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Autore Discussione: Piergiorgio ODIFREDDI.  (Letto 72743 volte)
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« Risposta #120 inserito:: Novembre 19, 2013, 05:25:42 pm »

14
nov
2013

Papi, Presidenti e Imperatori


Il Presidente della Repubblica ha incontrato per l’ennesima volta il Papa a casa sua. Diciamo “ennesima”, usando una variabile, perché con la frequenza di queste reciproche visite, tenerne il conto preciso è complicato. E diciamo “casa sua”, usufruendo dell’ambiguità della lingua italiana, perché non è effettivamente chiaro se il Quirinale sia casa dell’uno o dell’altro. Al punto che lo stesso Presidente, ricevendo un altro Papa un’altra volta, disambiguò lui stesso l’espressione dicendogli appunto: “Questa è casa sua”.

Naturalmente, non ci sarebbe nulla di male, e sarebbero fatti suoi, se il signor Giorgio Napolitano avesse ricevuto il signor Jorge Bergoglio a casa propria, accogliendolo con la tradizionale espressione sudamericana: “Esta es su casa”. Ma c’è molto di male in queste continue visite ufficiali, avanti e indietro tra le rispettive residenze ufficiali, del teorico Presidente di tutti gli italiani e del pratico Papa dei soli cattolici. Soprattutto quando la delegazione del capo di stato dell’indipendente Città del Vaticano comprende anche il presidente della Commissione Episcopale Italiana, a conferma del perenne conflitto (o armonia) di interessi tra Vaticano e Chiesa.

Naturalmente, non si pretende che il Parlamento italiano scimmiotti quello giapponese, che un paio di giorni fa ha bandito da ogni cerimonia imperiale un senatore che aveva osato rivolgersi direttamente all’Imperatore, addirittura chiedendogli un coinvolgimento in una questione politica (il dramma sanitario dei bambini della zona del disastro di Fukushima): la motivazione dello scandalo era che l’Imperatore rappresenta tutti i cittadini, e deve rimanere equidistante e distaccato da ogni coinvolgimento in questioni particolari.

Ma le istituzioni dell’Italia repubblicana potrebbero finalmente avere almeno un sussulto d’orgoglio, ricordando e riconoscendo che la separazione tra Stato e Chiesa è stata all’origine dell’Italia unita. E che la loro commistione è invece un retaggio del fascismo, introiettato nella Costituzione soltanto per il tradimento dei comunisti.

Invece, tutti esultanti e in ginocchio di fronte al nuovo Papa. Il quale, udite udite, viaggia in “utilitaria” e con un corteo di sole quattro auto! Manco questo lo rendesse automaticamente uguale al santo di cui porta il nome, che in realtà girava col “cavallo di san Francesco”. E che viveva di elemosine individuali: mica di sussidi statali come l’8 per 1000, che il Papa (scortato dal cardinal Bagnasco) ovviamente ben si guarda dal chiedere al Presidente di abolire.

In realtà, la tanto decantata “povertà” del nuovo Papa è una povera caricatura pubblicitaria del modus vivendi di leader che l’hanno praticata veramente e seriamente, come il Mahatma Gandhi e il Dalai Lama. Che il Papa vada a vivere in un convento, invece che in Vaticano. Accetti le offerte dei fedeli, e rifiuti i finanziamenti pubblici. Predichi pure la “missione della famiglia” ai credenti, ma ne taccia di fronte alle autorità di uno stato che ha liberamente approvato il divorzio e l’aborto. Magari allora potremo concedergli il beneficio del dubbio, ma fino ad allora dovremo coltivare il dubbio sui suoi benefici.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/11/14/papi-presidenti-e-imperatori/
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« Risposta #121 inserito:: Dicembre 05, 2013, 11:42:43 pm »

4 dic.  2013

Le contraddizioni dei sistemi elettorali

Piergiorgio ODIFREDDI

La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale basata sul premio di maggioranza e sulla mancanza di preferenze. D’altronde, i principi che animano la legge del 2005, denominata metaforicamente Porcellum, sono gli stessi che animavano quella del 1953, denominata realisticamente Legge Truffa. In entrambi i casi, infatti, si violava uno dei principi fondamentali della democrazia: il fatto, cioè, che la rappresentanza dovrebbe essere proporzionale ai voti ottenuti. E si assegnavano a uno o più partiti più seggi di quanto loro spettassero.

Nel passato il premio di maggioranza è stato presentato come un prezzo da pagare per la governabilità: cosa che, ovviamente, sarebbe molto più facilmente e definitivamente raggiungibile attraverso la dittatura. Ed è proprio la tensione fra proporzionalità e dittatura a pervadere gli svariati teoremi di limitatezza della democrazia.

Il primo, e più famoso, di questi teoremi è quello dimostrato da Kenneth Arrow nel 1951 in Scelte sociali e valori individuali, che lo portò al premio Nobel per l’economia nel 1972. Egli enunciò tre principi basilari, intuitivi e condivisi, della democrazia: la libertà di scelta (gli elettori possono classificare i candidati nell’ordine di preferenza che vogliono), la dipendenza dal voto (il risultato di una votazione dev’essere determinato soltanto dai voti espressi dai votanti), e l’unanimità (un candidato che prenda tutti i voti deve vincere).

Arrow si domandò poi se esistesse qualche sistema elettorale che fosse in grado di evitare il cosiddetto paradosso di Condorcet: cioè, il fatto che nei sistemi elettorali soliti si possono creare situazioni circolari in cui i vari candidati vincono uno sull’altro, a seconda dell’ordine in cui si effettuano le votazioni. Cosa ovviamente non accettabile, visto che in tal caso siamo in presenza di “leggi truffa”, in cui il vincitore delle elezioni viene determinato dal sistema elettorale, invece che dai soli voti degli elettori.

Purtroppo, la risposta alla domanda di Arrow è negativa: si può infatti dimostrare matematicamente che esiste un unico sistema che soddisfi i suoi tre requisiti, ed è la dittatura (nel senso che deve esistere qualcuno. il cui singolo voto determina il risultato di qualunque votazione). E’ poiché la dittatura non è ovviamente un sistema accettabile, questo significa che di sistemi democratici non ne esiste nessuno.

Il che spiega perché le discussioni sulle leggi elettorali siano così accademiche e bizantine. Si cerca (o si finge di cercare) l’Araba Fenice, cioè un inesistente sistema democratico, senza sapere (o fingendo di non sapere) che ci si deve invece accontentare di “porcate” o “truffe”, che sono due aspetti complementari (per chi le fa e chi le subisce) di una stessa medaglia.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HREA-1
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« Risposta #122 inserito:: Dicembre 24, 2013, 06:40:39 pm »

22
dic
2013

Il Sole è invitto, ma perderà

Gli antichi pagani celebravano il 25 dicembre la festa del Sole Invitto, il Dio Sole El Gabal, importato da Eliogabalo nel 218 dalla Siria. Fu Aureliano a instaurarne il culto nel 270, e a consacrarne il tempio il 25 dicembre 274, durante la festa del Natale del Sole.

La ricorrenza è legata al solstizio d’inverno, quando il Sole tocca il punto più basso del suo percorso, sembra fermarsi per tre giorni (da cui il nome di solstitium, “fermata del Sole”) e ricomincia la sua salita, in un succedersi di eventi che si può metaforicamente descrivere come “morte, resurrezione il terzo giorno e ascesa al cielo”.

Fu solo nel 350 che Giulio I scelse il 25 dicembre come Natale di Gesù, stabilendo un legame tra quest’ultimo e il Sole. Un legame testimoniato ancor oggi dal nome inglese di Sunday per il giorno del Signore, derivato dal Dies Solis stabilito da Costantino come giorno del riposo romano. E Benedetto XVI ricorda, nella sua intervista Luce del mondo, che “i primi cristiani pregavano rivolti a Oriente, verso il Sole che sorge”.

A Natale festeggiamo dunque la vittoria annuale del Sole, ma sappiamo che prima o poi esso smetterà di vincere. Tra qualche miliardo di anni diventerà una “rossa gigante”, grande abbastanza da inghiottire la Terra. Poi si contrarrà in una “nana bianca”. E infine si spegnerà.

