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Autore Discussione: Piergiorgio ODIFREDDI.  (Letto 82086 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Agosto 09, 2012, 11:26:53 pm »


7
ago
2012

Monti, taumaturgo fasullo

Piergiorgio ODIFREDDI

Un ingranaggio che si è inceppato nella CPU del premier-robot, gli ha fatto fare un’azzardata e inverificabile dichiarazione controfattuale al Wall Street Journal: “Se il precedente governo fosse ancora in carica, ora lo spread italiano sarebbe a 1200”. E la macchina in folle ha subito aggiunto, inconsapevolmente ironica: “Non c’è alcuna intenzione polemica nei confronti del passato esecutivo”.

Naturalmente, a noi cittadini Monti può dire quel che gli pare: tanto i nostri voti non gli servono, visto che il suo governo non l’abbiamo eletto. Ma Berlusconi si è comprensibilmente seccato, e poiché invece i voti dei suoi portaborse in Parlamento a Monti servono, il governo è subito andato sotto in un voto sulla Spending Review. Tanto per chiarire chi comanda …

Ora, Monti non può naturalmente sapere come sarebbe lo spread se lui non fosse al governo. Ma poiché gli piace presentarsi, ed essere presentato, come l’unico possibile salvatore della patria, gli dà ovviamente fastidio che lo spread sia invece esattamente ai livelli in cui era quando è stato chiamato con le fanfare a salvarla. Cioè, gli dà fastidio dover ammettere che tra Berlusconi e lui, da questo punto di vista, non è cambiato niente.

D’altronde, e sono mesi che lo ripetiamo, non è cambiato niente da nessun punto di vista. Le misure che Monti ha preso, sono esattamente quelle che Berlusconi avrebbe sempre voluto prendere, senza mai poterlo fare, a causa dell’opposizione interna della sua coalizione. Opposizione che ora è esterna al governo Monti, e che aveva già fatto cadere Berlusconi nel 1994, non appena questi aveva provato a proporre una riforma delle pensioni nello stile scellerato alla Monti-Fornero.

Come prima, anche oggi i costi della crisi ricadono sui lavoratori dipendenti e i pensionati. E, come prima, anche oggi non vengono toccati gli evasori fiscali, le lobby (taxisti e company), le banche e la Chiesa. L’unica differenza, forse, sono le notti dei due presidenti del Consiglio. Anche se su Monti, come su tutti i baciapile, non ci metterei comunque la mano sul fuoco, per paura di bruciarmela.

ll Wall Steet Journal sostiene che Monti ha una natura da tedesco e un umorismo da inglese. Sarà, ma certo un tratto tipico da italiano ce l’ha: crede nei miracoli. Anzi, crede addirittura di poterli fare lui, come Padre Pio e altre dubbie glorie nazionali. Naturalmente, rischia di fare la loro stessa fine: essere osannato come un santo dai fedeli che cantano in coro, ma considerato un ciarlatano da coloro che non si uniscono al gregge.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/08/07/monti-taumaturgo-fasullo/
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« Risposta #91 inserito:: Agosto 29, 2012, 04:48:34 pm »


28
ago
2012

Perché la matematica?

Piergiorgio ODIFREDDI

Due settimane fa, l’inserto domenicale del New York Times ha pubblicato un articolo intitolato L’algebra è necessaria? A porsi la domanda non era ovviamente un matematico, o uno scienziato. Bensì, un politologo, preoccupato del fatto che ormai nelle scuole statunitensi la matematica sia diventata un ostacolo obbligatorio, che devono superare tutti coloro che poi vorranno iscriversi a qualunque tipo di corso di laurea all’università, scientifico o umanistico che sia.

“Pure i poeti o i filosofi devono studiare la matematica alle superiori”, si scandalizzava il povero politologo! E il suo argomento era che è giusto far sudare sulle equazioni o i polinomi gli studenti che se lo meritano, perché vogliono diventare ingegneri o fisici. Ma perché mai torturare gli altri, così sensibili, che vogliono invece scrivere versi o dedicarsi alla metafisica? Da noi, queste cose le dicevano Croce e Gentile un secolo fa, e il bel risultato che si ottiene a non far studiare la matematica agli umanisti lo si vede anzitutto dalle loro opere filosofiche, appunto.

Più in generale, non è certamente un caso che la filosofia analitica, che monopolizza il mondo anglosassone, sia così diversa da quella continentale, che domina nella vecchia Europa. Lo standard di rigore adottato dalla prima è infatti contrapposto allo stile letterario della seconda, e la matematica insegna anzitutto proprio quello standard. Questo è il primo motivo per studiarla: perché chi viene forgiato da una logica ferrea, nella quale un solo segno sbagliato può provocare disastri irreparabili, non si accontenterà più dei non sequitur di Heidegger o di Ratzinger, e rimarrà felicemente sordo alle sirene della metafisica filosofica o teologica.

Naturalmente, la ragione ha una sua bellezza. Dunque, il secondo motivo per studiare la matematica è educare l’occhio o l’orecchio della mente, per essere in grado di vederla o sentirla, questa bellezza. In fondo, nessuno si chiede perché si creano e si fruiscono l’arte o la musica: semplicemente, sono espressioni dello spirito umano, che soddisfano ed elevano chi le intende. Ma pochi sanno che c’è tanta bellezza nei progetti di Fidia, nelle fughe di Bach o nei quadri di Kandinsky, quanta ce n’è nei teoremi di Pitagora, di Newton e di Hilbert.

Gli esempi non sono scelti a caso. Perché nell’arte e nella musica ci sono, e ci sono sempre state, correnti razionaliste che parlano lo stesso linguaggio della matematica. E capire e apprezzare i loro prodotti richiede lo stesso grado di istruzione, e lo stesso livello di addestramento, che servono per capire e apprezzare i teoremi e le dimostrazioni. In entrambi i casi, all’insegna del motto che, certe cose, “intender non le può chi non le prova”.

E’ ovvio che certa arte e certa musica, allo stesso modo della matematica, richiedono uno sforzo superiore di quello sufficiente per guardare una pubblicità, orecchiare una canzonetta o leggere un romanzetto. Anche scalare l’Himalaya o le Alpi è più impervio che andare a passeggio, ma solo così si possono conquistare le vette, delle montagne o della cultura. E questo è il terzo motivo per studiare la matematica: perché lo sforzo di concentrazione e lo studio assiduo che sono necessari per fruirla, vengono ampiamente ricompensati dalle altezze intellettuali a cui elevano coloro che li praticano.

Infine, il quarto motivo per studiare la matematica è che serve. Senza le derivate e gli integrali, non avremmo la tecnologia meccanica ed elettromagnetica, dalle automobili ai telefoni. Senza la logica matematica, non ci sarebbero i computer. Senza la teoria dei numeri, i nostri pin sarebbero insicuri. Senza il calcolo tensoriale, i navigatori satellitari non funzionerebbero. Addirittura, senza la geometria non sarebbe stato scoperto il pallone da calcio.

Ma senza tutte queste cose, non saremmo comunque meno uomini, o uomini peggiori. Senza la ragione, la bellezza e la cultura, invece, sì. E’ per questo che la giustificazione utilitaristica, che di solito viene invocata per prima, qui appare non solo come last, ma anche come least: cioè, per ultima, anche in ordine di importanza.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/08/28/perche-la-matematica/
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« Risposta #92 inserito:: Settembre 03, 2012, 12:07:34 pm »


1
set
2012

No Martini no party

Piergiorgio ODIFREDDI

Carlo Maria Martini, ex arcivescovo di Milano ed ex candidato al soglio pontificio, è morto ieri a ottantacinque anni, e la sua scomparsa viene accolta con particolare cordoglio anche dai laici. Dal canto loro, i media si sono concentrati sulla sua decisione di rifiutare l’accanimento terapeutico, compresa l’alimentazione forzata che aveva tanto a lungo tenuto Eluana Englaro in vita (volendo insistere a chiamare “vita” uno stato di pura sopravvivenza vegetativa).

