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Autore Discussione: DIARIO VENETO (1)  (Letto 99343 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Novembre 09, 2007, 11:11:11 pm »

Dal Molin: vince la protesta, sospesi i lavori

Luigina D'Emilio


«Questa è solo la prima vittoria!»: così risponde il movimento No da Molin al ritiro della ditta vincitrice dell'appalto per la bonifica dell'area. L'Abc di Firenze, questo il nome della società, aveva aperto i cantieri alle 4.30 del mattino del 17 ottobre scorso con il compito di risanare 400 mila metri quadrati di terreno destinati ad accogliere il nuovo insediamento militare.

Ma nulla da fare, i cittadini di Vicenza non hanno mollato e dopo tre giorni di presidi e l'annuncio di una manifestazione di protesta davanti alla sede dell'azienda toscana, è arrivata la notizia: «Noi ce ne andiamo, non ci sono le condizioni per andare avanti». Queste le parole pronunciate da Gianfranco Mela, titolare della società che smantellando il cantiere ha rinunciato ad un compenso di 2,2 milioni di euro per un lavoro della durata di nove mesi. Tanto avrebbe fruttato il contratto firmato con le forze armate americane, vinto in associazione temporanea d'impresa con l'azienda Strago di Portici.

«Smobilitiamo il cantiere e ritiriamo le quindici persone impegnate sul posto, anche se non capisco perché se la prendono con noi che interveniamo solo per ripulire e mettere in sicurezza un'area - interviene Mela - non ero preparato ad affrontare delle contestazioni così forti né qui, né nella sede di Firenze dove un nutrito gruppo di persone è venuto a manifestare.

I festeggiamenti, intanto continuano così come l'entusiasmo di chi ha dimostrato che una lotta pacifica e costante può ottenere dei risultati. A parlare è Cinzia Bottene, portavoce del presidio permanente contro il Dal Molin che, assieme agli altri manifestanti, chiede di trasformare la zona in un parco pubblico. «Il movimento vicentino - spiega la Bottene - è stato capace di impedire pacificamente l'accesso all'aeroporto a coloro che avrebbero dovuto realizzare la bonifica e ha dimostrato anche una forza politica perché, in poche ore, abbiamo ricevuto la solidarietà di tante città italiane». Secondo i No dal Molin, infatti, «fermare la realizzazione della nuova installazione militare è possibile, a Vicenza siamo sempre più determinati a raggiungere questo obiettivo».

Il blocco dei lavori era cominciato tre giorni fa con un episodio controverso: un manifestante, come riferito da lui stesso e da altri testimoni, era stato investito da un'auto guidata da un militare italiano che voleva entrare nel cantiere. Il manifestante, Francesco Pavin, un giovane no global, era finito all'ospedale per un trauma alle vertebre cervicali: sull'accaduto è in corso ora un'inchiesta.

La querelle si trascina da mesi e ha investito anche il governo che ha deciso di nominare un commissario, Paolo Costa, che segua tutto l'iter dei lavori. Costa, però, ha già fatto sapere di voler andare avanti secondo il progetto e che le decisioni spettano solo al governo.

Ma i movimenti insistono: «Noi non ci fermeremo davanti a niente, oggi abbiamo vinto una battaglia, non la guerra, ma chiunque provi a portare avanti i lavori avrà la stessa risposta dell'Abc. Qualsiasi società in tutta Italia sarà ostacolata non solo da noi, ma anche da chi continua a sostenerci dimostrandoci solidarietà. Il presidio continua».


Pubblicato il: 09.11.07
Modificato il: 09.11.07 alle ore 19.18   
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« Risposta #31 inserito:: Dicembre 19, 2007, 11:27:06 pm »

DIARIO 

Lo spot del badante, la salute della concia 
 
 
19 dicembre 2007

Investire in pubblicità è un obbligo anche per"Filippo", che in realtà non si chiama così, ma ha davvero 60 anni e vive in un centro dell'Alto Vicentino. Per la precisione, Filippo ha sborsato 3 euro e 69 centesimi per ogni timbro applicato dall'Ufficio Pubblicità del Comune di Vicenza agli avvisi di cui ha cosparso il capoluogo. Foglietti dove si offre come addetto alle pulizie, badante, collaboratore domestico multiservice. Chi è interessato chiama al numero di cellulare a cui, chiedendo, racconta questa storia: «Ho lavorato in ospedale fino a otto anni fa, quando ho deciso di mettermi in pensione a causa di gravi problemi di salute. Adesso sto meglio, ma mi ritrovo con 800 euro al mese per me, mia moglie che fa la casalinga, e tre figli che studiano. Ecco perché cerco lavoro, solo che il paese è piccolo, per cui sono venuto in città e ho pagato la tassa d'affissione. Sono abituato a comportarmi onestamente, e sono disposto a prendere quattro euro al mese pur di trovare qualcosa da fare».

Dieci foglietti equivalgono a una giornata di lavoro di Filippo, non poco come budget pubblicitario per l'azienda individuale che si propone di avviare, affrontando la concorrenza di una manodopera extracomunitaria con cui condivide l'appartenenza alla crescente fascia povera di chi oggi vive in Italia.

Molti degli stranieri giunti nel Vicentino hanno trovato posto nell'industria della concia, dove sempre meno italiani accettano di lavorare come operai. Alcuni di questi immigrati hanno fatto una carriera tale da diventare imprenditori all'interno di un settore che, confronto ad altri, continua a "tirare".

Lo certificano i risultati di un'indagine svolta da Giada, l'agenzia che, con il coordinamento della Provincia di Vicenza, si occupa di tutelare l'ecosistema nel distretto conciario della valle del Chiampo: secondo questi dati, raccolti in collaborazione con l'Arpav, fra il 1996 e il 2006 i metri quadri di pelli prodotti sono passati da 126 a 165 milioni, mentre nello stesso periodo l'uso dei solventi usati dalle ditte è calato da 18 a 7 milioni.

Svolgendo questo servizio di controllo, l'agenzia Giada ha appena ricevuto la certificazione Emas da parte del ministero dell'ambiente.

Stefano Ferrio
 
da gazzettino.quinordest.it
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« Risposta #32 inserito:: Dicembre 20, 2007, 10:00:18 pm »

Le due regioni mettono sul tavolo un poker di proposte

Federalismo, Veneto e Lombardia in fuga

Intanto il consiglio dà mandato al presidente di negoziare l’autonomia con il governo


Il parlamento del Ferro-Fini chiede per la Regione competenze legislative e amministrative su 14 materie  VENEZIA. Federalismo ed autonomia, è partita la carica. Ombelico della rivolta del Nord, il Veneto che ieri ha vissuto una giornata di sintesi nella battaglia contro il centralismo romano. Da un lato la saldatura definitiva dell’asse con la Lombardia, con un patto politico per accelerare il federalismo, dall’altro la nascita della commissione per l’intesa con Trento per lo sviluppo dei comuni di confine e la costituzione dell’Euroregione con Friuli, Carinzia, Slovenia, Croazia e contea d’Istria. Su tutto, il mandato del consiglio a Galan per negoziare con il governo l’autonomia.
Autonomia. La lunga giornata per l’autonomia - che prevede competenze legislative e amministrative su 14 materie - si conclude con il governatore che sul filo dei tg della sera riceve quasi umilmente il mandato del parlamento veneto di bussare alle porte del governo per chiedere per il Veneto l’autonomia (l’ormai noto terzo comma dell’articolo 116). «Vado a Roma con il massimo della fiducia - sostiene Giancarlo Galan (nella foto con Roberto Formigoni) - conscio della durezza del compito e della responsabilità di cui mi avete caricato. Condizione in cui, per altro, nella vita ho dato il meglio di quel poco che so fare». I consiglieri veneti benedicono quindi (53 voti a favore, astenuti i Comunisti italiani, contraria Rifondazione) questo nuovo - e concreto - capitolo sull’autonomia, non senza qualche polemica da parte della Lega che si sente un po’ defraudata da una scena che geneticamente reputa sua: «Piuttosto che niente è meglio piuttosto - l’intervento di Gianpaolo Bottacin - ma serve molto di più: bisogna invertire il processo e questo avverrà quando saranno le regioni a dare parte del denaro allo Stato per le “spese di condominio” e non viceversa».
Federalismo. Se è vero che l’unione fa la forza, certo l’alleanza tra Veneto e Lombardia - rilevata anche dal settimanale “Tempi” - impone un peso specifico non trascurabile alla battaglia per il federalismo. Il patto politico Galan-Formigoni - ma aperto ad altre audaci realtà - sarebbe frutto di chiacchiere di lungo periodo dopo la brezzolina gelida di qualche mese fa. In sostanza, i due governatori affermano di voler raccogliere il messaggio del presidente della Repubblica di andare avanti con il federalismo fiscale. Ed ecco, per punti, l’agenda a quattro mani per avviare un dialogo serio con il governo. Quattro i nodi salienti: Lombardia e Veneto accettano la sfida di diventare regioni a statuto speciale. Non solo: la proposta è di arrivare ad assumersi una quota del debito nazionale in sede di contrattazione.
 La seconda proposta riguarda il tema della sicurezza e la richiesta - ferme restando le leggi nazionali in vigore - di nominare un commissario governativo che insieme ai due presidenti si occupi di implementare e gestire con rapidità ed efficacia le risposte ai problemi della sicurezza in Lombardia e Veneto. E ancora: «Chiediamo di prendere in gestione a livello regionale le articolazioni dello Stato sul territorio - sostiene Formigoni - come demanio, beni architettonici e paesaggistici. Lo Stato lasci alle Regioni che hanno già dato prova di efficienza e razionalità il compito di valorizzare questo patrimonio. Noi siamo pronti a gestire anche sovrintendenze e Agenzia nazionale delle entrate - che ad oggi si dimostrano spesso incapaci di stabilire un rapporto positivo col cittadino - e di renderle attive. Lo Stato, ovviamente, rimane proprietario. Inoltre Galan propone di mobilitare i cittadini con un referendum consultivo che acceleri l’iter legislativo sul federalismo fiscale. «Attenzione: noi vogliamo un federalismo solidale, non il secessionismo» sostiene il governatore del Veneto pronto a riproporre al collega anche la questione aeroportuale quando si sarà chiarita la posizione di Alitalia «Ma siccome di questo non c’è traccia in Finanziaria, abbiamo deciso di muoverci perché siamo stanchi di dover sopportare l’ingiustizia di questa “sottrazione” di ricchezza».
Euroregione. Prevede la costituzione di un gruppo di cooperazione territoriale europea che rimodella i confini in maniera ancora più politica rispetto al generale processo d’integrazione europea. Nell’ambito dell’Euroregione i singoli territori scelgono come e con chi fondersi e realizzare grandi progetti in comune.