Il film Sunshine di Danny Boyle salta la prima fase, e immagina già nel 2057 un Sole agonizzante. L’umanità congelata tenta di riattivare il proprio astro con una missione spaziale che spari nel Sole una Q-ball, e ci riesce. Per ora, noi godiamoci ancora il Sole Invitto, e appendiamo all’albero di Natale analoghi delle Q-ball, come i nuclei superstabili del nickel-62 o del ferro-56, per festeggiare un Natale laico.

(“Tabellina” pubblicata sul cartaceo di oggi)

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/12/22/il-sole-e-invitto-ma-perdera/?ref=HROBA-1
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« Risposta #123 inserito:: Gennaio 26, 2014, 11:23:35 pm »

26
gen
2014

La banalità del male

Piergiorgio ODIFREDDI

Domani è la Giornata della Memoria, che ricorda ciò che non si deve dimenticare: lo sterminio nazista di un numero compreso fra i 12 e i 17 milioni di persone, secondo le cifre riportate da Wikipedia. Un genocidio plurimo e generalizzato di circa 6 milioni di ebrei, 3 milioni di prigionieri di guerra sovietici, 2 milioni di polacchi non ebrei, 2 milioni di slavi, 1,5 milioni di dissidenti politici, e 1 milione di zingari, disabili, omosessuali, massoni e altre frange della popolazione europea.

La vicenda nazista può essere letta da vari punti di vista, e anche la scienza sperimentale ha il suo. Che giunge alle stesse conclusioni tratte da Hannah Arendt in La banalità del male (Feltrinelli, 2013), un’analisi del processo di Gerusalemme ad Adolf Eichmann del 1961. Conclusioni che sono riassunte nel titolo: i criminali nazisti non erano persone particolarmente malvage o perverse, ma banali cittadini che obbedivano più o meno inconsapevolmente all’autorità costituita.

Ed è appunto Obbedienza all’autorità (Einaudi, 2003) il titolo di un famoso e conturbante saggio di Stanley Milgram, che tra il 1960 e il 1963 effettuò esperimenti su vari volontari, e si accorse che erano quasi tutti disposti a infliggere sofferenze anche gravi a persone sconosciute, purché qualcuno dicesse loro di farlo.

Nel 1971 Philip Zimbardo ottenne risultati analoghi, raccontati nel libro L’effetto Lucifero: cattivi si diventa? (Cortina, 2008), e mostrati nel film Experiment. Questa volta, bastava dividere i soggetti in “guardie” e “detenuti”, per far sì che si comportassero effettivamente secondo i loro ruoli. I nazisti erano dunque Uomini comuni (Einaudi, 2004), come Christopher Browning intitola appunto il suo libro sulla “soluzione finale” in Polonia, nel quale cita doverosamente gli studi di Milgram e Zimbardo. E nazisti possiamo diventare tutti, comportandoci in maniera conformista rispetto a un potere totalitario.

Ps. A scanso di equivoci, e a beneficio dei malpensanti, questo post (apparso anche come “Tabellina” sul cartaceo di oggi) è una versione ridotta dell’articolo “L’esperimento”, pubblicato in Il matematico impertinente (Longanesi, 2005), pp. 54-57.

Per evitare preventivamente le reazioni pavloviane dei professionisti del conformismo di oggi e domani (Riotta, Calabresi e company), aggiungo che le virgolette attorno a “soluzione finale” sono di Browning, nel sottotitolo del suo libro.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/01/26/siamo-tutti-potenziali-nazisti/
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« Risposta #124 inserito:: Febbraio 09, 2014, 05:49:45 pm »

31
gen
2014

Fascismo a Cinque Stelle

Piergiorgio ODIFREDDI

Se fino a qualche giorno fa si poteva immaginare una differenza tra il comico sceso in politica e i suoi spettatori eletti in parlamento nella lista del M5S, le piazzate squadriste delle ultime ore hanno dimostrato che si tratta invece di esemplari della stessa specie: quella dei minus habens della politica, incapaci di qualunque azione costruttiva, impazienti di agitare i manganelli, e autocompiaciuti dei loro insulti di bassa lega.

Ed è proprio l’espressione “bassa lega” quella che forse descrive al meglio il movimento politico di Grillo, rivelatosi essere una versione ancora più rozza della Lega di Bossi. Coloro che prima delle elezioni potevano illudersi che dietro alle pessime intemperanze verbali di Grillo si nascondessero buone idee e ottimi propositi, hanno ormai dovuto ricredersi. Le povere gag di Grillo, ripetute come mantra dai suoi spettatori-parlamentari, sono semplicemente l’espressione di un ego pieno al comando di cervelli vuoti.

A differenza di Bossi però, che nella sua rozzezza era comunque un animale politico, Grillo è unicamente un animale scenico, a suo agio soltanto su un palcoscenico e di fronte a spettatori adulanti. Lungi dall’essere in grado di “aprire come scatole di sardine le istituzioni”, il M5S ha infatti mostrato la propria incapacità di tradurre gli slogan populisti in azioni politiche, ed è stato stritolato e marginalizzato.

Dopo quasi un anno di impotenza, ormai rivelatisi incapaci di influire sull’elezione del presidente della Repubblica, sulla creazione del governo e sul processo di riforme istituzionali, il comico e la sua claque erano diventati invisibili. E hanno cercato di riconquistare visibilità nell’unico modo che conoscono: con il linguaggio e i modi fascisti che sono tipici dei populisti di bassa lega. E allora giù con il presidente della Repubblica “boia”, la presidente della Camera “morta vivente”, le deputate del Pd “bocchinare”, e via di seguito.

Ormai il M5S ha scelto la via dello squadrismo, e sarà ovviamente seguito da coloro che da sempre inneggiano al fascismo. Che sono tanti, e nel corso degli anni hanno girovagato nei vari partiti della destra: dalla Lega a Forza Italia, dal Popolo delle Libertà a Fratelli d’Italia. Non è un caso che nei tafferugli alla Camera, l’altro giorno, si sia visto La Russa mescolato ai grillini.

I grillini hanno presentato una ridicola richiesta di impeachment per il capo dello Stato, con un’accusa di attentato alla Costituzione che dimostra ancora una volta la loro mancanza di senso del ridicolo. Ma paradossalmente non si accorgono, o fingono di non accorgersi, che ad attentare alla Costituzione sono invece loro: precisamente, alla XII disposizione transitoria e finale, che sanziona “chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/01/31/fascismo-a-cinque-stelle/
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« Risposta #125 inserito:: Febbraio 24, 2014, 05:51:52 pm »

22
feb
2014

La Madia ministro? Vergogna!

Piergiorgio ODIFREDDI

Alle elezioni del 2008, Walter Veltroni usa le prerogative del porcellum per candidare capolista alla Camera per il Pd nella XV circoscrizione del Lazio la sconosciuta ventisettenne Marianna Madia. Alla conferenza stampa di presentazione, agli attoniti giornalisti la signorina dichiara gigionescamente di “portare in dote la propria inesperienza”.

In realtà è una raccomandata di ferro, con un pedigree lungo come il catalogo del Don Giovanni. E’ pronipote di Titta Madia, deputato del Regno con Mussolini, e della Repubblica con Almirante. E’ figlia di un amico di Veltroni, giornalista Rai e attore. E’ fidanzata del figlio di Giorgio Napolitano. E’ stagista al centro studi Arel di Enrico Letta. La sua candidatura è dunque espressione del più antico e squallido nepotismo, mascherato da novità giovanilista e femminista. E fa scandalo per il favoristismo, come dovrebbe.

In parlamento la Madia brilla come una delle 22 stelle del Pd che non partecipano, con assenze ingiustificate, al voto sullo scudo fiscale proposto da Berlusconi, che passa per 20 voti: dunque, è direttamente responsabile per la mancata caduta del governo, che aveva posto la fiducia sul decreto legge. Di nuovo fa scandalo, questa volta per l’assenteismo. La sua scusa: stava andando in Brasile per una visita medica, come una qualunque figlia di papà.