Questo è il destino degli uomini di chiesa, e più in generale di fede: di venir rispettati e osannati per aver sostenuto o difeso posizioni di apertura e di buon senso, soltanto perché da loro ci si aspetta che si schierino per default dalla parte della chiusura e dell’insensatezza. Una condizione in fondo comoda e privilegiata, condivisa con gli estremisti politici quali l’onorevole Gianfranco Fini, che ogni tanto si ravvedono parzialmente, e scoprono pure essi l’acqua calda nei campi dell’etica e della convivenza civile.

In entrambi i casi, religioso e politico, il problema naturalmente sta nel giudicare il residuo delle loro ideologie di default, appunto. E non risulta che il cardinal Martini sia stato un dissidente come padre Leonardo Boff, o un recalcitrante come il teologo Hans Küng, che a suo tempo l’attuale pontefice rispettivamente ridusse allo stato laicale, e sospese dall’insegnamento teologico. Anzi, Martini è stato il grande elettore dell’ultraconservatore Benedetto XVI, e ancora lo scorso 3 giugno ha tenuto ad andare a salutarlo a Milano, pur essendo gravemente malato.

In realtà, quello tra Martini e Ratzinger è stato un ovvio gioco delle parti, giocato ad majorem Dei gloriam, secondo il motto dei gesuiti come Martini. O meglio, ad majorem Ecclesiae gloriam, per coprire rispettivamente da ali sinistra e destra l’intero campo da gioco. Non a caso, entrambi hanno istituito due analoghi specchietti per attirare le compiacenti allodole sedicenti “laiche”: la Cattedra dei Non Credenti il primo, a Milano, e il Cortile dei Gentili il secondo, urbi et orbi.

In realtà, il programma degli incontri è ben sintetizzato in un intervento conclusivo dello stesso cardinal Martini alla dodicesima delle sue Cattedre, dal programmatico titolo Orizzonti e limiti della scienza (Cortina, 1999): “Scritture dell’uomo: i risultati della matematica, dell’astronomia, della fisica, della biologia, nonché della stessa filosofia. Scrittura di Dio: le Scritture ebraico-cristiane, la Bibbia. Confido che le pagine di questo volume abbiano suscitato in qualcuno la voglia e il gusto di leggere più a fondo le scritture dell’uomo e la Scrittura di Dio”.

Ecco, fino a quando si continueranno a considerare le scienze “scritture dell’uomo”, al plurale e con le minuscole, e la teologia “Scrittura di Dio”, al singolare e con le maiuscole, non ci potrà essere nessun vero dialogo tra “pensanti e non pensanti”. Così li chiama giustamente (ma sbagliando l’ordine dei termini) Massimo Cacciari, citando Norberto Bobbio: due filosofi della compagnia di giro dei tanti sedicenti laici che sono rimasti irretiti dal piffero magico del cardinale. Che il suo Dio l’abbia in gloria.

Ps. Il cardinal Scola ha invitato i fedeli a “pregare Dio perché accolga Martini nella dimora eterna e riceva dalle mani del Signore il premio per le sue fatiche apostoliche”.

Domande:

1) Martini meriterebbe la dimora eterna e il premio (se ci fossero)?

2) Se sì, Dio (se ci fosse) avrebbe bisogno delle preghiere altrui per accorgersene e agire di conseguenza?

3) Se no, le preghiere dei fedeli potrebbero cambiare il giusto verdetto?

Risposta. La confusione regna sovrana in certe menti.


da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/09/01/no-martini-no-party/
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« Risposta #93 inserito:: Settembre 09, 2012, 10:08:15 am »


7
set
2012

Il Grillo Parlante

Piergiorgio ODIFREDDI

Già a fine maggio un articolo del Fatto Quotidiano ha rivelato che dietro al Grillo Parlante c’è un Casaleggio Suggerente: il presidente di una società di “strategie di rete”, che qualche giorno dopo ha smentito sul Corriere della Sera di essere “dietro” Grillo, non senza rivendicare di essere invece “al suo fianco”. In particolare, di aver progettato in coppia con lui il blog, la rete dei Meetup, i Vday di Bologna e Torino, l’evento Woodstock a 5 Stelle di Cesena, e il Non-Statuto del MoVimento a 5 Stelle.

Niente di male, naturalmente. Gli speechwriter e i ghostwriter, così come gli advisor e i think tank, esistono da sempre. E i politici ne hanno sempre fatto ampio uso, rivelando di essere spesso più attori che recitano copioni, che non autori che li scrivono. Dunque, non stupisce che alla fine qualche attore diventi direttamente un politico, da Reagan a Grillo, appunto: se la politica è una farsa che qualcuno deve mettere in scena, tanto vale che sia qualcuno che in scena ci sappia stare per professione. Un “tecnico”, si direbbe oggi.

Niente di male neppure nel fuori onda carpito al consigliere regionale emiliano del MoVimento, che su La7 si è lasciato scappare che gli eletti nelle loro liste devono far rapporto al Casaleggio Suggerente, invece che al Grillo Parlante, e prendere ordini dal primo, invece che dal secondo. Non si fa forse così anche con i segretari dei partiti, o i sottosegretari dei ministeri, invece che con i presidenti o i ministri? Si chiama “divisione dei ruoli” e “organizzazione del lavoro”: ai primi il vero potere sotterraneo, e ai secondi le luci fatue della ribalta.

Il problema del MoVimento a 5 Stelle sta altrove: nelle parole che escono dalla bocca del Grillo Parlante, autografe o suggerite che siano. E più che il loro contenuto, è il loro stile che disgusta: sempre arruffato, sempre urlato, sempre strozzato, sempre volgare. Intendiamoci, non basta essere chiari, pacati, suadenti, eleganti, per aver ragione, ma certo aiuta a far capire i propri argomenti e le proprie idee. Chi urla e inveisce sempre, lascia invece intendere di non avere a disposizione nel proprio arsenale né gli uni, né le altre. Sarà pure una “strategia di rete”, ma è una rete che serve per accalappiare strategicamente gli esaltati e le teste calde: proprio coloro da cui la buona politica dovrebbe stare alla larga.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/09/07/il-grillo-parlante/?ref=HRER3-1
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« Risposta #94 inserito:: Ottobre 13, 2012, 03:54:29 pm »


9
ott
2012

La pagella del genio

Piergiorgio ODIFREDDI

Diceva lo storico Edward Gibbon che l’educazione è sempre inutile, eccetto nei casi in cui è superflua. Se fosse vero, la scuola andrebbe chiusa a tutti, eccetto che ai geni. E in breve tempo il mondo sarebbe popolato di analfabeti e ignoranti, perché la gente normale fatica forse a diventare umana andando a scuola, ma lasciata a se stessa rimane sicuramente animale.

Con buona pace di Gibbon, è più probabile che la scuola sia sempre necessaria, eccetto nei casi in cui è dannosa. Le porte delle scuole devono dunque rimanere aperte a tutti, eccetto a chi è in grado di sviluppare un pensiero indipendente e di guardare al mondo con uno sguardo non convenzionale. Cercare infatti di imbrigliare una tale persona nel sapere comune può appunto tarpargli le ali, e impedirgli di sviluppare le proprie potenzialità.

E se non lo fa, crea comunque un ostacolo contro il quale il genio si trova a scontarsi, a volte in maniera tragica e con risultati fatali. E’ il caso di Evariste Galois, ad esempio, l’inventore dell’algebra moderna, che fu rifiutato per due volte all’Ècole Polytechnique per la sua incapacità di superare gli esami convenzionali, e morì in duello a vent’anni. Meno tragici, ma sempre emblematici, sono i casi di Albert Einstein ed Henri Poincaré, i due massimi fisici teorici del periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, che trovarono entrambi molte difficoltà a scuola. E quasi ridicolo il ruolo di “ultimo della classe” conquistato a Eton dal neo-Nobel per la medicina John Gurdon.