(19 dicembre 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #33 inserito:: Dicembre 29, 2007, 09:53:59 pm »

Gentilini non li vuole, la Scattolon li accoglie: «Lavoriamo insieme per l’integrazione».

Serena: «Cosa hanno fatto i Comuni di centrosinistra?»

Preghiera nel tendone della Pro Loco

Alessandro Zago


Oggi i musulmani cacciati da Treviso pregheranno sotto il tendone della Pro Loco di Villorba.

La struttura, allestita per la festa di Capodanno, è stata messa a disposizione dall’amministrazione comunale del sindaco Liviana Scattolon, leghista come Gentilini ma evidentemente dalle vedute più aperte. L’accordo è stato raggiunto ieri sera, alla fine di un incontro con l’imam Youssef Tadil. Su esplicita richiesta del Comune e «in onore dell’integrazione», gli islamici pregheranno anche in italiano.

 Preghiera musulmana: il leghista Giancarlo Gentilini la vieta a Treviso, la leghista Liviana Scattolon la ospita a Villorba.

E perdipiù sotto il tendone della Pro Loco: sarebbe come se lo sceriffo Gentilini mettesse a disposizione degli islamici Prato della Fiera, teatro delle feste padane e del panevìn. Un gesto forte di apertura, quello della giunta di Villorba. Anche se, di fatto, durerà solo per oggi: i musulmani infatti pregheranno sotto il tendone che la Pro Loco ha tirato su per la festa di capodanno e che quindi, tra mercoledì e giovedì, verrà smantellato. E si tornerà punto e a capo. Ma il segnale è comunque importante: la libertà di culto è un diritto per tutti.

Tanto più che il Comune di Villorba, prima di trovare una sistemazione provvisoria agli islamici, ha dovuto fare invano il giro delle associazioni comunali, che hanno declinato l’invito a mettere a disposizione un locale. «Ma ora vogliamo che anche gli altri Comuni dell’hinterland facciano la loro parte - dice il presidente del consiglio comunale di Villorba Marco Serena - Ci tengo a sottolineare che abbiamo dato un posto agli islamici mentre i Comuni guidati dal centrosinistra non hanno alzato un dito per aiutarli». «Per nostro espresso desiderio - dice il sindaco Liviana Scattolon - gli islamici pregheranno anche in italiano, in segno di integrazione».

Islamici che erano stati costretti a lasciare gli impianti sportivi di Bepi Zambon, in via Medaglie d’Oro a Treviso, a causa degli strali del vicesindaco Giancarlo Gentilini e di altri big della Lega. Anche la preghiera di ripiego nel parcheggio di Zambon era stata contestata dal Carroccio di Treviso. Vista la mala parata, i musulmani avevano deciso di tornare da oggi a Villorba, nel loro capannone-moschea del Centro Grossisti, chiuso da un paio d’anni dopo una diffida della stessa Scattolon, che aveva vietato la preghiera nel locale impugnando la differente destinazione commerciale. Ne nacque una causa legale ancora in corso.

Nell’attesa, Tadil e i musulmani oggi, come ogni venerdì, erano pronti a pregare nel parcheggio esterno del capannone, anch’esso di loro proprietà. Formalmente, nessuno li avrebbe potuti fermare. Ma la Scattolon non ha voluto si ripetesse quanto successo al parcheggio di Zambon: gente costretta a pregare al freddo, in uno spazio indegno. Ieri c’è stato un confronto in municipio fra Tadil, il sindaco Liviana Scattolon e il presidente del consiglio comunale Marco Serena. Il tutto «all’insegna dell’integrazione e del rispetto reciproco». Una bella differenza rispetto al muro di Gentilini: lo sceriffo ha detto che la preghiera islamica in città era «un tumore» da estirpare prima che diventasse metastasi. Una uscita che ha indignato la comuntà islamica d’Italia e l’Onu.

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #34 inserito:: Gennaio 01, 2008, 12:06:27 pm »

CRONACA

"Interrogata" dal sindaco prima di ricevere la cittadinanza, ottenuta dal ministero

Il sindaco-professore: "necessario, molti stranieri non conoscono la nostra lingua"

Moglie colombiana per il leghista

Esame di italiano per la cittadinanza

Il marito-assessore: "Nessun problema, mia moglie parla veneto"

di GIUSEPPE CAPORALE


TEOLO (PADOVA) - La moglie dell'assessore leghista? Colombiana. Ma da ieri, italiana. Ha ottenuto la cittadinanza, a Teolo, piccolo comune veneto, dopo però aver superato un esame. Sì, un vero e proprio esame d'italiano. Sulla lingua e sulla storia del veneto. Tenuta dal sindaco. Solo così la moglie dell'assessore della Provincia di Padova (con delega all'Identità Veneta) Flavio Manzolini ha ottenuto, la cittadinanza italiana.

Macea Ledis Del Carmen Martinez, arrivata in Italia dalla Colombia 10 anni fa e da 7 anni sposata con l'assessore leghista, ha superato "l'esame" del sindaco di Teolo Lino Ravazzolo.

Da due mesi, con una ordinanza, il primo cittadino, ha deciso di introdurre un colloquio/test prima di concedere la cittadinanza agli stranieri. E anche ieri, l'iter ha visto un faccia a faccia a porte chiuse tra il sindaco e l'aspirante cittadina italiana: un anticipo al giuramento sulla costituzione e sullo Stato.

"Sono sempre felice di concedere la cittadinanza a chi ha realmente voglia di diventare italiano - ha spiegato Ravazzolo - ma anche in questo caso è emerso che la Prefettura non ha mai svolto quel colloquio che dovrebbe tenere per legge all'atto della presentazione della richiesta di cittadinanza. Proprio per questo io continuerò la mia battaglia perché, come sindaco, non posso essere un semplice cerimoniere che mette una firma e basta".

E lo stesso Manzolini, il marito, ha applaudito all'esamino di italiano introdotto dal sindaco di Teolo. Anzi, ha rilanciato. "È un'ottima idea - ha spiegato - mi auguro che possa essere un preludio ad un giuramento magari anche sulla bandiera di San Marco. Perché no? Magari un giorno non troppo distante il giuramento potrebbe essere recitato in lingua veneta".

"Mi sembra un'ottima idea l'esame introdotto da Ravazzolo - ha rilanciato l'assessore leghista- anzi, dovrebbe essere un esame di veneto. Quando un immigrato arriva in Italia prima di imparare l'italiano impara il veneto, e così è stato anche per mia moglie che parla perfettamente questa lingua, che, ricordiamo, non è un dialetto".

(30 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #35 inserito:: Gennaio 15, 2008, 12:24:00 am »

Ragioni politiche ma anche tecniche per il gran rifiuto: il sistema regionale si regge sulla raccolta urbana differenziata, non indistinta

Galan a Prodi: «Non possumus»

Renzo Mazzaro

«Il Veneto potrebbe ricevere solo una quantità pari ad una giornata»

Immediate reazioni da Roma dei Verdi: «Contro la camorra siamo sempre stati in prima linea» 


VENEZIA. Stavolta ha ragione da vendere, anche se nessuno gliela compra, Giancarlo Galan a dire no ai rifiuti della Campania.
Un no lanciato d’impulso nei giorni scorsi e ripetuto ieri dopo l’intemerata di Prodi che da Malta minacciava le Regioni: «Voglio vedere chi non ci farà passare». Per andare dove, signor presidente del consiglio? I rifiuti della Campania sono indifferenziati, sono scoasse non trattate: «Potremmo ricevere una quantità di rifiuti pari ad una giornata di raccolta» scrive Galan.