Invece di essere cacciata a pedate, viene ripresentata col porcellum anche alle elezioni del 2013. Ma poi arriva il grande Rottamatore, e la sua sorte dovrebbe essere segnata. Invece, entra nella segreteria del partito dopo l’elezione a segretario di Renzi, e ora viene addirittura catapultata da lui nel suo governo: ministra della Semplificazione, ovviamente, visto che più semplice la vita per lei non avrebbe potuto essere. Altro che rottamazione: l’era Renzi inizia all’insegna del riciclo dei rottami, nella miglior tradizione democristiana.

La riciclata ora rispolvererà l’argomento che aveva già usato fin dalla sua prima discesa paracadutata in campo: “Non preoccupatevi di come sono arrivata qui, giudicatemi per cosa farò”. Ottimo argomento, lo stesso usato dal riciclatore che dice: “Non preoccupatevi di come ho ottenuto i miei capitali, giudicatemi per come li investo”. Se qualcuno ancora sperava di liberarsi dai rottami e dai riciclatori, è servito. L’Italia, nel frattempo, continui ad arrangiarsi.

Ps. Il seguente commento fornisce un’integrazione essenziale al post:

http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/02/22/la-madia-ministro-vergogna/comment-page-1/#comment-141251

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/02/22/la-madia-ministro-vergogna/
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« Risposta #126 inserito:: Marzo 29, 2014, 11:07:56 am »


28
mar
2014

Lo sguardo del matematico

Piergiorgio Odifreddi

L’artista, il musicista e il poeta percepiscono le meraviglie del mondo attorno a sé, raffigurandole e trasfigurandole nelle loro opere. Osservano i variopinti colori dei fiori nei prati, riproducendoli in tele realiste o impressioniste. Ascoltano i gorgheggianti canti degli uccelli, riverberandoli in composizioni pastorali. Guardano oltre una siepe, fingendosi sovrumani silenzi e profondissima quiete. Osservano la danza della graziosa e silenziosa Luna, domandandosi che ci fa in cielo.

I loro sensi raffinati e le loro sensibilità affinate li candidano ad essere l’avanguardia emotiva di tutti noi, più poveri di spirito, che li eleggiamo a interpreti spirituali dell’umanità. Le loro tele sono esposte nei musei, le loro musiche risuonano nelle sale di concerto, i loro versi sono recitati sui palcoscenici e citati nelle conversazioni. I loro nomi, le loro vite e le loro opere costituiscono la storia della Cultura Universale, e saturano le biblioteche, le librerie e gli spazi culturali dei giornali, delle radio e delle televisioni.

The rest is dross, “il resto è scoria”, cantava uno dei loro massimi interpreti. Eppure, ci sono molte più cose in cielo e in terra di quante se ne sognino la poesia, la musica e l’arte. Queste cose non sono percepibili con i sensi e la sensibilità dell’umanesimo, e richiedono l’affinamento di un pensiero e di un linguaggio tanto raffinati, che “intender non li può chi non li prova”. Ne ebbe sentore lo stesso Dante, che arrivato al cospetto di Dio fu costretto a deporre le proprie penne, e a dichiarare il venir meno della propria pur alta fantasia.

E’ proprio quando si passa dalle opere del creato ai pensieri di un metaforico Creatore, che l’umanesimo finisce e inizia la matematica. Ma rispetto all’artista, al musicista o al poeta, il matematico va oltre, e non altrove. E la sua visione del mondo non sottrae bellezza alla descrizione dell’umanista, ma gliene aggiunge. Perché la bellezza c’è a tutti i livelli della Natura, dal microcosmo al macrocosmo: non solo al livello antropico, al quale siamo tutti abituati e allertati, ma che rimane marginale e secondario rispetto al tutto.

Ad esempio, quando il matematico osserva un fiore, dietro al numero dei suoi petali nota la successione di Fibonacci e la proporzione aurea alla quale essa tende. Dietro ai suoi colori, riconosce le lunghezze e le frequenze di velocissime onde luminose. Dietro alle infinite gradazioni della tavolozza della Natura o del pittore, isola le tre lunghezze corrispondenti ai tre colori fondamentali intercettati dai tre tipi di coni della retina dei nostri occhi. Dietro alla “luce visibile”, identifica la piccola finestra aperta dalla nostra vista sullo spettro elettromagnetico, e ne riconosce molte altre aperte dalla scienza del Novecento, dalle onde radio alle microonde ai raggi X.

E poi, quando il matematico ascolta il canto di un uccello, dietro alla sua altezza e al suo volume riconosce la lunghezza e l’ampiezza di più lente onde sonore. Dietro al suo timbro, isola i suoni puri delle componenti armoniche, esattamente come fa l’orecchio attraverso la complessa struttura del timpano. E condensando le informazioni di ciascuna armonica in tre soli numeri, corrispondenti alla lunghezza, l’ampiezza e la fase della rispettiva onda, può approssimare le caratteristiche di ciascun suono mediante liste di terne di numeri, che vengono scritte digitalmente nei compact disk e rilette acusticamente dai lettori CD.

E ancora, quando il matematico guarda agli andirivieni palesemente errabondi della Luna e dei pianeti, vi scorge l’effetto della regolarità nascosta di moti di cerchi su cerchi su cerchi. E descrive la sovrapposizione di questi moti nello stesso modo in cui descrive la sovrapposizione delle armoniche dei suoni, scoprendo e confermando il potere unificatore del linguaggio astratto delle formule.

Naturalmente, questi non sono che esempi dello sguardo del matematico sul mondo, che si estende a ogni branca del sapere, da quelle frequentate dal pittore, dal musicista o dal poeta, a quelle praticate dal teologo, dal filosofo e dal politico. L’intera scolastica, ad esempio, fu un tentativo di affrontare il discorso su Dio dal punto di vista razionale della logica. La filosofia moderna iniziò con un Discorso sul metodo, che identificava appunto nella matematica il modello da seguire per fare discorsi chiari e distinti. E la politica alta, purificata dai bassi interessi, si affida a numeri, curve e teoremi per risolvere problemi che vanno dalle leggi elettorali alle scelte decisionali.

Ma se la matematica costituisce uno strumento così versatile, fertile e indispensabile per capire il mondo naturale e umano, com’è che quasi tutti la odiano visceralmente, e si vantano di non averci mai capito niente? Che gli artisti, i musicisti e i poeti si lasciano guidare più dalle viscere, che dalla testa? I credenti si affidano più alla fede irrazionale, che al pensiero logico? I filosofi seguono le chiacchere degli esistenzialisti, più che i ragionamenti dei razionalisti? I politici incarnano l’arte del voltagabbana, e disdegnano la legge di non contraddizione? I media rincorrono avidamente scrittori e artisti, anche da quattro soldi, ma evitano accuratamente gli scienziati, anche da Nobel? E, amarus in fundo, gli studenti considerano la matematica la loro bestia nera e il loro incubo?

Una prima spiegazione, fisiologica, l’ha data Howard Gardner nei suoi studi sui vari tipi di intelligenza. A un estremo, la prima a svilupparsi nel bambino è l’intelligenza musicale, fin dai primi anni di vita. All’altro estremo, l’intelligenza logico-matematica è l’ultima ad arrivare, con la pubertà e l’adolescenza. Così, mentre si conoscono geni precocissimi come Mozart o Mendelssohn, che a quattro anni suonano e compongono, anche matematici precoci come Pascal o Gauss sono sbocciati solo tra i sedici e i diciott’anni. Il che significa che la matematica richiede una maturità e uno sviluppo che non si hanno ancora alle elementari e alle medie, quando la si subisce come una perversa violenza e la si interiorizza come un indelebile trauma.