Naturalmente, un genio che non vada a scuola rischia di diventare un fenomeno da baraccone, con una cultura squilibrata e incompleta. Per questo la scuola dovrebbe cercare di “dare a ciascuno secondo i propri bisogni intellettuali, e pretendere da ciascuno secondo le proprie possibilità mentali”. Ma chi potrebbe pensare e programmare una tale scuola, se non un genio? Cioè, una delle persone meno adatte a farlo?

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/10/09/la-pagella-del-genio/
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« Risposta #95 inserito:: Ottobre 21, 2012, 11:39:46 am »


20
ott
2012


Signor De Martino, si vergogni!

Piergiorgio ODIFREDDI

Ho appena visto un video in cui un sedicente “signor” Andrea De Martino, che in realtà è soltanto un maleducato “signorotto” d’altri tempi, ha interrotto con urla e strepiti una dichiarazione di don Maurizio Patricello, un prete anticamorra che pacatamente stava parlando di rifiuti tossici. Evidentemente sentendosi tirato in campo per l’argomento, il novello don Rodrigo ha inveito contro l’attonito sacerdote, che ha faticato un po’ a capire quale fosse stato il suo sgarro.

Il gravissimo reato in cui era incorso, è poi stato spiegato, era di aver chiamato il prefetto di Caserta “signora”, invece che “signor prefetto”. E per buona misura, il signor De Martino ha precisato urlando che chiamare “signora” un prefetto offendeva non soltanto colei alla quale il sacerdote si riferiva, ma anche lui. Perché sì, apparentemente questo energumeno è pure lui un prefetto, di Napoli per la precisione, e pretende rispetto! E non gli viene in mente che già chiamarlo anche solo “signore” sarebbe un’esagerazione, visto il suo stile tutt’altro che signorile!

In una successiva dichiarazione il malcapitato funzionario pubblico ha ribadito che la sua maleducazione era un “doveroso” richiamo al rispetto “delle istituzioni”. Secondo lui, sullo stesso piano delle lezioni di legalità che si fanno ai giovani. E ha aggiunto che “certe cose bisogna viverle, per capirle”. Ma in questo, almeno, il signor De Martino ha ragione. Perché bisogna vedere e sentire le registrazioni del suo comportamento, per capire che quei modi sono più consoni a un bulletto di periferia che a un prefetto di una grande città. E che effettivamente non fanno onore alle istituzioni, e nemmeno a lui.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/10/20/signor-de-martino-si-vergogni/
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« Risposta #96 inserito:: Novembre 06, 2012, 10:20:44 pm »


6
nov
2012

Grillo e i suoi “dummies”

Piergiorgio ODIFREDDI

Lo stesso giorno del novantacinquesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, il nuovo Stalin della democrazia italiana ha emesso il suo ukaze. Come il Gesù dei Vangeli si indirizzava letteralmente ai “poveri di spirito”, il Grillo Parlante si rivolge altrettanto letteralmente ai dummies, o “deficienti”, disposti ad ascoltarlo. E inizia il suo proclama dichiarando che “il Movimento a 5 Stelle vuole sostituire il sistema dei partiti con la democrazia diretta”, e “in sostanza vuole la fine dei partiti basati sulla delega in bianco”.

Cosa significhi “democrazia diretta”, viene spiegato subito dopo. I rappresentanti del movimento scelti dagli elettori dovranno infatti obbedire a tutte e sole le direttive del capo. A loro sarà vietato anche il diritto di parola, che non potranno esercitare in televisione: quello è un ruolo che spetta solo al capocomico, il quale ha già dimostrato in questi giorni di dare di matto quando qualcuno dei “suoi” si permette di provare a rubargli la scena mediatica.

Il manuale for dummies non sembra aver ancora stabilito il colore delle camicie di coloro che marceranno su Roma al seguito del nuovo “lider maximo”, ma i futuri marciatori hanno comunque già introiettato la sua raffinata dialettica. E così, quando l’ingenua Federica Salsi, ignara che la sua elezione al consiglio comunale di Bologna equivalesse a una delega in bianco al Movimento e al suo Padrone, ha osato partecipare a quella famosa “trasmissione di regime” che è Ballarò, si è sentita chiamare “puttana”, “merda” e “faccia da culo”, e le è stato intimato di “andare fuori dai coglioni”, “a cagare” e “affanculo”.

D’altronde, cosa ci si poteva aspettare da chi ha trovato la propria ispirazione politica nei “Vaffanculo Day”, appunto? Di fronte al neofascismo, al neoleghismo e al neoberlusconesimo rappresentati da Grillo e dal suo Movimento, almeno nella maniera in cui lo intendono lui e la sua anima nera Casaleggio, non si può che far quadrato e cercare di salvare il salvabile. Altro che votare Grillo per far crollare i partiti tradizionali, come ha incautamente proposto Flores d’Arcais!

Queste tattiche suicide le abbiamo già viste in azione nel 1922, nel 1933 e nel 1994. Mussolini e Hitler, così come Bossi e Berlusconi, si proponevano tutti, ciascuno a proprio modo, come distruttori della democrazia partitica corrotta e rifondatori di un nuovo sistema politico. A cosa ha portato l’ingenuità politica dei dummies che hanno creduto ai rozzi slogan di questi pifferai, lo sappiamo. Non è proprio il caso di accendere ancora una volta la miccia sotto la Santa Barbara, nell’ingenua speranza che l’esplosione possa disintegrare i partiti senza seppellire anche la democrazia.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HRER1-1
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« Risposta #97 inserito:: Novembre 20, 2012, 05:17:59 pm »

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Repubblica cancella il post di Odifreddi su Israele. Lui lascia: “Meglio fermarsi”

Il matematico aveva scritto parole dure sul conflitto in Medio Oriente accusando lo Stato ebraico di "logica nazista", ma il suo intervento è scomparso dopo 24 ore. Oggi il saluto ai lettori: "Continuare sarebbe un problema.

D’ora in poi dovrei ogni volta domandarmi se ciò che penso o scrivo può non essere gradito a coloro che lo leggono"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 20 novembre 2012


Un post pubblicato domenica. Tema: il conflitto israelo-palestinese che in questi giorni sta vivendo un’altra pagina dai toni drammatici. Una presa di posizione molto dura nei confronti dello Stato ebraico, accusato di “logica nazista” nei confronti dei palestinesi. Ma la rimozione del suo intervento dal sito di Repubblica.it ha colto di sorpresa Piergiorgio Odifreddi (matematico, divulgatore scientifico, diventato noto anche per le sue posizioni critiche alla Chiesa cattolica). Ieri sera, infatti, il suo post nel blog “Il non senso della vita” non c’era più. Tanto è bastato, comunque, perché Odifreddi decidesse di scrivere un ultimo intervento, di commiato, per salutare i numerosi lettori che lo hanno seguito fin qui. D’altronde l’intervento in un blog non riflette la linea editoriale del giornale, che del resto nei casi più controversi – come potrebbe essere questo – può scegliere di pubblicare due interventi in antitesi (l’uno che intende confutare l’altro), davanti ai quali i lettori possono confrontarsi.

“Per 809 giorni Repubblica.it ha generosamente ospitato le mie riflessioni – scrive Odifreddi nel suo saluto – che spesso non coincidevano con la linea editoriale del giornale, e ha offerto loro l’invidiabile visibilità non solo del suo sito, ma anche di un richiamo speciale nella sezione Pubblico. Da parte mia, ho approfittato di questa ospitalità per parlare in libertà anche di temi scabrosi e non politically correct, che vertevano spesso su questioni controverse di scienza, filosofia, religione e politica. Naturalmente, sapevo bene che toccare temi sensibili poteva provocare la reazione pavloviana delle persone ipersensibili. Puntualmente, vari post hanno stimolato valanghe (centinaia, e a volte migliaia) di commenti, e aperto discussioni che hanno fatto di questo blog un gradito spazio di libertà. Altrettanto naturalmente, sapevo bene che la sponsorizzazione di Repubblica.it poteva riversare sul sito e sul giornale proteste direttamente proporzionali alla cattiva coscienza di chi si sentiva messo in discussione o criticato”.

