il professore -. Ma adesso non voglio commentare». La voce è decisa, il piglio è il solito, ma rifiuta le stilettate che ne hanno fatto un personaggio multimediale, dai libri alla tv. Non restano che le voci e i pettegolezzi, quelli che avevano cominciato a circolare già durante il Festival della settimana scorsa e che ora rimbalzano come sassate.

Finalmente, a sera, la replica romana. «Il presidente e l’amministratore delegato, Gianni Borgna e Carlo Fuortes, sono molto sorpresi - fa sapere il portavoce dell’Auditorium Massimo Pasquini -. Le mail sono chiacchierate per capire se riformulare il Festival e con chi. Come si fa a parlare di licenziamento, se il contratto scade a ogni edizione?».

Scaduto ed evidentemente non rinnovato. Ai golosi di gossip culturale la spiegazione non può bastare. Dopo il caso Settis-Carandini, ecco un’altra storia per i salotti romani. Se Odifreddi, che nell’immaginario collettivo incarna l’ateo-provocatore, rifiuta la parte della vittima, quelli che si definiscono bene informati, ma che preferiscono non apparire, puntano il dito su una scia di screzi, diventata troppo grande per essere ignorata.

Se Odifreddi aveva sorriso, quando gli raccontarono con enfasi come Giuliano Soria avesse fatto salire tre Nobel sullo stesso bus, potrebbe essere stato proprio l’eccesso di signori premiati a Stoccolma e portati al Festival dei numeri - otto - a farlo cadere. Alla vigilia aveva deciso di condurne una delegazione dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ma il suo ruolo di «ambasciatore» con il duo Nash-Schelling, accompagnati da Roald Hoffmann (chimica), Robert Mundell (Economia) e Arno Penzias (Fisica), più la Medaglia Fields per la matematica Vaughan Jones, il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Nicola Cabibbo e il matematico-divulgatore Ian Stewart, potrebbe non essere piaciuto ai vertici dell’Auditorium. Eccesso di presenzialismo?

«Macché litigi! E’ stata la normale dialettica tra organizzazione e direzione scientifica, vista l’enorme quantità di rapporti filtrati da Odifreddi - ribatte Pasquini -. Al massimo si può parlare di piccoli attriti». Conflitti, però, che si sarebbero via via estesi, anche all’ultimissimo libro del professore-logico, dal titolo, visto adesso, perfino profetico: «Il club dei matematici solitari del prof. Odifreddi». Per qualcuno quello dei «grandi» transitati a Roma dovrebbe essere tutto tranne che il «suo» club e infatti, poche settimane prima, l’Auditorium aveva mandato in edicola una serie di Dvd con le registrazioni di una serie di incontri eccellenti nelle scorse edizioni del Festival.

I corvi traducono il tutto in un deflagrante mix di gelosie e di potere (magari aggiungendo il solito presunto complotto politico): è noto che la direzione scientifica di Odifreddi sia stata da monarca più che da premier, mentre il Festival si trasformava, da un anno all’altro, in una grandiosa macchina delle meraviglie. Intanto all’Auditorium si prende tempo: «Dobbiamo valutare esigenze diverse - dice Pasquini -. Il Festival non ha esaurito le sue possibilità, però il format è da rivedere. Non è facile bloccare una struttura simile per quattro-cinque giorni in nome di un solo evento».

«Che programma stellare!», aveva sbottato Brian Greene, star della fisica. Forte di questa benedizione, c’è chi scommette che Odifreddi stia pensando al colpo di scena e generi un clone del Festival a Torino, la città vittima - anche lei - di un paradosso logico: tanti i ricercatori e gli ingegneri, eppure sempre poveri gli eventi di divulgazione scientifica. E i Nobel? Nella notte era già partita qualche telefonata.

da lastampa.it


Titolo: ODIFREDDI. Perché Dio non esiste
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2010, 09:22:13 am
ODIFREDDI.

Perché Dio non esiste

L’ho incontrato la prima volta sul “Camino de Santiago”. Insieme, abbiamo fatto sette giorni di pellegrinaggio. Entrambi non credenti. Gli chiesi subito: “Ma perché?” Rispose: “È colpa di Valzania. È stato lui a trascinarmi. Lui sosteneva che un mio saggio contro la religione, “Perché non possiamo essere cristiani”, in realtà era un libro di preghiere. Diceva che per poter scrivere questo testo avevo dovuto leggere le Sacre Scritture, quindi ero alla ricerca di spiritualità. E che dunque dovevo andare con lui a fare il pellegrinaggio di Santiago di Compostela”.

Sergio Valzania, allora, era direttore di Radio3. Credente. Camminavamo tutta la giornata, chi più veloce chi più dolcemente. C’erano anche Franco Cardini, Dario Vergassola, Davide Riondino. Alla sera io e Odifreddi ci sistemavamo in una saletta dell’albergo e registravamo.

“Ma tu eri alla ricerca di spiritualità? Di religiosità?” gli chiesi, “lo non credo in tutta questa religiosità su questo cammino” rispose Odifreddi. “A parte il fatto che ci sono delle chiese. Ma dove non ci sono chiese in Europa? Il cammino per me è una lunga passeggiata.

Camminare in mezzo ai campi ti mette in sintonia con te stesso, ti fa meditare, ma meditare non in senso religioso. Ti crea del silenzio intorno, perché poi ognuno trova il proprio passo. Ciascuno fa ore di cammino durante la giornata ed è solo. E pensa. Questa, se vuoi, puoi considerarla, in una maniera molto generica, spiritualità”.

http://csflibri.wordpress.com/odifreddi-perche-dio-non-esiste/

http://www.sabellifioretti.it/?p=38379


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Una croce sul Sole delle Alpi
Inserito da: Admin - Settembre 29, 2010, 06:14:05 pm

29
set
2010

Una croce sul Sole delle Alpi

Piergiorgio Odifreddi

Il caso è ormai noto. Una scuola di Adro, piangente paesino tra Bergamo e Brescia, ha esposto in un numero inusitato di copie il Sole delle Alpi: un antico simbolo geometrico, che riporta gli archi di cerchio che vengono tracciati quando si costruisce con il compasso un esagono inscritto in un cerchio.

Naturalmente, i leghisti non sanno nulla della sua origine euclidea. Meno che mai ne sa il sindaco del paese, che si è fermato alla terza media, e democraticamente rappresenta il livello di istruzione dei suoi elettori. A loro importa soltanto che qualcuno abbia deciso che quella foglia di fico verde simboleggi la Padania, forse nella speranza che possa coprirne le vergogne. E tanto è bastato perchè esso diventasse degno di ostensione ed esibizione nella scuola.

Qualche giorno fa il ministro Gelmini ha intimato la rimozione del simbolo, e ieri la Presidenza della Repubblica ha diramato un comunicato, che recita: “Il Capo dello Stato ha apprezzato il passo compiuto dal Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini invitando il sindaco di Adro a rimuovere quelle esibizioni, e ha ribadito la sua convinzione che nessun simbolo identificabile con una parte politica possa sostituire, in sedi pubbliche, quelli della nazione e dello Stato, nè questi possono essere oggetto di provocazioni e di sfide”.

Un bell’insegnamento, oltre che un pessimo esempio del comportamento che viene indicato dal motto “due pesi, due misure”. Sia il Presidente della Repubblica, che il Ministro dell’Istruzione, hanno infatti detto esattamente il contrario quando si è trattato di evitare la rimozione del Crocifisso dalle scuole, intimato dalla Comunità Europea.

Forse che la croce non è un simbolo identificabile con una parte politica, che va dal Vaticano (addirittura uno stato estero ed extracomunitario) all’area della ex Democrazia Cristiana? Forse che quel simbolo non sostituisce, nelle sedi pubbliche quali le aule scolastiche, quelli inesistenti della nazione e dello Stato? Forse che non e’ oggetto di provocazione e di sfida: ad esempio da parte del Ministro La Russa, che ha urlato in televisione che coloro che vogliono togliere il Crocifisso dalle scuole “possono morire”?

E allora, signor Presidente e signor Ministro, se il Sole delle Alpi se ne deve andare, perchè è il simbolo di una Lega che attenta all’unità d’Italia, non se ne dovrebbe andare anche il Crocifisso, che è la negazione del motto “libera Chiesa in libero Stato”, sul quale quella stessa unità è stata costruita tra il 1861 e il 1929?

Scritto mercoledì, 29 settembre 2010 alle 01:03
http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2010/09/29/una-croce-sul-sole-delle-alpi/?ref=HREC1-2


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Lo scherzo da preti del Nobel a Edwards
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2010, 03:34:51 pm

4
ott
2010


Lo scherzo da preti del Nobel a Edwards

Oggi è stato assegnato il premio Nobel per la medicina a Robert Edwards, per «lo sviluppo della fertilizzazione in vitro».
Cioè, per intenderci, per la tecnica di fecondazione assistita che permette alle coppie sterili, che sono ben il dieci per cento di tutte le coppie, di non arrendersi e avere comunque figli «in provetta».

Le ricerche di Edwards erano cominciate negli anni ‘50, ma solo il 25 luglio 1978 egli potè annunciare al mondo la nascita di Louise Brown, la prima bambina concepita con la nuova tecnica e partorita con un cesareo. Da allora, circa quattro milioni di bambini sono nati in tal modo, e alcuni di essi sono già diventati genitori a loro volta: in particolare, la stessa Brown, che ha avuto un figlio in maniera «naturale».

Prima di Edwards, la fecondazione assistita era già stata sperimentata con successo nei conigli. Ma negli uomini presentava problemi particolari, e per poterla realizzare Edwards dovette capire meglio il processo di maturazione dell’ovulo, il modo in cui gli ormoni lo regolano, il periodo in cui esso diventa fecondabile, e le condizioni di attivazione dello sperma.

Nel 1969 egli riuscí a fecondare artificialmente il primo ovulo, ma non ad attivarne la divisione cellulare. Uní allora i suoi sforzi a quelli del ginecologo Patrick Steptoe, e quest’ultimo sviluppò una tecnica di ispezione delle ovaie mediante uno strumento ottico.
Fu cosí possibile prelevare ovuli che erano già maturati nelle ovaie, e la loro fecondazione artificiale questa volta funzionò: i due scienziati ottennero cosí il primo embrione a otto cellule, pronto per essere reimpiantato nell’utero.

Immediatamente si scatenerano le polemiche. Le ricerche di Edwards e Steptoe persero i finanziamenti pubblici, ma furono salvate da successive donazioni private di fondi. Nove anni dopo, nel 1978, furono infine coronate dal successo. Nel 1986 erano ormai 1.000 i bambini nati con la nuova tecnica. E oggi essa, migliorata e raffinata, è diventata di uso comune nei paesi civili.

Non nel nostro, ovviamente, che civile non è per tanti motivi, compreso questo. Per chi se lo fosse dimenticato, infatti, il 19 febbraio 2004 il Parlamento italiano ha promulgato l’infame Legge 40, sulle «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita». E il 12 e 13 giugno 2005 gli elettori italiani hanno fatto fallire i quattro referendum che erano stati proposti per migliorarne l’obbrobrio.

A parte i sedicenti e ossimorici «cattolici adulti», guidati da Romano Prodi, la quasi totalità dei cattolici, immaturi per definizione, si adeguò infatti ai diktat del cardinal Ruini e dell’allora nuovo papa Benedetto XVI, astenendosi. Con loro si schierò uno sparuto gruppo di altrettanto sedicenti e ossimorici «scienziati» aderenti al Comitato Scienza e Vita, coordinato da Bruno Dallapiccola e Paola Binetti.

La quasi totalità dei laici, compresa ad esempio la Federazione delle Chiese Evangeliche, espressione dei protestanti italiani, seguí invece, senza successo, l’appello alla ragionevolezza dei nostri due premi Nobel per la medicina, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini.
Il che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che il problema dell’Italia non è la religione, e neppure il Cristianesimo: è soltanto il Cattolicesimo, cosí come lo intendono la Chiesa e il Vaticano. E il Nobel di oggi a Edwards (non a Steptoe, che è morto nel 1988) non fa che confermarlo.

http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HREC1-2


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Un Big Bang per la Legge 40
Inserito da: Admin - Ottobre 09, 2010, 09:21:55 am
6
ott
2010

Un Big Bang per la Legge 40


Per una significativa coincidenza, due giorni dopo l’assegnazione del premio Nobel per la medicina a Robert Edwards, inventore delle tecniche di procreazione assistita, un tribunale di Firenze ha sollevato un’eccezione di incostituzionalità per la Legge 40, che limita in maniera ridicola l’applicazione di quelle tecniche.

Ricordiamo, infatti, che l’articolo 1.1 “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”. Cioè, equipara l’embrione a una persona adulta e mette sullo stesso piano i suoi diritti con quelli della madre.

L’articolo 4.1 circoscrive il ricorso alla procreazione assistita “ai casi di sterilità o infertilità”. Cioè, lo impedisce a chi, pur essendo fertile, rischia di procreare figli malati o malformati.

L’articolo 4.3 “vieta il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”. Cioè, come conferma l’articolo 12.1, impedisce l’utilizzo di “gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente”.

L’articolo 5.1 restringe l’uso delle tecniche consentite a “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.

L’articolo 12.1 conferma che quest’uso è negato a “coppie i cui componenti non siano entrambi viventi, o uno dei cui componenti sia minorenne, o che siano composte da soggetti dello stesso sesso, o non coniugati o conviventi”.

L’articolo 13.2 restringe la ricerca sugli embrioni a “finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso”.

L’articolo 13.3 impedisce in particolare “interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete”.

L’articolo 14.1 vieta “la crioconservazione e la soppressione di embrioni”.

L’articolo 14.2 impedisce la creazione di “un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”.

L’articolo 14.3 obbliga “il trasferimento in utero degli embrioni non appena possibile”.

Chiara Lalli ha analizzato in Libertà procreativa (Liguori Editore, 2004) i confusi presupposti filosofici e le contraddittorie conseguenze giuridiche di questa legislazione.

Ad esempio, l’articolo 1.1 è in conflitto con la legge 194 del 1978 sull’aborto, confermata dai due referendum del 17 maggio 1981, che privilegia invece i diritti della madre rispetto a quelli del concepito.

L’articolo 4.3 vieta la fecondazione eterologa artificiale, ma non quella naturale che può derivare da normali rapporti sessuali occasionali o extraconiugali.

Gli articoli 14.1 e 14.2 obbligano la donna a sottoporsi a stimolazione ormonale e prelievo di ovuli a ogni tentativo di fecondazione, invece di permettere la conservazione di un adeguato numero di embrioni per un riuso.

L’articolo 14.3 costringe all’impianto forzato dell’ovulo fecondato una donna che nel frattempo abbia avuto dei ripensamenti, anche se in seguito essa potrà legalmente sbarazzarsi dell’embrione non desiderato mediante un aborto. E così via.

Nell’aprile 2009 la Corte Costituzionale era già stata chiamata a pronunciarsi su vari aspetti di questa fantasiosa legge, e aveva stabilito l’incostituzionalità degli Articoli 14.2 e 14.3. Essa è ora chiamata a pronunciarsi sull’incostituzionalità degli Articoli 4.3 e 12.1.

Naturalmente, oggi il governo e le forze politiche reazionarie difendono la Legge 40, così come l’altro ieri il Vaticano e la Chiesa avevano attaccato il premio Nobel a Edwards. Visto che una stessa fede accomuna gli uni e gli altri, possiamo ben dire che “Dio li fa, e poi li accoppia”. Ma, se esiste, prima o poi dovrà anche decidersi a scoppiare questi uomini vuoti:

       This is the way the nation begins

       This is the way the nation begins

       This is the way the nation begins

       Not with a whimper but a bang

http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HRER1-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La legge della verità
Inserito da: Admin - Ottobre 15, 2010, 10:45:04 pm
PIERGIORGIO ODIFREDDI

15
ott
2010

La legge della verità

La lezione negazionista del professor Claudio Moffa all’Università di Teramo ha sollevato feroci polemiche. Il commento più adeguato mi sembra un’osservazione di Borges nel suo saggio su Nathaniel Hawthorne: «Il proposito di abolire il passato fu già formulato nel passato, e paradossalmente, è una delle prove che il passato non può essere abolito. Il passato è indistruttibile: prima o poi ritornano tutte le cose, e una delle cose che tornano è il progetto di abolire il passato».

Il commento più inadeguato, invece, mi sembra l’odierna lettera del presidente della Comunità Ebraica di Roma, nella quale egli propone un rimedio peggiore del male: elaborare in maniera bipartisan un testo di legge,  da far approvare al Parlamento, che «renda reato il negazionismo e il ridimensionamento dei numeri della Shoah». La pretesa di poter stabilire per legge la verità dei fatti oscilla infatti pericolosamente tra il velleitario e il ridicolo.

Basta ricordare, ad esempio, la legge passata unanimemente (67 a 0!) dalla Camera dei Rappresentanti dell’Indiana il 5 febbraio 1897, nella quale si stabiliva che il valore corretto del rapporto fra la circonferenza e il diametro di un cerchio è 3. Come racconta la Storia di pi greco di Petr Beckmann, l’autore del testo di legge era un medico di nome Edwin Goodman, che sosteneva di aver quadrato il cerchio. Egli offrí il suo contributo come regalo gratuito allo Stato dell’Indiana, pensando forse che gli altri stati avrebbero dovuto pagare i diritti per la sua scoperta. Fortunatamente, al Senato dell’Indiana qualcuno si accorse dell’assurdità della cosa, e il 12 febbraio la discussione sulla legge fu rinviata a data da destinarsi.

Anche se il valore proposto per pi greco fosse stato corretto, la legge non sarebbe comunque stata meno assurda. Il motivo ovvio è che, come disse Antonio Labriola, «la verità non si mette ai voti». Anche perchè, quando i voti sono quelli dei parlamenti, si finisce non per stabilire la verità dei fatti, bensí per imporre una verità di stato. La quale, come ben sappiamo è tutt’altra cosa, e spesso si chiama semplicemente «menzogna».

Rendendo un reato il negazionismo, si finirebbe dunque per instillare il leggittimo dubbio che veramente esso sia una verità, che si teme di sentire e si vuol impedire di divulgare. E poi, diciamoci appunto la verità: su quante altre menzogne bisognerebbe preoccuparsi di legiferare? Non si dovrebbe anche mettere fuori legge l’astrologia, ad esempio? O le teorie del complotto sull’11 settembre? O, perchè no, il cristianesimo stesso? Anche perchè, mentre i dubbi sulla Shoah sono ridicoli, quelli sull’esistenza storica di Gesù Cristo sono serissimi. Perchè mai preoccuparsi di un isolato professore che la dice grossa, a fronte di un esercito di preti che la sparano ancora più grossa?

Scritto venerdì, 15 ottobre 2010 alle 13:29 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Caro Papa, ti scrivo
Inserito da: Admin - Ottobre 15, 2010, 10:45:49 pm
PIERGIORGIO ODIFREDDI

12
ott
2010

Caro Papa, ti scrivo

Sembra sia passata un po’ in sordina la notizia che il presidente iraniano Ahmadinejad ha scritto una lettera a Benedetto XVI, in cui lo ringrazia per aver preso posizione contro il rogo del Corano, gli propone «una collaborazione fra religioni divine per fermare il secolarismo e la crescente tendenza dell’uomo a concentrarsi sulla vita materiale», e si preoccupa della «mancanza di riguardo dell’umanità per gli insegnamenti delle religioni divine».

La sordina dei media, che hanno dedicato alla missiva solo poche righe asettiche e senza enfasi, riflette l’evidente imbarazzo della Santa Sede. Il portavoce, padre Lombardi, si è limitato a confermare che la lettera è stata consegnata personalmente al Papa dal vicepresidente iraniano, e ha rimandato al comunicato della presidenza iraniana per un estratto dei contenuti.

L’imbarazzo è ovviamente giustificato. Le parole del fondamentalista Ahmadinejad riecheggiano infatti quelle che Benedetto XVI va ripetendo da tempo, nella sua donchisciottesca battaglia contro il mulino a vento del relativismo. Basta leggere Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, Islam (Mondadori, 2004), duetto dell’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede con l’ex presidente del Senato Marcello Pera. O il suo discorso Pro eligendo Romano Pontefice, pronunciato il 18 aprile 2005 all’apertura del conclave che l’ha eletto papa.

La convergenza dei due fondamentalismi mediorientali, islamico e cristiano, nella battaglia contro la secolarizzazione è oggettiva: basta pensare alla recente istituzione del nuovo dicastero della Curia romana dedicato all’evangelizzazione dell’Occidente, affidato a monsignor Rino Fisichella e presentato proprio oggi in Vaticano. Che la convergenza sia anche giustificata dalla realtà dei fatti, lo dimostra un ponderoso studio su Ateismo e secolarizzazione curato dal sociologo Phil Zuckerman, il cui primo volume è stato recensito un paio di settimane fa sul Domenicale del Sole 24 Ore.

I dati riportati sono impressionanti. A fronte di 2,1 miliardi di cristiani e 1,5 di musulmani, nel mondo ci sono ormai 1,1 miliardi di non credenti: dunque, più dei 900 milioni di induisti, 380 milioni di buddhisti, 300 milioni di animisti, 23 milioni di sikh, 14 milioni di ebrei e 4 milioni di shintoisti. Inoltre, sembra che il numero di atei e agnostici aumenti al ritmo di otto milioni e mezzo l’anno: più nei paesi più avanzati, e meno in quelli islamici.

Nonostante le apparenze, le cifre riguardanti l’Italia sono consistenti con quelle mondiali: anche da noi i non credenti sono circa il quindici per cento della popolazione, benchè la cosa non sia affatto evidente dalla loro visibilità mediatica, che rimane praticamente nulla. E la percentuale coincide con quella degli studenti che si avvalgono dell’esenzione dall’ora di religione nelle scuole superiori, pur con tutte le difficoltà che la scelta comporta, a partire dal sistematico boicottaggio dell’offerta di ore alternative.

Quasi a confermare la caratteristica infantile della credenza religiosa, le cifre dell’esenzione scolastica scendono dal quindici per cento nelle superiori al sette per cento nelle medie, e al cinque per cento nelle elementari. Benchè, naturalmente, con l’età, alla crescita intellettuale dei ragazzi si assommi anche la diminuzione del potere coercitivo delle famiglie, massimo sui bambini indifesi e minimo sugli adolescenti agguerriti.

Lo studio di Zuckerman conferma anche il risaputo e sostanziale ateismo della comunità scientifica. I dati, riportati anche dall’Avvenire in un’inchiesta dello scorso anno, situano la percentuale degli scienziati credenti attorno a un misero sette per cento, con punte che variano tra il quattro per i biologi e il quindici per cento per i matematici. Anche se, a parziale giustificazione di questi ultimi, va detto che la loro religiosità sembra indirizzata più verso una divinità astratta e razionale, che verso una concreta e incarnata.

Fanno dunque bene a preoccuparsi, Benedetto XVI e Ahmadinejad. La loro è fede in declino, e fatica sempre più a mantenere la presa sui popoli sviluppati e sugli individui maturi. Facciano pure la loro Santa Alleanza per la sopravvivenza delle «religioni divine», ma sappiano che vanno contro la storia umana. E’ il progresso, bellezze!

Scritto martedì, 12 ottobre 2010 alle 12:07 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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Titolo: Re: Piergiorgio ODIFREDDI. Sana e robusta Costituzione
Inserito da: Admin - Ottobre 25, 2010, 05:23:14 pm

24
ott
2010

Sana e robusta Costituzione

Piergiorgio Odifreddi.

Le recenti dichiarazioni dei presidenti della Repubblica e della Camera spingono a riflettere, rispettivamente, sullo stato di salute della Costituzione e della legge elettorale.

Cominciamo dalla prima, che viene tirata in direzioni opposte dalle opposte forze politiche. La destra sembra considerarla ormai obsoleta e buona solo a essere stracciata, mentre il centro-sinistra la esalta e la difende in maniera acritica e aprioristica. Come sempre succede, le posizioni estreme rischiano di essere  entrambe sbagliate.

Se infatti la Costituzione non è certo tutta da buttare, sarebbe difficile sostenere che debba essere preservata intatta. A cominciare dal famigerato Articolo 7, che recepiva i Patti Lateranensi nella carta di quello che avrebbe dovuto essere uno stato laico, repubblicano e democratico. I Patti si aprivano invece con un’invocazione alla Santissima Trinità, proclamavano il cattolicesimo religione di Stato, facevano un esplicito richiamo allo Statuto Albertino del 1848, recavano la firma del Duce e il marchio del fascismo, e concedevano ai cattolici privilegi in aperta contraddizione con il resto della Costituzione.

Un articolo di tal genere, solo in parte rimediato dalla revisione dei Patti del 1984, non permette certo di considerare perfetta la Costituzione che lo contiene. E le modalità che hanno portato alla sua approvazione all’Assemblea Costituente, il 25 marzo 1947, grazie al tradimento dei comunisti, che unirono il loro voto a quello dei democristiani e della destra, dimostrano a sufficienza, nel caso ce ne fosse bisogno, che la Costituzione non è piovuta dal cielo come le Tavole della Legge. E’ invece “umana, troppo umana”: cioè, politica, troppo politica.

E se è politica, è non solo possibile, ma doveroso cambiarla quando le condizioni politiche cambiano, così come sono cambiate dal 1948 ad oggi. Naturalmente, l’unico modo democratico e corretto di cambiare la Costituzione sarebbe di farla riscrivere da una nuova Assemblea Costituente. Non certo di modificarla con colpi di mano quali le riforme a maggioranza, di cui si sono macchiati sia il governo Amato nel 2001, che il governo Berlusconi nel 2005.

Ma poiché un’Assemblea Costituente dev’essere eletta in qualche modo, si ripropone immediatamente il problema della legge elettorale. Il presidente della Camera si è finalmente accorto, bontà sua, che “il partito carismatico è il miglior strumento per vincere le elezioni, ma il peggiore per governare”. Magari un giorno si accorgerà che il problema è ben più grave, e in realtà non risiede nè nel partito carismatico, nè nel giustamente vituperato porcellum. Bensì, è ormai l’intero sistema democratico occidentale a far sì che le qualità (individuali o collettive) necessarie per vincere le elezioni non siano quelle necessarie per governare.

Anzitutto, perché il gioco e l’impegno politico richiedono ormai un coinvolgimento così totale, che possono impegnarcisi soltanto coloro che non hanno nient’altro da fare, o che non sanno fare nient’altro. E poi, perché i costi e le fatiche della competizione elettorale la rendono inappetibile a coloro che non ritengono di poter ricavare benefici dall’elezione. Il risultato è di fronte agli occhi di tutti, ed è misurabile dall’infimo livello intellettuale e morale della casta dei politici professionisti.

Ma ancora più grave è l’anacronismo del sistema democratico occidentale, che si fonda sulla delega in bianco del potere politico o amministrativo a rappresentanti eletti una volta ogni cinque anni. Lo dimostrano episodi traumatici come l’attentato dell’11 settembre 2001, quando nessuno dei governi occidentali aveva avuto mandato dagli elettori di dichiarare guerra all’Afghanistan e all’Iraq, e di invaderli militarmente. O la crisi economica del 2008, quando nessuno di quei governi aveva avuto mandato dagli elettori di spendere centinaia di miliardi di dollari per salvare le banche o ristrutturare l’economia mondiale.

La complessità globale dell’economia e la rapidità dei cambiamenti richiederebbero oggi un ripensamento dell’intero sistema di rappresentanza e di partecipazione politica. Ma invece di guardare a una nuova Bretton Woods e a una nuova Yalta, noi stiamo a discutere di lodi costituzionali e di leggi elettorali: anche sul Titanic si ballava, mentre la nave affondava…

http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HREC1-7


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Gli uomini preferiscono le Rosse
Inserito da: Admin - Novembre 15, 2010, 05:34:15 pm

15
nov
2010
Gli uomini preferiscono le Rosse

La Ferrari ha perso all’ultima gara il campionato del mondo, sembra per un errore di strategia della scuderia. In un mondo normale, non importerebbe a nessuno. Ma poiché il nostro mondo normale non è,  Calderoli ha addirittura chiesto le dimissioni di Montezemolo, perché “ci ha fatto vergognare tutti”.

Interessante, l’interessamento interessato del ministro leghista. Credevamo infatti che, nella loro ristretta visione a 36 gradi, i lumbard tifassero per le auto lombarde, appunto, mica per quelle emiliane. E, soprattutto, per i piloti italiani, mica per quelli spagnoli. In fondo, non erano stati proprio loro, attraverso uno dei loro pensatori di riferimento, a lamentarsi che nelle squadre di calcio giocano troppi giocatori stranieri, e soprattutto troppi neri?

E invece li scopriamo difensori delle glorie nazionali, e prede dei pregiudizi più stereotipati. Il primo dei quali è che a vincere, nello sport, non debba essere il migliore, bensì colui che parla la nostra lingua. O che vive dalle nostre parti. O che è ingaggiato da qualche capitalista nostrano. O che, in qualche modo più o meno diretto, è collegato a noi.

Naturalmente, da cattive premesse non possono che discendere pessime conclusioni. Ad esempio, che nella vita devono andare avanti non coloro che fanno qualcosa di buono, ma coloro che hanno come unico merito di essere figli, o parenti, o vicini di casa, o compagni di merenda, o conoscenti alla vicina o alla lontana di qualcuno. E infatti, così è, a destra e a sinistra, nel pubblico e nel privato, in una comunione molto poco spirituale che una volta accomunava i democristiani e i comunisti, e ora accomuna i berlusconiani e gli antiberlusconiani.

Questi sono motivi generici per non tifare per la Ferrari. O almeno, non soltanto e acriticamente perché è la Ferrari. Ma ce ne sono di specifici: primo fra tutti, quello che il circo della Formula Uno non è altro che una gigantesca pubblicità per l’auto. Cioè, per la produzione e il consumo di un bene antiquato e anacronistico come l’auto, che ha reso ormai invivibili le nostre città, e che dovrebbe essere rottamato e sostituito con trasporti ecologici e pubblici, invece che sostenuto e potenziato a scapito di essi.

Come se non bastasse, le prodezze dei piloti alla guida dei loro bolidi non fanno che istigare anche i travet e i cumenda che votano Lega, oltre che naturalmente tutti gli altri, a guidare incuranti delle regole del codice della strada. A passare col rosso come se fossero alla guida di una rossa: anche, e soprattutto, quando sono alla guida di una volante. Ad affrontare le rotonde come se fossero delle chicane, incuranti di chiunque cerchi di entrarci. A considerare gli altri guidatori come degli avversari da battere. A ritenere qualunque concessione di precedenza, soprattutto ai pedoni e ai ciclisti, ma anche agli automobilisti, come un affronto alla propria virilità.

Nel film di Benigni Johnny Stecchino, Paolo Bonacelli diceva che il nostro vero problema è il “ciaffico”. Era una battuta, ma le battute in generale, e quelle dei film di Benigni in particolare, rivelano spesso profonde verità. E la verità, nel caso dell’auto, è che niente spiega il successo politico di Berlusconi meglio del modo in cui tutti gli italiani guidano. Forse è questo che, inconsciamente, preoccupa Calderoli e gli alleati del capo: che la sconfitta della Ferrari e dell’automobilismo d’accatto rischi di diventare una metafora per la vittoria del codice della strada dapprima, e di quello morale poi. Il che, naturalmente, finirebbe per investire e travolgere il governo di cui egli fa parte.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. San Fabio e San Roberto, invitate Darwin! (non solo).
Inserito da: Admin - Novembre 26, 2010, 05:37:56 pm

26
nov
2010

San Fabio e San Roberto, invitate Darwin!

Divertente il contrappasso subíto dalla trasmissione di Fazio e Saviano! Agli inizi, erano loro a scalpitare per poterla fare, scontrandosi contro le resistenze dei vertici della Rai e dei loro protettori politici. Ora sono i loro oppositori a implorare o pretendere di andarci, subendo giustamente una sorte uguale e contraria.

Dopo il caso del ministro Maroni, questa settimana assistiamo a quello dei sedicenti «movimenti per la vita», che vorrebbero riaprire le polemiche sul «diritto alla morte» di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. Chiedendo di contrapporgli, ovviamente, qualche tirata su un supposto «dovere alla vita», da loro inteso come condanna a subire i dettami della Natura a ogni condizione, per quanto inumana e disumana.

Nel gioco del contrappasso, anche questa volta sono i vertici della Rai e i loro protettori politici a cercare di imporre a Fazio e Saviano la scaletta del loro programma. Visto che però ormai tutti li tirano per la giacchetta, mi permetto pure io di dare loro qualche consiglio: domandando umilmente, come si addice a chi non ha potere, e dunque può solo proporre, senza poter pretendere di imporre.

Da Vieni via con me sono infatti completamente assenti la scienza e gli scienziati. Siamo abituati, naturalmente, a subire blackout mediatici ai confronti dei quali le resistenze subíte da Fazio e Saviano sono solo fastidi di mosche. Ma è possibile che sul loro palcoscenico sfilino tutti, dai politici ai comici, e non si veda un solo rappresentante del pensiero che caratterizza la nostra epoca tecnologica, televisione compresa?

Forse che glorie nazionali come Rita Levi Montalcini, Umberto Veronesi o Carlo Rubbia (in ordine di età) non potrebbero proficuamente leggere una lista dei valori della scienza? E forse che quei valori non sono altrettanto (o più) degni di essere declamati e ascoltati, di quelli che abbiamo sentito nelle precedenti puntate del programma?

La cosa sarebbe buona e giusta, equa e salutare (come si dice in altre parrocchie). Anche perchè i valori della scienza, a differenza da tutti gli altri, sono quasi completamente assenti dal video in generale, e dai programmi Rai in particolare. Quando non sono addirittura sbeffeggiati e insultati: ad esempio, in Voyager, un programma che grida vendetta, oltre che compensazione e par condicio!

Per cominciare a rimediare al silenzio e alle offese della Rai, oltre che per mostrarci per contrapposizione cosa si fa nei paesi civili, Fazio e Saviano potrebbero anche mandare in onda un trailer del programma Creation della BBC: un film sugli anni in cui Darwin maturò e scrisse L’origine delle specie, il libro che cambiò la storia della biologia e della nostra concezione della vita sulla Terra.

Si tratta di un film, appunto, non di un documentario. E trasmetterlo dopo anni di fiction di indottrinamento religioso e politico in prima serata, infonderebbe una boccata d’aria scientifica nell’apnea televisiva italiana. Per ora, lo si è visto soltanto una volta al Museo di Storia Naturale di Milano, a settembre, e un’altra al British Film Club di Trieste, una decina di giorni fa.

A parte queste anteprime, o anteultime, il film non e’ mai stato proiettato in Italia. E’ improbabile che i distributori italiani non l’abbiano comprato per ragioni economiche, perchè ha un cast hollywoodiano, non è didascalico, e fa commuovere con il racconto dello strazio di Darwin per la morte della piccola figlia Annie. Forse il problema è che racconta il conflitto interiore che travagliò Darwin, quando la scoperta dell’evoluzione per selezione naturale lo allontanò gradualmente e inesorabilmente dalla fede religiosa.

Capisco che Fazio e Saviano possano avere altri interessi. Ma ormai noi scienziati/scientifici non sappiamo più a che santo votarci. E poichè sembra che ormai loro siano stati elevati agli onori degli altari mediatici dalla Sacra Congregazione dell’Auditel, dovranno abituarsi a ricevere domande di grazie. Dunque, vi prego in ginocchio: San Fabio e San Roberto, pregate e intercedete per noi!

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22
nov
2010
Così parlò Zarathustra XVI

Fioccano le anticipazioni del nuovo libro del Papa, nel miglior stile di Bruno Vespa. E tutti i giornali ci cascano, nell’uno come nell’altro caso. Che dire? Beati i papi, della Chiesa o della Rai, che riescono ad attirare l’attenzione dei loro simili, pur non dicendo mai nulla di nuovo. Soprattutto il primo, le cui parole vengono addirittura presentate come «rivoluzionarie», quando non segnano neppure un passaggio dall’Alto al Basso Medioevo.

La prima supposta novità sarebbe la sua disponibilità alle dimissioni, quando ce ne fosse il bisogno. Disponibilità già manifestata sia da Paolo VI che da Giovanni Paolo II, che però si guardarono bene entrambi dal darle, quando ce ne fu effettivamente bisogno. Il secondo, in particolare, se ne stette col sedere attaccato alla cattedra di Pietro fino all’ultimo, continuando a ripetere che se ne sarebbe andato solo quando il Signore l’avesse chiamato. Salvo poi, quando il Signore lo chiamava per davvero, correre al Policlinico per ritardare la chiamata: beninteso, con un codazzo di telecamere al seguito.

Non parliamo della faccenda dei preservativi, sui quali Benedetto XVI sembra avere idee parecchio confuse. I media si sono eccitati perchè il Papa ha detto che «vi possono essere singoli casi in cui l’uso è giustificato». Ma bastava leggere la frase successiva per farsi una bella risata: secondo il Papa, un esempio di questi casi sarebbe infatti «quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere un primo passo verso una normalizzazione».

A chi si sarà domandato in che modo le prostitute dovrebbero usare il profilattico, la sala stampa ha precisato che si trattava di un errore di traduzione: il Papa aveva parlato di prostituti, al maschile. Bravo, cosí almeno si capisce dove essi possano metterselo. Ma rimane fitto il mistero su quale sarebbe la «normalizzazione», verso la quale tenderebbe il prostituto che indossa il profilattico. Forse, quella delle statue dei Musei Vaticani, con le pudenda impacchettate in foglie di fico? O quella del macho che preferisce non avere rapporti sessuali, invece che averli in maniera protetta?

Verrebbe da dire che sarebbe meglio per il Papa parlare di ciò che sa, se non fosse che questo rischierebbe di farlo tacere in eterno. Perchè il povero Benedetto XVI sembra ignaro persino dei fatti di casa propria. Ad esempio, sostiene che se avesse saputo che fra i lefevriani c’erano dei filonazisti, non avrebbe revocato loro la scomunica. Ma non era stato proprio lui, per ventisette anni, a guidare l’analogo dell’Fbi o del Kgb vaticano? E chi altro avrebbe dovuto accorgersene, se non il Grande Inquisitore tedesco?

Il vero mistero sembra essere l’eccesso di interessamento che i media hanno dimostrato per questo eccesso di sciocchezze. Nessun giornale si è invece interessato, o se qualcuno l’ha fatto io non me ne sono accorto, all’istruttiva risposta di Benedetto XVI alla lettera di Ahmadinejad, della quale abbiamo parlato qualche post fa. La risposta risale al 3 novembre, e conferma il sospetto che i due se la intendessero, nell’essenza.

Dice infatti il Papa romano, echeggiando il Presidente iraniano: «E’ mia profonda convinzione che il rispetto per la dimensione trascendente della persona umana sia una condizione indispensabile per la costruzione di un ordine sociale giusto e una pace stabile. Quando la promozione della dignità della persona umana è l’ispirazione primaria dell’attività politica e sociale che è rivolta alla ricerca del bene comune, si creano fondamenta solide e durature per costruire la pace e l’armonia fra i popoli».

Il che dimostra che il Papa non solo non capisce niente di preservativi e anticoncezionali, ma neppure di politica e di storia. In particolare, del ruolo fondamentale che le religioni sua e di Ahmadinejad hanno avuto nel fomentare la costruzione di ordini sociali ingiusti e guerre continue e durature, a partire dal Medio Oriente.

L’ovvia realtà è invece che la sparizione dei fondamentalismi di cui Benedetto XVI e Ahmadinejad sono i rappresentanti è una condizione necessaria per l’instaurazione della giustizia e il raggiungimento della stabilità. Non è certo sufficiente, ma fino a che ci sarà gente come loro e i loro seguaci, non andremo molto lontano sulla via che potrebbe condurre alla giustizia e alla pace.

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18
nov
2010

Vergogna a Guantanamo

Non si sa se ridere, o se piangere. Uno dei detenuti nel lager di Guantanamo ha finalmente potuto essere processato da un tribunale civile. E il risultato è stato che, delle 286 imputazioni a suo carico, 285 sono cadute. Una di esse accusava il povero Ahmed Khaifan Ghailani dell’esecuzione materiale degli attentati del 1998 contro le ambasciate statunitensi del Kenia e della Tanzania, in cui c’erano state 224 vittime.

L’unica imputazione rimasta in piedi riguarda la fornitura di esplosivi ai terroristi, con l’accusa di «aver cospirato per distruggere beni di proprietà degli Stati Uniti». Ma che sensibilità rivelano questi americani, quando si tratta delle cose loro! Ne avessero altrettante per le cose altrui, però, avrebbero lasciato da tempo la base di Guantanamo, che mantengono con la forza da quando Cuba si liberò del dittatore Batista, loro amico e alleato: cioè, da più di sessant’anni.

Il governo castrista, col quale gli Stati Uniti non intrattengono rapporti diplomatici, ha sempre chiesto agli Stati Uniti di abbandonare la base. Essi invece rivendicano il diritto di rimanerci, in base a una concessione perpetua estorta nel 1903 al primo presidente-fantoccio dell’isola, dopo che Cuba era passata sotto il loro dominio in seguito alla guerra Ispano-Americana del 1898.

Su questo territorio coloniale, gli Stati Uniti hanno impiantato nel 2002 il notorio lager per i prigionieri della cosiddetta «guerra al terrorismo», benchè la concessione di un secolo fa limiti l’uso del territorio alle attività minerarie e navali. L’illegalità formale del lager si sovrappone dunque alla prevaricazione sostanziale dell’esistenza stessa della base.

Le condizioni vergognose della detenzione nel lager hanno spinto Amnesty International nel 2005,  e le Nazioni Unite e la Comunità Europea nel 2006, a chiederne la chiusura. Il presidente Obama ha promesso di farlo, ma finora la sua presidenza non si è distinta da quella di Bush, in questo come in altri campi: ad esempio, la guerra in Afghanistan. Il lager resta dunque in funzione, e il Senato ha stabilito nel 2009 che tale rimanga per il futuro prossimo.

La vicenda di Ghailani rivela, se ancora ce ne fosse stato bisogno, i fini di propaganda e i mezzi di disinformazione dell’intera politica antiterroristica degli Stati Uniti, cosí acriticamente condivisa da tutto l’Occidente. Dopo essere stato infatti definito dall’FBI come uno dei «terroristi più ricercati», con una taglia di 5 milioni di dollari sulla testa, nel 2004 il ministro della Giustizia di Bush lo additò come membro di un commando di Al Qaeda in procinto di effettuare un attentato negli Stati Uniti.

I Democratici bollarono la rivelazione come una sospetta propaganda elettorale, in un anno di elezioni. Puntualmente, quando Ghailani fu arrestato in Pakistan, insieme alla moglie e ai figli, la notizia della sua cattura non fu divulgata per quattro giorni, e venne diffusa solo poche ore prima della conclusione della Convention Democratica, per rubare la scena al neocandidato presidenziale Kerry.

Dopo aver passato cinque anni nel lager di Guantanamo, come «nemico combattente», Ghailani fu trasferito a New York nel 2009, per il processo civile che oggi, finalmente, ha sollevato un lembo del grande velo sotto cui vengono da dieci anni spazzate le sporcizie della guerra al terrorismo. Anche con la nostra connivenza.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Gli studenti sul tetto che scotta
Inserito da: Admin - Novembre 30, 2010, 11:16:27 pm

30
nov
2010

Gli studenti sul tetto che scotta

Piergiorgio Odifreddi

La protesta studentesca infiamma l’Italia, e ci riporta con la memoria agli anni gloriosi del ‘68. Ben vengano le assemblee, i cortei, gli striscioni, le occupazioni, le proteste contro una riforma che, per il solo fatto di essere stata proposta da un ministro come la Gelmini, non può certo essere presa seriamente.

Anzi, mi stupisco che la Gelmini sia stata accettata seriamente come ministro, e che studenti e professori non abbiano fin da subito rifiutato di riconoscerle il ruolo che il suo curriculum (con e senza il prefisso) le aveva guadagnato. Non bisognava essere Sherlock Holmes per capire che una pivella di trentacinque anni, laureata in legge a Brescia e abilitata a Reggio Calabria, sfiduciata con un voto unanime e bipartisan come presidente del consiglio comunale di Desenzano del Garda per «manifesta incapacità», con un’esperienza parlamentare di due soli anni, poteva essere arrivata a far il ministro soltanto per motivi innominabili.

E’ un segno dei tempi e dei luoghi, cioè dell’Italia di oggi, che il Capo dello Stato non solo abbia accettato la nomina della Gelmini, cosí come della sua collega Carfagna, ma in seguito abbia trattato questi due cavalli di Caligola con rispetto «istituzionale», a volte addirittura elogiandone il lavoro, e legittimando in tal modo l’illegittimabile. Studenti e professori non avevano però obblighi di forma, e se si fossero tempestivamente rifiutati di riconoscere la Gelmini avrebbero potuto evitare di dover manifestare tardivamente contro la sua riforma.

Poichè io mi sono guadagnato un «lei fa schifo» in diretta tv dal ministro La Russa per aver detto queste cose il 1 ottobre 2009 a Porta a porta, credo di non poter essere sospettato di connivenza con la «signora-cavallo» se oggi manifesto un certo disagio nell’assistere a una protesta che accomuna studenti e professori, e se sospetto che i primi non abbiano ben capito che lo stato in cui versa l’università italiana dipende anche in buona parte dai secondi.

A me sembra che gli studenti dovrebbero richiedere a gran voce una riforma che tagliasse le teste dei baroni. Obbligasse i cattedrattici a un pensionamento a un’età equiparata a quella degli altri lavoratori. Risolvesse una parte dei problemi finanziari dell’università riassegnando i loro posti ai giovani ricercatori. Obbligasse i professori rimasti a sottostare a periodici e draconiani giudizi di efficienza e produttività. E rivedesse retroattivamente i criteri coi quali quei professori sono arrivati ad esserlo, eventualmente radiando i tanti che sono stati promossi per puro «demerito»: cioè, per nepotismo o per favoritismo.

Immaginare che una qualsiasi riforma dell’università possa avere successo senza intervenire radicalmente sui rapporti di forza esistenti, è analogo a pretendere di risanare un cesto di mele senza voler togliere quelle marce. O a sperare di poter sanare un organismo malato di cancro senza voler rimuovere quest’ultimo, col bisturi o con le terapie d’urto.

Le rivoluzioni non si fanno in maniera indolore, e le manifestazioni che uniscono ecumenicamente oppressi e oppressori sono sospette di manipolazione dei primi da parte dei secondi. Invece di accogliere baroni e politici sui tetti e sui monumenti dai quali manifestano, gli studenti dovrebbero inziare a buttarceli giù, insieme con la Gelmini.  In maniera metaforica, è chiaro, ma non per questo meno concreta ed efficace.

Scritto martedì, 30 novembre 2010 alle 11:27 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Le rivelazioni matematiche di Assange
Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2010, 06:29:37 pm

6
dic
2010

Le rivelazioni matematiche di Assange


Le rivelazioni di Wikileaks hanno scosso il mondo, e continueranno a farlo. Gli stati del globo hanno fatto quadrato, stracciandosi le vesti e rivendicando il diritto alla segretezza. Come se la trasparenza non fosse un dovere, almeno per le sedicenti democrazie, che invece adottano sistematicamente un doppio standard basato sulla sottile distinzione fra «legalità» e «legittimità».

La distinzione, in Italia, ha sostenitori che arrivano fino alle più alte cariche dello Stato, dai Ministri dell’Interno ai Presidenti della Repubblica. E non è certo un caso che molti di coloro che hanno ricoperto la prima carica, siano poi arrivati a ricoprire la seconda: da Segni e Cossiga, a Scalfaro e Napolitano.

 Lo stesso Cossiga mi ha spiegato una volta la distinzione fra i due concetti, in questi termini: «La legittimità è ciò che attiene alla natura degli interessi costitutivi dello Stato, mentre la legalità riguarda soprattutto i metodi per realizzare i fini dello Stato. Non esiste servizio segreto che non sia illegale, ma l’illegalità del servizio è giustificata dalla concordanza dei suoi fini con la legittimità».

E’ chiaro che, da queste premesse, non possono che derivare comportamenti duplici delle istituzioni, che sistematicamente dicono in pubblico ciò che la legge e la decenza richiedono loro di dire, ma fanno poi in privato ciò che la prassi e gli interessi consigliano loro di fare.

Solo i governi rivoluzionari possono sognare di scardinare i fondamenti di questa doppia morale, salvo poi rientrare nei ranghi non appena possibile. Ad esempio, quando Trotsky divenne ministro degli Esteri del primo governo bolscevico, dichiarò che avrebbe divulgato i termini dei trattati segreti firmati dal governo zarista, e avrebbe chiuso il ministero in poche settimane. Ma niente di questo successe, ovviamente.

Wikileaks oppone alla realpolitik della doppiezza un’ideologia della trasparenza che, almeno per quanto riguarda il portavoce Julian Assange, affonda le sue radici nel pensiero scientifico in generale, e matematico in particolare. L’uomo più ricercato del mondo, accusato di «terrorismo» per aver confermato coi fatti che la verità è rivoluzionaria, ha infatti un passato di studente di matematica e fisica all’Università di Melbourne, dal 2003 al 2006.

E nel suo blog di qualche anno fa, intitolato IQ come acronimo di Interesting Questions, questo passato affiora in molti post. Ad esempio, quello del 12 luglio 2006 testimonia che Assange partecipò al convegno dell’Istituto Australiano di Fisica, e che l’anno prima rappresentò la sua università alla Competizione Nazionale Australiana di Fisica. Altri post affrontano invece problematiche di filosofia o sociologia della matematica, dall’uso dei numeri immaginari, all’influsso del pensiero maschile nello sviluppo della disciplina.

Il post più interessante è però forse quello del 29 agosto 2007, intitolato «Irrazionalità nelle discussioni», che nota: «Potete provare che da A segue B, da B segue C, … , da H segue I, da I segue L, e accorgervi che la Giustizia annuisce e concorda. Ma se poi, con un colpo di teatro, affermate che allora necessariamente da A segue L, la Giustizia si tira indietro e rifiuta l’assioma di transitività, nel caso che L stia per Libertà». In altre parole, quando la Logica non fa comodo, la si rifiuta senza farsi problemi.

Il post continua cosí: «Spesso ci tocca sentirci ribattere che, se crediamo X, allora ne segue una certa cosa. Oppure che, se crediamo X, questo porta a un’altra cosa. Ma tutto ciò non ha niente a che fare con la verità di X, e dimostra che le conseguenze sono trattate con più reverenza della Verità». In altre parole, invece di preoccuparsi di quale sia la Verità, ci si preoccupa di quali possano essere le sue conseguenze.

La conclusione del post sembra una dichiarazione preventiva di intenti per ciò che Assange avrebbe incominciato a fare di lí a poco: «Proprio quando ci sembra che ogni speranza sia persa, accade un miracolo. La gente dimostra di voler vedere dove punta l’ago della bussola, di aver fame di Verità. Ed ecco la Verità che la libera dalle manipolazioni, che le toglie l’anello dal naso. Siano benedetti i profeti della Verità, i suoi martiri, i Voltaire e i Galileo, i Gutenberg e gli Internet, i serial killer della delusione, quei brutali e ossessivi minatori della realtà, che distruggono ogni marcio edificio fino a ridurlo a rovine su cui seminare il seme del nuovo».

http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HREA-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Le rivelazioni matematiche di Assange
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2010, 05:34:31 pm

6
dic
2010

Le rivelazioni matematiche di Assange


Le rivelazioni di Wikileaks hanno scosso il mondo, e continueranno a farlo. Gli stati del globo hanno fatto quadrato, stracciandosi le vesti e rivendicando il diritto alla segretezza. Come se la trasparenza non fosse un dovere, almeno per le sedicenti democrazie, che invece adottano sistematicamente un doppio standard basato sulla sottile distinzione fra «legalità» e «legittimità».

La distinzione, in Italia, ha sostenitori che arrivano fino alle più alte cariche dello Stato, dai Ministri dell’Interno ai Presidenti della Repubblica. E non è certo un caso che molti di coloro che hanno ricoperto la prima carica, siano poi arrivati a ricoprire la seconda: da Segni e Cossiga, a Scalfaro e Napolitano.

 Lo stesso Cossiga mi ha spiegato una volta la distinzione fra i due concetti, in questi termini: «La legittimità è ciò che attiene alla natura degli interessi costitutivi dello Stato, mentre la legalità riguarda soprattutto i metodi per realizzare i fini dello Stato. Non esiste servizio segreto che non sia illegale, ma l’illegalità del servizio è giustificata dalla concordanza dei suoi fini con la legittimità».

E’ chiaro che, da queste premesse, non possono che derivare comportamenti duplici delle istituzioni, che sistematicamente dicono in pubblico ciò che la legge e la decenza richiedono loro di dire, ma fanno poi in privato ciò che la prassi e gli interessi consigliano loro di fare.

Solo i governi rivoluzionari possono sognare di scardinare i fondamenti di questa doppia morale, salvo poi rientrare nei ranghi non appena possibile. Ad esempio, quando Trotsky divenne ministro degli Esteri del primo governo bolscevico, dichiarò che avrebbe divulgato i termini dei trattati segreti firmati dal governo zarista, e avrebbe chiuso il ministero in poche settimane. Ma niente di questo successe, ovviamente.

Wikileaks oppone alla realpolitik della doppiezza un’ideologia della trasparenza che, almeno per quanto riguarda il portavoce Julian Assange, affonda le sue radici nel pensiero scientifico in generale, e matematico in particolare. L’uomo più ricercato del mondo, accusato di «terrorismo» per aver confermato coi fatti che la verità è rivoluzionaria, ha infatti un passato di studente di matematica e fisica all’Università di Melbourne, dal 2003 al 2006.

E nel suo blog di qualche anno fa, intitolato IQ come acronimo di Interesting Questions, questo passato affiora in molti post. Ad esempio, quello del 12 luglio 2006 testimonia che Assange partecipò al convegno dell’Istituto Australiano di Fisica, e che l’anno prima rappresentò la sua università alla Competizione Nazionale Australiana di Fisica. Altri post affrontano invece problematiche di filosofia o sociologia della matematica, dall’uso dei numeri immaginari, all’influsso del pensiero maschile nello sviluppo della disciplina.

Il post più interessante è però forse quello del 29 agosto 2007, intitolato «Irrazionalità nelle discussioni», che nota: «Potete provare che da A segue B, da B segue C, … , da H segue I, da I segue L, e accorgervi che la Giustizia annuisce e concorda. Ma se poi, con un colpo di teatro, affermate che allora necessariamente da A segue L, la Giustizia si tira indietro e rifiuta l’assioma di transitività, nel caso che L stia per Libertà». In altre parole, quando la Logica non fa comodo, la si rifiuta senza farsi problemi.

Il post continua cosí: «Spesso ci tocca sentirci ribattere che, se crediamo X, allora ne segue una certa cosa. Oppure che, se crediamo X, questo porta a un’altra cosa. Ma tutto ciò non ha niente a che fare con la verità di X, e dimostra che le conseguenze sono trattate con più reverenza della Verità». In altre parole, invece di preoccuparsi di quale sia la Verità, ci si preoccupa di quali possano essere le sue conseguenze.

La conclusione del post sembra una dichiarazione preventiva di intenti per ciò che Assange avrebbe incominciato a fare di lí a poco: «Proprio quando ci sembra che ogni speranza sia persa, accade un miracolo. La gente dimostra di voler vedere dove punta l’ago della bussola, di aver fame di Verità. Ed ecco la Verità che la libera dalle manipolazioni, che le toglie l’anello dal naso. Siano benedetti i profeti della Verità, i suoi martiri, i Voltaire e i Galileo, i Gutenberg e gli Internet, i serial killer della delusione, quei brutali e ossessivi minatori della realtà, che distruggono ogni marcio edificio fino a ridurlo a rovine su cui seminare il seme del nuovo».

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Lu Xiaobo e Assange, dissidenti
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2010, 07:06:45 pm

10
dic
2010

Lu Xiaobo e Assange, dissidenti


Il premio Nobel per la pace è stato consegnato a Liu Xiaobo in absentia. Il dissidente cinese, infatti, sta in carcere per aver ispirato Charta ‘08: un manifesto che chiede la democratizzazione e la riforma della Cina, ed è analogo all’omonima Charta ‘77 cecoslovacca, ispirata all’epoca da Václav Havel e altri.

La Cina naturalmente considera Liu Xiaobo un criminale comune, e in ritorsione ha istituito un anti-premio Nobel per la pace. Gli Stati Uniti, altrettanto naturalmente, lo considerano un eroe del libero pensiero, e il presidente Obama ha chiesto a gran voce la sua liberazione.

Nel frattempo, Julian Assange sta in carcere in Inghilterra, per aver ispirato e diretto Wikileaks: l’ormai famoso sito di controinformazione, che si propone la trasparenza dell’informazione e si oppone alla manipolazione delle notizie ufficiali.

Poichè le ultime rivelazioni di Wikileaks hanno riguardato gli Stati Uniti, questi lo considerano un criminale e chiedono la sua estradizione per poterlo processare per spionaggio. La Russia, altrettanto naturalmente, lo considera un dissidente dell’Occidente, e il premier Putin ha chiesto a gran voce la sua liberazione.

Non è surreale, la simmetria dei leader mondiali, tutti impegnati a vedere le travi negli occhi altrui, senza preoccuparsi di quelle nei propri? E non è terribile, la simmetria dei dissidenti mondiali, tutti perseguiti per aver voluto guardare le travi nei propri occhi, invece di preoccuparsi di quelle negli occhi altrui?

A scanso di equivoci, i dissidenti come Liu Xiaobo ad Assange espongono fatti, senza indulgere nel genere denominato «docu-fiction». In altre parole, non scrivono libri da dieci milioni di copie, nè fanno programmi televisivi da dieci milioni di spettatori.

Se lo ricordino, coloro che inneggiano ai nuovi guru di casa loro, credendo che siano i portabandiera della verità. Purtroppo, come ci insegnava Oscar Wilde, chi dice la verità prima o poi viene scoperto. E finisce in galera, come ci finí lui, e come ci sono finiti Liu Xioabo e Assang. Ma non certo nelle classifiche dei best seller, o in quelle dell’Auditel.