Una seconda spiegazione, psicologica, deriva dalla natura stessa di un gioco come la matematica, in cui non si può sgarrare, e tanto meno barare: basta lasciarsi scappare un segno sbagliato, o non chiudere una parentesi, per subire una débâcle. Molto più facile abbassare il tiro, seguire le linee di minima resistenza e rivolgersi a giochi con regole meno vincolanti o, come nel romanticismo, addirittura inesistenti. E lasciar perdere una disciplina che costringe a estenuanti esercizi e sfibranti concentrazioni, incompatibili con la tempesta di “stacchi pubblicitari” a cui si viene diseducati fin da bambini.

Una terza spiegazione, sociologica, ha a che fare con il potere. La maggioranza dei ruoli dirigenziali, dai ministeri ai media, è distribuita per tradizione in accordo al motto di Croce: “comanda chi ha studiato greco e latino, e lavora chi conosce le materie utili”. E non si può pretendere che gli umanisti aprano passivamente le porte al “nemico”, o evitino attivamente di denigrarlo, magari con la scusa che “così vuole la gente”: i due terzi della quale comunque non legge un libro all’anno, mentre il rimanente terzo si concentra sui romanzi.

Un’ultima spiegazione, pedagogica, ha a che fare con l’anacronismo della nostra scuola. Ministri e funzionari insensibili e inesperti, programmi e testi antiquati e aridi, esercizi sadici e noiosi inflitti con metodi di insegnamento antidiluviani, completano l’opera di allontanamento anche degli studenti meglio disposti.

Con queste premesse, non c’è da stupirsi che la matematica sia così poco apprezzata e capita: semmai, ci sarebbe da stupirsi del contrario. Peccato però che, in un mondo tecnologico, chi non la conosce finisca per rimanere un vero e proprio analfabeta. Con gran cruccio di quei governi e di quelle società che prima fanno di tutto per bruciare la terra attorno alla matematica, e poi si preoccupano di esserci riusciti, domandandosi impotenti e tardivi come rimediare.

(Articolo uscito su Repubblica del 28 marzo 2014)

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/03/28/lo-sguardo-del-matematico/
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« Risposta #127 inserito:: Aprile 21, 2014, 11:39:28 pm »

15
apr
2014

La signora della matematica

Piergiorgio ODIFREDDI

E’ morta ieri a Roma, alla veneranda età di 101 anni, Emma Castelnuovo, decana delle matematiche italiane. Una donna destinata, dalla propria storia personale e professionale, a far parte della Storia politica e scientifica del nostro paese, come una sorta di alter ego di Rita Levi Montalcini, scomparsa anch’essa ultracentenaria poco più di un anno fa.

Emma era figlia di Guido Castelnuovo, che fu uno dei personaggi chiave della matematica italiana della prima metà del Novecento, e insieme a Francesco Severi e Federigo Enriques costituì il terzetto di punta della nostra grande scuola di geometria algebrica. Questa scuola gettò tra il 1891 e il 1949 le basi per lo studio delle superfici algebriche complesse, o degli spazi a quattro dimensioni reali, ed è ancor oggi fiorente in Italia. Anche se l’eredità del nostro terzetto è stata in seguito raccolta da un terzetto di geometri algebrici giapponesi (Kunihiko Kodaira, Heisuki Hironaka e Shigefumi Mori), vincitori tutti e tre della medaglia Fields (nel 1954, 1970 e 1990).

Le vite di Castelnuovo ed Enriques si intersecarono non solo dal punto di vista scientifico, ma anche da quello famigliare: Guido sposò infatti una sorella di Federigo, e uno dei loro cinque figli fu appunto Emma. La quale, seguendo le orme del padre e dello zio, si laureò anch’essa nel 1936 in geometria algebrica. Poi iniziò a lavorare nella Biblioteca di Matematica dell’Università di Roma, che oggi porta il nome del padre. E nel 1938 vinse una cattedra alle medie, ma l’arrivo delle leggi razziali interruppe il suo insegnamento dopo pochi giorni, costringendola a passare a una scuola ebraica.

Il padre era ormai in pensione, e aveva giurato fedeltà al regime nel 1931, come quasi tutti i professori italiani: solo dodici si erano rifiutati di farlo, e uno solo di questi era un matematico, il famoso Vito Volterra. Ma quando nel 1938 le scuole e le università furono precluse agli ebrei, Guido Castelnuovo organizzò una sorta di università illegale privata fino al 1943, quando con la famiglia fu costretto alla clandestinità fino al termine della guerra. Per questi e altri meriti, nel 1949 fu il primo, e per qualche tempo rimase l’unico, senatore a vita della Repubblica italiana: l’altro nominato insieme a lui, il direttore d’orchestra Arturo Toscanini, aveva infatti rifiutato l’onore.


Con il ritorno alla normalità Emma Castelnuovo si dedicò all’insegnamento, e alla ricerca sulla didattica della matematica. Nel 1949 pubblicò un testo di Geometria intuitiva che fece scuola. Come dice già il titolo, si trattava infatti di un approccio anticonvenzionale e informale, ma non per questo meno preciso e rigoroso, all’insegnamento della geometria, che quando viene presentato in maniera convenzionale e formale può marchiare a fuoco lo studente, e lasciargli per sempre un’impressione indelebile di disgusto e di rifiuto della matematica.

Esattamente il contrario succedeva agli studenti di Emma Castelnuovo, che mantenevano per tutta la vita un piacevole ricordo della materia e dell’insegnante. E di questo sono stato testimone in prima persona, quando nel luglio del 2006 l’allora sindaco di Roma Walter Veltroni mi convocò in Campidoglio per propormi di dirigere all’Auditorium un Festival di Matematica. Una proposta singolare da parte di un politico, dal quale un matematico si aspetta in genere, per induzione e non certo per prevenzione, l’analfabetizzazione logica e matematica.

Veltroni mi spiegò però di aver appunto avuto per insegnante alle medie Emma Castelnuovo, e di aver sognato da tempo di poter dedicare un grande evento alla materia che lei gli aveva fatto amare da bambino. Inutile dire che ad aprire le danze del primo Festival, il 15 marzo 2007, di fronte a una platea gremita di ragazzi accorsi da tutta Italia, fu proprio lei: l’indomita novantaquattrenne, che si era rotta una gamba da poco, e ciò nonostante fece lezione in piedi per due ore, con un braccio appoggiato a una stampella, e l’altro libero per muovere i lucidi colorati con cui illustrava alla sua maniera i teoremi della geometria.

I suoi molti allievi la ricorderanno personalmente in quel modo, ma tutti gli altri possono ancora interagire impersonalmente con lei attraverso i suoi molti libri, didattici o di divulgazione: come l’ultimo, Pentole, ombre e formiche. In viaggio con la matematica (La Nuova Italia, 1993), che costituisce il suo testamento spirituale e scientifico.

(Articolo apparso sul cartaceo di oggi.)

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/
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« Risposta #128 inserito:: Aprile 21, 2014, 11:42:59 pm »

18
apr
2014
Ai Farisei del Venerdì Santo
Piergiorgio ODIFREDDI

Oggi, Venerdì Santo, il predicatore pontificio, padre Raniero Cantalamessa, ha tenuto in San Pietro un’omelia di fuoco contro il denaro, tuonando contro i manager italiani che non rinunciano ai propri stipendi d’oro. Anche le sue parole erano d’oro, e dovrebbero farne tesoro tutti coloro che credono sinceramente al fatto che, come il predicatore ha predicato, “il denaro, e non Satana, è il vero nemico di Dio”.

Ma queste sono anche parole da perfetti Farisei, come ben si addice alla scenografia della Settimana Santa. Soprattutto se pronunciate, come lo sono state quelle di Cantalamessa, di fronte a papa Francesco. Un uomo che ha scelto di chiamarsi come Francesco d’Assisi, il quale aveva rinunciato alle ricchezze della propria famiglia, per vivere una vita in povertà.

Ora, Bergoglio e Cantalamessa sanno entrambi, come dovrebbero sapere anche i media, che da più di un anno cantano anche loro la messa “laica” in onore del nuovo corso di “povertà” inaugurato da papa Francesco, che quest’ultimo è l’uomo più ricco del mondo, per molti ordini di grandezza. Di fronte ai suoi averi, scompaiono i capitali dei poveri miliardari alla Bill Gates o alla Warren Buffett.