“Immagino che il direttore del giornale e i curatori del sito abbiano spesso ricevuto lagnanze, molte delle quali probabilmente in latino – ammette – Ma devo riconoscere loro di non averne mai lasciato trasparire più che un vago sentore, e di aver sempre sposato la massima di Voltaire: ‘Detesto ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo’. Mai e sempre, fino a ieri, quando anche loro hanno dovuto soccombere di fronte ad altre lagnanze, questa volta sicuramente in ebraico”. Ma poi, ieri, ecco la cancellazione del post che “non è, di per sé, un grande problema: soprattutto nell’era dell’informatica, quando tutto ciò che si mette in rete viene clonato e continua comunque a esistere e circolare. Non è neppure un grande problema il fatto che una parte della comunità ebraica italiana non condivida le opinioni su Israele espresse non soltanto da José Saramago e Noam Chomsky, al cui insegnamento immodestamente mi ispiro, ma anche e soprattutto dai molti cittadini israeliani democratici che non approvano la politica del loro governo, ai quali vanno la mia ammirazione e la mia solidarietà”.

“Il problema, piccolo e puramente individuale, è che se continuassi a tenere il blog, d’ora in poi dovrei ogni volta domandarmi se ciò che penso o scrivo può non essere gradito a coloro che lo leggono: qualunque lingua, viva o morta, essi usino per protestare – Dovrei, cioè, diventare ‘passivamente responsabile’, per evitare di non procurare guai. Ma poiché per natura io mi sento ‘attivamente irresponsabile’, nel senso in cui Richard Feynman dichiarava di sentirsi in Il piacere di trovare le cose, preferisco fermarmi qui”. “Tenere questo blog è stata una bella esperienza, di pensiero e di vita, e ringrazio non solo coloro che l’hanno ospitato e difeso, ma anche e soprattutto coloro che vi hanno partecipato – conclude Odifreddi – La vita, con o senza senso, continua. Ma ci sono momenti in cui, candidamente, bisogna ritirarsi a coltivare il proprio giardino”.

Ma la scomparsa improvvisa del post aveva scatenato proprio i frequentatori più assidui del blog di Odifreddi che, utilizzando lo spazio del suo articolo precedente, non solo hanno chiesto insistentemente al matematico come mai quel testo fosse stato rimosso, ma lo hanno copiato e incollato a beneficio di chi non l’avesse letto. A quel punto, certo, si è sviluppato il dibattito tra chi è d’accordo con la tesi di Odifreddi e chi non lo è. ”Non c’era nessun delirio antisemita, filoislamico, comunista. Solo una condanna alla violenza” scriveva B.dg. ”Il post – secondo Giulioru – è un minkiata se l’ha o gliel’hanno tolto hanno fatto bene, non per i contenuti che sono aleatori come tutte le informazioni che ci imboccano, ma per l’uso di paragoni matematici che sono infantili e inopportuni. Uno, 10, 100 non è questione di moltipliche ma di follia umana che non ha formule né tempo né luoghi”.

I lettori del blog ora commentano invece l’addio del matematico al blog: “Con l’ultimo thread non ero d’accordo, come ho scritto – interviene Nivadi – Ciò non toglie che desidero continuare a leggere osservazioni non convenzionali e stimolanti facci sapere dove potremo leggerti. Smetterò di leggere il sito di Repubblica”. “Che gran peccato, il suo blog mi ha sempre offerto dei grossi spunti di riflessione – dice lucajeck_01 - A volte mi sono trovato in disaccordo con le sue vedute, ma è stato un piacere anche quello, poter testare il mio senso critico su argomenti complessi o comunque su punti di vista particolari è stato stimolante”.


Di seguito il post di Odifreddi cancellato dal blog

Dieci volte peggio dei nazisti (18)
Uno dei crimini più efferati dell’occupazione nazista in Italia fu la strage delle Fosse Ardeatine. Il 24 maggio 1944 i tedeschi “giustiziarono”, secondo il loro rudimentale concetto di giustizia, 335 italiani in rappresaglia per l’attentato di via Rasella compiuto dalla resistenza partigiana il 23 maggio, nel quale avevano perso la vita 32 militari delle truppe di occupazione. A istituire la versione moderna della “legge del taglione”, che sostituiva la proporzione uno a uno del motto “occhio per occhio, dente per dente” con una proporzione di dieci a uno, fu Hitler in persona.

Il feldmaresciallo Albert Kesselring trasmise l’ordine a Herbert Kappler, l’ufficiale delle SS che si era già messo in luce l’anno prima,
nell’ottobre del 1943, con il rastrellamento del ghetto di Roma. E quest’ultimo lo eseguì con un eccesso di zelo, aggiungendo di sua sponte 15 vittime al numero di 320 stabilito dal Fuehrer. Dopo la guerra Kesselring fu condannato a morte per l’eccidio, ma la pena fu commutata in ergastolo e scontata fino al 1952, quando il detenuto fu scarcerato per “motivi di salute” (tra virgolette, perché sopravvisse altri otto anni). Anche Kappler e il suo aiutante Erich Priebke furono condannati all’ergastolo. Il primo riuscì a evadere nel 1977, e morì pochi mesi dopo in Germania. Il secondo, catturato ed estradato solo nel 1995 in Argentina, è tuttora detenuto in semilibertà a Roma, nonostante sia ormai quasi centenario.

In questi giorni si sta compiendo in Israele l’ennesima replica della logica nazista delle Fosse Ardeatine. Con la scusa di contrastare gli “atti terroristici” della resistenza palestinese contro gli occupanti israeliani, il governo Netanyahu sta bombardando la striscia di Gaza e si appresta a invaderla con decine di migliaia di truppe. Il che d’altronde aveva già minacciato e deciso di fare a freddo, per punire l’Autorità Nazionale Palestinese di un crimine terribile: aver chiesto alle Nazioni Unite di esservi ammessa come membro osservatore! Cosa succederà durante l’invasione, è facilmente prevedibile. Durante l’operazione Piombo Fuso di fine 2008 e inizio 2009, infatti, compiuta con le stesse scuse e gli stessi fini, sono stati uccisi almeno 1400 palestinesi, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, a fronte dei 15 morti israeliani provocati in otto anni (!) dai razzi di Hamas. Un rapporto di circa 241 cento a uno, dunque: dieci volte superiore a quello della strage delle Fosse Ardeatine. Naturalmente, l’eccidio di quattro anni fa non è che uno dei tanti perpetrati dal governo e dall’esercito di occupazione israeliani nei territori palestinesi.

Ma a far condannare all’ergastolo Kesserling, Kappler e Priebke ne è bastato uno solo, e molto meno efferato: a quando dunque un tribunale internazionale per processare e condannare anche Netanyahu e i suoi generali?

Piergiorgio Odifreddi

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« Risposta #98 inserito:: Gennaio 06, 2013, 06:39:30 pm »

La matematica ci riprova:

"Ecco perché Dio esiste"

Un manoscritto di settanta pagine firmato da Harvey Friedman perfeziona l'opera di Gödel ed entra in lizza per i grandi premi in questo campo.
Lo studioso ha lavorato sulla nozione di "consistenza". Proseguendo un percorso iniziato mille anni fa da Anselmo d'Aosta, con la sua dimostrazione ontologica 

di PIERGIORGIO ODIFREDDI


"DIO ESISTE, perché la matematica non è contraddittoria. E il diavolo esiste, perché non possiamo dimostrarlo", diceva il grande matematico André Weil. Ora un manoscritto di 70 pagine, datato 25 dicembre 2012 e intitolato Una dimostrazione divina della consistenza della matematica, prova una delle ossessioni della storia della logica. Mostra infatti nei dettagli come, partendo dall’ipotesi dell’esistenza di Dio, si può dimostrare che la matematica non è contraddittoria. Forse, dunque, Dio c’è, ma il diavolo no.