Scritto venerdì, 10 dicembre 2010 alle 14:40

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Grazie, Veltroni e Di Pietro!
Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2010, 09:33:50 pm

15
dic
2010

PIERGIORGIO ODIFREDDI

Grazie, Veltroni e Di Pietro!

E cosí, dopo settimane di inutili e ingenue speranze, il governo Berlusconi ha ottenuto la fiducia della Camera per 314 voti a 311. E, per aggiungere le beffe al danno, l’ha ottenuta con due voti determinanti di due membri che appartenevano all’opposizione: Massimo Calearo al Partito Democratico, e Domenico Scilipoti all’Italia dei Valori.

La candidatura del primo nelle liste del Pd fu una delle storiche pensate di Walter Veltroni. D’altronde, uno dei motivi per cui la legge elettorale attualmente in vigore fu denominata porcellum, era appunto che permetteva e permette  porcate di questo genere. E Veltroni la sfruttò appieno, imponendo come candidati personaggi improponibili per vari motivi, da Marianna Madia (ex fidanzata del figlio di Napolitano) a Calearo (impreditore di destra), appunto.

Non era necessario essere dei politologi professionisti, per accorgersi dell’assurdità di queste candidature. Bastava anche essere dei dilettanti, entrati nel partito «nuovo» di Veltroni da poche settimane, com’ero io all’epoca. Appena viste queste «novità», me la battei dal partito a gambe levate, prima delle elezioni del 2008. E nelle urne molti altri mostrarono di non aver gradito i «ma anche» di Veltroni, e non abboccarono al richiamo delle sue sirene.

In seguito, entrambe le pietre dello scandalo veltroniano hanno dato prova di sè. Il 22 ottobre 2009 la Madia non andò a votare alla Camera, insieme ad altri ventidue deputati Pd, contro lo scudo fiscale: provvedimento che passò con un margine di venti voti. E ieri Calearo ha votato la fiducia al governo, passata appunto con un margine di tre voti.

Quanto alla candidatura di Scilipoti nell’Idv, non è meno imbarazzante per Di Pietro di quella di Calearo per Veltroni. In questo caso si tratta infatti di un truffatore, condannato in secondo grado a 200.000 euro di multa e al pignoramento di vari immobili per debiti non pagati. E si tratta anche di un ciarlatano, che pur vivendo nel terzo millennio non si vergogna di propagandare e professare la sedicente medicina «alternativa» e l’omeopatia.

Naturalmente, è inutile prendersela con miracolati come Calearo e Silipodi, che si sono semplicemente comportati da ciò che erano e sono sempre rimasti. La colpa non è loro, ma di Veltroni e Di Pietro. E poichè, se i due leader avessero scelto i loro candidati con un po’ più di intelligenza e di onestà, ieri il governo Berlusconi sarebbe stato sfiduciato per 313 voti a 312, non sarebbe il caso che traessero le conseguenze e si dimettessero dal Parlamento per vergogna?

Scritto mercoledì, 15 dicembre 2010 alle 16:04 nella categoria Senza categoria.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Buon Natale (del Sole Invitto)
Inserito da: Admin - Dicembre 26, 2010, 11:03:00 am

24
dic
2010

Buon Natale (del Sole Invitto)

Piergiorgio ODIFREDDI

Buon Natale, si sente augurare in ogni dove, da grandi e piccini. Naturalmente, l’augurio nella maggioranza dei casi è una pura coazione a ripetere. Ma coloro che pensano a quello che dicono, credono di commemorare con i loro augùri la nascita di Gesù. E la maggioranza degli àuguri non sa, o ha dimenticato, che la scelta del 25 dicembre come giorno del Natale cristiano è mutuata dalla festa del Sol Invictus, “Sole Invitto”, il Dio Sole (El Gabal) che l’imperatore Eliogabalo importò nel 218 a Roma dalla Siria.

L’imperatore Aureliano ne instaurò il culto nel 270 e ne consacrò il tempio il 25 dicembre 274, durante la festa del Natale del Sole: il giorno, cioè, del solstizio d’inverno secondo il calendario giuliano, quando il Sole tocca il punto più basso del suo percorso, si ferma (da cui il nome sol stitium, “fermata del Sole”) e ricomincia la sua salita, in un succedersi di eventi che si può metaforicamente descrivere come la sua “morte, resurrezione e ascesa in cielo”. Il 7 marzo 321 l’imperatore Costantino dichiarò poi il Dies Solis, che ancor oggi si chiama in inglese Sunday, giorno del riposo romano.

Dopo essere evidentemente stato notato dai fedeli dei due culti, anche grazie a pronunciamenti evangelici quali “Io sono la luce del mondo”, il collegamento fra Cristo e il Sole venne ufficializzato nel 350 da papa Giulio I, con l’invenzione del 25 dicembre come Natale di Gesù. Anche il Dies Solis fu adottato dai Cristiani come giorno di riposo, benchè col nome di Domenica, da Dominus, “Signore”.

Il culto di Cristo non riuscì però a rimuovere quello del Sole, come dimostra il Sermone di Natale del 460 di papa Leone Magno: “E’ così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro Apostolo, dedicata all’unico Dio, vivo e vero, dopo aver salito la scalinata che porta all’atrio superiore, si volgono al Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto,  che viene ripetuto in parte per ignoranza e in parte per mentalità pagana”.

Benché “ignorante e pagano”, il simbolismo solare permane comunque ancor oggi nei rituali della Chiesa: principalmente nell’uso dell’ostensorio, in cui l’ostia consacrata viene esibita come un Sole irradiante raggi dorati. Esso fu introdotto nella liturgia cristiana da Bernardino da Siena nel secolo XV, ma era di uso comune già nella liturgia egizia per il culto di Aton, il dio unico di Akhenaton rappresentato dal disco solare. Lo stesso dio, cioè, che potrebbe aver ispirato Jahvè a Mosè: in tal caso, veramente Gesù sarebbe il Figlio del Padre, e il cerchio si chiuderebbe storicamente.

Ma si chiude in ogni caso etimologicamente, perché non sono affatto casuali i legami tra le divinità indoeuropee e la luce: l’italiano dio, il latino deus, il greco theos e il sanscrito dyaus derivano infatti tutti da un’unica radice che significa “luminoso” o “splendente”, e identificavano variamente il giorno (da cui il latino dies) e il cielo. I nomi comuni sono poi stati personificati nei nomi propri Dyaus Pitar indù, Zeus Pater greco, Deus Pater latino e Dio Padre italiano, che significano semplicemente “Padre Cielo” o, con una ulteriore ipostatizzazione, “Padre che sei nel Cielo”.

Leone Magno aveva dunque ragione di essere addolorato, perché recitando il Padre Nostro i Cristiani si rivolgono semplicemente a Giove, il cui nome Iove non è altro che l’ablativo di Iuppiter, a sua volta contrazione del vocativo Dyeu Pitar. Un minimo di linguistica basta dunque a smascherare l’anacronismo della fede in Dio Padre: cioè, in Padre Cielo, quello stesso che nella religione naturalistica del Rig Veda era sposato a Prithvi Mata, la “Madre Terra”, e aveva come figli il fuoco Agni e la pioggia Indra.

E’ su queste oscure confusioni tra la luce e Dio da un lato, e tra il Sole e Cristo dall’altro, che si basa e prospera la mitologia cristiana. Ricordiamocelo e ricordiamolo, quando riceviamo e facciamo gli auguri di Buon Natale. In fondo, il vero significato del Natale è questo: non che “un bimbo è nato in noi”, ma che da oggi le giornate saranno sempre meno buie e sempre più luminose. E’ una bella notizia, e dunque Buon Natale a tutti: del Sole Invitto, naturalmente!

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Sbagliare è umano e Piergiorgio è un uomo ... può errare.
Inserito da: Admin - Gennaio 03, 2011, 04:42:43 pm
Piergiorgio ODIFREDDI.

29
dic
2010

Lavoratori, tiè!

Più che un capitano d’industria, Marchionne sembra Sordi ne I vitelloni di Fellini: uno strafottente che, quando passa vicino agli operai, fa loro il gesto dell’ombrello e urla “Lavoratori, tiè”! Ma coi tempi che corrono, con comparse come Fassino e Chiamparino a fargli da spalla, e capipopolo come Berlusconi e Obama ad applaudirlo, c’è poco da sperare che l’auto su cui viaggia Marchionne si fermi di botto e lui sia costretto a scappare come Sordi.

Che Berlusconi lo applauda, non stupisce. Basta leggere Giovanni Agnelli, la biografia che Valerio Castronovo ha dedicato anni fa al fondatore della Fiat, per capire come nacque la sua industria e come egli fece i suoi soldi: esattamente come Mediaset e Berlusconi, appunto. Cioè, con aggiottaggi, denunce, processi, corruzioni di giudici, tangenti ai partiti, speculazioni edilizie (Bardonecchia vs. Milano Due), controllo di una stampa addomesticata (La Stampa vs. il Giornale), fiancheggiamenti dell’uomo forte (Mussolini vs. Craxi), e infine discesa in campo: da primo senatore a vita nominato dal Duce l’uno, e da presidente del Consiglio l’altro.

Dopo la guerra la nascente democrazia trovò insostenibile che un tale malfattore mantenesse la proprietà di un’azienda che era prosperata sulla pelle dei lavoratori, e nel collaborazionismo coi fascisti. Agnelli e Valletta furono spogliati della presidenza e dell’amministrazione della Fiat, ma la sporca realpolitik ebbe presto il sopravvento sui puri ideali. Agnelli ebbe la compiacenza di morire, e Valletta fu reintegrato nel suo ruolo. Vent’anni dopo sarebbe stato nominato senatore a vita dal socialdemocratico Saragat, così come l’erede del vecchio senatore, il rampollo Gianni, lo sarebbe stato nel 1991 dal democristiano Cossiga.

E fu proprio l’avvocato a dichiarare una volta che “la Fiat è governativa”. Cioè, pronta a scendere a patti con qualunque governo, pur di continuare a praticare la politica del capitalismo d’accatto che ha dissanguato l’Italia: gli utili agli imprenditori, le perdite allo stato (e dunque, ai lavoratori). Se la Fiat ha prosperato nel dopoguerra, è stato grazie a una dissennata politica di privilegio dell’auto privata a scapito dei servizi pubblici. A una vergognosa assimilazione degli operai alle macchine, sfruttati quando serve e parcheggiati in cassaintegrazione altrimenti. A una compiacente concessione di incentivi e rottamazioni, per sostenere artificialmente un mercato terminale e inutile.

Naturalmente, i privilegi concessi dal governo venivano doverosamente pagati dalla Fiat. La sua corruzione dei partiti politici dovette essere ecumenica, visto che misteriosamente fu solo sfiorata da Tangentopoli. E quando servì, come già aveva fatto il nonno col vecchio fascismo, così rifece il nipote col nuovo. Da senatore a vita, insieme agli ex-presidenti Leone e Cossiga, fornì un voto determinante per la fiducia al primo governo Berlusconi, nel 1994: anche se poi, durante il secondo governo Prodi, la destra finse di dimenticarsi di aver già essa stessa giocato questo gioco.

E fu lo stesso Agnelli a sdoganare una seconda volta Berlusconi nel 2001, quando rispose alle perplessità internazionali dichiarando che l’Italia non era una repubblica delle banane, e mandando un suo uomo al ministero degli Esteri. In precedenza, quello stesso ministero era stato ricoperto da sua sorella, sempre all’insegna del conflitto di interessi: di nuovo, un’altro motivo di compiacimento per Berlusconi, che non ha mai negato di avere per l’avvocato una vera e propria venerazione, tanto da tenerne la foto sul tavolo come esempio, nei primi tempi della sua carriera.

Marchionne dovrebbe semplicemente avere la decenza di riconoscere la storia dell’azienda che si trova ad amministrare. Perchè, invece di accettare la sua carità di 360 euro lordi l’anno in cambio della rinuncia ai diritti sindacali, non lo si obbliga a restituire il maltolto e non lo si rimanda da dove viene? E, soprattutto, perchè quando si lamenta in tv che la Fiat non guadagna un euro in Italia, il conduttore non gli fa il gesto dell’ombrello e non gli urla: “Marchionne, tiè”?

Scritto mercoledì, 29 dicembre 2010 alle 20:31 nella categoria Senza categoria.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Lo scherzo (da preti) del Concordato
Inserito da: Admin - Febbraio 13, 2011, 02:49:09 pm

11
feb
2011

Lo scherzo (da preti) del Concordato

Nell’ambito delle celebrazioni per il centocinquantenario dell’unità d’Italia, l’11 febbraio le autorità civili e religiose festeggiano in pompa magna la firma dei Patti Lateranensi e del Concordato tra Stato e Chiesa. Cosa ci sia da festeggiare, lo sanno solo loro: i cittadini dovrebbero scendere in piazza, sull’onda delle rivolte nei paesi arabi, e chiedere a furor di popolo l’abrogazione di questa vera e propria vergogna nazionale.

Sarebbe però ingiusto e antistorico attribuire soltanto al regime fascista le responsabilità di questa vergogna. Lo stesso Duce, parlando il 13 maggio alla Camera, aveva infatti candidamente spiegato i vantaggi che gliene sarebbero derivati, facendo sua un’istruzione di Napoleone al Re di Roma: “Le idee religiose hanno ancora molto impero, più di quanto si creda da taluni filosofi. Esse possono rendere grandi servizi all’umanità. Essendo d’accordo col Papa si domina oggi la coscienza di cento milioni di uomini”.

Fu per questo che la Francia di Napoleone firmò col Vaticano un Concordato nel 1801. E lo stesso fecero l’Austria di Francesco Giuseppe nel 1855, l’Italia di Mussolini nel 1929, la Germania di Hitler nel 1933, il Portogallo di Salazar nel 1940, e la Spagna di Franco nel 1953. L’alleanza tra i regimi totalitari e la Chiesa ha dunque una lunga storia, e fu proprio la conferma di quest’alleanza a deludere gli oppositori democratici del fascismo nel 1929: non soltanto Benedetto Croce, uno dei 6 senatori su 316 che votarono contro, ma anche don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi.

Il giorno dopo la firma dei Patti, quest’ultimo scrisse sconsolato a don Simone Weber: “Insegnare a stare in ginocchio va bene, ma l’educazione clericale dovrebbe anche apprendere a stare in piedi”. Per tutta risposta, il 13 febbraio Pio XI indirizzò all’Università Cattolica di Milano un discorso passato alla storia, in cui disse: “Forse a risolvere la questione ci voleva proprio un Papa alpinista, immune da vertigini e abituato ad affrontare le ascensioni più ardue. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare: un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale”.

In quei giorni del 1929 scese il sipario sulle speranze risorgimentali di Giuseppe Mazzini e Massimo d’Azeglio. Ma anche sulla realpolitik unitaria di Cavour, espressa dalla formula: “Libera Chiesa in libero Stato”. E addirittura sul laicismo di Giovanni Gentile, che sul Corriere della Sera del 30 settembre 1927 aveva inutilmente affermato: “Se, come notava il Manzoni, ci sono utopie belle e brutte, questa della conciliazione non è da mettersi fra le prime”. Nella sua dichiarazione di voto contrario al Senato, Croce si era invece limitato a dire più debolmente: “La ragione che ci vieta di approvare non è nell’idea di conciliazione, ma unicamente nel modo in cui è stata attuata”.

Il Concordato clerico-fascista era comunque storicamente comprensibile e politicamente giustificato, perchè di esso beneficiarono sia il clero che il fascismo. Molto più difficile da comprendere e giustificare è invece il recepimento di quello stesso Concordato nell’articolo 7 della Costituzione della Repubblica Italiana, che recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi”.

Nel suo discorso alla Costituente, e nell’istruttiva Storia quasi segreta di una discussione e di un voto pubblicata nell’aprile 1947 su Il Ponte, Pietro Calamandrei fece notare l’assurdità della formula iniziale, che fu attaccata in aula anche da Croce e Vittorio Emanuele Orlando. Una costituzione, infatti, dev’essere un monologo e non un dialogo, e sarebbe stato altrettanto ridicolo inserirvi una formula che proclamasse solennemente: “L’Italia e la Francia sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrane”. Calamandrei notò che però, sorprendentemente, a difenderla fu Palmiro Togliatti, nella seduta del 23 gennaio 1947, “con argomenti che per la loro ortodossia meritarono il pieno plauso della Civiltà cattolica”.

Anche il recepimento dei Patti Lateranensi nella costituzione di uno stato laico, repubblicano e democratico era incongruo. Essi si aprivano infatti con un’invocazione alla Santissima Trinità, e nell’articolo 1 proclamavano il cattolicesimo come religione di Stato. Inoltre, facevano un esplicito richiamo allo Statuto Albertino del 1848, e recavano la firma del Duce e il marchio del fascismo. Infine, concedevano ai cattolici privilegi in aperta contraddizione con il resto della Costituzione. In particolare, con l’articolo 3, che stabilisce che “i cittadini sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di religione”. E soprattutto con l’articolo 20, che afferma che “il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, nè di speciali gravami fiscali”!

Come è stato dunque possibile che il famigerato articolo 7 sia finito nella Costituzione? Come suggerisce Calamandrei, per capirlo bisogna andarsi a rileggere gli atti delle discussioni preparatorie, e soprattutto delle sedute plenarie tenutesi all’Assemblea Costituente dal 4 al 25 marzo 1947, culminate nelle dichiarazioni di voto di De Gasperi, Nenni e Togliatti.

Come si ricorderà, da oppositore del fascismo De Gasperi si era drizzato contro i Patti Lateranensi. Da capo del governo, aveva ormai appreso anche lui a stare in ginocchio. Prendendo per la prima volta la parola alla Costituente, dichiarò che “senza la fede e senza la morale evangelica le nazioni non si salvano”. E sostenne che bisognava approvare “una norma in cui si riconosca la paternità comune del Capo della Religione Cattolica, che ci protegge e che protegga soprattutto la Nazione italiana”. Gli atti registrano “vivissimi, prolungati applausi al centro e a destra”.

Nenni ricordò la presenza della firma di Mussolini nei Patti, e “il sospetto di una collusione [della Chiesa col fascismo] che pesa ancora sulla coscienza di molti italiani, come una macchia e una vergogna”. Aggiunse che “lo Stato laico considera la religione come un problema individuale di coscienza, ma si mantiene nella sfera della sua sovranità”. E concluse dicendo che “per consolidare la Repubblica bisogna fondare lo Stato, e lo Stato non si fonda sul principio di una diarchia di poteri e di sovranità”. Questa volta, “vivi applausi a sinistra”.

Togliatti iniziò il suo discorso ricordando “le masse di lavoratori e cittadini che ci hanno dato la loro fiducia”. E poi, a sorpresa, spiegò che bisognava tradire questa fiducia, perchè così voleva il Papa: “Non vi è dubbio che ci troviamo di fronte a un’esplicita manifestazione di volontà della Chiesa cattolica, ed è questo il punto da cui dobbiamo partire”. Ammise che “cosa è destra e cosa è sinistra non è sempre facile dirlo in politica”. E finì “convinto che in un consesso di prelati romani sarei stato ascoltato con più sopportazione”.

L’articolo 7 fu approvato per 350 voti a 149, con l’apporto determinante del centinaio di deputati comunisti. Calamandrei espresse tutto il suo disgusto per la loro “resa a discrezione”, e ricordò che “quando fu proclamato il risultato, nessuno applaudì, neanche i democristiani”. Ma il giudizio allo stesso tempo più corretto e più insultante l’ha dato il 10 dicembre 2009 il Segretario di Stato, cardinal Tarcisio Bertone, paragonandolo il discorso di Togliatti a quello di “un padre della Chiesa”, e ricevendo un’immediata approvazione da Massimo d’Alema: cioè, dal peggior erede del Migliore.

E’ anche a causa di quei “comunisti” di allora, e di questi ex-”comunisti” di ora, che l’Italia continua a rimanere in ginocchio di fronte alla Chiesa e al Papa. E’ anche con la loro connivenza e complicità che qualunque governo, ecumenicamente e impunemente, sottrae ogni anno miliardi di euro ai poveri contribuenti e li elargisce ai ricchi preti. E’ anche la loro voce che oggi si unisce all’infausto coro che celebra questa triste pagina della storia italiana.

da - odifreddi.blogautore.repubblica.it


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Mubarak, Gheddafi e Berlusconi
Inserito da: Admin - Febbraio 22, 2011, 12:34:09 pm

21
feb
2011

Mubarak, Gheddafi e Berlusconi

PIERGIORGIO ODIFREDDI

C’é una singolare analogia, tra le dichiarazioni di Mubarak di qualche settimana fa, del figlio di Gheddafi di ieri, e di Berlusconi da sempre.
In tutti e tre i casi, di fronte al montare della protesta popolare, si promettono riforme e cambiamenti costituzionali. E in tutti e tre i casi, ci si dimentica che si é stati al governo da decenni, e che dunque quelle riforme e quei cambiamenti si sarebbero potuti fare prima, se veramente li si fossero voluti.

Il parallelo tra i tre leader non é balzano. Sappiamo tutti che Mubarak é stato tirato in ballo da Berlusconi stesso, nel suo sgraziato tentativo di coprire le sue fregole sessuali di fronte ai poliziotti che avevano arrestato una delle odalische del suo harem. Analogamente, anche Gheddafi é stato tirato in ballo da Berlusconi stesso, come il vero inventore iniziale di quel bunga-bunga di cui lui é stato l’utilizzatore finale nei suoi festini.

Ci dimentichiamo spesso, invece, che Berlusconi é  finora stato presidente del Consiglio per 3071 giorni. Solo Mussolini, Giolitti e De Pretis hanno governato piú a lungo di lui, nei centocinquant’anni dell” unitá d’Italia. E nessuno ha governato piú a lungo di lui, nei piú di sessant”anni della repubblica: nemmeno De Gasperi, che pur essendo stato a Palazzo Chigi per un anno di meno, aveva comunque trovato il tempo di fare riforme epocali, a partire da quella agraria.

Naturalmente, in tutti e tre i casi, quello che mancava ai tre leader non era il tempo per fare le riforme, ma la volontá o la capacitá di farle, troppo intenti com’erano a fare invece affari e festini. La pazienza popolare é esplosa in Egitto e in Libia, facendo cadere Mubarak e traballare Gheddafi. Anche la nostra pazienza popolare sta traboccando, ma é lecito sperare in un esito analogo?

Temo purtroppo di no. Mubarak e Gheddafi derivavano infatti il loro potere dall’esercito: é quest’ultimo che ha deciso le sorti del primo, e potrebbe decidere le sorti del secondo. Naturalmente, con l’appoggio piu o meno diretto e piú o meno discreto degli Stati Uniti e dell’Europa. Il dissenso popolare, in realtá, é servito solo da detonatore per il passaggio di mano del potere all’interno dell’esercito.

Berlusconi, invece, deriva il suo potere da un voto popolare. I questo caso, il gioco dela democrazia rivela tutta la sua debolezza intrinseca. Non ci si puó appellare al malcontento popolare, perché questo si puó appunto esprimere soltanto attraverso i voti diretti, nelle elezioni, e indiretti, nel parlamento. E la destra ha facile gioco a ricordare che la fiducia a Berlusconi é stata rinnovate sia nelle elezioni europee e amministrative tenute dopo le politiche, sia nei ripetuti voti di fiducia che il governo ha ottenuto alla Camera e al Senato.

Coloro, dunque, che vorrebbero far cadere il governo sulla base delle manifestazioni di piazza, rivelano una scarso spirito democratico. 
Ed é paradossale che sia la destra a rivendicare i principi della democrazia formale, mentre é la sinistra a invocare l’appello alla democrazia sostanziale, alla maniera di Cossiga.

D’altronde, quello democratico é un matrimonio di convenienza, che si tiene in vita fin che fa comodo, e dal quale si divorzia quando non lo fa piú. Basta pensare a cosa successe in Algeria nel 1990 e 1991, quando il fronte islamico vinse le elezioni con la maggioranza assoluta dei voti, e il parlamento fu sciolto dai militari, con la connivenza dei governi occidentali.

Per ora, noi siamo sposati. Il nostro destino é forse che, per liberarci da Berlusconi, dovremo anche divorziare dalla democrazia?

   
Scritto lunedì, 21 febbraio 2011 alle 19:35
da - odifreddi.blogautore.repubblica.it


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Mark Zuckerberg, più famoso di Gesù
Inserito da: Admin - Marzo 02, 2011, 03:04:40 pm

27
feb
2011

Mark Zuckerberg, più famoso di Gesù


In un’intervista del 4 marzo 1966 all’Evening Standard, John Lennon dichiarò: “Siamo più popolari di Gesù, e non so chi se ne andrà prima: il rock-and-roll o il cristianesimo”. Ora, sembra che Gesù non avesse un gran senso dello humour: secondo san Giovanni Crisostomo, piangeva spesso, ma non rise mai. Ed è certo che i suoi seguaci ne hanno ancor meno di lui: dunque, si inalberarono e bruciarono i dischi dei Beatles, costringendo John Lennon a fare marcia indietro e a rimangiarsi la battuta.

Anche Mark Zuckerberg non sembra avere molto senso dello humour, almeno stando al film The social network, che ne racconta la vita. Dunque, non direbbe mai di essere più popolare di Gesù. Il che non impedisce che lo sia, visto che la religione dei Vangeli ci mise secoli per attecchire nel mondo occidentale, mentre quella di Facebook ha avuto presa istantanea. In sette anni esatti, dalla sua consacrazione nel febbraio 2004, ha già conquistato seicento milioni di utenti: cioè, più di metà dei cattolici che la Chiesa può vantare nell’intero mondo, dopo due millenni di indaffarata predicazione.

Io non so chi se ne andrà prima: se i Vangeli o Facebook. Francamente, non me ne importa nulla, perché non frequento né gli uni, né l’altro. Certo mi diverto di più a sentire la storia del giovane hacker di Harvard, intelligente e brillante, che quella del giovane predicatore della Galilea, invasato e pedante. E preferisco il modo quasi indolore e quasi onesto in cui l’impresa del primo ha costruito una fortuna valutata a cinquanta miliardi di dollari, a quello cruento e disonesto in cui l’impresa del secondo ne ha ammassata una valutata a cinquecento miliardi, solo dieci volte maggiore di quella.

Da qualche settimana il nome di Zuckerberg è diventato noto a mezzo mondo: anche a coloro che usavano il suo prodotto, senza magari aver mai sentito niente di lui. A dicembre la rivista Time l’ha scelto come uomo dell’anno del 2010, preferendolo ad Assange: un altro informatico che ha cambiato il mondo, ma in maniera antagonista al potere costituito, invece che accondiscendente.

Il 17 febbraio scorso Zuckerberg ha letteralmente seduto “alla destra del padre”, cioè del presidente degli Stati Uniti, a una cena che questi ha offerto agli informatici della Silicon Valley. Stasera il film sulla sua vita si gioca ben otto Oscar: naturalmente racconta un sacco di storie esagerate o inventate, come d’altronde i Vangeli, ma proprio per questo piace al pubblico, e almeno nessuno si sognerà di costruirci sopra una religione. Coloro che trovassero anche i film troppo sofisticati, possono divertirsi col nuovo fumetto autobiografico che sta per uscire, e che sarà forse seguìto da un cartone animato.

Dimenticavo. Zuckerberg è ebreo, come Gesù, e compirà ventisette anni il 14 maggio: un’età in cui quest’ultimo, anticipando la moda attuale, viveva ancora con mamma e papà, e nessuno sapeva niente di lui. Il primo è ateo, e il secondo credeva in Dio (e, forse, anche di essere Dio). Ognuno tragga le conclusioni che vuole, e vada pure dove preferisce: in chiesa, su Facebook, al cinema a vedere The social network, o da nessuna parte.

Scritto domenica, 27 febbraio 2011 alle 18:27
da - odifreddi.blogautore.repubblica.it


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Giallo sul nuovo libro del papa
Inserito da: Admin - Marzo 11, 2011, 04:29:30 pm
PIERGIORGIO ODIFREDDI

11
mar
2011

Giallo sul nuovo libro del papa


Oggi sono andato in libreria a comprare il libro del papa.
Il libraio mi ha riconosciuto, e mi ha mostrato una sedicente “Lettera di embargo” che la RCS Libri aveva mandato nei giorni scorsi a tutti i librai.

Poichè la cosa ha dell’inusuale, oltre che del ridicolo e del paranoico, la riproduco qui, nonostante fosse ovviamente da tenere “segreta”.

Buona lettura, e buona meditazione!


 **************

Milano, 1 marzo 2011

Oggetto: Gesù di Nazaret, Joseph Ratzinger – Benedetto XVI  [d’ora in avanti, l’Opera],  data di embargo 10 marzo 2011

     Gentile libraio,

qualora riceviate il volume in oggetto prima di giovedì 10 marzo 2011, Vi informiamo che le copie che Vi abbiamo consegnato sono soggette a embargo sino a quella data. La motivazione dell’embargo è la salvaguardia dei contenuti editoriali ed il rispetto del primo giorno di Quaresima, ovvero il primo giorno liturgico “forte” a carattere battesimale e penitenziale che coincide con il 9 marzo 2011.

Questo significa che nessuna copia dell’Opera o anche solo il suo contenuto o parte di esso può essere messa in vendita o comunque divulgata prima del 10 marzo 2011.

Quindi, qualora le copie Vi siano arrivate prima di giovedì 10 marzo 2011, Vi chiediamo tassativamente di rispettare la data di messa in vendita e, data l’eccezionalità del caso, di impegnarVi affinchè:

1) fino alla data di embargo i volumi, all’interno delle Vostre strutture, siano mantenuti in un luogo sicuro, accessibile solo al personale autorizzato, sottoposti a controlli adeguati per evitare accessi non autorizzati;

2) gli impiegati delle Vostre strutture siano a conoscenza della natura confidenziale dell’Opera e del vostro impegno a mantenere l’embargo;

3) nessuno, inclusi partner, direttori, impiegati, agenti e altre figure professionali che accedono alla Vostra struttura abbia accesso al contenuto dei volumi;

4) non vengano copiati in alcuna forma, nè riprodotti, nè stampati, nè comunicati, nè pubblicati e nè divulgati in alcun modo i contenuti dell’Opera, nè vengano autorizzati terzi a compiere alcuna delle suddette operazioni.

Vi chiediamo inoltre tassativamente di informare immediatamente la Direzione Commerciale RCS Libri di qualunque tentativo effettuato di rottura di questo embargo di cui possiate venire a conoscenza o di qualunque divulgazione o fornitura non autorizzate di parte o tutti i contenuti dell’Opera. Qualora si verifichi questa circostanza dobbiamo avere da Lei piena collaborazione alle azioni che noi, a nostra discrezione, riterremo opportune per impedire ulteriori danni derivanti da violazioni dell’embargo.

Questa Lettera di embargo contiene i termini integrali del nostro accordo relativo all’Opera e alla sua divulgazione e sostituisce ogni accordo verbale o scritto precedente relativamente ad essa. I termini di questa Lettera di embargo rimangono confidenziali a prescindere da eventuali rotture dell’embargo da parte di terzi.

RingraziandoVi per la Vostra sollecita collaborazione, Vi salutiamo cordialmente

     Angela di Biaso

     Direttore Commerciale Divisione Libri

****************

Nessuna spiegazione razionale mi viene in mente.

Posso solo immaginare che, scambiando Ratzinger per Dan Brown, si volesse proteggere il segreto sull’esistenza o meno di un assassinio nel romanzo, e dell’eventuale assassino. E correre ai ripari in caso di embargo, cambiando il finale.

E posso solo ricordare che, mentre la lettura del libro doveva essere impedita per rispetto del Mercoledì delle Ceneri, il papa offrirà a RaiUno un’intervista sullo stesso il Venerdì Santo, che ovviamente non è così degno di rispetto.

Misteri della fede …

da - odifreddi.blogautore.repubblica.it


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Se lo dice lui
Inserito da: Admin - Marzo 11, 2011, 04:30:13 pm
PIERGIORGIO ODIFREDDI


10
mar
2011

Se lo dice lui

Finalmente oggi esce il secondo volume del Gesù di Nazaret del papa. Mi precipiterò a comprarlo e leggerlo, anche perchè la copertina riporta la sconvolgente dichiarazione: “Il Signore è veramente risorto. Egli è il vivente”. Firmato, Benedetto XVI.

Cosa voglia dire “veramente”, il papa l’ha spiegato con precisione nella prefazione all’intera opera, in cui dichiarava di voler “presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso vero e proprio”. Dunque, per Benedetto XVI “veramente” significa non ciò che sta scritto nei libri di storia, ma ciò che sta scritto nei Vangeli.

E’ chiaro che, con questo criterio, qualunque religione può decidere cos’è successo “veramente”, sulla base della propria mitologia. E il metodo storico, dove va a finire? In soffitta, per i motivi spiegati dallo stesso Benedetto XVI nella stessa prefazione.

Anzitutto, “i progressi della ricerca storico-critica condussero a distinzioni sempre più sottili tra i diversi strati della tradizione. Dietro di essi, la figura di Gesù, su cui poggia la fede, divenne sempre più nebulosa, prese contorni sempre meno definiti”.

E poi, “come risultato comune di tutti questi tentativi è rimasta l’impressione che, comunque, sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo in seguito la fede nella sua divinità abbia plasmato la sua immagine. Questa impressione, nel frattempo, è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità. Una simile situazione è drammatica per la fede perchè rende incerto il suo autentico punto di riferimento”.

In altre parole, evangelicamente, Benedetto XVI giudica l’albero dai suoi frutti. E poichè i frutti della storiografia portano a una “drammatica” decostruzione del cristianesimo, per ricostruire quest’ultimo egli rimuove semplicemente l’intero albero, e con esso il principio di realtà.

Addirittura, nel suo commento alle tentazioni di Gesù il papa parte dall’osservazione che “il diavolo si rivela conoscitore della Scrittura”, per concludere che “l’interpretazione della Bibbia può effettivamente diventare uno strumento dell’Anticristo”.

Il papa ribalta dunque l’ordine logico delle cose, declassando quelle che dovrebbero essere le tesi fondamentali del cristianesimo a mere ipotesi. Che vengono fatte riposare unicamente sull’osservazione che “solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù avevano superato radicalmente tutte le speranze e le aspettative dell’epoca, si spiega la sua efficacia”.

Analogamente, nella sua famosa Introduzione al cristianesimo Benedetto XVI aveva ammonito che “forse dovremmo fidarci di più dell’attualità della fede che resiste ai secoli, fede che per sua stessa natura non ha voluto essere altro che un comprendere”.

La debolezza di questi argomenti sta nel fatto che essi si potrebbero applicare, nello stesso identico modo, per rivendicare la verità storica e teologica di qualunque altra religione che abbia avuto altrettanta efficacia, e la cui fede abbia resistito altrettanti secoli. In primis, l’induismo e il buddhismo, che possono vantare una storia altrettanto veneranda e un insegnamento altrettanto sapienziale del cristianesimo. Anzi, molto di più.

Privilegiare la fede alla storia spinge invece, mi sembra, a un doppio errore: la sottovalutazione delle religioni altrui, e la sopravvalutazione della propria. E il Gesù di Nazaret cerca infatti di supplire al difetto di prove storiche con un eccesso di affermazioni apodittiche e di aggettivi superlativi, che paiono mirare più all’indottrinamento che alla dottrina.

Leggiamolo pure, dunque, se ci interessa sapere cosa pensa il papa di Gesù, e se siamo sensibili alle iperboli letterarie. Ma non aspettiamoci da lui che ci dica ciò che è “veramente” successo, benchè questo sia ciò che promette di fare fin dalla copertina.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Attenti al gorilla (nucleare)
Inserito da: Admin - Marzo 15, 2011, 05:11:13 pm

15
mar
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Attenti al gorilla (nucleare)

Le drammatiche notizie che arrivano dal Giappone, relative alle esplosioni nella centrale di Fukushima, si configurano come una vera e propria tragedia nucleare nella tragedia tellurica e tsunamica. Sarebbe singolare che proprio il primo, e finora unico, paese a essere stato vittima di esplosioni nucleari belliche causate da attacchi esterni, diventasse anche il primo a rimanere vittima di esplosioni nucleari tecnologiche causate da impianti interni.

Nonostante le ferite e la memoria di Hiroshima e Nagasaki, il Giappone aveva infatti scelto di votarsi ugualmente all’energia nucleare, confidando come ogni Apprendista Stregone di poterla controllare. Ed era diventato uno dei tre paesi che le si affidano in maniera sostanziosa, per i propri fabbrisogni energetici: con le sue 65 centrali, si poneva infatti dietro agli Stati Uniti e prima della Francia, che ne hanno rispettivamente 104 e 58.

Il patto col diavolo non ha evidentemente funzionato, e ora Fukushima andrà ad aggiungersi ai nomi maledetti di Three Miles Island negli Stati Uniti nel 1979, e di Chernobyl in Unione Sovietica nel 1986. Anche se già un’altra volta, nel 1999 a Tokaimur, il Giappone aveva rischiato il disastro.

Come tutti sanno, gli incidenti costituiscono comunque solo una delle due facce del problema nucleare. L’altra è, ovviamente, lo smaltimento delle scorie e dei rifiuti radioattivi: non solo delle centrali, ma anche industriali, ospedalieri e bellici. Un problema che, a tutt’oggi, rimane irrisolto. E che, a differenza delle casualità nelle quali l’ottimismo potrebbe anche far sperare di non cadere, si configura invece come una necessità dalla quale il realismo ci assicura che non si può pensare di evadere.

Gli Stati Uniti hanno provato ad affrontarlo, costruendo un enorme sito a Yucca Mountain nel deserto del Nevada, a un centinaio di chilometri da Las Vegas, in cui concentrare appunto le scorie e i rifiuti nazionali. Doveva essere terminato nel 1998, e invece ci vorranno ancora dieci anni per completarlo. Quand’anche diventasse operativo, sarebbe comunque già insufficiente per i fabbrisogni passati, lasciando aperto il problema per il futuro. Il condizionale è d’obbligo, però, a causa delle polemiche che la sua costruzione ha sollevato, dai costi ai livelli di contaminazione dell’ambiente.

La domanda cruciale è: se nemmeno i paesi più tecnologicamente avanzati e meglio organizzati riescono a gestire i problemi del nucleare, non è una vera e propria follia che proprio l’Italia abbia recentemente deciso di affidarglisi? Un paese che non riesce a organizzare nemmeno la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti ordinari, può veramente pensare di essere in grado di riuscire là dove hanno fallito tutti gli altri?

Molto più dei suoi patetici e irrilevanti scandali a sfondo sessuale, sono proprio questi progetti tecnologici a rendere il Presidente del Consiglio un letterale pericolo pubblico, e sono proprio essi che dovrebbero preoccupare gli italiani e spingerli a liberarsi di lui.
E anche del suo singolare Ministro per l’Ambiente, che è forse l’unica al mondo a interpretare la sua funzione non nel senso di salvaguadarlo, questo ambiente, ma di metterlo in serissimo pericolo spingendo affinchè la tecnologia più rischiosa e pericolosa che si conosca venga messa nelle mani dal popolo più pasticcione e cialtrone che ci sia al mondo.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Essere o non essere (italiani). GABER
Inserito da: Admin - Marzo 19, 2011, 10:58:26 am
Piergiorgio ODIFREDDI

17
mar
2011

Essere o non essere (italiani)

Mi scusi Presidente
non è per colpa mia
ma questa nostra Patria
non so che cosa sia.
Può darsi che mi sbagli
che sia una bella idea
ma temo che diventi
una brutta poesia.
Mi scusi Presidente
non sento un gran bisogno
dell’inno nazionale
di cui un po’ mi vergogno.
In quanto ai calciatori
non voglio giudicare
i nostri non lo sanno
o hanno più pudore.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Mi scusi Presidente
se arrivo all’impudenza
di dire che non sento
alcuna appartenenza.
E tranne Garibaldi
e altri eroi gloriosi
non vedo alcun motivo
per essere orgogliosi.
Mi scusi Presidente
ma ho in mente il fanatismo
delle camicie nere
al tempo del fascismo.
Da cui un bel giorno nacque
questa democrazia
che a farle i complimenti
ci vuole fantasia.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Questo bel Paese
pieno di poesia
ha tante pretese
ma nel nostro mondo occidentale
è la periferia.

Mi scusi Presidente
ma questo nostro Stato
che voi rappresentate
mi sembra un po’ sfasciato.
E’ anche troppo chiaro
agli occhi della gente
che tutto è calcolato
e non funziona niente.
Sarà che gli italiani
per lunga tradizione
son troppo appassionati
di ogni discussione.
Persino in parlamento
c’è un’aria incandescente
si scannano su tutto
e poi non cambia niente.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Mi scusi Presidente
dovete convenire
che i limiti che abbiamo
ce li dobbiamo dire.
Ma a parte il disfattismo
noi siamo quel che siamo
e abbiamo anche un passato
che non dimentichiamo.
Mi scusi Presidente
ma forse noi italiani
per gli altri siamo solo
spaghetti e mandolini.
Allora qui mi incazzo
son fiero e me ne vanto
gli sbatto sulla faccia
cos’è il Rinascimento.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Questo bel Paese
forse è poco saggio
ha le idee confuse
ma se fossi nato in altri luoghi
poteva andarmi peggio.

Mi scusi Presidente
ormai ne ho dette tante
c’è un’altra osservazione
che credo sia importante.
Rispetto agli stranieri
noi ci crediamo meno
ma forse abbiam capito
che il mondo è un teatrino.
Mi scusi Presidente
lo so che non gioite
se il grido “Italia, Italia”
c’è solo alle partite.
Ma un po’ per non morire
o forse un po’ per celia
abbiam fatto l’Europa
facciamo anche l’Italia.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo
per fortuna o purtroppo
per fortuna
per fortuna lo sono.

(Giorgio Gaber)

Scritto giovedì, 17 marzo 2011 alle 11:08 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Voltafaccia all’italiana
Inserito da: Admin - Marzo 27, 2011, 06:34:40 pm
Piergiorgio ODIFREDDI

19
mar
2011

Voltafaccia all’italiana


E’ significativo e appropriato che, nel momento delle celebrazioni dell’Unità d’Italia, gli italiani, o almeno i rappresentanti istituzionali da loro liberamente eletti, soffino sulle candeline della torta confermando una delle nostre doti più caratteristiche: la capacità di fare i peggiori voltafaccia a cuor sereno, adducendo le motivazioni più false.

Il più vergognoso di questi voltafaccia è forse quello nei confronti di Gheddafi e della Libia. Un anno fa abbiamo dovuto assistere
all’accoglienza da terzo mondo riservata al colonnello, col quale Berlusconi aveva addirittura firmato un trattato d’amicizia fra i popoli libico e italico. Durante lo scoppio della crisi, silenzio. E ora siamo pronti non solo ad assistere silenti all’invasione del paese, ma a parteciparvi attivamente, fornendo basi e truppe.

Forse che Gheddafi è diverso oggi, da com’era un anno fa? Ovviamente no. Il voltafaccia ha motivazioni molto terra terra, benchè il ministro della Difesa abbia coraggiosamente assicurato che nelle operazioni i nostri non metteranno piede sull’ex paese amico. Queste motivazioni sono che gli Stati Uniti e la Francia hanno deciso di intervenire, e c’è il rischio che ci sostituiscano nello sfruttamento commerciale del paese.

Naturalmente, le motivazioni di Obama e Sarkozy non sono molto più elevate. In fondo, presiedono entrambi paesi che sono ancora letteralmente coloniali: nel senso di possedere letterali colonie, che vanno da Puerto Rico alla Nuova Caledonia. E si tratta di paesi che hanno sempre avuto interessi in generale nel Nord Africa, e in particolare in Libia: ad esempio, il primo intervento armato che gli Stati Uniti effettuarono al di fuori del continente americano fu appunto un bombardamento su Tripoli, nel … 1804!

Ma restiamo ai nostri voltafaccia. Un altro è seguìto agli incidenti nucleari causati dal terremoto del Giappone. Mentre tutto il mondo faceva un esame di coscienza e meditava sull’energia atomica, il governo italiano continuava a dichiarare imperterrito che avrebbe mantenuto in vita il programma di costruzione delle centrali nucleari. Salvo accorgersi che la cosa poteva danneggiarlo dal punto di vista elettorale, come si è lasciata scappare “fuori onda” l’ineffabile ministro per l’Ambiente. E allora, marcia indietro, senza nessun problema.

Naturalmente, non possiamo dimenticare che è proprio grazie a questa nostra dote naturale che siamo risultati i veri vincitori della Seconda Guerra Mondiale. Gli unici, cioè, che sono sempre stati dalla parte dei vincitori, per tutto il conflitto: prima con l’asse, e poi con gli alleati. All’epoca si diceva che eravamo il doppio di quanti sembravamo, cioè 90 milioni: 45 milioni di fascisti prima della guerra, e 45 milioni di antifascisti dopo.

D’altronde, a proposito di fascisti, cos’altro era il Concordato del 1929, se non un altro storico voltafaccia? Personale, dell’ateo Mussolini. E nazionale, dell’Italia risorgimentale che aveva sconfitto lo Stato Pontificio ed era sorta sulle sue ceneri. Per 68 anni, dal 1861 al 1929, appunto, quell’Italia era rimasta laica e libera, e da un giorno all’altro si era ritrovata clericale e coatta.

Eppure, nelle celebrazioni di questi giorni quell’Italia è assente. Perchè dovunque, in prima fila tra le autorità alle cerimonie, si vedono vescovi e cardinali. Quando non avviene il contrario, e ad essere in prima fila sono invece le autorità alle celebrazioni religiose. Addirittura, il 17 marzo, alla solenne messa celebrata dal Segretario di Stato e conclusa con il canto del Te Deum: che i preti, naturalmente, hanno ragione a cantare, per ringraziare Dio di aver reso così malleabili e generosi i governanti italiani.

Naturalmente, tra i cantanti del coro ce n’erano molti che stavano facendo anch’essi il loro bel voltafaccia. A partire dal presidente della Repubblica, (ex) comunista e ateo come il miglior Togliatti: responsabile, quest’ultimo, dello storico voltafaccia alla Costituente che causò il recepimento del Concordato clerico-fascista nell’articolo 7 della Costituzione laico-repubblicana.

Noi italiani siamo fatti così. E questo ci infonde speranza, perchè presto o tardi faremo un nuovo voltafaccia, e gireremo le spalle anche a Berlusconi. Non si troverà più uno che ammetterà che l’aveva votato, così come una volta non si trovava uno che ammettesse di aver votato la Democrazia Cristiana, che pure era il partito di maggioranza relativa. A festeggiare l’Italia dei voltafaccia, io aspetterò quel momento, anche se sarà ormai troppo tardi per gioire.

Scritto sabato, 19 marzo 2011 alle 18:50 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Fino a quando, De Mattei?
Inserito da: Admin - Marzo 28, 2011, 04:58:31 pm
28
mar
2011

Piegiorgio ODIFREDDI

Fino a quando, De Mattei?

Secondo il Decreto Legislativo del 4 giugno 2003 sul Riordino del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il C.N.R. è “Ente pubblico nazionale con il compito di svolgere, promuovere, diffondere, trasferire e valorizzare attività di ricerca nei principali settori di sviluppo delle conoscenze e delle loro applicazioni per lo sviluppo scientifico, tecnologico, economico e sociale del Paese, perseguendo l’integrazione di discipline e tecnologie diffusive ed innovative anche attraverso accordi dicollaborazione e programmi integrati”.

Dal 2004 il ruolo di vicepresidente dell’Ente è ricoperto, per decisione dell’allora (e ora) Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, e su proposta dell’allora Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Letizia Moratti, di un candidato sorprendentemente fuori luogo: Roberto De Mattei, professore associato di Storia del Cristianesimo e della Chiesa alla privata Università Europea di Roma, presidente della Fondazione Lepanto, direttore del mensile Radici cristiane, dirigente di Alleanza Cattolica e consigliere del Vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini per le questioni internazionali.

De Mattei ha agito discretamente fino agli inizi del 2009, quand’è uscito allo scoperto con “un workshop promosso a Roma il 23 febbraio dalla Vice-Presidenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche, per offrire un contributo scientifico al dibattito in corso nell’anno darwiniano”, di cui sono poi usciti gli atti intitolati Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi, a cura dello stesso De Mattei (Cantagalli, 2009).

In tal modo il nostro massimo ente pubblico di ricerca scientifica si è trovato schierato, suo malgrado, a fianco dei creazionisti più retrivi, nel più ufficiale atto antievoluzionista dopo il Decreto Legislativo del 18 febbraio 2004, con cui la Moratti aboliva l’insegnamento dell’evoluzionismo nelle scuole medie. Decreto poi parzialmente rientrato, a causa della protesta popolare guidata dai due premi Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco.

Leggere gli atti del suo convegno o discutere col professor De Mattei, come ho avuto il dubbio onore di poter fare il 20 novembre 2009 a Chiasso, è un’esperienza sconcertante: in contrapposizione ai suoi modi raffinati e gentili, le sue affermazioni sono infatti una vera e propria summa della disinformazione più grossolana e presuntuosa a proposito di Darwin e del darwinismo in particolare, e della scienza in generale.

Niente di male, ovviamente, se non fosse che queste affermazioni vengono dal vicepresidente del C.N.R., che per l’articolo 3 del Regolamento “sostituisce il presidente in caso di assenza o impedimento” e fa parte del ristretto Consiglio di Amministrazione, che per l’articolo 4 “ha compiti di indirizzo e programmazione generale dell’attività dell’Ente”.

Ci si può domandare che indirizzo o programmazione possano mai venire da chi scrive e dice che i dinosauri sono scomparsi non sessanta milioni, ma poche migliaia di anni fa, o che le specie sono state create immutabili dal Creatore. E ci si può chiedere fino a quando non avranno niente da dire gli elettori in generale e gli scienziati in particolare, costretti a sopportare con vergogna un tale vicepresidente al C.N.R.

In questi giorni, la domanda è tornata d’attualità per l’intervento che De Mattei ha fatto il 23 marzo a Radio Maria, nel quale ha sostenuto che il terremoto e lo tsunami del Giappone, e più in generale le catastrofi naturali, sono “una voce terribile ma paterna della bontà di Dio”, una “esigenza della giustizia di dio, della quale sono giusti castighi”.

L’intervento completo di De Mattei si può trovare sul sito http://dimissionidemattei.wordpress.com/ , insieme a una petizione per le sue dimissioni. Ciascuna firma è una goccia, e serve a dimostrare che il vaso è colmo. Anche se c’è da dubitare che Berlusconi si dimostrerà sensibile a una domanda di civiltà, e disposto a rimediare a un guaio che lui stesso ha creato.

Scritto lunedì, 28 marzo 2011 alle 11:20 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

da - odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/03/28/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Le invasioni barbariche
Inserito da: Admin - Aprile 05, 2011, 10:30:59 pm
3
apr
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Le invasioni barbariche

Lo storico Alessandro Barbero ha scritto qualche anno fa due libri bellissimi e tragicissimi: 9 agosto 378. Il giorno dei barbari (Laterza, 2005) e Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano (Laterza, 2006). E al Festival di Sarzana del 2007 li ha raccontati in tre serate, intitolando la serie delle sue conferenze Le invasioni barbariche.

Chi abbia letto le sue pagine, o sentito le sue parole, non ha potuto fare a meno di sostituire “barbari’” con “extracomunitari”, e “impero romano” con “comunità europea”, tanto erano evidenti le analogie tra i fatti di allora e quelli di ora. E naturalmente era proprio questo ciò che Barbero intendeva suggerire con i suoi resoconti storici.

Quello che colpiva allora, e colpisce ora, erano e sono le ineluttabili forze oggettive che determinavano e determinano i fatti, da un lato. E le impotenti volontà soggettive che si illudevano e si illudono di riuscire a esoricizzarli, dall’altro: in particolare, attraverso impotenti misure di calmieramento dell’invasione, della stessa natura e della stessa inefficacia di quelle dei nostri antenati.

Credere di poter fermare la fine del sistema capitalistico occidentale attraverso una regolamentazione del flusso dell’immigrazione, è come sperare di poter fermare la caduta libera di un masso facendo le corna, o di poter far piovere facendo una danza o recitando una preghiera appropriate. Non a caso, i nostri governanti sono appunto del tipo di quelli che fanno le corna, danzano e pregano.

La realtà dei fatti, detta in una parola, è semplicemente che il venti per cento della popolazione mondiale possiede l’ottanta per cento della ricchezza e consuma l’ottanta per cento delle risorse mondiali. E poichè la storia dei popoli funziona secondo il principio dei vasi comunicanti, essa doveva tendere prima o poi a far trasferire i tre quarti di questa ricchezza e di queste risorse al rimanente ottanta per cento della popolazione, per riequilibrare le cose.

Se veramente avessimo voluto evitare che si preparassero le nuove invasioni “barbariche”, avremmo dovuto pensarci prima, e dirottare una vasta percentuale delle nostre ricchezze ai paesi del terzo mondo, per creare in essi condizioni di vita che riequilibrassero almeno in parte lo squilibrio che oggi sta provocando l’esodo.

Non l’abbiamo fatto, e non facendolo abbiamo dimostrato di non aver imparato la lezione della storia. E non abbiamo nemmeno l’attenuante di essere stati colti di sorpresa, perchè queste migrazioni si erano appunto già verificate, e dovevamo riaspettarcele. Hanno dunque poco da sbraitare i leghisti e i razzisti che credono di fermare gli extracomunitari che premono alle porte.

Non li fermeremo, e proprio grazie alla loro ottusa miopia. La miopia di chi crede che per fermarli basti fare pellegrinaggi alle sorgenti del Po, imporre il Sole delle Alpi sui muri dei locali pubblici, biascicare in dialetto fora dai ball, rivendicare le origini cristiane dell’Europa e altre amenità del genere. La miopia di chi non capisce che se fossero queste le cose che dovremmo salvare, allora sarebbe meglio aprire le porte all’invasione perchè tutto si compisse il più presto possibile.

Diciamoci la verità: i veri barbari sono loro, e non certo quei poveracci che sognano di trovare la civiltà in casa nostra. E quando tra qualche secolo un novello Barbero racconterà il modo in cui sarà successo ciò che ha già cominciato a succedere, non è detto che invece di “invasioni barbariche” non parlerà di “caduta della barbarie”.

da - odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/04/03/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Il premio Nobel per la religione
Inserito da: Admin - Aprile 11, 2011, 08:42:34 pm
10
apr
2011

Il premio Nobel per la religione

Piergiorgio Odifreddi


La Fondazione Templeton ha assegnato un paio di giorni fa il premio Templeton 2011 a Martin Rees, astronomo reale, master del Trinity College ed ex presidente della Royal Society: quella presieduta a suo tempo da Newton, tanto per capirci.

Per chi non lo sapesse, il premio Templeton è considerato l’analogo del premio Nobel per la religione. Ed è ancora più ricco: un milione di sterline, assegnate annualmente a qualcuno che “abbia dato un contributo eccezionale all’affermazione della dimensione spirituale della vita, attraverso intuizioni, scoperte o lavoro pratico”. Fu istituito nel 1972 dal miliardario John Templeton, e viene consegnato in una cerimonia a Buckingham Palace dal principe Filippo.

Ci si può chiedere, naturalmente, per quale motivo il “premio Nobel per la religione” sia stato assegnato a un astronomo, che per di più si dichiara ateo. Il fatto è che, dopo essere andato a missionari o predicatori quali Madre Teresa di Calcutta (1973), Chiara Lubich (1977) e Bill Graham (1982), da molti anni il premio viene ormai quasi regolarmente assegnato a scienziati.

Si tratta ovviamente sempre di scienziati “borderline”, alcuni dei quali preti, e tutti impegnati a esplorare la “terra di nessuno, o di tutti” che separa la scienza dalla teologia. Ma ciò non toglie che molti siano comunque fior di scienziati. Ad esempio, il premio Nobel per la fisica Charles Townes (2005), inventore del laser. O l’enfant terrible Freeman Dyson (2000), che il Nobel non lo vinse nel 1965 soltanto perchè lo si dà a tre persone, invece che a quattro, e lui era il più giovane fra il cotanto senno di Feynman, Schwinger e Tomonaga. O i divulgatori Paul Davies (1995) e John Barrow (2006), di cui molti avranno letto opere di divulgazione quali La mente di Dio o Il principio antropico, che sembravano scritte apposta per far loro vincere il premio.

Le intenzioni della Fondazione Templeton sono ovviamente difficili da decifrare. Chi pensa bene, può vedere questi premi come l’ammissione che oggi gli unici esseri veramente spirituali siano gli scienziati, come diceva Einstein. E che la scienza sia l’unica vera religione, mentre quelle istituzionali sono solo sue caricature superstiziose. Cosa che, d’altronde, si sa fin dal tempo di Pitagora: il quale, per inciso, sarebbe stato il primo vincitore del premio Templeton, se già ci fosse stato.

Chi pensa male, invece, può vedere nella Fondazione Templeton una specie di agenzia di disinformazione, che tende ad ammantare di rispettabilità scientifica una religione ormai intellettualmente screditata. Così la pensa, ad esempio, Richard Dawkins, che ha duramente criticato Rees per aver accettato il premio, accusandolo di rendersi appunto complice di quest’opera di appropriazione indebita.

Certo è che la Fondazione Templeton è ricca sfondata, e che spesso elargisce i suoi quattrini a chi non ne ha. Io stesso ho partecipato, nel 2006, al congresso mondiale tenutosi a Vienna per il centenario della nascita di Goedel: una manifestazione puramente scientifica, in cui però il contributo della Fondazione ha finito per far parlare anche delle opinioni religiose del grande logico. E Barrow è stato invitato nel 2010 dal cardinal Ravasi a parlare in Vaticano nell’ambito del Progetto Stoq, un acronimo che sta per Science, theology and the ontological quest, “Scienza, teologia e la questione ontologica”: un progetto generosamente finanziato, appunto, dalla stessa Fondazione.

Ognuno può ovviamente pensarla come vuole, al riguardo. Personalmente, sono contento che la scienza invada sempre più i confini e gli ambiti istituzionali della religione: in fondo, se le spiegazioni scientifiche dei fenomeni naturali sono riuscite a farci ridere degli dèi greci e romani e a farli scomparire, perchè non dovrebbero riuscirci anche con quelli mediorientali? Che il premio Templeton non sia altro che una delle risate che seppelliranno la religione?