Costituzionalmente, infatti, il Vaticano è l’ultimo esempio rimasto al mondo di una “monarchia assoluta di tipo patrimoniale”. Il che, tradotto in italiano, significa che non vi è alcuna distinzione tra i beni dello stato e quelli del monarca. In altre parole, papa Francesco possiede personalmente tutti i beni del Vaticano. Beni dei quali è difficile conoscere l’entità esatta, ma che assommano comunque a svariate centinaia di miliardi di euro, mentre i poveri Gates e Buffett messi insieme ne posseggono meno di un centinaio.

Forse Cantalamessa, se voleva effettivamente prendersela con i ricchi, avrebbe fatto meglio a preoccuparsi non di manager che guadagnano (indecentemente, ma questa è un’altra faccenda) qualche centinaio di migliaia di euro, ma del suo principale, supermiliardario in euro. E a suggerirgli molto semplicemente che per un ricco di tal fatta, stendersi per terra (su un tappeto e con un cuscino imbottito) in segno di penitenza, e lavare i piedi a una dozzina di veri poveri (preventivamente ripuliti) in segno di umiltà, possono anche essere gesti efficaci dal punto di vista mediatico, ma rimangono vuota e falsa propaganda.

Bergoglio ha detto più volte, e gli scodinzolanti media di tutto il mondo l’hanno amplificato a grancassa, che “vorrebbe che la Chiesa fosse povera”. Beh, se crede veramente a ciò che dice, la faccia diventare povera! E’ un monarca assoluto, possiede personalmente i beni del Vaticano, può farne ciò che vuole senza dover chiedere a nessuno. Li venda, distribuisca il ricavato ai poveri, e chiuda la bocca a noi atei mostrandoci che per davvero è nato un nuovo Francesco.

Ma fino a quel momento, Cantalamessa e i cantori di messe tacciano per pudore e decenza, e rileggano la parabola del Vangelo che ammonisce coloro che si accorgono della pagliuzza nei portafogli dei manager, ma non della trave nei forzieri del Papa.

Buona Pasqua a tutti, Farisei compresi!

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/04/18/ai-farisei-del-venerdi-santo/
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« Risposta #129 inserito:: Giugno 16, 2014, 07:01:12 pm »

2
giu
2014

Media animali, dalle Iene alla Zanzara

Piergiorgio ODIFREDDI

L’altro ieri La Stampa ha pubblicato in prima pagina un articolo di Elena Cattaneo, Gilberto Corbellini e Michele De Luca, intitolato Iene e sanità: vergognose falsità trash, nel quale si attacca duramente e giustamente l’omonimo programma televisivo per il suo ruolo nel caso Stamina dapprima, e nella disinformazione a proposito dei vaccini poi.

Purtroppo programmi come Le Iene sono assurti a simboli del trash subculturale che infesta i media dei nostri giorni, confondendo lo spettacolo per subnormali con l’informazione, e pretendendo di sostituire servizi pseudogiornalistici alle inchieste giudiziarie: cosa che peraltro ormai sembra essere lo scopo dichiarato di tutti i media, non solo quelli dichiaratamente trash.

L’impressione è infatti che ormai non interessi più a nessun giornale, radiogiornale o telegiornale trasmettere semplicemente e asetticamente le notizie e i fatti, lasciando modestamente e doverosamente le interpretazioni e i commenti agli esperti: quali appunto sono, nel caso in questione, i tre autori dell’articolo citato. Interessa invece scimmiottare caricaturalmente e penosamente il ruolo di maître a penser, elevando superbamente e tracotantemente conduttori e giornalisti a interpreti in prima persona, per veicolare quelli che non possono che essere, e finiscono infatti per essere, puri e semplici pregiudizi disinformati, quando non direttamente interessati.

A questo delirio di onnipotenza pseudoculturale i media uniscono anche un preteso diritto all’impunità e all’immunità nella raccolta e nella trasmissione di ciò che essi considerano come “notizie” degne di essere date in pasto al proprio pubblico di subnormali. Da questo punto di vista, la Zanzara costituisce l’alter ego delle Iene, con le sue continue dichiarazioni rubate con la frode della telefonata imitata, che unisce la gag da avanspettacolo alla violazione palese del diritto alla privacy.

Ministri e parlamentari, uomini pubblici e poveri cristi privati sono stati via via vittime delle due iene che dirigono il programma, e che nessun magistrato si sogna di indagare, processare e condannare, neppure in seguito alle denunce sporte dai malcapitati. D’altronde, la radio che ospita l’ignobile programma della Zanzara è di proprietà della Confindustria, così come la tv che ospita l’altrettanto ignobile programma delle Iene è di proprietà di Mediaset: il che prova, se ce ne fosse bisogno, che lo scopo di quei programmi non è affatto l’informazione a beneficio del pubblico, ma la pura e volgare pubblicità a beneficio dei mercanti.

Come confessano i loro stessi nomi, le Iene e la Zanzara non sono trasmissioni di umani per la società, bensì circhi di animali per il branco. Ma questo non consola per lo stato di degrado in cui sono caduti i media: non solo quelli che aizzano direttamente le belve e pungolano gli insetti, ma anche quelli che regolarmente li esaltano, riportando le loro bravate come se fossero notizie, e diventando in tal modo conniventi e complici del degrado culturale e del trash della nostra epoca.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/06/02/media-animali-dalle-iene-alla-zanzara
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« Risposta #130 inserito:: Luglio 03, 2014, 07:27:43 pm »

3
lug
2014

Renzi, dimmi con chi vai…

A volte un po’ di saggezza si può trovare anche nei proverbi: ad esempio, in quello che recita “Dimmi con chi vai, e ti dirò chi sei”. Naturalmente, chi fosse Matteo Renzi lo sapevamo anche prima. O meglio, lo sapevano coloro che avevano tenuti gli occhi aperti, e non si erano fatti irretire dal flauto del Pifferaio Magico.

Ma ora finalmente possiamo incominciare a vedere quali sono gli amici di Renzi, che piano piano stanno facendo outing. Fin dagli inizi Silvio Berlusconi non ha nascosto le sue simpatie per il sedicente Rottamatore, ben conscio di trovarsi di fronte a un alter ego in grado di sparate anche più grosse delle sue, e di voltafaccia ancora più bronzei. In seguito Flavio Briatore ha confermato che “Renzi è il numero uno di Berlusconi”. E ora Piersilvio Berlusconi annuncia di “tifare per Renzi” e di “sperare che ce la faccia”.

D’altronde, come potrebbe essere diverso, visto che Renzi ha iniziato la sua opera di governante con un’improvvida e improvvisata riforma delle istituzioni, che ha l’unico “merito” di essere stata contrattata (sottobanco, e non certo in streaming) con Berlusconi, e in cambio di non si sa cosa? Poi sono seguìti gli attacchi concentrici alla Pubblica Amministrazione e alla Scuola, ben noti covi dove si nascondono gli evasori fiscali e i beneficiari dei finanziamenti e degli appalti pubblici, da stanare al più presto per risanare miracolosamente i bilanci dello Stato.

Per completare l’opera, il governo del baciapile Renzi ha seguito le orme dei governi dei baciapile Monti e Renzi che l’hanno preceduto, concordando con loro sul fatto che per sanare i conti non basta svuotare le tasche ormai vuote dei poveracci: bisogna anche continuare a riempire quelle già piene dei preti. Il ministro dell’Economia, infatti, in piena sintonia con i colleghi della Pubblica Amministrazione e della Scuola, ha emanato un decreto di esenzione fiscale per gli enti ecclesiastici ancora più generoso, ed è tutto dire, di quelli finora vigenti.

D’ora in poi la Chiesa non pagherà neppure più il poco che già pagava, perché le maglie per l’esenzione sono state allargate, invece che ristrette. “Tutti devono fare la loro parte”, ci siamo sentiti ripetere fino alla nausea dai vampiri dei tre governi della crisi, per poi scoprire che evidentemente i preti non sono nessuno, e dunque possono fare anche meno di quanto già non facevano. Il tutto in barba ai moniti dell’Europa, che aveva invano cercato di spingere il nostro Stato cialtrone a sanare il regime di “concorrenza sleale” indebitamente concesso alla Chiesa.