«Se dovessimo importare nel Veneto per giorni e giorni i rifiuti indifferenziati da Napoli e dalla Campania il nostro sistema andrebbe in crisi.
Questo è il motivo tecnico. Il nostro no politico - continua Galan - si basa invece sul fatto che non si può essere solidali con lo sfascio provocato da pubblici governanti. Ribadisco la nostra richiesta di dimissioni immediate per Bassolino e Pecoraro Scanio. Sarebbe un gesto - qui Galan forza il ragionamento - che segnalerebbe alla camorra un cambio di rotta per quanto riguarda la politica e le istituzioni pubbliche, chiamate in causa da una così dolorosa tragedia».

Il collegamento diretto camorra-Bassolino-Pecoraro scatena reazioni immediate: «Al governatore del Veneto ricordo che i Verdi e il ministro Alfonso Pecoraro Scanio sono da sempre, e saranno sempre, in prima linea per combattere la camorra», fa sapere Tommaso Pellegrino, componente della commissione bicamerale antimafia. E naturalmente verde. Tanto di cappello, ma abbiamo preso il largo dai rifiuti.

Noi invece vogliamo stare al tema: perché Romano Prodi insieme alla disponibilità delle Regioni non chiede anche le dimissioni di Pecoraro Scanio, che fa parte del suo governo e ha responsabilità precise nel disastro? O gli sono bastate le dimissioni del commissario straordinario Guido Bertolaso, provocate da Pecoraro? Non lo dice (solo) il centrodestra ma il presidente della commissione ambiente della Camera, Ermete Realacci: «Bertolaso aveva un’idea chiara di come affrontare la situazione. Voleva aprire la discarica di Serre. Non si è fatto per l’opposizione di Pecoraro Scanio, come al solito». E dopo il no a Serre, oggi Pecoraro dice sì a Pianura, sito da aprire a mano armata, benché anch’esso in area protetta: questa la linearità del ministro dell’Ambiente «che non ha competenze sui rifiuti», come va dicendo in tutte le interviste, l’ultima il 9 gennaio ad Alberto Statera su Repubblica. Per avere un’idea di chi sia e come ragioni Bertolaso, consigliamo invece di ascoltare l’intervista data a Repubblica-Radio il 5 aprile dell’anno scorso (www.kataweb.it). Sono anni che in Campania la gente incendia rifiuti e vive in una emergenza continua, anche se il resto d’Italia e del mondo, compreso Berlusconi dalla sua villa di Antigua nei Caraibi, l’hanno scoperto solo adesso.

Responsabilità pubblicamente assunte dal presidente Antonio Bassolino nella trasmissione Porta a Porta del 7 gennaio. Ma senza alcuna voglia di dimettersi.
Anche perché c’è sempre la variabile logistica a cui appoggiarsi: camorra a parte, la Campania è una regione inflazionata di commissari, cui delegare tutto senza risolvere nulla. C’è il commissario contro il traffico e l’emergenza parcheggi a Napoli; il commissario per l’alluvione di Sarno e Quindici, che va aggiungersi al pre-esistente commissario per il risanamento della foce del Sarno; il commissario per il rispristino dei fondali di Baia; il commissario per il dissesto idrogeologico e del sottosuolo; il commissario per gli insediamenti delle comunità dei nomadi. Fino all’ultimo, appena insediato da Bassolino: il commissario straordinario alle bufale (!), come racconta l’Espresso di questa settimana, con un ufficio di 20 dipendenti, una dotazione di 66 milioni e la mission di salvare gli animali dalla brucellosi. Al posto di Giancarlo Galan manderemmo al collega Bassolino un paniere di prodotti tipici veneti, in una scatola con la riproduzione dell’inceneritore di Fusina, costruito in 12 mesi, mentre quello di Acerra, iniziato nel 1998, sarà completato forse a fine 2008. Un confronto magistrale riportato sul Corriere della sera da Gian Antonio Stella il 22 dicembre scorso.

Dice Stella che il presidente Bassolino, letto l’articolo, l’ha inserito nel suo sito commentando: «Il giornalista ha ragione» (!).

Ma il Veneto che irride all’inceneritore di Acerra, dovrebbe ricordarsi dei termovalorizzatori di Treviso, che il presidente degli industriali Andrea Tomat ha coraggiosamente e inutilmente proposto, a rischio di linciaggio mediatico, potendo contare sul bell’appoggio di una classe politica (non solo la Lega di Giampaolo Gobbo) che prima lo sostiene e poi lo molla a metà del guado. Sui rifiuti è meglio non fare la gara a lanciare la prima pietra. Meglio ancora fondare i discorsi sulla conoscenza dei fatti.

Il no tecnico di Galan a Prodi si basa sulla situazione illustratagli ieri mattina da Roberto Casarin, segretario regionale al territorio.
Parliamo di rifiuti urbani, non speciali cioè tossici. Il sistema regionale si basa su tre capisaldi: 1) raccolta differenziata, 2) discariche, 3) termovalorizzatori. Il Veneto pratica la raccolta differenziata al 49%, dato 2005-06, di gran lunga superiore all’obiettivo del 35% posto dalla legge Ronchi 22/97. Il rifiuto è comunque sempre trattato. I termovalorizzatori, di competenza regionale, sono quattro: tre funzionanti a Venezia, Padova e Schio, uno in fase di ristrutturazione a Verona. Le discariche, di competenza delle Province, sono 17: una in via di esaurimento a Legnago, una tattica a Sant’Urbano (per le emergenze), una bloccata dal magistrato a Pescantina. Le province di Treviso e di Belluno sono completamente prive. I rispettivi presidenti, Muraro e Sergio Reolon, sono in lite con Venezia che cerca di imporle. Il sistema è tarato sul fabbisogno veneto. Gianni Teardo, responsabile degli impianti di Fusina, stima che per bruciare i rifiuti prodotti in una giornata dalla Campania, supposto che sia possibile trattarli, servirebbero 3 mesi.

(14 gennaio 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #36 inserito:: Gennaio 17, 2008, 03:24:16 pm »

