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Autore Discussione: DIARIO VENETO (1)  (Letto 92571 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Giugno 29, 2008, 06:42:40 pm »

CRONACA


Il ragazzo,19 anni, ha cercato di fuggire, ma è stato raggiunto e colpito ancora

L'assassino, 27 anni, è scappato, ma i carabinieri l'hanno trovato e arrestato

Padova, lite tra due fratelli il più piccolo ucciso a coltellate



 PADOVA - Una lite tra fratelli degenerata nella maniera più tragica. Stasera a Padova un giovane è stato ucciso a coltellate dal proprio fratello. La vittima si chiamava Denis Daniele e aveva 19 anni. L'omicida, Francesco Daniele, 27 anni, subito dopo il delitto è fuggito, ma i carabinieri del Comando Provinciale di Padova l'hanno rintracciato e arrestato.

Il ragazzo è stato ferito a morte durante un litigio cominciato per strada, vicino alla sua abitazione di via Manara. Ancora non si sa nulla dei motivi che hanno portato allo scontro.

Secondo le prime ricostruzioni, Francesco ha colpito una prima volta il fratello con un coltello, ferendolo. Denis è scappato, urlando e chiedendo aiuto, verso il cortile dove aveva uno scooter con cui, forse, pensava di fuggire. Invece è stato raggiunto dal fratello nel giardino del condominio dove abitava. E' stato allora che Francesco avrebbe sferrato altre due coltellate, uccidendolo.

L'assassino è poi fuggito in una chiesa, dove avrebbe tentato di pulirsi e lavare le macchie di sangue. I carabinieri lo hanno rintracciato poco dopo nella zona della stazione di Padova. Ora stanno verificando se al momento del delitto fosse sotto l'effetto di alcool o di sostanze stupefacenti.

(28 giugno 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #61 inserito:: Luglio 03, 2008, 06:51:23 pm »


La speculazione della Curia veronese su Villa Francescatti

2 luglio 2008, 17.03.00

 Raffaele Carcano


Il vescovo Zenti, attraverso il suo ufficio stampa ha diffuso una nota sulla decisione «sofferta» di alienare Villa Francescatti, sede dell’ostello della gioventù. Dice don Fasani che Villa Francescatti, a suo tempo, non è stata acquisita con vincoli di destinazione d’uso. Chi ha competenza in merito deve fare chiarezza. A suo tempo, Villa Francescatti fu acquisita dalla Curia senza spendere una lira. La Curia la acquisì dalle suore che stanno di fronte alla Villa. Le suore la acquisirono per lascito testamentario dall’ultima discendente della famiglia Francescatti perché fosse destinata a favore di donne sventurate. Quando la Curia parla di destinazione d’uso si riferisce alla destinazione d’uso a livello urbanistico o a livello testamentario? Dice la Curia che l’alienazione di Villa Francescatti nasce dalla necessità di «coprire il debito che la Diocesi si porta appresso ormai da troppi anni e che sta ingigantendosi strada facendo, in ragione degli interessi che non lasciano scampo». Non è chiaro se questo debito sia stato incrementato anche dalla liquidazione ricevuta da don Fasani quando ha cessato la carica di direttore di Verona Fedele. Comune e Provincia, che hanno assessori al turismo, non hanno nulla da dire sulla prospettata chiusura dell’ostello della gioventù? I parlamentari veronesi sono al corrente che la Curia ricevette miliardi di lire dallo Stato, in occasione del giubileo, proprio per l’ostello della gioventù? Qualcuno ha intenzione di presentare almeno un’interrogazione parlamentare? Nella stessa dichiarazione dice don Fasani: “Quanto all’otto per mille, la distribuzione del gettito a favore di tutte le Diocesi italiane e di altre Chiese sparse nel mondo, meno fortunate di noi, consente la copertura del mantenimento del clero e di poche altre iniziative liturgico-pastorali”. Non vero, almeno per quanto riguarda la diocesi di Verona. Don Fasani, probabilmente, non ha letto il bilancio pubblicato sul Bollettino ufficiale della diocesi di Verona. La maggior parte dei soldi va nel mattone. E non ci dica che la pubblicità ingannevole che la Cei ci propina da settimane sull’otto per mille viene pagata con le ciaculatorie.

Dalla Newsletter del circolo UAAR di Verona (verona@uaar.it)

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« Risposta #62 inserito:: Luglio 05, 2008, 09:21:54 am »

Discarica illegale: accuse a Benetton

di Emiliano Fittipaldi


L'indagine della procura di Santa Maria Capua Vetere su Andrea Benetton  I Benetton sotto accusa per avere gestito una discarica abusiva in Campania. Questo è il reato contestato dal pm Francesca De Renzis di Santa Maria Capua Vetere, che ha concluso le indagini preliminari e iscritto il giovane Andrea, figlio di Carlo e nipote di Gilberto e Luciano, nel registro degli indagati.

Secondo il capo di imputazione, insieme ad altri tre dirigenti della Cirio Agricola, Andrea avrebbe messo in piedi un'attività non autorizzata per gestire lo smaltimento di rifiuti. Nell'area del vecchio impianto Cirio di Piana di Monte Verna, vicino Caserta, gli inquirenti hanno trovato di tutto: eternit, batterie, pneumatici, oli esausti, provette di sangue, altri rifiuti speciali di varia natura, persino un feto di vitello.

L'accusa è pesante, e il giovane Benetton, amministratore unico dell'azienda proprietaria dell'area di 60 mila metri quadri dissequestrata solo pochi giorni fa, rischia fino a tre anni.

Dalla Procura e da Ponzano Veneto, quartier generale degli imprenditori veneti, non trapela nulla. Ma l'irritazione dei Benetton, dicono fonti vicino alla famiglia, è enorme. Se gli inquirenti ipotizzano l'uso sistematico del sito come discarica abusiva, per gli imputati i rifiuti sarebbero solo materiali veterinari e attrezzature di vecchi capannoni dismessi in cui si produceva latte.

Monnezza che la società avrebbe 'ereditato' dopo aver comprato Cirio Agricola dall'amministrazione controllata. In effetti l'asta ministeriale si basò anche su un piano industriale che prevedeva la bonifica ambientale.