Stiamo sereni, Italiani. Se non sapevamo chi era Matteo Renzi, ora possiamo dirlo guardando con chi va: cioè, tanto per cambiare, con le due famiglie mangiatutto dei Berlusconi e della Chiesa. E aveva il coraggio di presentarsi come il Rottamatore…

22
giu
2014

Una vuota scomunica

Mi stupisco dell’eccitazione con cui le parole del Papa sui mafiosi sono state recepite dai media, al solito entusiasti per qualunque cosa esca dalla sua bocca. Anche la più retorica e ininfluente, com’è appunto una scomunica: la quale, giova ricordarlo, è un ostracismo dalla comunità ecclesiale e dai suoi riti, che pretende di rispecchiare su questa Terra un analogo ostracismo effettuato in Cielo da Dio. Detto altrimenti, chi è scomunicato non può entrare in Chiesa quaggiù, e non può entrare in Paradiso lassù.

Anche senza andar oltre, noi membri del mondo civile dovremmo sorridere di questi deliri di potenza da parte di uomo che pretende di farsi interprete dei pensieri e delle decisioni di un Dio, invece di esaltarli come pronunciamenti epocali. Soprattutto quando, informandoci anche solo un minimo, scopriamo che esistono scomuniche latae sententiae, cioè comminate automaticamente per colpe gravissime quali, udite udite: aver effettuato o procurato un aborto, essere iscritti a un partito comunista o votarlo, appartenere a una loggia massonica, professare eresie in disaccordo con l’insegnamento dogmatico della Chiesa, e altre amenità del genere.

Ora, la maggioranza della popolazione mondiale ricade sotto queste categorie! Siamo quasi tutti automaticamente scomunicati, e molti sono felicissimi di esserlo! Ad esempio, lo sono tutti coloro, come me, che meritano la scomunica automatica perché si rifiutano di credere alle amenità che la Chiesa vorrebbe loro propinare, a partire da questa assurda faccenda delle scomuniche.

Ma soprattutto, la scomunica è risibile perché pretende di poter escludere dai riti una buona serie di persone che non sa neppure di aver escluso automaticamente. Se una donna abortisce nel segreto di un consultorio, o un uomo vota comunista nel segreto di un’urna, chi può impedir loro di entrare in Chiesa o di fare la comunione, se così desiderano, pur essendo ufficialmente scomunicati?

La scomunica non è dunque altro che un vuoto pronunciamento, che lascia il tempo che trova nella maggior parte dei casi. E così lo lascerà anche nel caso dei camorristi o dei mafiosi che ora il Papa ha aggiunto alla lista, sapendo benissimo che le sue parole non avranno alcun effetto pratico, a parte uno: aumentare la popolarità gratuita sua personale e dell’istituzione sulla quale egli regna, anacronismo per anacronismo, da monarca assoluto.

A meno che non si creda, come alcuni commentatori hanno provato a supporre, che la Chiesa finirà di sostituirsi allo Stato, dopo tutto il resto, anche nella determinazione di appartenenza alla camorra o alla mafia. Forse è questo che quei commentatori desiderano: che sia il prete della parrocchia a stabilire se qualcuno è un malavitoso, sulla base delle dicerie dei parrocchiani, e non il giudice del tribunale, sulla base dei testimoni dell’accusa.

Forse dietro all’entusiasmo per le vuote parole del Papa c’è la credenza, questa sì da “scomunicare”, che esistano istanze di giustizia e di morale “superiori” alle leggi e ai tribunali degli uomini. Quando invece, come ben sappiamo nel caso dei camorristi e dei mafiosi, quelle supposte istanze “superiori” non sono altro che le stesse che essi stessi seguono, da bravi cristiani ma pessimi cittadini. E’ proprio perché camorristi e mafiosi fanno la comunione, che la Chiesa si preoccupa di scaricarli. Ma sono i concreti fatti laici, e non le vuote parole religiose, che servono per contrastare le azioni criminali che essi compiono nella società, indipendentemente dai riti che essi praticano in Chiesa.

12
giu
2014

Prove di regime
Non era difficile prevederlo, e infatti l’avevamo previsto: Renzi ha la stoffa del duce, e bisognava fermarlo prima che potesse incominciare a dimostrarlo. Non lo si è fatto, e ora non si può che iniziare a registrare tristemente le prime tappe della “costituzione” del nuovo regime.

Qualcuno nel partito non è d’accordo con la linea del duce? Nell’attesa di farlo fuori alle prossime elezioni, con la nuova legge elettorale promessa per metà aprile, poi slittata a prima delle elezioni europee, poi slittata all’estate, e poi si vedrà, lo si epura dai posti di responsabilità dove potrebbe manifestare il suo disaccordo. E’ il caso del senatore Corradino Mineo, una delle poche voci non allineate in quel partito di ominicchi, ormai quasi tutto saltato sul carro del vincitore.

Qualche giudice incomincia a scoprire gli altarini di quello stesso partito? Incominciano a circolare voci di tangenti a Letta, a Bersani, a Fassino, a Cacciari? Subito si mandano “avvisi di garanzia” ai giudici, tramite emendamenti anti-magistratura proposti apertamente dai veterofascisti, ma coraggiosamente approvati coi voti segreti dei neofascisti.

Si “scopre” il segreto di Pulcinella che le grandi opere esistono per elargire finanziamenti pubblici in massima parte alle imprese private, e in minima parte ai funzionari pubblici? Ci si straccia le vesti per la minima parte, salvo appunto avvisare i giudici a non ficcare il naso anche nel campo della maggioranza. Ma ci si schiera a favore della massima parte, che tra l’altro viene spesso elargita in deroga alle misure di controllo, e serve a far banchettare tutta una serie di imprese parassitarie intermediarie, che subappaltano i lavori ad altri che li subsubappaltano ad altri che li subsubsubappaltano, eccetera, mentre tutti si arricchiscono a spese dell’ultimo a cui rimane il cerino in mano.

E naturalmente si continua a distrarre l’attenzione dirottandola sulle “riforme”, come se cambiare il Senato fosse una priorità che interessa a qualcuno, rispetto alla chiusura del finanziamento pubblico alle grandi opere succhiasoldi, dall’Expo al Mose, nell’attesa di scoprire le tangenti per la Tav. E si continua a distrarsi con i serial su Gomorra, per fingere di non vedere che la vera mafia sta appunto in Piemonte, in Lombardia e in Veneto. Senza dimenticare la Liguria, ovviamente, con i suoi eroi alla Scajola.

Nel frattempo, poiché qualcosa bisogna pur fare per dar l’impressione che si sta facendo qualcosa, quella Madonna addolorata della Madia cucina una riforma della Pubblica Amministrazione nello stile del miglior Brunetta, e il premier strilla che “nessuno ha diritto di veto” rispetto ai suoi modi da duce. Sbaglia, perché l’avevano gli elettori, che avrebbero potuto fermarlo quand’era possibile. Non l’hanno fatto, e se ne pentiranno a tempo debito, ma come sempre succede in queste cose, bisognerà aspettare un ventennio.

Nel frattempo, accendiamo pure tutti la tv per goderci i mondiali di calcio. Che ci importa delle grandi opere, o delle riforme? Sempre di palle si tratta, ma non possono certo competere con i palloni.

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« Risposta #131 inserito:: Novembre 24, 2014, 02:56:57 pm »


24
nov
2014

L’agonia della democrazia

La democrazia sta agonizzando, colpita a morte dal populismo di Matteo Renzi. Nella rossa Emilia Romagna, una volta feudo della sinistra, il 62% degli elettori ha disertato le urne per l’elezione del governatore, percependo lucidamente che il rito del voto sarebbe stato solo una farsa. E il nuovo governatore, eletto con meno del 50% dei votanti, non rappresenta dunque che un quinto degli elettori.