L’autore del manoscritto è Harvey Friedman, uno dei logici matematici più famosi, originali e prolifici. Da enfant prodige prese un dottorato in matematica al Massachusetts Institute of Technology all’età di soli diciott’anni. Dopo essere stato immediatamente assunto dall’Università di Stanford, entrò nel Guinness dei Primati come il più giovane professore universitario della storia. In seguito ha insegnato matematica, filosofia e musica, essendo un ottimo pianista. Ed è andato a un soffio dal vincere nel 1986 la medaglia Fields: un onore che, finora, non ha arriso a nessun logico matematico, e che quell’anno andò per uno scherzo del destino al suo quasi omonimo Michael Freedman.

Non si tratta, dunque, di un crackpot, come molti svitati che provano a combinare fra loro teologia e matematica. E non era un crackpot neppure Kurt Gödel, il logico più famoso del Novecento, autore nel 1931 di un teorema sull’impossibilità di dimostrare la consistenza di un sistema matematico all’interno del sistema stesso: teorema che diede appunto a Weil lo spunto per la seconda parte del suo aforisma. E fu lo stesso Gödel a dimostrare nel 1941, e in una forma rimaneggiata nel 1970, un teorema sull’esistenza di Dio, che ha ora dato lo spunto alla dimostrazione di consistenza di Friedman relativa alla prima parte dell’aforisma.

Per capire di cosa stiamo parlando, dobbiamo fare un passo indietro di qualche anno: approssimativamente, un migliaio, e per la precisione, 935. Fu infatti nel 1077 che Anselmo d’Aosta inventò la cosiddetta “dimostrazione ontologica” dell’esistenza di Dio, che nella versione di Cartesio nel Discorso sul metodo, del 1637, si riduce al seguente giochetto. Definiamo Dio come l’essere perfettissimo, alla maniera del Catechismo. Poiché l’esistenza è una perfezione, Dio avrà pure quella. Dunque, esiste.

Nel breve saggio del 1676 Sull’esistenza dell’essere perfettissimo, Leibniz obiettò che Anselmo e Cartesio se l’erano cavata un po’ troppo a buon mercato. Prima di poter dedurre l’esistenza di qualcosa da un ragionamento, infatti, bisogna almeno dimostrare che quel qualcosa è possibile. Nel caso di Dio, definito come essere perfettissimo, bisogna dunque dimostrare che è possibile che qualcuno abbia tutte le perfezioni. E la dimostrazione che Leibniz propose è che, essendo le perfezioni compatibili due a due, allora si possono considerare una dietro l’altra, dimostrando alla fine la compatibilità di tutte.

Quando Gödel vide questa supposta dimostrazione, gli si drizzarono i capelli. In matematica e in logica, infatti, non basta che certe proprietà siano compatibili fra loro due a due, affinché lo siano tutte insieme! Ad esempio, ci sono numeri maggiori di qualunque coppia di interi, ma questo non significa affatto che ci siano numeri maggiori di tutti gli interi.

Gödel decise di vedere se si poteva in qualche modo rimediare all’errore di Leibniz. Sostituì anzitutto le imprecise “perfezioni” di Cartesio con precise “proprietà positive”, definite in analogia con la positività dei numeri, appunto. In particolare, postulò che le proprietà positive avessero le caratteristiche logiche corrispondenti a questi ovvi fatti aritmetici: primo, il prodotto di due numeri positivi è positivo; secondo, lo zero non è un numero positivo; terzo, dato un numero diverso da zero, o lui o il suo opposto sono positivi; e quarto,
un numero maggiore di un numero positivo è anch’esso positivo. Insiemi di proprietà aventi queste caratteristiche sono ben noti in logica e in matematica, e si chiamano “ultrafiltri”.

Gödel definì Dio come un “essere positivissimo”, cioè avente tutte le proprietà positive. E dimostrò facilmente che, nel caso di un universo finito, Dio esiste e ha esattamente tutte e sole le proprietà positive. Il caso di un universo infinito è più complicato, ma Gödel dimostrò che anche in quel caso Dio esiste, purché si
faccia un’ipotesi aggiuntiva: che “essere Dio” sia anch’essa una proprietà positiva.

L’ipotesi è controversa, naturalmente, visto che un seguace della teologia negativa, o un ateo, potrebbero pensare esattamente il contrario. Ma, soprattutto, l’ipotesi aggiuntiva rende banale la dimostrazione, perché equivale a dire che le proprietà positive sono appunto tutte compatibili fra loro: dunque, è solo un modo mascherato di postulare che l’essere perfettissimo esiste.

Fin qui Gödel, di cui si possono trovare l’articolo originale, e una serie di spiegazioni e commenti, nel libretto
La prova matematica dell’esistenza di Diocurato da Gabriele Lolli e me, pubblicato dalla Bollati Boringhieri nel 2006. Di qui in poi Friedman, che come egli stesso ricorda nell’introduzione del suo lavoro, in quello stesso 2006 partecipò, nel centenario della nascita di Gödel, al grande convegno di Vienna Orizzonti della verità, sponsorizzato tra gli altri dalla Fondazione Templeton: la stessa che assegna ogni anno l’omonimo premio per "il progresso verso la ricerca o la scoperta di realtà spirituali".

A quel convegno Peter Hajek ed io tenemmo due conferenze sulla dimostrazione di Gödel dell’esistenza di Dio, e Friedman ricorda di «aver trovato particolarmente sorprendente l’uso delle proprietà positive», sia per le implicazioni etiche della parola “positivo”, che per la connessione matematica con gli ultrafiltri. Questi ultimi, infatti, se hanno certe particolari proprietà (ad esempio, se sono “numerabilmente completi”), permettono dimostrazioni di consistenza di sistemi formali anche molto forti, come quelli usati normalmente nella teoria degli insiemi (ad esempio, il sistema ZFC di Zermelo e Fraenkel, con l’assioma di scelta).

Il problema era che l’ultrafiltro usato da Gödel, come si è detto, è banale. Si trattava dunque di trovarne uno che fosse teologicamente rilevante come quello, ma allo stesso tempo matematicamente non banale, in modo da permettere una dimostrazione di consistenza. Il modo per farlo (che è troppo complesso per essere riassunto qui) venne a Friedman al congresso di Heidelberg su Il dialogo tra scienza e religione: passato e futuro dello scorso ottobre, in onore del centenario della nascita di John  Templeton.

Con il suo risultato, egli diventa ora un naturale candidato per il premio Templeton, che è per statuto più ricco del premio Nobel: un milione e centomila sterline! La cosa non cambierà molto il suo conto in banca, visto che suo padre morendo lasciò dieci milioni di dollari a ciascuno dei tre fratelli. Ma poiché Friedman ha tenuto per trentacinque anni una cattedra nell’Ohio, quando poteva averne dovunque, perché gli offriva la possibilità di essere il matematico più pagato d’America, si può forse pensare che la sua ricerca abbia comprensibilmente avuto anche qualche motivazione terrena, oltre ovviamente a quelle celesti.

(05 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/scienze/2013/01/05/news/la_matematica_ci_riprova_ecco_perch_dio_esiste-49934292/?ref=HREC2-5
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« Risposta #99 inserito:: Gennaio 30, 2013, 11:41:11 pm »


25
gen
2013

La formula del Grillo Parlante

 PIERGIORGIO ODIFREDDI

Oggi Beppe Grillo ha partecipato all’assemblea degli azionisti del Monte dei Paschi di Siena, facendo una delle sue solite piazzate e lanciandosi in alcune delle sue solite disinformate invettive. Ha detto che “nessuno sa cosa sono i derivati”. Ha dichiarato di “essere andato a vedere la curva di Scholes, che è un anagramma di formule da malati di mente”. E ha rivelato che “Scholes ha aperto una sua società, ha investito in derivati e ha fallito in sei mesi”.