Scritto domenica, 10 aprile 2011 alle 19:14

da - odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/04/10/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Benigni tuttodantedemocrazia
Inserito da: Admin - Aprile 14, 2011, 04:59:08 pm
14
apr
2011

Benigni tuttodantedemocrazia

Piergiorgio ODIFREDDI


Ieri sera, al Palaolimpico di Torino, ad applaudire Benigni c’ero anch’io. Non era la prima volta che assistevo alle sue lezioni spettacolo, ma non l’avevo mai sentito commentare il sesto canto del Purgatorio: anzi, credo che fosse appunto una novità, commissionata da Zagrebelski per coniugare lo forma dello spettacolo-apertura con la sostanza della Biennale della Democrazia.

La prima parte dell’esibizione, come ormai di norma per i monologhi di Benigni, è stata un fuoco d’artificio di satira politica. Sfottendo il premier, che a Lampedusa non aveva trovato di meglio che dimostrare agli isolani la sua vicinanza comprando una villa nell’isola, Benigni ha annunciato che avrebbe comprato Palazzo Madama, e trasformato l’adiacente Palazzo Reale in un Casinò: Casinò Royale, appunto.

L’unica battuta politica che è caduta nel gelo della sala è stato il riferimento al fatto scandaloso che il Partito Democratico torinese presenterà come candidato alle prossime elezioni comunali Giusi La Ganga: uno degli ex notabili del Partito Socialista di Craxi, condannato a un anno e otto mesi per tangenti nella prima fase di Mani Pulite, e oggi ripescato sulla base della logica autolesionista del Pd.

La grande maggioranza del pubblico sugli spalti del Palaolimpico era composta di giovani, che probabilmente non avevano mai sentito parlare di La Ganga. La grande maggioranza dei notabili sotto il palco, che invece lo conoscevano benissimo, ha finto di dimenticarsene, tenendo in serbo gli applausi per le più scontate battute su Berlusconi. Se Benigni fosse stato il John Lennon del Concerto Reale del 4 novembre 1963, avrebbe causticamente incitato gli spalti ad applaudire, e la platea a far tintinnare i propri gioielli democratici.

Quanto a me, ricordo e non dimentico, e ho deciso che non voterò alle comunali: già la candidatura a sindaco di un dinosauro ex-comunista era difficile da digerire, ma la candidatura a consigliere di un ladro ex-socialista va oltre la misura. Secondo Benigni, si tratta di un tentativo di combattere Berlusconi scendendo sul suo terreno: il che fa ridere come battuta, ma fa piangere come politica. E allora, non ci resta che piangere, senza votare.

Affrontando Dante, Benigni ha poi mostrato di aver assimilato le Lezioni di letteratura di Nabokov, secondo il quale chi legge è infantile se si interessa alla storia, adolescenziale se ricerca una morale, e maturo se si preoccupa della struttura dell’opera. Agli infantili l’attore ha raccontato di Dante, Virgilio, Beatrice e Sordello. Agli adolescenziali il politico ha suggerito paragoni fra la “serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello” di allora e di oggi. Ai maturi l’esegeta ha offerto interessanti spunti sugli accenti degli endecasillabi danteschi, che cadono quasi sempre sulla sesta sillaba, ma in momenti cruciali finiscono sulla settima o sull’ottava.

L’unico appunto che si potrebbe fare è che le due parti dello spettacolo, la satira politica e la lettura dantesca, sono state diacroniche, invece che sincroniche. Benigni ha troppo rispetto per Dante (nel senso letterale che ne ha più del dovuto) per pensare di poter leggere solo una parte di un canto. Purtroppo, l’inizio del sesto del Purgatorio è una lista di nomi che dicevano qualcosa allora, ma niente ora. Tentare di spiegare il tutto ha allungato oltre misura lo spettacolo, al limite della capacità di concentrazione e dell’interesse.

Il motto leninista “meglio meno, ma meglio” avrebbe suggerito di concentrarsi sull’invettiva politica, e di attaccarsi a quella per la satira dell’attualità, a partire dal “bordello”. Ma è sciocco voler insegnare ai gatti ad arrampicarsi: la standing ovation che l’ha salutato la fine delle due ore e mezzo dimostra che il Benigni nazionale ha fatto centro ancora una volta. Resta da vedere se, come diceva Dante nella Tredicesima Lettera, la poesia può veramente incitare all’azione. O se, usciti dal Palaolimpico, le belle parole si dimenticheranno e cederanno il posto ai brutti voti.

 
Scritto giovedì, 14 aprile 2011 alle 10:39
da - odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/04/14/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Non ci rompete più di tanto!
Inserito da: Admin - Aprile 22, 2011, 05:33:48 pm
20
apr
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Non ci rompete più di tanto!

Il ministro Tremonti ha affermato che “deve esistere il diritto a dire: “Non ci rompete più di tanto”".
Come dargli torto? Anzi, è un po’ di tempo che lo pensano in tanti, che sia arrivato il momento di esercitare questo diritto: naturalmente, nei confronti del ministro Tremonti in particolare, e del suo governo in generale.

Come si può immaginare, però, il ministro la intendeva in tutt’altro modo.
Cioè, come un diritto dei lavoratori autonomi e degli imprenditori di essere “lasciati in pace” dal fisco e dai suoi controlli. Siamo alle solite: coloro che pagano le tasse devono ricevere il danno e le beffe da parte di coloro che non solo non le pagano, ma vorrebbero pure non essere molestati dal fisco per quello che considerano un loro diritto.

E’ infatti solo di un mese fa l’annuncio dei risultati delle elaborazioni effettuate per Manageritalia e Confedir-Mit da Nicola Quirino, docente di Finanza pubblica all’Accademia della Guardia di Finanza e alla Luiss Guido Carli. Da questi risultati si evince che, per quanto riguarda i redditi dichiarati dalle persone fisiche nel 1993, i dipendenti pesavano il 56,2 per cento, i pensionati il 19,7, gli imprenditori il 13,2 e i professionisti il 7,6. Quindici anni dopo, nel 2007, il peso complessivo delle prime due categorie è ulteriormente aumentato: i dipendenti pesano il 51,8 per cento, i pensionati il 26,8, mentre gli imprenditori sono scesi al 5 per cento e i professionisti al 4,2.

Per quanto riguarda i redditi lordi medi, i lavoratori autonomi dichiarano 37.124 euro, e le altre tre categorie redditi medi praticamente uguali fra loro: i dipendenti 19.335 euro, gli imprenditori 18.968 e i pensionati 13.448. Che pena ci fanno questi imprenditori, praticamente ridotti al reddito di un insegnante di scuola! Non sarà che il diritto a non essere rotti più di tanto è già stato loro accordato oltre misura, e che sia invece ora di correre ai ripari?

Addirittura, si scopre che anche tra i contribuenti più ricchi, cioè quelli che dichiarano più di 100.000 euro lordi all’anno, sono sempre i lavoratori dipendenti e i pensionati a fare la parte del leone, più o meno nelle stesse percentuali già viste: circa il 72 per cento del totale. Del rimanente, il 20 per cento sono lavoratori autonomi, e solo l’8 per cento industriali.

Se poi si vanno a vedere i redditi medi dichiarati per categorie professionali autonome, si scopre che a fronte di una media nazionale di 18.900 euro, di nuovo pari al reddito di un insegnante di scuola, parrucchieri e barbieri dichiarano solo 10.400 euro, i tassisti 13.600, i meccanici 15.400, i gioiellieri e gli orologiai 15.800, i dentisti 45,100 e gli avvocati 49.100. Un minimo di decenza in più l’hanno i dirigenti privati e pubblici, che arrivano a 105.00 euro, i farmacisti che li sorpassano a 126.100 e i notai che salgono a 404.800.

Un ministro dell’Economia degno di questo nome scatenerebbe la Guardia di Finanza dietro a ogni singolo gioielliere, dentista e avvocato, e li metterebbe tutti agli arresti preventivi. Se poi, per qualche miracolo ancora più improbabile di quelli di Padre Pio, qualcuno risultasse aver fatto una dichiarazione veritiera, gli si dovrebbe comunque revocare la licenza per manifesta incapacità. Quanto ai notai, il ministro globetrotter non potrebbe informarsi, e scoprire che in molti paesi (a partire dagli Stati Uniti) neppure esistono, perchè il loro inutile e caro lavoro viene utilmente e gratuitamente svolto dai segretari comunali e da altre categorie pubbliche analoghe?

Fino a quando il ministro per l’Economia e il suo governo continueranno ad abusare della pazienza di coloro che le tasse non solo le pagano, ma devono pure veder assegnato a coloro che le evadono il diritto di dire: “Non ci rompete più di tanto”?


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Chi ama Osama o Obama?
Inserito da: Admin - Maggio 04, 2011, 05:12:48 pm
4
mag
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Chi ama Osama o Obama?

Matrimoni di principini, beatificazioni di papi, esecuzioni di terroristi: il tornado delle grandi sceneggiate mondiali non accenna a placarsi. Questa volta è il turno della Sfida all’O.K. Corral tra due quasi omonimi: il sedicente “leader del mondo libero” Obama, e il cosiddetto “sceicco del terrore” Osama. Due uomini che, come dimostra un video su questo stesso sito, i telegiornali di mezzo mondo hanno freudianamente confuso, annunciando ripetutamente la morte dell’uno al posto di quella dell’altro.

Effettivamente la confusione è giustificabile, visto che le leggende diffuse su ciascuno dei due non si attagliano per niente alla realtà dei fatti. Da un lato, l’uomo più pericoloso del mondo è infatti stato catturato disarmato, e ucciso in maniera tanto barbara da impedire la diffusione delle foto del cadavere, e da costringere a buttarlo letteralmente a mare il più in fretta possibile: il che, ci dicono gli americani, corrisponderebbe a un funerale “secondo la tradizione islamica”(nata e fiorita nel deserto).

Dall’altro lato, il premio Nobel per la pace ha ordinato che la cruenta azione militare fosse compiuta violando impunemente la sovranità territoriale di uno stato indipendente, ha esultato alla notizia dell’uccisione del nemico, ha annunciato che “ora il mondo è migliore”, e ha dovuto sorbirsi la replica del Vaticano che “di fronte alla morte di un uomo un cristiano non si rallegra mai”: soprattutto, quando l’ha sulla coscienza lui.

Ovviamente, Obama ha invece ricevuto i complimenti del suo predecessore George W. Bush. D’altronde, è da un pezzo che negli Stati Uniti i democratici delusi lo chiamano “il Bush nero”. E mai come in questi giorni i due sono apparsi indistinguibili nella loro retorica sul terrorismo. Quanto alle guerre, ormai l’allievo ha superato il maestro, visto che oltre a continuare quelle in Afghanistan e in Iraq che ha ereditato da lui, ha da poco aperto un nuovo fronte personale in Libia. E non ha mai chiuso il carcere di Guantanamo, nonostante la sua promessa da mercante elettorale.

L’impudenza con cui Obama ha dichiarato che dopo l’uccisione di Osama “il mondo è più sicuro”, è da manuale. E può funzionare soltanto perchè la propaganda antiterroristica ci fa dimenticare che gli anglosassoni hanno combattuto tre guerre di conquista in Afghanistan (1838–1842, 1878–1880 e 1919), ben prima che ci fossero i talebani. E che gli Stati Uniti hanno bombardato per la prima volta la Libia nel 1804, ben prima che ci fosse Gheddafi.

Forse a giorni ci somministreranno qualche foto ufficiale, opportunamente taroccata, dell’uccisione di Osama. Probabilmente si tratterà di una delle bufale a cui gli americani ci hanno abituati, dall’incidente del Golfo del Tonchino, sbandierato di fronte al Congresso nel 1964, alle prove dell’esistenza di armi di distruzioni di massa, esibite di fronte alle Nazioni Unite nel 2003. Presto o tardi verremo a sapere che ci hanno di nuovo menato per il naso, ma nel frattempo avranno fatto i loro comodi e raggiunto i loro obiettivi.

Per ora, possiamo tutti rallegrarci che il cattivo Obama è morto e il buon Osama ha trionfato. O era il contrario? Che confusione

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/05/04/chi-ama-osama-o-obama/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Sgarbi televisivi
Inserito da: Admin - Maggio 21, 2011, 09:26:21 am
20
mag
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Sgarbi televisivi

Premetto che non ho guardato la prima (e probabilmente ultima) puntata dello show televisivo di Sgarbi ieri, e ho guardato solo per pochi minuti l’ennesima (e sicuramente non ultima) puntata dello show televisivo di Santoro stasera. Ma ho sia letto che ascoltato le dichiarazioni di Sgarbi a proposito della propria Caporetto di ascolti, e di quelle che secondo lui ne sono le cause.

Naturalmente, bisogna fare la tara a ciò che un provocatore come Sgarbi dice. Ma a me sembra che sia andato a segno quando ha accusato il pubblico televisivo di essere tanto pervicacemente insensibile ai richiami della cultura, quanto morbosamente interessato al gossip di ogni genere, dalla cronaca nera alla politica: generi che comunque spesso sconfinano l’uno nell’altro, fino a diventare indistinguibili.

E’ chiaro che Sgarbi intende la parola “cultura” in un’accezione molto più estesa e generosa di quanto farebbero gli “uomini di cultura”. Un’accezione largamente condivisa da Bonolis, che ha pure lui provato a portare in prima serata un programma di contenuti meno sfacciatamente trash del solito, con esiti sostanzialmente non diversi: anche il suo programma è stato chiuso in anticipo, benchè in maniera meno immediata di quella di Sgarbi.

I due flop dimostrano che non basta essere personaggi di sicuro richiamo mediatico, nè avere a disposizione le reti ammiraglie della Rai o di Mediaset, per riuscire a spuntarla sul pubblico della prima serata. Quest’ultimo non gradisce nessuna libera uscita dai cammini strabattuti delle fiction, dei reality e dei talkshow. E qualunque tentativo di proporgli qualcosa di diverso dalla sbobba a cui è assuefatto, fa la fine delle evangeliche perle (false) ai porci.

Non ci sarebbe niente di male, naturalmente, se televisione e cultura fossero nettamente separate fra loro. Il fatto è che ormai la prima ha invaso la seconda e contaminato il suo campo d’azione principale, che tradizionalmente era il mercato librario. Uno sguardo alle classifiche dei libri più venduti negli ultimi mesi, dimostra un fatto inquietante: che ormai i lettori sono stati sostituiti dai telespettatori.

I maggiori successi sono infatti i libri scritti da autori che o conducono un proprio programma televisivo, o sono ospiti fissi di un programma altrui: Benedetta Parodi, Antonella Clerici, Bruno Vespa, Corrado Augias, Piero e Alberto Angela, Daria Bignardi, Luciana Littizzetto, Massimo Gramellini, eccetera. Come se non bastasse, questi autori appaiono poi regolarmente e sistematicamente nei programmi di intrattenimento condotti dagli altri loro colleghi, in una sorta di reazione autocatalitica.

A questo si aggiunge l’effetto mediatico che programmi come il Maurizio Costanzo Show una volta, e Che tempo che fa di Fabio Fazio ora, hanno sulle vendite dei libri: esaltando ancora una volta il legame perverso che lega televisione e cultura, e riducendo la seconda a un’appendice della prima. Sia Costanzo che Fazio non sono comunque che due punte dell’iceberg del fenomeno tipico dei nostri tempi: la trasformazione del giornalista da trasparente mediatore delle notizie, a opaco divo della mediazione.

La puntata di Santoro che ho citato agli inizi, è stata un’apoteosi di questa trasformazione: degli otto partecipanti che ho contato, uno era il premio Nobel per la pace Al Gore, che interveniva comunque in qualità di fondatore della rete televisiva Current Tv, e gli altri sette erano tutti giornalisti (Maurizio Belpietro, Vittorio Feltri, Enrico Mentana, Paolo Mieli, Michele Santoro, Marco Travaglio e Vittorio Zucconi).

Devo dire che a me tutto questo ricorda tristemente troppo da vicino William Randolph Hearst (immortalato da Orson Wells in Citizen Kane, o Quarto potere che dir si voglia). Se allora era l’editore a sostituirsi alle notizie, oggi sono i giornalisti, e sicuramente questi ultimi considereranno la cosa un passo avanti. Ma lo spettatore o il lettore che non vorrebbero nè l’editore, nè i giornalisti, ma le notizie, non ci trovano poi una gran differenza. E finiscono col diffidare delle televisioni e dei giornali, e naturalmente delle classifiche dei libri e dell’Auditel.

da - odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/05/20/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Un visionario fra i ciarlatani
Inserito da: Admin - Maggio 25, 2011, 05:15:30 pm
24
mag
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Un visionario fra i ciarlatani

L’espressione “un visionario tra i ciarlatani” è di Stanislav Lem, autore di Solaris, ed era riferita a Philip Dick: un autore che si distinse, nel ciarlatanesco mondo della fantascienza, appunto per le sue visioni di mondi alternativi al nostro. Come lui stesso diceva: “se credete che questo mondo sia fuori di testa, aspettate di vedere gli altri”. Anche se poi tutto ciò che ci fu dato di vedere di questi mondi sono state le versioni forniteci dal non meno ciarlatanesco mondo del cinema, da Blade Runner a Truman Show a Minority Report.

L’espressione di Lem si adatta comunque perfettamente anche a Bob Dylan, e al mondo delle canzonette pop, rock e quant’altro. Perchè nel momento in cui i Beatles canticchiavano She loves you yeah o I want to hold your hand, lui componeva Blowing in the wind o The times they are a-changing. E nel momento in cui i primi scatenavano l’isteria delle ragazzine idiote, il secondo ispirava l’impegno dei movimenti di contestazione giovanile statunitensi.

Le parabole musicale dei Beatles e politica di Dylan si sono esaurite in una mezza dozzina d’anni. Entro la fine degli anni Sessanti i primi si erano sciolti, e il secondo aveva ormai intrapreso una carriera più propriamente artistica. Ciò che è successo dopo interessa gli affezionati della musica, ma non il resto del mondo. Il quale forse si stupisce di scoprire che oggi, 24 maggio, Bob Dylan compie settant’anni e continua imperterrito a girare il globo, facendo un centinaia di concerti l’anno.

A suo onore va il fatto che egli ha voluto identificarsi col suo ruolo. Lo si vede solo nei concerti, appunto, e della sua vita privata si sa poco o niente: come appunto dovrebbe essere per chiunque crei qualcosa che vale di per sè, e che non ha bisogno di essere confuso con altro. Un po’ come hanno scelto di fare scrittori come Salinger o Pynchon, affidando soltanto ai propri libri ciò che hanno da dare e da dire.

Sempre a suo onore va il fatto che, le poche volte che è finito nelle grinfie della cronaca, Dylan ha saputo divincolarsene con il sarcasmo e l’arguzia che caratterizzano l’atteggiamento delle persone intelligenti in un mondo idiota. Ad esempio, ad ungiornalista al quale disse che stava girando un film di cowboy, e che gli domandò se lui ne interpretava appunto uno, rispose: “No, interpreto mia madre”.

Un paio di anni fa ero negli Stati Uniti, e su tutti i giornali uscì la notizia che Dylan era stato arrestato. Si trovava in una città per fare un concerto, aveva visto un cartello “Vendesi” di fronte a una casa, si era avvicinato a guardare dalle finestre cosa si vendeva, e il suo atteggiamento aveva attirato i sospetti di una signora, che aveva chiamato la polizia. Spiegata la faccenda in commissariato, un poliziotto gli domandò: “Anche lei, però! Cosa stava facendo fuori da solo, disera, mentre piove?”. E lui rispose: “Stavo passeggiando”.

La relazione tra gli Stati Uniti e Bob Dylan sta tutta in quell’episodio. Da un lato, un mondo paranoico, nel quale anche una passeggiata viene considerata sospetta da chi se sta sempre chiuso in casa, a guardare film e programmi che non parlano d’altro che di violenza. E dall’altro lato, un poeta intelligente, che non può che cercare di risvegliare quel paese con parole pesanti come pietre che rotolano, e che a volte centrano fragorosamente il bersaglio.

DA - odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/05/24/un-visionario-fra-i-ciarlatani/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. The (election) day after
Inserito da: Admin - Giugno 01, 2011, 06:06:00 pm
1
giu
2011

The (election) day after

Piergiorgio ODIFREDDI

Passata l’euforia per i risultati dei ballottaggi, può essere utile meditare brevemente sui fatti e sulle interpretazioni delle elezioni amministrative. Anzitutto, il dato più significativo è quello delle percentuali di votanti: l’affluenza alle urne è stata del 60,08% degli aventi diritto per le comunali, e del 45,23% per le provinciali. Se si fosse trattato di un referendum, il voto per le provinciali sarebbe addirittura risultato nullo per mancanza di quorum.

Poichè alle precedenti elezioni amministrative l’affluenza era stata del 68,56% per le comunali e del 61,26% per le provinciali, si può dedurne un netto aumento della disaffezione degli elettori per il meccanismo elettorale. E si deve tenerne conto nel valutare le percentuali con cui sono stati eletti i nuovi sindaci e i nuovi presidenti di provincia. Ad esempio, a Napoli ha votato soltanto il 50,57% degli aventi diritto: poichè De Magistris ha ottenuto il 65,37% dei voti, in realtà è stato eletto dal 32,93% degli elettori, cioè esattamente da un terzo della città.

Che questo risultato venga presentato dai media e dai vincitori come una vittoria schiacciante, è significativo della percezione distorta che ci viene fornita dell’intero processo elettorale. In fondo, che a governare basti la maggioranza formale dei votanti (e nel maggioritario, paradossalmente, neppure quella) non sta affatto scritto nelle Tavole della Legge: si potrebbe benissimo argomentare, al contrario, che ogni imposizione ai cittadini debba avere un esplicito assenso della maggioranza sostanziale.

L’opposizione fra i due modi di vedere ha una lunga storia, e nella logica deontica si traduce nella scelta fra “ciò che non è esplicitamente proibito è permesso” e “ciò che non è esplicitamente permesso è proibito”. E a me sembra che, soprattutto quando sono in ballo grandi decisioni che coinvolgono un’intera cittadinanza o un’intera popolazione, la seconda alternativa sia la più democratica, mentre la prima puzzi un po’ troppo di truffa: soprattutto in una democrazia indiretta, dove il permesso (espresso attraverso il voto) prende la forma di una delega generica, e non di un assenso specifico.

In ogni caso, anche senza stare a sofisticare sulle percentuali reali, è singolare assistere all’esultanza del maggior partito di opposizione. Il Pd e il suo segretario si comportano come se avessero vinto loro, ma dimenticano che quando De Magistris dice di aver “liberato Napoli”, si riferisce alla precedente amministrazione: cioè, a un sindaco e a una giunta di centrosinistra che hanno governato per dieci anni. E dimenticano che al primo turno il Pd aveva espresso un altro candidato, che non ‘e arrivato al ballottaggio.

A Milano la situazione è un po’ diversa, ma non troppo. I votanti sono stati il 67,24% degli aventi diritto, e Pisapia ha vinto col 55,11% dei voti: dunque, col 37,06% degli elettori. E benchè fosse sostenuto già al primo turno dall’intera coalizione di centrosinistra, aveva comunque vinto le primarie contro il candidato del Pd.

In definitiva, le elezioni hanno mostrato, da un lato, una disaffezione dell’elettorato per il processo elettorale. E dall’altro lato, una sconfitta non solo dei candidati del Pdl, ma anche di quelli del Pd. Questi due campanelli d’allarme suonano all’unisono: la gente ne ha abbastanza della politica tradizionale, e se Berlusconi fa fa bene a piangere, Bersani non fa affatto bene a ridere.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Nucleare, sì o no?
Inserito da: Admin - Giugno 07, 2011, 04:08:22 pm
6
giu
2011

Nucleare, sì o no?

Piergiorgio ODIFREDDI

Io sono favorevole al nucleare pulito e sicuro. Dunque, voterò sì al Referendum del 12 giugno. A prima vista potrebbe sembrare una contraddizione, ma non lo è, per i motivi che dirò.

 Anzitutto, come ho anticipato, non ho obiezioni di principio all’uso dell’energia nucleare. Come, d’altronde, non ne hanno neppure gli ecologisti che si dichiarano favorevoli allo sfruttamento dell’energia solare: quest’ultima, infatti, non è altro che un tipo di energia nucleare. Precisamente, quella prodotta dal processo di reazione a catena protone-protone, che permette di “fondere” atomi di idrogeno in atomi di elio: da cui, appunto, il nome di “fusione”.

 L’energia nucleare solare può essere sfruttata in maniera indiretta, tramite pannelli solari termici, a concentrazione o fotovoltaici. Ma il suo processo di produzione può anche essere simulato direttamente, attraverso centrali nucleari a fusione. Un consorzio internazionale, a cui partecipano quasi tutte le potenze nucleari (Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone, India, Unione Europea e Corea del Sud) sta costruendo a Cadarache, nel Sud della Francia, un prototipo di reattore nucleare a fusione chiamato International Thermonuclear Experimental Reactor (Iter), a cui seguirà un prototipo di centrale nucleare a fusione chiamato Demonstration Power Plant (Demo).

 Vedremo se i problemi legati alla costruzione di questi prototipi, in particolare la produzione di trizio (un isotopo dell’idrogeno che dovrebbe costituire il carburante della centrale) e il raffreddamento del plasma, verranno risolti in maniera soddisfacente da un punto di vista ambientale. Ma sarebbe pregiudiziale, oltre che pregiudizievole, dichiararsi a priori contrari all’energia nucleare a fusione: la quale non è comunque affatto innocua di per sé, come dimostrano le bombe all’idrogeno costruite dagli Stati Uniti nel 1952 e dall’Unione Sovietica nel 1953.

 Le bombe usate su Hiroshima e Nagasaki dagli Stati Uniti nell’agosto 1945 erano invece basate sul processo di fissione dell’uranio: come i reattori in funzione oggi in vari paesi del mondo, e in discussione nel Referendum. Ma anche in questo caso bisogna basarsi su giudizi a posteriori, più che su pregiudizi a priori. Confesso che mi convincono molto poco i discorsi basati sugli incidenti nucleari gravi, che non sono stati molti: due di settimo livello (Chernobyl nel 1986 e Fukushima nel 2011), uno di sesto (Majak nel 1957) e quattro di quinto (tra cui quello di Three Mile Island nel 1979).

 Le vittime e i danni collaterali alle persone sono stati contenuti, se confrontati non soltanto alle due bombe citate, ma anche a quelli imputabili al trasporto autostradale, al tabacco e all’alcool. A Chernobyl, ad esempio, i morti accertati sono stati 64, quelli presunti 9000, e quelli “stimati” da Greenpeace 100.000. Per un confronto, secondo il Ministero dei Trasporti nella sola Italia ogni anno i morti per incidenti automobilistici sarebbero 6.000, e secondo il Ministero della Sanità i morti per il tabacco e alcool ben 120.000!

 Nessun discorso serio, basato sulle conseguenze, potrebbe dunque proporre l’abolizione delle centrali nucleari, senza prima preoccuparsi delle automobili, delle sigarette e degli alcolici. E dunque, perché votare sì al Referendum? Perché la tecnologia nucleare scherza col fuoco, cioè con le reazioni atomiche: in particolare, quelle legate alla radioattività, che rimane per secoli nelle scorie prodotte dalle centrali.

 Il problema di stoccare queste scorie, in maniera sicura per il futuro dell’umanità, non è ancora stato risolto: anzi, il più ambizioso e costoso progetto al proposito, quello di Yucca Mountain negli Stati Uniti, è definitivamente fallito nel 2008, dopo vent’anni di lavoro e quasi otto miliardi di dollari di investimenti. Quanto al problema della sicurezza delle centrali, neppure un paese tecnologicamente avanzato come il Giappone ha potuto mantenersene immune.

 Come potrebbe un paese come il nostro, neppure in grado di smaltire i comunissimi rifiuti urbani, aver successo là dove hanno fallito Stati Uniti e Giappone? E allora non facciamo ridere, per favore, e teniamo il nucleare (e tante altre cose) alla larga dai cialtroni che sono al potere, ma non sono in grado di governare!

da - odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/06/06/nucleare-si-o-no/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Non mi lasciano lavorare!
Inserito da: Admin - Giugno 15, 2011, 06:26:42 pm
13
giu
2011

Non mi lasciano lavorare!

Piergiorgio ODIFREDDI


Temo che la lettera di Fabio Fazio a Repubblica, così come l’ultima puntata della trasmissione di Michele Santoro, siano stati due passi falsi dei celebri conduttori. E che si possano configurare, a tutti gli effetti, come espressioni di “interesse privato in atto pubblico”.

Naturalmente, siamo tutti preoccupati delle sorti del loro lavoro, e di cosa vedremo (o non vedremo) in televisione. Ma portare su un giornale a tiratura nazionale, o in un programma a diffusione nazionale, le proprie vicende contrattuali individuali, rivela una sostanziale mancanza di senso civico dei due conduttori.

Naturalmente, non sono stati loro i primi a farlo: anni fa incominciò Enzo Biagi, a lamentarsi del fatto che la Rai l’aveva giubilato dopo decenni, in seguito a un diktat del Presidente del Consiglio. Dimenticandosi, però, che in Rai ci aveva lavorato appunto per decenni, e che l’azienda era sempre stata gestita come un feudo del governo e della maggioranza.

La stessa cosa vale per Fazio e Santoro, che da decenni conducono invariabilmente i loro programmi, e vengono profumatamente pagati per farlo. In particolare, con più di due milioni di euro l’anno, il primo risulta essere il più pagato conduttore della Rai. Di un’azienda, per inciso, così autolesionista da permettergli di far produrre il proprio programma dalla Endemol: cioè, dalla concorrenza berlusconiana.

Santoro ha deciso di andarsene, e pure lui ha ricevuto una buonauscita di più di due milioni di euro. Onestamente, in entrambi i casi queste cifre mi sembrano schiaffi alla concezione di una televisione pubblica, che dovrebbe semplicemente stipendiare decorosamente i propri dipendenti e farli lavorare nel modo che meglio ritiene. Eventualmente, togliendo loro i programmi quando pensa che lo si debba fare: anche perchè, non facendo così, si finirebbe di assegnarglieli a vita, alla faccia delle“sperimentazioni” e delle “novità” invocate da Fazio nella sua lettera.

Vedremo se Santoro potrà, approdato a La7, inveire contro i propri datori di lavoro quando le loro decisioni gli saranno sgradite, o chiamare a raccolta gli italiani per farsi riassegnare il programma, nel caso che decidano di toglierglielo. O se, invece, sarà costretto ad adeguarsi a quelli che sono gli standard di qualunque azienda, dove i dirigenti (a differenza dai lavoratori) possono essere licenziati, e non hanno il diritto di rivolgersi a un tribunale per essere reintegrati.

In realtà, Fazio e Santoro sono parte del problema della Rai. La quale dovrebbe preoccuparsi di essere un servizio pubblico, invece che un clone delle reti berlusconiane. E dovrebbe smettere di adottare la stessa logica perversa dell’Auditel e della pubblicità. Dire che i due conduttori dovrebbero continuare a condurre i loro programmi perchè questi generano introiti record, rivela invece una logica mercantile indegna non solo di una televisione pubblica, ma della stessa concezione sociale che Fazio e Santoro dicono a parole di difendere.

A proposito di parole, mi piacerebbe che entrambi evitassero di lamentarsi che “non li lasciano lavorare”. Quella stessa espressione l’abbiamo sentita troppe volte in questi anni, dalla bocca del Presidente del Consiglio: è troppo pretendere che chi la pensa diversamente da lui, oltre a non adeguarsi alla sua concezione del mercato, usi anche un linguaggio diverso dal suo?

da - odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/06/13/non-mi-lasciano-lavorare/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Il Presidente e la guerra
Inserito da: Admin - Giugno 26, 2011, 10:55:43 pm
20
giu
2011

Il Presidente e la guerra

Piergiorgio ODIFREDDI

Ieri Bossi e Maroni hanno chiesto al governo di ritirarsi dalla missione in Libia. E oggi il presidente Napolitano li ha subito bacchettati, dicendo che “l’Italia non poteva guardare con indifferenza o distacco gli avvenimenti in Libia, un paese a noi così vicino e col quale abbiamo nel tempo stabilito rapporti così intensi”. E che “non poteva rimanere inerte dinanzi all’appello del Consiglio di sicurezza perchè si proteggesse una popolazione che chiede libertà, autonomia, giustizia”.

La prima affermazione del Presidente equivale a dire che l’intervento è giustificato perchè lì’Italia ha trascorsi coloniali in Libia. Argomento singolare, visto che semmai questi trascorsi sono da considerarsi delle colpe, e non dei meriti. E che scuse di questo genere sono spesso invocate dalle potenze ex-coloniali, Francia e Inghilterra in testa, per giustificare i loro tentativi di proseguire il colonialismo con altri mezzi e sotto altre forme.

La seconda affermazione del Presidente è formalmente corretta, perchè un appello generico del Consiglio di Sicurezza c’è stato. Ma è sostanzialmente scorretta, perchè un pressing specifico sull’Italia è stato fatto da Obama su Berlusconi, e la missione in Libia è gestita dalla Nato. Dunque, l’affermazione equivale a dire che l’intervento è dovuto perchè così ordinato dalla nostra potenza di riferimento, con la quale siamo stati, siamo e rimaniamo in rapporti di vassallaggio.

Napolitano non è comunque nuovo a interventi politici a favore degli interventi bellici, nonostante l’articolo 11 della Costituzione reciti testualmente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Non si capisce in che modo le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq non rechino offesa alla libertà dei popoli di quelle nazioni, e addirittura assicurino la pace e la giustizia fra le Nazioni, quando non sono altro che guerre coloniali e imperialiste nella peggior tradizione ottocentesca. In ogni caso, l’intervento in Afghanistan non è stato perpetrato sotto l’egida delle Nazioni Unite, ma della Nato: un’organizzazione di mutua difesa dei paesi atlantici, appunto, nessuno dei quali era stato minacciato dall’Alghanistan. E l’intervento in Iraq è stato perpetrato con un colpo di mano statunitense che ha aggirato le delibere del Consiglio di Sicurezza, le quali erano comunque state prese sulla base di “prove” false e taroccate.

Un centinaio di milioni di persone del mondo intero si erano opposte alla guerra in Iraq, nella più grandiosa manifestazione a favore della pace che sia mai stata fatta. Che Bush e Berlusconi, insieme ad altri della loro pasta, abbiano deciso di agirein dispregio dei loro popoli, fa parte dell’ordine (o del disordine) delle cose. Ma che Obama e Napolitano continuino a difendere questo e altri interventi, dimostra che le diversità di facciata nascondono spesso identità di sostanza. E che non si diventa presidenti, negli Stati Uniti o in Italia, se non si è disposti a privilegiare le ragioni di stato rispetto a quelle dei cittadini.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/06/20/il-presidente-e-la-guerra/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Le carte in Tav-ola
Inserito da: Admin - Giugno 29, 2011, 06:29:13 pm
« Il Presidente e la guerra

28
giu
2011

Le carte in Tav-ola

Piergiorgio ODIFREDDI

Nel Lupo della steppa, Hermann Hesse esterna tutto il suo disgusto per la civiltà occidentale: non sorprendentemente, per l’autore di Siddharta e del Pellegrinaggio in Oriente. Naturalmente, da un punto di vista esteriore, la civiltà occidentale si concretizza nelle macchine, ed Hesse constata che “c’è troppa gente al mondo. Prima non lo si notava tanto. Ma ora che ciascuno non solo vuole l’aria per respirare, ma pretende anche l’automobile, ora lo si nota”.

Il Lupo della steppa si conclude con una simbolica “lotta fra gli uomini e le macchine”, che lascia “dappertutto automobili schiacciate, contorte, mezzo bruciacchiate”. “Su tutti i muri vi erano manifesti eccitanti che, a lettere cubitali, ardenti come fiaccole, esortavano la nazione a prendere finalmente la parte degli uomini contro le macchine, a incendiare finalmente le fabbriche e a ripulire e spopolare la terra violentata affinchè vi ricrescesse l’erba, e quel mondo polveroso di cemento potesse ridiventare prato, foresta, brughiera, fiume e palude”.

Non ho problemi ad ammettere che, in un’ipotetica battaglia luddista contro le automobili, io starei dalla parte del Lupo della steppa. Ma nella reale battaglia luddista contro i treni ad alta velocità, sto contro i No-Tav. Perchè auto e treni non sono affatto la stessa cosa, essendo le prime mezzi di trasporto individuali, e i secondi mezzi di trasporto collettivi. E mentre io sono contro gli Agnelli, gli Elkann e i Marchionne, sto dalla parte delle Ferrovie dello Stato. O, se si preferisce, mentre sono contrario alle speculazioni private, sono a favore dei servizi pubblici.

Che i No-Tav siano oggettivamente dalla parte dei conservatori e dei leghisti, che non vedono al di là del proprio naso e delle proprie tasche quando si tratta di difendere i propri piccoli interessi contro quelli della comunità, l’hanno dimostrato alle elezioni regionali del 2010 in Piemonte. Invece di votare per la Bresso, hanno sprecato il cinque per cento dei voti nella lista qualunquista di Grillo, permettendo a Cota di vincere con un uno per cento di vantaggio.

Manifestare contro lo sviluppo tecnologico collettivo dei treni, significa schierarsi oggettivamente a favore dello sviluppo tecnologico individuale delle auto e dei camion. E’ una scelta oscurantista, perfettamente in linea con la politica che il cartello delle grandi fabbriche automobilistiche europee ha imposto ai governi nei decenni passati: mentre la Svizzera ha gradualmente dirottato tutto il trasporto delle merci sulle rotaie, bonificando le strade e le autostrade dai Tir, noi abbiamo potenziato ilsistema stradale e autostradale, infestandolo di traffico.

Dietro alla battaglia pro o contro la Tav, sta in fondo questo interrogativo: vogliamo continuare ad aumentare il degrado delle città, del territorio e della vita quotidiana prodotto dalle auto e dai camion, o preferiamo investire su autobus e treni per invertire la tendenza e sperare in uno sviluppo meno disumano? Se lo ricordino i No-Tav, che invece di provare a bloccare le rotaie potrebbero più utilmente provare a bloccare i caselli autostradali, a partire da quelli che portano nella Val di Susa.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/06/28/le-carte-in-tav-ola/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Caro Flores, ti scrivo
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2011, 11:39:10 am


31
lug
2011

Piergiorgio ODIFREDDI


L’amico Paolo Flores d’Arcais, direttore della rivista Micromega, ha pubblicato di recente per Add Editore Gesù. L’invenzione del Dio cristiano, che sta avendo un buon successo di vendite ed è entrato nelle classifiche. Mi ha chiesto il mio parere, e sono felice di darglielo. Non come supposto esperto dell’argomento, ma come reale compagno di strada sul cammino della laicità: una parola quasi sconosciuta nel nostro paese, dove ecumenicamente si dichiarano tutti cattolici, da Berlusconi a Vendola. E magari pure lo sono!

Flores ama dibattere con gli uomini di chiesa, e ha collezionato un gran numero di confronti ai massimi livelli della gerarchia cattolica, dai cardinali in giù. In particolare, una volta persino con l’allora cardinal Ratzinger, in un colloquio pubblico sponsorizzato da Repubblica, che è stato recentemente ripubblicato da Ponte alle Grazie in La sfida oscurantista di Ratzinger, con un lungo commento di aggiornamento.

E’ naturale che Flores interloquisca con l’attuale papa: in fondo, sono entrambi filosofi di formazione, e si capiscono meglio di quanto non possa succedere a chi, come me, proviene da una formazione diversa. E infatti, se devo dire spassionatamente la mia opinione, io li trovo entrambi talmente equidistanti da me, da considerarli paradossalmente quasi coincidenti nelle loro opinioni su Gesù.

Paradossalmente, dicevo, perchè Flores sicuramente si sente anni luce (divina) lontano da Ratzinger, in quanto quest’ultimo ovviamente difende le invenzioni a cui allude il sottotitolo del libro di Flores. Cioè, la dottrina costituita da un enorme castello di carte dogmatiche codificate dapprima nel Credo di Nicea e di Costantinopoli, e poi in uno sterminato elenco di sedicenti e autoproclamate “verità” di fede che definiscono appunto, a insaputa della maggior parte dei sedicenti e autoproclamati “credenti”, la fede cattolica in Gesù Cristo.

Giustamente Flores considera questo castello una costruzione immaginaria, ma stranamente cerca di smantellarlo sulla base delle testimonianze evangeliche. Egli si ferma, cioè, al primo passo della decostruzione della religione giudaico-cristiana: quello intrapreso, ad esempio, da Spinoza nel 1670 con il Trattato teologico-politico, o nel 1678 da Richard Simon nella Storia critica dell’Antico Testamento.

Ma ben altra acqua (non santa) è passata sotto i ponti del castello, in tre secoli, e ne ha scalzato le fondamenta. Oggi persino i teologi del Jesus Seminar considerano la quasi totalità delle notizie su Gesù riportate dai Vangeli inattendibili e non storiche. E lo stesso Ratzinger ammette, nelle due introduzioni ai suoi volumi su Gesù di Nazaret, che le ricerche storico-critiche hanno dimostrato che si può considerare Gesù un personaggio storico, solo se si accetta di stravolgere radicalmente il significato della parola “storia”.

Onestamente, mi aspettavo che la posizione di Flores fosse che i Vangeli sono tanto attendibili e storici quando il Mahabarata o il Ramayana, per non dire Il Signore degli Anelli o Harry Potter: cioè, come qualunque altro testo di letteratura fantastica. Il fatto che egli non la pensi così, come d’altronde non la pensa così Corrado Augias, autore di almeno due best seller su Gesù e il cristianesimo, dimostra che anche i laici possono essere vittime dell’efficace incantesimo lanciato dalle Chiese cristiane.

L’incantesimo consiste nel ripetere come un mantra che coloro che negano l’esistenza storica di Gesù sono un retaggio del positivismo ottocentesco, perchè la loro negazione sarebbe stata confutata convincentemente e non risulterebbe più credibile. Naturalmente, l’incantesimo non allega prove storiche della supposta esistenza di Gesù, e non le allega perchè le prove non esistono: a meno di non voler circolarmente considerare come tali i Vangeli, cioè appunto i testi che andrebbero confermati.

La mia critica “da sinistra” al libro di Flores è dunque che esso fa solo metà di ciò che dovrebbe: mostra sì che il cristianesimo è un castello dipinto su una roccia, ma non mostra che anche la roccia su cui il castello si fonda è dipinta, e che tutto fa solo parte di uno stesso quadro. Ma, forse, proprio questo è il segreto del suo successo, così come quello dei libri di Augias: perchè, per i lettori, un conto è criticare la dottrina della Chiesa, e un altro risvegliarsi dal sonno dogmatico e ammettere che anche Gesù adulto, così come Gesù bambino, non sono altro che sogni infantili.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/07/31/caro-flores-ti-scrivo/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Cavaliere, ci consenta!
Inserito da: Admin - Agosto 10, 2011, 10:47:03 pm
9
ago
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Cavaliere, ci consenta!

Quarant’anni fa Jean Paul Sartre si opponeva all’unificazione europea, perché sospettava e temeva che il risultato finale sarebbe stata non un’integrazione politica ed economica dei vari paesi dell’Unione, ma un’egemonia neocapitalista franco-tedesca sui rimanenti.

Il tracollo di Grecia, Spagna e Portogallo dapprima, e dell’Italia ora, conferma le sue previsioni. Il tandem guidato da Sarkozy e dalla Merkel sta infatti imponendo al resto dell’Europa, e in particolare a noi, misure ultra-liberiste che non si discostano molto da quelle già imposte per decenni dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale ai paesi in via di sviluppo, costretti dalle loro difficoltà economiche a chiedere l’aiuto di queste vampiresche e imperialistiche organizzazioni.

Naturalmente, le misure richieste non dispiacciono affatto a Berlusconi e Tremonti, che si sono affrettati a presentare come passi inevitabili la privatizzazione selvaggia degli enti e dei beni pubblici, la riforma radicale del sistema pensionistico, l’abbattimento dei vincoli e dei controlli alla cosiddetta ‘libertà d’impresa’ e lo smantellamento di ciò che ancora rimane dello statuto e dei diritti dei lavoratori.

Inutile dire che quelle misure non sono affatto necessarie (e probabilmente nemmeno sufficienti) per il superamento della crisi, benché come tali vengano presentate. Lo dimostrano, ad esempio, le analisi del premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che da anni si oppone alle analoghe misure imposte dal FMI e dalla BM (di cui egli era stato un contrastato vicepresidente).

Nello specifico, se in Italia ci fosse una sinistra degna di questo nome, e non solo una sua indegna caricatura, essa cercherebbe di imporre, o almeno di proporre, una svolta radicale in direzione neosocialista, o almeno neosocialdemocratica. In particolare, ricordando al governo che i 50 miliardi di euro di cui ha immediatamente bisogno, e le centinaia che dovranno seguire, si potrebbero reperire spolpando le ossa non delle classi lavoratrici e produttive, ma di quelle speculatrici e parassitarie.

Ad esempio, facendo restituire alle banche gli enormi finanziamenti che hanno permesso il loro salvataggio allo scoppiare della crisi nel 2008. Tassando le rendite azionistiche e i patrimon dei ricchi, invece che i consumi dei poveri. Scatenando una guerra senza presa di prigionieri all’evasione fiscale, invece di giustificarla e addirittura fomentarla. Chiudendo i rubinetti delle miliardarie elargizioni annuali al Vaticano, alla Chiesa e agli enti religiosi. E soprattutto concentrando gli aiuti sui servizi e le infrastrutture sociali, invece che sulle imprese e il commercio privati.

Sappiamo bene, ovviamente, che non una di queste misure verrà proposta, e meno che mai attuata. E che la crisi sarà invece sfruttata come scusa per la restaurazione del capitalismo selvaggio, e lo smantellamento dello stato sociale. Ma possiamo almeno ricordare che nel 1929 le cose sono andate in un altro modo, e che dunque potrebbero andarci anche oggi, se solo al posto di Berlusconi (e anche di Obama) ci fosse un Roosevelt. Che però, purtroppo, non c’è…

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HREA-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Interviste e gossip
Inserito da: Admin - Agosto 16, 2011, 04:07:57 pm
13
ago
2011


Interviste e gossip

Piergiorgio ODIFREDDI

Spero mi si perdonerà se, con tutti i problemi che affliggono l’Italia in questi giorni, mi permetto un intervento su un argomento secondario, che però mi riguarda personalmente. Mi consolo con la constatazione che, se di “conflitto di interessi” si tratta, sicuramente non è l’esempio più eclatante che possa venire in mente a casa nostra.

Il fatto è che nelle librerie circola un libello, apparentemente a mio nome e con tanto di fotografia in copertina,  intitolato Perchè Dio non esiste, edito da Aliberti. In realtà, se si guarda meglio, si nota che si tratta di un’intervista concessa a Claudio Sabelli Fioretti, il cui nome appare in piccolo. E se lo si legge si scopre che il titolo ha poco o niente a che vedere con gli argomenti affrontati all’interno.

Il fattaccio è che l’intervista di Sabelli, giornalista d’assalto e conduttore del programma radiofonico Un giorno da pecora, è semplicemente indegna. Il suo stile non è il mio, le sue parole non sono le mie, e le cose che gli ho detto le ha sistematicamente banalizzate, e spesso travisate. Purtroppo lui e l’editore, non paghi di pubblicare il libro senza farmi firmare alcun contratto, e senza pagarmi alcuna royalty, mi hanno impedito di correggere degnamente le bozze, che avrebbero necessitato di una radicale e laboriosa riscrittura.

Il libro è uscito un anno fa. Se ne parlo solo ora, è perché in questi giorni (chissà perché) ne sono uscite una recensione sul sito fondamentalista dell’Uccr (acronimo di un’ossimorica Unione di cristiani cattolici razionalisti), e una citazione sul sito di Giorgio Israel. Della carnevalata del primo non mi curo, e al secondo ho brevemente esposto i fatti e fattacci suddetti, riconoscendo il dovere di rispondere di ciò che personalmente scrivo e dico, ma rivendicando il diritto di non rispondere di ciò che mi viene scorrettamente attribuito.

Al di là del fatto personale, il problema riguarda anzitutto la deontologia dell’intervistatore serio. Il quale, dopo aver trascritto le registrazioni, le riduce e le organizza mantenendone la forma e la sostanza . Le interpolazioni, le riformulazioni e le invenzioni non fanno parte delle regole del gioco, ma solo dell’andazzo del gossip (forse non è un caso che Sabelli sia stato direttore di ABC).

E poi, naturalmente, il problema riguarda la deontologia dell’editore serio. Il quale, dopo essersi reso colpevole di vessazione editoriale, eventualmente domanda umilmente scusa, invece di minacciare mafiosamente querele. Soprattutto se è uno dei finanziatori di un giornale come Il Fatto Quotidiano, che di tali comportamenti dovrebbe essere il fustigatore politico, invece che il beneficiario economico.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/08/13/interviste-e-gossip/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Evasione fiscale: da che pulpito!
Inserito da: Admin - Agosto 20, 2011, 09:25:27 pm
19
ago
2011

Evasione fiscale: da che pulpito!

Piergiorgio ODIFREDDI

L’ottimo Massimo Gramellini, quello razionalista del “Buongiorno” mattutino su La Stampa (ce n’è anche un altro, per me meno ottimo: quello new age del romanzo L’ultima riga delle favole), ha posto un paio di giorni fa una domanda cruciale.

Il cardinal Sepe di Napoli aveva sollevato un’obiezione relativa allo spostamento della festività di San Gennaro alla domenica più vicina, sulla base della singolare scusa che l’abitudinario santo potrebbe finire col confondersi sul giorno del miracolo. Dopo alcune delle sue sempre divertenti osservazioni, Gramellini ha seriamente concluso così: “Ci piacerebbe approfittare della linea diretta per conoscere l’opinione del Santo anche sui 4 miliardi annui di esenzioni fiscali di cui la Chiesa italiana continua a godere persino su residenze e attività estranee al culto. Che sia questo il vero miracolo?”. Parole sante, verrebbe da dire.

Oggi il cardinal Bagnasco, che canta a Genova invece che a Napoli, ma sullo stesso spartito di Sepe, ha dichiarato papale papale (forse già sognando il prossimo conclave) a Radio anch’io: “Le cifre dell’evasione fiscale sono impressionanti”. E ha aggiunto: “Come credenti e comunità cristiana dobbiamo rimanere al richiamo etico che fa parte della nostra missione e fare appello alla coscienza di tutti perchè anche questo dovere possa essere assolto da tutti per la propria giusta parte”. Anche perchè, concludeva, così facendo “le cose sarebbero risolte”.

Dialogo fra sordi, si noterà. Perchè Gramellini suggeriva implicitamente che, in un momento di grave crisi economica, anche la Chiesa dovrebbe fare la sua “giusta parte”, spontaneamente o forzatamente, incominciando finalmente a pagare alcune delle indebite esenzioni fiscali che i governi di destra, di centro e di sinistra le hanno sempre ecumenicamente accordato. A Bagnasco, invece, non sembra essere passato per la testa che le esenzioni fiscali di cui gode la Chiesa sono semplicemente una versione legalizzata, e dunque doppiamente vergognosa, delle evasioni fiscali a cui giustamente si riferiva.

Naturalmente, sappiamo tutti che è più facile vedere la pagliuzza (si fa per dire) negli occhi altrui, che la trave nella propria. Ma proprio perchè è così, dovremmo essere noi a far notare alla Chiesa la trave fiscale che essa fa gravare sulle nostre spalle. E a liberarcene una volta per tutte, incominciando a far pagare ai preti e ai cardinali la prima tranche della “tassa di Robin Hood”. Perchè, soprattutto oggi che banche e industrie sono in difficoltà, l’unico vero ricco rimasto è proprio la Chiesa. Ed è giunta l’ora che essa smetta di parlare dei poveri, e incominci a pagare qualcosa per loro. Amen.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/08/19/evasione-fiscale-da-che-pulpito/?ref=HRER2-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Losing Jobs
Inserito da: Admin - Agosto 28, 2011, 10:23:08 am
25
ago
2011

Losing Jobs

Piergiorgio ODIFREDDI

Steve Jobs si è dimesso da amministratore delegato della Apple. Sembra, dunque, che stia perdendo la battaglia contro il male che lo sta divorando da tempo, e che l’ha reso ormai quasi evanescente come un fantasma, soprattutto se paragonato al florido ragazzo che era quando ha dato inizio all’avventura dei computer user friendly.

Interessante paragonare la sua carriera con quella parallela dell’altro enfant prodige dell’informatica, Bill Gates. Naturalmente, nessuno dei due è responsabile nè dell’invenzione del computer, nè dello sviluppo della sua tecnologia di base. Siamo dunque lontani anni luce dai contributi cruciali di Charles Babbage, Alan Turing e John von Neumann, tanto per limitarci alla Santissima Trinità.

Volendo mantenere la metafora profana, Gates e Jobs sono però i Pietro e Paolo della diffusione del vangelo del computer. Cioè, gli uomini del marketing, che hanno provveduto a diffondere il verbo informatico tra le genti, incarnato nel silicio invece che nelle valvole.

Agli inizi, Gates predicava il vangelo canonico dei fondatori, quello della programmazione e dei sistemi operativi. Il suo colpo di genio, come racconta lui stesso nella sua autobiografia La strada che porta a domani, fu di comprare (non di sviluppare!) l’ormai storico Dos, e di regalarlo all’Ibm, senza permetterle però l’esclusiva. L’adozione del Dos da parte dell’Ibm, e la costruzione dei cloni che potevano utilizzarlo grazie all’uso pubblico, ruppe il monopolio del colosso e diede inizio alla rivoluzione dell’informatica prêt-à-porter.

Jobs tradì la vocazione iniziale dell’informatica, di essere una religione per il solo popolo eletto in grado di programmare, e la diffuse tra i gentili: cioè, tra la gente comune, che non voleva saperne della te(cn)ologia. La teoria sparì dietro le icone, e rimase soltanto la pratica: come le vecchiette russe che pregano di fronte alle immagini di Andrei Rublev, completamente ignare dei dogmi che queste occultano, così i giovanotti occidentali si sono convertiti alla nuova religione, completamente ignari di cosa sia l’informatica. Come d’altronde, già era successo per le auto e la meccanica.

Analogamente all’originale evangelico, anche nel remake informatico ad avere la meglio è stato appunto Paolo-Jobs. E Pietro-Gates ha da tempo dovuto riconoscerne la vittoria e adattare la sua visione a quella dell’amico-rivale. Oggi il frontedi conversione della tecnologia digitale passa per l’Iphone, l’Ipod e l’Ipad, in attesa dei prossimi Iped, Ipud e Ipid: cioè, per i prodotti Apple, alla cui filosofia si è da tempo convertita anche la tecnologia Microsoft.

La consolazione per Gates è che tutti questi aggeggi ci portano sempre più avanti lungo La strada che porta a domani tracciata nel suo libro. Verso l’ormai prossima meta, cioè, di un’unica macchina versatile, portatile e in grado non soltanto di calcolare, ma di riunire in sè tutti i possibili flussi di informazione digitalizzabile (telefono, giradischi, radio, televisione, macchina fotografica, videocamera e, naturalmente, computer).

Che Jobs pssa riuscire a vedere realizzato l’obiettivo finale, alla cui realizzazione ha tanto contribuito.

da - repubblica.it


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Porgere l’altro portafoglio
Inserito da: Admin - Agosto 28, 2011, 11:29:22 pm
28
ago
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Porgere l’altro portafoglio

Il 9 agosto, in seguito all’annunciata manovra fiscale del governo, avevo suggerito nel post Cavaliere, ci consenta alcune misure più incisive ed eque per affrontare la crisi economica, una delle quali era “chiudere i rubinetti delle miliardarie elargizioni annuali al Vaticano, alla Chiesa e agli enti religiosi”. Aggiungendo, però, che “non una di queste misure verrà proposta, e meno che mai attuata”.

Fortunatamente, mi sbagliavo. Il 19 agosto, nel post Evasione fiscale: da che pulpito, ritornavo sull’argomento, stimolato da una presa di posizione di Massimo Gramellini, che su La Stampa aveva ripetuto la stessa richiesta. Nel frattempo, anche i radicali e l’Uaar hanno da parte loro avanzato proposte concrete di tassazione dei beni e delle attività commerciali ecclesiastiche.

L’Espresso, nel numero in edicola questa settimana, ha addirittura dedicato la copertina a quella che, coloritamente ma correttamente, chiama La Santa Evasione. Finalmente, dunque, una solitaria battaglia di nicchia ha ricevuto l’attenzione mediatica che si merita, e ha costretto “la grande meretrice” dantesca, e i suoi “protettori” politici, al contrattacco.

Ieri e oggi Avvenire ha dedicato articoli alla questione. Sostanzialmente, argomentando che la Chiesa già paga tutte le tasse dovute per legge, e non è dunque tecnicamente un evasore. Essi fingono ovviamente di non capire che il problema sono invece, da un lato, le leggi che garantiscono principesche esenzioni. E, dall’altro lato, quelle che forniscono principesche elargizioni.

Avvenire tira in ballo anche me, per la citazione su L’Espresso di quello che viene definito un mio “misterioso libro, nel quale accuso la Chiesa di evasione”. In realtà, il “misterioso libro” non è altro che il ben noto Perchè non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), che tante volte il cardinal Ravasi e altri collaboratori del giornale dei vescovi hanno attaccato e criticato: evidentemente, senza mai preoccuparsi di leggerlo.

E la “sconcertante assenza totale di fonti che i lettori possano controllare” è invece il seguente elenco, che non ho problemi a ripubblicare, a beneficio del cardinale e dei lettori. Ricordando che si tratta di cifre vecchie di qualche anno, perchè tratte dal Secondo rapporto sulla laicità pubblicato da Critica liberale nel gennaio-febbraio 2006, e dal rapporto Enti ecclesiastici: le cifre dell’evasione fiscale dell’Ares (Agenzia di Ricerca Economica e Sociale) del 7 settembre 2006.

Dunque, al miliardo di euro dell’8 per mille dei contribuenti, che molti credono ingenuamente essere l’unica elargizione statale alla Chiesa, va aggiunta ogni anno una cifra dello stesso ordine di grandezza sborsata dal solo Stato (senza contare regioni, province e comuni) nei modi più disparati.