Ma i magistrati hanno deciso, dopo le indagini della Guardia di Finanza di Caserta, di contestare il reato più grave e non applicare la norma, più blanda, che punisce chi abbandona rifiuti di sua proprietà

(03 luglio 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #63 inserito:: Luglio 27, 2008, 12:24:12 am »

Elzeviro - Un parco letterario sui luoghi dello scrittore

Rigoni Stern resta sull'altipiano


«Il bosco sarà immerso in un tempo irreale e io andrò a camminarci dentro come in sogno. Molte cose mi appariranno chiare in quella luce che nasce da se stessa».


Con queste parole in cui tutto si tiene — la scomposizione delle cronologie tipica di quando uno chiude il periplo della vita, la fedeltà a un'esistenza regolata sui ritmi della natura, la speranza in una grazia che proprio nella natura trova rispecchiamento — Mario Rigoni Stern nove anni fa anticipava il suo congedo con un libro bellissimo, Inverni lontani. E così, impegnato nell'ultima e solitaria marcia descritta allora, i lettori che l'hanno amato potevano immaginarlo un mese fa, nel momento della scomparsa.

La gente di Asiago vuole ora trasformare l'intero altopiano in un «parco letterario» a lui dedicato. Un modo per proiettarne il ricordo nel futuro, con segni e riferimenti disseminati qua e là, e per trasformare la sua assenza in una «più acuta presenza», come diceva Attilio Bertolucci.

Un po' quel che hanno fatto gli abitanti di Malo, pochi chilometri a valle, i quali hanno dedicato a Luigi Meneghello contrade, vicoli e piazzette raccontati nella piccola epopea paesana di Libera nos... In realtà, qualsiasi foresta e uomo e animale la popoli evocheranno sempre, sotto ogni latitudine, l'opera di Rigoni Stern. Che «resterà» comunque, perché riassume un alfabeto di valori oggi più che mai necessari, un antidoto al generale smarrimento.

Lo sanno bene i giovani che hanno avuto la fortuna di parlargli, finché ha potuto accettare questo genere di contatti.

In un incontro avvenuto tre anni fa, un gruppo di liceali del suo paese, in bilico tra radici contadine e tentazioni urbane, gli domandò come si poteva contrastare, rimanendo sull'altopiano, il rischio di essere «prevaricati e marginali in quanto montanari» (con l'ansia che tale condizione implichi di per sé una sorta di indigenza sociale e retrocessione culturale). Lui rispose con la tenerezza di un nonno che si rivolge ai nipoti: «Anzitutto spegnete la tv, almeno ogni tanto, perché non vi lascia ragionare. Uscite di casa e imparate dal "libro del bosco", che è un'ottima pedagogia. Guardatevi intorno e fate il calcolo costi-benefici tra il restare e l'andarsene: qui, per esempio, si vedono ancora le stelle, giù in pianura c'è troppa luce per riuscirci. Parlate tra voi, innamoratevi. Non abbiate complessi e provate a ribellarvi. Io cerco di farlo ogni giorno, da quando avevo la vostra età e fui ingannato con milioni d'altri italiani».

Fu l'unico cenno alla guerra, sui fronti di Francia, Grecia, Albania e, da ultimo, della Russia. Un'esperienza da cui trasse le pagine del Sergente nella neve, pubblicato nel 1953, che lo consacrò subito scrittore. «Scrittore non di vocazione», precisò Elio Vittorini dopo aver letto il manoscritto, quasi a sottolineare che il diario della ritirata del Don era stato dettato da ragioni morali prima che intellettuali ed era dunque un'opera eminentemente politica. La profezia, con il sottinteso che il lavoro di Rigoni Stern si sarebbe per forza raggelato nella dimensione del neorealismo, e nel limite di quella stagione letteraria, fu poi smentita da molti romanzi e racconti. Gran parte dei quali ispirati al microcosmo della montagna, con infinite figure traghettate nell'arca delle sue storie. Tutte costruite su un linguaggio di concreta e casta semplicità, paragonabile al narrare contadino dei «filò», al caldo delle stalle. Basta pensare a come descrisse gli occhi «umidi e pietosi» dei caprioli che, in un inverno più freddo e difficile degli altri, uscivano dal folto degli abeti e venivano a morire vicino a casa, una macchia rosa contro la verde oscurità del bosco. O a come battezzò con nomignoli affettuosi gli scoiattoli, le volpi, le lepri, i fringuelli che, con comportamenti e canti particolari, annunciavano il disgelo e il ritorno della primavera.

L'ultima battaglia della sua vita Rigoni Stern l'ha «combattuta» al fianco degli amici Gigi Meneghello e Andrea Zanzotto, firmando assieme a loro denunce e appelli in difesa del poco che resta salvabile dei paesaggi veneti.

Paesaggi che furono da arcadia, selvatici o pettinati da un'agricoltura sana, prima che la logica di un soprasviluppo senza lungimiranza e senza regole li devastasse. Ora su quella trincea, dopo che il vecchio «sergente» se n'è andato, è Zanzotto la sentinella superstite.

Marzio Breda
15 luglio 2008

da corriere.it
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« Risposta #64 inserito:: Luglio 29, 2008, 11:50:23 pm »

CRONACA

La 'mente' del gruppo, costituito per lo più da imprenditori del settore plastico è un vicentino, arrestato all'aeroporto Marco Polo mentre stava per partire per gli Usa

Maxievasione fiscale in 5 regioni

Undici arresti e 60 perquisizioni

Fra i destinatari dei provvedimenti c'è il fratello del presidente dell'Atalanta Calcio



VICENZA - Undici arresti e sessanta perquisizioni in cinque regioni per una presunta evasione fiscale da decine di milioni di euro. Il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza sta eseguendo i provvedimenti tra il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia, la Lombardia, l'Emilia-Romagna e il Trentino-Alto Adige.

La 'mente' del gruppo di evasori, un imprenditore vicentino, è stato arrestato poco prima che prendesse un aereo per gli Stati Uniti. I finanzieri, secondo quanto si è appreso, lo hanno bloccato all'aeroporto veneziano Marco Polo mentre era in attesa di imbarcarsi.

Fra i destinatari dei provvedimenti restrittivi figura il fratello del presidente dell'Atalanta Calcio. Le misure cautelari, emesse dal gip Agatella Giuffrida su richiesta del pm Claudia Del Martello, sono l'epilogo di due anni di indagine che hanno visto i finanzieri svolgere accertamenti anche in Slovenia e Austria, facendo emergere una presunta evasione di decine di milioni di euro, secondo un meccanismo collaudato delle cosiddette frodi carosello.