Anzitutto, visto da come ne parla, è sicuro che Grillo non sa cosa sono i derivati, anche se sa di non saperlo. Ma dedurre dall’ipotesi che qualcuno non sa qualcosa, la conseguenza che allora non lo sa nessuno, è un errore degno di un presocratico. Se questa è la sua logica, speriamo che non abbia mai un incarico pubblico in cui deve ragionare, se no siamo fritti.

Inoltre, quella che Grillo chiama “curva di Scholes” è in realtà la famosa formula di Black e Scholes. Una formula che appare in matematica e nella scienza in varie versioni, e ha fondamentali applicazioni nelle discipline più disparate: per lo studio della diffusione del calore in termodinamica, delle particelle nel moto browniano, della forma delle superfici in topologia, e appunto del comportamento dei derivati in economia. Ed è tanto da mentecatti, che è valsa a Gregory Perelman la medaglia Fields nel 2006, per la soluzione della congettura di Poincaré, e a Myron Scholes e Robert Merton il premio Nobel per l’economia nel 1997, appunto per i derivati.

Infine, è vero che Scholes ha aperto una società: anzi, più d’una. Ma a fallire non sono state quelle, bensì la LTCM (Long Term Capital Management) di John Meriwether, in cui Scholes e Merton facevano i consulenti: lamentandosi, a dire il vero, del fatto che i loro consigli non venivano seguiti. Quell’infortunio altrui non ha tolto loro né la fama, né la cattedra: il primo continua a insegnare a Stanford, e il secondo al Mit (chi volesse sentire la sua versione della storia sui derivati, potrà acquistare l’8 marzo il suo dvd nella collana Capire l’economia).

Solo uno come Grillo può permettersi di dire che “nessuno” capisce i loro risultati. La verità è che non li capisce solo uno come lui, chi non conosce la matematica, e proprio per questo ha scelto di fare, o è costretto a fare, il comico e il politico.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/01/25/la-formula-del-grillo-parlante/?ref=HRER1-1
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« Risposta #100 inserito:: Febbraio 07, 2013, 11:38:51 pm »


6
feb
2013

Per chi suona la campana gay?

 Piergiorgio ODIFREDDI

Prima la Spagna, poi la Francia, infine l’Inghilterra: poco alla volta, i paesi civili riconoscono alle persone il diritto di unirsi in un vincolo sentimentale, sancito anche ufficialmente, con la persona che esse preferiscono, indipendentemente dal loro sesso.

Non è che l’ultimo passo, per ora, nella liberalizzazione delle unioni, che nel corso del tempo hanno dovuto sottostare a vincoli legali e sociali non solo sessisti, ma anche razzisti e classisti: bianchi contro neri, nobili contro plebei, ricchi contro poveri, istruiti contro ignoranti.

Naturalmente, i preti in Italia, come gli ayatollah in Iran e i mullah in Afghanistan, si stracciano le vesti. Non solo impongono ai propri accoliti, com’è nel loro diritto, quella forma di castrazione fisica e intellettuale che è il celibato. Non solo chiudono gli occhi, com’è contro il diritto, di fronte alle turbe mentali che esso scatena, fino alla piaga endemica della pedofilia. Ma pretendono pure, com’è contro il buon senso, di imporre le loro visioni perverse (celibato a noi, matrimonio indissolubile e procreativo a voi) alla popolazione intera, protestando a gran voce contro le legislazioni liberali.

In Italia, su questi argomenti cadono persino i governi, quando i parlamentari papisti di destra, centro e sinistra si coalizzano in maniera “multipartisan”, come successe con i dico nel 2008. E si può immaginare che il prossimo parlamento, in questo, non sarà meno inginocchiato di quelli che l’hanno preceduto.

Naturalmente, vedere le travi negli occhi altrui non fa sì che si vedano automaticamente quelle negli occhi propri. E infatti, nessuna nazione cristiana, per quanto “liberale”, discute seriamente di liberalizzare la poligamia, che invece è ammessa nei paesi musulmani. Il nostro “liberalismo” non si spinge più lontano del chiudere da secoli gli occhi sugli adulteri (maschili), e non arriva a riconoscere ed accettare le caratteristiche naturali della pulsione sessuale, umana e non.

Ma questi sono problemi per gli altri. Noi papisti siamo ancora fermi al passo precedente, e non sarebbe male che il problema dei matrimoni gay diventasse almeno uno dei temi della campagna elettorale. O forse, su questi argomenti, il grido di “l’Europa lo vuole” si strozza, fino a diventare solo un sussurro?

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/02/06/per-chi-suona-la-campana-gay/
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« Risposta #101 inserito:: Febbraio 24, 2013, 04:08:09 pm »


22
feb
2013

Elezioni: la storia infinita

 Piergiorgio ODIFREDDI

Domenica e lunedì si ripeterà lo stanco rituale delle elezioni, che offrirà agli elettori l’illusione di andare a decidere sul futuro del paese. L’illusione è doppia, e riguarda da un lato l’offerta politica proposta dai partiti, e dall’altro lato la domanda sociale richiesta dai cittadini.

Per quanto riguarda l’offerta politica, i sei maggiori schieramenti in campo costituiscono l’ennesima ripetizione dei copioni inscenati nella Prima e nella Seconda Repubblica. I due poli principali, guidati da Berlusconi e Bersani, sono infatti la versione 6.0 di Forza Italia e dell’Ulivo, con gli alleati di sempre: la Lega a destra, e l’estrema di turno a sinistra. E sono anche la versione 16.0 della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista.

La prima apparente novità è costituita dal centro di Monti-Casini-Fini, e dal probabilmente defunto partito di Giannino: due accozzaglie di conservatori e liberisti, molti dei quali economisti, che reincarnano i vecchi partiti repubblicano e liberale. Con Monti a giocare la parte del difensore istituzionale del capitale, nella speranza di ereditare il ruolo di ago della bilancia già incarnato da Spadolini: l’unica differenza è che ieri Spadolini rappresentava gli Agnelli e la Confindustria, e oggi Monti parla e agisce per conto delle banche, pubbliche (Bce) e private (Goldman Sachs & C.).

La seconda apparente novità è presentata dalle offerte di protesta agli estremi: il movimento di Grillo a destra, e quello di Ingroia a sinistra. Le Cinque Stelle sono gli analoghi moderni dei Fasci Littori, e i degni eredi del Movimento Sociale. Prenderanno una buona percentuale dei voti di coloro che già nel passato, come L’Unità ha documentato fotograficamente ieri, presidiavano il Parlamento e urlavano ai deputati: “Arrendetevi, siete circondati!”. Formeranno un bel manipolo di eletti, ma subiranno l’ostracismo del nuovo “arco costituzionale”, che li considererà impresentabili e inesistenti. Al più, se servirà, potranno apportare voti utili a far eleggere un nuovo Leone a presidente della Repubblica.

Quanto al movimento di Ingroia, concepito con le migliori intenzioni, è stato partorito nelle peggiori condizioni. Ormai diventato un refugium trombatorum, al massimo riuscirà a far rieleggere qualche fantasma che va sotto il nome di Di Pietro (Idv), Diliberto (PdCI), Ferrero (RC) o Favia (ex 5S). Ma probabilmente non raggiungerà il quorum, e i suoi voti andranno semplicemente dispersi al vento, come “la sentenza di Sibilla”.

L’altra illusione delle elezioni riguarda la domanda sociale, in un momento di crisi economica globale e profonda. Dopo un anno di misure “lacrime e sangue” ordinate dall’esterno dalla Bce e dai mercati, ed eseguite all’interno dalla troika Berlusconi-Monti-Bersani, i tre trasformisti disconoscono il proprio governo di unità nazionale e fanno promesse a vanvera. Ma poiché per quattordici mesi ci hanno spiegato che l’austerità “è inevitabile”, si apprestano a riproporcela e reinfliggercela, in una maniera o nell’altra.