Invece di rendere nulla la votazione, come si sarebbe fatto per un referendum, e affidare temporaneamente la regione a un commissario, la legge elettorale “maggioritaria” permette comunque all’usurpatore di insediarsi e prendere il potere assoluto per cinque anni. Se ad andare a votare fossero stati solo in tre, sarebbero bastati due voti in tutto per governare: visto che questa è la democrazia, tanto vale appunto starsene a casa.

Da parte sua, il premier Matteo Renzi esulta per la “netta vittoria”. In fondo, lui al governo c’è arrivato addirittura senza nessun voto popolare, e forte (o meglio, debole) di un’elezione per la segreteria del partito nella quale aveva ottenuto meno di due milioni di voti: cioè, meno del 4% degli elettori per le politiche, che dovrebbero essere quelli preposti a dare un mandato per il governo, appunto. Ancora una volta, se questa è la democrazia, tanto vale starsene a casa.

Eppure, dal presidente della Repubblica in giù, tutti auspicano leggi elettorali ancora più maggioritarie e meno democratiche di quelle esistenti, che già rendono appunto il processo elettorale una farsa. A che pro andare a votare e sporcarsi le mani, quando comunque il potere viene usurpato e abusato? E, soprattutto, perché mai diventare complici dell’ennesimo gerarca che nasce socialista e governa da fascista, sul triste esempio di Mussolini, Craxi e Berlusconi?

Queste domande gli elettori onesti e di sinistra dell’Emilia Romagna se le sono poste, e hanno dato la loro risposta rimanendo a casa. E’ un segnale forte, che ci auguriamo un giorno possa essere ricordato come il primo passo di una reazione popolare crescente che arrivi a travolgere un intero modo di intendere la democrazia. E a rottamare l’intera classe politica, a partire dai falsi rottamatori.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2014/11/24/lagonia-della-democrazia/?ref=HREA-1
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« Risposta #132 inserito:: Febbraio 07, 2015, 12:28:26 pm »

3
feb
2015

Mattarelli e manganelli

Piergiorgio ODIFREDDI

Abbandonata la Panda e ripresa la berlina, scortato a Montecitorio da motociclisti, accolto da campane e funzionari in alta uniforme, interrotto da applausi in stile Soviet Supremo, ricordati i “cattivi” palestinesi e i “buoni” marò, onorato da un numero dispari (per scaramanzia!) di colpi di cannone, passati in rassegna i carabinieri coi pennacchi, salutato il Milite Ignoto, osservate le Frecce Gialle in cielo, scortato in Quirinale dai corazzieri a cavallo, Sergio Mattarella ha iniziato stamattina il suo settennato nella stessa maniera dei suoi predecessori.

Con tanti saluti alla “rottamazione”, un democristiano doc (il sesto su undici) torna dunque alla presidenza della Repubblica dopo quindici anni di assenza. Un altro si è insediato da un anno alla presidenza del Consiglio, e ormai comincia a parlare apertamente di Partito Unico della Nazione. Il pregiudicato Berlusconi ha trovato sulla sua strada qualcuno persino più spregiudicato di lui. E ora, dopo aver giocato la destra contro la sinistra per approvare leggi di destra, e la sinistra contro la destra per eleggere un presidente di sinistra (democristiana, si intende), Renzi si accinge a giocare gli Italiani all’insegna del motto “♯stateserenitutti”.

Fin da subito egli si è infatti presentato come un campione del doppio gioco e delle vane promesse. Eletto segretario di un partito di centrosinistra, l’ha in breve mutato in un partito di centrodestra. Giurato di non voler andare al governo senza elezioni, l’ha fatto subito dopo. Dichiarato che le elezioni europee non riguardavano il suo governo, ha cambiato idea appena visti i risultati. Messa innumerevoli volte la faccia sulle scadenze delle “riforme”, l’ha persa altrettante volte senza alcun ritegno. Insultati costituzionalisti, magistrati, lavoratori e sindacati, ha definito “eroi” gli imprenditori e gli artigiani.

Dovrebbe essere sufficiente per capire di che pasta è fatto l’uomo, e da che parte sta. Poiché l’arroganza di Renzi ha superato quella di Berlusconi e di Craxi, rimane ormai soltanto Mussolini a contendergli il primato. Ma mentre fino a qualche giorno fa il “duce in nuce” aveva un mandante e un fiancheggiatore nell’inquilino del Quirinale, non è detto che ce l’abbia ancora.

Certo, Mattarella dev’essergli grato per l’elezione, ma ha già dimostrato di sapersi opporre a Craxi e Berlusconi, arrivando a dimettersi dal governo nel 1990 piuttosto di diventare loro complice. Speriamo che il tempo non l’abbia fiaccato, e sappia opporsi anche ora al loro emulo ed erede: a partire dalla legge elettorale dell’Italicum, che pretende di peggiorare il Mattarellum che porta il suo nome.

D’altronde, altre speranze di fermare il “duce in nuce” non ne abbiamo più. Non in Parlamento, dove il Pd ha ormai accettato la bancarotta in cambio della continuazione della legislatura e degli annessi privilegi ai parlamentari. E non nel paese, dove i sondaggi continuano a dare una consistente maggioranza allo spregiudicato imbonitore di turno, come d’altronde il voto l’ha data per vent’anni al suo pregiudicato predecessore. Presidente, se può, ci salvi lei! O almeno, visto che questo può, interceda col Papa o con il Padreterno…

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2015/02/03/mattarelli-e-manganelli/?ref=HREC1-2
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« Risposta #133 inserito:: Maggio 15, 2016, 12:18:31 am »

14 maggio 2016
E' la matematica, bellezza!

Piergiorgio ODIFREDDI

Un poeta come Giacomo Leopardi ha scritto molti canti alla Luna ma nessun inno al Sole, perché trovava più bellezza nel colore soffuso e nascosto della notte che nello splendore accecante e palese del giorno. Un pittore come Claude Monet ha dipinto ninfee in uno stagno invece che scene di guerra su un campo di battaglia, perché era più toccato dalle presenze silenziose dei fiori che dagli affanni muscolari degli uomini. Un avventuriero come Pierre Loti ha perso la testa per una turca di nome Aziyadé e non per un’anonima ballerina francese di can-can, perché c’è più fascino in occhi celati dietro una grata che in gambe nude agitate su un palcoscenico. Un eroe come Ulisse ha passato sette anni su Ogigia invece di tornare a casa a Itaca, perché la presenza di una ninfa velata lo turbava più dell’assenza di una moglie svelata.

La matematica ha più le caratteristiche della pallida luce lunare, delle ninfee silenziose nella bruma, di uno sguardo femminile appena intravisto o della forma di un corpo suggerita da un velo, che non della luce solare, del fragore di una battaglia, di un ballo sguaiato o di un volto scoperto. Per accorgersi della sua bellezza bisogna allertare i sensi e la mente ed essere pronti a riconoscerla negli indizi e nei cenni che essa dà di sé, senza sperare di incontrarla per caso e di inciamparci dentro facilmente. Ma così facendo la si trova profusa nella Natura e nell’arte, oltre che naturalmente nella matematica stessa.

Per quanto riguarda la Natura, bisogna anzitutto sfatare uno sciocco mito romantico diffuso da William Blake, che nella poesia Sfottete, sfottete del 1796 accusava Voltaire e Rousseau di gettare inutilmente sabbia intellettuale contro il vento dello Spirito, che gliela risoffierà negli occhi. E come esempio di questa sabbia citava esplicitamente “gli atomi di Democrito e le particelle di luce di Newton”. Blake pensava che la comprensione dei meccanismi matematici di ciò che ci circonda dissolvesse la poesia dalla visione del mondo, ma non capiva che tutto ciò che vede il poeta continua a vederlo anche il matematico. Era piuttosto lui a essere cieco al fatto che la matematica aggiunge, e non toglie, bellezza alla nostra esperienza.