Il meccanismo messo in piedi dagli indagati, secondo quanto accertato anche attraverso intercettazioni telefoniche, garantiva una predominanza delle aziende coinvolte nel loro settore, sbaragliando così i concorrenti grazie ad un prezzo decisamente favorevole. Coinvolte varie aziende del settore delle materie plastiche.

(29 luglio 2008)


da repubblica.it
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« Risposta #65 inserito:: Luglio 30, 2008, 10:51:41 pm »

SITUAZIONE DELLE FALDE ACQUIFERE VICENTINE

Le falde acquifere del vicentino, grandi serbatoi sotterranei di ottima acqua presenti nella fascia pedemontana che alimentano il sistema acquedottistico della nostra ed altre province, da qualche tempo manifestano problemi che abbisognano di soluzioni tempestive e condivise.
          Per molto tempo, come comunità vicentina e non solo, abbiamo potuto usare senza rilevanti impatti negativi sull’ambiente l’acqua di cui abbondantemente disponevamo, perché quanto abbiamo usato per le nostre attività economiche e la nostra vita quotidiana, è stato sostanzialmente recuperato con la piovosità , senza alcuna rottura dell’equilibrio idrico instaurato.
           Negli ultimi anni però (come risulta dai dati dell’Amministrazione Provinciale e di un convegno del 2003 dell’Accademia Olimpica), si registra una diminuizione permanente del livello della falda, stimabile nel 2004 in un calo di 2,5 metri rispetto ai valori del 1970; cioè si perdono ogni anno 7 – 8 centimetri di acqua.  Il fenomeno è immediatamente ed evidentemente percepibile osservando il prosciugarsi di alcune sorgenti e la diminuizione di portata di altre, ma si può anche misurare in modo preciso valutando la risalita naturale dei pozzi artesiani rispetto al piano campagna.

          Le motivazioni della rottura di questo equilibrio millenario possono essere ricondotte , in linea di massima, a tre aspetti, tutti dipendenti dall’azione dell’uomo o meglio dalla politica economico-sociale-territoriale adottata da noi in questi anni:

RIDUZIONE DELLA PIOVOSITA’
la pioggia è l’unica fonte di rialimentazione della falde idriche provinciali. I dati disponibili evidenziano una riduzione della piovosità dagli anni ’60 al 2000, percentualmente diversa nelle varie zone della provincia, ma comunque significativa e rapportabile ad una media dell’11,4% (un volume di circa 200 milioni di metri cubi di acqua in meno ogni anno). Le previsioni al 2010, secondo i ricercatori meno traumatici, indicano con i loro calcoli una riduzione attorno al 20%.

AUMENTO DELLA SUPERFICIE IMPERMEABILE
Tetti, piazze, strade ed altre coperture sono enormemente aumentate nella nostra provincia; evidente conseguenza è un trasferimento più veloce a valle delle acque meteoriche, e ciò oltre a provocare un maggior rischio di esondazioni, impedisce la graduale infiltrazioni nel terreno di acqua piovana; di fatto si impedisce così la ricarica della falda.

AUMENTO DEI CONSUMI IDRICI
Il consumo di acqua, nella nostra provincia, agli inizi del ‘900, era di 10 -15 litri al giorno per ciascuno per una popolazione inferiore alle 500.000 persone; oggi il fabbisogno medio totale, compresi i consumi delle attività produttive e le perdite di rete, supera i 350 litri per abitante per giorno e la popolazione è passata a circa 800.000 unità. Questi pochi dati, meglio di ogni altro indicatore, possono dare un’idea dello sviluppo enorme che si è verificato nel nostro territorio, ma contemporaneamente, quantificano chiaramente la pressione esercitata sulle riserve idriche ed il conseguente “dramma idrico” che ne è derivato.

Dall’esame dei tre fenomeni descritti, emerge chiaramente che stiamo usando più acqua di quanta ne renda disponibile la ricarica naturale, stiamo intaccando un patrimonio rimasto immutato per secoli ed unico in Italia, ci stiamo avviando verso una strada senza uscita, se non ci diamo da subito l’obiettivo di ristabilizzare l’equilibrio idrico prima, e recuperare la situazione perduta poi.

Anche il mantenimento della qualità delle acque è un obiettivo da perseguire costantemente; visto l’elevato grado di vulnerabilità delle falde stesse. La zona di ricarica, cioè la zona di natura ghiaiosa che si estende dalla pianura Nord alla fascia pedemontana,  può, per la sua stessa natura fisica, facilmente raccogliere gli scarichi inquinanti, diffusi o circoscritti, di qualsiasi attività si verifichi in superficie,  e provocare alterazioni o contaminazioni delle acque superficiali e profonde.



                             IL PROGETTO DAL MOLIN

A questa già precaria situazione si aggiunge nel 2006 un ulteriore elemento di pressione: il progetto per l’insediamento di una nuova base americana a Vicenza, nell’area dell’aereoporto Dal Molin.

                   Il primo fattore di pressione è rappresentato dai consumi ingenti richiesti per il funzionamento della base. I prelievi di acqua di questa nuova realtà, calcolati in base alle richieste di fornitura formulate ad Aim dal comando americano, sarebbero da 1,9 (ipotesi di minima) ad 8,2 (ipotesi di massima) milioni di metri cubi annui. Un consumo spropositato, sia se lo rapportiamo agli attuali consumi dei cittadini di Vicenza, ed ancor di più se lo mettiamo in relazione con quanto esposto precedentemente. 
          Come varieranno le tariffe del servizio acqua a seguito di questa improvvisa impennata nei consumi?  Ed in caso di probabile o periodica indisponibilità ai prelievi, quali saranno le esigenze e le attività che per prime saranno soddisfatte?

           Il secondo elemento negativo è costituito dall’elevato grado di rischio cui è sottoposta una sorgente d’acqua di per sé fragile ed estremamente vulnerabile. Già nella prima riunione del CO.MI.PA., nel giungo 2006, l’Amministrazione Provinciale formulava le sue perplessità in merito alla localizzazione della base, proprio sopra le falde acquifere della pianura a Nord di Vicenza, considerandola rischiosa per possibili inquinamenti in caso di perdite e sversamenti, sia pure occasionali od accidentali, di carburanti,  lubrificanti o altre sostanze similari, e/o più pericolose.