Nel 2004, ad esempio, sono stati elargiti 478 milioni di euro per gli stipendi degli insegnanti di religione, 258 milioni per i finanziamenti alle scuole cattoliche, 44 milioni per le cinque università cattoliche, 25 milioni per la fornitura dei servizi idrici alla Città del Vaticano, 20 milioni per l’Università Campus Biomedico dell’Opus Dei, 19 milioni per l’assunzione in ruolo degli insegnanti di religione, 18 milioni per i buoni scuola degli studenti delle scuole cattoliche, 9 milioni per il fondo di sicurezza sociale dei dipendenti vaticani e dei loro familiari, 9 milioni per la ristrutturazione di edifici religiosi, 8 milioni per gli stipendi dei cappellani militari, 7 milioni per il fondo di previdenza del clero, 5 milioni per l’Ospedale di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, 2 milioni e mezzo per il finanziamento degli oratori, 2 milioni per la costruzione di edifici di culto, e così via.

Aggiungendo a tutto ciò una buona fetta del miliardo e mezzo di finanziamenti pubblici alla sanità, molta della quale è gestita da istituzioni cattoliche, si arriva facilmente a una cifra complessiva annua di almeno tre miliardi di euro. Ma non è finita, perchè a queste riuscite uscite vanno naturalmente aggiunte le mancate entrate per lo Stato dovute a esenzioni fiscali di ogni genere alla Chiesa, valutabili attorno ad altri sei miliardi di euro.

Gli enti ecclesiastici sono infatti circa 59.000 e posseggono circa 90.000 immobili, adibiti agli scopi più vari: parrocchie, oratori, conventi, seminari, case generalizie, missioni, scuole, collegi, istituti, case di cura, ospedali, ospizi, e così sia. Il loro valore ammonta ad almeno 30 miliardi di euro, ma essi sono esenti dalle imposte sui fabbricati, sui terreni, sul reddito delle persone giuridiche, sulle compravendite e sul valore aggiunto (Iva).

Come se non bastasse, alle esenzioni fiscali statali si aggiungono anche quelle comunali: ad esempio dall’Ici, “Imposta Comunale sugli Immobili”, in quanto gli enti ecclesiastici si autocertificano come “non commerciali”. La Legge n. 248 del 2006, approvata sotto il governo Prodi, garantisce infatti l’esenzione dall’Ici agli enti “non esclusivamente commerciali”.

In tal modo i comuni italiani perdono un gettito valutato intorno ai 2 miliardi e 250 milioni di euro annui. La Santa Sede possiede infatti un enorme patrimonio immobiliare anche fuori della Città del Vaticano, in parte specificato dal Trattato del 1929: dal palazzo del Sant’uffizio a Piazza San Pietro a quello di Propaganda Fide a Piazza di Spagna, dall’Università Gregoriana al Collegio Lombardo, dalla Basilica di San Francesco ad Assisi a quella di Sant’Antonio a Padova, da Villa Barberini a Castelgandolfo all’area di Santa Maria di Galeria che ospita la Radio Vaticana, e che da sola è più estesa del territorio dell’intero Stato (44 ettari).

Ma questi non sono che i gioielli della corona di una multinazionale che nel 2003 disponeva nella sola Italia di 504 seminari e 8.779 scuole, suddivise in 6.228 materne, 1.280 elementari, 1.136 secondarie e 135 universitarie o parauniversitarie. Oltre a 6.105 centri di assistenza, suddivisi in 1.853 case di cura, 1.669 centri di “difesa della vita e della famiglia”, 729 orfanotrofi, 534 consultori familiari, 399 nidi d’infanzia, 136 ambulatori e dispensari e 111 ospedali, più 674 di altro genere.

Come ho detto, i dati sono vecchi di qualche anno, perchè il mio libro è del 2007. Ma sappiamo tutti che i privilegi della Chiesa sono addirittura aumentati sotto il governo Berlusconi, grazie alla mediazione diretta di letterali “gentiluomini di Sua Santità” di provata fede, e altrettanto provata immoralità: ad esempio, Gianni Letta e Angelo Balducci, rispettivamente Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e Presidente Generale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

Altro che “dare a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”! Qui si tratta, semplicemente, di smettere di togliere al popolo per dare al Papa!

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HRER2-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Il Festival delle Vanità
Inserito da: Admin - Settembre 06, 2011, 03:18:03 pm
Porgere l’altro portafoglio

5
set
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Il Festival delle Vanità

Tenere una conferenza di filosofia al Festival del Cinema di Venezia, come mi è capitato di fare nel weekend, equivale ad andare a parlare di castità in un bordello. E non si tratta di una metafora, perchè l’impressione che si ha curiosando sulla terrazza dell’Hotel Excelsior, è che la maggioranza delle esibizioniste e degli esibizionisti che vi si mettono in mostra sia effettivamente costituita da prostitute e protettori.

Fuori dell’Hotel si trova il famoso “tappeto rosso”, sul quale sfilano esibizioniste ed esibizionisti di un altro genere, e attorno al quale si accalcano le folle dei fotografi e dei fan. A impressionare qui non è la totale mancanza di morale, ma la completa assenza di intelligenza: invece che in un bordello, infatti, sembra di essere finiti in un manicomio, o alla sezione del Cottolengo per i minorati mentali.

Per quale motivo la gente “normale” dovrebbe esaltarsi alla messa in scena commerciale della messa in scena cinematografica, soprattutto in momenti di grave crisi economica, è uno dei misteri dell’umanità. Se le cose andassero come devono, anzitutto ovviamente non ci troveremmo nella congiuntura in cui ci troviamo. E poi, a Venezia (o a Roma) scenderebbero in forza folle inferocite, a inseguire i divi non per un autografo, ma per una bella bastonata.

E invece, scendono in folla giovani e vecchi inebetiti, alla caccia disperata di biglietti per poter presenziare alla prima dei film che si potranno comodamente vedere tra un paio di settimane in qualunque sala cinematografica. In subordine, o in superordine, la stessa folla spera di poter cogliere dal vivo la mirabile visione delle loro dive o dei loro divi preferiti. Le quali e i quali sono appunti lì a pavoneggiarsi, visto che altro in fondo non sanno fare, dentro e fuori le pellicole cinematografiche.

La conferma viene dalle conferenze stampa, nelle quali decine di giornalisti pongono loro sempre le stesse domande, indipendentemente dai film e dagli interpreti: Qual è il suo personaggio? Cosa ha provato a interpretarlo? E a recitare insieme agli altri interpreti? E a lavorare col regista? E, naturalmente, ricevono sempre le stesse risposte: Per me è stata un’esperienza straordinaria. Non avrei mai immaginato di poter recitare con questo o quella. Regista e interpreti sono i più grandi con cui mi sia mai capitato di lavorare.

Sì, dicono proprio così: lavorare! E i media non riversano loro addosso improperi e bestemmie, ma servizi in technicolor o multisound, come se si trattasse di premi Nobel che hanno scoperto la materia oscura o la cura per il cancro. Ecco, questo sarebbe il momento buono per il ministro Brunetta di andare nella sua città, presentarsi al Lido e dire al volgo e all’inclita, per una volta con ragione: “Siete l’Italia peggiore”. Se lo facesse, sarei pure disposto a votarlo come sindaco: anche perchè, ovviamente, non sarebbe Brunetta.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/09/05/il-festival-delle-vanita/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La retorica dell’11 settembre
Inserito da: Admin - Settembre 13, 2011, 04:55:15 pm
Il Festival delle Vanità

12
set
2011

Piergiorgio ODIFREDDI



Finalmente passato il decimo anniversario dell’11 settembre 2001, possiamo trarre un bilancio dalla retorica delle celebrazioni di ieri. Non una voce si è alzata in Occidente, per quanto ne so, a dire la verità nuda e cruda: che gli Stati Uniti, attraverso le parole e le azioni del loro presidente e dei loro cittadini, da un lato hanno dimostrato di non aver capito le ragioni degli attentati, e dall’altro lato ne hanno confermato l’inevitabilità storica.

La domanda che gli statunitensi si erano posti, dieci anni fa, era stata giustamente: “Perchè il mondo ci odia così tanto?”. Sarebbe bastato un superficiale esame di coscienza per rispondere, altrettanto giustamente, che il mondo odiava l’unica nazione che l’aveva stuprato globalmente, dal “cortile di casa” del Centro e Sud America, alle più remote propaggini della Terra.

Come si sarebbe potuta non odiare, una nazione colpevole dell’invasione del Messico, del Guatemala, del Nicaragua, di Santo Domingo, delle Filippine? Dell’instaurazione delle dittature e dell’appoggio ai dittatori di Cuba, di Panama, del Brasile, del Cile, dell’Argentina, di Taiwan? Dell’uso di armi di distruzioni di massa su popolazioni inermi, dalle tempeste di fuoco su Dresda e Amburgo, alle bombe atomiche su Hirishima e Nagasaki? Delle guerre di Corea, del Vietnam e della Bosnia? E, naturalmente, per quanto riguarda il Medio Oriente, dell’appoggio unilaterale a Israele da un lato, e ai regimi corrotti e artificialmente filo occidentali del Golfo dall’altro, dallo Scià di Persia alla famiglia reale saudita?

Semmai, ci si sarebbe dovuti stupire del contrario: cioè, se questa politica di stupro globale dei diritti dei popoli non avesse provocato un odio generalizzato e capillare nei confronti dell’unica vera superpotenza. Ieri Obama ha trionfalmente dichiarato: “Siamo liberi”. Certo, non c’è dubbio, e gli Stati Uniti lo sono sempre stati. Il problema sta nel prezzo che il resto del mondo ha dovuto pagare, per questa libertà unilaterale.

Nei dieci anni dall’11 settembre, la lista dei motivi d’odio nei confronti degli Stati Uniti si è ulteriormente allungata, con le guerre in Afghanistan e in Iraq, e con i crimini di Guantanamo e Abu Ghraib. E la forbice fra i tremila morti subiti dagli Stati Uniti negli attentati, e i milioni da essi causati nel resto del mondo, si è ulteriormente divaricata.

Sarebbe difficile, per chi fosse in grado di mantenere il senso delle proporzioni e l’indipendenza di giudizio, non condividere oggi come ieri le parole che Hebe de Bonafini, fondatrice dell’Associazione delle Madri di Plaza de Mayo argentine, pronunciò dieci anni fa in occasione dell’11 settembre: “In quel momento molta gente ha gioito e ha sentito che il sangue di tante vittime è stato vendicato. Perché i bombardamenti della Nato, i blocchi navali e le morti di milioni di bambini erano dovute al potere che gli attentatori hanno attaccato col loro proprio corpo. E tutti lo sapevano”.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/09/12/la-retorica-dell11-settembre/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La “cupola” di San Pietro
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2011, 05:45:02 pm
13
set
2011

La “cupola” di San Pietro

Piergiorgio ODIFREDDI

Dunque, per la terza volta, si prova ad arrestare Joseph Ratzinger per il suo coinvolgimento nella copertura della pedofilia ecclesiastica.

La prima volta risale agli inizi del 2005, quando la Corte distrettuale della contea di Harris in Texas aprì una pratica contro l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, per connivenza nei reati di pedofilia e ostruzione alle indagini. A evitare al cardinale di dover rispondere di questi reati fu la sua elezione a papa, nell’aprile di quello stesso anno. Il Ministero della Giustizia statunitense chiese e ottenne, il 26 settembre 2005, di archiviare la pratica con la motivazione che, grazie alla nuova carica dell’imputato, il procedimento era “incompatibile con gli interessi della politica estera degli Stati Uniti”.

Il secondo tentativo, di cui abbiamo parlato nel blog del 17 settembre di un anno fa, lo fecero Richard Dawkins e Christopher Hitchens, chiedendo l’arresto di Benedetto XVI al momento del suo arrivo in Inghilterra per una visita ufficiale. Naturalmente, la loro imbarazzante richiesta fu lasciata cadere nel silenzio, e venne considerata l’espressione di un delirio anticlericale di due noti scrittori in cerca di ulteriore pubblicità.

Questa volta, però, a chiedere l’intervento della Corte Penale Internazionale dell’Aja sono le stesse vittime degli abusi, la cui esistenza e gravità ormai nessuno osa più negare, a partire dallo stesso pontefice. E come suoi correi vengono chiamati anche i cardinali Bertone e Sodano: attuale Segretario di Stato ed ex vice di Ratzinger il primo, ed ex Segretario di Stato di Vojtyla il secondo.

E’ interessante notare che i due cardinali sono esattamente gli stessi che hanno cercato di mettere a tacere nel maggio dello scorso anno il cardinal Schönborn, primate d’Austria e allievo prediletto di Ratzinger, quando quest’ultimo cercò di addossar loro le colpe della copertura in questione, nel tentativo di evitare che lo scaricabarile arrivasse fino al soglio più alto. Ma fu lo stesso Benedetto XVI a zittirlo, tirandogli le orecchie in pubblico e costringendolo a chiedere scusa a Sodano alla presenza sua e di Bertone.

Sarà improbabile vedere la Corte alternare le sedute per processare, per lo stesso reato di “crimini contro l’umanità”, Muhammar Gheddafi, contro il quale ha già spiccato un mandato d’arresto, e Benedetto XVI. Ma è divertente osservare la nemesi della storia: un secolo fa si temeva in Vaticano l’arrivo dei cosacchi, settant’anni fa quello delle SS, e oggi quello degli emissari della Corte Penale Internazionale.

In realtà, il Vaticano non ha aderito allo Statuto di Roma, e dunque non saranno le guardie svizzere a dover eseguire un eventuale mandato di cattura. Ma l’Italia è un paese parte, e sarei molto curioso di vedere i carabinieri mettere le manette al papa, alla sua prima uscita dai confini della Città del Vaticano. Sarebbe una grande catarsi per l’umanità, costretta a constatare che “ormai non c’è più religione” …


da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/09/13/arrestare-il-papa-di-nuovo/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Alla velocità del neutrino
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2011, 11:52:41 am
22
set
2011

Pergiorgio ODIFREDDI

Alla velocità del neutrino

“Non vedi quanto più veloci e lontano devono andare, e percorrere una maggiore distesa di spazio, nello stesso tempo che i raggi del Sole riempiono il cielo?”. A parlare è Lucrezio, nel suo capolavoro La natura delle cose, riferendosi ai simulacri che fluiscono di continuo e in ogni direzione sulla superficie delle cose, e producono le impressioni visive negli occhi degli osservatori. Ma a parlare potrebbe anche essere il portavoce del Cern, che oggi ha annunciato che alcuni esperimenti mostrerebbero che i neutrini possono andare a velocità superiore a quella della luce, appunto.

Prima di Lucrezio, la teoria di Epicuro assegnava ai simulacri una velocità ovviamente inferiore a quella della luce. Analogamente, prima dell’annuncio di oggi, facevano i fisici con i neutrini: particelle che, in qualche modo, sono sempre state collegate alle ricerche italiane. Infatti, alcune delle intuizioni più profonde al loro riguardo erano state fatte da Bruno Pontecorvo, fratello del regista. Intuizioni che, opportunamente sviluppate e confermate, portarono molti scienziati al premio Nobel (nel 1988, 1995 e 2002). Ma il premio non andò mai a Pontecorvo, che fu punito per essere scappato nella direzione sbagliata (in Unione Sovietica) dopo la guerra.

Se le osservazioni effettuate dal team di Antonio Ereditato fossero confermate, la memoria di Pontecorvo sarebbe finalmente vendicata da un italiano. Il condizionale, però, è d’obbligo. Già altre volte, infatti, i neutrini hanno riservato sorprese. Ad esempio, a lungo si pensava che non avessero massa, e andassero alla velocità della luce. Poi si scoprì che una massa ce l’avevano, e che dunque dovevano andare un po’ più lenti. Oggi, ci dicono che invece vanno un po’ più veloci. Certamente una delle tre alternative è quella giusta, ma quale?
E, se fosse quella annunciata oggi, che succederebbe?

Sgombriamo subito il campo da un’interpretazione sensazionalistica, che è circolata ad arte insieme alla notizia dell’esperimento.
La relatività di Einstein non prevede affatto che la velocità della luce non possa essere superata! Lo si dice continuamente, ma questo non significa che sia vero. Ciò che la relatività prevede, è soltanto che ci debba essere una velocità limite che non può essere superata.

Gli esperimenti finora sembravano indicare che questa velocità insuperabile fosse quella della luce nel vuoto, e forse dovremo cambiare espressione: invece di dire che non si può superare la velocità della luce, magari un giorno diremo che non si può superare quella dei neutrini.

Una possibile riformulazione dell’annuncio, dunque, è semplicemente che la velocità massima prevista da Einstein non è quella della luce, bensì qualcosa di molto prossimo ad essa: la differenza sembra essere di 60 nanosecondi sul tempo di percorrenza della distanza di 730 chilometri tra il Gran Sasso e il Cern, tra i quali si è fatto l’esperimento. E questa differenza infinitesimale sarebbe appunto sfuggita negli esperimenti fatti finora sulla luce: un fatto sperimentale interessante,ma certo non una tragedia teorica.

Coloro che preferiscono le rivoluzioni, si chiederanno se l’errore non stia invece, più che nelle misure sulla luce, nella relatività stessa. Tentare di buttare giù dal piedestallo Einstein, come lui aveva fatto con Newton, è una tentazione troppo grande per resisterle. Purtroppo per i giovani turchi della fisica, la relatività è confermata da miliardi di esperimenti, e non ne basterà uno solo a scalzarla. D’altronde, era Einstein stesso a dire che “la scienza non è una repubblica delle banane, dove le rivoluzioni succedono ogni giorno”: ovvero, ribellarsi è giusto, ma il successo non è garantito.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/09/22/alla-velocita-del-neutrino/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. (Far) uscire allo scoperto
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2011, 04:04:41 pm
24
set
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

(Far) uscire allo scoperto

La pubblicazione sul sito listaouting.wordpress.com dei nomi di dieci politici gay e omofobi, sta facendo discutere. Il dibattito riguarda, ovviamente, la privacy: è corretto divulgare le abitudini sessuali di una persona, se essa preferisce tenerle riservate? E’ ovvio che, se si tratta di un privato cittadino, la risposta dev’essere un secco no.

Ma qui si tratta di politici, che per il solo fatto di aver scelto di essere uomini pubblici, hanno rinunciato volontariamente al diritto alla privacy. Non tanto perchè un politico debba moralisticamente essere, come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto. Quanto, piuttosto, perchè essendo i politici rappresentanti non di se stessi, ma dei loro elettori, questi ultimi hanno pragmaticamente il diritto di sapere di che stampo sia la persona per cui votano.

Ora, nella lista incriminata ci sono ad esempio i nomi di Roberto Formigoni (PdL), storico esponente del movimento fondamentalista cattolico Comunione e Liberazione. O di Luca Volontè (Udc), anch’esso seguace di don Giussani, e promotore della legge sulla funzione sociale degli oratori. O di Massimo Corsaro (PdL), esponente del movimento Scienza e Vita, che ha fatto fallire il referendum del 2005 sulla procreazione assistita. O di Roberto Calderoli (LegaNord), recordman mondiale di dichiarazioni fasciste e razziste. O di Gianni Letta, eminenza grigia dei governi Berlusconi e gentiluomo di Sua Santità.

Tutta gente, cioè, che predica bene ma razzola male. Ovviamente, non nel senso che praticare l’omosessualità sia un male, o una perversione secondo natura. Ma nel senso che sono loro stessi a predicare che essa sia così, ricevendo anche per questo i voti di chi la pensa come loro. Dunque, è sacrosanto che si smascheri la loro duplicità, purchè però lo si faccia portando almeno qualche straccio di prova: cosa che il sito incriminato purtroppo non fa, limitandosi a pubblicare una lista che sa più di delazione, che non di requisitoria.

Naturalmente, il discorso vale non solo per i politici, ma anche, e a maggior ragione, per i preti. Sarebbe molto interessante una lista documentata di prelati gay e omofobi, che ne smascherasse la duplicità. Lista che potrebbe arrivare molto in alto nelle gerarchie, raggiungendo i vertici stessi della C.E.I. e del Vaticano.

Un precedente c’è, e addirittura al massimo livello! Nel gennaio 2006 L’Espresso ha infatti rivelato che nel 1967 fu messo in opera un tentativo segreto di ricatto, in cui sembra fosse coinvolto lo stesso presidente Saragat, nei confronti di Paolo VI, basato sulla sua omosessualità e provocato da una sua apertura ai comunisti.

Che il cardinal Montini avesse avuto una relazione amorosa con l’attore Paolo Carlini, e che avesse addirittura riesumato l’ormai desueto nome di Paolo in suo onore, fu svelato al mondo intero nel 1976 dall’accademico francese Roger Peyrefitte, in ritorsione contro una dichiarazione del papa nei confronti dell’omossessualità, da lui improvvidamente definita “disordinata”. La relazione fu confermata da Carlini stesso all’amico Biagio Arixi, che ne prese spunto per il suo romanzo Peccati scarlatti.

Paolo VI in persona fu costretto a (s)mentire, la domenica delle Palme del 1976, lamentandosi ineffabilmente dal balcone del Palazzo Apostolico delle “cose calunniose e orribili che sono state dette sulla mia santa persona”. Il che non impedì alla voce di circolare, tanto da essere citata in televisione da Pippo Baudo ancora nel 2003, nella puntata del 27 marzo della sua trasmissione Novecento. E alla teologa Adriana Zarri di proporre poco dopo, sul Manifesto del 9 aprile, la proclamazione di Paolo VI “protettore degli omosessuali”.

L’ outing sacro o profano \`{e} sacrosanto, proprio perchè i fedeli o gli elettori hanno il diritto di poter dire, ai preti o ai politici gay che pontificano di morale sessuale: “Da che pulpito!”. Ma che sia supportato da prove, nella miglior tradizione del giornalismo d’inchiesta. E che non si limiti a elencare nomi, nella peggior tradizione del giornalismo di gossip.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/09/24/far-uscire-allo-scoperto/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Gli insegnamenti del caso Amanda
Inserito da: Admin - Ottobre 04, 2011, 04:56:22 pm
4
ott
2011

Gli insegnamenti del caso Amanda

Piergiorgio ODIFREDDI

Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati dichiarati innocenti nel processo di secondo grado, mentre quattro anni fa,  nel processo di primo grado erano stati dichiarati colpevoli e condannati a 25 anni.

Indipendentemente dallo specifico del loro caso, sui dettagli del quale traboccano i media, mi sembra  che la loro vicenda si presti ad almeno due considerazioni di carattere generale.

La prima ha a che fare con la giustizia. Se due tribunali hanno ritenuto di poter emettere due sentenze radicalmente contrapposte, evidentemente il caso è controverso, e le risultanze processuali devono essere state equamente distribuite a favore e contro.

In una situazione del genere, il giudizio equivale alla presa di una decisione casuale, analoga al tiro di una monetina. Ma la dea bendata si chiama Fortuna, e non Giustizia, e non è ad essa che si possono affidare le sorti degli individui.

Nei casi controversi, non bisognerebbe dunque avere il coraggio di dichiarare che ‘giustizia non può  essere fatta’? O, in subordine, che prendere una decisione a caso, qualunque essa sia, equivale a fare ‘giustizia sommaria’, e che l’ossimoro che equivale appunto a ‘ingiustizia’?

La seconda considerazione è che almeno metà delle notizie che i media ci hanno propinato per quattro anni sono dunque false, e costituiscono pura e semplice disinformazione.

Non sarebbe forse ora che televisioni, radio e giornali, che si autodefiniscono  invece ‘mezzi di informazione’, passassero a interessarsi  e interessarci ad argomenti più sensati? O, in subordine, che accettassero l’evidenza e ammettessero apertamente la loro natura di ‘mezzi per la diffusione del gossip’? 

Quanto ancora dovremo aspettare, per non vederci più imporre migliaia di ore o di pagine di servizi sulle Amande o gli Strauss Kahn di turno? E per vedere finalmente quelle ore e quelle pagine dedicate alle tante cose serie che ci sono al mondo, e che ora vengono sommerse dalla spazzatura mediatica come il grano dal loglio?

Scritto martedì, 4 ottobre 2011 alle 10:42

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Il libro di Jobs
Inserito da: Admin - Ottobre 14, 2011, 05:18:53 pm
13
ott
2011

Il libro di Jobs

Piergiorgio ODIFREDDI

Ho osservato con distacco misto a imbarazzo le celebrazioni funebri della scorsa settimana per la morte di Steve Jobs. Osannato,  si può ben dire, come un’icona del nostro tempo, simile a quelle che lui stesso ha contribuito a rendere popolari sui desktop dei nostri computer.

Obama è arrivato a parlarne come di ‘uno dei più grandi innovatori americani’, che ‘ ha trasformato le nostre vite’ e ‘cambiato il modo in cui vediamo il mondo’. Se questa è la percezione della realtà del presidente degli Stati Uniti, si può ben capire perché egli stia rischiando la non rielezione!

Al di là delle iperboli mediatiche, Jobs è infatti stato  uno stilista, che ha contribuito a trasformare il computer in un bell’oggetto e un bel giocattolo, ma niente o poco di più. Una specie di Benetton, cioè,  come quello passato alla storia per essersi arricchito vendendo magliette colorate, ma non certo per aver inventato la tessitura o vestito le genti.

In ogni caso, il mercato dei prodotti Apple è assolutamente minoritario nel mondo dell’informatica, e  i prezzi dei suoi prodotti contribuiscono a renderlo tale anche in Occidente. La vera rivoluzione sono i prodotti clonati e a basso prezzo, che possono arrivare alle masse povere e sottosviluppate: come quelli che si cerca di produrre, ad esempio, in quell’India che è oggi, per questo e altri motivi, la vera patria dell’informatica.

Farebbe dunque ridere, se non facesse piangere, che i fighetti che giocano a fare i rivoluzionari e militano in ‘Sinistra e liberta’ abbiano salutato Jobs con manifesti di cordoglio. Come se, invece di essere un capitalista e un monopolista, egli fosse un eroe proletario e libertario.

Vendola ha cercato di correre ai ripari, sconfessandoli e prendendo posizione a favore del software libero: cioè, dell’esatto opposto di quello della Apple. Ma le sue parole non possono nascondere la triste constatazione che il motivo per cui, con la scusa della crisi economica, si stanno impunemente smantellando le conquiste di mezzo secolo di lotte libertarie, è che ormai persino la sinistra estrema si è lasciata irretire dagli iidoli falsi e bugiardi del capitalismo.

Scritto giovedì, 13 ottobre 2011 alle 11:44 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La morte, dal Sahara all’Himalaya
Inserito da: Admin - Ottobre 28, 2011, 05:17:44 pm
21
ott
2011

Gianluigi ODIFREDDI

La morte, dal Sahara all’Himalaya

La globalizzazione ci ha tolto, fra le tante liberta’, anche quella di andarcene in qualche altro paese e staccarci per un po’ dal nostro mondo. Infatti, le notizie che ci sommergono a casa ci rincorrono dovunque e ci raggiungono inesorabili, che lo vogliamo oppure no.

Benche’ io sia in Nepal, ho dunque saputo ugualmente della morte di Gheddafi, e delle reazioni piu’ o meno sdegnate alla sua esecuzione sommaria e al bistrattamento del suo cadavere. Cose che, l’una e l’altra, qui non potrebbero apparire piu’ irrilevanti.

Il caso ha voluto pero’ che oggi abbia visitato la cittadina santa di Pashupatinah, che costituisce una versione nepalese dell’indiana Varanasi. In particolare, vi si puo’ assistere ai riti di cremazione dei cadaveri, sulla riva del fiume: sullo stesso luogo dove venivano cremati anche i re del Nepal, fino a che ci sono stati.

Al proposito, e’ interessante notare la differenza tra il destino dell’ultimo re nepalese e quello del rais libico. Il primo e’ stato spodestato dai maoisti, sfrattato dalla reggia e condannato a vivere da cittadino normale, in due camere e cucina. Come l’ultimo imperatore cinese, d’altronde. Cosa peggio ci potrebbe essere, per un ex potente?

In fondo, l’esecuzione sommaria di un ex dittatore e’ il meglio che gli possa capitare, una pena molto piu’ umana e gradita di un’umiliante cattura seguita da un processo farsa e un’esecuzione differita e non meno cruenta, come fu per Saddam Hussein. Per non parlare, appunto, di una traumatica riduzione nei ranghi, un vero ergastolo da scontare giorno per giorno.

Solo i paladini del cosiddetto “movimento per la vita” possono pensare che vivere sia meglio che morire, in qualunque condizione e a tutti i costi. Si sbagliano, e l’esistenza dei martiri (cioe’ degli esaltati che si suicidano per interposta persona) dovrebbe ricordarglielo: anche di quelli ante litteram, come il rais, che ha preferito la morte fisica in un cruento combattimento a quella civile in un esilio dorato.

Quanto al cadavere, chi crede che sia l’anima a fare la differenza fra l’uomo e il resto del creato, dovrebbe considerare un corpo morto soltanto come una macchina da rottamare. L’esatto contrario di come viene trattato nei riti funebri, cioe’, in parte per motivi totemici e in parte per credenze superstiziose.

Paradossalmente, le cerimonie di cremazione induiste, come quelle alle quali ho assistito oggi, testimoniano un piu’ razionale distacco dalla vita e una piu’ saggia accettazione della morte. Non solo, ovviamente, della rabbia selvaggia che aizza a scempiare i cadaveri, come se fossero ancora vivi. Ma anche della sofferenza di coloro che a parole credono nella vita eterna, ma che vengono smentiti nei fatti dalle lacrime e dallo strazio, assenti invece nei ghat dell’India o del Nepal.

Scritto venerdì, 21 ottobre 2011 alle 19:34 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Regole senza significato
Inserito da: Admin - Novembre 07, 2011, 05:18:55 pm
6
nov
2011

Regole senza significato

PIERGIORGIO ODIFREDDI


Nei pressi dell’incrocio fra le strade che da Lumbini e Pokhara portano a Katmandu, una teleferica assediata di pellegrini conduce al tempio di Manakamana, dedicato a Parvati. La dea dispensa favori in cambio di sacrifici animali: i devoti sfilano dunque pazientemente e coloritamente nel sancta sanctorum, trascinando una capra o una pecora, che poi vengono sgozzate e decapitate in un annesso, e lasciate scalciare fino alla morte sul pavimento intriso di sangue.

Il tempio fatto macello, o il macello fatto tempio, è il soggetto dell’ultimo ponderoso libro di Roberto Calasso, “L’ardore”, da non confondere con il quasi omonimo “Ada, o l’ardore” di Vladimir Nabokov. Quest’ultimo era infatti un razionalista, oltre che un famoso entomologo, mentre il primo è un vero anacronismo vivente: un irrazionalista integrale, che guida la sua casa editrice alla ricerca della saggezza perduta dall’Occidente scientifico e moderno, e in questo libro crede di ritrovarla nei riti dell’Oriente mitologico e antico.

“L’ardore” è un commento ai Brahamana: la parte più insulsa e snervante dei Veda, analoga al Levitico nella Bibbia. Incurante del fatto che i maggiori indologi li abbiano presi per quello che sono, e cioè “una massa indigesta di ciarpame” e di “regole senza significato” (Frits Staal), o “un balbettio di idioti e un farneticare di folli” (Max Müller), Calasso li considera espressioni della saggezza induista e li “spiega” sulla base della mitologia fantastica, che sembra preferire all’evoluzionismo “positivistico”.

Il problema della mattanza animale da parte degli umani carnivori esiste, naturalmente, e viene più o meno rimosso per sublimazione nei templi orientali, nelle sinagoghe mediorientali e nei supermercati occidentali. Ma pretendere di affrontarlo sulla base delle leggende degli dèi vedici e delle connesse regole rituali, come se le prime appartenessero alla storia e le seconde alle leggi di natura,  rivela un’ingenuità sconcertante e antimoderna.

Calasso non dedica neppure una riga delle sue 500 pagine al tentativo più coraggioso, ovviamente fallito, di affrontare il problema alla radice: quello del jainismo, che precede storicamente l’induismo, ancor oggi sopravvive come può nel Gujarat, e il cui ideale di non violenza totale e assoluta ispiró il Mahatma Gandhi, che vi era nato.

Soprattutto, Calasso sembra aver dimenticato (o rimosso) il detto freudiano, che condensa in due parole il giudizio moderno e clinico non solo sulle pratiche dei Brahamana, ma su tutte le gesticolazioni che si performano nelle cerimonie, sacre e profane (religiose, politiche, sportive, sociali, familiari), dell’antichità e della modernità: che “la ritualità è una psicosi collettiva, e la psicosi una ritualità individuale”.

Dunque, chi pretende (inutilmente, e sapendolo) di decostruire i riti non è un nichilista. Semmai, un portatore di sanità mentale in un mondo infettato da  plurime e variegate psicosi individuali e collettive, che non potranno essere superate prima di essere ammesse e riconosciute come tali.

Scritto domenica, 6 novembre 2011 alle 07:55

http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/11/06/regole-senza-significato/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. 10 maggio 1994 – 12 novembre 2011
Inserito da: Admin - Novembre 16, 2011, 11:55:03 am
13
nov
2011

10 maggio 1994 – 12 novembre 2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Dunque, l’era berlusconiana iniziata il 10 maggio 1994 è durata 6.393 giorni, circa 17 anni e mezzo. Ma non si è trattato di un nuovo ventennio, perché in questo periodo Berlusconi è stato presidente del Consiglio per 3.335 giorni, poco più di 9 anni, mentre è stato all’opposizione per 3.058 giorni, poco più di 8 anni. Cifre interessanti, sulle quali è possibile fare alcune considerazioni astratte.

Anzitutto, per quanto riguarda la permanenza al potere, con i suoi 3.335 giorni (e 4 governi) Berlusconi risulta essere di gran lunga il più longevo governante dell’Italia repubblicana, sopravanzando di circa un anno e mezzo i 2.748 giorni (8 governi) di De Gasperi, e i 2.679 giorni (7 governi) di Andreotti. Ma, soprattutto, risulta essere il terzo più longevo governante dell’Italia unita, dietro i 7.572 giorni (1 governo) di Mussolini, e i 3.837 giorni (5 governi) di Giolitti, ma davanti ai 3.189 giorni (9 governi) di Depetris, e i 2.104 giorni (3 governi) di Crispi.

Ma non appena si accosta Berlusconi non solo a Mussolini o Giolitti, ma anche a Depetris, De Gasperi, Andreotti e Crispi, si percepisce quanto deludente e sterile sia stata la sua lunga permanenza al potere, in termini di realizzazione di riforme e di opere, e addirittura di ordinaria amministrazione. Coloro che hanno governato più a lungo, ma anche molti di coloro che hanno governato di meno, hanno impresso svolte ben più radicali e profonde di lui, e saputo mandare avanti ben più efficacemente la macchina dello Stato. E in quest’ottica, suona appunto impietoso il giudizio di Le Monde, secondo cui Berlusconi “lascia l’Italia come l’ha trovata”.

La fine del berlusconesimo segna però anche la fine della Seconda Repubblica, e dell’illusione di una democrazia dell’alternanza. Perché è vero che alternanza c’è stata, e alla fine della legislatura i conti saranno equamente pareggiati tra i due poli. Ma non si è certo trattato di un’alternanza democratica, perché degli otto cambiamenti di presidenza del consiglio di questi diciassette anni e mezzo (Berlusconi I, Dini, Prodi I, D’Alema I e II, Amato II, Berlusconi II e III, Prodi II, Berlusconi IV, Monti), ben quattro sono stati provocati da tradimenti del mandato elettorale, ribaltoni e congiure di palazzo.

La maggioranza uscita dalle urne è stata ribaltata da Bossi nel 1994, Mastella nel 1998, di nuovo Mastella nel 2008, Fini nel 2010, Scilipoti e i sedicenti “responsabili” nel 2011. E l’era berlusconiana si incastona fra due congiure di palazzo, o governi del presidente che dir si voglia: quello di Dini-Scalfaro nel 1994, e quello di Monti-Napolitano tra un paio di giorni.

Berlusconi se ne va, forse definitivamente, ma non sono gli elettori a mandarlo via, e meno che mai il Pd (nonostante le patetiche rivendicazioni del suo segretario). Se ne va per il collasso dell’istituzione parlamentare e per l’attacco della speculazione globale. Dunque, c’è poco da gioire e da far festa: paradossalmente, infatti, con lui rischia di essersene andata anche quel poco di democrazia che ci rimaneva, e sulla quale riponevamo le nostre residue speranze per il futuro.

Scritto domenica, 13 novembre 2011 alle 01:24

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/11/13/10-maggio-1994-12-novembre-2011/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Un ottimo inizio
Inserito da: Admin - Novembre 27, 2011, 03:30:42 pm
25
nov
2011

Un ottimo inizio

Piergiorgio ODIFREDDI


Non mi riferisco, naturalmente, al nuovo Governo dei Rapaci Bigotti. Ché, anzi, il suo inizio è stato pessimo, fra genuflessioni in Chiesa e benedizioni dal Vaticano. Un governo accolto con comprensibile e interessato entusiasmo da banchieri, industriali e preti, e con incomprensibile e autolesionista entusiasmo da lavoratori, pensionati e loro “rappresentanti”. Ne riparleremo dopo la depredazione dei beni e dei diritti che i primi perpetreranno sui secondi.

Mi riferisco, invece, a una notizia che potrebbe preannunciare un vero cambiamento epocale: il fatto che Trenitalia abbia finalmente deciso di adeguarsi agli standard minimi di civiltà, e di riservare alcune carrozze dei suoi treni a coloro che vogliono starsene tranquilli a pensare o a leggere, o anche solo a non far niente, senza essere torturati dalle chiacchiere e dai telefonini dei vicini.

Ho letto la notizia in aeroporto, dopo aver inutilmente cercato una zona sorda al riparo dagli altoparlanti e dai video che inondano gli inermi viaggiatori di ciarpame visivo e sonoro. Ma avrei potuto leggerla in un bar o in un ristorante, dove ormai l’inquinamento ambientale è universale, e non si riesce a evitare neppure implorando. Addirittura, persino nei taxi è diventato difficile far spegnere la radio, e le richieste in proposito devono passare al vaglio dei tassisti, che sembrano non capire che si può preferire il silenzio anche se non si sta andando all’ospedale o al cimitero.

Tra le misure del Governo dei Rapaci Bigotti non sembra essere stato annunciato un silenziamento d’ufficio dell’imposizione di pubblicità e di sguaiatezza che è il segno caratteristico dell’era berlusconiana. Ma fino a quando continueremo a rimanere sommersi dai richiami per allodole di Publitalia non solo sui media, ma addirittura per le strade e nei luoghi pubblici, ci sarà poco da illuderci: di Berlusconi non ci saremo liberati e la sua era continuerà, con o senza di lui.

Lo confermano le vicende dell’imposizione dall’alto, e dell’accettazione dal basso, del Governo dei Rapaci Bigotti. In fondo, se fino a un paio di settimane fa le politiche berlusconiane erano approvate solo da una metà della popolazione, ora sono accolte da una maggioranza bulgara che non farebbe onore alla democrazia italiana, se ancora ci fosse. Anche per questo sono benvenute le carrozze del silenzio di Trenitalia: per evitare di dover ascoltare le manifestazioni del nuovo pensiero unico al quale l’Italia si è rapidamente uniformata, nel giro di una settimana di repentino rintontimento generale

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/11/25/un-ottimo-inizio/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Giuro, nel nome della SS. Trinità
Inserito da: Admin - Novembre 30, 2011, 05:58:49 pm
29
nov
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Giuro, nel nome della SS. Trinità

Immaginiamo che cosa sarebbe successo se, nel momento del suo giuramento di fedeltà alla Costituzione, il primo presidente comunista della storia d’Italia avesse alzato il pugno chiuso. Ipotesi assurda, ovviamente, perché già da giovane Napolitano era quanto di meno comunista si potesse pensare, e di alzare il pugno chiuso non gli è probabilmente mai passato in mente, nemmeno sulla Piazza Rossa. Ma sarebbe stato comunque uno scandalo, per l’ovvio motivo che una carica pubblica richiede il silenziamento delle opinioni private, e mezza Italia sarebbe giustamente insorta.

Che cosa succederà, dunque, ora che il nuovo sottosegretario all’Interno ha fatto il segno della croce dopo aver giurato? Niente, ovviamente, perché da noi è ben diverso professarsi apertamente comunisti, oppure cattolici! Nei confronti dei primi c’è una convenzione ad esclusione, sfruttata in maniera quasi comica da Berlusconi nelle sue campagne elettorali. Nei confronti dei secondi c’è invece un complotto ad inclusione, che fa sì che senza il benestare della Chiesa non si possano ricoprire le alte cariche dello Stato: nemmeno quando si è più libertini del marchese De Sade.

Il gesto del nuovo sottosegretario è comunque istruttivo. Anzitutto, perchè in uno stato non confessionale è ridicolo giurare “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”: infatti, non lo si fa nemmeno quando si mettono le mani sulla Bibbia, che viene fatta intervenire solo come minaccia suprema contro lo spergiuro. E poi, perchè quel gesto rivela una preoccupante confusione mentale del neosottosegretario, che allontanandosi dal tavolo del presidente del Consiglio deve averlo scambiato, per troppa abitudine, con l’altare del prete.

A meno che non si trattasse di un puro scongiuro, come quello dei calciatori prima delle partite di calcio. Dello stesso genere, cioè, delle corna che il presidente Leone aveva fatto il 7 settembre 1973 a Napoli, all’ospedale dov’erano ricoverati i contagiati dal colera, e ripetuto il 18 ottobre 1975, quand’era stato contestato dagli studenti a Pisa: provocando, almeno lui, il dileggio delle persone normali.

In entrambi i casi, si tratta di gesti che ricordano vuote mitologie. Il segno delle corna, il tradimento della moglie di Minosse col Toro di Creta. Il segno della croce, la confusione fra il simbolo del supplizio romano e l’invenzione niceana della trinità. E’ forse possibile, aspettarsi soluzione razionali dei problemi e delle crisi da gente che fa le corna o si segna? Non è forse necessario, chiedere che le superstizioni rimangano fuori dalle sale di comando?

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/11/29/giuro-nel-nome-della-ss-trinita/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Lacrime da coccodrillo
Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2011, 11:49:02 pm
5
dic
2011


Piergiorgio ODIFREDDI


Lacrime da coccodrillo

Dunque, i Monti hanno partorito i topolini. Nelle direzioni che, essendo facilmente prevedibili, erano state facilmente previste: da questo blog, in particolare.

La signora Fornero si è commossa, all’annuncio della fine dell’adeguamento delle pensioni all’aumento del costo della vita: cioè, a una loro sostanziale diminuzione. Ovviamente, erano lacrime di gioia, visto che le misure di contenimento delle pensioni sono la sua specialità, e che lei è stata chiamata al ministero delle sedicenti Politiche Sociali proprio per farle passare dalla teoria universitaria alla pratica governativa.

Il signor Monti, coerentemente, ha sorriso quando è intervenuto al posto del ministro, per permetterle di riaversi dall’emozione.
Mentre c’era, ha fatto pure un po’ di populismo ad uso del popolo bue, annunciando di rinunciare allo stipendio da presidente del Consiglio e da ministro dell’Economia. Ma non, ovviamente, al vitalizio preventivo che gli è stato elargito da Napolitano, con la sua nomina a senatore a vita, appunto.

L’una e l’altro sarebbero risultati più credibili se, ad esempio, avessero annunciato non un innalzamento dell’età pensionabile di coloro che hanno maturato la pensione lavorando, bensì un abbassamento delle pensioni di coloro che le ricevono in misura superiore a quanto hanno maturato. Ad esempio, i lavoratori autonomi, il cui prelievo è inferiore del 12 per cento a quello dei lavoratori dipendenti (21 per cento, rispetto al 33).

Oppure, se avessero annunciato non un gesto simbolico di rinuncia per i ministri a un cumulo di stipendi, che nel caso di Monti sarebbero stati addirittura tre, bensì la proibizione di questo cumulo a tutti i livelli di cariche pubbliche: non solo statali, ma anche, e soprattutto, regionali, provinciali e comunali.

Di riforme strutturali serie, nella legge “salva Stato” e “spremi cittadino”, non se ne vedono. In particolare, nessun tentativo di recupero dei 100 miliardi stimati di evasione fiscale: una cifra che ogni anno supera l’insieme di tutte le manovre del corrente annus horribilis. Nessun cenno a una patrimoniale, che colpisca almeno le proprietà di coloro che non denunciano i redditi. Al loro posto, solo specchietti per allodole: ad esempio, il buffetto (o la buffonata) dell’uno e mezzo per cento sul condono per il rientro dei capitali
all’estero; o la tassa sulle auto di lusso e le barche, già imposta senza effetto dai governi democristiani decine di anni fa.

Ben reali e concreti sono invece il ritorno dell’Ici sulla prima casa, l’aumento delle imposte comunali e l’aumento dell’Iva, da una parte. E le esenzioni alle imprese e gli incentivi allo sviluppo, dall’altra. Non c’è da stupirsi che i sindacati siano contrari, e la Confindustria, il Pdl e gli speculatori della borsa favorevoli. Quanto al Pd, nemmeno coloro che hanno le lacrime facili, come la signora Fornero, riuscirebbero ormai a trovarne per piangere sulla sua ignavia, probabile prodromo della sua scomparsa nel cestino dei rifiuti della storia italica.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/12/05/lacrime-da-coccodrillo/?ref=HREA-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Conflitti d’interessi, ancora e sempre
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2011, 04:40:51 pm
Conflitti d’interessi, ancora e sempre

9
dic
2011

Per una procreazione responsabile

PIERGIORGIO ODIFREDDI

 A Trento un interessante conflitto ha opposto una sedicenne incinta e i suoi genitori. Lei vorrebbe tenere il figlio concepito con un albanese. Loro si sono rivolti al tribunale per farla abortire (di nuovo, visto che la ragazza è recidiva). Ma ill giudice ha negato l’imposizione dell’intervento, perché per la nostra legislazione l’aborto è un diritto (limitato), ma non un dovere.

Naturalmente, non si può pretendere molto di diverso, in un paese in cui la politica famigliare è ispirata a valori predicati da eunuchi che si rifanno agli insegnamenti di una “famiglia” in cui tutti i membri (padre, madre e figlio) erano vergini.

Ma in un paese ideale e razionale, cosa ci si potrebbe aspettare? Una procreazione responsabile richiederebbe anzitutto e sopratutto  la considerazione e la difesa del diritti dei nascituri. Diritti che includono quelli enunciati in teoria dalla Costituzione: salute, istruzione, lavoro. Ma anche quelli rivendicati in pratica da chiunque: benessere, felicità, autorealizzazione.

In mancanza di adeguate prospettive che rendano l’adempimento di queste condizioni se non certe,  cosa ovviamente impossibile da assicurare, almeno probabili e prevedibili, i tribunali dovrebbero intervenire per impedire la procreazione. Anzitutto, in maniera preventiva, forzando all’uso di anticoncezionali. E poi, quando la prevenzione avesse fallito, imponendo la cessazione della gravidanza.

Le problematiche sollevate dal caso di Trento, in altre parole, non hanno nulla a che vedere col fatto che la madre sia minorenne, o che il padre sia extracomunitario, o che i due non siano sposati. La procreazione responsabile è un dovere civile e sociale anche, e soprattutto,  dei cittadini adulti sposati. E uno stato degno di questo nome dovrebbe vigilare affinché essa fosse praticata, e imposta quando non lo tosse.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/12/09/per-una-procreazione-responsabile/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Onorevoli disonorati
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2011, 11:51:38 pm
16
dic
2011

Onorevoli disonorati

Piergiorgio ODIFREDDI

A imporre l’Ici alla Chiesa, non ci avevano pensato. A fare un’asta sulle frequenze televisive, neppure. Tassare i capitali non si può, se no scappano. Liberalizzare licenze o farmaci, nemmeno, perché taxisti e farmacisti si lamentano. Almeno una riforma epocale, a costo zero, il governo Monti la potrebbe però fare, per passare alla storia: abolire il titolo di “onorevole” per quella razza di personaggi che siedono in Parlamento, a disonore delle istituzioni e degli elettori.

L’ultimo a fare un involontario outing è stato Antonio Razzi, appunto. L’onorevole è residente in Svizzera, e dopo essere stato eletto per ben due volte nell’Italia dei Valori nella Circoscrizione Estero, è passato dapprima al gruppo Noi Sud (se fosse una battuta non farebbe ridere, ma non lo è), e poi al movimento dei sedicenti Responsabili. Il suo voto, insieme a quello dell’onorevole Domenico Scilipoti, medico omeopata di fama brasiliana, pure lui eletto nell’Italia dei Valori e passato ai Responsabili, è stato determinante per prolungare l’agonia del governo Berlusconi e del paese per un intero anno, a partire dal 14 dicembre 2010.

Basta andare su YouTube e digitare i nomi dei due “onorevoli”, per assistere a spettacoli che chiamare indecorosi e surreali sarebbe un’understatement. L’ultimo in ordine di tempo l’ha carpito l’onorevole Franco Barbato, sempre dell’Italia dei Valori, che ha registrato con un telefonino le dichiarazioni dell’ex compagno di partito Razzi, il quale ha spiegato che la sua motivazione per lasciare l’opposizione e dar vita a un ribaltone e a una nuova maggioranza era stata … la maturazione della pensione da parlamentare!

In un paese normale l’indignazione popolare avrebbe travolto il personaggio, costringendolo immediatamente a pensionarsi senza pensione. Nel nostro, invece, l’onorevole Alessandra Mussolini, che siede in Parlamento da cinque legislature soltanto perché portatrice dell’handicap di un indegno cognome, e che contende a Scilipoti l’Oscar per le piazzate più indegne, si è scagliata non contro Razzi, ma contro Barbato! Perché, secondo lei (e non solo secondo lei), gli elettori hanno diritto di conoscere le porcate fatte dai parlamentari soltanto quando e come essi decidono di farglielo sapere.

Naturalmente, la lista dei parlamentari a cui il titolo di “onorevole” si addice come quello di “uomo d’onore” a un mafioso, è lunga e variegata. Forse nel nostro Parlamento l’unica vera e stabile maggioranza è proprio quella degli onorevoli disonorati e, soprattutto, disonoranti. Perché dunque non abolire almeno il titolo, e con esso l’assurda pratica di considerare onorevole chi invece le istituzioni le disonora, e che in un paese onorato dovrebbe esserne tenuto alla larga come un appestato?

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/12/16/onorevoli-disonorati/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Morte di un ateo reazionario
Inserito da: Admin - Dicembre 19, 2011, 04:55:04 pm
17
dic
2011

Morte di un ateo reazionario

Piergiorgio ODIFREDDI

Una dozzina di anni fa, durante un viaggio a Calcutta, trovai un libretto su Madre Teresa dal salace titolo La posizione missionaria, annacquato in La posizione della missionaria nella traduzione italiana di Minimum Fax di qualche anno dopo.
Non conoscevo l’autore, ma mi colpì il suo coraggio nello smascherare come una ciarlatana quella che in Occidente veniva allora, e viene tuttora, considerata come una “santa”.

Memorizzato il nome di Christopher Hitchens, lo tenni d’occhio. Ma dopo l’11 settembre 2001 rimasi molto deluso nel leggere su Internazionale alcuni suoi articoli, ancora facilmente reperibili in rete, che questa volta smascheravano lui come un reazionario schierato con la politica di Bush, favorevole alla sedicente “guerra al terrorismo”, paladino dell’invasione dell’Iraq e allergico ai pacifisti.

Quando nel 2007 uscì il suo best seller Dio non è grande, pochi mesi dopo il mio Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), mi precipitai a leggerlo, sperando di trovare in lui un alter ego nella mia battaglia “per l’onore dello spirito umano”.
Ma dovetti abbandonarlo deluso dopo qualche capitolo, infastidito dalla sua retorica alla Oriana Fallaci, irrazionale e violenta.

Per ironia della storia, a unire i nostri nomi e i nostri libri ci hanno pensato l’Avvenire e il cardinal Ravasi, stigmatizzando il nostro approccio alla religione come “ironico e sarcastico”, e la nostra lettura dei testi sacri come “fondamentalista”. Con la successiva pubblicazione nel 2008 di L’illusione di Dio di Richard Dawkins, e nel 2009 del Trattato di ateologia di Michel Onfray, nella visione clericale si è costituito un “quartetto ateo”, la cui musica profana suona dissonante alle orecchie assuefatte a quella sacra.

Ravasi non ha perso occasione per ribadire, anche recentemente, che la strombazzata iniziativa del Cortile dei Gentili è aperta all’ascolto dei non credenti addomesticati o addomesticabili, ma che noi quattro vi siamo solennemente esclusi. Così facendo, ha perso l’occasione di dibattere con Hitchens, che è morto il 15 dicembre a Houston. Peccato, perché i loro stili stavano fra loro come il diavolo e l’acqua santa, e ci saremmo tutti molto divertiti a starli a sentire. A parte Ravasi, ovviamente.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/12/17/morte-di-un-ateo-reazionario/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Da Montesquieu a Napolitano
Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2012, 11:52:28 am
« Morte di un ateo reazionario Il 2012 e la fine del mondo »

21
dic
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Da Montesquieu a Napolitano

Ieri il presidente della Repubblica ha difeso il suo operato nella costituzione del governo Monti, e l’aderenza e fedeltà alla Costituzione dell’intero processo di nomina del governo dei tecnici. Parole inutili, ovviamente. Anche perché neppure coloro che lo accusano di aver fatto uno “strappo costituzionale”, si sarebbero aspettati che lui ammettesse le accuse. Non potendo dir altro che ciò che ha detto, Napolitano avrebbe potuto risparmiarsi la fatica di dirlo. Ma, si sa, le cerimonie del potere sono dei riti, e tutti i riti sono vuoti.

Se avesse invece deciso di lasciare da parte la forma dei riti, per affrontare la sostanza della questione, il presidente avrebbe anzitutto potuto far notare che il governo Monti è il primo della storia repubblicana, che quasi rispetti il principio di separazione dei poteri enunciato nel 1748 da Montesquieu nello Spirito delle leggi. Un principio non rispettato nella teoria della nostra Costituzione, e mai applicato nella pratica di tutti i precedenti governi.

Come si insegna infatti a scuola, evidentemente per confondere gli studenti, il principio in questione stabilisce che ci sono tre tipi di potere: legislativo, esecutivo e giudiziario. E che i tre poteri devono essere indipendenti e sovrani. Immediato corollario del principio è che le tre funzioni di parlamentare, ministro e giudice sono fra loro incompatibili. Dunque, un governo composto di parlamentari va contro il principio di separazione dei poteri, benché questa sia stata la prassi fino a ieri.

E anche di oggi, in parte, perché Monti è stato nominato senatore a vita pochi giorni prima di essere nominato presidente del Consiglio. E poiché i senatori a vita sono legislatori a tutti gli effetti, la sua presenza nel governo viola il principio di separazione dei poteri. E’ dunque singolare che la nomina di Monti sia stata interpretata come “un colpo di genio politico”, quando in realtà non era altro che la reiterazione del fatto che la nostra Repubblica sarà anche fondata sul lavoro, ma certo non lo è sulla separazione dei poteri.

Quanto a coloro che spiegano che il governo Monti non costituisce uno “strappo costituzionale”, perché ha regolarmente ricevuto la fiducia del Parlamento, forse si dimenticano che sia questo Parlamento, sia quello precedente, sono in realtà essi stessi delle imbarazzanti anomalie democratiche. I parlamentari infatti non sono stati eletti, ma nominati dalle segreterie dei partiti. E gli elettori non hanno votato per i parlamentari, ma per i partiti stessi. Dunque, il nostro non è un sistema parlamentare, ma partitico.

Il presidente della Repubblica avrà certo ragione, quando afferma che tutto si è svolto nel rispetto della Costituzione.
Ma questo significa soltanto che è la Costituzione ad avere torto, perché la democrazia che si fonda su di essa non è altro che un simulacro di ciò che una vera democrazia potrebbe e, soprattutto, dovrebbe essere.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/12/21/da-montesquieu-a-napolitano/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Monti il Malinconico
Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2012, 11:53:12 am
Monti il Malinconico

12
gen
2012

Piergiorgio ODIFREDDI

Quel porcellum della Costituzione

Forse i giudici della Corte Costituzionale non se ne sono accorti. Ma la conseguenza logica di dichiarare che i cittadini non possono abrogare o modificare l’attuale legge elettorale, è che la Costituzione perversamente privilegia la forma della legge elettorale alla sostanza della democrazia.

Ora, la legge n. 270 del 21 dicembre 2005 è stata definita dal suo stesso relatore, il senatore leghista Roberto Calderoli, in un’intervista del 15 marzo 2006 a Matrix: “una porcata, fatta volutamente per mettere in difficoltà una destra e una sinistra che devono fare i conti col popolo che vota”.

In seguito, in un articolo sul Corriere della Sera del 1 novembre 2006, il politologo Giovanni Sartori ha tradotto in latino l’espressione, facendo diventare la legge elettorale un porcellum. E ha sbagliato, perché sarebbe stato meglio continuare a usare il ben più incisivo termine originario.

Porcata o porcellum che sia, l’organo preposto a giudicare queste cose ci assicura che la Costituzione impedisce ai cittadini di cambiarla: il privilegio è riservato ai soli parlamentari, che di quella legge sono appunto i beneficiari. E allora, i casi sono solo due. O è una porcata, o un porcellum, anche la Costituzione. Oppure, è una porcata, o un porcellum, la decisione della Corte Costituzionale. In entrambi i casi, che non si escludono necessariamente a vicenda, siamo molto mal messi.

Nel frattempo, quella orwelliana Fattoria degli Animali che si chiama anche Parlamento, i cui membri sono appunto stati nominati grazie alla porcata, o al porcellum, ha votato contro l’arresto dell’uomo d’onore Nicola Cosentino. E la decisione va ad allungare l’elenco degli atti parlamentari ai quali si adattano entrambi i termini, italiano e latino.

Il presidente della Repubblica si è scandalizzato, perché l’onorevole Antonio Di Pietro ha gridato al regime. Forse, però, avrebbe fatto meglio a scandalizzarsi del fatto che solo lui l’abbia fatto, mentre tutti gli altri continuano a ballare al suono della musica costituzionale. E invece di difendere la sentenza della Corte, il presidente avrebbe potuto e dovuto censurarla, viste le conseguenze logiche che essa porta con sé.