Solo l’1% non riesce a rimborsare il prestito

A Padova record di acquisto di moto e mobili

A Belluno vola il mercato degli elettrodomestici

Boom di consumi nel 2007 in Veneto

Francesco Patanè


Spesi sei miliardi di euro in beni durevoli. Il 65% finisce in auto 


PADOVA. Nel 2007 il 43% dei veneti ha acquistato a credito, almeno una volta. Di questi, solo l’1% non è riuscito a tenere il passo delle rate.
Nel 2007 l’economia veneta è cresciuta con un tasso superiore a quello nazionale. Sono aumentati anche i consumi ma ad un ritmo inferiore al resto della penisola (+3,3% contro il +3,7% del dato italiano). Una flessione nella crescita considerata fisiologica dall’osservatorio Findomestic dato l’alto livello di partenza.
Nel 2007 infatti in Veneto la spesa per beni durevoli è stata il 7,3% del totale dei consumi regionali per una cifra che sfiora i sei miliardi di euro. Il reddito medio pro capite del Veneto è superiore del 6,7% rispetto al dato nazionale (18.906 euro).
Il primato nei durevoli spetta al settore automobilistico (+6,3%) per complessivi 2,5 miliardi di euro. Significativo anche l’andamento del comparto elettrodomestici bianchi e piccoli (+8,2%). Padova detiene il primato regionale per l’acquisto di motoveicoli (45 milioni di euro) e di mobili (218 milioni di euro). A Verona spetta il record per l’acquisto di automobili (1.460 euro di spesa per famiglia). Belluno si distingue per la spesa per elettrodomestici bianchi con il dato più elevato in Italia (268 euro in media per famiglia).
Questi i principali indicatori emersi ieri durante la presentazione della quattordicesima edizione dello studio sul consumo dei beni durevoli in Veneto.
Reddito pro capite. Osservando più nel dettaglio il reddito medio pro capite della regione Veneto, si nota una crescita del 3,2% pari a 18.906 euro, un valore superiore del 6,7% rispetto alla media nazionale (17.708 euro). La situazione del reddito nelle province venete si presenta piuttosto omogenea: la forbice regionale comprende il dato più elevato di Belluno (con 20.189 euro) e quello più basso di Treviso (17.922 euro); restano comunque nettamente superiori alla media nazionale i redditi delle province di Venezia (19.347 euro), Vicenza (19.137 euro) e Verona (19.032 euro). Le previsioni per il 2008 confermano il positivo trend di crescita del reddito pro capite veneto, che proseguirà secondo un ritmo costante di circa il 3,1% su base annua, per un valore che si dovrebbe collocare intorno ai 19.505 euro.
Consumi. Nel totale della spesa veneta per consumi del 2007, pari a 81,9 miliardi di euro, i beni durevoli rappresenta circa il 7,3%, per un ammontare di quasi 6 miliardi di euro: il dato mostra una crescita del 3,3% rispetto al 2006 con un incremento di quasi 200 milioni euro.
Se si analizza più in dettaglio il 2007, i consumatori veneti hanno mostrato una consistente preferenza per l’acquisto di automobili, che tra nuovo e usato, costituiscono quasi il 65% della spesa per beni durevoli (3.869 milioni di euro nel 2006), facendo segnare un incremento del 6,3% rispetto all’annata precedente. L’impennata del mercato automobilistico si spiega anche con la congiuntura favorevole creata dagli ecoincentivi fiscali. L’altro settore in forte aumento è quello degli elettrodomestici: in particolare quelli bianchi (ovvero di prima necessità) sono cresciuti dell’8,2%, toccando i 373 milioni di euro.
Il panorama circostante mostra inoltre segnali positivi per quanto concerne il mercato dei motoveicoli, che segnano una crescita pari al 3,3% nel 2007, per un valore complessivo di 191 milioni di euro. Altrettanto significativo è l’andamento del comparto mobili, che hanno visto un miglioramento annuale dell’1,6% rispetto al 2006 (per una spesa intorno ai 1.161 milioni di euro).
I dati provinciali. Nell’analisi delle singole province, Padova si dimostra in continua crescita sul fronte del reddito medio, pur non essendo nei primi posti nella classifica regionale: tra il 2006 e il 2007 il balzo è stato del +3,1% per un valore che si è attestato intorno ai 18.840 euro. Un trend che dovrebbe confermarsi anche nel 2008. Alla città del Santo spetta il primato nel comparto dei motoveicoli, che nel 2007 ha visto la vendita di 8.402 mezzi per un valore di 45 milioni di euro, (125 euro di spesa media familiare). Il positivo andamento della spesa per consumi delle famiglie padovane è confermato anche nel mercato degli acquisti per la casa: Padova infatti si colloca al primo posto regionale nel il settore dei mobili (218 milioni di euro di consumi complessivi, per un valore di spesa familiare di circa 608 euro).
Verona ha il primato della spesa media delle famiglie per l’acquisto di auto con 1.460 euro (+8,2%). Belluno ha il record di spesa media per famiglia di elettrodomestici bianchi e piccoli: 268 euro per un consumo complessivo di 25 milioni di euro. Venezia s’impone nel panorama regionale nell’acquisto di elettrodomestici bruni (ovvero quelli considerati di lusso), un settore dei durevoli che su base annua ha invece segnato una leggera flessione rispetto al 2006: nel capoluogo regionale la spesa media familiare ha raggiunto i 229 euro per un valore complessivo di 80 milioni di euro.

(16 gennaio 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #37 inserito:: Gennaio 24, 2008, 09:43:13 am »

24/1/2008 (7:34) - LA STORIA

La meglio gioventu' che vuole salvare la Serenissima
 
Il Leone di Venezia in piazza San Marco, simbolo della città
 
In campo la generazione dei quarantenni. "Vivere qui non è facile: facciamoci sentire"

ANNA SANDRI
VENEZIA


Vuoi vedere che c’è vita su Venezia? In questa strana città-bolla, che soffoca di turismo, annega di acqua alta e prova anche un leggero senso di nausea per via dell’odore di pizza al taglio e di hot dog che stagna tra le calli, la vita c’è davvero e ha la faccia rassicurante dei quarantenni. Si sono trovati un po’ per caso, in quella stagione della vita che fa da spartiacque, si sono guardati, riconosciuti e capiti. Se la vita c’è, perché non provare a renderla migliore? Era poco tempo fa, appena quattro mesi. Qualche intervento pubblicato sui quotidiani locali, uno che prende la parola a un incontro pubblico: le voci corrono, se siamo in tanti a pensarla così perché non ci uniamo?

Così da un gruppo di sette pionieri è nato il movimento 40xVenezia, si è costruita una piazza virtuale, con un sito ad accesso per iscrizione, ed è successo quello che non osavano nemmeno sperare. Un’intera generazione di veneziani di laguna, di terraferma, di andata (per necessità o per resa) e di ritorno (per fortuna o per nostalgia) si è ritrovata a fare squadra. Sono già più di trecento, e la città non può più far finta di niente: i quarantenni esistono, hanno idee, progetti, voglia di discutere e soprattutto di fare qualcosa concreto per la loro città.

Dentro ci sono tutti: il libraio e la giornalista, l’esperta di marketing e il gondoliere, il gestore di un bed & breakfast, la restauratrice, il fabbro, la nobildonna che soffia vetro, la mamma, l’avvocato, la grafica, il fotografo, il chirurgo e anche il docente universitario. C’è anche il parroco, don Natalino, classe 1961. Iscrizioni sono arrivate da Londra, e perfino dall’America, sono i veneziani che hanno fatto strada all'estero e che si buttano in Rete: «Se c’è qualcosa da fare, siamo qui». Tutti questi quarantenni fino all’altro ieri stavano a gestire il mestiere, il caro mutuo o affitto, la spesa che a Venezia è un Camel Trophy, i figli piccoli che crescerli qui è un addestramento da marine. Adesso si godono i vantaggi di una città senza auto, con pochi rischi, con tante opportunità per chi sa far lavorare il cervello e la fantasia. «Non siamo più giovani ma onestamente non siamo ancora vecchi - dice Martina Mian, curatrice di cataloghi per Marsilio editore e tra i fondatori del movimento -. E’ l’ora di darsi da fare per la città».

Come? Intanto individuando i problemi più urgenti e ipotizzando vie d’uscita praticabili. Tre temi per cominciare: la cultura del turismo, la mobilità, vivere a Venezia. Ognuno ci mette le proprie competenze: chi è avvocato spulcia i codici, chi è grafico immagina nuovi depliant per diversi percorsi, chi è gondoliere si mette d’impegno a salvare le tradizioni, quelle vere. Tavoli di lavoro, confronti, discussioni, molti contatti via web. Alla prima uscita pubblica, in Ateneo, è stato un trionfo: ad ascoltarli, mentre si parlava di Fondazione dei Musei, c’era gran pubblico ma c’erano soprattutto le istituzioni.

Qualcuno, tra i seniores di una città in rapido spopolamento si è già inalberato: «Facciano capire cosa hanno da dire, ma sappiano che i problemi li conosciamo già». Altri tentato di smontarli: «Solito sistema, staranno preparando una lista civica». «Ma quale lista civica - si arrabbia Martina Mian - tra di noi c’è gente di destra, di sinistra e di centro e per di più noi siamo una generazione che di politica ne ha sempre fatta poca. Non ci interessano le poltrone, ci interessa dare un futuro a questa città».

A ognuno il suo: al movimento il compito di produrre idee percorribili; agli amministratori che vorranno recepirli, il compito di trasformarle in azioni concrete. «Non siamo una lobby - precisa Shaul Bassi, docente universitario, tra i fondatori - siamo uniti solo dall’età». E Michela Scibilia, grafica, che a Venezia ha scelto di vivere e far nascere i due figli: «Non voglio più sentir dire a Cacciari che il futuro di Venezia è a Mestre. Il futuro di Venezia è a Venezia, e siamo anche noi».

da lastampa.it
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« Risposta #38 inserito:: Gennaio 24, 2008, 10:47:07 pm »

MULTIUTILITY: FUSIONE A OSTACOLI

Toscani: «Polo del Nordest, la Regione latita»

Matteo Marian

Il presidente di Confservizi chiama in causa palazzo Balbi: manca una strategia

Paniccia (AcegasAps) tira il freno a mano sull’aggregazione con Ascopiave 


PADOVA. Massimo Paniccia, presidente di AcegasAps, al «Sole-24 Ore» lo dice senza mezzi termini: «Il nostro titolo è troppo sottovalutato. A queste condizioni è difficile ragionare di un’aggregazione con Ascopiave». Ma se le multiutility coinvolte nel progetto di aggregazione nordestina, chi più chi meno, nicchiano, a chi tocca serrare le fila intorno a un processo da tutti giudicato indispensabile ma ancora al palo? «In questo momento manca una strategia generale: un vuoto che chiama in causa la politica».

Lamberto Toscani, presidente di Confservizi Veneto, la vede così. «In questo momento - sottolinea - manca un attore in grado di comporre i diversi interessi in campo. E rispetto ai diretti interessati, questo ruolo può svolgerlo solo la Regione. Tutti i soggetti coinvolti devono assumersi le proprie responsabilità, ma se ancora sussiste qualche residuo di campanilismo non può che essere la politica, in senso ampio e nobile, a farsi carico dei nodi da risolvere. I problemi, in un processo di questo tipo, sono molteplici, nessuno vuole minimizzare. Ma questi devono essere superati di slancio attraverso una strategia ben definita e che chiama in causa la Regione o Veneto Sviluppo che sia. Fin qui, purtroppo, questo spunto è mancato».