                         LA PROGRAMMAZIONE REGIONALE

           Il piano d’Ambito dell’ATO Bacchiglione,  cioè il documento di gestione e programmazione dell’ATO stesso, recepisce il Modello Strutturale degli Acquedotti del Veneto (MOSAV), precedentemente approvato dalla Giunta Regionale con  delibera 1688 del 16 giungo 2002.  Obiettivo del MOSAV è assicurare ai cittadini dell’intero territorio regionale piena e sicura disponibilità di acqua potabile, attraverso la predisposizione delle necessarie strutture, ed inoltre “definire i criteri ed i metodi per la salvaguardia delle risorse idriche, la protezione e la ricarica della falda”.
           Alla delibera regionale sono allegati gli elenchi delle risorse da utilizzare per il prelievo dell’acqua e quelle da utilizzare con riserva. La gestione delle risorse è improntata a criteri di sostenibilità ambientale perché il documento citato prevede per l’utilizzo a fini idropotabili dell’acqua che “nelle zone di ricarica degli acquiferi le variazioni in aumento sono subordinate comunque alla realizzazione degli interventi di ricarica”. Per interventi di ricarica si intendono interventi artificiali atti a restituire in qualche modo alla falda il maggior quantitativo d’acqua richiesto. Il comune di Vicenza non è in zona di ricarica degli acquiferi, ma lo è il comune di Caldogno. Per pochi metri fisici si può sostenere con ragionevolezza che un maggior prelievo di acqua di falda non avrà ripercussioni negative sull’ambiente? Sulla falda? Sulla futura disponibilità idrica?
          Nell’elenco delle risorse da utilizzare con riserva figurano la falda artesiana di Abbadia Polegge nel territorio comunale di Vicenza ed i pozzi di Polegge Cavazzale in comune di Monticello Conte Otto e Dueville. L’utilizzo di quest’acqua, è specificato nel documento, “è subordinato all’acquisizione di uno studio che dimostri la fattibilità ambientale del prelievo”.  Tutto fa pensare che la Regione Veneto, a livello di programmazione, voglia fare il possibile per tutelare quella vera e propria banca dell’acqua che sta lungo la linea delle risorgive, nella fascia pedemontana, da dove viene erogata quasi tutta l’acqua potabile per le popolazioni di pianura limitrofe. Quali fonti idriche si intendono utilizzare per i rifornimenti richiesti dalla nuova base americana? Verrà effettuato lo studio di fattibilità ambientale previsto dalla programmazione regionale?

          Da ultimo, sappiamo che la regione Veneto ha recentemente (07/08/2007) adottato due provvedimenti: la costituzione della Cabina Tecnica di Regia avente come scopo "interventi per il contrasto della risalita del cuneo salino, per la costituzione di nuove riserve idriche,  per il recupero dei livelli di falda, per potenziamento e razionalizzazione degli acquedotti, per il contenimento dei consumi idrici in agricoltura, per attrezzature ed impianti per la fornitura idrica potabile, per il riuso di acque reflue...." e, con l'Assessore alla Protezione Civile, il Piano di Interventi per fronteggiare le crisi diriche. Ad ulteriore dimostrazione che i problemi prima rilevati sono ormai una realtà indiscussa nella nostra regione, ed ad ulteriore dimostrazione che ogni nuovo prelievo ingenererà nuove e drammatiche criticità, per cui va valutato correttamente e con ottica di lungo periodo. 

         I problemi evidenziati hanno bisogno di risposte urgenti, trasparenti e condivise da più volontà politiche e tecniche.

da files-meetup.com
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« Risposta #66 inserito:: Agosto 08, 2008, 05:33:36 pm »

COME RIDURRE LA SPESA

Le forbici intelligenti


di Francesco Giavazzi


In Veneto vi sono sette conservatori, una densità sconosciuta persino nella ricca Germania, paese con ben altra tradizione musicale.

I tagli alle spese dello Stato decisi nei giorni scorsi significano che verrà eliminato il corso di tromba a Castelfranco, quello di percussioni a Vicenza, e così via, ma ciascun conservatorio continuerà a funzionare. Risultato: musicisti più scadenti e qualche risparmio. Forse perché quei professori di tromba e percussioni non potranno essere licenziati. Perché, invece, non chiudere cinque conservatori e concentrare risorse e studenti nelle due sedi migliori? Le scuole chiuse potrebbero essere vendute, con un'entrata, questa sì certa per lo Stato.

Le Forze Armate svolgono compiti essenziali, ma godono anche di alcuni privilegi. L'arsenale di Venezia ha perduto la propria funzione strategica quando si è dissolta la ex Yugoslavia. E tuttavia continua ad ospitare un ammiraglio, un paio di motovedette e qualche decina di marinai. I tagli non impongono che l'arsenale venga chiuso: riducono solo il denaro a disposizione dell'ammiraglio. Ma egli prenderà esempio dalla Sanità su come si possono aggirare i limiti alla spesa: le sue motovedette continueranno a navigare e si riforniranno di nafta a debito. (D'altronde che altro potrebbe fare: finché il suo presidio non viene dismesso egli ha la responsabilità di farlo funzionare). Tagli indiscriminati alla Difesa colpiranno anche le nostre missioni all'estero: perché trattare i marinai in Libano come quelli all'arsenale?

Abbiamo cento università, ciascuna con i suoi corsi triennali, biennali e di dottorato. A Roma ad esempio vi sono quattro corsi di dottorato in economia. I tagli significano che anziché avere sei studenti ciascuno ne avranno solo tre. Il risparmio c'è: dodici borse di studio in meno, ma non è certo questo il modo efficiente per organizzare dei corsi di dottorato. Sono solo esempi di cattiva organizzazione, ma ve ne sono di ben più scandalosi e vergognosi.
Giulio Tremonti pensa che i suoi tagli imporranno la razionalizzazione della spesa. Può essere. In effetti se non si comincia le spese non scenderanno mai. Ma così come sono stati attuati, i tagli verranno applicati pro-quota e colpiranno in egual misura un po' tutti: sia le attività che sono puri sprechi e dovrebbero essere chiuse, non ridotte, sia quelle che invece dovrebbero essere potenziate. Il ministro dell'Economia non è responsabile solo per quanto si spende ma anche per come si spende. Sta a lui il compito, ingrato, di obbligare i ministri ad operare scelte incisive che assicurino l'efficacia dei tagli.
Perché tagliare senza riorganizzare, spesso equivale a non tagliare.