O tempora, o mores, esclamava Cicerone in tempi come i nostri. Almeno lui poteva prendersela con il suo Catilina. Ma noi, ora che il nostro Catilina si è fatto da parte, ma le porcate continuano come prima, con chi potremmo e dovremmo prendercela?

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/01/12/quel-porcellum-della-costituzione/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Le cose giuste per le ragioni sbagliate
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2012, 10:12:17 am
21 gen 2012

Piergiorgio ODIFREDDI

Le cose giuste per le ragioni sbagliate


Il governo ha finalmente emanato il decreto sulle liberalizzazioni, sollevando le proteste più o meno civili degli interessati, dai taxisti ai farmacisti. E mai parola è stata più appropriata di “interessati”, come in questo caso.

Perché è evidente che i taxi-fascisti, che non a caso sono stati i grandi elettori del sindaco Alemanno a Roma, parlano per i propri interessi. Le loro licenze, spesso pagate con sovrapprezzi in nero, costituiscono infatti delle indebite rendite di posizione, che vengono messe in discussione dalla liberalizzazione. Ed essi sono disposti a usare i manganelli per difenderle, come hanno fatto ieri a Genova dando la caccia a Cacciari (chissà perché).

E’ però singolare che il governo abbia cercato di spiegare che le sue misure dovrebbero portare a una crescita del dieci per cento del prodotto interno lordo. Perché, come già notavano quei due buontemponi di Bouvard e Pecuchet nell’omonimo romanzo di Flaubert, “quando manca il lavoro, vuol dire che i prodotti sono troppi, e voi reclamate che vengano ancora aumentati!”.

Le liberalizzazioni andrebbero giustificate non dalla parte dei produttori, ma dalla parte dei consumatori. Cioè, misure come l’aumento del numero dei taxi e delle farmacie, o la dilatazione degli orari di apertura dei negozi, dovrebbero essere poste in atto per potenziare i servizi pubblici, con l’obiettivo di far vivere meglio i cittadini. E non per potenziare la speculazione privata, che tende sempre e comunque a sfruttarli.

Un esempio paradigmatico è costituito da quell’anomalia burocratica che sono i notai. In molti paesi, a partire dagli Stati Uniti, le loro funzioni sono svolte efficacemente, e soprattutto gratuitamente, da impiegati comunali. La stessa esistenza dei notai, dunque, è un affronto al cittadino. E il problema non è aumentarne il numero, nella speranza che la mano invisibile di Adam Smith dia un colpettino verso il basso alle loro tariffe, ma semplicemente abolirne il ruolo.

La stessa cosa vale per i taxisti. Perché mai i servizi pubblici, come i trasporti urbani, dovrebbero essere parzialmente delegati a corporazioni private di energumeni? Uno stato degno di questo nome, invece di aumentare le licenze, le abolirebbe, e provvederebbe da sé al servizio dei taxi, come d’altronde già fa per quello degli autobus.

E invece, i venti della liberalizzazione soffiano in un’altra direzione: quella del suicidio dello stato e delle sue funzioni, a favore del privato e delle sue vessazioni. Le giuste reazioni di disgusto alle serrate dei taxifascisti dovrebbero farci domandare se allargare il peso e il ruolo di certe categorie fornisca una soluzione al problema del disservizio pubblico, o non costituisca piuttosto una sua complicazione.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/01/21/le-cose-giuste-per-le-ragioni-sbagliate/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Sport alla Borges
Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2012, 06:31:41 pm
28
gen
2012


Sport alla Borges

Piergiorgio ODIFREDDI

Nelle Cronache di Bustos Domeq, di Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares, c’è un breve racconto intitolato Esse est percipi, che riporta questa conversazione fra due amici:

La voce del presidente sentenziò: “Ferrabàs, ho già parlato con De Filippo e con Camargo. La prossima volta perde la Riserva, per due a uno. Il gioco sarà accanito, ma non ricada ancora, se ne ricordi, nel passaggio di Musante a Renovales, che tutti conoscono a memoria. Voglio immaginazione, immaginazione. Capito? Può andare”.

Radunai le forze per arrischiare la domanda: “Debbo dedurre che il punteggio è stabilito in partenza?”

Savastano mi gettò letteralmente nella polvere: “Non esiste punteggio, né formazioni, né partite. Gli stadi cadono tutti a pezzi. Oggi le cose succedono solo alla televisione e alla radio. La falsa eccitazione dei locutori non le ha mai fatto sospettare che è tutto un imbroglio? L’ultima partita di calcio è stata giocata in questa città il 24 giugno del ’37. Da quel preciso momento il calcio, come tutta la vasta gamma degli sport, è un genere drammatico, interpretato da un solo uomo in una cabina o da attori in maglietta davanti al cameramen”.

“Ma chi ha inventato tutto questo?”, riuscii a domandare.

“Non si sa. Tanto varrebbe indagare a chi siano venute in mente per primo le inaugurazioni di scuole e le visite fastose di teste coronate. Son cose che non esistono fuori degli studi di registrazione e delle redazioni. Si persuada, Domeq, la pubblicità di massa è il segno dei tempi moderni”.

Sarebbe difficile trovare un commento più appropriato alle confessioni del “campione” Cristiano Doni, il quale ha confermato che il calcio è una farsa, come d’altronde avevano già abbondantemente provato le indagini sulle cosiddette “calcioscommesse”. Il ciclismo non è da meno, come sappiamo da ben prima della morte di Pantani.

E allora, non rimangono che alcune domande. Perché la televisione continua a trasmettere lo sport, anche nei giorni non dedicati alle farse? Perché gli spettatori continuano a guardarlo, pur sapendo che è reale quanto una telenovela? E, soprattutto, perché si continua a chiamare “guardone” chi osserva chi fa sesso, invece di farlo, e “prostituta” chi lo fa per guadagno, invece che per piacere, e non si applicano le stesse categorie agli spettatori e agli atleti di questo nostro mondo malato?

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/01/28/sport-alla-borges/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La scienza all’acqua di Lourdes
Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2012, 10:55:58 am
2
feb
2012

La scienza all’acqua di Lourdes

Piergiorgio ODIFREDDI

Per un logico, il caso della banda di biologi e fisici che è stata “debellata” dalle forze dell’ordine per una singolare truffa, è veramente meraviglioso.

Dapprima, il fatto. La truffa consiste nell’aver preteso che le acque di Lourdes fossero miracolose, e di averle vendute come cura taumaturgica a una serie di malati ad Ancona, Milano, Venezia e Bari. Il risultato è stata una denuncia per associazione a delinquere, truffa, lesioni ed esercizio abusivo della professione medica.

E ora, l’interpretazione. La denuncia sottointende che la pretesa tecnica di “riarmonizzare la materia attraverso le frequenze delle acque di Lourdes” sia una bufala, e dunque che le acque non siano veramente miracolose. Altrimenti qualunque cosa, per quanto implausibile, dovrebbe essere possibile, perché questa è appunto la natura del soprannaturale.

Ma a sostenere che quelle acque sono dotate di proprietà fuori del comune, sono i gestori del business della fortunata (ed essa sì, miracolata) cittadina francese, che ne fanno commercio da un secolo e mezzo! Anch’essi predicano che è possibile “riarmonizzare la materia attraverso le frequenze delle acque di Lourdes”, e vi ci fanno immergere milioni di pellegrini: molti dei quali creduloni e tonti, e dunque con l’aggravante della circonvenzione di incapace.

Non solo, una serie di agenzie di viaggio di proprietà della Chiesa e del Vaticano, o almeno con loro convenzionate, si preoccupa di organizzare convogli di autobus, treni e aerei per portare da tutto il mondo masse di pellegrini in loco: fino a sei milioni all’anno, per la precisione. E una speciale commissione parigina si è arrogata il diritto di decidere quanti e quali miracoli sono “veramente” avvenuti a Lourdes: per la precisione, 68 su 200 milioni di pellegrini in 153 anni, a una media di circa uno su tre milioni di pellegrini ogni due anni.

Ma allora, chi ha veramente commesso una truffa, e costituito un’associazione a delinquere da perseguire? I quaranta sfigati che hanno preso sul serio le favole che si raccontano su Lourdes, la sua Madonna e la sua acqua? O la multinazionale che alimenta il turismo religioso e lo sfruttamento della creduloneria in una città che, con i suoi 300 alberghi, è la terza in Francia per capienza alberghiera, dopo Parigi e Nizza?

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/02/02/la-scienza-dellacqua-di-lourdes/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. 100.000 nuovi prof di mate!
Inserito da: Admin - Febbraio 10, 2012, 11:11:59 am
9
feb
2012

Piergiorgio ODIFREDDI

100.000 nuovi prof di mate!


Barack Obama, tra le tante misure anticrisi e prosviluppo della sua amministrazione, ne ha proposta una veramente singolare, almeno dal nostro punto di osservazione: “Voglio centomila nuovi professori di matematica nelle nostre scuole, saranno loro a rendere l’America più competitiva”. Perché, ha aggiunto: “Più scienza nel futuro dei giovani è la chiave per avere una marcia in più, e aumentare le chance di successo sul mercato del lavoro”.

Che le cose stiano così, non c’era bisogno che lo dicesse il presidente degli Stati Uniti. Bastava ricordare che il mondo occidentale, e ormai l’intero mondo globalizzato, si basa sulla tecnologia. Che la tecnologia si basa sulla scienza. E che la scienza si basa sulla matematica. Dunque, se si vuole potenziare il mondo occidentale, bisogna potenziare a cascata la tecnologia, e dunque la scienza, e dunque la matematica.

Obama ha infatti precisato che la sua proposta di incremento del numero di professori, dalle elementari alle superiori, non si limita a quelli di matematica, ma coinvolge tutte le scienze: fisica, chimica, biologia e informatica. E ha fatto seguire alle parole i finanziamenti, assegnando 80 milioni di dollari al Ministero dell’Istruzione per i corsi di formazione di questi nuovi insegnanti, ai quali si affiancheranno 22 milioni di finanziamenti privati.

Come se non bastasse, Obama ha affermato che non basta reclutare nuovi insegnanti: “Bisogna saperli trattenere a scuola, con gli incentivi giusti”. Dunque, altri 300 milioni di dollari andranno a “migliorare i sistemi di remunerazione, incentivo e promozione professionale del corpo insegnante”. Cioè, in particolare, ad aumentare gli stipendi.

Inutile dire che ci sembra di sentire notizie che provengono non da questa Terra, ma dalla Luna o da Marte. Perché siamo reduci da un triennio di distruzione della scuola pubblica da parte del governo Berlusconi e del ministro Gelmini, che si sono distinti per i tagli dei finanziamenti, l’umiliazione dei professori e lo svilimento delle scienze: persino al liceo scientifico, dove tra gli indirizzi offerti continuano ridicolmente a sopravvivere quelli con il latino.

Questa settimana Monti è a Washington, ma sono pronto a scommettere che le parole di Obama non le sentirà. Che, se le sentirà, non le capirà. E che, se le capirà, non le ricorderà. D’altronde, non è stato proprio lui a elogiareil disastro combinato dalla Gelmini?
A dichiarare che il suo governo avrebbe continuato, nella scuola, lo scempio del precedente? E a dire al Papa che continuerà a favorire le scuole dove si insegnano le favole e gli anacronismi, invece delle scienzee della matematica?

Dunque, per una volta, viva Obama! E, come sempre, abbasso Monti!

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/02/09/100-000-nuovi-prof-di-mate/


Titolo: Bisogna neutralizzare gli strozzini non dire loro di no e poi morire. Caro Odif
Inserito da: Admin - Febbraio 13, 2012, 11:40:40 am
13
feb
2012

Piergiorgio ODIFREDDI

La Grecia brucia

La Grecia è arrivata alla resa dei conti. Il Parlamento si accinge a capitolare di fronte al plotone d’esecuzione costituito dalla cosiddetta troika, formata dall’Unione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale. La società civile sta protestando violentemente di fronte al Parlamento. Il primo ministro Papademos, alter ego del nostro Monti, ha dichiarato che “il vandalismo e la distruzione non hanno un posto nella democrazia”: le stesse parole usate ieri, in maniera preventiva, dal nostro presidente Napolitano.

Naturalmente, i mandanti (im)morali della troika, e gli esecutori materiali del governo greco, presentano le misure che stanno per essere adottate come “inevitabili e necessarie”: le stesse parole che abbiamo sentito anche noi, fino alla nausea, dal colpo di mano del 9 novembre 2011 a oggi. E queste misure (udite, udite!) consistono in: “Una radicale riforma del mercato del lavoro, con una profonda liberalizzazione. Una diminuzione di oltre il 20% del salario minimo garantito, e un taglio delle pensioni. Una drastica economia di spesa in settori pubblici, come gli ospedali e le autonomie locali. E la vendita dei gioielli di famiglia, come le quote pubbliche in petrolio, gas, acqua e lotteria”.

Queste misure non si chiamano “austerità”, o “sacrifici”, ma distruzione dello stato sociale e svendita del pubblico al privato.
Esse sono dello stesso tenore, vanno nella stessa direzione, e sono ispirate dalla stessa insana ideologia, delle “riforme” che il nostro governo sta cercando di far passare anche da noi. E che, per ora, il nostro popolo ex-sovrano ha mostrato di accettare con maggior spirito di sopportazione, e minor spirito di sopravvivenza, di quello greco.

Nel suo editoriale di ieri su Repubblica, parlando delle conseguenze del possibile default della Grecia, del Portogallo e dell’Irlanda, Scalfari ha scritto che “il fallimento di due o tre paesi dell’Eurozona avrebbe ripercussioni molto serie sul sistema bancario internazionale, obbligando gli Stati nazionali a nazionalizzare totalmente o parzialmente una parte notevole dei rispettivi sistemi bancari”. Ma, più che una minaccia, questa dovrebbe essere percepita come una speranza!

Perché ormai è chiaro che le banche hanno una buona parte di responsabilità nella crisi mondiale, avendola fomentata con una manovra di strozzinaggio in due tempi: dapprima, finanziando e comprando una larga parte dei debiti sovrani degli stati, e poi, minacciando di chiederne la restituzione. Gli uomini delle banche al governo, in Grecia come in Italia, ci spiegano che dobbiamo piegarci al ricatto, pagando il riscatto della svendita dello Stato. I dimostranti di Atene dimostrano, appunto, che si può dire no agli strozzini, anche quando ti puntano la pistola alla tempia, e sono pronti a premere il grilletto

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/02/13/la-grecia-brucia/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La famiglia cristiana è nuda
Inserito da: Admin - Febbraio 17, 2012, 05:02:49 pm
15
feb
2012

La famiglia cristiana è nuda

 Piergiorgio ODIFREDDI


Ieri sera Celentano ha lanciato alcune bombe dal palco dell’Ariston, dove si tiene l’anacronistico Festival di Sanremo. Una delle sue bombe è stata la dichiarazione che Avvenire e Famiglia cristiana dovrebbero chiudere, perchè usurpano il messaggio evangelico e il nome di Gesù. Sono, cioè, espressioni di una Chiesa mondana, invece che spirituale. O, se si preferisce, fanno politica, invece che religione.

Naturalmente, i farisei si stracciano le vesti, non appena qualcuno enuncia una verità al loro proposito. O, almeno, così fanno nei Vangeli. E sembra anche in rete, viste le reazioni sdegnate delle testate incriminate, e dei loro portavoce ufficiali e ufficiosi. Primo fra tutti quel (finto?) tonto del direttore di Rai1, Mario Mazza, che prima concede al cantante lo spazio per poter dire qualunque cosa gli passi in mente, pagandolo pure 350.000 euro a puntata, e poi si stupisce che lui lo faccia.

Ora, i monologhi del cantante sono naturalmente un esempio di banalità travestite da profondità. Ma che le banalità siano appunto banali, non implica che siano necessariamente false. E che la Chiesa rappresentata da Avvenire e Famiglia cristiana sia un’organizzazione molto mondana, e molto poco spirituale, non ci voleva Celentano a scoprirlo, e non è stato scoperto ieri sera!

La Chiesa ama naturalmente interpretare la Grande Meretrice dell’Apocalisse come la Roma imperiale, all’insegna del motto: “i cattivi sono sempre gli altri”. Ma nel corso dei secoli sono stati molti a pensare che fosse invece molto più realistico applicare la cruda metafora alla Chiesa stessa. Basta leggere la Divina Commedia di Dante, o il Trattato sull’Apocalisse di Newton. O ricordare il motivo dello scisma protestante.

Soprattutto, basta orecchiare le inchieste giornalistiche di questi ultimi anni, per rimanere allibiti dalla girandola di scandali che infangano la Chiesa, qui e ora: la pedofilia ecclesiastica, gli intrallazzi dello Ior, i gentiluomini di Sua Santità, le lotte di potere e le malversazioni economiche rivelate dai Vatileaks … Ce n’è per tutti i gusti, e Avvenire e Famiglia cristiana hanno il loro bel daffare a cercare di arginare, smentire e distorcere le rivelazioni, appunto.

Ora, è ovvio che le esternazioni passeggere di Celentano non rischiano certo di far chiudere i due giornali: ci mancherebbe! Ma un po’ di dignità e di senso delle proporzioni non guasterebbero, da parte di chi si ispira al Vangelo, e dovrebbe dunque sapere che è troppo facile, oltre che troppo comodo, guardare la pagliuzza nell’occhio di un cantante, invece delle travi nel proprio.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/02/15/la-famiglia-cristiana-e-nuda/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. L’ultima ora della religione
Inserito da: Admin - Febbraio 25, 2012, 04:29:34 pm
24
feb
2012

Piegiorgio ODIFREDDI

L’ultima ora della religione

E’ uscito l’ultimo rapporto della Conferenza Episcopale Italiana sull’insegnamento della religione nelle scuole. Obtorto collo, per usare la lingua morta che tanto piace ai morti viventi, i vescovi hanno dovuto ammettere una serie di fatti per loro spiacevoli.

Primo. Nei vent’anni trascorsi dal 1993, anno della prima rilevazione, a oggi, per la prima volta la percentuale di studenti che rifiutano l’insegnamento clericale è salito sopra il 10 per cento, per un totale di circa 800.000 studenti. E la tendenza costante è appunto quella di un aumento regolare.

Secondo. I rifiuti sono massimi dove gli studenti possono scegliere per sé, invece di subire le pressioni delle famiglie, e arrivano al 16 per cento nelle superiori. Ma alle scuole materne, dove si può immaginare che i genitori siano più giovani della media, la percentuale è salita dell’1 per cento in un solo anno, dal 7,5 all’8,5 per cento.

Terzo. Le percentuali di rifiuto sono direttamente proporzionali al livello di sviluppo e di cultura del paese. In particolare, sfiorano il 27 per cento al Nord, scendono al 19 per cento al Centro, e crollano a un misero 2,5 per cento al Sud.

Quarto. Nelle superiori, i rifiuti dipendono fortemente dal tipo di scuola. Nei licei artistici sono leggermente superiori al 21 per cento, e nelle scuole professionali e tecniche di poco inferiori. Ad abbassare la media nazionale sono dunque le scuole umanistiche, come i licei classico e scientifico.

Quinto. A fronte della specifica contrazione della frequenza all’ora di religione, e della generale contrazione delle risorse umane ed economiche per la scuola, gli insegnanti di religione sono l’unica categoria a essere aumentata, di ben il 2 per cento in un solo anno, passando dai 12.894 di due anni fa, ai 13.166 dello scorso anno.

Sesto. La propaganda clericale è ormai affidata in massima parte ai fiancheggiatori esterni, e gli insegnanti non-preti (che vengono eufemisticamente, benché letteralmente, definiti “laici”) sono ormai l’88 per cento del totale.

Le conclusioni sono talmente ovvie, che non varrebbe nemmeno la pena di enunciarle. Ma poiché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, forse è utile ripeterle: l’insegnamento religioso fa maggior presa nelle zone più sottosviluppate e meno acculturate del paese, fra le famiglie con genitori più vecchi, nelle scuole più umanistiche e meno scientifiche, e tra gli studenti che non possono scegliere da sé. A buon intenditor, poche parole.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/02/24/lultima-ora-della-religione/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Monti e Passera, santi subito!
Inserito da: Admin - Marzo 01, 2012, 10:48:30 am
27
feb
2012

Monti e Passera, santi subito!


Fin dal primo post sulle aspettative del governo Monti, avevo fatto notare che un governo di bigotti non poteva che essere asservito agli interessi della Chiesa. Puntualmente, la troppo facile profezia si è avverata.

Lasciamo pure perdere i salamelecchi reciproci, che in questi mesi il presidente del Consiglio e i suoi ministri hanno fatto e ricevuto dal Papa e dai suoi cardinali. Lasciamo perdere la corsa all’aeroporto del neo-non-eletto premier, fresco di soli due giorni di governo, per salutare ufficiosamente il Papa in partenza per uno dei suoi soliti viaggi di andata e (purtroppo) ritorno. Lasciamo perdere la visita ufficiale in Vaticano, per prendere ordini a due soli mesi dall’insediamento. Lasciamo perdere il resto della solfa, che potrebbe continuare per pagine.

Ma non possiamo, né dobbiamo, lasciar perdere la scandalosa farsa dell’Imu alla Chiesa. Com’è noto, all’atto della presentazione del decreto Salva Italia il presidente del Consiglio, e il suo degno ministro Passera, avevano entrambi risposto alle domande dei giornalisti al proposito, dicendo testualmente che “non avevano ancora pensato alla questione”. Sempre in chiesa entrambi, ma troppo impegnati a parlare con Dio, come De Gasperi, per potersi accorgere dei preti, come Andreotti.

Per fortuna, molti pensavano, ci sono l’Unione Europea e la sua procedura di infrazione per illeciti aiuti di Stato, aperta nel 2010 e ancora in corso. Finalmente, molti credevano, il Vangelo sarà vendicato e la Chiesa dovrà accettare, sia pur di malavoglia, di dare a Cesare ciò che è di Cesare. E quando Monti ha parlato al Parlamento Europeo, e annunciato che intendeva ripristinare la legalità violata da Mussolini e da tutti i suoi successori, per un momento persino io ci ho creduto.

Che ingenuo, a fidarmi anche solo per un momento di un bigotto! Dapprima abbiamo assistito a un balletto di dichiarazioni farisaiche, in cui Bertone e Bagnasco da un lato, e Monti e Passera dall’altro, dicevano che era giusto che la Chiesa pagasse il giusto. E poi abbiamo capito che il giusto, come lo intendevano appunto i novelli Farisei, sarebbe “non pagare le tasse quando si dichiara di non fare profitti”: ovviamente, non per i milioni di lavoratori onesti, che alla fine del mese accumulano effettivamente solo debiti, ma per le attività commerciali e a pagamento di una delle multinazionali più ricche del mondo!

La magra soddisfazione di questa farsa, è poter dire che l’avevamo prevista. La triste realtà, è che la Chiesa ci ha messi nel sacco un’altra volta. Anzi, due. Perchè ormai abbiamo capito che la legge sarà formulata in modo da bloccare la procedura di infrazione europea, e da permettere alla Chiesa di continuare a fare ciò che ha sempre fatto: rubare ai poveri che pagano le tasse, perché così lo stesso Monti ha definito l’evasione fiscale, per dare ai ricchi che non le pagano. Il tutto, ovviamente, nel nome di Dio e nel nome di Gesù Cristo. Amen, purtroppo, almeno per noi.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/02/27/monti-e-passera-santi-subito/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Pirati veri e presunti
Inserito da: Admin - Marzo 08, 2012, 04:48:05 pm
6
mar
2012


Pirati veri e presunti

Piergiorgio ODIFREDDI


Qualcuno ricorderà uno scandaloso episodio di alcuni anni fa. Il 3 febbraio 1998 un aereo militare dei marines, partito dalla base di Aviano, recise i cavi della funivia del Cermis, in Val di Fiemme, provocando la morte di 20 persone.

Gli americani, da bravi coloni del mondo, cercarono dapprima di negare l’accaduto, arrivando a insinuare che la funivia era caduta per conto suo. La popolazione insorse, di fronte all’arroganza della superpotenza. La richiesta di processare in Italia i quattro responsabili della strage fu negata, in base alla Convenzione di Londra sullo statuto dei militari della Nato.

Il processo farsa contro il pilota Ashby e il navigatore Schweitzer si svolse di fronte a un tribunale militare della Carolina del Nord nel marzo 1999, e si concluse con un’assoluzione. Nel maggio 1999 i due furono riprocessati per un reato minore (la distruzione dei nastri di volo), degradati e rimossi dal servizio. Il pilota fu condannato a sei mesi, ma ne scontò solo quattro.

Il Senato degli Stati Uniti stabilì nel febbraio 1999 un risarcimento danni di 40 milioni di dollari per i famigliari delle vittime e la riparazione dei danni, ma il Congresso non ratificò il provvedimento, che decadde. Il risarcimento fu poi pagato nel dicembre 1999 dal governo italiano, e rimborsato al 75% dal governo degli Stati Uniti.

Il comportamento dell’esercito, del parlamento e del governo degli Stati Uniti dimostrò che al mondo esistono stati prepotenti e arroganti, che rivendicano l’impunità per le azioni criminali perpetrate dai propri militari all’estero, soprattutto quando compiute ai danni dei cittadini di stati che essi considerano come vassalli o subordinati.

L’episodio dei due marò italiani, accusati dell’omicidio di due indiani in una sedicente azione “antipirateria” nelle acque dell’Oceano Indiano, ha inquietanti analogie con l’episodio del Cermis. Vi si ritrovano la stessa arroganza da parte dei militari e del governo italiano, nei confronti dei cittadini e dello stato indiano, che gli americani avevano dimostrato nel confronto dei nostri.

Il ministro degli Esteri italiano ha definito la situazione “inaccettabile”. Ha ragione, ma nel senso contrario a quello che lui intende. I tribunali e la popolazione indiana si stanno infatti comportando, nei confronti dei nostri militari, esattamente come si erano comportati i tribunali italiani e la popolazione italiana nei confronti dei militari americani.

In entrambi i casi, può darsi che la legislazione internazionale permetta di trovare scappatoie formali per sottrarre gli accusati a un giusto processo, facendoli evadere dal luogo del crimine e sottoponendoli a un giudizio addomesticato a casa loro. Ma la giustizia universale e sostanziale reclamerebbe che i militari stranieri non stessero anzitutto a casa d’altri. E che quando vi combinano gli inevitabili guai che prima o poi succedono quando vi stanno, ne pagassero almeno le conseguenze, invece di pretendere un’impunità mascherata da immunità.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/03/06/pirati-veri-e-presunti/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Quel coccodrillo del Papa
Inserito da: Admin - Marzo 24, 2012, 03:25:38 pm
23
mar
2012

Quel coccodrillo del Papa

Piergiorgio ODIFREDDI

Il Papa è partito per il Messico e Cuba, per una missione di fondamentale importanza: riportare “a casa” un cucciolo di coccodrillo di una specie in via di estinzione, sequestrato dal Corpo Forestale dello Stato a un privato che lo teneva illegalmente in casa, affidato alle cure del Bioparco di Roma, e infine donato al Papa a causa della sua nota passione per gli animali, dai gatti domestici agli orsi bruni dello stemma.

Vista la solennità dell’occasione, il presidente del Consiglio si è di nuovo precipitato all’aeroporto, per salutare il bianco vegliardo al suo ventitreesimo viaggio “all’estero”: come se, per chi vive e regna nello stato indipendente della Città del Vaticano, anche l’Italia non fosse, e non dovesse essere, “estero”.

Ma tant’è. Evidentemente il Papa in Italia si sente a casa sua, e le sottomesse autorità dello Stato fanno a gara per confortarlo in questo suo sentimento. Ad esempio, fornendogli un aereo dell’Alitalia per il suo viaggio di andata, mentre il viaggio di ritorno viene in genere offerto dall’ultimo paese visitato. In genere, appunto, ma non sempre, perché a volte l’aereo dell’Alitalia, dopo aver portato il passeggero e la sua corte a destinazione, attende l’intera compagnia e la riporta indietro, al patrio “estero meno estero”.

Ora, il presidente del Consiglio ha fatto, delle vuote azioni dimostrative, una caratteristica del suo governo: forse per distogliere populisticamente l’attenzione dalle piene misure dei suoi provvedimenti antipopolari (nel senso, letterale, di “contro il popolo”). Una di queste azioni dimostrative è la proibizione di usare aerei e voli di stato per i ministri che non siano in missione ministeriale, e per i loro amici e parenti in qualunque occasione.

La coerenza non vorrebbe dunque che si cominciasse anche a far dimostrativamente pagare al Papa i costi dei suoi numerosi viaggi all’estero-estero? E, per buona misura, anche quelli all’estero-meno-estero, cioè in Italia? Anche perché, così non facendo, si assimilerebbe il Papa in sedicente “missione apostolica” a un nostro funzionario di Stato in missione ministeriale. Per non dire, più realisticamente, al nostro capo di Stato in missione diplomatica.

Naturalmente, si tratterebbe solo di gocce d’acqua nell’oceano dei finanziamenti al Vaticano e alla Chiesa, che questo governo si è ben guardato dall’intaccare, dopo averli fintamente e timidamente messi in discussione. Ma si tratterebbe almeno di un contentino offerto a coloro che si vedono depredati addirittura del diritto al lavoro e della sua tutela, negli stessi giorni in cui il cagnolino Monti saluta scodinzolante il Papa che parte per i Caraibi con il suo coccodrillino.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/03/23/quel-coccodrillo-del-papa/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La danza della pioggia
Inserito da: Admin - Aprile 05, 2012, 10:37:08 am
31
mar
2012

La danza della pioggia

Piergiorgio ODIFREDDI

Il cardinale di Firenze, sua eminenza Giuseppe Betori, ha lanciato un appello a “pregare per il dono della pioggia”. Il sindaco di Trebaseleghe, l’insegnante di religione Lorenzo Zanon, gli ha fatto eco, ricordando che “le preghiere per la pioggia sono sempre esistite”. Anche se, a dire il vero, una volta i selvaggi le chiamavano più semplicemente “danze”.

I secoli e i millenni passano, ma la tribalità e i selvaggi rimangono. Vallo a spiegare, a quei buontemponi che credono ancora in Eolo e Giove, timidamente mascherati da Dio Padre, che il vento e la pioggia sono fenomeni regolati dalle leggi della fisica, e non dai capricci delle divinità, dell’Olimpo o del Sinai che siano.

Vallo a spiegare, a quei sempliciotti che non leggono altro che libri di duemila anni fa, che nel 1963 Edward Lorenz ha trovato un semplice modello matematico del tempo atmosferico, regolato da tre piccole equazioni differenziali ordinarie, che esibisce un comportamento caotico. E che in quelle equazioni non c’è nessun posto per gli dèi o per Dio, come d’altronde non c’è in nessun’altra equazione della fisica, della chimica o della biologia.

Vallo a spiegare, a quelle caricature di credenti, che se anche ci fosse un Dio onnisciente e onnipotente, per definizione saprebbe cosa deve fare, e sarebbe in grado di farlo. Dunque, se decidesse di non far piovere per un po’, così dovrebbe essere, per il bene supremo dell’universo, o almeno della Terra. E le preghiere di far piovere, non potrebbe che interpretarle come un ridicolo e patetico tentativo di insegnare ai gatti ad arrampicarsi.

Signor cardinale, signor sindaco, signori danzatori, forse è ora che apriate gli occhi alla realtà. E anche a qualche libro, che vi aggiorni su quello che è successo al mondo, dai tempi a cui vi siete fermati. Eolo e Giove nel frattempo sono andati in pensione, ed è inutile che vi affanniate a invocarli. Più utile sarebbe invece, gli uni per gli altri, che in pensione ci andaste pure voi.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/03/31/la-danza-della-pioggia/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Fine di un troglodita
Inserito da: Admin - Aprile 06, 2012, 04:36:05 pm
5
apr
2012

Fine di un troglodita

Pierfiorgio ODIFREDDI

Finalmente esce di scena, travolto dagli scandali, uno dei tribuni del popolo più rozzi e imbarazzanti che abbia mai avuto il nostro paese, che pure ci ha fatto ripetutamente vergognare per la levatura personale, morale e politica della sua classe dirigente.

Umberto Bossi ha incarnato per venticinque anni l’anima più rudimentale, ignorante e becera dell’italiano medio. E la Lega Nord ha rappresentato gli interessi più provinciali, conservatori e qualunquisti di una piccola (anzi, piccolissima) borghesia, degnamente rappresentata dal suo indegno leader.

Quello che molti indicavano come un “politico finissimo” era ed è, in realtà, soltanto una persona sgradevole e volgare, i cui unici argomenti dialettici non andavano oltre il dito medio continuamente alzato verso l’interlocutore, e il vaffanculo continuamente biascicato come un mantra.

Il cosidetto “programma politico” della Lega, d’altronde, era all’altezza di questa bassezza, e si limitava al protezionismo nei confronti dei piccoli commercianti e dei piccoli coltivatori e allevatori diretti, condito da anacronistici proclami per la secessione e l’indipendenza di una fantomatica Padania.

Le patetiche cerimonie a Pontida, e le ridicole simbologie solari o guerriere, rimarranno nella storia del kitsch, a perenne ricordo delle camicie verdi: versione di fine secolo delle camicie nere o brune della prima metà del Novecento, e ad esse accomunate dall’ottuso odio razziale e xenofobo.

Che un movimento e un leader di tal fatta abbiano potuto raccogliere i consensi di una parte consistente della popolazione del Nord Italia, era ed è un’ironica smentita della sua supposta superiorità nei confronti di “Roma ladrona” e del “Sud retrogrado”, oltre che una testimonianza significativa del suo imbarbarimento.

Come se non gli fossero bastati luogotenenti quali Borghezio, Calderoli o Castelli, negli ultimi tempi Bossi aveva lanciato e imposto in politica il proprio figlio degenere. E’ un degno contrappasso, il fatto che proprio le malefatte del rampollo abbiano contribuito alla caduta del genitore. E, speriamo, anche del suo movimento.

Padre e figlio possono ringraziare la fortuna che li ha fatti nascere in Italia, e non in Iraq o in Libia, anche se entrambi hanno contribuito a far regredire il nostro paese al livello di quelli. Non li vedremo dunque trascinati nella polvere, e giustiziati sommariamente: ci acconteremo, o accontenteremmo, di vederli sparire con ignominia dalla politica e dalle nostre vite. Anche se le grida di “tieni duro” da parte dei loro sostenitori ci fanno temere parecchio al riguardo.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/04/05/fine-di-un-troglodita/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Chi ha paura dello spread?
Inserito da: Admin - Aprile 23, 2012, 11:39:04 pm
23
apr
2012

Chi ha paura dello spread?

Piergiorgio ODIFREDDI

La notizia economica del giorno è, o sarebbe, che le elezioni politiche francesi e la crisi di governo olandese, oltre a provocare una caduta delle borse, hanno causato un aumento dello spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi.

Ora, non bisogna essere dei geni per capire che in questa pseudodeduzione di un supposto effetto italo-tedesco da una causa franco-olandese c’è qualcosa di molto sospetto. Anzi, un vero e proprio errore logico, chiamato dagli scolastici post hoc, ergo propter hoc: “dopo, dunque a causa di”.

Si tratta, naturalmente, di un errore comunissimo e diffusissimo. E’ lo stesso compiuto da coloro che si prendono un raffreddore o un cancro, pregano il loro taumaturgo di fiducia perchè interceda presso il dio dei raffreddori o dei cancri, guariscono, e finiscono per credere nell’efficacia delle loro giaculatorie, invece che nel funzionamento del sistema immunitario. O delle medicine, che spesso affiancano “per maggior sicurezza” alla terapia vodoo.

Un errore contrario, molto meno comune e diffuso, consiste nel credere che non ci sia mai un legame tra le cause e gli effetti. Anzi, che la causalità non sia altro che una superstiziosa elevazione del post hoc, ergo propter hoc a principio, come sosteneva appunto lo scettico David Hume nel Trattato sulla natura umana.

Nel caso delle fluttuazioni dello spread in particolare, e della borsa in generale, la teoria economica classica ritiene che esse siano appunto effetti deterministici provocati da cause oggettive, attraverso la mediazione soggettiva degli operatori economici. E a volte può anche essere utile far finta di crederci: ad esempio, quando si riesce in tal modo a mettere finalmente fuori gioco Berlusconi, grazie al supposto legame fra le sue “politiche” e il superamento del livello di guardia dello spread.

Questo non significa, però, che ci si debba credere veramente. E, meno che mai, che si debba guardare alla borsa come a un termometro in grado di indicare una supposta febbre del mercato, e basare sui suoi responsi una terapia di risanamento da una supposta malattia dell’economia. Terapia che, nel caso nostro, sarebbero le misure economiche del governo Monti, “suggerite” dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale.

In realtà, sono ormai passati 150 anni da quando Jules Regnault intuì, nel Calcolo del rischio e filosofia della borsa, che i mercati si muovono in maniera casuale, allo stesso modo degli ubriachi (o, se si preferisce, dei pollini in sospensione nell’acqua). Ed è passato più di un secolo, da quando Louis Bachelier iniziò a studiare in maniera matematica La teoria della speculazione.

Per immunizzarsi dai post hoc, ergo propter hoc del sedicente determinismo finanziario, un ottimo vaccino è il libro di Benoit Mandelbrot e Richard Hudson su Il disordine dei mercati (Einaudi, 2005). Ma i pigri possono meditare su un semplice fatto: che se si investe 100, e la borsa prima perde il 10%, e poi guadagna il 10%, ci si ritrova con 99. E se si investe 100, e la borsa prima guadagna il 10%, e poi perde il 10%, ci si ritrova di nuovo con 99. “Strano gioco, l’unico modo per vincere è non giocare”, direbbe il computer di War games. E avrebbe ragione.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/04/23/chi-ha-paura-dello-spread/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Scherzi da prete
Inserito da: Admin - Maggio 06, 2012, 04:55:14 pm
4
mag
2012


Scherzi da prete

  Piergiorgio ODIFREDDI

Sfoglio “Repubblica” di oggi, e non posso non notare l’ironia della sorte, se tale veramente è stata, che ha accoppiato in due paginate consecutive due notizie contrapposte sulla Chiesa.

La prima è una pubblicità a pagamento, relativa alle “Destinazioni dell’8xMille alla Chiesa. Cattolica”. Per il 2011, si è trattato di 1064 milioni di euro, così utilizzati: 235 milioni per “la carità in Italia e nel terzo mondo”, 468 per “le opere di culto e pastorale per la popolazione”, e 361 per “il sostentamento dei sacerdoti”.

Ora, l’8 per 1000 è stato introdotto nel 1986 in sostituzione della vecchia congrua, che pagava appunto lo stipendio ai sacerdoti. Poiché solo un terzo dell’imposta viene utilizzata a quel fine, la logica vorrebbe che l’eccedenza venisse trattenuta dallo Stato.

O, se si preferisce, l’illogica della revisione del Concordato, firmata da quel farabutto di Craxi, ha praticamente triplicato l’onere del tributo, a carico dei cittadini italiani e a favore della Chiesa.

La quale utilizza quasi metà del ricevuto per faccende molto prosaiche, come la “nuova edilizia di culto”: cioè la costruzione di nuove chiese (in un paese in cui, com’è noto, esse scarseggiano drammaticamente), ovviamente esentate dall’Imu. O per imprecisate “iniziative di rilevo nazionale”: probabilmente sfilate in costumi medievali, o gite in varie e variopinte Disneylandie della creduloneria.

La seconda notizia è la condanna per pedofilia a 9 anni e mezzo di don Seppia, parroco di Genova. Uno dei sacerdoti sostentati con i 361 milioni dell’8 per 1000, ma non l’unico pedofilo. Anzi, uno dei tanti in Italia e nel mondo, benché nel mondo se ne parli molto più che in Italia.

Il Papa ha pianto, soprattutto all’estero, molte lacrime di coccodrillo per le sue “pecorelle smarrite”. Anche se il rapporto ufficiale sui casi dell’Irlanda, ad esempio, ha mostrato che non si tratta affatto di casi singoli, ma di un vero e proprio “comportamento endemico” del clero.

Le lacrime sono liberatorie, ovviamente. Ma non sarebbe anche “degno e giusto, equo e salutare” restituire i fondi utilizzati per l’allevamento e il pascolo di questi lupi, pastoralmente travestiti da pecore nere?

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/05/04/scherzi-da-prete/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. L’Europa s’è desta
Inserito da: Admin - Maggio 08, 2012, 04:47:18 pm
8
mag
2012

L’Europa s’è desta

Piergiorgio ODIFREDDI

La parola “Europa” viene usata in almeno due significati. Il primo, intensivo, indica l’Unione Europea e i suoi organi: in particolare, l’inetto Parlamento Europeo e la famigerata Banca Centrale Europea, guidata da(i) Draghi. Il secondo significato, estensivo, si riferisce invece alla totalità degli europei: cioè, degli abitanti dei paesi della comunità.

Mai, come in questo weekend, si è potuta notare la contrapposizione fra i due significati di questa stessa parola. Le elezioni in Francia, Grecia e Italia hanno infatti mostrato palesemente che gli organi centrali dell’Unione Europea, e le politiche che essi pretendono di imporre, in coalizione con l’altrettanto famigerato Fondo Monetario Internazionale, non sono democraticamente accettate dalle popolazione, ma dittatorialmente imposte ai e dai governi nazionali.

In Grecia, l’analogo del governo Monti è stato ingloriosamente bocciato per aver accettato il ricatto economico degli strozzini di Bruxelles e dei due “uomini” forti dell’Unione: la Merkel e Sarkozy. Quest’ultimo, non ha neppure ricevuto la riconferma dai propri concittadini: a dimostrazione che i due leader, più che agire a favore dei tedeschi e dei francesi, parlano in nome e per conto dei mercati, delle borse e delle banche mondiali. Ma gli elettori se ne accorgono, per fortuna.

In Italia le amministrative hanno provocato la dissoluzione del Popolo della Libertà economica, e della Lega nordista. Il Partito Democratico non ha avuto un tracollo, ma invece di essere grato alla sorte, ha già annunciato per bocca del suo “leader” Bersani un più convinto e deciso sostegno al governo. Sostegno esteso, per buona misura, anche al nuovo presidente francese, che è stato eletto con un programma opposto a quello di Monti.

Evidentemente, il “ma anche” del Vicerè di De Roberto e Faenza, continua a essere la parola d’ordine anche del vicerè di Veltroni. E, nel frattempo, la giusta ribellione dell’elettorato viene dirottata sul Movimento 5 Stelle di Grillo: vedremo se esso riuscirà a passare il guado che separa il comico del suo ispiratore, dal tragico della congiuntura attuale. E a evitare il rischio di occupare semplicemente gli spazi del populismo qualunquista lasciati liberi dalla Lega.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/05/08/leuropa-se-desta/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La guerra dei poveri
Inserito da: Admin - Luglio 05, 2012, 11:54:11 am

2
lug
2012

La guerra dei poveri

Piergiorgio Odifreddi
 
Io non le ho viste, essendo “lontano dal suolo natio”. Ma sembra che questa sera le piazze italiane fossero invase dalla gente.
Per assistere all’epico sbarco in diretta dell’uomo su un altro pianeta? Per osservare una bella eclisse di luna o una cometa? Macché!
Per guardare una sciocca partita di calcio…

Siamo nel bel mezzo di una crisi economica di proporzioni epocali, e la gente si appassiona alle gesta (o meglio, ai gesti) calcistici di giocatori superpagati e milionari, capitanati da uno scommettitore di frodo. Come se le sorti dell’Italia dipendessero dai piedi di una dozzina di cittadini di “serie A” (si fa per dire), invece che dal cervello e dai gomiti di tutti noi.

Lo stesso presidente della Repubblica, evidentemente nel pallone pure lui, è sceso in campo. Dapprima visitando negli spogliatoi questi eroi in mutande dei “tempi moderni”: quelli di Chaplin, naturalmente, non i nostri… E poi scrivendo all’allenatore una lettera piena di espressioni di vuota retorica, quasi a delegare alla squadra il compito di rappresentarci all’estero, che invece la Costituzione assegna a lui.

Ora, sarà forse un caso, ma le due nazionali che si contendevano il titolo europeo erano quelle di due paesi che sono in bilico sui confini dell’Europa. Forse una finale Spagna-Grecia sarebbe stata più simbolica di questa guerra dei poveri, ma anche una finale Spagna-Italia non è male, dal punto di vista dell’ironia della sorte.

Godiamo pure di aver conteso alla Spagna l’onore del titolo europeo di calcio, nello stesso momento in cui le contendiamo il disonore del primato dello spread o del default. Così va il mondo, coi ricchi che non arrivano in finale agli europei ma dettano legge sui mercati, e i poveri che ballano sui Titanic delle loro nazioni che affondano.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/07/02/824/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La particella dell’ateo
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2012, 10:01:09 am

9
lug
2012

La particella dell’ateo

 Piergiorgio ODIFREDDI

Nel suo best-seller “Dal Big Bang ai buchi neri”, Steven Hawking ha enunciato la seguente legge del divulgatore: “Una formula in un libro dimezza il numero di lettori, e una citazione del nome di Dio li raddoppia”. Un possibile equilibrio si raggiunge dunque accompagnando ogni formula con una giaculatoria.

Ma i divulgatori in genere preferiscono puntare a un guadagno netto, limitandosi a nominare il nome di Dio. I più sprovveduti lo fanno sulla base di un sillogismo fallace: poiché dai tempi di Cardano si sa che una entità immaginaria (la radice di -1) ha molto a che fare con la scienza, allora ci si illude che qualunque altra entità immaginaria (in particolare, Dio) ne abbia.

Certamente non era uno sprovveduto il premio Nobel per la fisica Leon Lederman, che una ventina di anni fa intitolò un suo libro sul Modello Standard “La particella-Dio (The God particle)”. Ma, per ironia della sorte, solo perché l’editore non gli permise di intitolarlo più sensatamente “La particella-Dio-Dannato (The Goddamn particle)”.

Altrettanto certamente, sono degli sprovveduti i teologi professionisti o dilettanti (ammesso che ci sia differenza), che hanno inondato i media di commenti ipereccitati e ipoinformati sull’anello (finora) mancante del Modello Standard. Stimolati, naturalmente, non da questo suo importante ruolo, ma dal suo inconsistente nomignolo.

In realtà, il bosone previsto da Higgs (il quale, per la cronaca, è ateo) è la più naturale spiegazione del meccanismo di acquisizione della massa. E la vera sorpresa sarebbe stata NON trovarlo: non certo osservarlo esattamente al livello di energia previsto dalla teoria, e ora raggiunto dai moderni acceleratori.

Inutile dire che il bosone di Higgs non ha niente a che fare con Dio, Benedetto o Dannato che sia. Così come non ce l’hanno le gocce d’acqua, la cui esistenza spiega perfettamente l’arcobaleno: un altro dei fenomeni che, come l’acquisizione della massa, la credulità popolare attribuiva a Dio, e che invece appartengono (come tutto il resto) solo alla Natura.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/07/09/la-particella-dellateo/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Un’esperienza quasi “mistica”
Inserito da: Admin - Luglio 13, 2012, 06:31:06 pm

13
lug
2012

Un’esperienza quasi “mistica”

Piergiorgio ODIFREDDI

Succede raramente di trovarsi in luoghi e in condizioni che quasi ci sopraffanno, per una loro combinazione. O almeno, succede raramente alle persone “normali”, perché i cosiddetti “mistici” sembra vi si trovino per professione: forse perché, avendo una soglia di sopraffazione bassa, la superano facilmente.  Io ho superato la mia qualche giorno fa, durante un viaggio nei parchi naturali degli Stati Uniti sud-occidentali, nei cosiddetti Four Corners.

Se ci sono luoghi adatti a sopraffare, quelli sono ottimi candidati. La dimensione delle Sequoia giganti, la depressione della Valle della Morte, l’immensità del Grand Canyon, lo squarcio del Cratere Meteoritico, la mutazione chimica della Foresta Pietrificata, l’architettura indiana della Mesa Verde, la delicatezza degli Archi di pietra, l’ambiente fiabesco di Bryce Canyon… Tutto cospira a creare un sentimento di rispetto e ammirazione per la varietà della Natura.

Per la sopraffazione, però, sono anche necessarie condizioni particolari. Come quella di trovarsi da solo, senza un corpo vivo attorno, sopra la confluenza del Rio Verde e del Colorado, a Canyonlands. E di poter osservare nel silenzio umano più assoluto la quasi immobilità dei due maestosi fiumi che procedono pigramente, dapprima appaiati, l’uno verde e l’altro marrone, e poi fusi gradualmente in una sola entità di un unico colore.

Essi si dipanano nei canyon da loro stessi scavati per eoni, con meandri a forma di ferro di cavallo. Ma c’è voluto il genio di Charles Lyell, due secoli fa, per capire che questi paesaggi, come tutti gli altri sulla Terra, non erano le opere del catalogo di
qualche artista supremo, bensì il risultato dell’evoluzione geologica prodotta da minime variazioni sommate in tempi massimi.

L’incommensurabilità tra le dimensioni spaziali e le vite temporali di quei canyon e quei fiumi, e quelle dell’unico uomo che ne osservava in quel momento la confluenza, li separava. La gratuita e limitata esistenza di quelli e di questo, li accomunava. E per un attimo, solo per un attimo prima di riprendersi,  l’uomo è stato sopraffatto dai canyon e dai fiumi.

http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/07/13/unesperienza-quasi-mistica/


Titolo: Piergiorgio raccontala giusta chi disprezza ama. O preferisci il Silvio?
Inserito da: Admin - Agosto 09, 2012, 11:26:53 pm

7
ago
2012

Monti, taumaturgo fasullo

Piergiorgio ODIFREDDI

Un ingranaggio che si è inceppato nella CPU del premier-robot, gli ha fatto fare un’azzardata e inverificabile dichiarazione controfattuale al Wall Street Journal: “Se il precedente governo fosse ancora in carica, ora lo spread italiano sarebbe a 1200”. E la macchina in folle ha subito aggiunto, inconsapevolmente ironica: “Non c’è alcuna intenzione polemica nei confronti del passato esecutivo”.

Naturalmente, a noi cittadini Monti può dire quel che gli pare: tanto i nostri voti non gli servono, visto che il suo governo non l’abbiamo eletto. Ma Berlusconi si è comprensibilmente seccato, e poiché invece i voti dei suoi portaborse in Parlamento a Monti servono, il governo è subito andato sotto in un voto sulla Spending Review. Tanto per chiarire chi comanda …

Ora, Monti non può naturalmente sapere come sarebbe lo spread se lui non fosse al governo. Ma poiché gli piace presentarsi, ed essere presentato, come l’unico possibile salvatore della patria, gli dà ovviamente fastidio che lo spread sia invece esattamente ai livelli in cui era quando è stato chiamato con le fanfare a salvarla. Cioè, gli dà fastidio dover ammettere che tra Berlusconi e lui, da questo punto di vista, non è cambiato niente.

D’altronde, e sono mesi che lo ripetiamo, non è cambiato niente da nessun punto di vista. Le misure che Monti ha preso, sono esattamente quelle che Berlusconi avrebbe sempre voluto prendere, senza mai poterlo fare, a causa dell’opposizione interna della sua coalizione. Opposizione che ora è esterna al governo Monti, e che aveva già fatto cadere Berlusconi nel 1994, non appena questi aveva provato a proporre una riforma delle pensioni nello stile scellerato alla Monti-Fornero.

Come prima, anche oggi i costi della crisi ricadono sui lavoratori dipendenti e i pensionati. E, come prima, anche oggi non vengono toccati gli evasori fiscali, le lobby (taxisti e company), le banche e la Chiesa. L’unica differenza, forse, sono le notti dei due presidenti del Consiglio. Anche se su Monti, come su tutti i baciapile, non ci metterei comunque la mano sul fuoco, per paura di bruciarmela.

ll Wall Steet Journal sostiene che Monti ha una natura da tedesco e un umorismo da inglese. Sarà, ma certo un tratto tipico da italiano ce l’ha: crede nei miracoli. Anzi, crede addirittura di poterli fare lui, come Padre Pio e altre dubbie glorie nazionali. Naturalmente, rischia di fare la loro stessa fine: essere osannato come un santo dai fedeli che cantano in coro, ma considerato un ciarlatano da coloro che non si uniscono al gregge.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/08/07/monti-taumaturgo-fasullo/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Perché la matematica?
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2012, 04:48:34 pm

28
ago
2012

Perché la matematica?

Piergiorgio ODIFREDDI

Due settimane fa, l’inserto domenicale del New York Times ha pubblicato un articolo intitolato L’algebra è necessaria? A porsi la domanda non era ovviamente un matematico, o uno scienziato. Bensì, un politologo, preoccupato del fatto che ormai nelle scuole statunitensi la matematica sia diventata un ostacolo obbligatorio, che devono superare tutti coloro che poi vorranno iscriversi a qualunque tipo di corso di laurea all’università, scientifico o umanistico che sia.

“Pure i poeti o i filosofi devono studiare la matematica alle superiori”, si scandalizzava il povero politologo! E il suo argomento era che è giusto far sudare sulle equazioni o i polinomi gli studenti che se lo meritano, perché vogliono diventare ingegneri o fisici. Ma perché mai torturare gli altri, così sensibili, che vogliono invece scrivere versi o dedicarsi alla metafisica? Da noi, queste cose le dicevano Croce e Gentile un secolo fa, e il bel risultato che si ottiene a non far studiare la matematica agli umanisti lo si vede anzitutto dalle loro opere filosofiche, appunto.

Più in generale, non è certamente un caso che la filosofia analitica, che monopolizza il mondo anglosassone, sia così diversa da quella continentale, che domina nella vecchia Europa. Lo standard di rigore adottato dalla prima è infatti contrapposto allo stile letterario della seconda, e la matematica insegna anzitutto proprio quello standard. Questo è il primo motivo per studiarla: perché chi viene forgiato da una logica ferrea, nella quale un solo segno sbagliato può provocare disastri irreparabili, non si accontenterà più dei non sequitur di Heidegger o di Ratzinger, e rimarrà felicemente sordo alle sirene della metafisica filosofica o teologica.

Naturalmente, la ragione ha una sua bellezza. Dunque, il secondo motivo per studiare la matematica è educare l’occhio o l’orecchio della mente, per essere in grado di vederla o sentirla, questa bellezza. In fondo, nessuno si chiede perché si creano e si fruiscono l’arte o la musica: semplicemente, sono espressioni dello spirito umano, che soddisfano ed elevano chi le intende. Ma pochi sanno che c’è tanta bellezza nei progetti di Fidia, nelle fughe di Bach o nei quadri di Kandinsky, quanta ce n’è nei teoremi di Pitagora, di Newton e di Hilbert.

Gli esempi non sono scelti a caso. Perché nell’arte e nella musica ci sono, e ci sono sempre state, correnti razionaliste che parlano lo stesso linguaggio della matematica. E capire e apprezzare i loro prodotti richiede lo stesso grado di istruzione, e lo stesso livello di addestramento, che servono per capire e apprezzare i teoremi e le dimostrazioni. In entrambi i casi, all’insegna del motto che, certe cose, “intender non le può chi non le prova”.

E’ ovvio che certa arte e certa musica, allo stesso modo della matematica, richiedono uno sforzo superiore di quello sufficiente per guardare una pubblicità, orecchiare una canzonetta o leggere un romanzetto. Anche scalare l’Himalaya o le Alpi è più impervio che andare a passeggio, ma solo così si possono conquistare le vette, delle montagne o della cultura. E questo è il terzo motivo per studiare la matematica: perché lo sforzo di concentrazione e lo studio assiduo che sono necessari per fruirla, vengono ampiamente ricompensati dalle altezze intellettuali a cui elevano coloro che li praticano.

Infine, il quarto motivo per studiare la matematica è che serve. Senza le derivate e gli integrali, non avremmo la tecnologia meccanica ed elettromagnetica, dalle automobili ai telefoni. Senza la logica matematica, non ci sarebbero i computer. Senza la teoria dei numeri, i nostri pin sarebbero insicuri. Senza il calcolo tensoriale, i navigatori satellitari non funzionerebbero. Addirittura, senza la geometria non sarebbe stato scoperto il pallone da calcio.

Ma senza tutte queste cose, non saremmo comunque meno uomini, o uomini peggiori. Senza la ragione, la bellezza e la cultura, invece, sì. E’ per questo che la giustificazione utilitaristica, che di solito viene invocata per prima, qui appare non solo come last, ma anche come least: cioè, per ultima, anche in ordine di importanza.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/08/28/perche-la-matematica/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. No Martini no party
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2012, 12:07:34 pm

1
set
2012

No Martini no party

Piergiorgio ODIFREDDI

Carlo Maria Martini, ex arcivescovo di Milano ed ex candidato al soglio pontificio, è morto ieri a ottantacinque anni, e la sua scomparsa viene accolta con particolare cordoglio anche dai laici. Dal canto loro, i media si sono concentrati sulla sua decisione di rifiutare l’accanimento terapeutico, compresa l’alimentazione forzata che aveva tanto a lungo tenuto Eluana Englaro in vita (volendo insistere a chiamare “vita” uno stato di pura sopravvivenza vegetativa).

Questo è il destino degli uomini di chiesa, e più in generale di fede: di venir rispettati e osannati per aver sostenuto o difeso posizioni di apertura e di buon senso, soltanto perché da loro ci si aspetta che si schierino per default dalla parte della chiusura e dell’insensatezza. Una condizione in fondo comoda e privilegiata, condivisa con gli estremisti politici quali l’onorevole Gianfranco Fini, che ogni tanto si ravvedono parzialmente, e scoprono pure essi l’acqua calda nei campi dell’etica e della convivenza civile.

In entrambi i casi, religioso e politico, il problema naturalmente sta nel giudicare il residuo delle loro ideologie di default, appunto. E non risulta che il cardinal Martini sia stato un dissidente come padre Leonardo Boff, o un recalcitrante come il teologo Hans Küng, che a suo tempo l’attuale pontefice rispettivamente ridusse allo stato laicale, e sospese dall’insegnamento teologico. Anzi, Martini è stato il grande elettore dell’ultraconservatore Benedetto XVI, e ancora lo scorso 3 giugno ha tenuto ad andare a salutarlo a Milano, pur essendo gravemente malato.