Dopo un (ri) avvio in grande stile, il processo di aggregazione ha dovuto fare i conti più con brusche frenate che con repentine accelerazioni. «Sia chiaro, non è mai troppo tardi - aggiunge Toscani -. Ma o ci rendiamo velocemente conto che un’aggregazione nordestina ha tutti i numeri per operare da protagonista in questo settore oppure ci penserà il mercato. Non vorrei che ci trovassimo a fare i conti con quanto è già accaduto nel settore bancario. Per questo dico che manca ancora una strategia, ambito nel quale è la politica, e quindi la Regione Veneto, che deve intervenire. Lo vuole fare attraverso Veneto Sviluppo? Benissimo, ma lo faccia. Noi siamo disposti a collaborare, perché crediamo fermamente in questo obiettivo. Ma è un peccato lasciare perdere tutto».

E nelle difficoltà, secondo Toscani, che il ruolo della Regione deve emergere. «L’interesse del progetto è talmente ampio che non può essere lasciato all’intuizione di qualche manager - dice -. Serve un terzo al di sopra delle parti che spinga in questa direzione. A me fa piacere che il mio amico Gildo Salton parli con Agsm, ma non può essere che un progetto di tale portata sia lasciato all’affinità di colore politico tra due parti».

Il fronte di pressione esterna, per altro, potrebbe presto allargarsi. Il risiko, nel resto d’Italia, sta per interessare anche il settore dei trasporti pubblici locali. Un dossier tra Milano (Atm) e Torino (Gtt) è già stato aperto. «Un progetto di aggregazione che interessa il Veneto centrale è già stato presentato 2-3 anni fa - spiega il presidente di Confservizi Veneto -. Ma se si crede nelle aggregazioni le gare vanno fatte il prima possibile». Invece, sempre per quanto riguarda il trasporto pubblico locale, Confservizi Veneto - e di conseguenza le aziende associate (il 95% sono pubbliche) - è alle prese con un bilancio regionale (ancora, comunque, da approvare) che fa i conti con uno stanziamento dove mancano all’appello circa 12 milioni.

«Lo scorso anno siamo riusciti a far elevare il fondo regionale per il trasporto pubblico da 200 a 208 milioni - conclude Toscani -. L’assessore regionale ai Trasporti ci aveva assicurato che questo aumento era acquisito. Invece, dal bilancio 2008, abbiamo appreso che siamo tornati a 200 milioni. Inoltre, per quanto riguarda i fondi previsti per il contratto nazionale del comparto, oltre ai 10,4 milioni che lo Stato ha trasferito alla Regione mancano i 3,8 milioni che la giunta deve, in base all’accordo Stato-Regioni non perché lo dice Confservizi, mettere a disposizione».

(24 gennaio 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #39 inserito:: Febbraio 09, 2008, 05:49:26 pm »

RICERCA E SVILUPPO

Imprese Hi-Tech Veneto avaro

Sandro Mangiaterra


 Speriamo che dal mondo imprenditoriale non si levi subito il coro delle lamentazioni. Che non si cominci con il lungo elenco dei mali italiani: l’instabilità politica, il sistema-paese che non funziona, le tasse che frenano come un macigno la competitività, e via discorrendo. Per terminare con le rimostranze-giustificazioni riguardo alla politica monetaria internazionale, dal superdollaro alla rigidità della Banca centrale europea. Tutto verissimo. Ma il punto è un altro. Di fronte ai venti di crisi che soffiano dagli Stati Uniti, gli industriali, e quelli veneti in particolare, devono reagire. E siccome sanno perfettamente qual è il loro punto debole, conoscono anche i rimedi: la ricerca e l’innovazione sono le uniche cure da praticare. In dosi massicce. Per non arretrare davanti ai concorrenti e non perdere il terreno recuperato sui mercati esteri negli ultimi due anni. Per carità, non è affatto il caso di fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Parlare di rischio recessione è scorretto. Tuttavia, una brusca frenata dell’economia, quella purtroppo è già in atto. Lo confermano le previsioni di tutti i centri studi.
Secondo l’ultimo bollettino della Banca d’Italia, nel 2008 la crescita del Pil si dimezzerà rispetto al 2007 e potrebbe fermarsi all’1 per cento (ancora a luglio il governatore Mario Draghi e gli uomini di Via Nazionale parlavano dell’1,7 per cento). Addirittura più pessimista appare Confindustria, che ipotizza una crescita del Paese inferiore al punto. Se queste sono le previsioni, appaiono del tutto logiche le preoccupazioni del sindacato. Mentre si apre, ed era ora, il dibattito sulla riforma della contrattazione (accordi decentrati, salari legati alla produttività), si prospetta contemporaneamente una dura stagione di vertenze, con ristrutturazioni, aumento del ricorso alla cassa integrazione, messa in mobilità di migliaia di addetti. Emblematica, in questo senso, la sortita dei giorni scorsi della Cigl di Treviso, che ha esaminato una per una le situazioni di difficoltà, arrivando a contare, nella sola Marca, 1.400 posti di lavoro a rischio. Sbagliato, da parte delle associazioni imprenditoriali, stizzirsi. E inutile guardare con orgoglio alle cifre dell’anno scorso. Certo, nel Veneto l’export è volato: i dati (provvisori) di Unioncamere indicano che siamo vicini a un ottimo più 10 per cento, al di sopra della media nazionale (attenzione, però, la Lombardia viaggia intorno al più 14 e l’Emilia Romagna al più 12 per cento). Un risultato che va ad aggiungersi a quello del 2006: più 7,8 per cento. Gli industriali del Nordest si sono dimostrati molto bravi, specie sullo scacchiere europeo (Russia compresa). Lo sono sempre stati e lo hanno confermato. Il fatto è che si deve già voltare pagina. Dopo una brevissima stagione positiva, occorre di nuovo rimboccarsi le maniche.
Come? Il nodo è sempre lo stesso: bisogna investire in ricerca, tecnologia, prodotti e servizi ad alto valore aggiunto. Provare in questo modo a rinforzare un’economia regionale e un tessuto industriale che senza dubbio non sono fragili, ma nemmeno solidissimi, proprio per la mancanza di una forte cultura dell’innovazione. E’ esattamente ciò che emerge da una recente indagine condotta dall’Università Bocconi di Milano attraverso il Certet (Centro di ricerca economica territoriale, dei trasporti e del turismo). Le spese complessive del Veneto in ricerca e sviluppo sono pari allo 0,6 per cento del Pil prodotto in regione, contro una media italiana dell’1,1 per cento e un’analoga spesa che in Lombardia è dell’1,2 per cento.
Ma il dato più allarmante è un altro: il Veneto investe in R&S 776 milioni di euro (tra amministrazioni pubbliche, Università e imprese), pari al 5 per cento degli investimenti globali in Italia (15,6 miliardi), mentre incide per il 9 per cento sul Pil nazionale; la Lombardia, giusto per fare un confronto, ha una spesa in R&S di 3,3 miliardi, corrispondente al 21,4 per cento del totale, con un peso sul Pil nazionale del 20,3 per cento. Ancora: gli addetti alla ricerca in Veneto sono poco più di 10 mila contro i 32 mila della Lombardia. La bilancia tecnologia, infine, vede il Veneto esportare beni e servizi hi-tech per soli 133 milioni di euro, una somma che scompare davanti ai pur modesti 1,9 miliardi della Lombardia.
«Nel Nordest» commenta Angela Airoldi, responsabile del Certet, «gli imprenditori sono impegnati soprattutto in quella che viene definita innovazione incrementale. Sono fortissimi, cioè, nel migliorare il prodotto esistente. Puntando sul valore aggiunto di stile e di design. Oppure, come nel caso della meccanica, perfezionando e adattando alle più svariate applicazioni tecnologie acquisite da fuori. Chiaro, poi c’è la straordinaria abilità nel saper vendere. Ma questa rimane una strategia di breve periodo. Ricordiamoci che anche Bisanzio, alla fine, è caduta».
Sì, gli industriali dovrebbero davvero farci una riflessione sopra. E cominciare, magari, a vedere come utilizzare gli incentivi previsti dalla Finanziaria per chi commissiona progetti di ricerca alle Università. Peccato che qui le cose vanno persino peggio. Uno studio promosso da Cassa di risparmio di Padova e Rovigo e Fondazione Nord Est l’ha messo in evidenza a chiare lettere: «I rapporti di collaborazione tra imprese e Università in Veneto sono praticamente inesistenti»...

(08 febbraio 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #40 inserito:: Febbraio 17, 2008, 10:30:06 pm »

VERSO LE ELEZIONI

L’ex Unione torna compatta.

Siglato ieri l’accordo tra Democratici, Sinistra arcobaleno, Italia dei valori, Socialisti.