Si poteva, ad esempio, accompagnare al decreto sui tagli un provvedimento che impone l'applicazione delle misure identificate dalla Commissione Muraro.
Nominata dal precedente governo (che non la utilizzò) la commissione ha individuato, ministero per ministero, come riorganizzare le attività per ridurre la spesa, ma quelle indicazioni molti ministri neppure le conoscono. L'immagine che da qualche giorno Tremonti usa, la «gabbia di Faraday» che protegge il bilancio dello Stato, è suggestiva, ma non basta una bella immagine per riorganizzare la spesa. Quattro anni fa anche il ministro Domenico Siniscalco si affidò ad una bella immagine, la «regola di Gordon Brown»: il risultato fu che l'anno successivo la spesa crebbe due punti più dell'inflazione.


08 agosto 2008

da corriere.it
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« Risposta #67 inserito:: Settembre 08, 2008, 10:25:03 pm »

Il sindaco di Vicenza risponde a Berlusconi: «Il referendum sulla base è legittimo e giusto»

 
VICENZA (8 settembre) - Achille Variati, sindaco di Vicenza, risponde al premier Silvio Berlusconi, che ieri gli aveva indirizzato una lettera nella quale definiva «gravemente inopportuna» la consultazione popolare sulla nuova base americana indetta dal consiglio comunale per il 5 ottobre.

«Per noi invece è opportuna, legittima e giusta», ha ribattuto Variati al preimer. Che poi ha aggiunto: «Abbiamo sempre spiegato, anche al governo, che il referendum non è su una materia sottratta al potere dell'ente locale. Ai cittadini, cioè, non chiediamo di esprimersi su scelte di politica estera o di difesa, e neppure sul "base sì, base no". I vicentini dovranno dire se vogliono o meno che il Comune avvii la procedura per chiedere la cessione di un'area delicatissima dal punto di vista ambientale, da destinarsi a usi collettivi.

Questo - ha sottolineato il sindaco - è nelle nostre facoltà: e credo che, se a chiederlo saranno in molti, avrà peso».

Una posizione, questa, che Achille Variati definisce: «non certo improntata all'anti-americanismo».

Spiegando: «Diciamo di no a questo progetto localizzato in quel sito particolare per le specifiche ragioni che abbiamo sempre addotto. E va detto che, nei fatti, fino a questo momento le autorità americane hanno agito con intelligenza, senza forzare la situazione pur avendo già la disponibilità materiale dell'area: non hanno avviato i lavori, contribuendo a non acuire le tensioni».

Per ricordare l'11 settembre, il Comune di Vicenza ha inoltre organizzato, insieme al comando americano della Ederle, una cerimonia di preghiera multi-confessionale in onore delle vittime. Questo «a ulteriore prova dell'amicizia tra Vicenza e la comunità americana», ha detto il sindaco. Per il quale esiste, con gli ospiti statunitensi, «un legame che ci unisce da oltre cinquanta anni».

da ilmessaggero.it
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« Risposta #68 inserito:: Settembre 16, 2008, 03:54:56 pm »

Apartheid a Treviso: tolleranza doppio zero

Toni Fontana


«Se non ci fossi tu non saremmo mai venuti qui - dicono balbettando - non ci vogliono, non ci sopportano». Eppure nessuno ha gridato "arabo di merda". «Non lo dicono, ma lo pensano - ribatte Khalid - se portassimo qui i nostri figli a giocare - aggiunge indicando un gruppetto di bimbi che offre grano ai piccioni - si crerebbe il vuoto attorno a loro». Nessuno parla, nessuno offende, occorre osservare con discrezione per cogliere certi sguardi che solo i veneti sanno fare, occhi fulminei che sfiorano la barba di Khalid e tagliano l’aria. E dicono tutto.

A Treviso la partita si sta facendo pesante, qualcuno teme che prima o poi ci scapperà il morto, come a Milano. Ma non saranno i tranquilli ospiti del caffè in piazza dei Signori a sfoderare spranghe e coltelli. Dietro le quinte si preparano gli uomini di Klu Klux Klan e i mandanti hanno già impartito gli ordini: "tolleranza doppio zero". Sui telefonini degli amici di Khalid, giovani musulmani di seconda generazione, i bit annunciano messaggi con minacce di morte. Chi ha affittato loro i locali di un ex supermercato a San Liberale, popolosa periferia ad "alta intensità di stranieri", è stato avvertito: attento a te, potresti morire. Quasi tutte le notti partono i raid e sulla mura del locale affittato compaiono scritte come "Allah-Satana, il figlio di Satana è Maometto". Domenica a Venezia, dal palco leghista, il pro-sindaco Gentilini ha letto la nuova dichiarazione di guerra: «Macché moschee, gli immigrati vadano a pregare e a pisciare nel deserto». La cupola leghista ha deciso: Treviso sarà la capitale della nuova crociata contro l’Islam. L’odio dispensato a piene mani da anni ha attecchito e si annunciano tempi duri.