In realtà, quello tra Martini e Ratzinger è stato un ovvio gioco delle parti, giocato ad majorem Dei gloriam, secondo il motto dei gesuiti come Martini. O meglio, ad majorem Ecclesiae gloriam, per coprire rispettivamente da ali sinistra e destra l’intero campo da gioco. Non a caso, entrambi hanno istituito due analoghi specchietti per attirare le compiacenti allodole sedicenti “laiche”: la Cattedra dei Non Credenti il primo, a Milano, e il Cortile dei Gentili il secondo, urbi et orbi.

In realtà, il programma degli incontri è ben sintetizzato in un intervento conclusivo dello stesso cardinal Martini alla dodicesima delle sue Cattedre, dal programmatico titolo Orizzonti e limiti della scienza (Cortina, 1999): “Scritture dell’uomo: i risultati della matematica, dell’astronomia, della fisica, della biologia, nonché della stessa filosofia. Scrittura di Dio: le Scritture ebraico-cristiane, la Bibbia. Confido che le pagine di questo volume abbiano suscitato in qualcuno la voglia e il gusto di leggere più a fondo le scritture dell’uomo e la Scrittura di Dio”.

Ecco, fino a quando si continueranno a considerare le scienze “scritture dell’uomo”, al plurale e con le minuscole, e la teologia “Scrittura di Dio”, al singolare e con le maiuscole, non ci potrà essere nessun vero dialogo tra “pensanti e non pensanti”. Così li chiama giustamente (ma sbagliando l’ordine dei termini) Massimo Cacciari, citando Norberto Bobbio: due filosofi della compagnia di giro dei tanti sedicenti laici che sono rimasti irretiti dal piffero magico del cardinale. Che il suo Dio l’abbia in gloria.

Ps. Il cardinal Scola ha invitato i fedeli a “pregare Dio perché accolga Martini nella dimora eterna e riceva dalle mani del Signore il premio per le sue fatiche apostoliche”.

Domande:

1) Martini meriterebbe la dimora eterna e il premio (se ci fossero)?

2) Se sì, Dio (se ci fosse) avrebbe bisogno delle preghiere altrui per accorgersene e agire di conseguenza?

3) Se no, le preghiere dei fedeli potrebbero cambiare il giusto verdetto?

Risposta. La confusione regna sovrana in certe menti.


da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/09/01/no-martini-no-party/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Il Grillo Parlante
Inserito da: Admin - Settembre 09, 2012, 10:08:15 am

7
set
2012

Il Grillo Parlante

Piergiorgio ODIFREDDI

Già a fine maggio un articolo del Fatto Quotidiano ha rivelato che dietro al Grillo Parlante c’è un Casaleggio Suggerente: il presidente di una società di “strategie di rete”, che qualche giorno dopo ha smentito sul Corriere della Sera di essere “dietro” Grillo, non senza rivendicare di essere invece “al suo fianco”. In particolare, di aver progettato in coppia con lui il blog, la rete dei Meetup, i Vday di Bologna e Torino, l’evento Woodstock a 5 Stelle di Cesena, e il Non-Statuto del MoVimento a 5 Stelle.

Niente di male, naturalmente. Gli speechwriter e i ghostwriter, così come gli advisor e i think tank, esistono da sempre. E i politici ne hanno sempre fatto ampio uso, rivelando di essere spesso più attori che recitano copioni, che non autori che li scrivono. Dunque, non stupisce che alla fine qualche attore diventi direttamente un politico, da Reagan a Grillo, appunto: se la politica è una farsa che qualcuno deve mettere in scena, tanto vale che sia qualcuno che in scena ci sappia stare per professione. Un “tecnico”, si direbbe oggi.

Niente di male neppure nel fuori onda carpito al consigliere regionale emiliano del MoVimento, che su La7 si è lasciato scappare che gli eletti nelle loro liste devono far rapporto al Casaleggio Suggerente, invece che al Grillo Parlante, e prendere ordini dal primo, invece che dal secondo. Non si fa forse così anche con i segretari dei partiti, o i sottosegretari dei ministeri, invece che con i presidenti o i ministri? Si chiama “divisione dei ruoli” e “organizzazione del lavoro”: ai primi il vero potere sotterraneo, e ai secondi le luci fatue della ribalta.

Il problema del MoVimento a 5 Stelle sta altrove: nelle parole che escono dalla bocca del Grillo Parlante, autografe o suggerite che siano. E più che il loro contenuto, è il loro stile che disgusta: sempre arruffato, sempre urlato, sempre strozzato, sempre volgare. Intendiamoci, non basta essere chiari, pacati, suadenti, eleganti, per aver ragione, ma certo aiuta a far capire i propri argomenti e le proprie idee. Chi urla e inveisce sempre, lascia invece intendere di non avere a disposizione nel proprio arsenale né gli uni, né le altre. Sarà pure una “strategia di rete”, ma è una rete che serve per accalappiare strategicamente gli esaltati e le teste calde: proprio coloro da cui la buona politica dovrebbe stare alla larga.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/09/07/il-grillo-parlante/?ref=HRER3-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La pagella del genio
Inserito da: Admin - Ottobre 13, 2012, 03:54:29 pm

9
ott
2012

La pagella del genio

Piergiorgio ODIFREDDI

Diceva lo storico Edward Gibbon che l’educazione è sempre inutile, eccetto nei casi in cui è superflua. Se fosse vero, la scuola andrebbe chiusa a tutti, eccetto che ai geni. E in breve tempo il mondo sarebbe popolato di analfabeti e ignoranti, perché la gente normale fatica forse a diventare umana andando a scuola, ma lasciata a se stessa rimane sicuramente animale.

Con buona pace di Gibbon, è più probabile che la scuola sia sempre necessaria, eccetto nei casi in cui è dannosa. Le porte delle scuole devono dunque rimanere aperte a tutti, eccetto a chi è in grado di sviluppare un pensiero indipendente e di guardare al mondo con uno sguardo non convenzionale. Cercare infatti di imbrigliare una tale persona nel sapere comune può appunto tarpargli le ali, e impedirgli di sviluppare le proprie potenzialità.

E se non lo fa, crea comunque un ostacolo contro il quale il genio si trova a scontarsi, a volte in maniera tragica e con risultati fatali. E’ il caso di Evariste Galois, ad esempio, l’inventore dell’algebra moderna, che fu rifiutato per due volte all’Ècole Polytechnique per la sua incapacità di superare gli esami convenzionali, e morì in duello a vent’anni. Meno tragici, ma sempre emblematici, sono i casi di Albert Einstein ed Henri Poincaré, i due massimi fisici teorici del periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, che trovarono entrambi molte difficoltà a scuola. E quasi ridicolo il ruolo di “ultimo della classe” conquistato a Eton dal neo-Nobel per la medicina John Gurdon.

Naturalmente, un genio che non vada a scuola rischia di diventare un fenomeno da baraccone, con una cultura squilibrata e incompleta. Per questo la scuola dovrebbe cercare di “dare a ciascuno secondo i propri bisogni intellettuali, e pretendere da ciascuno secondo le proprie possibilità mentali”. Ma chi potrebbe pensare e programmare una tale scuola, se non un genio? Cioè, una delle persone meno adatte a farlo?

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/10/09/la-pagella-del-genio/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Signor De Martino, si vergogni!
Inserito da: Admin - Ottobre 21, 2012, 11:39:46 am

20
ott
2012


Signor De Martino, si vergogni!

Piergiorgio ODIFREDDI

Ho appena visto un video in cui un sedicente “signor” Andrea De Martino, che in realtà è soltanto un maleducato “signorotto” d’altri tempi, ha interrotto con urla e strepiti una dichiarazione di don Maurizio Patricello, un prete anticamorra che pacatamente stava parlando di rifiuti tossici. Evidentemente sentendosi tirato in campo per l’argomento, il novello don Rodrigo ha inveito contro l’attonito sacerdote, che ha faticato un po’ a capire quale fosse stato il suo sgarro.

Il gravissimo reato in cui era incorso, è poi stato spiegato, era di aver chiamato il prefetto di Caserta “signora”, invece che “signor prefetto”. E per buona misura, il signor De Martino ha precisato urlando che chiamare “signora” un prefetto offendeva non soltanto colei alla quale il sacerdote si riferiva, ma anche lui. Perché sì, apparentemente questo energumeno è pure lui un prefetto, di Napoli per la precisione, e pretende rispetto! E non gli viene in mente che già chiamarlo anche solo “signore” sarebbe un’esagerazione, visto il suo stile tutt’altro che signorile!

In una successiva dichiarazione il malcapitato funzionario pubblico ha ribadito che la sua maleducazione era un “doveroso” richiamo al rispetto “delle istituzioni”. Secondo lui, sullo stesso piano delle lezioni di legalità che si fanno ai giovani. E ha aggiunto che “certe cose bisogna viverle, per capirle”. Ma in questo, almeno, il signor De Martino ha ragione. Perché bisogna vedere e sentire le registrazioni del suo comportamento, per capire che quei modi sono più consoni a un bulletto di periferia che a un prefetto di una grande città. E che effettivamente non fanno onore alle istituzioni, e nemmeno a lui.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/10/20/signor-de-martino-si-vergogni/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Grillo e i suoi “dummies”
Inserito da: Admin - Novembre 06, 2012, 10:20:44 pm

6
nov
2012

Grillo e i suoi “dummies”

Piergiorgio ODIFREDDI

Lo stesso giorno del novantacinquesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, il nuovo Stalin della democrazia italiana ha emesso il suo ukaze. Come il Gesù dei Vangeli si indirizzava letteralmente ai “poveri di spirito”, il Grillo Parlante si rivolge altrettanto letteralmente ai dummies, o “deficienti”, disposti ad ascoltarlo. E inizia il suo proclama dichiarando che “il Movimento a 5 Stelle vuole sostituire il sistema dei partiti con la democrazia diretta”, e “in sostanza vuole la fine dei partiti basati sulla delega in bianco”.

Cosa significhi “democrazia diretta”, viene spiegato subito dopo. I rappresentanti del movimento scelti dagli elettori dovranno infatti obbedire a tutte e sole le direttive del capo. A loro sarà vietato anche il diritto di parola, che non potranno esercitare in televisione: quello è un ruolo che spetta solo al capocomico, il quale ha già dimostrato in questi giorni di dare di matto quando qualcuno dei “suoi” si permette di provare a rubargli la scena mediatica.

Il manuale for dummies non sembra aver ancora stabilito il colore delle camicie di coloro che marceranno su Roma al seguito del nuovo “lider maximo”, ma i futuri marciatori hanno comunque già introiettato la sua raffinata dialettica. E così, quando l’ingenua Federica Salsi, ignara che la sua elezione al consiglio comunale di Bologna equivalesse a una delega in bianco al Movimento e al suo Padrone, ha osato partecipare a quella famosa “trasmissione di regime” che è Ballarò, si è sentita chiamare “puttana”, “merda” e “faccia da culo”, e le è stato intimato di “andare fuori dai coglioni”, “a cagare” e “affanculo”.

D’altronde, cosa ci si poteva aspettare da chi ha trovato la propria ispirazione politica nei “Vaffanculo Day”, appunto? Di fronte al neofascismo, al neoleghismo e al neoberlusconesimo rappresentati da Grillo e dal suo Movimento, almeno nella maniera in cui lo intendono lui e la sua anima nera Casaleggio, non si può che far quadrato e cercare di salvare il salvabile. Altro che votare Grillo per far crollare i partiti tradizionali, come ha incautamente proposto Flores d’Arcais!

Queste tattiche suicide le abbiamo già viste in azione nel 1922, nel 1933 e nel 1994. Mussolini e Hitler, così come Bossi e Berlusconi, si proponevano tutti, ciascuno a proprio modo, come distruttori della democrazia partitica corrotta e rifondatori di un nuovo sistema politico. A cosa ha portato l’ingenuità politica dei dummies che hanno creduto ai rozzi slogan di questi pifferai, lo sappiamo. Non è proprio il caso di accendere ancora una volta la miccia sotto la Santa Barbara, nell’ingenua speranza che l’esplosione possa disintegrare i partiti senza seppellire anche la democrazia.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HRER1-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI eccessivo come sempre, ma non lo si censura.
Inserito da: Admin - Novembre 20, 2012, 05:17:59 pm
 Sei in: Il Fatto Quotidiano > Media & regime >

Repubblica cancella il post di Odifreddi su Israele. Lui lascia: “Meglio fermarsi”

Il matematico aveva scritto parole dure sul conflitto in Medio Oriente accusando lo Stato ebraico di "logica nazista", ma il suo intervento è scomparso dopo 24 ore. Oggi il saluto ai lettori: "Continuare sarebbe un problema.

D’ora in poi dovrei ogni volta domandarmi se ciò che penso o scrivo può non essere gradito a coloro che lo leggono"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 20 novembre 2012


Un post pubblicato domenica. Tema: il conflitto israelo-palestinese che in questi giorni sta vivendo un’altra pagina dai toni drammatici. Una presa di posizione molto dura nei confronti dello Stato ebraico, accusato di “logica nazista” nei confronti dei palestinesi. Ma la rimozione del suo intervento dal sito di Repubblica.it ha colto di sorpresa Piergiorgio Odifreddi (matematico, divulgatore scientifico, diventato noto anche per le sue posizioni critiche alla Chiesa cattolica). Ieri sera, infatti, il suo post nel blog “Il non senso della vita” non c’era più. Tanto è bastato, comunque, perché Odifreddi decidesse di scrivere un ultimo intervento, di commiato, per salutare i numerosi lettori che lo hanno seguito fin qui. D’altronde l’intervento in un blog non riflette la linea editoriale del giornale, che del resto nei casi più controversi – come potrebbe essere questo – può scegliere di pubblicare due interventi in antitesi (l’uno che intende confutare l’altro), davanti ai quali i lettori possono confrontarsi.

“Per 809 giorni Repubblica.it ha generosamente ospitato le mie riflessioni – scrive Odifreddi nel suo saluto – che spesso non coincidevano con la linea editoriale del giornale, e ha offerto loro l’invidiabile visibilità non solo del suo sito, ma anche di un richiamo speciale nella sezione Pubblico. Da parte mia, ho approfittato di questa ospitalità per parlare in libertà anche di temi scabrosi e non politically correct, che vertevano spesso su questioni controverse di scienza, filosofia, religione e politica. Naturalmente, sapevo bene che toccare temi sensibili poteva provocare la reazione pavloviana delle persone ipersensibili. Puntualmente, vari post hanno stimolato valanghe (centinaia, e a volte migliaia) di commenti, e aperto discussioni che hanno fatto di questo blog un gradito spazio di libertà. Altrettanto naturalmente, sapevo bene che la sponsorizzazione di Repubblica.it poteva riversare sul sito e sul giornale proteste direttamente proporzionali alla cattiva coscienza di chi si sentiva messo in discussione o criticato”.

“Immagino che il direttore del giornale e i curatori del sito abbiano spesso ricevuto lagnanze, molte delle quali probabilmente in latino – ammette – Ma devo riconoscere loro di non averne mai lasciato trasparire più che un vago sentore, e di aver sempre sposato la massima di Voltaire: ‘Detesto ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo’. Mai e sempre, fino a ieri, quando anche loro hanno dovuto soccombere di fronte ad altre lagnanze, questa volta sicuramente in ebraico”. Ma poi, ieri, ecco la cancellazione del post che “non è, di per sé, un grande problema: soprattutto nell’era dell’informatica, quando tutto ciò che si mette in rete viene clonato e continua comunque a esistere e circolare. Non è neppure un grande problema il fatto che una parte della comunità ebraica italiana non condivida le opinioni su Israele espresse non soltanto da José Saramago e Noam Chomsky, al cui insegnamento immodestamente mi ispiro, ma anche e soprattutto dai molti cittadini israeliani democratici che non approvano la politica del loro governo, ai quali vanno la mia ammirazione e la mia solidarietà”.

“Il problema, piccolo e puramente individuale, è che se continuassi a tenere il blog, d’ora in poi dovrei ogni volta domandarmi se ciò che penso o scrivo può non essere gradito a coloro che lo leggono: qualunque lingua, viva o morta, essi usino per protestare – Dovrei, cioè, diventare ‘passivamente responsabile’, per evitare di non procurare guai. Ma poiché per natura io mi sento ‘attivamente irresponsabile’, nel senso in cui Richard Feynman dichiarava di sentirsi in Il piacere di trovare le cose, preferisco fermarmi qui”. “Tenere questo blog è stata una bella esperienza, di pensiero e di vita, e ringrazio non solo coloro che l’hanno ospitato e difeso, ma anche e soprattutto coloro che vi hanno partecipato – conclude Odifreddi – La vita, con o senza senso, continua. Ma ci sono momenti in cui, candidamente, bisogna ritirarsi a coltivare il proprio giardino”.

Ma la scomparsa improvvisa del post aveva scatenato proprio i frequentatori più assidui del blog di Odifreddi che, utilizzando lo spazio del suo articolo precedente, non solo hanno chiesto insistentemente al matematico come mai quel testo fosse stato rimosso, ma lo hanno copiato e incollato a beneficio di chi non l’avesse letto. A quel punto, certo, si è sviluppato il dibattito tra chi è d’accordo con la tesi di Odifreddi e chi non lo è. ”Non c’era nessun delirio antisemita, filoislamico, comunista. Solo una condanna alla violenza” scriveva B.dg. ”Il post – secondo Giulioru – è un minkiata se l’ha o gliel’hanno tolto hanno fatto bene, non per i contenuti che sono aleatori come tutte le informazioni che ci imboccano, ma per l’uso di paragoni matematici che sono infantili e inopportuni. Uno, 10, 100 non è questione di moltipliche ma di follia umana che non ha formule né tempo né luoghi”.

I lettori del blog ora commentano invece l’addio del matematico al blog: “Con l’ultimo thread non ero d’accordo, come ho scritto – interviene Nivadi – Ciò non toglie che desidero continuare a leggere osservazioni non convenzionali e stimolanti facci sapere dove potremo leggerti. Smetterò di leggere il sito di Repubblica”. “Che gran peccato, il suo blog mi ha sempre offerto dei grossi spunti di riflessione – dice lucajeck_01 - A volte mi sono trovato in disaccordo con le sue vedute, ma è stato un piacere anche quello, poter testare il mio senso critico su argomenti complessi o comunque su punti di vista particolari è stato stimolante”.


Di seguito il post di Odifreddi cancellato dal blog

Dieci volte peggio dei nazisti (18)
Uno dei crimini più efferati dell’occupazione nazista in Italia fu la strage delle Fosse Ardeatine. Il 24 maggio 1944 i tedeschi “giustiziarono”, secondo il loro rudimentale concetto di giustizia, 335 italiani in rappresaglia per l’attentato di via Rasella compiuto dalla resistenza partigiana il 23 maggio, nel quale avevano perso la vita 32 militari delle truppe di occupazione. A istituire la versione moderna della “legge del taglione”, che sostituiva la proporzione uno a uno del motto “occhio per occhio, dente per dente” con una proporzione di dieci a uno, fu Hitler in persona.

Il feldmaresciallo Albert Kesselring trasmise l’ordine a Herbert Kappler, l’ufficiale delle SS che si era già messo in luce l’anno prima,
nell’ottobre del 1943, con il rastrellamento del ghetto di Roma. E quest’ultimo lo eseguì con un eccesso di zelo, aggiungendo di sua sponte 15 vittime al numero di 320 stabilito dal Fuehrer. Dopo la guerra Kesselring fu condannato a morte per l’eccidio, ma la pena fu commutata in ergastolo e scontata fino al 1952, quando il detenuto fu scarcerato per “motivi di salute” (tra virgolette, perché sopravvisse altri otto anni). Anche Kappler e il suo aiutante Erich Priebke furono condannati all’ergastolo. Il primo riuscì a evadere nel 1977, e morì pochi mesi dopo in Germania. Il secondo, catturato ed estradato solo nel 1995 in Argentina, è tuttora detenuto in semilibertà a Roma, nonostante sia ormai quasi centenario.

In questi giorni si sta compiendo in Israele l’ennesima replica della logica nazista delle Fosse Ardeatine. Con la scusa di contrastare gli “atti terroristici” della resistenza palestinese contro gli occupanti israeliani, il governo Netanyahu sta bombardando la striscia di Gaza e si appresta a invaderla con decine di migliaia di truppe. Il che d’altronde aveva già minacciato e deciso di fare a freddo, per punire l’Autorità Nazionale Palestinese di un crimine terribile: aver chiesto alle Nazioni Unite di esservi ammessa come membro osservatore! Cosa succederà durante l’invasione, è facilmente prevedibile. Durante l’operazione Piombo Fuso di fine 2008 e inizio 2009, infatti, compiuta con le stesse scuse e gli stessi fini, sono stati uccisi almeno 1400 palestinesi, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, a fronte dei 15 morti israeliani provocati in otto anni (!) dai razzi di Hamas. Un rapporto di circa 241 cento a uno, dunque: dieci volte superiore a quello della strage delle Fosse Ardeatine. Naturalmente, l’eccidio di quattro anni fa non è che uno dei tanti perpetrati dal governo e dall’esercito di occupazione israeliani nei territori palestinesi.

Ma a far condannare all’ergastolo Kesserling, Kappler e Priebke ne è bastato uno solo, e molto meno efferato: a quando dunque un tribunale internazionale per processare e condannare anche Netanyahu e i suoi generali?

Piergiorgio Odifreddi

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. "Ecco perché Dio esiste"
Inserito da: Admin - Gennaio 06, 2013, 06:39:30 pm
La matematica ci riprova:

"Ecco perché Dio esiste"

Un manoscritto di settanta pagine firmato da Harvey Friedman perfeziona l'opera di Gödel ed entra in lizza per i grandi premi in questo campo.
Lo studioso ha lavorato sulla nozione di "consistenza". Proseguendo un percorso iniziato mille anni fa da Anselmo d'Aosta, con la sua dimostrazione ontologica 

di PIERGIORGIO ODIFREDDI


"DIO ESISTE, perché la matematica non è contraddittoria. E il diavolo esiste, perché non possiamo dimostrarlo", diceva il grande matematico André Weil. Ora un manoscritto di 70 pagine, datato 25 dicembre 2012 e intitolato Una dimostrazione divina della consistenza della matematica, prova una delle ossessioni della storia della logica. Mostra infatti nei dettagli come, partendo dall’ipotesi dell’esistenza di Dio, si può dimostrare che la matematica non è contraddittoria. Forse, dunque, Dio c’è, ma il diavolo no.

L’autore del manoscritto è Harvey Friedman, uno dei logici matematici più famosi, originali e prolifici. Da enfant prodige prese un dottorato in matematica al Massachusetts Institute of Technology all’età di soli diciott’anni. Dopo essere stato immediatamente assunto dall’Università di Stanford, entrò nel Guinness dei Primati come il più giovane professore universitario della storia. In seguito ha insegnato matematica, filosofia e musica, essendo un ottimo pianista. Ed è andato a un soffio dal vincere nel 1986 la medaglia Fields: un onore che, finora, non ha arriso a nessun logico matematico, e che quell’anno andò per uno scherzo del destino al suo quasi omonimo Michael Freedman.

Non si tratta, dunque, di un crackpot, come molti svitati che provano a combinare fra loro teologia e matematica. E non era un crackpot neppure Kurt Gödel, il logico più famoso del Novecento, autore nel 1931 di un teorema sull’impossibilità di dimostrare la consistenza di un sistema matematico all’interno del sistema stesso: teorema che diede appunto a Weil lo spunto per la seconda parte del suo aforisma. E fu lo stesso Gödel a dimostrare nel 1941, e in una forma rimaneggiata nel 1970, un teorema sull’esistenza di Dio, che ha ora dato lo spunto alla dimostrazione di consistenza di Friedman relativa alla prima parte dell’aforisma.

Per capire di cosa stiamo parlando, dobbiamo fare un passo indietro di qualche anno: approssimativamente, un migliaio, e per la precisione, 935. Fu infatti nel 1077 che Anselmo d’Aosta inventò la cosiddetta “dimostrazione ontologica” dell’esistenza di Dio, che nella versione di Cartesio nel Discorso sul metodo, del 1637, si riduce al seguente giochetto. Definiamo Dio come l’essere perfettissimo, alla maniera del Catechismo. Poiché l’esistenza è una perfezione, Dio avrà pure quella. Dunque, esiste.

Nel breve saggio del 1676 Sull’esistenza dell’essere perfettissimo, Leibniz obiettò che Anselmo e Cartesio se l’erano cavata un po’ troppo a buon mercato. Prima di poter dedurre l’esistenza di qualcosa da un ragionamento, infatti, bisogna almeno dimostrare che quel qualcosa è possibile. Nel caso di Dio, definito come essere perfettissimo, bisogna dunque dimostrare che è possibile che qualcuno abbia tutte le perfezioni. E la dimostrazione che Leibniz propose è che, essendo le perfezioni compatibili due a due, allora si possono considerare una dietro l’altra, dimostrando alla fine la compatibilità di tutte.

Quando Gödel vide questa supposta dimostrazione, gli si drizzarono i capelli. In matematica e in logica, infatti, non basta che certe proprietà siano compatibili fra loro due a due, affinché lo siano tutte insieme! Ad esempio, ci sono numeri maggiori di qualunque coppia di interi, ma questo non significa affatto che ci siano numeri maggiori di tutti gli interi.

Gödel decise di vedere se si poteva in qualche modo rimediare all’errore di Leibniz. Sostituì anzitutto le imprecise “perfezioni” di Cartesio con precise “proprietà positive”, definite in analogia con la positività dei numeri, appunto. In particolare, postulò che le proprietà positive avessero le caratteristiche logiche corrispondenti a questi ovvi fatti aritmetici: primo, il prodotto di due numeri positivi è positivo; secondo, lo zero non è un numero positivo; terzo, dato un numero diverso da zero, o lui o il suo opposto sono positivi; e quarto,
un numero maggiore di un numero positivo è anch’esso positivo. Insiemi di proprietà aventi queste caratteristiche sono ben noti in logica e in matematica, e si chiamano “ultrafiltri”.

Gödel definì Dio come un “essere positivissimo”, cioè avente tutte le proprietà positive. E dimostrò facilmente che, nel caso di un universo finito, Dio esiste e ha esattamente tutte e sole le proprietà positive. Il caso di un universo infinito è più complicato, ma Gödel dimostrò che anche in quel caso Dio esiste, purché si
faccia un’ipotesi aggiuntiva: che “essere Dio” sia anch’essa una proprietà positiva.

L’ipotesi è controversa, naturalmente, visto che un seguace della teologia negativa, o un ateo, potrebbero pensare esattamente il contrario. Ma, soprattutto, l’ipotesi aggiuntiva rende banale la dimostrazione, perché equivale a dire che le proprietà positive sono appunto tutte compatibili fra loro: dunque, è solo un modo mascherato di postulare che l’essere perfettissimo esiste.

Fin qui Gödel, di cui si possono trovare l’articolo originale, e una serie di spiegazioni e commenti, nel libretto
La prova matematica dell’esistenza di Diocurato da Gabriele Lolli e me, pubblicato dalla Bollati Boringhieri nel 2006. Di qui in poi Friedman, che come egli stesso ricorda nell’introduzione del suo lavoro, in quello stesso 2006 partecipò, nel centenario della nascita di Gödel, al grande convegno di Vienna Orizzonti della verità, sponsorizzato tra gli altri dalla Fondazione Templeton: la stessa che assegna ogni anno l’omonimo premio per "il progresso verso la ricerca o la scoperta di realtà spirituali".

A quel convegno Peter Hajek ed io tenemmo due conferenze sulla dimostrazione di Gödel dell’esistenza di Dio, e Friedman ricorda di «aver trovato particolarmente sorprendente l’uso delle proprietà positive», sia per le implicazioni etiche della parola “positivo”, che per la connessione matematica con gli ultrafiltri. Questi ultimi, infatti, se hanno certe particolari proprietà (ad esempio, se sono “numerabilmente completi”), permettono dimostrazioni di consistenza di sistemi formali anche molto forti, come quelli usati normalmente nella teoria degli insiemi (ad esempio, il sistema ZFC di Zermelo e Fraenkel, con l’assioma di scelta).

Il problema era che l’ultrafiltro usato da Gödel, come si è detto, è banale. Si trattava dunque di trovarne uno che fosse teologicamente rilevante come quello, ma allo stesso tempo matematicamente non banale, in modo da permettere una dimostrazione di consistenza. Il modo per farlo (che è troppo complesso per essere riassunto qui) venne a Friedman al congresso di Heidelberg su Il dialogo tra scienza e religione: passato e futuro dello scorso ottobre, in onore del centenario della nascita di John  Templeton.

Con il suo risultato, egli diventa ora un naturale candidato per il premio Templeton, che è per statuto più ricco del premio Nobel: un milione e centomila sterline! La cosa non cambierà molto il suo conto in banca, visto che suo padre morendo lasciò dieci milioni di dollari a ciascuno dei tre fratelli. Ma poiché Friedman ha tenuto per trentacinque anni una cattedra nell’Ohio, quando poteva averne dovunque, perché gli offriva la possibilità di essere il matematico più pagato d’America, si può forse pensare che la sua ricerca abbia comprensibilmente avuto anche qualche motivazione terrena, oltre ovviamente a quelle celesti.

(05 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/scienze/2013/01/05/news/la_matematica_ci_riprova_ecco_perch_dio_esiste-49934292/?ref=HREC2-5


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La formula del Grillo Parlante
Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2013, 11:41:11 pm

25
gen
2013

La formula del Grillo Parlante

 PIERGIORGIO ODIFREDDI

Oggi Beppe Grillo ha partecipato all’assemblea degli azionisti del Monte dei Paschi di Siena, facendo una delle sue solite piazzate e lanciandosi in alcune delle sue solite disinformate invettive. Ha detto che “nessuno sa cosa sono i derivati”. Ha dichiarato di “essere andato a vedere la curva di Scholes, che è un anagramma di formule da malati di mente”. E ha rivelato che “Scholes ha aperto una sua società, ha investito in derivati e ha fallito in sei mesi”.

Anzitutto, visto da come ne parla, è sicuro che Grillo non sa cosa sono i derivati, anche se sa di non saperlo. Ma dedurre dall’ipotesi che qualcuno non sa qualcosa, la conseguenza che allora non lo sa nessuno, è un errore degno di un presocratico. Se questa è la sua logica, speriamo che non abbia mai un incarico pubblico in cui deve ragionare, se no siamo fritti.

Inoltre, quella che Grillo chiama “curva di Scholes” è in realtà la famosa formula di Black e Scholes. Una formula che appare in matematica e nella scienza in varie versioni, e ha fondamentali applicazioni nelle discipline più disparate: per lo studio della diffusione del calore in termodinamica, delle particelle nel moto browniano, della forma delle superfici in topologia, e appunto del comportamento dei derivati in economia. Ed è tanto da mentecatti, che è valsa a Gregory Perelman la medaglia Fields nel 2006, per la soluzione della congettura di Poincaré, e a Myron Scholes e Robert Merton il premio Nobel per l’economia nel 1997, appunto per i derivati.

Infine, è vero che Scholes ha aperto una società: anzi, più d’una. Ma a fallire non sono state quelle, bensì la LTCM (Long Term Capital Management) di John Meriwether, in cui Scholes e Merton facevano i consulenti: lamentandosi, a dire il vero, del fatto che i loro consigli non venivano seguiti. Quell’infortunio altrui non ha tolto loro né la fama, né la cattedra: il primo continua a insegnare a Stanford, e il secondo al Mit (chi volesse sentire la sua versione della storia sui derivati, potrà acquistare l’8 marzo il suo dvd nella collana Capire l’economia).

Solo uno come Grillo può permettersi di dire che “nessuno” capisce i loro risultati. La verità è che non li capisce solo uno come lui, chi non conosce la matematica, e proprio per questo ha scelto di fare, o è costretto a fare, il comico e il politico.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/01/25/la-formula-del-grillo-parlante/?ref=HRER1-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Per chi suona la campana gay?
Inserito da: Admin - Febbraio 07, 2013, 11:38:51 pm

6
feb
2013

Per chi suona la campana gay?

 Piergiorgio ODIFREDDI

Prima la Spagna, poi la Francia, infine l’Inghilterra: poco alla volta, i paesi civili riconoscono alle persone il diritto di unirsi in un vincolo sentimentale, sancito anche ufficialmente, con la persona che esse preferiscono, indipendentemente dal loro sesso.

Non è che l’ultimo passo, per ora, nella liberalizzazione delle unioni, che nel corso del tempo hanno dovuto sottostare a vincoli legali e sociali non solo sessisti, ma anche razzisti e classisti: bianchi contro neri, nobili contro plebei, ricchi contro poveri, istruiti contro ignoranti.

Naturalmente, i preti in Italia, come gli ayatollah in Iran e i mullah in Afghanistan, si stracciano le vesti. Non solo impongono ai propri accoliti, com’è nel loro diritto, quella forma di castrazione fisica e intellettuale che è il celibato. Non solo chiudono gli occhi, com’è contro il diritto, di fronte alle turbe mentali che esso scatena, fino alla piaga endemica della pedofilia. Ma pretendono pure, com’è contro il buon senso, di imporre le loro visioni perverse (celibato a noi, matrimonio indissolubile e procreativo a voi) alla popolazione intera, protestando a gran voce contro le legislazioni liberali.

In Italia, su questi argomenti cadono persino i governi, quando i parlamentari papisti di destra, centro e sinistra si coalizzano in maniera “multipartisan”, come successe con i dico nel 2008. E si può immaginare che il prossimo parlamento, in questo, non sarà meno inginocchiato di quelli che l’hanno preceduto.

Naturalmente, vedere le travi negli occhi altrui non fa sì che si vedano automaticamente quelle negli occhi propri. E infatti, nessuna nazione cristiana, per quanto “liberale”, discute seriamente di liberalizzare la poligamia, che invece è ammessa nei paesi musulmani. Il nostro “liberalismo” non si spinge più lontano del chiudere da secoli gli occhi sugli adulteri (maschili), e non arriva a riconoscere ed accettare le caratteristiche naturali della pulsione sessuale, umana e non.

Ma questi sono problemi per gli altri. Noi papisti siamo ancora fermi al passo precedente, e non sarebbe male che il problema dei matrimoni gay diventasse almeno uno dei temi della campagna elettorale. O forse, su questi argomenti, il grido di “l’Europa lo vuole” si strozza, fino a diventare solo un sussurro?

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/02/06/per-chi-suona-la-campana-gay/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Elezioni: la storia infinita
Inserito da: Admin - Febbraio 24, 2013, 04:08:09 pm

22
feb
2013

Elezioni: la storia infinita

 Piergiorgio ODIFREDDI

Domenica e lunedì si ripeterà lo stanco rituale delle elezioni, che offrirà agli elettori l’illusione di andare a decidere sul futuro del paese. L’illusione è doppia, e riguarda da un lato l’offerta politica proposta dai partiti, e dall’altro lato la domanda sociale richiesta dai cittadini.

Per quanto riguarda l’offerta politica, i sei maggiori schieramenti in campo costituiscono l’ennesima ripetizione dei copioni inscenati nella Prima e nella Seconda Repubblica. I due poli principali, guidati da Berlusconi e Bersani, sono infatti la versione 6.0 di Forza Italia e dell’Ulivo, con gli alleati di sempre: la Lega a destra, e l’estrema di turno a sinistra. E sono anche la versione 16.0 della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista.

La prima apparente novità è costituita dal centro di Monti-Casini-Fini, e dal probabilmente defunto partito di Giannino: due accozzaglie di conservatori e liberisti, molti dei quali economisti, che reincarnano i vecchi partiti repubblicano e liberale. Con Monti a giocare la parte del difensore istituzionale del capitale, nella speranza di ereditare il ruolo di ago della bilancia già incarnato da Spadolini: l’unica differenza è che ieri Spadolini rappresentava gli Agnelli e la Confindustria, e oggi Monti parla e agisce per conto delle banche, pubbliche (Bce) e private (Goldman Sachs & C.).

La seconda apparente novità è presentata dalle offerte di protesta agli estremi: il movimento di Grillo a destra, e quello di Ingroia a sinistra. Le Cinque Stelle sono gli analoghi moderni dei Fasci Littori, e i degni eredi del Movimento Sociale. Prenderanno una buona percentuale dei voti di coloro che già nel passato, come L’Unità ha documentato fotograficamente ieri, presidiavano il Parlamento e urlavano ai deputati: “Arrendetevi, siete circondati!”. Formeranno un bel manipolo di eletti, ma subiranno l’ostracismo del nuovo “arco costituzionale”, che li considererà impresentabili e inesistenti. Al più, se servirà, potranno apportare voti utili a far eleggere un nuovo Leone a presidente della Repubblica.

Quanto al movimento di Ingroia, concepito con le migliori intenzioni, è stato partorito nelle peggiori condizioni. Ormai diventato un refugium trombatorum, al massimo riuscirà a far rieleggere qualche fantasma che va sotto il nome di Di Pietro (Idv), Diliberto (PdCI), Ferrero (RC) o Favia (ex 5S). Ma probabilmente non raggiungerà il quorum, e i suoi voti andranno semplicemente dispersi al vento, come “la sentenza di Sibilla”.

L’altra illusione delle elezioni riguarda la domanda sociale, in un momento di crisi economica globale e profonda. Dopo un anno di misure “lacrime e sangue” ordinate dall’esterno dalla Bce e dai mercati, ed eseguite all’interno dalla troika Berlusconi-Monti-Bersani, i tre trasformisti disconoscono il proprio governo di unità nazionale e fanno promesse a vanvera. Ma poiché per quattordici mesi ci hanno spiegato che l’austerità “è inevitabile”, si apprestano a riproporcela e reinfliggercela, in una maniera o nell’altra.

La mia previsione, per quel che vale, è che si formerà uno schieramento di aggregazione al centro, che escluderà Vendola a sinistra, e la parte più impresentabile della destra berlusconiana a destra. Si troverà un modo di anestetizzare Berlusconi, magari alla presidenza del Senato o in qualche ruolo istituzionale, e si continuerà l’opera di spoliazione dei diritti del “popolo sovrano”. La democrazia popolare, se mai è esistita, è annegata nello tsunami della crisi: siamo ormai nell’era della dittatura dei mercati e delle banche, e non sarà l’illusione del voto a cambiare la realtà delle cose.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/02/22/elezioni-la-storia-infinita/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La democrazia secondo Grillo
Inserito da: Admin - Marzo 17, 2013, 11:30:27 pm

17
mar
2013

La democrazia secondo Grillo

PIERGIORGIO ODIFREDDI
 
Jorge Luis Borges, che era un uomo intelligente e spiritoso, nel suo racconto Il parlamento sosteneva che, per ottenere una rappresentanza veramente rappresentativa, un’elezione dovrebbe eleggere tutti gli elettori. Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, che non sono né una cosa, né l’altra, sostengono invece che un’elezione veramente rappresentativa dovrebbe eleggere soltanto i segretari dei partiti, che poi si incontrano e decidono con un voto pesato, proporzionale ai voti dei loro partiti.

La proposta di Borges equivale ad avere come parlamentari tutti i cittadini. Quella di Berlusconi e Grillo, tende ad averne soltanto uno: il dittatore che c’è in loro. Nella pratica, la mediazione fra i due estremi è un parlamento con un certo numero di parlamentari: massimo, nel caso di Borges, e minimo, nel caso di Berlusconi e Grillo. Infatti, non è un caso che entrambi questi ultimi abbiano proposto una drastica riduzione dei seggi, sbandierandola come “riforma”.

Ciò che preoccupa Berlusconi e Grillo, e in misura minore Bersani, è che i parlamentari sfuggano appunto al loro controllo, e si permettano di votare secondo la propria coscienza, invece che secondo i loro diktat. O, se si preferisce, essi temono che i parlamentari si comportino da esseri pensanti in maniera autonoma, invece che da automi programmati da loro. E il voto segreto dà loro fastidio, perché permette appunto che gli automi si comportino umanamente.

Non a caso, Grillo ha sbraitato sul suo blog contro il voto segreto, e contro la decisione di alcuni dei suoi rappresentanti di comportarsi da parlamentari: cioè, da rappresentanti degli elettori, invece che suoi. Non a caso, Grillo pretende di sapere chi ha votato come, per poterne trarre le necessarie conseguenze: le dimissioni degli indipendenti pensanti, e la sostituzione con dipendenti non pensanti.

Per colmo dell’ironia, la nuova presidente della Camera è stata eletta come “indipendente”, appunto: cioè, ponendo fin da subito la propria autonomia individuale di fronte alla dipendenza partitica. Una dozzina di senatori grillini, ieri, si sono comportati da indipendenti come lei: posti di fronte all’alternativa, per la presidenza del Senato, tra un indagato per rapporti con la mafia e un procuratore antimafia, hanno scelto la decenza.

Speriamo che sia solo il primo passo per una resa dei conti all’interno del M5Spiùelle, come ormai incomincia a essere chiamato il movimento, secondo l’impietosa legge del contrappasso. Cioè, per una diaspora tra l’anima fascisteggiante che prende ordini da Grillo e Casaleggio, e
l’anima democratica degli ingenui che si sono lasciati abbindolare dai loro proclami, ma che non hanno completamente rinunciato a pensare con la propria testa. Nelle votazioni segrete, almeno, questi ultimi si ricordino che la loro coscienza li vede, ma Grillo e Casaleggio no.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/03/17/la-democrazia-secondo-grillo/?ref=HREA-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Come mettere ordine nella musica del caso
Inserito da: Admin - Marzo 26, 2013, 11:52:56 am
Come mettere ordine nella musica del caso

"Abbasso Euclide!", il nuovo libro di Piergiorgio Odifreddi, spiega i segreti della geometria.

Tra questi, i misteriosi frattali, che hanno ispirato artisti, compositori e letterati

di PIERGIORGIO ODIFREDDI


Il Novecento è stato il secolo dell'astrazione, nella matematica e nell'arte. Ma in entrambi i campi l'astrazione comporta dei rischi, e oltre un certo limite può portare alla dissoluzione totale del contenuto, e alla perdita completa del significato. Recentemente la matematica ha sviluppato un'intera teoria della complessità, che ha potuto render conto parzialmente di questa tendenza. Dal punto di vista astratto, infatti, la differenza fra i fenomeni casuali e quelli che non lo sono si riduce al fatto che i primi non possono essere descritti in maniera semplice e compressa, e i secondi sì.

Paradossalmente, dunque, più un'opera è complessa, più tende ad avvicinarsi alla casualità e a confondersi con essa. È il caso del free jazz in musica, o dell'espressionismo astratto in pittura, consistenti entrambi di strutture singolarmente irrepetibili, e collettivamente indistinguibili, che possono soltanto essere esibite, ma non descritte.  Un esempio tipico è Luce bianca di Jackson Pollock, del 1954, che compare appunto sulla copertina del disco Free Jazz di Ornette Coleman, del 1961, da cui questo genere di musica prese il nome. La tela consiste semplicemente di un intrico di colori ottenuti facendo sgocciolare i pennelli sulla tela, così come il disco registra quaranta minuti di libere improvvisazioni di un doppio quartetto di musicisti. Luce bianca fu dipinta due anni prima che Pollock morisse, schiantandosi ubriaco contro un albero. E il titolo sta ad indicare che, come i colori si mescolano e perdono la loro identità nell'amalgama della luce bianca, così le pennellate e i suoni di questo punto d'arrivo dell'arte si riducono a un puro raggio abbagliante, quando non semplicemente a un abbaglio raggiante.

Ma la matematica moderna ha imparato a mettere parzialmente ordine anche nel caos e nel caso, grazie alla teoria dei frattali: delle figure autosimili, cioè, in cui una o più parti hanno la stessa struttura del tutto. Una proprietà, questa, ben illustrata dalla copertina di Free Jazz, che dall'esterno lasciava intravedere attraverso un buco un riquadro dell'opera di Pollock, praticamente indistinguibile dall'intera tela mostrata all'interno.
Volendo trovare figure autosimili, contenenti parti sempre più piccole, ma simili al tutto, non c'è bisogno di guardare lontano. Basta, ad esempio, rivolgersi a opere di Maurits Cornelis Escher quali Sempre più piccolo, del 1956, e Quadrato limite, del 1964. Un tentativo più radicale, ma meno riuscito, Escher lo fece nel 1956 in Galleria di stampe, cercando di realizzare un quadro che rappresenta una scena di cui esso stesso fa parte. L'idea era già venuta verso il 1320 a Giotto, nel retro del Polittico Stefaneschi, in cui si vede il committente che offre a San Pietro un modellino del polittico stesso. E venne di nuovo nel 1912 a Edmund Husserl, nel primo volume delle Idee per una fenomenologia pura, dopo aver visto a Dresda uno dei quadri seicenteschi di David Teniers, che riproducono la galleria di dipinti italiani dell'Arciduca Leopoldo.

Oggi si parla al proposito di effetto Droste, perché a partire dal 1904 l'omonima produttrice olandese di cacao adottò sulle sue scatole l'immagine di un'infermiera, che teneva su un vassoio una copia della scatola stessa. Un trucco simile è stato usato, a partire dal 1921, dall'industria casearia francese La vache qui rit per il proprio logo, in cui una mucca che ride ha due orecchini che ripetono il logo stesso.

Effetti di questo genere sono più facili da descrivere, che da realizzare. Non a caso, la letteratura abbonda di opere che contengono una parte che dovrebbe coincidere con l'opera stessa. Nell'Iliade di Omero, Elena ricama una veste di porpora che raffigura la storia del poema. Al termine del Ramayana di Valmiki, i figli di Rama cercano rifugio in una selva, dove un asceta insegna loro a leggere su un libro che è, appunto, il Ramayana. Nel Mahabarata di Vyasa, il narratore incontra un amico e gli racconta il Mahabarata, che narra del poeta Vyasa che detta al dio Ganesh il Mahabarata, una storia che narra di un re che incontra il poeta Vyasa e si fa raccontare il Mahabarata. Nel Sogno della camera rossa di CaoXueqin, il protagonista prevede in sogno gli avvenimenti del romanzo. Nell'Amleto di Shakespeare, si mette in scena una tragedia che è pressappoco la stessa dell'Amleto. E così via. [...]

Più in generale, strutture autosimili o telescopiche, a vari livelli, sono state usate sistematicamente nell'architettura religiosa e imperiale, sia orientale che occidentale. Se ne trovano esempi nelle piante delle città, come a Logone-Birni nel Camerun. Nei recinti dei complessi, come ad Angkor Wat in Cambogia. Nei tetti degli edifici, come alla Città Proibita di Pechino. Nelle torri dei templi, come al Kandariya Mahadeva di Khajurao. Nelle cupole delle chiese, come al Cremlino di Mosca. Nelle decorazioni dei soffitti, come all'Alhambra di Granada. E nei rosoni delle finestre, come a Notre Dame di Parigi.

Dal canto loro, gli artisti sono stati condotti a rappresentazioni di natura frattale ogni volta che hanno cercato di disegnare o dipingere fenomeni di turbolenza, atmosferica o acquatica. Per limitarsi al giapponese Katsushika Hokusai, basterà ricordare, oltre alla celeberrima Grande onda al largo di Kanagawa (1810), le due serie Mille immagini del mare (1833-34) e Viaggio tra le cascate giapponesi (1834-35).

Oggi le strutture autosimili si possono realizzare e visualizzare facilmente al computer, mediante i processi iterativi tipici dei frattali. Questi sono usati comunemente nella grafica computerizzata, per riprodurre gli oggetti naturali che ne esibiscono le caratteristiche: dalle scariche elettriche alle nuvole, dalle nubi ai monti, dai rami di pino alle foglie di felce, dai broccoli ai cavolfiori, dalle scaglie dei pesci alle squame dei serpenti, dalle contorsioni dell'intestino alle cavità dei polmoni, dalle fibre nervose alle circonvoluzioni del cervello.

Quanto il computer fosse in grado di simulare artificialmente il naturale, apparve chiaro fin dal primo corso sui frattali, insegnato a Yale nella primavera del 1993. Posti di fronte a immagini estremamente realistiche di Ken Musgrave, gli studenti discussero vivacemente se e quali fossero fotografie, increduli che si trattasse solo di realizzazioni artificiali. In seguito vari artisti si sono specializzati nella creazione di paesaggi matematici: Anne Burns, ad esempio, che li chiama appropriatamente Mathscapes, "Matesaggi".

La prima esposizione di questo genere di applicazioni era stato il manifesto di Benoit Mandelbrot La geometria frattale della Natura, uscito in francese nel 1977, e in inglese nel 1982. Il retro di copertina riportava una Pianetizzazione frattale di Richard Voss, sorprendente per quei tempi. E poiché questa e altre immagini esibivano un'evidente connessione con l'arte, nei suoi "disconoscimenti" iniziali Mandelbrot si premurò di dichiarare: "competere con gli artisti non è per niente uno scopo del libro". E di aggiungere: "Non lo è neppure mostrare belle immagini, che sono uno strumento essenziale, ma solo uno strumento".

Queste non richieste scusanti erano ovviamente dettate dalla preoccupazione che i manifesti aspetti artistici dei frattali potessero distrarre dai loro contenuti matematici. Puntualmente, l'estetica dei frattali catturò immediatamente l'attenzione dei curiosi e dei media. E presto ispirò una nuova forma d'arte, oggi popolare persino sulle T-shirt.

(26 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/scienze/2013/03/26/news/odifreddi_abbasso_euclide-55362844/?ref=HREC2-13


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Caro Ferrara, epuri e si muova!
Inserito da: Admin - Marzo 26, 2013, 11:17:42 pm

25
mar
2013

Caro Ferrara, epuri e si muova!

Piergiorgio ODIFREDDI


Caro Giuliano Ferrara,

è un po’ di tempo che non ci sentiamo, e che non la disturbo con lamentele a proposito di ciò che esce sul suo Foglio Quotidiano. Diversamente dalle altre volte, però, quando mi lamentavo di cose (false) che lei aveva pubblicato sul mio conto, e dunque intervenivo privatamente con una lettera al direttore, oggi le scrivo pubblicamente dal mio blog, a causa di un articolo di un suo collaboratore, che non riguarda me (lei mi scuserà se ne vengo a conoscenza con un po’ di ritardo, ma immagino capirà il perché senza alcun ritardo).

Il contenuto di quell’articolo grida vendetta di fronte non soltanto alla comunità scientifica, ma all’intera comunità degli esseri umani, intesi secondo la definizione stoica di “animali razionali”. Il suo collaboratore Camillo Langone, evidentemente in possesso di uno solo dei due attributi che definiscono appunto l’uomo, ha postato sul sito del suo giornale il 7 marzo scorso, due giorni dopo il rogo della Città della Scienza di Napoli, un articolo intitolato Dovevano bruciarla prima, che si conclude così:

Ho scoperto che nei capannoni dell’ex Italsider si propagandava l’evoluzionismo, una superstizione ottocentesca ancora presente negli ambienti parascientifici. Il darwinismo è una forma di nichilismo e secondo il filosofo Fabrice Hadjadj dire a un ragazzo che discende dai primati significa approfittare della sua natura fiduciosa per gettarlo nella disperazione e indurlo a comportarsi da scimmia. Dovevano bruciarla prima, la Città della Scienza.

Una prova così concisa di ignoranza e di stupidità (due attributi che ovviamente convivono benissimo, in generale e nel suo collaboratore) sarebbe difficile darla. “Superstizione ottocentesca”? “Ambienti parascientifici”? “Forma di nichilismo”? Il povero Langone, che nel suo articolo nominava invano (cioè, a sproposito) il nome di Nobel, potrebbe cortesemente dirci quanti e quali, tra i 201 vincitori del premio Nobel di fisiologia e medicina tra il 1901 e il 2012, non siano stati afflitti da quella “superstizione ottocentesca, parascientifica e nichilista”? Siamo tutti tutte orecchie.

La realtà è che gli unici superstiziosi e prescientifici sono appunto gli ignoranti come lui, che non sanno di cosa parlano. In Italia, fino al 7 marzo, in questa categoria ricadevano soltanto due persone notorie, il fisico delle particelle Antonino Zichichi e lo storico delle idee religiose Roberto de Mattei, e i quattro sconosciuti gatti di un patetico Comitato Antievoluzionista. Ora ci appartiene di diritto anche lei, caro direttore: almeno fino a quando non epurerà ufficialmente “l’asino ignorante e presuntuoso” (come Giordano Bruno ne definì uno analogo, che ragliava in maniera analoga contro l’eliocentrismo) che ha scritto quell’articolo.

A differenza degli esaltati come Langone, io non chiedo naturalmente roghi. Mi basterebbe che la magistratura processasse e condannasse lui, per l’apologia di reato commessa nell’ultima frase del suo demenziale articolo. E che lei ci rassicurasse di non essersi accorto di ciò che quella mina vagante aveva postato sul suo sito. Voglio sperare che lei non condivida invece quell’articolo, e non dimostri in tal modo di appartenere pure lei, come gli esseri già citati, alla specie delle scimmie non evolute.

Ps. Immagino lei sappia chi è “il filosofo Fabrice Hadjadj”. Invito però i miei lettori, che probabilmente non lo sanno, a informarsi sul sito di Wikipedia, e a farsi quattro gustose risate:

 http://it.wikipedia.org/wiki/Fabrice_Had…

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/03/25/caro-ferrara-epuri-e-si-muova/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Onore e disonore nel Bel Paese, II
Inserito da: Admin - Aprile 01, 2013, 05:50:38 pm

29
mar
2013

Onore e disonore nel Bel Paese, II

Piergiorgio ODIFREDDI

A pochi giorni dal post del 21 marzo, che opponeva casi di onore nella società civile a casi di disonore nelle forze armate, si ripropone drammaticamente la questione negli stessi termini: da un lato, l’onore di una madre che rivendica silenziosamente rispetto per la memoria del figlio brutalmente assassinato, e dall’altra il disonore di coloro che manifestano a favore dell’impunità per gli assassini.

I fatti sono noti. Il 25 settembre 2005 due volanti della polizia, con tre poliziotti e una poliziotta a bordo, intercettano lo studente diciottenne Federico Aldrovandi, che sta tornando a casa solo e a piedi, dopo una serata di alcol e spinelli in un locale di Bologna. Lo massacrano di botte fino a spezzare i manganelli, gli salgono addosso con le ginocchia, e lo uccidono asfissiandolo. Poi riportano alla centrale operativa: “L’abbiamo bastonato di brutto. Adesso è svenuto, è mezzo morto”.

Il 6 luglio 2009 i quattro responsabili dell’omicidio vengono condannati dal tribunale di Ferrara a tre anni e mezzo per “eccesso colposo [sic] nell’uso legittimo [sic] delle armi”. Il 29 gennaio 2013, dopo vari gradi di giudizio, la sentenza diventa operativa: i quattro beneficiano dell’indulto di tre anni, e devono scontare i rimanenti sei mesi di carcere. La poliziotta, in quanto manifestamente appartenente al “gentil sesso”, riceve il beneficio degli arresti domiciliari.

Ma sei mesi di carcere per un omicidio sembrano troppi ai poliziotti del sindacato autonomo di polizia Coisp, colleghi dei condannati. Fanno dunque circolare per vari giorni per Ferrara un furgone con manifesti e bandiere, stazionandolo ripetutamente di fronte al palazzo del Comune, dove lavora la madre del giovane assassinato. E il 27 marzo indicono una manifestazione di protesta in quello stesso luogo.

La madre esce e contromanifesta silenziosamente di fronte a loro, esponendo di fronte ai complici morali la foto del figlio sfigurato dalla violenza dei quattro condannati, e in un bagno di sangue. E il coraggioso segretario del Coisp, l’agente Franco Maccari, arriva a sostenere che si tratta di un fotomontaggio.

Fortunatamente in questo frangente, diversamente da quello dei marò, il governo ha timidamente scelto di non spalleggiare gli agenti disonorati. Lo stesso 27 marzo il ministro Cancellieri ha dichiarato alla Camera: “No a sanzioni [sic], ma giudizio critico” nei confronti dei manifestanti, e in seguito ha disposto un’ispezione. I ministri e i parlamentari si sono alzati in piedi, tributando alla madre un applauso di solidarietà.
E il sindacato Silp Cgil ha preso le distanze dai colleghi del sindacato Coisp.

Forse un barlume di speranza esiste per il nostro paese. Ma, in ogni caso, nessuno ridarà alla madre il figlio ucciso dalle sedicenti “forze dell’ordine”, che ritengono di avere il diritto di condannare a morte impunemente i deboli rei del “disordine dello spinello”.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/03/29/onore-e-disonore-nel-bel-paese-ii/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La prima volta che incontrai Andreotti
Inserito da: Admin - Maggio 07, 2013, 11:14:24 pm

6
mag
2013

Non so se sia stata una fortuna, anche se io la considero tale, ma ho incontrato qualche volta Giulio Andreotti. Un politico d’altri tempi: quelli in cui, al contrario di oggi, si poteva trovare interessante un politico anche quando non si condividevano le sue idee, i suoi metodi o le sue azioni.

La prima volta che ebbi a che fare con lui fu nel 1983, quando mi successe un “infortunio” diplomatico in Unione Sovietica. Due spie sovietiche erano state arrestate in Italia, e per ritorsione i sovietici avevano fermato tre italiani: un giornalista del Giorno, un industriale della Falk e un professore universitario, cioè me. Per loro eravamo semplicemente una merce di scambio, e dopo varie vicissitudini lo scambio effettivamente si fece. E fu Andreotti, nella sua qualità di ministro degli Esteri, a gestire le trattative, che durarono sei mesi.

O almeno, così mi dissero all’epoca. E quando lo incontrai dopo qualche anno, e glielo ricordai per ringraziarlo, lui accettò i ringraziamenti e non negò, nel suo stile. E poiché, come diceva il conte di Buffon, le style c’est l’homme, fu proprio lo stile a rendermelo attraente, secondo il principio della “attrazione degli opposti”. Così com’è la mancanza di stile a rendermi insopportabile un politico come Grillo, col quale forse ho qualche affinità politica in più (il cinquanta per cento, probabilmente, come con chiunque dica cose a caso).

La prima volta che incontrai Andreotti fu per un’intervista sul teorema di Gödel: volevo vedere cosa avrebbe pensato di un risultato che dice che “ci sono verità indimostrabili”, in un periodo in cui era sotto processo per fatti legati alla mafia. Capì ovviamente subito l’antifona, e mi domandò se allora anche in matematica ci sono casi in cui “si sa qualcosa, ma non c’è la prova”. E notò che lui era stato favorevole all’abolizione dell’assoluzione per mancanza di prove: “se si pensa che qualcuno abbia combinato qualcosa”, disse, “ma non si può provarlo, non si va a cena con lui, ma non lo si condanna”.