Fuori solo Rifondazione 

Pd e Sinistra insieme: appello per Variati 

A richiamare l’ex sindaco un gruppo di cittadini importanti.

Lui - diviso tra Roma e Vicenza - sembra sempre più deciso a puntare su Palazzo Trissino
 

L'alleanza tra i partiti dell'opposizione è stata sancita ieri: alle elezioni comunali di metà aprile le forze del centrosinistra si presenteranno unite per tentare di impedire al centrodestra la riconquista di Palazzo Trissino. Le manovre di avvicinamento iniziate alcune settimane fa e culminate con la recente "operazione-ascolto", cioè la due giorni di forum e incontri aperti a cittadini e associazionismo, hanno dato dunque i loro frutti e porteranno l'ex Unione a riproporsi compatta sulla scena politica nostrana. Questa la coalizione che verrà messa in campo per tentare di strappare la guida del Comune al centrodestra: Pd, Sinistra Arcobaleno, Vicenza Capoluogo, Italia dei Valori e Partito Socialista. Con un'incognita da chiarire a breve: Rifondazione Comunista, infatti, avrebbe più di qualche perplessità ad abbandonare il proprio simbolo. Se il Pd nazionale ha deciso di slegarsi dall'alleanza con la sinistra radicale, a livello locale è stato invece raggiunto un accordo amministrativo condiviso da tutti.

E trovata l'intesa sul programma, sottoscritto proprio nel pomeriggio di ieri, adesso rimane da decidere il candidato di coalizione che verrà scelto attraverso le primarie in calendario per il prossimo 2 marzo. Intanto, l'ex Unione festeggia l'unità ritrovata dopo la spaccatura delle scorse elezioni provinciali: «La nostra prima scommessa è vinta: abbiamo ascoltato la città, abbiamo confrontato le indicazioni ricevute con le nostre idee e abbiamo costruito e approvato un progetto per il governo di Vicenza. Quella che abbiamo siglato», dicono all'unisone i vertici dei partiti del centrosinistra, «è un'intesa basata su un progetto solido e chiaro.

Con questa intesa, e con questo progetto, avviamo la sfida più importante: restituire a Vicenza un ruolo da protagonista, e un futuro che le è stato negato in dieci anni di litigi, risse, spartizioni di potere». Sul piatto rimane ancora un nodo da sciogliere: cosa deciderà di fare il capogruppo regionale del Pd Achille Variati? Accetterà la candidatura a Roma o sceglierà di correre per la guida del Comune? Dalla sua risposta, che dovrebbe arrivare nel giro di qualche giorno e che pare propenda più per la corsa a sindaco, dipenderà con ogni probabilità anche il futuro dell'alleanza siglata ieri: la sua figura sarebbe considerata, infatti, come il collante indispensabile per far stare insieme l'Unione. A chiedere al capogruppo del Pd di rinunciare ad un posto in Parlamento a favore della poltronissima municipale c'è anche il gruppo "Cittadini per Variati" che si presenta così: «Siamo un gruppo di vicentini.
Apparteniamo a mondi diversi: quello dell'innovazione e della ricerca, dell'impresa, della rappresentanza dei lavori vecchi e nuovi, delle libere professioni, dell'arte e della cultura. Il nostro appello è rivolto ad Achille Variati: gli chiediamo di tornare ancora una volta a servire questa città e di candidarsi come sindaco alle prossime elezioni amministrative».

Roberta Labruna
 


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Vicenza



PER ACHILLE SINDACO 
Ecco chi ha firmato
 
 
Davide De Gaspari, commercialista; Giulio Vescovi, partigiano; Fernando Bandini, poeta; Paolo e Florence Marzotto, imprenditori;
Enrico Tuggia, associazionismo sociale; Lorenzo Bernardi, docente universitario; Gigi Costa, dirigente; Enrico Mastella, associazionismo sportivo;
Vitaliano Trevisan, scrittore e drammaturgo; Gianfranco Candiollo, giornalista; Paolo Mele, avvocato; Paolo Colla, imprenditore;
Vanni Poli, associazionismo sociale; Stefano Beretta, pubblicitario; Silvano Veronese, economista; Giuseppe Nardin, docente universitario;
Giancarlo Corò, docente universitario; Paolo Gurisatti, imprenditore e ricercatore; Pietro Guzzonato, direttore di negozio;
Umberto Nicolai, associazionismo sportivo; Enrico Vettori, avvocato; Francesca Lazzari, ricercatrice; Marzia Zanella, insegnante;
Piergiorgio Faggionato, tecnico ambientale; Franca Bortolamei, logopedista; Bepi De Marzi, musicista; Ugo Dal Lago, avvocato; Gigi Lanaro, designer; Francesco Vettori, avvocato; Luciano Pozzan, commerciante; Mario Marchetti, associazionismo sociale; Francesco Bortolotto, insegnante;
Piera Moro, dirigente; Ngoko-Iteta Mokoli, medico; Gaetano Murat, maestro restauratore d'arte; Erminio Ragazzoni, commerciante;
Roberto Dalla Monta', commercialista; Sandro Pesavento, avvocato; Giovanni Sartori, direttore di negozio; Mauro Giongo, volontario sportivo;
Lorenzo Ferrante, studente universitario; Andrea Luzi, associazionismo cattolico; Donatella Lazzaro, casalinga; Matilde Zocca, volontariato sociale;
Armando Veronese, associazionismo sociale.



da gazzettino.quinordest.it
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« Risposta #41 inserito:: Febbraio 17, 2008, 10:31:35 pm »

Con il nuovo decreto flussi la provincia berica balza al primo posto in Veneto per presenza di extracomunitari, che superano il dieci per cento della popolazione residente 

Quasi 17mila immigrati chiedono un permesso per Vicenza
 
 
(m.c.) Il dieci per cento dei vicentini proviene da Paesi extra Unione Europea. E la percentuale tende al rialzo, se si considera che l'ultimo decreto flussi porterà presto nel Vicentino ben 17mila extracomunitari in cerca di un permesso di soggiorno e, presumibilmente, di un lavoro. Sono 16mila 912, per l'esattezza, le domande presentate con il decreto flussi. Un numero che fa di Vicenza la decima provincia nella classifica nazionale in fatto di richieste di ingresso, e colloca la stessa città al primo posto in ambito regionale, sbaragliando il primati da sempre vantato da Treviso, mentre la precede Verona con circa 19mila richieste. La verifica delle domande è da tempo iniziata, ma per la loro validazione occorrerà attendere fino alla prossima estate. Il meccanismo di valutazione delle richieste di ingresso, infatti, è cambiato proprio in concomitanza con il nuovo anno. Oggi non sono più le Poste a gestire le pratiche, ma Prefettura e Questura inviano le schede validate alla Direzione provinciale del lavoro per l'accettazione finale. E questo potrebbe essere l'anello debole della catena, a causa della carenza di organico e della concentrazione spaventosa di lavoro. Esaminiamo la provenienza dei 17mila richiedenti: la maggior parte proviene dalla Repubblica popolare cinese, a seguire ci sono marocchini, bengalesi ed indiani. Al fanalino di coda, invece, i moldavi ed i cittadini dell'Europa dell'Est. Sul fronte occupazionale, stando alle domande, questo folto gruppo di persone dovrebbe avere un datore di lavoro disposto ad assumerle in qualità di colf e badanti, a seguire gli operai, prevalentemente del settore edile e gli addetti alle concerie. La città vedrà così lievitare il numero di stranieri residenti. Nel 2005 in città c'erano 12mila 138 immigrati, mentre nel 2007 se ne contavano 14mila. Il dieci per cento di residenti, quindi, è di origine straniera. Ma questo non ci consente di vincere la posizione di Padova (20 per cento di residenti extracomunitari), però siamo sulla buona strada. La fotografia è chiara: sono più gli uomini (7500) rispetto alle donne (6700). Ed una volta trovata occupazione gli uomini fanno la domanda per il ricongiungimento familiare delle proprie congiunte. Importante anche il numero dei bambini stranieri: oltre tremila.

da gazzettino.quinordest.it
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« Risposta #42 inserito:: Febbraio 25, 2008, 11:04:29 am »

VERSO LE ELEZIONI

Alle 12.30, al piazzale della Vittoria, l’ex sindaco ha sciolto ogni riserva 

Variati: «Vicenza non sarà più una periferia» 

L’esponente del Pd contro «dieci anni di malgoverno del centrodestra: Dal Molin e Aim insegnano».