La mia previsione, per quel che vale, è che si formerà uno schieramento di aggregazione al centro, che escluderà Vendola a sinistra, e la parte più impresentabile della destra berlusconiana a destra. Si troverà un modo di anestetizzare Berlusconi, magari alla presidenza del Senato o in qualche ruolo istituzionale, e si continuerà l’opera di spoliazione dei diritti del “popolo sovrano”. La democrazia popolare, se mai è esistita, è annegata nello tsunami della crisi: siamo ormai nell’era della dittatura dei mercati e delle banche, e non sarà l’illusione del voto a cambiare la realtà delle cose.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/02/22/elezioni-la-storia-infinita/
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« Risposta #102 inserito:: Marzo 17, 2013, 11:30:27 pm »


17
mar
2013

La democrazia secondo Grillo

PIERGIORGIO ODIFREDDI
 
Jorge Luis Borges, che era un uomo intelligente e spiritoso, nel suo racconto Il parlamento sosteneva che, per ottenere una rappresentanza veramente rappresentativa, un’elezione dovrebbe eleggere tutti gli elettori. Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, che non sono né una cosa, né l’altra, sostengono invece che un’elezione veramente rappresentativa dovrebbe eleggere soltanto i segretari dei partiti, che poi si incontrano e decidono con un voto pesato, proporzionale ai voti dei loro partiti.

La proposta di Borges equivale ad avere come parlamentari tutti i cittadini. Quella di Berlusconi e Grillo, tende ad averne soltanto uno: il dittatore che c’è in loro. Nella pratica, la mediazione fra i due estremi è un parlamento con un certo numero di parlamentari: massimo, nel caso di Borges, e minimo, nel caso di Berlusconi e Grillo. Infatti, non è un caso che entrambi questi ultimi abbiano proposto una drastica riduzione dei seggi, sbandierandola come “riforma”.

Ciò che preoccupa Berlusconi e Grillo, e in misura minore Bersani, è che i parlamentari sfuggano appunto al loro controllo, e si permettano di votare secondo la propria coscienza, invece che secondo i loro diktat. O, se si preferisce, essi temono che i parlamentari si comportino da esseri pensanti in maniera autonoma, invece che da automi programmati da loro. E il voto segreto dà loro fastidio, perché permette appunto che gli automi si comportino umanamente.

Non a caso, Grillo ha sbraitato sul suo blog contro il voto segreto, e contro la decisione di alcuni dei suoi rappresentanti di comportarsi da parlamentari: cioè, da rappresentanti degli elettori, invece che suoi. Non a caso, Grillo pretende di sapere chi ha votato come, per poterne trarre le necessarie conseguenze: le dimissioni degli indipendenti pensanti, e la sostituzione con dipendenti non pensanti.

Per colmo dell’ironia, la nuova presidente della Camera è stata eletta come “indipendente”, appunto: cioè, ponendo fin da subito la propria autonomia individuale di fronte alla dipendenza partitica. Una dozzina di senatori grillini, ieri, si sono comportati da indipendenti come lei: posti di fronte all’alternativa, per la presidenza del Senato, tra un indagato per rapporti con la mafia e un procuratore antimafia, hanno scelto la decenza.

Speriamo che sia solo il primo passo per una resa dei conti all’interno del M5Spiùelle, come ormai incomincia a essere chiamato il movimento, secondo l’impietosa legge del contrappasso. Cioè, per una diaspora tra l’anima fascisteggiante che prende ordini da Grillo e Casaleggio, e
l’anima democratica degli ingenui che si sono lasciati abbindolare dai loro proclami, ma che non hanno completamente rinunciato a pensare con la propria testa. Nelle votazioni segrete, almeno, questi ultimi si ricordino che la loro coscienza li vede, ma Grillo e Casaleggio no.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/03/17/la-democrazia-secondo-grillo/?ref=HREA-1
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« Risposta #103 inserito:: Marzo 26, 2013, 11:52:56 am »

Come mettere ordine nella musica del caso

"Abbasso Euclide!", il nuovo libro di Piergiorgio Odifreddi, spiega i segreti della geometria.

Tra questi, i misteriosi frattali, che hanno ispirato artisti, compositori e letterati

di PIERGIORGIO ODIFREDDI


Il Novecento è stato il secolo dell'astrazione, nella matematica e nell'arte. Ma in entrambi i campi l'astrazione comporta dei rischi, e oltre un certo limite può portare alla dissoluzione totale del contenuto, e alla perdita completa del significato. Recentemente la matematica ha sviluppato un'intera teoria della complessità, che ha potuto render conto parzialmente di questa tendenza. Dal punto di vista astratto, infatti, la differenza fra i fenomeni casuali e quelli che non lo sono si riduce al fatto che i primi non possono essere descritti in maniera semplice e compressa, e i secondi sì.

Paradossalmente, dunque, più un'opera è complessa, più tende ad avvicinarsi alla casualità e a confondersi con essa. È il caso del free jazz in musica, o dell'espressionismo astratto in pittura, consistenti entrambi di strutture singolarmente irrepetibili, e collettivamente indistinguibili, che possono soltanto essere esibite, ma non descritte.  Un esempio tipico è Luce bianca di Jackson Pollock, del 1954, che compare appunto sulla copertina del disco Free Jazz di Ornette Coleman, del 1961, da cui questo genere di musica prese il nome. La tela consiste semplicemente di un intrico di colori ottenuti facendo sgocciolare i pennelli sulla tela, così come il disco registra quaranta minuti di libere improvvisazioni di un doppio quartetto di musicisti. Luce bianca fu dipinta due anni prima che Pollock morisse, schiantandosi ubriaco contro un albero. E il titolo sta ad indicare che, come i colori si mescolano e perdono la loro identità nell'amalgama della luce bianca, così le pennellate e i suoni di questo punto d'arrivo dell'arte si riducono a un puro raggio abbagliante, quando non semplicemente a un abbaglio raggiante.

Ma la matematica moderna ha imparato a mettere parzialmente ordine anche nel caos e nel caso, grazie alla teoria dei frattali: delle figure autosimili, cioè, in cui una o più parti hanno la stessa struttura del tutto. Una proprietà, questa, ben illustrata dalla copertina di Free Jazz, che dall'esterno lasciava intravedere attraverso un buco un riquadro dell'opera di Pollock, praticamente indistinguibile dall'intera tela mostrata all'interno.
Volendo trovare figure autosimili, contenenti parti sempre più piccole, ma simili al tutto, non c'è bisogno di guardare lontano. Basta, ad esempio, rivolgersi a opere di Maurits Cornelis Escher quali Sempre più piccolo, del 1956, e Quadrato limite, del 1964. Un tentativo più radicale, ma meno riuscito, Escher lo fece nel 1956 in Galleria di stampe, cercando di realizzare un quadro che rappresenta una scena di cui esso stesso fa parte. L'idea era già venuta verso il 1320 a Giotto, nel retro del Polittico Stefaneschi, in cui si vede il committente che offre a San Pietro un modellino del polittico stesso. E venne di nuovo nel 1912 a Edmund Husserl, nel primo volume delle Idee per una fenomenologia pura, dopo aver visto a Dresda uno dei quadri seicenteschi di David Teniers, che riproducono la galleria di dipinti italiani dell'Arciduca Leopoldo.

Oggi si parla al proposito di effetto Droste, perché a partire dal 1904 l'omonima produttrice olandese di cacao adottò sulle sue scatole l'immagine di un'infermiera, che teneva su un vassoio una copia della scatola stessa. Un trucco simile è stato usato, a partire dal 1921, dall'industria casearia francese La vache qui rit per il proprio logo, in cui una mucca che ride ha due orecchini che ripetono il logo stesso.