Poi lo incontrai varie altre volte, da Vespa e altrove. In un paio di dibattiti mi divertii a osservarlo, con la coda dell’occhio, agitarsi sulla sedia mentre dicevo cosa pensavo della Chiesa, in attesa che venisse il suo turno di replicare, ma senza mai interrompere: di nuovo, un atteggiamento oggi passato in disuso, nella sguaiatezza della mediaticità contemporanea.

Naturalmente, da ragazzo e da giovane lo consideravo l’incarnazione del male in politica: sia oggettivamente, come democristiano, che soggettivamente, come Belzebù. Anche se quest’ultimo appellativo contribuiva a rendermelo simpatico: molto più che se fosse stato ritenuto un santo, come La Pira.

Altrettanto naturalmente, in quei tempi non avrei mai pensato che in seguito, pur continuando a pensare tutto il male possibile dei democristiani, compresi i due ultimi presidenti del Consiglio, sarei stato costretto a pensare molto, ma molto peggio di vari altri partiti e indemoniati che sarebbero venuti dopo: Berlusconi e Forza Italia, Bossi e la Lega, Grillo e il M5S.

Al loro confronto, Andreotti era da leccarsi i baffi: non da ultimo, per la sua cultura, e per i libri che leggeva e scriveva. Quello su padre Matteo Ricci, ad esempio, di cui parlammo una volta, e del quale sono sicuro che né Berlusconi, né Bossi, né Grillo conoscono neppure l’esistenza. E questo spiega molte cose, compreso il fatto che oggi concedo l’onore delle armi a quel “nemico di classe”: cosa che non potrei mai fare per quegli altri tre “tribuni del popolo”, che comunque, per loro (ma non nostra) fortuna, sono ancora tutti vivi e vegeti.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/05/06/un-politico-interessante/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Così muore uno scienziato
Inserito da: Admin - Maggio 12, 2013, 06:35:22 pm

12
mag
2013

Così muore uno scienziato

Piergiorgio ODIFREDDI

Il 4 maggio scorso Christian De Duve, premio Nobel per la medicina nel 1974, è morto. O meglio, vivendo in Belgio, ha potuto decidere di morire per eutanasia, essendo soddisfatto della vita che aveva vissuto per 95 anni, ma insoddisfatto di quella che avrebbe dovuto vivere per i postumi di una caduta. Aveva preso la sua decisione un mese fa, ma l’ha messa in pratica solo la scorsa settimana, per aspettare l’arrivo del figlio dagli Stati Uniti, e potersi congedare dal mondo circondato dalla famiglia al completo.

De Duve era noto al pubblico informato per una serie di libri divulgativi di grande intensità: in particolare Polvere vitale e Alle origini della vita per Longanesi (1998 e 2008), e Come evolve la vita e Genetica del peccato originale per Cortina (2003 e 2010). Questi libri esprimevano una visione spirituale della vita, biologica e umana, che è stata spesso fraintesa, per colpa o per dolo, come religiosa: molti hanno dunque tentato di annettersi la sua figura, come esempio di scienziato credente.

La sua fine coraggiosa e serena ha fatto giustizia di questi tentativi, e un’intervista da lui rilasciata al quotidiano Le Soir per spiegare la sua decisione non lascia dubbi. Alla domanda se avesse paura della morte, egli ha infatti risposto così: “Sarebbe troppo dire che la morte non mi spaventa, ma non ho paura di quello che verrà dopo, perché non sono credente. Quando sparirò sarà per sempre, e non resterà niente”.

Quanto alla fede, una volta a Venezia mi aveva detto testualmente: “La religione deve adattarsi alle scoperte scientifiche: se c’è un conflitto con la scienza, è lei che deve cedere”. E lui l’ha costretta a cedere, quando si è trovato a dover prendere una decisione responsabile sul proprio fine vita.

(testo pubblicato oggi su Repubblica, nella rubrica Tabelline)

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/05/12/cosi-muore-uno-scienziato/?ref=HROBA-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. L’onorevole soubrette
Inserito da: Admin - Maggio 20, 2013, 11:58:18 pm

19
mag
2013

L’onorevole soubrette


Nella puntata di Porta a Porta del 1 ottobre 2009 Ignazio La Russa, allora ministro della Difesa, mi urlò in diretta che facevo schifo, e si mise le dita nelle orecchie per non stare a sentire che cosa avevo di dire. Ma ciò che avevo da dire era molto semplice, anche se il ministro non voleva starlo a sentire: si trattava del fatto che il primo tassello del disvelamento di Silvio Berlusconi come un erotomane, pronto a offrire cariche politiche alle donne che lo attraevano sessualmente, era stato un episodio di qualche anno prima, e aveva coinvolto la signora Mara Carfagna.

Fu in seguito a quell’episodio, nel quale Berlusconi disse in pubblico che se non fosse già stato sposato con Veronia Lario, avrebbe sposato la soubrette, che il 31 gennaio 2007 la signora Berlusconi scrisse una lettera a Repubblica, nella quale pretese pubblicamente le scuse dal marito. In una successiva mail del 28 aprile 2009, la signora criticò come “ciarpame senza pudore” le candidature delle veline in politica, e pochi giorni dopo chiese la separazione da Berlusconi.

Nel frattempo, nel 2006 la velina Carfagna era stata eletta deputato, e nel 2008 divenne addirittura ministro per le pari opportunità: un vero e proprio sberleffo alla decenza, per un’arrivista che era apparsa nuda sulla copertina di una rivista nel 2001, e su un intero calendario nel 2005. Nei tre anni e mezzo in cui rimase in carica, il ministro si distinse per una relazione extraconiugale durata due anni e mezzo con il deputato finiano Italo Bocchino, rivelata pubblicamente nel 2011 dalla moglie di questo.

L’altro giorno l’ex ministra, ma tuttora deputata, è stata insultata al supermercato da due persone. Il ministro dell’Interno, suo collega di partito, dà la colpa dell’episodio ai “cattivi maestri”: tra i quali, probabilmente, vanno annoverati tutti coloro che non dimenticano, e continuano a ricordarlo a chi l’ha dimenticato, come e perché la signora Carfagna sia entrata in politica e abbia fatto carriera. La presidente della Camera ha espresso solidarietà alla collega di seggio in una “lunga e affettuosa telefonata”: evidentemente, lo spirito di casta ha sempre il sopravvento sulla decenza.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/05/19/lonorevole-soubrette/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Il Grillo Frignante
Inserito da: Admin - Giugno 01, 2013, 04:58:07 pm

29
mag
2013

Il Grillo Frignante

Piergiorgio ODIFFREDDI

Che Beppone abbia perso in tre mesi metà dei consensi incautamente manifestatigli dagli elettori alle elezioni politiche, non stupisce. Stupisce semmai che abbia conservato l’altra metà, a dimostrazione del fatto che l’illusione è refrattaria a cedere di fronte all’evidenza, e dura a morire.

Eppure, già la campagna elettorale per le politiche avrebbe dovuto far drizzare le orecchie a chiunque non fosse sordo: le urla strozzate e gli occhi allucinati del tragicomico non potevano infatti distrarre dall’evidenza del vuoto massimalista delle sue non-proposte, dal reddito di cittadinanza (un colpo alla botte di sinistra) alle misure contro gli immigrati (un colpo al cerchio di destra).

L’armata Brancaleone sbarcata in Parlamento ha subito aperto gli occhi a coloro che, invece di essere ciechi, erano solo orbi: l’Italia avrebbe dovuto essere “rivoltata come un calzino” da ignoranti che non sapevano nemmeno dove si trovasse il Parlamento o cosa prevedesse la Costituzione (ad esempio, l’età per essere eletti al Quirinale), da idioti preda delle cretinate della rete (ad esempio, che negli Stati Uniti il “potere” impianta chip di controllo delle menti nei cittadini), da presuntuosi incapaci di distinguere le consultazioni per il governo dai dibattiti di Ballarò.

Per qualche settimana i neofiti della Casta hanno scalpitato a proposito delle commissioni, senza nemmeno sapere la differenza tra le proposte di legge e le loro approvazioni, e credendo che bastasse depositare le prime per ottenere automaticamente le seconde. Poi hanno cominciato a litigare sugli stipendi e i rimborsi, come i tanto vituperati “parassiti della politica”.

Nel frattempo hanno perso i treni della formazione di un governo di rottura e dell’elezione di un presidente di innovazione, perché totalmente incapaci di fare politica, e bravi soltanto a giocare il ruolo del bullo di periferia, all’insegna del motto “io con te non ci parlo, e tu devi fare cosa dico io”.

Ora la gente ha capito che dobbiamo ringraziare i voti sprecati dati a Grillo, se al governo è tornato Berlusconi e al Quirinale è rimasto Napolitano. Una buona parte degli elettori ha deciso di mandare “affa” la politica, senza più andare a votare. E un’altra buona parte ha deciso di mandare “affa” Grillo, capendo che il suo rimedio è peggiore del nostro male.

Ora Grillo frigna che “la colpa è degli Italiani”, e ha perfettamente ragione. Ma non nel senso in cui la intende lui, ovviamente: la colpa è (anche) di tutti coloro che gli hanno dato retta, e che non hanno capito che chi semina il vento dei ciarlatani raccoglie la tempesta dei reazionari. Grazie, Grillo, e che le prossime elezioni ti possano spiaccicare sulla scheda come una cavalletta.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/05/29/il-grillo-frignante/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. L’Italia scientifica non fa festa
Inserito da: Admin - Giugno 03, 2013, 04:56:01 pm

2
giu
2013

L’Italia scientifica non fa festa

Piergiorgio ODIFREDDI

Il 2 giugno, giorno della festa della Repubblica, si presta a una riflessione sul suo atteggiamento nei confronti della scienza. Riflessione stimolata da una recente vicenda, che si ripropone come una riedizione della famigerata vicenda Di Bella di alcuni anni fa.

Tutto ha origine da un certo professor Davide Vannoni, laureato in lettere, e insegnante di psicologia presso l’Università di Udine. Questo fior di umanista ha inventato un metodo terapeutico denominato Stamina, per una sedicente “cura compassionevole” per malattie rare, dalla atassia muscolare spinale al coma vegetativo, basata sulle cellule staminali. Sperimentata fino a poco tempo all’Ospedale di Brescia, la cura è stata sospesa dai Carabinieri e dall’Agenzia italiana del farmaco, sollevando l’interesse dei giornalisti di Le Iene, e le conseguenti proteste del pubblico favorevole alle cure dei vari stregoni fai-da-te.

Il neoeletto Parlamento italiano, alla stregua di quello che nel 2004 emanò la famigerata legge sulla procreazione assistita, non ha perso l’occasione per dimostrare subito il proprio oscurantismo. E ha approvato all’unanimità (con soli quattro astenuti e un contrario alla Camera) l’avvio della sperimentazione del metodo, sotto il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità. Facendo diventare il nostro paese, ancora una volta, lo zimbello del mondo scientifico, sbeffeggiato al proposito per ben due volte (il 26 marzo e il 16 aprile) da Nature, la più famosa rivista scientifica del pianeta:

 http://www.nature.com/news/stem-cell-rul…

 http://www.nature.com/news/smoke-and-mir…

Grillo continua a sbraitare che i parlamentari “sono tutti uguali”. Per quanto riguarda l’ignoranza scientifica, ha ragione: compresi i suoi. Più che degli auguri, la nostra Repubblica ha dunque bisogno di una sveglia!


da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/06/02/litalia-scientifica-non-fa-festa/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La Signora delle Stelle
Inserito da: Admin - Giugno 30, 2013, 04:47:00 pm

30
giu
2013

La Signora delle Stelle


Margherita Hack, la Signora delle Stelle, se n’è andata a 91 anni. Era da tempo gravemente malata, ma aveva deciso di non curarsi più, lasciando alla Natura la decisione di quando richiamarla a sé. Fino all’ultimo, dunque, è rimasta coerente con la sua figura di intellettuale impegnata: da un lato, concentrata nello studio e nell’apprezzamento delle bellezze del cosmo, e dall’altro lato, incurante delle convenzioni stabilite e insofferente delle superstizioni condivise.

Fin dalla giovinezza, aveva imparato a vivere sana. Era nata in una famiglia vegetariana e non aveva mai mangiato carne, facendo sua la motivazione esposta dal filosofo Peter Singer nell’ormai classico libro Liberazione animale (Mondadori, 1991):il fatto, cioè, che mangiare gli animali richiede di causar loro enormi sofferenze, dalla nascita alla morte, e rende complici di quella che la Hack chiamava una “ecatombe giornaliera”.

A difensori dell’inciviltà dei McDonald’s, che provavano a sostenere con lei che un bambino necessita di carne per crescere, la Hack rispondeva che non solo lei era cresciuta benissimo, senza mai aver avuto malattie serie, ma aveva potuto praticare sport agonistici, diventando in gioventù campionessa di salto in alto e in lugno. E ancora a ottant’anni faceva giri in bicicletta di 100 chilometri e giocava a pallavolo.

L’altra faccia del vegetarianesimo della Hack era il suo famoso amore per i gatti, dei quali viveva circondata in casa, e che spesso si vedevano gironzolare attorno a lei, o sederle vicino, durante le interviste registrate o gli interventi in videoconferenza. Come quello nel quale l’abbiamo vista l’ultima volta, il 9 maggio scorso a Pisa, nei Dialoghi dell’Espresso dedicati al tema Perché la ricerca è indispensabile.

Questo intervento non fu che l’ultima testimonianza pubblica di una grande affabulatrice, che col passare del tempo aveva dedicato sempre più energie a raccontare, a voce e per iscritto, le meraviglie delle stelle e dell’universo. E poiché lo faceva con grande passione e altrettanta chiarezza, era ormai diventata la più famosa divulgatrice scientifica italiana, contendendo alla Levi Montalcini il primato per la popolarità.

Le sue conferenze erano affollate come concerti, e sentirla raccontare le ultime scoperte astronomiche era un vero piacere per le orecchie e per la mente. D’altronde, era quello il suo vero lavoro, forse più nascosto e meno noto al pubblico. Aveva cominciato a interessarsene fin dalla sua tesi di laurea, nell’ormai lontano 1945, sulle Cefeidi. Aveva poi insegnato astronomia a Trieste, dove tuttora viveva, dirigendone per quasi venticinque anni l’Osservatorio Astronomico.

Il suo valore scientifico era testimoniato dalla sua appartenenza all’Accademia Nazionale dei Lincei, di Galileiana memoria, e dalle sue collaborazioni con l’Ente Spaziale Europeo e la Nasa statunitense. Ma fin dagli anni ’70 aveva iniziato il suo impegno per la disseminazione del sapere scientifico in una società come quella italiana, succube di preti e idealisti, che rimane ancor oggi preda di un atteggiamento antiscientista e superstizioso.

Fin dagli inizi aveva dunque collaborato con il Cicap, il Comitato per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, fondato nel 1989 da Piero Angela. E la sua verve toscana le era servita spesso, per mettere alla berlina le credenze più retrograde e sciocche, spesso propagandate dai media. E non solo, visto che solo qualche settimana fa l’intero Parlamento italiano ha votato all’unanimità a favore della sperimentazione della cura medica Stamina proposta da uno psicologo di professione (sic), rendendoci ancora una volta gli zimbelli del mondo scientifico internazionale, e facendoci sbeffeggiare per ben due volte dalla rivista Nature.

Oltre che contro le superstizioni antiscientifiche, la Hack combatté coraggiosamente anche contro quelle religiose e organizzate. Era presidente onoraria dell’Uaar, l’Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti, che si propone di dar voce a quel 15 per100 della popolazione italiana che non crede nelle favole mediorientali, ma che certo non riceve il 15 per 100 della visibilità sui media, e non ottiene l’8 per 1000 di finanziamento statale.

A questo proposito, a Natale ho avuto il dubbio onore di condividere con lei uno dei tanti episodi di intolleranza religiosa nei confronti dei non credenti, in questo paese di bigotti. Un prete fondamentalista di Firenze mise infatti le nostre foto, insieme a quelle di Corrado Augias e Vito Mancuso, in una specie di “presepio degli orrori”, che comprendeva Hitler, Stalin e Pol Pot. L’idea era di accomunare i non credenti ai nazisti e ai comunisti, per mostrare che senza fede si finisce dritti ai campi di concentramento e ai gulag.

La Hack reagì nella miglior maniera, a questa stupida provocazione: si fece una bella risata, e diede del “bischero” a quel prete. Ma comunista lei lo era per davvero, e lo rimase anche dopo la caduta del Muro di Berlino. Militò in vari partiti dell’estrema, e alle regionali del 2010 fu eletta nel Lazio con la Federazione della Sinistra, anche se alla prima seduta del consiglio si dimise per lasciare il posto al primo non eletto.

Era dunque uno degli ultimi rappresentanti di quella specie ormai in via di estinzione che è l’intellettuale engagée, che pensa con la propria testa invece che con quella degli altri.
Di Margherita Hack, come di Rita Levi Montalcini o di Franca Rame, ci sarebbe un gran bisogno. E ora che anche l’ultima di loro se n’è andata, toccherà a qualcun altro indicarci la via, e ricordarci che la ragione e l’onestà sono caratteristiche indispensabili per vivere degnamente in una societ‘a civile.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/06/30/la-signora-delle-stelle/?ref=HROBA-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. L’enigma di Mick Jagger
Inserito da: Admin - Luglio 30, 2013, 11:08:05 am

28
lug
2013

L’enigma di Mick Jagger

PIEGIORGIO ODIFREDDI

Sir Mick Jagger, cantante dei Rolling Stones, ha compiuto settant’anni due giorni fa. Devo confessare che sapere lui e il suo gruppo ancora in agitazione sui palchi di mezzo mondo, lungi dall’entusiasmarmi, mi fa un po’ di tristezza: cavalcare la protesta a vent’anni è una cosa, e scimmiottarla a settant’anni da cavalieri un’altra. Sarà forse che, avendo partecipato ventenne nel 1970 al grande Festival dell’isola di Wight, preferisco tenermi altri ricordi dei “divi del rock” che vidi allora, alcuni dei quali hanno avuto il buon gusto di non invecchiare: Jimi Hendrix e Jim Morrison, ad esempio, che morirono poco dopo quel concerto.

Un rimpianto con Mick Jagger però ce l’ho, ed è di non aver osato fare due chiacchere con lui l’unica volta che l’ho visto di persona, in un bar di Los Angeles, quando studiavo a Ucla qualche anno dopo. Perché avrei voluto chiedergli dei suoi studi alla London School of Economics: uno dei templi dell’economia mondiale, nel quale uno si aspetta di trovare futuri ministri o banchieri, ma non un sex symbol o un cantante rock.

Oggi poi, se dovessi incontrarlo, gli chiederei anche del suo interesse per l’informatica e la crittografia, che l’ha portato a comprare una delle poche macchine Enigma ancora esistenti, usate dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale per codificare i loro messaggi. E a produrre il film Enigma che racconta la storia del genio Alan Turing, e del suo riuscito tentativo di decodificarli in tempo reale, rendendo inutile l’uso della macchina. Di nuovo, non sono cose che si aspetterebbero da un “canzonettaro”, e cha fanno sì che anche un matematico abbia “simpatia per il diavolo” incarnato in quell’enigma di Mick Jagger. Tanti auguri, dunque, Sir Mick!

(Testo apparso oggi nella rubrica “Tabelline” del giornale cartaceo)

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/07/28/lenigma-di-mick-jagger/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Sedicenti perseguitati e dissidenti
Inserito da: Admin - Agosto 05, 2013, 08:36:28 am

2
ago
2013

Sedicenti perseguitati e dissidenti

PIEGIORGIO ODIFREDDI

Nel giro di due giorni, la magistratura francese ha arrestato il sedicente dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, e la magistratura italiana ha condannato in via definitiva il sedicente perseguitato Silvio Berlusconi. Si tratta, in entrambi i casi, di due individui che hanno accumulato una grande fortuna economica in breve tempo, e l’hanno spregiudicatamente (e, ora, pregiudicatamente) usata a fini politici.

Ablyazov era in possesso di vari passaporti, a vari nomi e di diversi stati: uno dei quali, la Repubblica Centrafricana. Come sua moglie, d’altronde, che è stata espulsa qualche settimana fa dall’Italia con grande scandalo dei benpensanti. Speriamo che entrambi, marito e moglie, tornino presto al loro paese d’origine, a rispondere (penalmente, e non solo verbalmente) alla retorica domanda che si può e si deve fare a un neomiliardario: come ha fatto ad accumulare onestamente la sua fortuna?

Berlusconi ha ancora in corso vari processi, con varie imputazioni e con alcune condanne non definitive: una delle quali, a sette anni di carcere e interdizione perpetua dai pubblici uffici per concussione e prostituzione minorile. La sentenza di oggi non è dunque che il primo tassello di un puzzle tutt’altro che concluso, e che mira a rispondere definitivamente alla stessa retorica domanda di cui sopra.

Non ci si può dunque stupire che uomini come Ablyazov e Berlusconi finiscano col dover saldare i loro conti con la legge. Semmai, ci si può lamentare del fatto che le loro fortune economiche e politiche glieli facciano saldare così tardi, e con così tanta fatica per la società. E non è nemmeno un caso che i nodi vengano al pettine quando il loro potere politico si sia affievolito: è una sorte già spettata ad altri grandi intrallazzatori, di denaro e di voti.

In fondo, gli Ablyazov e i Berlusconi fanno parte del club dei Bokassa e dei Gheddafi: il primo, ex presidente della Repubblica Centrafricana che ha concesso il passaporto ad Ablyazov, e il secondo, inventore del bunga bunga importato da Berlusconi. E’ lo stesso club dei Fujimori e dei Noriega, che dopo lunghi anni nel lusso e al potere, ne hanno passati altrettanti in galera, dove si trovano tutt’ora nel disinteresse generale. E forse è lo stesso club a cui un giorno apparterranno anche gli Ablyazov e i Berlusconi, quando il Kazakhstan e l’Italia saranno diventati paesi normali, almeno quanto quelli sudamericani.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/08/02/sedicenti-perseguitati-e-dissidenti/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La calda estate egiziana
Inserito da: Admin - Agosto 19, 2013, 07:26:59 pm

17
ago
2013

La calda estate egiziana

Piergiorgio ODIFREDDI

E’ sempre una magra soddisfazione accorgersi di aver previsto sciagure, alla maniera di Cassandra. Ma dopo i fatti di questi giorni in Egitto, non si può dire che non l’avevamo previsto. Già il 7 luglio avevamo infatti scritto, su questo stesso blog: “Le elezioni e la democrazia sono esaltanti e sacrosante, fino a quando non portano al potere la gente che non ci piace: ad esempio, i Fratelli Musulmani. Allora, oggi in Egitto come ieri (nel 1991) in Algeria, diventa democratico dimenticarsi della democrazia e inneggiare al colpo di stato militare”.

In particolare, ci eravamo domandati come avesse potuto, un premio Nobel per la pace come El Baradei, schierarsi dalla parte dei golpisti egiziani e offrire loro i suoi servizi: allora, come candidato potenziale alla presidenza del Consiglio, e in seguito, come vicepresidente attuale della Repubblica. Una carica dalla quale si è dimesso dopo i fatti di questi giorni, in omaggio al tentennante comportamento che ha seguito fin dai tempi della sua presidenza dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, in particolare riguardo alle ispezioni in Iraq prima della pretestuosa invasione statunitense.

A proposito di Stati Uniti, l’altro grande finto tonto della situazione è il presidente Obama, pure lui premio Nobel per la pace, e pure lui accortosi solo oggi che i militari golpisti sono militari golpisti. E che dunque si comportano con la popolazione alla stessa stregua degli altri militari golpisti che gli Stati Uniti hanno spalleggiato, nel corso della loro democratica storia: da Somoza a Van Thieu, da Pinochet a Videla.

Quanto all’Italia, la reazione governativa al massacro di agosto è stata a dir poco patetica. Preoccupato soprattutto degli affari delle agenzie di viaggio e delle vacanze dei turisti, il ministero degli Esteri si è premurato di assicurare che i resort a capitale straniero in terra egiziana non erano a rischio, e che dunque si poteva procedere col “business and holidays as usual”. D’altronde, i resort sono per loro natura zone extraterritoriali, nelle quali poter sfruttare le risorse di un paese senza doversi mescolare con la sua popolazione, eccezion fatta per gli “zio Tom” che ci lavorano.

E mentre nei resort i turisti prendono il sole e aspettano la fine delle vacanze, al Cairo e nel resto del paese la gente prende pallottole e aspetta la guerra civile, grazie ai militari golpisti e ai premi Nobel per la pace.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/08/17/la-calda-estate-egiziana/?ref=HREA-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La predica del parroco di Santa Marta
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2013, 11:32:04 am

11
set
2013

La predica del parroco di Santa Marta


Papa Francesco ha scritto una lettera a Eugenio Scalfari, che gli aveva rivolto alcune domande a proposito della fede. Naturalmente, dopo alcuni mesi di pontificato ormai sappiamo che Jorge Mario Bergoglio è un parroco simpatico e mediatico, ma non un teologo o un pensatore: cioè, è la persona giusta per attirare i semplici con gesti semplici, ma la persona sbagliata per rispondere profondamente a domande profonde.

Benché presentata come un “dialogo aperto con i non credenti”, la sua lettera è dunque piuttosto un “dialogo fra sordi”. Anzitutto, per la sua confusione di fondo, tra “fede” e “cristianesimo”. Sembra infatti che per Bergoglio i due termini siano sinonimi, e che egli non riesca nemmeno a immaginare concezioni astratte della divinità, quali il Deus, sive natura di Spinoza, o il Logos degli stoici, o anche solo lo Jahvé degli ebrei: e infatti, quando parla di questi ultimi, si limita a citare la loro perseveranza nella propria fede anche durante la shoah.

Per Bergoglio l’unico Dio è Gesù Cristo: come lo raccontano le Lettere di Paolo, che non l’ha mai incontrato, o il Vangelo di Giovanni, che (come Scalfari faceva notare) è ancora più allegorico dei tre sinottici, ed è tutto dire! Nessuna parola sulla storicità di Gesù, data evidentemente per scontata anche per un non credente. Nessuna parola sui suoi supposti miracoli, in particolare su quella resurrezione senza la quale “la fede sarebbe invano”. Niente sui dogmi che in fondo caratterizzano il cattolicesimo rispetto ad altre denominazioni cristiane: cioè, proprio sugli aspetti che ci si aspetterebbe di dover affrontare con i non credenti.

Invece, dopo aver asserito che la fede non propone verità assolute, sulla base di un gioco di parole secondo cui “la verità è relazione”, Bergoglio afferma, anzitutto, che “la verità fa il credente umile”. E poi, che “Dio è realtà con la “R” maiuscola, e Gesù ce lo rivela”: come se questo non fosse appunto un tronfio esempio archetipico (o meglio, due) di una supposta verità assoluta.

E su questa base, Bergoglio pretenderebbe di aver fatto “un tratto di strada insieme al non credente”. In realtà (con la “r” minuscola), ha semplicemente ripetuto una delle prediche da parroco che elargisce ogni giorno a Casa Santa Marta. Buone per coloro che vogliono appunto lasciarsi cullare dalla solita musica del pifferaio magico, ma certo inutili per coloro che vogliano veramente affrontare un discorso ad armi pari su fede e ragione. Per questo, ci vuol altro che un Bergoglio: “Ridateci Ratzinger!”, si potrebbe ben dire.

Ps. Per comodità del lettore, ecco i due interventi di Scalfari, la risposta di Bergoglio e la risposta alla risposta di Scalfari:

 http://www.repubblica.it/politica/2013/0…

 http://www.repubblica.it/politica/2013/0…

 http://www.repubblica.it/cultura/2013/09…

 http://www.repubblica.it/cultura/2013/09…


da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/09/11/la-predica-del-parroco-di-santa-marta/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Il postino del Papa suona due volte
Inserito da: Admin - Settembre 29, 2013, 04:37:35 pm

24
set
2013

Il postino del Papa suona due volte

Piergiorgio ODIFREDDI

Pochissime persone al mondo, ed Eugenio Scalfari è una di queste, possono comprendere completamente la sorpresa e l’emozione che si provano nel ricevere direttamente a casa propria un’inaspettata lettera di un Papa. Una sorpresa e un’emozione che non vengono scalfite dal fatto di essere dei miscredenti, perché l’ateismo riguarda la ragione, mentre le personalità e i simboli del potere agiscono sui sentimenti.

A me questa sorpresa e quest’emozione sono capitate il 3 settembre scorso, quando il postino mi ha recapitato una grande busta sigillata, contenente 11 pagine protocollo datate 30 agosto, nelle quali Benedetto XVI rispondeva al mio Caro papa, ti scrivo (Mondadori, 2011). Una risposta sorprendente, che infatti mi ha sorpreso, per due ragioni. Anzitutto, perché un Papa ha letto un libro che, fin dalla copertina, veniva presentato come una “luciferina introduzione all’ateismo”. E poi, perché l’ha voluto commentare e discutere.

Poco dopo le dimissioni di Ratzinger, avevo approfittato di un amico comune per chiedere all’arcivescovo Georg Gänswein se fosse possibile recapitare all’ormai Papa emerito una copia del mio libro, nella speranza che lo potesse vedere, e magari sfogliare. E in seguito, in un paio di occasioni, mi era stato detto dapprima che l’aveva ricevuto, e poi che lo stava leggendo. Ma che potesse rispondermi, e addirittura commentarlo in profondità, era al di là delle ragionevoli speranze.

Aprire la busta e trovarci dentro 11 fitte pagine, che iniziavano con una richiesta di scuse per il ritardo nella risposta, e un’offerta di ringraziamenti per la lealtà della trattazione, era la realizzazione del massimo delle aspettative possibili, in un mondo che di solito non ne realizza che il minimo. Ed era anche la soddisfazione di veder finalmente presi sul serio e non rimossi, benché ovviamente non condivisi, i miei argomenti a favore dell’ateismo e contro la religione in generale, e il cattolicesimo in particolare.

D’altronde, non era certo un caso che avessi indirizzato la mia lettera aperta a Ratzinger. Dopo aver letto la sua Introduzione al Cristianesimo, suggeritami dal compagno di strada Sergio Valzania lungo il Cammino di Santiago del 2008, avevo capito che la fede e la dottrina di Benedetto XVI, a differenza di quelle di altri, erano sufficientemente salde e agguerrite da poter benissimo affrontare e sostenere attacchi frontali. Un dialogo con lui, benché allora immaginato soltanto a distanza, poteva dunque rivelarsi un’impresa stimolante e non banale, da affrontare a testa alta.

Scrivendo il mio libro come un commento al suo, avevo cercato di favorire la pur remota possibilità che un giorno il destinatario potesse effettivamente riceverlo. Avevo dunque abbassato i toni sarcastici di altri saggi, scegliendo uno stile di scambio tra professori “alla pari”, ovviamente nel senso accademico dell’espressione. E mi ero concentrato sugli argomenti intellettuali che potevo sperare avrebbero mantenuta viva la sua attenzione, pur senza rinunciare ad affrontare di petto i problemi interni della fede e i suoi rapporti esterni con la scienza.

L’approccio evidentemente non era sbagliato, visto che ha raggiunto il suo scopo: che, ovviamente, non era cercare di “sconvertire il Papa”, bensì esporgli onestamente le perplessità, e a volte le incredulità, di un matematico qualunque sulla fede. Analogamente, la lettera di Benedetto XVI non cerca di “convertire l’ateo”, ma gli ritorce contro onestamente le proprie simmetriche perplessità, e a volte le incredulità, di un credente molto speciale sull’ateismo.

Il risultato è un dialogo tra fede e ragione che, come Benedetto XVI nota, ha permesso a entrambi di confrontarci francamente, e a volte anche duramente, nello spirito di quel Cortile dei Gentili che lui stesso aveva voluto nel 2009. Se ho atteso qualche settimana a rendere pubblica la sua partecipazione al dialogo, è perché volevo essere sicuro che egli non volesse mantenerla privata.

Ora che ne ho ricevuto la conferma, anticipo qui una parte della sua lettera, che è comunque troppo lunga e dettagliata per essere riportata integralmente, soprattutto nelle sezioni filosofiche iniziali. Lo sarà a breve in una nuova versione del mio libro, sfrondato delle parti sulle quali lui ha deciso di non soffermarsi, e ampliata con un resoconto della nascita e degli sviluppi di quello che risulta essere un unicum nella storia della Chiesa: un dialogo fra un papa teologo e un matematico ateo. Divisi in quasi tutto, ma accomunati almeno da un obiettivo: la ricerca della Verità, con la maiuscola.

 http://www.repubblica.it/la-repubblica-d…

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/09/24/il-postino-del-papa-suona-due-volte/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Un commento di Chomsky
Inserito da: Admin - Ottobre 28, 2013, 10:34:20 am
23
ott
2013

Un commento di Chomsky

Dopo le recenti polemiche seguite al mio commento delle ore 01.16 del 14 ottobre, relativo alla discussione sul post Priebke come Welby, mi era rimasto un dubbio. Le mie parole potevano evidentemente risultare ambigue, soprattutto se estrapolate dal contesto e dall’intera discussione, e provocare a prima vista un’impressione sbagliata. Ma si potevano veramente fraintendere anche a una seconda lettura in buona fede, o erano necessarie la mala fede e/o la mala ragione per interpretarle in maniera negazionista, e scatenare un linciaggio mediatico?

Per rispondere a questa domanda ieri ho scritto a Noam Chomsky, mandandogli la traduzione del mio commento e spiegandogli gli effetti che aveva provocato. Ecco la sua reazione, che pubblico qui col suo permesso. La riporto anche in inglese, per evitare che qualche sfumatura nella traduzione possa generare ulteriori fraintendimenti:

    I’ve often written very much along the lines of your comments. I’ve also strongly opposed the principle that the State has the right to declare Historical Truth and to punish deviation from their commands, particularly in France, where this is the law, supported by much of the left-liberal intellectual community. And as a result I’ve been subjected to the very same charges.

    A couple of centuries ago some British commentator wrote that if someone walked down the street telling the truth, he’d probably be killed after a few hundred meters. The sordid history of intellectuals, from the earliest days, supports this conclusion, metaphorically at least, often literally.

    “Ho scritto spesso ed estesamente lungo le linee dei tuoi commenti. E mi sono anche fortemente opposto al principio che lo Stato abbia il diritto di stabilire la Verità Storica e di punire deviazioni dai propri comandamenti: soprattutto in Francia, dove questo è ormai una legge, appoggiata da una buona parte della comunità intellettuale della sinistra liberale. Di conseguenza, sono stato sottoposto alle stesse identiche accuse.

    Un paio di secoli fa qualche commentatore inglese ha scritto che se qualcuno camminasse per strada dicendo la verità, verrebbe probabilmente ammazzato dopo qualche centinaio di metri. La sordida storia degli intellettuali, fin dagli inizi, conferma questa conclusione: almeno metaforicamente, e spesso letteralmente.”

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/10/23/un-commento-di-chomsky/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La legge non è uguale per tutti
Inserito da: Admin - Novembre 04, 2013, 11:55:59 am
2
nov
2013

La legge non è uguale per tutti

La scoperta che, dietro la scarcerazione di Giulia Ligresti per “motivi umanitari” ci sia in realtà l’interessamento del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, riporta alla memoria altri episodi di mala giustizia del passato, da parte dei potenti a vantaggio dei loro amici: dalla soffiata da parte dell’allora presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, a Donat Cattin per favorire la fuga del figlio accusato di terrorismo, alla telefonata dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per liberare la famigerata “nipote di Mubarak” dal fermo di polizia.

Ciò che accomuna questi episodi è una concezione di “superiorità alla giustizia” proprio da parte di coloro che, a causa del loro ruolo istituzionale, dovrebbero invece sottomettervisi in maniera ancora più esemplare di quanto non sia richiesto a un normale cittadino. In tutti questi episodi, affiorano interessi privati in atti pubblici: nel caso particolare della signora Cancellieri, una lunga amicizia con la famiglia Ligresti, con torbidi favori finanziari concessi al figlio. Nella fattispecie, una buonuscita di 3,6 milioni di euro dopo un anno di “lavoro” come direttore generale di una holding dei Ligresti.

Come sempre succede in questi casi, il Palazzo fa quadrato attorno ai suoi esponenti. Da un lato, si adducono appunto gravi “incompatibilità” della povera (nel senso di ricca) signora Ligresti al carcere: come se al mondo ci fosse qualcuno che col carcere è compatibile, e non soffra per la detenzione e i suoi effetti. Dall’altro lato, le massime autorità dello Stato, dal presidente della Repubblica a quello del Consiglio, sembrano accettare la scusa del ministro, di aver agito “secondo coscienza”: come se per il ministro del Giustizia la coscienza potesse essere un sostituto della legge e della trasparenza.

La realtà è, molto semplicemente, che la legge non è affatto uguale per tutti, nonostante ciò che sta scritto nei tribunali. Per i potenti, economici o politici, la legge è diversa, e loro la aggirano silenziosamente a piacere. Ma a volte, come in questo caso, il silenzio viene infranto: in tal caso la decenza vorrebbe che, invece di arrampicarsi sui vetri, la signora Ligresti tornasse in cella, come una qualunque pregiudicata sottoposta alla carcerazione preventiva, e la signora Cancellieri tornasse a casa, come un qualunque ministro preso con le mani nel sacco. Anche se, probabilmente, non succederanno né una cosa, né l’altra.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/11/02/la-legge-non-e-uguale-per-tutti/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. L’analisi logica del linguaggio
Inserito da: Admin - Novembre 09, 2013, 11:12:25 am
7
nov
2013

L’analisi logica del linguaggio


Due eventi si sono affiancati nelle ultime ore. Da un lato, Moni Ovadia ha fatto parlare di sé a proposito di questa sua dichiarazione al Fatto Quotidiano: “Ho deciso di andarmene. Io non voglio più stare in un posto che si chiama comunità ebraica, ma è l’ufficio propaganda di un governo. Sono contro quelli che vogliono “israelizzare” l’ebraismo”.

Dall’altro lato, Silvio Berlusconi ha fatto parlare di sé a proposito di questa sua dichiarazione, anticipata nella campagna pubblicitaria per la prossima uscita del nuovo libro di Bruno Vespa Sale, zucchero e caffè: “I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania sotto il regime di Hitler”.

Il fatto che la loro storia dimostri che Moni Ovadia è un ebreo antisionista, e Silvio Berlusconi un sionista antisemita, suggerisce già di per sé la complessità delle relazioni fra i due termini del dilemma: il passato del popolo ebraico e il presente del governo dello stato di Israele. E complica la vita di chiunque voglia cercare di tenere distinte le due cose.

Purtroppo, questa complessità provoca reazioni pavloviane ogni qual volta si provino ad analizzare razionalmente questi (ma anche altri!) argomenti. Puntualmente, la dichiarazione di Berlusconi ha sollevato un vespaio isterico, nonostante la perplessità iniziale del presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, che aveva dichiarato all’Huffington Post: “Frase molto infelice, ho bisogno di tempo per riflettere”.

Ecco, riflettere è sempre un’ottima cosa. E sarebbe molto evangelico applicarla anche, e soprattutto, ai nostri nemici: com’è Berlusconi per me, ad esempio, o come io sono per i berlusconiani (oltre che per i fondamentalisti di varia natura). Provo dunque a fare a lui ciò che loro non hanno fatto a me, nelle recenti polemiche che hanno coinvolto una mia “dichiarazione”.

La sua, chi riflettesse anche solo un attimo avrebbe dovuto leggerla in questo modo: “Vespa dice che Berlusconi dice che i suoi figli dicono che si sentono come loro pensano che si sentissero gli ebrei sotto Hitler”. Ora, anzitutto, Vespa è un giornalista, e Berlusconi un politico: nessuno dei due è dunque particolarmente affidabile, per natura. La prima cosa da verificare sarebbe stata chiedere conferma a Vespa e a Berlusconi: puntualmente, il primo ha confermato, e il secondo smentito. Dunque, siamo da capo.

Ma anche prendendo la frase per quel che è, il paragone fra la sua situazione nell’Italia di oggi e quella degli ebrei nella Germania di ieri viene da Berlusconi attribuita ai figli. Dunque, bisognerebbe anzitutto chiedere conferma a loro. Ma conferma di cosa? La frase non dice che i figli dicono che loro sono nella situazione degli ebrei sotto Hitler, ma che si sentono come loro pensano che si sentissero gli ebrei sotto Hitler. E se effettivamente si sentono così, si tratta dell’espressione di un loro sentimento irrefutabile, e non dell’affermazione di uno stato di cose refutabile.

Magari si potrebbe argomentare che non dovrebbero sentirsi così, ma purtroppo i sentimenti non sono sempre (o non sono mai) razionalmente giustificabili: un conto è dire di essere perseguitati, e un altro dire di sentire di esserlo. In ogni caso, anche l’espressione “sotto Hitler” significa poco, fino a quando non la si precisa: un conto era la situazione “sotto Hitler” nel 1933, un’altra quella nel 1938, o nel 1943, o nel 1945.

Ovviamente, prestare un minimo di attenzione alle frasi e fare le necessarie distinzioni impedirebbe ai media di fomentare il clima di continuo sensazionalismo che essi stessi generano, e prosperare su quella che Philip Roth descriveva, nel romanzo La macchia umana, come “un’orgia colossale di bacchettoneria”, in cui “i cialtroni tronfi e morigerati, smaniosi di incolpare, deplorare e punire, fanno i moralisti a più non posso, tutti in un parossismo calcolato di quello che Hawthorne identificò come lo spirito di persecuzione”.

Ecco, io comincio a essere un po’ stufo di “congetture, teorie e iperboli”. E faccio mie le parole di Moni Ovadia: “Vorrei essere criticato – non calunniato o insultato – ma rispettato. Vorrei semplicemente avere il diritto di dire la mia opinione e potermi confrontare”. E aggiungo che vorrei che tutti avessero questo diritto: persino la gente come Berlusconi. Se non altro, perché ci sono sufficienti motivi per attaccarlo, senza doversi attaccare ai pretesti.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/11/07/lanalisi-logica-del-linguaggio/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Papi, Presidenti e Imperatori
Inserito da: Admin - Novembre 19, 2013, 05:25:42 pm
14
nov
2013

Papi, Presidenti e Imperatori


Il Presidente della Repubblica ha incontrato per l’ennesima volta il Papa a casa sua. Diciamo “ennesima”, usando una variabile, perché con la frequenza di queste reciproche visite, tenerne il conto preciso è complicato. E diciamo “casa sua”, usufruendo dell’ambiguità della lingua italiana, perché non è effettivamente chiaro se il Quirinale sia casa dell’uno o dell’altro. Al punto che lo stesso Presidente, ricevendo un altro Papa un’altra volta, disambiguò lui stesso l’espressione dicendogli appunto: “Questa è casa sua”.

Naturalmente, non ci sarebbe nulla di male, e sarebbero fatti suoi, se il signor Giorgio Napolitano avesse ricevuto il signor Jorge Bergoglio a casa propria, accogliendolo con la tradizionale espressione sudamericana: “Esta es su casa”. Ma c’è molto di male in queste continue visite ufficiali, avanti e indietro tra le rispettive residenze ufficiali, del teorico Presidente di tutti gli italiani e del pratico Papa dei soli cattolici. Soprattutto quando la delegazione del capo di stato dell’indipendente Città del Vaticano comprende anche il presidente della Commissione Episcopale Italiana, a conferma del perenne conflitto (o armonia) di interessi tra Vaticano e Chiesa.

Naturalmente, non si pretende che il Parlamento italiano scimmiotti quello giapponese, che un paio di giorni fa ha bandito da ogni cerimonia imperiale un senatore che aveva osato rivolgersi direttamente all’Imperatore, addirittura chiedendogli un coinvolgimento in una questione politica (il dramma sanitario dei bambini della zona del disastro di Fukushima): la motivazione dello scandalo era che l’Imperatore rappresenta tutti i cittadini, e deve rimanere equidistante e distaccato da ogni coinvolgimento in questioni particolari.

Ma le istituzioni dell’Italia repubblicana potrebbero finalmente avere almeno un sussulto d’orgoglio, ricordando e riconoscendo che la separazione tra Stato e Chiesa è stata all’origine dell’Italia unita. E che la loro commistione è invece un retaggio del fascismo, introiettato nella Costituzione soltanto per il tradimento dei comunisti.

Invece, tutti esultanti e in ginocchio di fronte al nuovo Papa. Il quale, udite udite, viaggia in “utilitaria” e con un corteo di sole quattro auto! Manco questo lo rendesse automaticamente uguale al santo di cui porta il nome, che in realtà girava col “cavallo di san Francesco”. E che viveva di elemosine individuali: mica di sussidi statali come l’8 per 1000, che il Papa (scortato dal cardinal Bagnasco) ovviamente ben si guarda dal chiedere al Presidente di abolire.

In realtà, la tanto decantata “povertà” del nuovo Papa è una povera caricatura pubblicitaria del modus vivendi di leader che l’hanno praticata veramente e seriamente, come il Mahatma Gandhi e il Dalai Lama. Che il Papa vada a vivere in un convento, invece che in Vaticano. Accetti le offerte dei fedeli, e rifiuti i finanziamenti pubblici. Predichi pure la “missione della famiglia” ai credenti, ma ne taccia di fronte alle autorità di uno stato che ha liberamente approvato il divorzio e l’aborto. Magari allora potremo concedergli il beneficio del dubbio, ma fino ad allora dovremo coltivare il dubbio sui suoi benefici.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/11/14/papi-presidenti-e-imperatori/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Le contraddizioni dei sistemi elettorali
Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2013, 11:42:43 pm
4 dic.  2013

Le contraddizioni dei sistemi elettorali

Piergiorgio ODIFREDDI

La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale basata sul premio di maggioranza e sulla mancanza di preferenze. D’altronde, i principi che animano la legge del 2005, denominata metaforicamente Porcellum, sono gli stessi che animavano quella del 1953, denominata realisticamente Legge Truffa. In entrambi i casi, infatti, si violava uno dei principi fondamentali della democrazia: il fatto, cioè, che la rappresentanza dovrebbe essere proporzionale ai voti ottenuti. E si assegnavano a uno o più partiti più seggi di quanto loro spettassero.

Nel passato il premio di maggioranza è stato presentato come un prezzo da pagare per la governabilità: cosa che, ovviamente, sarebbe molto più facilmente e definitivamente raggiungibile attraverso la dittatura. Ed è proprio la tensione fra proporzionalità e dittatura a pervadere gli svariati teoremi di limitatezza della democrazia.

Il primo, e più famoso, di questi teoremi è quello dimostrato da Kenneth Arrow nel 1951 in Scelte sociali e valori individuali, che lo portò al premio Nobel per l’economia nel 1972. Egli enunciò tre principi basilari, intuitivi e condivisi, della democrazia: la libertà di scelta (gli elettori possono classificare i candidati nell’ordine di preferenza che vogliono), la dipendenza dal voto (il risultato di una votazione dev’essere determinato soltanto dai voti espressi dai votanti), e l’unanimità (un candidato che prenda tutti i voti deve vincere).

Arrow si domandò poi se esistesse qualche sistema elettorale che fosse in grado di evitare il cosiddetto paradosso di Condorcet: cioè, il fatto che nei sistemi elettorali soliti si possono creare situazioni circolari in cui i vari candidati vincono uno sull’altro, a seconda dell’ordine in cui si effettuano le votazioni. Cosa ovviamente non accettabile, visto che in tal caso siamo in presenza di “leggi truffa”, in cui il vincitore delle elezioni viene determinato dal sistema elettorale, invece che dai soli voti degli elettori.

Purtroppo, la risposta alla domanda di Arrow è negativa: si può infatti dimostrare matematicamente che esiste un unico sistema che soddisfi i suoi tre requisiti, ed è la dittatura (nel senso che deve esistere qualcuno. il cui singolo voto determina il risultato di qualunque votazione). E’ poiché la dittatura non è ovviamente un sistema accettabile, questo significa che di sistemi democratici non ne esiste nessuno.

Il che spiega perché le discussioni sulle leggi elettorali siano così accademiche e bizantine. Si cerca (o si finge di cercare) l’Araba Fenice, cioè un inesistente sistema democratico, senza sapere (o fingendo di non sapere) che ci si deve invece accontentare di “porcate” o “truffe”, che sono due aspetti complementari (per chi le fa e chi le subisce) di una stessa medaglia.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HREA-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Il Sole è invitto, ma perderà
Inserito da: Admin - Dicembre 24, 2013, 06:40:39 pm
22
dic
2013

Il Sole è invitto, ma perderà

Gli antichi pagani celebravano il 25 dicembre la festa del Sole Invitto, il Dio Sole El Gabal, importato da Eliogabalo nel 218 dalla Siria. Fu Aureliano a instaurarne il culto nel 270, e a consacrarne il tempio il 25 dicembre 274, durante la festa del Natale del Sole.

La ricorrenza è legata al solstizio d’inverno, quando il Sole tocca il punto più basso del suo percorso, sembra fermarsi per tre giorni (da cui il nome di solstitium, “fermata del Sole”) e ricomincia la sua salita, in un succedersi di eventi che si può metaforicamente descrivere come “morte, resurrezione il terzo giorno e ascesa al cielo”.

Fu solo nel 350 che Giulio I scelse il 25 dicembre come Natale di Gesù, stabilendo un legame tra quest’ultimo e il Sole. Un legame testimoniato ancor oggi dal nome inglese di Sunday per il giorno del Signore, derivato dal Dies Solis stabilito da Costantino come giorno del riposo romano. E Benedetto XVI ricorda, nella sua intervista Luce del mondo, che “i primi cristiani pregavano rivolti a Oriente, verso il Sole che sorge”.

A Natale festeggiamo dunque la vittoria annuale del Sole, ma sappiamo che prima o poi esso smetterà di vincere. Tra qualche miliardo di anni diventerà una “rossa gigante”, grande abbastanza da inghiottire la Terra. Poi si contrarrà in una “nana bianca”. E infine si spegnerà.

Il film Sunshine di Danny Boyle salta la prima fase, e immagina già nel 2057 un Sole agonizzante. L’umanità congelata tenta di riattivare il proprio astro con una missione spaziale che spari nel Sole una Q-ball, e ci riesce. Per ora, noi godiamoci ancora il Sole Invitto, e appendiamo all’albero di Natale analoghi delle Q-ball, come i nuclei superstabili del nickel-62 o del ferro-56, per festeggiare un Natale laico.

(“Tabellina” pubblicata sul cartaceo di oggi)

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/12/22/il-sole-e-invitto-ma-perdera/?ref=HROBA-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La banalità del male
Inserito da: Admin - Gennaio 26, 2014, 11:23:35 pm
26
gen
2014

La banalità del male

Piergiorgio ODIFREDDI

Domani è la Giornata della Memoria, che ricorda ciò che non si deve dimenticare: lo sterminio nazista di un numero compreso fra i 12 e i 17 milioni di persone, secondo le cifre riportate da Wikipedia. Un genocidio plurimo e generalizzato di circa 6 milioni di ebrei, 3 milioni di prigionieri di guerra sovietici, 2 milioni di polacchi non ebrei, 2 milioni di slavi, 1,5 milioni di dissidenti politici, e 1 milione di zingari, disabili, omosessuali, massoni e altre frange della popolazione europea.

La vicenda nazista può essere letta da vari punti di vista, e anche la scienza sperimentale ha il suo. Che giunge alle stesse conclusioni tratte da Hannah Arendt in La banalità del male (Feltrinelli, 2013), un’analisi del processo di Gerusalemme ad Adolf Eichmann del 1961. Conclusioni che sono riassunte nel titolo: i criminali nazisti non erano persone particolarmente malvage o perverse, ma banali cittadini che obbedivano più o meno inconsapevolmente all’autorità costituita.

Ed è appunto Obbedienza all’autorità (Einaudi, 2003) il titolo di un famoso e conturbante saggio di Stanley Milgram, che tra il 1960 e il 1963 effettuò esperimenti su vari volontari, e si accorse che erano quasi tutti disposti a infliggere sofferenze anche gravi a persone sconosciute, purché qualcuno dicesse loro di farlo.

Nel 1971 Philip Zimbardo ottenne risultati analoghi, raccontati nel libro L’effetto Lucifero: cattivi si diventa? (Cortina, 2008), e mostrati nel film Experiment. Questa volta, bastava dividere i soggetti in “guardie” e “detenuti”, per far sì che si comportassero effettivamente secondo i loro ruoli. I nazisti erano dunque Uomini comuni (Einaudi, 2004), come Christopher Browning intitola appunto il suo libro sulla “soluzione finale” in Polonia, nel quale cita doverosamente gli studi di Milgram e Zimbardo. E nazisti possiamo diventare tutti, comportandoci in maniera conformista rispetto a un potere totalitario.

Ps. A scanso di equivoci, e a beneficio dei malpensanti, questo post (apparso anche come “Tabellina” sul cartaceo di oggi) è una versione ridotta dell’articolo “L’esperimento”, pubblicato in Il matematico impertinente (Longanesi, 2005), pp. 54-57.

Per evitare preventivamente le reazioni pavloviane dei professionisti del conformismo di oggi e domani (Riotta, Calabresi e company), aggiungo che le virgolette attorno a “soluzione finale” sono di Browning, nel sottotitolo del suo libro.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/01/26/siamo-tutti-potenziali-nazisti/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Fascismo a Cinque Stelle
Inserito da: Admin - Febbraio 09, 2014, 05:49:45 pm
31
gen
2014

Fascismo a Cinque Stelle

Piergiorgio ODIFREDDI

Se fino a qualche giorno fa si poteva immaginare una differenza tra il comico sceso in politica e i suoi spettatori eletti in parlamento nella lista del M5S, le piazzate squadriste delle ultime ore hanno dimostrato che si tratta invece di esemplari della stessa specie: quella dei minus habens della politica, incapaci di qualunque azione costruttiva, impazienti di agitare i manganelli, e autocompiaciuti dei loro insulti di bassa lega.

Ed è proprio l’espressione “bassa lega” quella che forse descrive al meglio il movimento politico di Grillo, rivelatosi essere una versione ancora più rozza della Lega di Bossi. Coloro che prima delle elezioni potevano illudersi che dietro alle pessime intemperanze verbali di Grillo si nascondessero buone idee e ottimi propositi, hanno ormai dovuto ricredersi. Le povere gag di Grillo, ripetute come mantra dai suoi spettatori-parlamentari, sono semplicemente l’espressione di un ego pieno al comando di cervelli vuoti.

A differenza di Bossi però, che nella sua rozzezza era comunque un animale politico, Grillo è unicamente un animale scenico, a suo agio soltanto su un palcoscenico e di fronte a spettatori adulanti. Lungi dall’essere in grado di “aprire come scatole di sardine le istituzioni”, il M5S ha infatti mostrato la propria incapacità di tradurre gli slogan populisti in azioni politiche, ed è stato stritolato e marginalizzato.

Dopo quasi un anno di impotenza, ormai rivelatisi incapaci di influire sull’elezione del presidente della Repubblica, sulla creazione del governo e sul processo di riforme istituzionali, il comico e la sua claque erano diventati invisibili. E hanno cercato di riconquistare visibilità nell’unico modo che conoscono: con il linguaggio e i modi fascisti che sono tipici dei populisti di bassa lega. E allora giù con il presidente della Repubblica “boia”, la presidente della Camera “morta vivente”, le deputate del Pd “bocchinare”, e via di seguito.

Ormai il M5S ha scelto la via dello squadrismo, e sarà ovviamente seguito da coloro che da sempre inneggiano al fascismo. Che sono tanti, e nel corso degli anni hanno girovagato nei vari partiti della destra: dalla Lega a Forza Italia, dal Popolo delle Libertà a Fratelli d’Italia. Non è un caso che nei tafferugli alla Camera, l’altro giorno, si sia visto La Russa mescolato ai grillini.

I grillini hanno presentato una ridicola richiesta di impeachment per il capo dello Stato, con un’accusa di attentato alla Costituzione che dimostra ancora una volta la loro mancanza di senso del ridicolo. Ma paradossalmente non si accorgono, o fingono di non accorgersi, che ad attentare alla Costituzione sono invece loro: precisamente, alla XII disposizione transitoria e finale, che sanziona “chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/01/31/fascismo-a-cinque-stelle/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La Madia ministro? Vergogna!
Inserito da: Admin - Febbraio 24, 2014, 05:51:52 pm
22
feb
2014

La Madia ministro? Vergogna!

Piergiorgio ODIFREDDI

Alle elezioni del 2008, Walter Veltroni usa le prerogative del porcellum per candidare capolista alla Camera per il Pd nella XV circoscrizione del Lazio la sconosciuta ventisettenne Marianna Madia. Alla conferenza stampa di presentazione, agli attoniti giornalisti la signorina dichiara gigionescamente di “portare in dote la propria inesperienza”.

In realtà è una raccomandata di ferro, con un pedigree lungo come il catalogo del Don Giovanni. E’ pronipote di Titta Madia, deputato del Regno con Mussolini, e della Repubblica con Almirante. E’ figlia di un amico di Veltroni, giornalista Rai e attore. E’ fidanzata del figlio di Giorgio Napolitano. E’ stagista al centro studi Arel di Enrico Letta. La sua candidatura è dunque espressione del più antico e squallido nepotismo, mascherato da novità giovanilista e femminista. E fa scandalo per il favoristismo, come dovrebbe.

In parlamento la Madia brilla come una delle 22 stelle del Pd che non partecipano, con assenze ingiustificate, al voto sullo scudo fiscale proposto da Berlusconi, che passa per 20 voti: dunque, è direttamente responsabile per la mancata caduta del governo, che aveva posto la fiducia sul decreto legge. Di nuovo fa scandalo, questa volta per l’assenteismo. La sua scusa: stava andando in Brasile per una visita medica, come una qualunque figlia di papà.

Invece di essere cacciata a pedate, viene ripresentata col porcellum anche alle elezioni del 2013. Ma poi arriva il grande Rottamatore, e la sua sorte dovrebbe essere segnata. Invece, entra nella segreteria del partito dopo l’elezione a segretario di Renzi, e ora viene addirittura catapultata da lui nel suo governo: ministra della Semplificazione, ovviamente, visto che più semplice la vita per lei non avrebbe potuto essere. Altro che rottamazione: l’era Renzi inizia all’insegna del riciclo dei rottami, nella miglior tradizione democristiana.