Domenica le primarie
 

«Oggi annuncio la mia candidatura a sindaco di Vicenza». Le 12.30 sono passate da pochi minuti quando Achille Variati, completo scuro e cravatta rossa, ufficializza la sua decisione. Le voci di queste settimane rispetto a una sua discesa in campo per la corsa a Palazzo Trissino da ieri sono diventate certezza e Variati, dunque, diventa il primo big vicentino a uscire allo scoperto. Per farlo ha scelto una formula inedita: archiviata la canonica conferenza stampa, il leader del Partito Democratico vicentino già sindaco negli anni Novanta, ha dato appuntamento ai vicentini nel piazzale della Vittoria di Monte Berico e all'ora di pranzo ha sciolto la riserva. Davanti a centocinquanta persone è salito sul palchetto allestito per l'occasione, sullo sfondo uno striscione con una scritta in bianco che recita "Ritorna il futuro" e subito sotto due parole in giallo "Variati sindaco", e ha chiarito così il perché di questa sorta di convention all'americana: «Tredici anni fa sono venuto in questo stesso luogo e mi sono tolto la fascia tricolore che avevo portato per cinque anni. Questa piazza, dunque, è l'ultimo posto in cui ho indossato quella fascia. Ma se ho scelto di parlare qui non è solo per il ricordo di quel giorno». È anche perché «da questa piazza, che guarda alla città, vogliamo inaugurare una stagione nuova: una nuova stagione di trasparenza e di chiarezza, una nuova stagione in cui le decisioni importanti non vengono prese nel chiuso dei palazzi. Per troppo tempo Vicenza è stata zittita. Su quella che era una piazza viva, in cui i cittadini ragionavano e si confrontavano, è calata la nebbia».

E la nebbia ieri c'era per davvero: Variati parla per tutto il tempo avvolto dalla foschia, davanti a moltissimi volti noti del centrosinistra vicentino, e sferra un duro attacco «al mal governo di questi ultimi dieci anni». Dieci anni di amministrazione del centrodestra in cui «troppe decisioni sono state prese nell'ombra e non c'è solo il Dal Molin a mostrarci cosa succede quando le decisioni vengono prese passando sopra le teste dei cittadini». Dieci anni in cui, secondo Variati, «troppi posti sono stati assegnati solo per logiche di spartizione: è il disastro annunciato di Aim. Troppi amici e amici degli amici sono stati sistemati per pagare il prezzo di un clientelismo malsano: è lo scandalo dell'Ipab». E ancora. «C'è un unico campo in cui l'amministrazione uscente può vantare un primato nazionale: quello dell'inquinamento. In dieci anni, una città che respirava futuro è diventata una città soffocata dalla smog e da questo smog Vicenza è stata inghiottita, scivolando nella penombra. Diventando una città minore, una periferia di Verona, Padova, persino di Treviso. Una città che ha iniziato a perdere fiducia». Per questo «ho deciso di dire no a Roma, no ai paracadute, no a chi mi ha detto vai in Parlamento che tanto Vicenza è una città di destra, non puoi vincere: per amore della mia città ho scelto di candidarmi e di affrontare questa grande sfida».

L'investitura vera e propria ci sarà dopo le primarie del prossimo 2 marzo che, pur con la candidatura contrapposta del leader di Vicenza Capoluogo Giovanni Giuliari, lo incoroneranno definitivamente come il candidato dell'opposizione che tenterà di strappare al centrodestra la poltronissima di Palazzo Trissino.


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AMMINISTRATIVE A VICENZA
 
 
Vicenza
NOSTRO SERVIZIO

Achille Variati ci riprova e lancia la sfida al centrodestra: «Mi candido a sindaco di Vicenza». L'annuncio ufficiale è arrivato ieri: completo scuro e cravatta rossa, il capogruppo regionale del Partito democratico si presenta all'ora di pranzo sul palchetto allestito per l'occasione nel piazzale della Vittoria di Monte Berico e rende pubblica la sua discesa in campo. A 13 anni di distanza dalla scadenza del suo mandato come primo cittadino, dunque, Variati si rimette in gioco per tentare di strappare al centrodestra la guida del Comune. Per farlo ha scelto una formula inedita: archiviata la canonica conferenza stampa, il leader del Pd vicentino ha dato appuntamento ai cittadini a pochi passi dal santuario della Madonna di Monte Berico. Davanti a 150 persone è salito sul piccolo palcoscenico posizionato in un angolo della piazza, sullo sfondo uno striscione con una scritta in bianco che recita "Ritorna il futuro" e subito sotto due parole in giallo "Variati sindaco", ed ha chiarito così il perché di questa sorta di convention all'americana: «Tredici anni fa sono venuto in questo stesso luogo e mi sono tolto la fascia tricolore che avevo portato per cinque anni.

Ma se ho scelto di parlare da qui non è solo per il ricordo di quel giorno». È anche perché, aggiunge, «da questa piazza, che guarda alla città, vogliamo inaugurare una stagione nuova: una stagione di trasparenza e di chiarezza, in cui le decisioni importanti non vengono prese nel chiuso dei palazzi. Per troppo tempo Vicenza è stata zittita. Su quella che era una piazza viva, in cui i cittadini ragionavano e si confrontavano, è calata la nebbia». Una nebbia che ha portato Vicenza «a perdere fiducia in sé stessa ed a diventare una città minore. A diventare una periferia di Padova e di Verona, persino di Treviso». E di questo Variati incolpa «la cattiva politica di questi ultimi dieci anni: troppe decisioni sono state prese passando sopra la testa dei cittadini, troppi posti sono stati assegnati solo per logiche di spartizioni e troppi amici degli amici sono stati sistemati per pagare il prezzo di un clientelismo malsano». Da qui la decisione di dire no ad un posto a Roma e di «affrontare questa difficile sfida, per restituire voce ai cittadini e per restituire speranza alla nostra città». L'investitura ufficiale, però, arriverà il prossimo 2 marzo. In quella data il centrosinistra chiamerà alle urne i suoi elettori per scegliere l'aspirante sindaco ma la vittoria di Variati, cui si contrapporrà il solo leader della civica Vicenza Capoluogo Giovanni Giuliari, appare scontata.

Spetterà a lui, dunque, scontrarsi con il candidato del centrodestra che per ora non ha ancora un nome ma che, secondo voci insistenti, dovrebbe essere un peso massimo di Forza Italia: l'europarlamentare Lia Sartori.


Roberta Labruna
 
da gazzettino.quinordest.it
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« Risposta #43 inserito:: Febbraio 27, 2008, 04:37:18 pm »

Gli amministratori della società, attiva tra Padova, Bassano e Treviso, sono passati da 12 a 5 per effetto della Finanziaria.

Ma chi è rimasto... 

Etra dimezza i consiglieri ma raddoppia i compensi 

La multiutility, che serve 75 comuni veneti, ha alzato da 12 a 24mila euro l’emolumento dei membri del consiglio di gestione
 
Padova
NOSTRO SERVIZIO


Poltrone eccellenti, anzi dorate. Sono quelle di "Etra Spa", la multiutility (75 Comuni nelle tre province di Padova, Vicenza e Treviso con oltre 500 mila utenze) nata dalla fusione di tre aziende specializzate nell'erogazione di servizi integrati (acquedotto, fognature e depurazione). Mentre da più parti si denunciano i troppi sprechi e la necessità di tagli, c'è ancora chi ha pensato bene di non rinunciare a poltrone, e relativi stipendi, che fanno davvero gola.

A fare scalpore, in questi giorni, la decisione assunta dall'assemblea dei soci di Etra spa - che, di fatto, sono i sindaci - di aumentare non del 10 o del 20 per cento, ma addirittura del doppio, lo stipendio dei propri consiglieri. La retribuzione mensile dei componenti del consiglio di gestione passa così da mille a duemila euro. Una manovra adottata quasi a sorpresa dopo che era stato deciso, in perfetta applicazione della Finanziaria 2006, di ridurre il numero degli stessi componenti del Cda. Un bel gesto, in linea con le manovre "antisprechi", in seguito al quale i consiglieri da 12 erano diventati 5. Peccato che la ventata di novità e di rigore sia durata lo spazio di pochi giorni. All'assemblea successiva è stato infatti deliberato, con una sola astensione, l'aumento, anzi il raddoppio. A sollevare la vicenda è Domenico Zanon, consigliere di opposizione a Camposampiero (Padova), capogruppo di una lista civica che già due anni fa aveva denunciato le "poltrone d'oro" di Etra. «Come dire che il lupo perde il pelo, ma non il vizio - esordisce il consigliere Zanon - Forse i cittadini, prima degli aumenti di stipendio, si aspettavano una riduzione delle bollette che sono un vero e proprio salasso per le famiglie e che, ad esempio per l'acqua, dal primo gennaio sono aumentate del 15 per cento. Un fatto analogo era accaduto nel 2006 alla costituzione di Etra. Tra i primi atti della nuova società c'era stata proprio la determinazione degli stipendi degli amministratori: 36 mila euro annui al presidente, 18 mila al vicepresidente, 12 mila ai dieci consiglieri e ben 120 mila euro ciascuno ai due amministratori delegati nominati per "par condicio" ossia per non scontentare diverse parti politiche e differenti territori». Una riduzione quella dei consiglieri che, però, ha anche un'altra faccia della medaglia, ossia la costituzione di un consiglio di sorveglianza, presieduto da Manuela Lanzarin, sindaco di Rosà (Vicena) con altri 15 consiglieri. Che, per fortuna son tutti, o quasi, amministratori pubblici e quindi non percepiscono, in virtù delle nuove leggi, alcuna indennità, fatta eccezione per un componente che si porta a casa, ad ogni seduta (finora una la settimana), 250 euro.