A Treviso vi sono 84mila immigrati, la maggior parte in regola, lavorano nelle fabbriche, pagano i contributi, producono ricchezza che serve per assicurare le pensioni dei nostri anziani (il 5% del pil in Veneto). La prima generazione ha sgobbato senza fiatare. Ora si affaccia la seconda, ragazze e ragazzi che hanno assorbito stili di vita occidentali e che vivono con angoscia "l’apartheid" imposto dai leghisti. Meryem ha 21 anni, studia economia internazionale all’università di Padova, parla cinque lingue, l’italiano con inflessione veneta: «Fin da bambini si impara che cos’è il razzismo, alcuni dio noi si abituano a subire, non reagiscono, io ho imparato a dare una sberla a chi mi insulta. Noi non vogliamo più essere cittadini di serie B, esclusi, emarginati, molti hanno il passaporto italiano, il lavoro non manca, ma la città è off limits, ci accettano solo quando lavoriamo, poi dovremmo rintanarci nelle nostra case di periferia». Moschea-banlieue, dicono i ragazzi dell’associazione presieduta da Meryem, sognando le rivolte di Parigi. Quando Meryem sale sull’autobus le parlano male degli immigrati credendola italiana, ma fanno un passo indietro quando scoprono che è nata in Marocco. In questura sono arrivate molte segnalazioni di pendolari. Dicono che quando un nero viene trovato senza biglietto viene scaricato in mezzo alla campagna. «O viene portato al commissariato - dice Yaguine, un ragazzo della Costa d’Avorio - molti sono stati fermati solo perché non avevano il biglietto. Ai bianchi non succede. Presto ci saranno gli autobus per i bianchi e quelli per i neri». E l’ispiratore è sempre lui: Putin-Gentilini. Non potendo farsi rieleggere per la terza volta alla carica di sindaco, ha trovato un sostituto di paglia , Gobbo, e continua a comandare lui. Tre i capisaldi della sua filosofia. 1) I negri? «Si vestano da leprotti così i cacciatori possono fare pin pin con il fucile. 2) L’Islam? un cancro che va estirpato prima che arrivi la matastasi. 3) Il fascismo? Ho nostalgia di una maschia gioventù che ubbidiva e lavorava». Tanti i discepoli. In una fabbrica hanno messo un cartello anonimo: «Aperta la stagione venatoria, sparate a negri e comunisti». La Cgil ha presentato una denuncia. «Queste non sono sparate - spiega lo scrittore Tiziano Scarpa - loro vogliono "rompere i coglioni" agli immigrati, far sapere che non saranno mai dei nostri, come noi, vogliono intimorire, infastidire». In un comune della provincia il sindaco ha riservato le borse di studio ai soli bambini "bianchi", quando un’altra amministrazione ha concesso la palestra di una scuola per il Ramadan i genitori di molti allievi hanno tenuto a casa i figli e preteso una "disinfestazione". Da 5 anni anni la comunità islamica cerca un luogo per la preghiera del venerdì. Gentilini ha usato tutti gli strumenti "urbanistici" e di polizia per vietare i raduni dei fedeli di Allah che pregano nei parcheggi dei supermercati, dentro edifici offerti per una sola volta da alcune amministrazioni. Da alcuni giorni una troupe di Al Jazeera sta firmando le preghere per il Ramadan e quello di Treviso sta diventando un caso internazionale. Vista l’assenza di risultati Meryem ed alcune ragazze della Seconda Generazione hanno promosso una spaccatura nella comunità islamica ed organizzato alcuni incontri di preghiera nel parcheggio dello stadio del rugby alla periferia di Treviso. Gentilini ha mandato i vigili ed ha chiesto e ottenuto l’intervento della polizia. I giovani musulmani hanno affittato l’ex supermercato di via Puglie: «Vogliamo promuovere corsi di italiano per i nostri immigrati, e corsi di arabo per gli italiani che ce l’hanno chiesto - dice Meryem - la gente del quartiere ci saluta e ci aiuta, loro, Gentilini e i suoi ci odiano, ma noi vogliamo solo aiutare la nostra gente». «Vadano a pisciare altrove» - tuona lo sceriffo. Il consigliere leghista Antonio Fanton, un pasdaran di Gentilini, si trovava "per caso nei paraggi" e lamenta un’aggressione. «Ci ha provocato - ribattono i giovani di Seconda generazione - sputava per terra e insultava». Poi sono comparse le scritte, quindi le minacce di morte. Gentilini ha trasformato il Ramadan in una guerra senza quartiere, totale: «Estremisti, terroristi, se dovessero realizzare un assembramento scatterà lo sgombero». I ragazzi vivono nell’angoscia, da un momento all’altro possono scattare le manette. Con loro si è schierato il parroco di Sal Liberale, don Paolo Zago e Gentilini ha attaccato anche lui: «boicottate la parrocchia» - ha urlato. Ma i fedeli non lo hanno ascoltato. Il presidente della Provincia, il leghista Muraro, ha avuto un’idea per risolvere il problema: «evangelizziamo i musulmani».

Pubblicato il: 16.09.08
Modificato il: 16.09.08 alle ore 9.13   
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« Risposta #69 inserito:: Settembre 19, 2008, 05:47:27 pm »

Il Veneto tra razzismo e integrazione

Gigi Marcucci


«La prima volta ho pensato a un errore. La seconda a una coincidenza. La terza ho capito, stava succedendo proprio a me». Silvia Elena Ayon è nata 44 anni fa in Nicaragua, ha una laurea in economia urbana, un marito e un figlio italiani, due grandi occhi scuri che parlano della sua origine. Coordina progetti di sviluppo in due continenti, di fatto amministra circa 41 milioni di euro per conto dell’ Unione europea e di altri finanziatori pubblici.

Lavora nel volontariato ma è a tutti gli effetti una manager. Il 14 maggio è su un autobus della linea 12, diretto in zona stadio, periferia di Verona. Un signore anziano la avvicina e le dice: «Spostati, quel posto è mio». Lei crede di aver capito male, gli indica altri sedili liberi. Lui si mette a urlare: «Voi stranieri ve ne dovete andare, dovete smetterla di portare via il lavoro a noi italiani». Elena urla a sua volta, quasi si vergogna di provare rancore verso un anziano. Ma davanti al silenzio degli altri passeggeri le si accappona la pelle, il gelo le si infila tra le scapole, come il gomito di quella signora che, qualche giorno prima, su un autobus molto più affollato, le ha detto di andarsene. Era proprio così, quella gomitata non era «un errore». È lo stesso freddo nelle ossa che ha avvertito in treno, quando alcuni viaggiatori hanno indicato lei e suo figlio al controllore, chiamandoli "stranieri". Accade a Verona, dove Nicola Tommasoli, disegnatore non ancora trentenne, è stato ucciso a calci e pugni per aver rifiutato una sigaretta a una ronda di diciottenni con un debole per l’estrema destra. Nicola aveva i capelli lunghi, raccolti in una crocchia. Prima di picchiarlo, lo hanno chiamato "codino".