Leopardi era invece perfettamente conscio di questa ovvietà. Scrivere il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia o Alla Luna non gli impedì di capire che ci sono più cose in cielo e in Terra di quante ne sogni la poesia, e di abbinare a quei componimenti poetici una Storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno 1811 (per inciso, ripubblicata nel 2002 dalle Edizioni dell’Altana in una versione aggiornata da Margherita Hack Fino al 2000 e oltre).

Che cosa vede della Luna la matematica, che la poesia non vede? Ad esempio, un fatto scoperto nel 1666 dal Newton odiato da Blake: che il nostro satellite è in perenne caduta verso la Terra, e cade in un minuto nel cielo della stessa distanza caduta da una mela in un secondo sulla Terra. Se non ci precipita addosso, è solo perché il principio di inerzia tende costantemente a farla fuggire per la tangente, mentre l’attrazione gravitazionale della Terra continua perennemente a catturarla e le impedisce la fuga.

Tra l’altro, non c’è meno poesia nel fatto che la forza che tiene la Luna in orbita è la stessa che fa cadere le mele, di quanto ce ne sia nel paragone tra il suo vagabondare per i cieli a la vita di un pastore errante nei campi (sempre per inciso, “errante” è il significato della parola greca planetes, “pianeta”, come ben sapeva Leopardi).

Non sono solo certi letterati a pensarla come Blake, ma anche certi artisti. Michelangelo, ad esempio, che per sminuire gli aspetti geometrici dell’arte diceva che “l’artista deve avere il compasso negli occhi”: nel senso che non deve far calcoli matematici, ma vedere istintivamente le proporzioni estetiche. Quando furono tolte le impalcature della prima metà del soffitto della Cappella Sistina, si accorse però che il suo compasso oculare aveva fatto cilecca e le figure risultavano troppo piccole. Nella seconda metà fu costretto a ingrandirle gradualmente, fino a raggiungere le proporzioni corrette, ma imparò la lezione. E quando una ventina d’anni dopo dovette dipingere il Giudizio Universale, pianificò col compasso le figure in alto in modo che fossero molto più grandi di quelle in basso.

Michelangelo aveva fatto un tipico errore di “anamorfosi”, una tecnica scoperta da Leonardo che costituisce un complemento naturale della prospettiva: mentre questa insegna come disegnare le figure correttamente in modo da farle apparire come le vede l’occhio in situazioni usuali, quella insegna come disegnarle deformate in modo che l’occhio le percepisca corrette se vengono esposte in situazioni inusuali.

Basta passeggiare per Roma ed entrare nel chiostro di Trinità dei Monti o in Sant’Ignazio per vederne esempi spettacolari. Nel primo caso ci si trova di fronte a una parete che mostra un paesaggio della costa calabra, ma se la si osserva di scorcio appare miracolosamente il San Francesco di Paola in preghiera di Emmanuele Maignan. Nel secondo caso si ammirano invece una falsa cupola e il tripudio della Gloria di sant’Ignazio di Andrea Pozzo, campione mondiale di questa tecnica, ma solo se si ci situa in particolari punti di vista appositamente indicati, che sono quelli per i quali l’artista ha calcolato esattamente le deformazioni: da ogni altro punto i dipinti appaiono scorretti, come le prime figure di Michelangelo.

Le anamorfosi sono particolari esempi di bellezza matematica nell’arte, come lo sono le fughe musicali barocche: anche le loro proporzioni devono essere calcolate esattamente in modo che le voci si amalgamino l’una con l’altra in maniera armoniosa, e confluiscano correttamente e senza affollamenti nella stretta finale. Non è un caso che Johann Sebastian Bach avesse una particolare sensibilità matematica che emergeva nella struttura geometrica delle sue opere, in particolare, e soggiaceva all’intero contrappunto dell’epoca, in generale.

Che la bellezza matematica possa affiorare nella descrizione scientifica o artistica del mondo probabilmente lo si può accettare di buon grado, pur intuendo che i dettagli rimarranno nascosti in maniera misteriosa alla vista di chi non è del mestiere. Più sorprendente e difficile da accettare è invece il fatto che la bellezza si ritrova anche all’interno della matematica stessa, una volta che uno ne ha imparato il linguaggio e incomincia a saperlo parlare correntemente: cosa che, d’altronde, è necessaria anche con la letteratura.

Per fare un esempio semplice ma non banale, nel terzo secolo della nostra era Diofanto d’Alessandria pubblicò un trattato di Aritmetica, in cui annotò una curiosità relativa al numero 65. Da un lato, è il prodotto di 5 e 13, che sono entrambi somme di due quadrati: rispettivamente, 1 più 4 e 4 più 9. Dall’altro lato, anche 65 stesso è somma di due quadrati, addirittura in due modi diversi: 1 più 64, oppure 16 più 49.

La cosa rimase appunto una superficiale curiosità per più di un millennio, fino a quando nel 1572 Rafael Bombelli pubblicò l’Algebra e introdusse quelli che lui chiamò “numeri complessi”, e Cartesio “numeri immaginari”: nomi giustificati dal fatto che, ad esempio, possono avere segno “meno” quando li si eleva al quadrato, contro la regola dei numeri reali che “più per più fa più”, ma anche “meno per meno fa più”.

Una volta introdotti i numeri complessi o immaginari, si capì la ragione profonda della proprietà del numero 65: le lunghezze dei numeri complessi si ottengono mediante la somma dei quadrati delle loro componenti, e la lunghezza di un prodotto come 65 è uguale al prodotto delle lunghezze dei suoi fattori 5 e 13.

Connessioni di questo tipo sono ubique nella matematica, e hanno la stessa natura misteriosa delle alchimie delle parole dei poeti, delle convergenze dei punti di vista degli artisti o delle confluenze di voci nelle composizioni dei musicisti. In queste misteriose connessioni si cela la molteplice, e allo stesso tempo unica, bellezza delle varie discipline.

(Articolo apparso sul cartaceo di Repubblica di oggi)

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« Risposta #134 inserito:: Luglio 12, 2016, 12:00:43 pm »


8 lug 2016
La violenza delle vere scimmie

Di Odifreddi

La vicenda del nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi è emblematica: dopo aver perduto un figlio e la casa per una bomba di Boko Haram in Nigeria, ha perso la vita in Italia per mano di un ultrà del calcio, fascista è razzista, che aveva insultato la sua compagna chiamandola “scimmia".

Ma mentre Boko Haram viene giustamente considerato come un'espressione della barbarie umana, gli ultrà del calcio sono al massimo considerati un fenomeno folcloristico, invece che terroristico. Quanto al fascismo e al razzismo, sono addirittura il progetto politico di partiti come lFratelli d'Italia e la Lega, che lungi dall'essere dichiarati fuorilegge e considerati branchi di scimmie politiche, sono forze parlamentari che per decenni sono state al governo.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, in questi giorni hanno assistito alle ennesime esecuzioni capitali di neri inermi da parte di poliziotti bianchi, che incarnano ancora, nel terzo millennio, l'ideale del giustiziere del Far West. E qualche tempo fa hanno assistito all'ennesima strage del matto di turno, armato fino ai denti grazie alla libera vendita di armi, permessa in accordo con lo stesso ideale.

Gli Stati Uniti sono disposti ad andare dall'altra parte del mondo, a combattere guerre a un terrorismo spesso inesistente, come nel caso dell'Iraq di Saddam Hussein, al comando di avventurieri scimmieschi come il presidente Bush e il suo alleato inglese Tony Blair.

Ma mentre l'attentato dell'11 settembre 2001 ha provocato 3.000 morti, ed è stato comunque un caso isolato, la polizia statunitense ammazza impunemente un migliaio di propri cittadini all'anno (1.146 nel 2015), un terzo dei quali afroamericani: una percentuale pari a tre volte quella dei cittadini di colore, che hanno una probabilità tre volte maggiore dei bianchi di morire per mano di sedicenti "tutori della legge".

Riempire i giornali e i telegiornali di notizie su Boko Haram e il terrorismo è sicuramente cosa buona e giusta, ma sarebbe ancora meglio preoccuparsi dei. nostri veri problemi, che sono il razzismo e il fascismo, e la loro connaturata e animalesca violenza.
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