La riciclata ora rispolvererà l’argomento che aveva già usato fin dalla sua prima discesa paracadutata in campo: “Non preoccupatevi di come sono arrivata qui, giudicatemi per cosa farò”. Ottimo argomento, lo stesso usato dal riciclatore che dice: “Non preoccupatevi di come ho ottenuto i miei capitali, giudicatemi per come li investo”. Se qualcuno ancora sperava di liberarsi dai rottami e dai riciclatori, è servito. L’Italia, nel frattempo, continui ad arrangiarsi.

Ps. Il seguente commento fornisce un’integrazione essenziale al post:

http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/02/22/la-madia-ministro-vergogna/comment-page-1/#comment-141251

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/02/22/la-madia-ministro-vergogna/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Lo sguardo del matematico
Inserito da: Admin - Marzo 29, 2014, 11:07:56 am

28
mar
2014

Lo sguardo del matematico

Piergiorgio Odifreddi

L’artista, il musicista e il poeta percepiscono le meraviglie del mondo attorno a sé, raffigurandole e trasfigurandole nelle loro opere. Osservano i variopinti colori dei fiori nei prati, riproducendoli in tele realiste o impressioniste. Ascoltano i gorgheggianti canti degli uccelli, riverberandoli in composizioni pastorali. Guardano oltre una siepe, fingendosi sovrumani silenzi e profondissima quiete. Osservano la danza della graziosa e silenziosa Luna, domandandosi che ci fa in cielo.

I loro sensi raffinati e le loro sensibilità affinate li candidano ad essere l’avanguardia emotiva di tutti noi, più poveri di spirito, che li eleggiamo a interpreti spirituali dell’umanità. Le loro tele sono esposte nei musei, le loro musiche risuonano nelle sale di concerto, i loro versi sono recitati sui palcoscenici e citati nelle conversazioni. I loro nomi, le loro vite e le loro opere costituiscono la storia della Cultura Universale, e saturano le biblioteche, le librerie e gli spazi culturali dei giornali, delle radio e delle televisioni.

The rest is dross, “il resto è scoria”, cantava uno dei loro massimi interpreti. Eppure, ci sono molte più cose in cielo e in terra di quante se ne sognino la poesia, la musica e l’arte. Queste cose non sono percepibili con i sensi e la sensibilità dell’umanesimo, e richiedono l’affinamento di un pensiero e di un linguaggio tanto raffinati, che “intender non li può chi non li prova”. Ne ebbe sentore lo stesso Dante, che arrivato al cospetto di Dio fu costretto a deporre le proprie penne, e a dichiarare il venir meno della propria pur alta fantasia.

E’ proprio quando si passa dalle opere del creato ai pensieri di un metaforico Creatore, che l’umanesimo finisce e inizia la matematica. Ma rispetto all’artista, al musicista o al poeta, il matematico va oltre, e non altrove. E la sua visione del mondo non sottrae bellezza alla descrizione dell’umanista, ma gliene aggiunge. Perché la bellezza c’è a tutti i livelli della Natura, dal microcosmo al macrocosmo: non solo al livello antropico, al quale siamo tutti abituati e allertati, ma che rimane marginale e secondario rispetto al tutto.

Ad esempio, quando il matematico osserva un fiore, dietro al numero dei suoi petali nota la successione di Fibonacci e la proporzione aurea alla quale essa tende. Dietro ai suoi colori, riconosce le lunghezze e le frequenze di velocissime onde luminose. Dietro alle infinite gradazioni della tavolozza della Natura o del pittore, isola le tre lunghezze corrispondenti ai tre colori fondamentali intercettati dai tre tipi di coni della retina dei nostri occhi. Dietro alla “luce visibile”, identifica la piccola finestra aperta dalla nostra vista sullo spettro elettromagnetico, e ne riconosce molte altre aperte dalla scienza del Novecento, dalle onde radio alle microonde ai raggi X.

E poi, quando il matematico ascolta il canto di un uccello, dietro alla sua altezza e al suo volume riconosce la lunghezza e l’ampiezza di più lente onde sonore. Dietro al suo timbro, isola i suoni puri delle componenti armoniche, esattamente come fa l’orecchio attraverso la complessa struttura del timpano. E condensando le informazioni di ciascuna armonica in tre soli numeri, corrispondenti alla lunghezza, l’ampiezza e la fase della rispettiva onda, può approssimare le caratteristiche di ciascun suono mediante liste di terne di numeri, che vengono scritte digitalmente nei compact disk e rilette acusticamente dai lettori CD.

E ancora, quando il matematico guarda agli andirivieni palesemente errabondi della Luna e dei pianeti, vi scorge l’effetto della regolarità nascosta di moti di cerchi su cerchi su cerchi. E descrive la sovrapposizione di questi moti nello stesso modo in cui descrive la sovrapposizione delle armoniche dei suoni, scoprendo e confermando il potere unificatore del linguaggio astratto delle formule.

Naturalmente, questi non sono che esempi dello sguardo del matematico sul mondo, che si estende a ogni branca del sapere, da quelle frequentate dal pittore, dal musicista o dal poeta, a quelle praticate dal teologo, dal filosofo e dal politico. L’intera scolastica, ad esempio, fu un tentativo di affrontare il discorso su Dio dal punto di vista razionale della logica. La filosofia moderna iniziò con un Discorso sul metodo, che identificava appunto nella matematica il modello da seguire per fare discorsi chiari e distinti. E la politica alta, purificata dai bassi interessi, si affida a numeri, curve e teoremi per risolvere problemi che vanno dalle leggi elettorali alle scelte decisionali.

Ma se la matematica costituisce uno strumento così versatile, fertile e indispensabile per capire il mondo naturale e umano, com’è che quasi tutti la odiano visceralmente, e si vantano di non averci mai capito niente? Che gli artisti, i musicisti e i poeti si lasciano guidare più dalle viscere, che dalla testa? I credenti si affidano più alla fede irrazionale, che al pensiero logico? I filosofi seguono le chiacchere degli esistenzialisti, più che i ragionamenti dei razionalisti? I politici incarnano l’arte del voltagabbana, e disdegnano la legge di non contraddizione? I media rincorrono avidamente scrittori e artisti, anche da quattro soldi, ma evitano accuratamente gli scienziati, anche da Nobel? E, amarus in fundo, gli studenti considerano la matematica la loro bestia nera e il loro incubo?

Una prima spiegazione, fisiologica, l’ha data Howard Gardner nei suoi studi sui vari tipi di intelligenza. A un estremo, la prima a svilupparsi nel bambino è l’intelligenza musicale, fin dai primi anni di vita. All’altro estremo, l’intelligenza logico-matematica è l’ultima ad arrivare, con la pubertà e l’adolescenza. Così, mentre si conoscono geni precocissimi come Mozart o Mendelssohn, che a quattro anni suonano e compongono, anche matematici precoci come Pascal o Gauss sono sbocciati solo tra i sedici e i diciott’anni. Il che significa che la matematica richiede una maturità e uno sviluppo che non si hanno ancora alle elementari e alle medie, quando la si subisce come una perversa violenza e la si interiorizza come un indelebile trauma.

Una seconda spiegazione, psicologica, deriva dalla natura stessa di un gioco come la matematica, in cui non si può sgarrare, e tanto meno barare: basta lasciarsi scappare un segno sbagliato, o non chiudere una parentesi, per subire una débâcle. Molto più facile abbassare il tiro, seguire le linee di minima resistenza e rivolgersi a giochi con regole meno vincolanti o, come nel romanticismo, addirittura inesistenti. E lasciar perdere una disciplina che costringe a estenuanti esercizi e sfibranti concentrazioni, incompatibili con la tempesta di “stacchi pubblicitari” a cui si viene diseducati fin da bambini.

Una terza spiegazione, sociologica, ha a che fare con il potere. La maggioranza dei ruoli dirigenziali, dai ministeri ai media, è distribuita per tradizione in accordo al motto di Croce: “comanda chi ha studiato greco e latino, e lavora chi conosce le materie utili”. E non si può pretendere che gli umanisti aprano passivamente le porte al “nemico”, o evitino attivamente di denigrarlo, magari con la scusa che “così vuole la gente”: i due terzi della quale comunque non legge un libro all’anno, mentre il rimanente terzo si concentra sui romanzi.

Un’ultima spiegazione, pedagogica, ha a che fare con l’anacronismo della nostra scuola. Ministri e funzionari insensibili e inesperti, programmi e testi antiquati e aridi, esercizi sadici e noiosi inflitti con metodi di insegnamento antidiluviani, completano l’opera di allontanamento anche degli studenti meglio disposti.

Con queste premesse, non c’è da stupirsi che la matematica sia così poco apprezzata e capita: semmai, ci sarebbe da stupirsi del contrario. Peccato però che, in un mondo tecnologico, chi non la conosce finisca per rimanere un vero e proprio analfabeta. Con gran cruccio di quei governi e di quelle società che prima fanno di tutto per bruciare la terra attorno alla matematica, e poi si preoccupano di esserci riusciti, domandandosi impotenti e tardivi come rimediare.

(Articolo uscito su Repubblica del 28 marzo 2014)

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/03/28/lo-sguardo-del-matematico/


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La signora della matematica
Inserito da: Admin - Aprile 21, 2014, 11:39:28 pm
15
apr
2014

La signora della matematica

Piergiorgio ODIFREDDI

E’ morta ieri a Roma, alla veneranda età di 101 anni, Emma Castelnuovo, decana delle matematiche italiane. Una donna destinata, dalla propria storia personale e professionale, a far parte della Storia politica e scientifica del nostro paese, come una sorta di alter ego di Rita Levi Montalcini, scomparsa anch’essa ultracentenaria poco più di un anno fa.

Emma era figlia di Guido Castelnuovo, che fu uno dei personaggi chiave della matematica italiana della prima metà del Novecento, e insieme a Francesco Severi e Federigo Enriques costituì il terzetto di punta della nostra grande scuola di geometria algebrica. Questa scuola gettò tra il 1891 e il 1949 le basi per lo studio delle superfici algebriche complesse, o degli spazi a quattro dimensioni reali, ed è ancor oggi fiorente in Italia. Anche se l’eredità del nostro terzetto è stata in seguito raccolta da un terzetto di geometri algebrici giapponesi (Kunihiko Kodaira, Heisuki Hironaka e Shigefumi Mori), vincitori tutti e tre della medaglia Fields (nel 1954, 1970 e 1990).

Le vite di Castelnuovo ed Enriques si intersecarono non solo dal punto di vista scientifico, ma anche da quello famigliare: Guido sposò infatti una sorella di Federigo, e uno dei loro cinque figli fu appunto Emma. La quale, seguendo le orme del padre e dello zio, si laureò anch’essa nel 1936 in geometria algebrica. Poi iniziò a lavorare nella Biblioteca di Matematica dell’Università di Roma, che oggi porta il nome del padre. E nel 1938 vinse una cattedra alle medie, ma l’arrivo delle leggi razziali interruppe il suo insegnamento dopo pochi giorni, costringendola a passare a una scuola ebraica.

Il padre era ormai in pensione, e aveva giurato fedeltà al regime nel 1931, come quasi tutti i professori italiani: solo dodici si erano rifiutati di farlo, e uno solo di questi era un matematico, il famoso Vito Volterra. Ma quando nel 1938 le scuole e le università furono precluse agli ebrei, Guido Castelnuovo organizzò una sorta di università illegale privata fino al 1943, quando con la famiglia fu costretto alla clandestinità fino al termine della guerra. Per questi e altri meriti, nel 1949 fu il primo, e per qualche tempo rimase l’unico, senatore a vita della Repubblica italiana: l’altro nominato insieme a lui, il direttore d’orchestra Arturo Toscanini, aveva infatti rifiutato l’onore.


Con il ritorno alla normalità Emma Castelnuovo si dedicò all’insegnamento, e alla ricerca sulla didattica della matematica. Nel 1949 pubblicò un testo di Geometria intuitiva che fece scuola. Come dice già il titolo, si trattava infatti di un approccio anticonvenzionale e informale, ma non per questo meno preciso e rigoroso, all’insegnamento della geometria, che quando viene presentato in maniera convenzionale e formale può marchiare a fuoco lo studente, e lasciargli per sempre un’impressione indelebile di disgusto e di rifiuto della matematica.

Esattamente il contrario succedeva agli studenti di Emma Castelnuovo, che mantenevano per tutta la vita un piacevole ricordo della materia e dell’insegnante. E di questo sono stato testimone in prima persona, quando nel luglio del 2006 l’allora sindaco di Roma Walter Veltroni mi convocò in Campidoglio per propormi di dirigere all’Auditorium un Festival di Matematica. Una proposta singolare da parte di un politico, dal quale un matematico si aspetta in genere, per induzione e non certo per prevenzione, l’analfabetizzazione logica e matematica.

Veltroni mi spiegò però di aver appunto avuto per insegnante alle medie Emma Castelnuovo, e di aver sognato da tempo di poter dedicare un grande evento alla materia che lei gli aveva fatto amare da bambino. Inutile dire che ad aprire le danze del primo Festival, il 15 marzo 2007, di fronte a una platea gremita di ragazzi accorsi da tutta Italia, fu proprio lei: l’indomita novantaquattrenne, che si era rotta una gamba da poco, e ciò nonostante fece lezione in piedi per due ore, con un braccio appoggiato a una stampella, e l’altro libero per muovere i lucidi colorati con cui illustrava alla sua maniera i teoremi della geometria.

I suoi molti allievi la ricorderanno personalmente in quel modo, ma tutti gli altri possono ancora interagire impersonalmente con lei attraverso i suoi molti libri, didattici o di divulgazione: come l’ultimo, Pentole, ombre e formiche. In viaggio con la matematica (La Nuova Italia, 1993), che costituisce il suo testamento spirituale e scientifico.

(Articolo apparso sul cartaceo di oggi.)

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Ai Farisei del Venerdì Santo
Inserito da: Admin - Aprile 21, 2014, 11:42:59 pm
18
apr
2014
Ai Farisei del Venerdì Santo
Piergiorgio ODIFREDDI

Oggi, Venerdì Santo, il predicatore pontificio, padre Raniero Cantalamessa, ha tenuto in San Pietro un’omelia di fuoco contro il denaro, tuonando contro i manager italiani che non rinunciano ai propri stipendi d’oro. Anche le sue parole erano d’oro, e dovrebbero farne tesoro tutti coloro che credono sinceramente al fatto che, come il predicatore ha predicato, “il denaro, e non Satana, è il vero nemico di Dio”.

Ma queste sono anche parole da perfetti Farisei, come ben si addice alla scenografia della Settimana Santa. Soprattutto se pronunciate, come lo sono state quelle di Cantalamessa, di fronte a papa Francesco. Un uomo che ha scelto di chiamarsi come Francesco d’Assisi, il quale aveva rinunciato alle ricchezze della propria famiglia, per vivere una vita in povertà.

Ora, Bergoglio e Cantalamessa sanno entrambi, come dovrebbero sapere anche i media, che da più di un anno cantano anche loro la messa “laica” in onore del nuovo corso di “povertà” inaugurato da papa Francesco, che quest’ultimo è l’uomo più ricco del mondo, per molti ordini di grandezza. Di fronte ai suoi averi, scompaiono i capitali dei poveri miliardari alla Bill Gates o alla Warren Buffett.

Costituzionalmente, infatti, il Vaticano è l’ultimo esempio rimasto al mondo di una “monarchia assoluta di tipo patrimoniale”. Il che, tradotto in italiano, significa che non vi è alcuna distinzione tra i beni dello stato e quelli del monarca. In altre parole, papa Francesco possiede personalmente tutti i beni del Vaticano. Beni dei quali è difficile conoscere l’entità esatta, ma che assommano comunque a svariate centinaia di miliardi di euro, mentre i poveri Gates e Buffett messi insieme ne posseggono meno di un centinaio.

Forse Cantalamessa, se voleva effettivamente prendersela con i ricchi, avrebbe fatto meglio a preoccuparsi non di manager che guadagnano (indecentemente, ma questa è un’altra faccenda) qualche centinaio di migliaia di euro, ma del suo principale, supermiliardario in euro. E a suggerirgli molto semplicemente che per un ricco di tal fatta, stendersi per terra (su un tappeto e con un cuscino imbottito) in segno di penitenza, e lavare i piedi a una dozzina di veri poveri (preventivamente ripuliti) in segno di umiltà, possono anche essere gesti efficaci dal punto di vista mediatico, ma rimangono vuota e falsa propaganda.

Bergoglio ha detto più volte, e gli scodinzolanti media di tutto il mondo l’hanno amplificato a grancassa, che “vorrebbe che la Chiesa fosse povera”. Beh, se crede veramente a ciò che dice, la faccia diventare povera! E’ un monarca assoluto, possiede personalmente i beni del Vaticano, può farne ciò che vuole senza dover chiedere a nessuno. Li venda, distribuisca il ricavato ai poveri, e chiuda la bocca a noi atei mostrandoci che per davvero è nato un nuovo Francesco.

Ma fino a quel momento, Cantalamessa e i cantori di messe tacciano per pudore e decenza, e rileggano la parabola del Vangelo che ammonisce coloro che si accorgono della pagliuzza nei portafogli dei manager, ma non della trave nei forzieri del Papa.

Buona Pasqua a tutti, Farisei compresi!

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Media animali, dalle Iene alla Zanzara
Inserito da: Admin - Giugno 16, 2014, 07:01:12 pm
2
giu
2014

Media animali, dalle Iene alla Zanzara

Piergiorgio ODIFREDDI

L’altro ieri La Stampa ha pubblicato in prima pagina un articolo di Elena Cattaneo, Gilberto Corbellini e Michele De Luca, intitolato Iene e sanità: vergognose falsità trash, nel quale si attacca duramente e giustamente l’omonimo programma televisivo per il suo ruolo nel caso Stamina dapprima, e nella disinformazione a proposito dei vaccini poi.

Purtroppo programmi come Le Iene sono assurti a simboli del trash subculturale che infesta i media dei nostri giorni, confondendo lo spettacolo per subnormali con l’informazione, e pretendendo di sostituire servizi pseudogiornalistici alle inchieste giudiziarie: cosa che peraltro ormai sembra essere lo scopo dichiarato di tutti i media, non solo quelli dichiaratamente trash.

L’impressione è infatti che ormai non interessi più a nessun giornale, radiogiornale o telegiornale trasmettere semplicemente e asetticamente le notizie e i fatti, lasciando modestamente e doverosamente le interpretazioni e i commenti agli esperti: quali appunto sono, nel caso in questione, i tre autori dell’articolo citato. Interessa invece scimmiottare caricaturalmente e penosamente il ruolo di maître a penser, elevando superbamente e tracotantemente conduttori e giornalisti a interpreti in prima persona, per veicolare quelli che non possono che essere, e finiscono infatti per essere, puri e semplici pregiudizi disinformati, quando non direttamente interessati.

A questo delirio di onnipotenza pseudoculturale i media uniscono anche un preteso diritto all’impunità e all’immunità nella raccolta e nella trasmissione di ciò che essi considerano come “notizie” degne di essere date in pasto al proprio pubblico di subnormali. Da questo punto di vista, la Zanzara costituisce l’alter ego delle Iene, con le sue continue dichiarazioni rubate con la frode della telefonata imitata, che unisce la gag da avanspettacolo alla violazione palese del diritto alla privacy.

Ministri e parlamentari, uomini pubblici e poveri cristi privati sono stati via via vittime delle due iene che dirigono il programma, e che nessun magistrato si sogna di indagare, processare e condannare, neppure in seguito alle denunce sporte dai malcapitati. D’altronde, la radio che ospita l’ignobile programma della Zanzara è di proprietà della Confindustria, così come la tv che ospita l’altrettanto ignobile programma delle Iene è di proprietà di Mediaset: il che prova, se ce ne fosse bisogno, che lo scopo di quei programmi non è affatto l’informazione a beneficio del pubblico, ma la pura e volgare pubblicità a beneficio dei mercanti.

Come confessano i loro stessi nomi, le Iene e la Zanzara non sono trasmissioni di umani per la società, bensì circhi di animali per il branco. Ma questo non consola per lo stato di degrado in cui sono caduti i media: non solo quelli che aizzano direttamente le belve e pungolano gli insetti, ma anche quelli che regolarmente li esaltano, riportando le loro bravate come se fossero notizie, e diventando in tal modo conniventi e complici del degrado culturale e del trash della nostra epoca.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/06/02/media-animali-dalle-iene-alla-zanzara


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Renzi, dimmi con chi vai…
Inserito da: Admin - Luglio 03, 2014, 07:27:43 pm
3
lug
2014

Renzi, dimmi con chi vai…

A volte un po’ di saggezza si può trovare anche nei proverbi: ad esempio, in quello che recita “Dimmi con chi vai, e ti dirò chi sei”. Naturalmente, chi fosse Matteo Renzi lo sapevamo anche prima. O meglio, lo sapevano coloro che avevano tenuti gli occhi aperti, e non si erano fatti irretire dal flauto del Pifferaio Magico.

Ma ora finalmente possiamo incominciare a vedere quali sono gli amici di Renzi, che piano piano stanno facendo outing. Fin dagli inizi Silvio Berlusconi non ha nascosto le sue simpatie per il sedicente Rottamatore, ben conscio di trovarsi di fronte a un alter ego in grado di sparate anche più grosse delle sue, e di voltafaccia ancora più bronzei. In seguito Flavio Briatore ha confermato che “Renzi è il numero uno di Berlusconi”. E ora Piersilvio Berlusconi annuncia di “tifare per Renzi” e di “sperare che ce la faccia”.

D’altronde, come potrebbe essere diverso, visto che Renzi ha iniziato la sua opera di governante con un’improvvida e improvvisata riforma delle istituzioni, che ha l’unico “merito” di essere stata contrattata (sottobanco, e non certo in streaming) con Berlusconi, e in cambio di non si sa cosa? Poi sono seguìti gli attacchi concentrici alla Pubblica Amministrazione e alla Scuola, ben noti covi dove si nascondono gli evasori fiscali e i beneficiari dei finanziamenti e degli appalti pubblici, da stanare al più presto per risanare miracolosamente i bilanci dello Stato.

Per completare l’opera, il governo del baciapile Renzi ha seguito le orme dei governi dei baciapile Monti e Renzi che l’hanno preceduto, concordando con loro sul fatto che per sanare i conti non basta svuotare le tasche ormai vuote dei poveracci: bisogna anche continuare a riempire quelle già piene dei preti. Il ministro dell’Economia, infatti, in piena sintonia con i colleghi della Pubblica Amministrazione e della Scuola, ha emanato un decreto di esenzione fiscale per gli enti ecclesiastici ancora più generoso, ed è tutto dire, di quelli finora vigenti.

D’ora in poi la Chiesa non pagherà neppure più il poco che già pagava, perché le maglie per l’esenzione sono state allargate, invece che ristrette. “Tutti devono fare la loro parte”, ci siamo sentiti ripetere fino alla nausea dai vampiri dei tre governi della crisi, per poi scoprire che evidentemente i preti non sono nessuno, e dunque possono fare anche meno di quanto già non facevano. Il tutto in barba ai moniti dell’Europa, che aveva invano cercato di spingere il nostro Stato cialtrone a sanare il regime di “concorrenza sleale” indebitamente concesso alla Chiesa.

Stiamo sereni, Italiani. Se non sapevamo chi era Matteo Renzi, ora possiamo dirlo guardando con chi va: cioè, tanto per cambiare, con le due famiglie mangiatutto dei Berlusconi e della Chiesa. E aveva il coraggio di presentarsi come il Rottamatore…

22
giu
2014

Una vuota scomunica

Mi stupisco dell’eccitazione con cui le parole del Papa sui mafiosi sono state recepite dai media, al solito entusiasti per qualunque cosa esca dalla sua bocca. Anche la più retorica e ininfluente, com’è appunto una scomunica: la quale, giova ricordarlo, è un ostracismo dalla comunità ecclesiale e dai suoi riti, che pretende di rispecchiare su questa Terra un analogo ostracismo effettuato in Cielo da Dio. Detto altrimenti, chi è scomunicato non può entrare in Chiesa quaggiù, e non può entrare in Paradiso lassù.

Anche senza andar oltre, noi membri del mondo civile dovremmo sorridere di questi deliri di potenza da parte di uomo che pretende di farsi interprete dei pensieri e delle decisioni di un Dio, invece di esaltarli come pronunciamenti epocali. Soprattutto quando, informandoci anche solo un minimo, scopriamo che esistono scomuniche latae sententiae, cioè comminate automaticamente per colpe gravissime quali, udite udite: aver effettuato o procurato un aborto, essere iscritti a un partito comunista o votarlo, appartenere a una loggia massonica, professare eresie in disaccordo con l’insegnamento dogmatico della Chiesa, e altre amenità del genere.

Ora, la maggioranza della popolazione mondiale ricade sotto queste categorie! Siamo quasi tutti automaticamente scomunicati, e molti sono felicissimi di esserlo! Ad esempio, lo sono tutti coloro, come me, che meritano la scomunica automatica perché si rifiutano di credere alle amenità che la Chiesa vorrebbe loro propinare, a partire da questa assurda faccenda delle scomuniche.

Ma soprattutto, la scomunica è risibile perché pretende di poter escludere dai riti una buona serie di persone che non sa neppure di aver escluso automaticamente. Se una donna abortisce nel segreto di un consultorio, o un uomo vota comunista nel segreto di un’urna, chi può impedir loro di entrare in Chiesa o di fare la comunione, se così desiderano, pur essendo ufficialmente scomunicati?

La scomunica non è dunque altro che un vuoto pronunciamento, che lascia il tempo che trova nella maggior parte dei casi. E così lo lascerà anche nel caso dei camorristi o dei mafiosi che ora il Papa ha aggiunto alla lista, sapendo benissimo che le sue parole non avranno alcun effetto pratico, a parte uno: aumentare la popolarità gratuita sua personale e dell’istituzione sulla quale egli regna, anacronismo per anacronismo, da monarca assoluto.

A meno che non si creda, come alcuni commentatori hanno provato a supporre, che la Chiesa finirà di sostituirsi allo Stato, dopo tutto il resto, anche nella determinazione di appartenenza alla camorra o alla mafia. Forse è questo che quei commentatori desiderano: che sia il prete della parrocchia a stabilire se qualcuno è un malavitoso, sulla base delle dicerie dei parrocchiani, e non il giudice del tribunale, sulla base dei testimoni dell’accusa.

Forse dietro all’entusiasmo per le vuote parole del Papa c’è la credenza, questa sì da “scomunicare”, che esistano istanze di giustizia e di morale “superiori” alle leggi e ai tribunali degli uomini. Quando invece, come ben sappiamo nel caso dei camorristi e dei mafiosi, quelle supposte istanze “superiori” non sono altro che le stesse che essi stessi seguono, da bravi cristiani ma pessimi cittadini. E’ proprio perché camorristi e mafiosi fanno la comunione, che la Chiesa si preoccupa di scaricarli. Ma sono i concreti fatti laici, e non le vuote parole religiose, che servono per contrastare le azioni criminali che essi compiono nella società, indipendentemente dai riti che essi praticano in Chiesa.

12
giu
2014

Prove di regime
Non era difficile prevederlo, e infatti l’avevamo previsto: Renzi ha la stoffa del duce, e bisognava fermarlo prima che potesse incominciare a dimostrarlo. Non lo si è fatto, e ora non si può che iniziare a registrare tristemente le prime tappe della “costituzione” del nuovo regime.

Qualcuno nel partito non è d’accordo con la linea del duce? Nell’attesa di farlo fuori alle prossime elezioni, con la nuova legge elettorale promessa per metà aprile, poi slittata a prima delle elezioni europee, poi slittata all’estate, e poi si vedrà, lo si epura dai posti di responsabilità dove potrebbe manifestare il suo disaccordo. E’ il caso del senatore Corradino Mineo, una delle poche voci non allineate in quel partito di ominicchi, ormai quasi tutto saltato sul carro del vincitore.

Qualche giudice incomincia a scoprire gli altarini di quello stesso partito? Incominciano a circolare voci di tangenti a Letta, a Bersani, a Fassino, a Cacciari? Subito si mandano “avvisi di garanzia” ai giudici, tramite emendamenti anti-magistratura proposti apertamente dai veterofascisti, ma coraggiosamente approvati coi voti segreti dei neofascisti.

Si “scopre” il segreto di Pulcinella che le grandi opere esistono per elargire finanziamenti pubblici in massima parte alle imprese private, e in minima parte ai funzionari pubblici? Ci si straccia le vesti per la minima parte, salvo appunto avvisare i giudici a non ficcare il naso anche nel campo della maggioranza. Ma ci si schiera a favore della massima parte, che tra l’altro viene spesso elargita in deroga alle misure di controllo, e serve a far banchettare tutta una serie di imprese parassitarie intermediarie, che subappaltano i lavori ad altri che li subsubappaltano ad altri che li subsubsubappaltano, eccetera, mentre tutti si arricchiscono a spese dell’ultimo a cui rimane il cerino in mano.

E naturalmente si continua a distrarre l’attenzione dirottandola sulle “riforme”, come se cambiare il Senato fosse una priorità che interessa a qualcuno, rispetto alla chiusura del finanziamento pubblico alle grandi opere succhiasoldi, dall’Expo al Mose, nell’attesa di scoprire le tangenti per la Tav. E si continua a distrarsi con i serial su Gomorra, per fingere di non vedere che la vera mafia sta appunto in Piemonte, in Lombardia e in Veneto. Senza dimenticare la Liguria, ovviamente, con i suoi eroi alla Scajola.

Nel frattempo, poiché qualcosa bisogna pur fare per dar l’impressione che si sta facendo qualcosa, quella Madonna addolorata della Madia cucina una riforma della Pubblica Amministrazione nello stile del miglior Brunetta, e il premier strilla che “nessuno ha diritto di veto” rispetto ai suoi modi da duce. Sbaglia, perché l’avevano gli elettori, che avrebbero potuto fermarlo quand’era possibile. Non l’hanno fatto, e se ne pentiranno a tempo debito, ma come sempre succede in queste cose, bisognerà aspettare un ventennio.

Nel frattempo, accendiamo pure tutti la tv per goderci i mondiali di calcio. Che ci importa delle grandi opere, o delle riforme? Sempre di palle si tratta, ma non possono certo competere con i palloni.

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Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. L’agonia della democrazia
Inserito da: Admin - Novembre 24, 2014, 02:56:57 pm

24
nov
2014

L’agonia della democrazia

La democrazia sta agonizzando, colpita a morte dal populismo di Matteo Renzi. Nella rossa Emilia Romagna, una volta feudo della sinistra, il 62% degli elettori ha disertato le urne per l’elezione del governatore, percependo lucidamente che il rito del voto sarebbe stato solo una farsa. E il nuovo governatore, eletto con meno del 50% dei votanti, non rappresenta dunque che un quinto degli elettori.

Invece di rendere nulla la votazione, come si sarebbe fatto per un referendum, e affidare temporaneamente la regione a un commissario, la legge elettorale “maggioritaria” permette comunque all’usurpatore di insediarsi e prendere il potere assoluto per cinque anni. Se ad andare a votare fossero stati solo in tre, sarebbero bastati due voti in tutto per governare: visto che questa è la democrazia, tanto vale appunto starsene a casa.

Da parte sua, il premier Matteo Renzi esulta per la “netta vittoria”. In fondo, lui al governo c’è arrivato addirittura senza nessun voto popolare, e forte (o meglio, debole) di un’elezione per la segreteria del partito nella quale aveva ottenuto meno di due milioni di voti: cioè, meno del 4% degli elettori per le politiche, che dovrebbero essere quelli preposti a dare un mandato per il governo, appunto. Ancora una volta, se questa è la democrazia, tanto vale starsene a casa.

Eppure, dal presidente della Repubblica in giù, tutti auspicano leggi elettorali ancora più maggioritarie e meno democratiche di quelle esistenti, che già rendono appunto il processo elettorale una farsa. A che pro andare a votare e sporcarsi le mani, quando comunque il potere viene usurpato e abusato? E, soprattutto, perché mai diventare complici dell’ennesimo gerarca che nasce socialista e governa da fascista, sul triste esempio di Mussolini, Craxi e Berlusconi?

Queste domande gli elettori onesti e di sinistra dell’Emilia Romagna se le sono poste, e hanno dato la loro risposta rimanendo a casa. E’ un segnale forte, che ci auguriamo un giorno possa essere ricordato come il primo passo di una reazione popolare crescente che arrivi a travolgere un intero modo di intendere la democrazia. E a rottamare l’intera classe politica, a partire dai falsi rottamatori.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/11/24/lagonia-della-democrazia/?ref=HREA-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. Mattarelli e manganelli
Inserito da: Admin - Febbraio 07, 2015, 12:28:26 pm
3
feb
2015

Mattarelli e manganelli

Piergiorgio ODIFREDDI

Abbandonata la Panda e ripresa la berlina, scortato a Montecitorio da motociclisti, accolto da campane e funzionari in alta uniforme, interrotto da applausi in stile Soviet Supremo, ricordati i “cattivi” palestinesi e i “buoni” marò, onorato da un numero dispari (per scaramanzia!) di colpi di cannone, passati in rassegna i carabinieri coi pennacchi, salutato il Milite Ignoto, osservate le Frecce Gialle in cielo, scortato in Quirinale dai corazzieri a cavallo, Sergio Mattarella ha iniziato stamattina il suo settennato nella stessa maniera dei suoi predecessori.

Con tanti saluti alla “rottamazione”, un democristiano doc (il sesto su undici) torna dunque alla presidenza della Repubblica dopo quindici anni di assenza. Un altro si è insediato da un anno alla presidenza del Consiglio, e ormai comincia a parlare apertamente di Partito Unico della Nazione. Il pregiudicato Berlusconi ha trovato sulla sua strada qualcuno persino più spregiudicato di lui. E ora, dopo aver giocato la destra contro la sinistra per approvare leggi di destra, e la sinistra contro la destra per eleggere un presidente di sinistra (democristiana, si intende), Renzi si accinge a giocare gli Italiani all’insegna del motto “♯stateserenitutti”.

Fin da subito egli si è infatti presentato come un campione del doppio gioco e delle vane promesse. Eletto segretario di un partito di centrosinistra, l’ha in breve mutato in un partito di centrodestra. Giurato di non voler andare al governo senza elezioni, l’ha fatto subito dopo. Dichiarato che le elezioni europee non riguardavano il suo governo, ha cambiato idea appena visti i risultati. Messa innumerevoli volte la faccia sulle scadenze delle “riforme”, l’ha persa altrettante volte senza alcun ritegno. Insultati costituzionalisti, magistrati, lavoratori e sindacati, ha definito “eroi” gli imprenditori e gli artigiani.

Dovrebbe essere sufficiente per capire di che pasta è fatto l’uomo, e da che parte sta. Poiché l’arroganza di Renzi ha superato quella di Berlusconi e di Craxi, rimane ormai soltanto Mussolini a contendergli il primato. Ma mentre fino a qualche giorno fa il “duce in nuce” aveva un mandante e un fiancheggiatore nell’inquilino del Quirinale, non è detto che ce l’abbia ancora.

Certo, Mattarella dev’essergli grato per l’elezione, ma ha già dimostrato di sapersi opporre a Craxi e Berlusconi, arrivando a dimettersi dal governo nel 1990 piuttosto di diventare loro complice. Speriamo che il tempo non l’abbia fiaccato, e sappia opporsi anche ora al loro emulo ed erede: a partire dalla legge elettorale dell’Italicum, che pretende di peggiorare il Mattarellum che porta il suo nome.

D’altronde, altre speranze di fermare il “duce in nuce” non ne abbiamo più. Non in Parlamento, dove il Pd ha ormai accettato la bancarotta in cambio della continuazione della legislatura e degli annessi privilegi ai parlamentari. E non nel paese, dove i sondaggi continuano a dare una consistente maggioranza allo spregiudicato imbonitore di turno, come d’altronde il voto l’ha data per vent’anni al suo pregiudicato predecessore. Presidente, se può, ci salvi lei! O almeno, visto che questo può, interceda col Papa o con il Padreterno…

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2015/02/03/mattarelli-e-manganelli/?ref=HREC1-2


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. E' la matematica, bellezza!
Inserito da: Arlecchino - Maggio 15, 2016, 12:18:31 am
14 maggio 2016
E' la matematica, bellezza!

Piergiorgio ODIFREDDI

Un poeta come Giacomo Leopardi ha scritto molti canti alla Luna ma nessun inno al Sole, perché trovava più bellezza nel colore soffuso e nascosto della notte che nello splendore accecante e palese del giorno. Un pittore come Claude Monet ha dipinto ninfee in uno stagno invece che scene di guerra su un campo di battaglia, perché era più toccato dalle presenze silenziose dei fiori che dagli affanni muscolari degli uomini. Un avventuriero come Pierre Loti ha perso la testa per una turca di nome Aziyadé e non per un’anonima ballerina francese di can-can, perché c’è più fascino in occhi celati dietro una grata che in gambe nude agitate su un palcoscenico. Un eroe come Ulisse ha passato sette anni su Ogigia invece di tornare a casa a Itaca, perché la presenza di una ninfa velata lo turbava più dell’assenza di una moglie svelata.

La matematica ha più le caratteristiche della pallida luce lunare, delle ninfee silenziose nella bruma, di uno sguardo femminile appena intravisto o della forma di un corpo suggerita da un velo, che non della luce solare, del fragore di una battaglia, di un ballo sguaiato o di un volto scoperto. Per accorgersi della sua bellezza bisogna allertare i sensi e la mente ed essere pronti a riconoscerla negli indizi e nei cenni che essa dà di sé, senza sperare di incontrarla per caso e di inciamparci dentro facilmente. Ma così facendo la si trova profusa nella Natura e nell’arte, oltre che naturalmente nella matematica stessa.

Per quanto riguarda la Natura, bisogna anzitutto sfatare uno sciocco mito romantico diffuso da William Blake, che nella poesia Sfottete, sfottete del 1796 accusava Voltaire e Rousseau di gettare inutilmente sabbia intellettuale contro il vento dello Spirito, che gliela risoffierà negli occhi. E come esempio di questa sabbia citava esplicitamente “gli atomi di Democrito e le particelle di luce di Newton”. Blake pensava che la comprensione dei meccanismi matematici di ciò che ci circonda dissolvesse la poesia dalla visione del mondo, ma non capiva che tutto ciò che vede il poeta continua a vederlo anche il matematico. Era piuttosto lui a essere cieco al fatto che la matematica aggiunge, e non toglie, bellezza alla nostra esperienza.

Leopardi era invece perfettamente conscio di questa ovvietà. Scrivere il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia o Alla Luna non gli impedì di capire che ci sono più cose in cielo e in Terra di quante ne sogni la poesia, e di abbinare a quei componimenti poetici una Storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno 1811 (per inciso, ripubblicata nel 2002 dalle Edizioni dell’Altana in una versione aggiornata da Margherita Hack Fino al 2000 e oltre).

Che cosa vede della Luna la matematica, che la poesia non vede? Ad esempio, un fatto scoperto nel 1666 dal Newton odiato da Blake: che il nostro satellite è in perenne caduta verso la Terra, e cade in un minuto nel cielo della stessa distanza caduta da una mela in un secondo sulla Terra. Se non ci precipita addosso, è solo perché il principio di inerzia tende costantemente a farla fuggire per la tangente, mentre l’attrazione gravitazionale della Terra continua perennemente a catturarla e le impedisce la fuga.

Tra l’altro, non c’è meno poesia nel fatto che la forza che tiene la Luna in orbita è la stessa che fa cadere le mele, di quanto ce ne sia nel paragone tra il suo vagabondare per i cieli a la vita di un pastore errante nei campi (sempre per inciso, “errante” è il significato della parola greca planetes, “pianeta”, come ben sapeva Leopardi).

Non sono solo certi letterati a pensarla come Blake, ma anche certi artisti. Michelangelo, ad esempio, che per sminuire gli aspetti geometrici dell’arte diceva che “l’artista deve avere il compasso negli occhi”: nel senso che non deve far calcoli matematici, ma vedere istintivamente le proporzioni estetiche. Quando furono tolte le impalcature della prima metà del soffitto della Cappella Sistina, si accorse però che il suo compasso oculare aveva fatto cilecca e le figure risultavano troppo piccole. Nella seconda metà fu costretto a ingrandirle gradualmente, fino a raggiungere le proporzioni corrette, ma imparò la lezione. E quando una ventina d’anni dopo dovette dipingere il Giudizio Universale, pianificò col compasso le figure in alto in modo che fossero molto più grandi di quelle in basso.

Michelangelo aveva fatto un tipico errore di “anamorfosi”, una tecnica scoperta da Leonardo che costituisce un complemento naturale della prospettiva: mentre questa insegna come disegnare le figure correttamente in modo da farle apparire come le vede l’occhio in situazioni usuali, quella insegna come disegnarle deformate in modo che l’occhio le percepisca corrette se vengono esposte in situazioni inusuali.

Basta passeggiare per Roma ed entrare nel chiostro di Trinità dei Monti o in Sant’Ignazio per vederne esempi spettacolari. Nel primo caso ci si trova di fronte a una parete che mostra un paesaggio della costa calabra, ma se la si osserva di scorcio appare miracolosamente il San Francesco di Paola in preghiera di Emmanuele Maignan. Nel secondo caso si ammirano invece una falsa cupola e il tripudio della Gloria di sant’Ignazio di Andrea Pozzo, campione mondiale di questa tecnica, ma solo se si ci situa in particolari punti di vista appositamente indicati, che sono quelli per i quali l’artista ha calcolato esattamente le deformazioni: da ogni altro punto i dipinti appaiono scorretti, come le prime figure di Michelangelo.

Le anamorfosi sono particolari esempi di bellezza matematica nell’arte, come lo sono le fughe musicali barocche: anche le loro proporzioni devono essere calcolate esattamente in modo che le voci si amalgamino l’una con l’altra in maniera armoniosa, e confluiscano correttamente e senza affollamenti nella stretta finale. Non è un caso che Johann Sebastian Bach avesse una particolare sensibilità matematica che emergeva nella struttura geometrica delle sue opere, in particolare, e soggiaceva all’intero contrappunto dell’epoca, in generale.

Che la bellezza matematica possa affiorare nella descrizione scientifica o artistica del mondo probabilmente lo si può accettare di buon grado, pur intuendo che i dettagli rimarranno nascosti in maniera misteriosa alla vista di chi non è del mestiere. Più sorprendente e difficile da accettare è invece il fatto che la bellezza si ritrova anche all’interno della matematica stessa, una volta che uno ne ha imparato il linguaggio e incomincia a saperlo parlare correntemente: cosa che, d’altronde, è necessaria anche con la letteratura.

Per fare un esempio semplice ma non banale, nel terzo secolo della nostra era Diofanto d’Alessandria pubblicò un trattato di Aritmetica, in cui annotò una curiosità relativa al numero 65. Da un lato, è il prodotto di 5 e 13, che sono entrambi somme di due quadrati: rispettivamente, 1 più 4 e 4 più 9. Dall’altro lato, anche 65 stesso è somma di due quadrati, addirittura in due modi diversi: 1 più 64, oppure 16 più 49.

La cosa rimase appunto una superficiale curiosità per più di un millennio, fino a quando nel 1572 Rafael Bombelli pubblicò l’Algebra e introdusse quelli che lui chiamò “numeri complessi”, e Cartesio “numeri immaginari”: nomi giustificati dal fatto che, ad esempio, possono avere segno “meno” quando li si eleva al quadrato, contro la regola dei numeri reali che “più per più fa più”, ma anche “meno per meno fa più”.

Una volta introdotti i numeri complessi o immaginari, si capì la ragione profonda della proprietà del numero 65: le lunghezze dei numeri complessi si ottengono mediante la somma dei quadrati delle loro componenti, e la lunghezza di un prodotto come 65 è uguale al prodotto delle lunghezze dei suoi fattori 5 e 13.

Connessioni di questo tipo sono ubique nella matematica, e hanno la stessa natura misteriosa delle alchimie delle parole dei poeti, delle convergenze dei punti di vista degli artisti o delle confluenze di voci nelle composizioni dei musicisti. In queste misteriose connessioni si cela la molteplice, e allo stesso tempo unica, bellezza delle varie discipline.

(Articolo apparso sul cartaceo di Repubblica di oggi)

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2016/05/14/e-la-matematica-bellezza/?ref=HROBA-1


Titolo: Piergiorgio ODIFREDDI. La violenza delle vere scimmie
Inserito da: Arlecchino - Luglio 12, 2016, 12:00:43 pm

8 lug 2016
La violenza delle vere scimmie

Di Odifreddi

La vicenda del nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi è emblematica: dopo aver perduto un figlio e la casa per una bomba di Boko Haram in Nigeria, ha perso la vita in Italia per mano di un ultrà del calcio, fascista è razzista, che aveva insultato la sua compagna chiamandola “scimmia".

Ma mentre Boko Haram viene giustamente considerato come un'espressione della barbarie umana, gli ultrà del calcio sono al massimo considerati un fenomeno folcloristico, invece che terroristico. Quanto al fascismo e al razzismo, sono addirittura il progetto politico di partiti come lFratelli d'Italia e la Lega, che lungi dall'essere dichiarati fuorilegge e considerati branchi di scimmie politiche, sono forze parlamentari che per decenni sono state al governo.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, in questi giorni hanno assistito alle ennesime esecuzioni capitali di neri inermi da parte di poliziotti bianchi, che incarnano ancora, nel terzo millennio, l'ideale del giustiziere del Far West. E qualche tempo fa hanno assistito all'ennesima strage del matto di turno, armato fino ai denti grazie alla libera vendita di armi, permessa in accordo con lo stesso ideale.

Gli Stati Uniti sono disposti ad andare dall'altra parte del mondo, a combattere guerre a un terrorismo spesso inesistente, come nel caso dell'Iraq di Saddam Hussein, al comando di avventurieri scimmieschi come il presidente Bush e il suo alleato inglese Tony Blair.

Ma mentre l'attentato dell'11 settembre 2001 ha provocato 3.000 morti, ed è stato comunque un caso isolato, la polizia statunitense ammazza impunemente un migliaio di propri cittadini all'anno (1.146 nel 2015), un terzo dei quali afroamericani: una percentuale pari a tre volte quella dei cittadini di colore, che hanno una probabilità tre volte maggiore dei bianchi di morire per mano di sedicenti "tutori della legge".

Riempire i giornali e i telegiornali di notizie su Boko Haram e il terrorismo è sicuramente cosa buona e giusta, ma sarebbe ancora meglio preoccuparsi dei. nostri veri problemi, che sono il razzismo e il fascismo, e la loro connaturata e animalesca violenza.


Titolo: ODIFREDDI. intervista Huffpost: "Il 90 per cento degli italiani è stupido"
Inserito da: Arlecchino - Novembre 07, 2016, 04:47:19 pm
Piergiorgio Odifreddi, intervista Huffpost: "Il 90 per cento degli italiani è stupido"

l'Huffington post | Di   Nicola Mirenzi

Pubblicato: 25/09/2016 16:09 CEST Aggiornato: 25/09/2016 19:14 CEST ODIFREDDI

Beppe Grillo: "È un minus habens". I grillini: "Peggio di lui". In generale: "Il novanta per cento delle persone è stupido. In un paese di 60 milioni di abitanti come l'Italia, saranno all'incirca 54 milioni: non possono essere andati tutti alla festa nazionale dei 5 stelle a Palermo". Piergiorgio Odifreddi – matematico, divulgatore scientifico, saggista – ha scritto un Dizionario della stupidità (Rizzoli, 378 pagine, 18 euro) per proteggersi dalle "scemenze della vita quotidiana". Laico fervente, ha studiato prima dalle suore, poi dai preti: "Non erano niente male". Se deve immaginare uno scenario politico peggiore di quello odierno, torna con la memoria alla stagione della Democrazia cristiana: "Anche se Giulio Andreotti – racconta – mi salvò da un pericoloso fermo in Unione Sovietica". Con l'Huffington Post, parla di banchieri da "mandare all'infermo", di politicamente corretto e Islam, della "superiorità" di Benedetto XVI sulla "banalità" di Papà Francesco, e di politica.

Odifreddi, nel suo dizionario c'è anche la voce: Matteo Renzi. Perché?
Se vogliono conquistare voti, i politici devono dire alle persone ciò che si vogliono sentir dire. Tendenzialmente, delle stupidaggini. E Matteo Renzi è l'erede perfetto di Berlusconi: il Cavaliere ha imparato a farlo cantando sulle navi, lui esordendo alla Ruota della fortuna.

Ma politicamente?
Renzi ha realizzato il programma berlusconiano, andando addirittura oltre con il Jobs act, che ha dissolto le tutele dello statuto dei lavoratori.

Dedica un lemma anche a Grillo.
Grillo ha iniziato a dire scemenze prima di cominciare a fare politica. Per dire: sosteneva che l'AIDS era una bufala, che l'OGM ammazza, che le radiazioni dei cellulari cuociono le uova. Ma lui ci crede. È questa la grande differenza tra Grillo e un politico di professione: che il politico deve dire delle cretinate per racimolare voti, lui le dice per convinzione.

Eppure ha un gran consenso.
Non voglio dire che il suo pubblico sia fatto di deficienti. È una parola brutta. Dico: ingenui. Ma rimane il fatto che sono persone che credono alle scie chimiche e fanno battaglie contro i detersivi. È la parte della società con meno mezzi culturali per giudicare.

Possibile che siano tutti così?
Bertrand Russell diceva che i politici hanno nei confronti degli elettori un vantaggio: che gli elettori sono più stupidi di loro. E giudicare Grillo, per me, è troppo difficile: mi è così distante che lo considero un minus habens. Quando lo sento, mi viene la pelle d'oca. Dicono che i suoi siano argomenti di pancia. Io fatico a considerarli proprio argomenti.

A Palermo, però, molte persone sono andate per ascoltarlo alla Festa nazionale dei 5 stelle.
Il novanta per cento delle persone è stupido. Quindi, considerato che siamo 60 milioni, in Italia ci sono almeno 54 milioni di stupidi: non credo ve ne siano di più a quella festa.

E gli altri dove vanno?
Vanno anche alle feste dell'Unità. Come si fa a pensare che dopo due anni di governo Renzi quella festa abbia un senso? Almeno, per decenza, cambiassero nome.

Non le sembra di sottovalutare? Il partito democratico governa il Paese, i Cinque stelle hanno conquistato due grandi città alle ultime elezioni.
C'è una differenza enorme tra le due città: a Torino, Chiara Appendino è il prodotto di ciò che i 5 stelle stessi chiamano poteri forti; a Roma, invece i poteri forti li hanno contro.

Può essere più esplicito?
Dietro Appendino c'è la Fiat. Appena aletta, John Elkan è subito corso a incontrarla. Viceversa, Virginia Raggi è dovuta recarsi in visita dal Papa.

C'è solo questa differenza tra le due?
No, Appendino ha le qualità per governare, Raggi le ha solo per vincere le elezioni.

Scrive: "E' venuto il momento di tornare a considerare i banchieri paria della società e reietti da Dio".
Nel Medio Evo, era considerato usuraio chiunque prestasse denaro, a qualsiasi tasso. Oggi il fastidio per i banchieri è tornato a essere forte. Quando la gente vede i posti di lavoro che evaporano, le tutele che si dissolvono, e dall'altra gli aiuti di stato per tenere in vita istituti che hanno fallito, s'incazza.


Però è difficile vivere in un mondo senza banche.
Certo che si può vivere in un mondo senza banche. Per metà del secolo scorso, l'Unione Sovietica ne ha fatto a meno.

Non è andata benissimo, però.
Non per quel motivo. Mi domando perché non si possano nazionalizzare le banche che vengono salvate. Perché è diventata una bestemmia?

In Europa, nazionalizzare è contrario alle regole dell'Unione.
È per questo che l'UE suscita l'astio dei suoi cittadini: perché è solo un'unione economica.

Nel suo libro, mostra di preferire Ratzinger a Papa Francesco. Perché?
Da ateo, con Benedetto XVI ho avuto un dialogo. Mi è interessato leggere le cose che scriveva, Ratzinger aveva una profondità di pensiero. La statura intellettuale Papa Francesco lascia perplessi. Quando parla, mi cadono le braccia. La misericordia, il vogliamoci bene, l'amore: sono cose talmente banali. Chi può essere contrario?

È facile criticare l'Islam allo stesso modo in cui lei, ora, ha fatto con il Cattolicesimo?
Penso che, in realtà, sia molto più facile criticare l'islam che il Cristianesimo. Farlo, è politicamente corretto. Ci sono partiti politici che fanno propaganda sull'equazione musulmano uguale terrorista. E l'opinione pubblica è sempre sul chi va là.

Dimentica quello che è successo in Francia per le vignette di Charlie Hebdo su Maometto?
La diversità è che i cristiani non vengono sotto casa ad aspettarti se li prendi di mira con la satira. Ma ricorda la parodia di Ratzinger fatta da Crozza? A un certo punto ha dovuto smettere di farla. E potrei fare altri esempi. Nei risultati, non è molto diverso da quello che accade con l'Islam.

Lei è stato compagno di classe di Flavio Briatore. Ha letto della polemica sul turismo al sud, secondo lui poco sensibile ai bisogni dei ricchi?
Non saprei dire se è così. So che con Briatore studiavo al geometra. Lui fu bocciato al secondo anno, poi lasciò e fece una scuola privata per recuperare tutti gli anni in uno. Credo sia la dimostrazione che il detto popolare – "ultimi a scuola, primi nella vita" – è vero.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/09/25/odifreddi-dizionario-stupidita_n_12180056.html


Titolo: Odifreddi - Analogie matematiche
Inserito da: Arlecchino - Maggio 06, 2017, 05:05:38 pm
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Analogie matematiche

In una lettera del 26 marzo 1940, pubblicata in La fredda bellezza (Castelvecchi, 2014), il famoso matematico André Weil provò a raccontare alla famosa sorella filosofa Simone qualcosa del suo lavoro, avvertendola: “ti sembrerà forse di comprenderne l’inizio, ma non capirai nulla di quanto segue”. In effetti parlava di cose tecniche, ma almeno un pensiero centrale riuscì a convogliarlo in parole semplici: il ruolo dell’analogia nella scoperta matematica, grazie alla quale cose diverse a un livello concreto vengono viste come manifestazioni di una stessa cosa a un livello astratto.
Nella relazione Dalla matematica alla metafisica, tenuta a un convegno del 1960 e contenuta anch’essa nel libriccino citato, Weil ripeté: “Come sanno tutti i matematici, nulla è più fecondo di queste oscure analogie, questi indistinti riflessi tra una teoria e un’altra, queste certezze furtive, queste indecifrabili foschie, e nulla dà maggior piacere allo studioso. Poi, un giorno, l’illusione svanisce, il presentimento diventa certezza, le teorie gemelle rivelano la loro origine comune prima di svanire. Come insegna la Bhagavad Gita, si giunge alla conoscenza e all’indifferenza allo stesso tempo. La metafisica è diventata matematica, pronta a formare la materia di un trattato la cui fredda bellezza non saprà più emozionarci”.
Alla sorella spiegava così l’utilità di questo procedimento: “La matematica moderna ha assunto un’estensione e una complessità tali che è diventato urgente, se la matematica deve continuare ad esistere e non vuole dissolversi in un ammasso di piccoli ambiti di ricerca, portare a termine un enorme lavoro di unificazione che assorba in alcune teorie semplici e generali tutto il substrato comune di diverse branche della scienza, sopprima le cose inutili e lasci intatto ciò che costituisce effettivamente l’aspetto specifico di ogni grande problema”.
Queste righe riassumono il programma di lavoro che André Weil aveva iniziato a portare avanti proprio in quegli anni, insieme agli altri matematici del gruppo Bourbaki, per la rifondazione della matematica sulla base del concetto di struttura. Le “teorie semplici e generali” che aveva in mente erano dunque quelle insiemistiche, algebriche, topologiche e analitiche in seguito descritte nei molti volumi degli Elementi di matematica, usciti a partire dal 1939.
Visto il periodo storico in cui scriveva alla sorella, Weil propose un’analogia militare: “In tutto ciò ci sono dei grandi problemi di strategia. Ed è tanto comune conoscere la tattica quanto è raro comprendere la strategia. Paragonerei dunque, malgrado l’incoerenza delle metafore, questi grandi edifici assiomatici alle comunicazioni nelle retrovie: non si è mai ottenuta molta gloria negli uffici dell’amministrazione, né nei convogli di equipaggiamento, ma cosa si farebbe se molta brava gente non si consacrasse a questi bisogni subalterni? Il rischio è che i diversi fronti finiscano per ignorarsi reciprocamente, come gli Ebrei nel deserto, o per perdere tempo, come Annibale a Capua”.
Naturalmente i fronti aperti della matematica si dispiegano non soltanto nello spazio, ma anche nel tempo. E il punto di vista privilegiato per osservare il divenire delle analogie, che nel corso del tempo divengono teoremi e teorie, è la storia della matematica stessa. Un’impresa nella quale André Weil, come racconta la figlia Sylvie in Casa Weil (Lantana, 2013), “ aveva deciso di riciclarsi negli ultimi decenni della sua vita, invece di deprimersi come certi suoi vecchi colleghi che si ostinavano a fare matematica con un cervello diventato meno duttile”. In questo caso il risultato fu la grande Teoria dei numeri (Einaudi, 1993), che spazia da Fermat a Legendre ed è considerata un imperituro capolavoro.
Lo spirito che anima il libro era già stato anticipato da André Weil in un’altra lettera alla sorella, del 29 febbraio 1940: “La matematica non è altro che un’arte, una specie di scultura in un materiale estremamente duro e resistente, come certi porfidi usati a volte dagli scultori. Il matematico è talmente sottomesso al filo e al controfilo, alle curvature e alle imperfezioni della materia lavorata, che questo conferisce alla sua opera una forma di oggettività. Si produce in tal modo un’opera d’arte, ma mentre la critica dell’arte è un genere vano e vuoto, la sua storia è forse possibile. Per quanto ne so, però, non si è mai fatta la storia della matematica in questo modo”. Fino al suo libro, appunto.
(Rubrica Il matematico impertinente di Aprile su Le Scienze)

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=RHPF-WB