Accade, paradossalmente, nella stessa città che ospita il quartier generale dei padri comboniani e ha visto missionari partire verso i luoghi più poveri e disperati del pianeta. Nella città dove ogni giorno almeno un imprenditore bussa allo sportello "stranieri" della Cisl lamentando di non poter assumere lavoratori immigrati, causa intoppi burocratici e legislativi; dove i nuovi assunti di nazionalità straniera sono il 31%, la quota più elevata del Veneto (fonte: dossier Caritas 2007). Sempre a Verona, ogni anno, mille persone bussano alla porta di ProgettoMondo, l’Ong per cui lavora la signora Ayon, chiedendo di partecipare a questo o quel progetto di cooperazione oltre frontiera. Ma il sindaco di questa città è il leghista Flavio Tosi, eletto col 66% dei suffragi, e ha tagliato i finanziamenti al Festival del cinema africano, una manifestazione che ogni anno attira a Verona alcune migliaia di persone. «No, non vogliamo sentirci un corpo estraneo, ma di sicuro siamo una minoranza». Il comboniano padre Aurelio Boscaini è passato attraverso Ruanda, Burundi e Togo prima di approdare a Nigrizia, nella stessa stanza appartenuta ad Alex Zanotelli. In quegli uffici è in funzione da qualche mese Afriradio, la prima emittente web a occuparsi a tempo pieno di Africa con notiziari e spazi di approfondimento. Nasce da una costola di Nigrizia - nata sul finire dell’800 e traformata in rotocalco nel ’58, dal genio di Enrico Bartolucci -, che ora si sta lanciando nel multimediale. «Noi qui remiamo contro, la maggioranza della città è col sindaco Flavio Tosi, ma i veronesi non li definirei razzisti. Sono certamente di destra, rispondono sicuramente a un riflesso d’ordine, ma non sono razzisti».

Certi episodi rimangono di difficile classificazione, ammette Boscaini. «L’altro giorno, un fratello degli stimmatini (congregazione che prende il nome dalle stimmate di Gesù ndr), raccontava l’avventuroso approdo veronese di un frate della Costa d’Avorio. Ha chiesto a quattro passanti la strada per il convento, i primi tre non gli hanno nemmeno rivolto la parola». Strano a vedersi in una città che vanta 50 congregazioni religiose femminili e 30 maschili, dove quasi ogni famiglia a un parente che fa il sacerdote, è entrato in convento oppure fa il missionario. L’anima di Verona è profondamente divisa, spiega Boscaini. Tutte le famiglie, religiose e non, sono attraversate da una profonda lacerazione: «La morte di Tommasoli ci ha mostrato una società a cui appartengono sia l’assassino che la vittima», dice il padre comboniano. San Zeno, vescovo e patrono della città, era nero. Il suo successore, Giuseppe Zenti, dedica molta attenzione ai clandestini, sostenendo che il racket va sconfitto. Parole che ha visto e toccato con mano la povertà e l’ingiustizia del continente africano non commenta volentieri. «Credo che la Chiesa, anche a Verona, dovrebbe diffondere la voce del Profeta», dice padre Boscaini, e cita il Vangelo (Matteo,25): «Perché ero affamato e mi hai dato da mangiare...». Ivana (il nome è di fantasia) è arrivata un anno fa dall’Albania. E’ stata assunta grazie al decreto flussi, ma il primo datore di lavoro, a Udine, voleva metterla sul marciapiede. Lei non voleva tornare a Scutari, sua città natale, ed è scappata a Verona. Qui un imprenditore della plastica voleva assumerla, ma il vecchio padrone non aveva comunicato il licenziamento di Ivana all’Ufficio unico del lavoro. E il pacchetto sicurezza promette il carcere a chi dà lavoro in nero agli stranieri. Così il nuovo datore di lavoro si è messo in auto con Ivana e, dopo alcuni viaggi inutile, tra Udine e Verona, ha trovato con Jean Pierre Piessou, coordinatore dell’ufficio stranieri della Cisl ,una soluzione semplice: rivolgersi a un altro commercialista e firmare la lettera di assunzione. Sono tempi duri anche per chi dà lavoro a circa 2.500 immigrati dall’America latina che vantano parentele italiane. Hanno un permesso di soggiorno che non permette loro di lavorare, eppure li trovi nei cantieri. Regolari ma clandestini. Verona che maltratta gli stranieri sugli autobus è la stessa che si sbatte per trovare forza lavoro, senza preoccuparsi del passaporto dei dipendenti. Sono anime diverse della stessa città ma non comunicano tra loro. Lo dicono i bigliettini che tutt’ora ricoprono il luogo dove Nicola Tommasoli è stato assassinato, vicino a Porta Leoni. Lì qualcuno ha lasciato un verso di Nazim Hikmet: «Ho vissuto molto o poco?... Scrivo quel che mi attraversa, ma nessuno legge, nessuno ascolta»

Pubblicato il: 19.09.08
Modificato il: 19.09.08 alle ore 8.09   
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« Risposta #70 inserito:: Settembre 19, 2008, 05:57:20 pm »

Base Usa, Napolitano ai consiglieri di Vicenza: combinare ragioni cittadini con quelle nazionali

 
VICENZA (19 settembre) - «Gli interessi dei cittadini, possono e debbono combinarsi con le ragioni della collettività nazionale». Il Capo dello Stato Giorgio  Napolitano si è rivolto così ai consiglieri comunali di Vicenza che ha incontrato in mattinata. Nella dichiarazione un riferimento implicito alla vicenda dell'ampliamento della base militare Dal Molin, che divide la città. Fra l'altro, proprio sulla questione si svolgerà il 5 ottobre prossimo un referendum, che il presidente del Consiglio Berlusconi ha chiesto di non celebrare. Degli impegni presi dall'Italia con il governo americano per l'ampliamento della base, Napolitano ha parlato con George W.Bush il 12 dicembre dell'anno scorso alla Casa Bianca, assicurando che l'Italia avrebbe mantenuto gli impegni. Il Capo dello Stato Napolitano è in visita a Vicenza per inaugurare la mostra in occasione delle celebrazione del cinquecentesimo anniversario dalla nascita di Andrea Palladio.

Vessillo No Dal Molin da un consigliere. Il Capo dello Stao ha avuto un colloquio con il sindaco colloquio con il sindaco di Vicenza Achille Variati e poi ha incontrato il consiglio comunale. Durante la visita il consigliere comunale Cinzia Bottene di "Vicenza Libera" che si oppone alla "Ederle 2" ha consegnato a Napolitano una fotografia aerea dell'area dove sorgerà la base americana, un dossier sul nuovo progetto statunitense e il vessillo dei "No Dal Molin". «Guardi i miei occhi - ha detto Bottene al Presidente - sono quelli di una madre che sta difendendo la sua città. Si ricordi che siamo tutte persone come me. La ragion di stato è giusta quando sa coniugare le esigenze di tutti». «Ho visto i suoi occhi è ho capito» ha risposto Napolitano. Pochi minuti dopo la stessa Bottene si è rivolta alla moglie del presidente della Repubblica, signora Clio, pregandola di intercedere presso il marito per la causa del "No Dal Molin". «La signora mi ha risposto - ha riferito poi Cinzia Bottene - che come moglie del Presidente non può fare nulla e io le ho da parte mia risposto ancora che una moglie ha sempre influenza sul marito».