Ciliegina sulla torta, il Tfm, quello che, per i normali dipendenti si chiama Tfr, mentre per i componenti di un cda prende il nome di "trattamento di fine mandato". «È stato deliberato anche quello al primo insediamento nel 2006 - afferma Zanon - Avevamo pensato che, visti gli stipendi corposi, si sarebbe cercato di risparmiare almeno su questo. E invece, il trattamento di fine mandato è pari al 12 per cento dello stipendio complessivo percepito per ciascun anno di mandato».

Discorso attuale considerato che, a percepire il Tfm, in questi giorni, sono stati proprio i due amministratori delegati costretti, anche dopo le violente polemiche, a fare le valigie. A breve dovrebbe arrivare un nuovo direttore generale che non si sa quanto verrà a costare.

Sull'intera vicenda interviene il presidente di Etra, Stefano Svegliado che, a onor di cronaca, non si è ritoccato lo stipendio: «Non abbiamo deciso noi gli aumenti, ma l'assemblea dei soci e all'unanimità - afferma Svegliado - Se fino allo scorso anno un cda ci costava 16.500 euro al mese, ora il costo si è ridotto a 11 mila euro. Perché il raddoppio dello stipendio? Quello dei consiglieri è un impegno e c'è molto lavoro da fare. Personalmente sto svolgendo il lavoro dei due ad, ma non pretendo il becco di un euro».

Peccato che, per tutti gli altri consiglieri, la musica sia sempre la stessa: si predica bene, ma si finisce poi per razzolare male. Tanto, si sa, paga sempre Pantalone.

Nicoletta Masetto

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Una spa pubblica da 115 milioni per 500.000 persone
 
 
Etra (Energia Territorio Risorse Ambientali) è una multiutility a totale proprietà pubblica che dal 1° gennaio 2006 gestisce il servizio idrico integrato, il servizio rifiuti e altri servizi nel territorio che si estende lungo il bacino del fiume Brenta, dall'altopiano di Asiago al bassanese e alla provincia di Padova. È è nata dall'unione di tre aziende - Altopiano Servizi (Asiago), Brenta Servizi (Bassano), Seta (Vigonza) - già attive nell'Ato (ambito territoriale ottimale) del Brenta. Il bilancio "vale" più o meno 115 milioni di euro.
Le attività principali di Etra sono la gestione del servizio idrico integrato, l'organizzazione del servizio di igiene ambientale e la raccolta dei rifiuti per conto dei Comuni. L'azienda inoltre si occupa del trattamento di rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata e da aziende, negli impianti aziendali; offre consulenza per le aziende sulla gestione dei rifiuti speciali; produce energia elettrica da fonti rinnovabili; si occupa anche della gestione dell'energia, dell'illuminazione pubblica, della manutenzione del patrimonio comunale (edifici, strade e segnaletica, verde pubblico).

I soci sono attualmente 75 Comuni delle province di Vicenza, Padova e Treviso, circa 500.000 abitanti.
 

 
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« Risposta #44 inserito:: Marzo 02, 2008, 10:04:46 pm »

Il coraggio paga sempre 

di Paolo Giaretta*
 
Caro Direttore,

in attesa che Walter Veltroni, in Veneto il 7, l'8, l'11 e il 12 marzo, possa rispondere direttamente ai quesiti posti da Francesco Peghin, presidente di Confindustria Padova, su Il Gazzettino, mi permetto di fare alcune considerazioni.

Peghin pone due questioni cruciali.


Il coraggio
Una concernente la forma - gli assetti nuovi che si sono dati i partiti in vista della competizione elettorale - l'altra concernente la sostanza, le cose da fare per l'Italia.

La decisione del Pd di correre da solo ha innescato un meccanismo virtuoso che ha portato, come nota Peghin, alla semplificazione del quadro politico italiano, come se il popolo italiano avesse già approvato lo spirito del referendum. Questo fatto insegna che in politica il coraggio e la capacità di guardare agli interessi generali paga sempre. La semplificazione che il Pd ha innescato nel centrosinistra - ho ragione di credere - è un fatto acquisito: il partito di Di Pietro, unico apparentato al Pd (cioè in corsa con il proprio simbolo), dopo le elezioni confluirà nel gruppo parlamentare del Partito Democratico, sparendo come sigla autonoma. I Radicali hanno già accettato di rinunciare al proprio simbolo e di essere ospitati nelle liste del Pd. Questa operazione di semplificazione, lungi dall'essere una scelta tattica, si fonda su una trasparente e convinta condivisione dell'unico programma messo in campo, quello del Pd.

Sulla scia operata dal partito di Veltroni, anche le formazioni partitiche della sinistra radicale hanno deciso di correre sotto un unico simbolo e con un unico candidato. E pure a destra il processo ha subito una accelerazione improvvisa, dettata dalla necessità di avere una novità da opporre alla novità del Pd. Tra An e Fi, però, si tratta finora di un Pacs, non di un matrimonio: un patto (elettorale) a termine, deciso dai vertici, che avrà bisogno di tempo (se avverrà) per diventare, come è stato per il Pd, un'unione per la vita.

Schieramenti politici semplificati significano più capacità di decidere della politica, più rapidità e stabilità delle decisioni.

Veniamo ai contenuti della politica. Peghin chiede che venga messo al primo posto il problema della crescita, da lui definita il vero bene comune. Il programma presentato l'altro giorno da Veltroni, primo ad aver detto cosa vuol fare in concreto per l'Italia, individua quattro grandi questioni a cui dare risposta: la prima è quella dell'efficienza economica e della qualità dello sviluppo.

Le 12 azioni di governo sono finalizzate a far ripartire il motore dello sviluppo, nella convinzione acquisita che senza crescita economica non c'è welfare (redistribuzione). Cito solo alcune delle ricette avanzate, a beneficio dei lettori, rimandando per la lettura completa dei 12 punti al sito www.partitodemocraticoveneto.org.Se l'avesse letto anche il Presidente Galan eviterebbe di dire delle sciocchezze: al punto 2 lettera i c'è un intero capitolo riservato al federalismo fiscale e infrastrutturale.Al primo posto c'è la riqualificazione della spesa pubblica, vera palla al piede della crescita economica, perché, alimentando il debito del Paese, distrae enormi risorse dalle azioni per la crescita al pagamento degli interessi del debito. Si tratta di un'azione centrale in cui il presente governo ha già ottenuti eccellenti risultati, riconosciuti a livello internazionale: la finanza allegra degli anni di Berlusconi è certo più vendibile sul piano elettorale nel breve termine, ma è miope e causa un danno enorme al Paese. L'obiettivo del Pd è dunque quello di tagliare la spesa corrente primaria di mezzo punto di Pil nel primo anno di governo; un punto nel secondo, un altro punto nel terzo. Ci sono misure concrete che rendono credibile l'obiettivo ambizioso: meccanismi di comparazione dell'efficacia della spesa, taglio degli enti inutili ed unificazione degli uffici periferici dello stato, valutazione della qualità dei servizi e criteri meritocratici per la pubblica amministrazione, ecc.

Al secondo posto il Pd ha messo il fisco amico dell'impresa, con l'obiettivo di aumentare nel 2008 la detrazione Irpef per il lavoro dipendente (l'aumento del potere d'acquisto dei salari per ridare forza ai consumi) e dal 2009 di abbassare le aliquote Irpef di un punto l'anno per 3 anni. Salari più robusti e meno tasse, dunque.Il punto 8 del programma è dedicato a imprese più forti per competere meglio, con cinque misure: incentivi alle piccole e medie imprese per renderle più competitive; incentivare le società non quotate ad entrare in Borsa per avere più sviluppo e più trasparenza; accrescere la contendibilità delle imprese; sviluppare i processi di liberalizzazione riducendo gli spazi di rendita; norme rigorose sul conflitto d'interessi. Stralciata la logica del fondo perduto, si punta su strumenti automatici e a rendere strutturale il credito d'imposta su ricerca e sviluppo. Alcune misure sono pensate in particolare per le Pmi del Nord, volano della crescita di qualità, per valorizzare il loro straordinario patrimonio di vitalità imprenditoriale e incentivare l'innovazione tecnologica e l'internazionalizzazione produttiva, sostenendo i processi di collaborazione industriale per la realizzazione di reti di imprese. Tra queste misure, anche il miglioramento del "forfettone" e la garanzia della non retroattività degli studi di settore.Mi fermo qui, ma invito i lettori de Il Gazzettino a leggere il programma del Pd, che è stringato e chiaro, per constatare come la questione settentrionale, i temi cari al Nord, le legittime rivendicazioni di questa terra siano diventati, nella proposta di Veltroni, agenda politica per tutto il nostro Paese.Paolo Giaretta

(*Segretario regionale del Pd veneto)


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