Effetti di questo genere sono più facili da descrivere, che da realizzare. Non a caso, la letteratura abbonda di opere che contengono una parte che dovrebbe coincidere con l'opera stessa. Nell'Iliade di Omero, Elena ricama una veste di porpora che raffigura la storia del poema. Al termine del Ramayana di Valmiki, i figli di Rama cercano rifugio in una selva, dove un asceta insegna loro a leggere su un libro che è, appunto, il Ramayana. Nel Mahabarata di Vyasa, il narratore incontra un amico e gli racconta il Mahabarata, che narra del poeta Vyasa che detta al dio Ganesh il Mahabarata, una storia che narra di un re che incontra il poeta Vyasa e si fa raccontare il Mahabarata. Nel Sogno della camera rossa di CaoXueqin, il protagonista prevede in sogno gli avvenimenti del romanzo. Nell'Amleto di Shakespeare, si mette in scena una tragedia che è pressappoco la stessa dell'Amleto. E così via. [...]

Più in generale, strutture autosimili o telescopiche, a vari livelli, sono state usate sistematicamente nell'architettura religiosa e imperiale, sia orientale che occidentale. Se ne trovano esempi nelle piante delle città, come a Logone-Birni nel Camerun. Nei recinti dei complessi, come ad Angkor Wat in Cambogia. Nei tetti degli edifici, come alla Città Proibita di Pechino. Nelle torri dei templi, come al Kandariya Mahadeva di Khajurao. Nelle cupole delle chiese, come al Cremlino di Mosca. Nelle decorazioni dei soffitti, come all'Alhambra di Granada. E nei rosoni delle finestre, come a Notre Dame di Parigi.

Dal canto loro, gli artisti sono stati condotti a rappresentazioni di natura frattale ogni volta che hanno cercato di disegnare o dipingere fenomeni di turbolenza, atmosferica o acquatica. Per limitarsi al giapponese Katsushika Hokusai, basterà ricordare, oltre alla celeberrima Grande onda al largo di Kanagawa (1810), le due serie Mille immagini del mare (1833-34) e Viaggio tra le cascate giapponesi (1834-35).

Oggi le strutture autosimili si possono realizzare e visualizzare facilmente al computer, mediante i processi iterativi tipici dei frattali. Questi sono usati comunemente nella grafica computerizzata, per riprodurre gli oggetti naturali che ne esibiscono le caratteristiche: dalle scariche elettriche alle nuvole, dalle nubi ai monti, dai rami di pino alle foglie di felce, dai broccoli ai cavolfiori, dalle scaglie dei pesci alle squame dei serpenti, dalle contorsioni dell'intestino alle cavità dei polmoni, dalle fibre nervose alle circonvoluzioni del cervello.

Quanto il computer fosse in grado di simulare artificialmente il naturale, apparve chiaro fin dal primo corso sui frattali, insegnato a Yale nella primavera del 1993. Posti di fronte a immagini estremamente realistiche di Ken Musgrave, gli studenti discussero vivacemente se e quali fossero fotografie, increduli che si trattasse solo di realizzazioni artificiali. In seguito vari artisti si sono specializzati nella creazione di paesaggi matematici: Anne Burns, ad esempio, che li chiama appropriatamente Mathscapes, "Matesaggi".

La prima esposizione di questo genere di applicazioni era stato il manifesto di Benoit Mandelbrot La geometria frattale della Natura, uscito in francese nel 1977, e in inglese nel 1982. Il retro di copertina riportava una Pianetizzazione frattale di Richard Voss, sorprendente per quei tempi. E poiché questa e altre immagini esibivano un'evidente connessione con l'arte, nei suoi "disconoscimenti" iniziali Mandelbrot si premurò di dichiarare: "competere con gli artisti non è per niente uno scopo del libro". E di aggiungere: "Non lo è neppure mostrare belle immagini, che sono uno strumento essenziale, ma solo uno strumento".

Queste non richieste scusanti erano ovviamente dettate dalla preoccupazione che i manifesti aspetti artistici dei frattali potessero distrarre dai loro contenuti matematici. Puntualmente, l'estetica dei frattali catturò immediatamente l'attenzione dei curiosi e dei media. E presto ispirò una nuova forma d'arte, oggi popolare persino sulle T-shirt.

(26 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/scienze/2013/03/26/news/odifreddi_abbasso_euclide-55362844/?ref=HREC2-13
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« Risposta #104 inserito:: Marzo 26, 2013, 11:17:42 pm »


25
mar
2013

Caro Ferrara, epuri e si muova!

Piergiorgio ODIFREDDI


Caro Giuliano Ferrara,

è un po’ di tempo che non ci sentiamo, e che non la disturbo con lamentele a proposito di ciò che esce sul suo Foglio Quotidiano. Diversamente dalle altre volte, però, quando mi lamentavo di cose (false) che lei aveva pubblicato sul mio conto, e dunque intervenivo privatamente con una lettera al direttore, oggi le scrivo pubblicamente dal mio blog, a causa di un articolo di un suo collaboratore, che non riguarda me (lei mi scuserà se ne vengo a conoscenza con un po’ di ritardo, ma immagino capirà il perché senza alcun ritardo).

Il contenuto di quell’articolo grida vendetta di fronte non soltanto alla comunità scientifica, ma all’intera comunità degli esseri umani, intesi secondo la definizione stoica di “animali razionali”. Il suo collaboratore Camillo Langone, evidentemente in possesso di uno solo dei due attributi che definiscono appunto l’uomo, ha postato sul sito del suo giornale il 7 marzo scorso, due giorni dopo il rogo della Città della Scienza di Napoli, un articolo intitolato Dovevano bruciarla prima, che si conclude così:

Ho scoperto che nei capannoni dell’ex Italsider si propagandava l’evoluzionismo, una superstizione ottocentesca ancora presente negli ambienti parascientifici. Il darwinismo è una forma di nichilismo e secondo il filosofo Fabrice Hadjadj dire a un ragazzo che discende dai primati significa approfittare della sua natura fiduciosa per gettarlo nella disperazione e indurlo a comportarsi da scimmia. Dovevano bruciarla prima, la Città della Scienza.

Una prova così concisa di ignoranza e di stupidità (due attributi che ovviamente convivono benissimo, in generale e nel suo collaboratore) sarebbe difficile darla. “Superstizione ottocentesca”? “Ambienti parascientifici”? “Forma di nichilismo”? Il povero Langone, che nel suo articolo nominava invano (cioè, a sproposito) il nome di Nobel, potrebbe cortesemente dirci quanti e quali, tra i 201 vincitori del premio Nobel di fisiologia e medicina tra il 1901 e il 2012, non siano stati afflitti da quella “superstizione ottocentesca, parascientifica e nichilista”? Siamo tutti tutte orecchie.

La realtà è che gli unici superstiziosi e prescientifici sono appunto gli ignoranti come lui, che non sanno di cosa parlano. In Italia, fino al 7 marzo, in questa categoria ricadevano soltanto due persone notorie, il fisico delle particelle Antonino Zichichi e lo storico delle idee religiose Roberto de Mattei, e i quattro sconosciuti gatti di un patetico Comitato Antievoluzionista. Ora ci appartiene di diritto anche lei, caro direttore: almeno fino a quando non epurerà ufficialmente “l’asino ignorante e presuntuoso” (come Giordano Bruno ne definì uno analogo, che ragliava in maniera analoga contro l’eliocentrismo) che ha scritto quell’articolo.

A differenza degli esaltati come Langone, io non chiedo naturalmente roghi. Mi basterebbe che la magistratura processasse e condannasse lui, per l’apologia di reato commessa nell’ultima frase del suo demenziale articolo. E che lei ci rassicurasse di non essersi accorto di ciò che quella mina vagante aveva postato sul suo sito. Voglio sperare che lei non condivida invece quell’articolo, e non dimostri in tal modo di appartenere pure lei, come gli esseri già citati, alla specie delle scimmie non evolute.

Ps. Immagino lei sappia chi è “il filosofo Fabrice Hadjadj”. Invito però i miei lettori, che probabilmente non lo sanno, a informarsi sul sito di Wikipedia, e a farsi quattro gustose risate:

 http://it.wikipedia.org/wiki/Fabrice_Had

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/03/25/caro-ferrara-epuri-e-si-muova/
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