Un altro consigliere, Giovanni Rolando, della Lista "Variati Sindaco", si è presentato con in mano un foglio con su scritto «grazie, Presidente». Lo ho fatto - ha spiegato Rolando - perché Napolitano difende la Costituzione. Lo stesso consigliere si è fatto autografare dal Capo dello Stato li libro «Dal Pci al Socialismo Europeo» scritto dallo stesso Napolitano.

L'incontro con il sindaco. «Un sindaco ha il privilegio di parlare a nome della sua città - ha detto Variati nel suo saluto ufficiale a Napolitano -. Vicenza è una città che molto ha dato alla Patria e alla ragion di stato. Le parlo a nome della Vicenza laboriosa che ha creato ricchezza e benessere anche per tutto il Nordest». Il sindaco ha quindi consegnato la medaglia d'oro della città a Napolitano. «È una medaglia - ha concluso Variati - che passa dal primo cittadino di una piccola Patria al primo cittadino della grande Patria».

Tolti cartelli contro l'art. 11. Gli uomini della Digos hanno sequestrato lungo il perimetro del percorso presidenziale e le strade adiacenti decine di cartelli, che con caratteri a stampa ironizzavano su alcuni articoli della Costituzione. In particolare l'indice era rivolto contro l'articolo 11. Secondo gli estensori la norma che ripudia la guerra dovrebbe essere modificata, con le parole «la difesa del suolo americano è un dovere dei cittadini italiani».

Galan: grande Napolitano sul federalismo. Per Giancarlo Galan, Presidente della Regione Veneto, l'intervento del Presidente della Repubblica sui 60 anni della Costituzione è stato «grande» e soprattutto «notevole» sul fronte del federalismo. Galan ne ha parlato, oggi a Palazzo Balbi, sede della Giunta Regionale, al termine dell'incontro con Napolitano. «Ieri il Presidente Napolitano con il suo intervento - ha detto Galan - ha fatto un riconoscimento al Veneto e del suo ruolo nell'introdurre il tema del federalismo». Poi per Galan il discorso del Presidente Napolitano è stato «alto» ben oltre la «capacità di convincermi» specie quando ha parlato di «solidarietà delle regioni del nord coniugata alla responsabilità di quelle del sud». Galan ha poi positivamente interpretato il passaggio dell'intervento del Presidente Napolitano in cui veniva evidenziata la mancanza di messa in discussione dell'unità nazionale che «ho interpretato, ma non solo io, come una messa in discussione dell'attualità delle Regioni e delle Province a statuto speciale». «Questa parte di settennato - ha concluso Galan - è per me al più alto livello di rappresentanza».

da ilmessaggero.it
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« Risposta #71 inserito:: Settembre 22, 2008, 03:56:52 pm »



AGENZIA GIADA: LA SALUTE DELLA VALLE DEL CHIAMPO MIGLIORA

Presentati i risultati del monitoraggio dell’aria del distretto della concia e attestato EMAS

Vicenza – Grazie alle attività dell’Agenzia Giada la salute della Valle del Chiampo è in continuo miglioramento. Nelle zone produttive, nel decennio 1996-2006 il fattore di emissione generale di sostanze organiche volatili (solventi) è sceso da un valore di 146 all’attuale 44, circa 3 volte inferiore ai limiti di legge. Questi i dati che i responsabili dell’Agenzia, con l’assessore provinciale all’Ambiente Antonio Mondardo, hanno presentato ai sindaci dei comuni del distretto della concia gli ultimi risultati di un approfondito monitoraggio sull’inquinamento atmosferico che ha avuto inizio nel 2000. I dati confermano che i comuni dell’ovest vicentino sono sulla buona strada per quanto riguarda il sistema di gestione ambientale e le iniziative avviate per la tutela dell’ambiente. Questa mattina infatti è stato consegnato ai comuni che compongono l’Agenzia l’attestato EMAS per ambiti produttivi omogenei che certifica la qualità ambientale del territorio, rilasciato dal Comitato Ecolabel-Ecoaudit.

L’Agenzia Giada dispone di due sistemi di monitoraggio dell’aria nella vallata: uno fisso, con 50 punti di rilevamento e tre centraline fisse, e l’altro mobile, che effettua le rilevazioni in punti stabiliti. Questa serie di controlli delle sostanze presenti nell’aria è accompagnata da una verifica dei consumi dei solventi da parte delle aziende; è proprio in base all’incrocio tra i dati dei consumi della produzione e della qualità dell’aria che si può affermare che il miglioramento dell’atmosfera nel distretto conciario è ormai un dato consolidato.

Il campionamento è stato eseguito in base a quattro tipologie di punti di rilevamento: A – abitativi (in cui ci si aspetta un livello basso di inquinamento, B – bianchi (in cui non dovrebbe essere presente nessun tipo di inquinamento), C – caldi (zone produttive in cui ci si aspettano i livelli più alti) e AB – intermedi (sono punti a mezza costa che servono per monitorare particolari situazioni territoriali vista la conformazione geografica della valle). Nei punti A, B e AB la qualità dell’aria è di un buon livello, non si notano grandi variazioni rispetto agli anni precedenti e non sono attesi peggioramenti. Per quanto riguarda i punti caldi, quindi le zone produttive per eccellenza, la tendenza complessiva è di un netto ribasso. Si nota inoltre che la riduzione è avvenuta per tutte le tipologie di prodotti del distretto (arredamento, calzature, pelletteria ecc.).

«Il monitoraggio ci conforta – sottolinea Andrea Baldisseri, responsabile dell’Agenzia Giada – ma il livello di impegno e di attenzione va mantenuto costante al fine di proseguire in questa politica di continuo miglioramento».

da www.progettogiada.org
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« Risposta #72 inserito:: Settembre 26, 2008, 06:32:13 pm »

26/9/2008 - IL CASO
 
Il parroco: "Prima i cristiani dei cani!"
 
Un prete veneto in un editoriale: «Mi sono ripercorso la Bibbia e su 36 citazioni trovate, 32 erano di disprezzo»
 
 
VENEZIA

Cani trattati meglio dei cristiani e non come animali.
Questo pensiero di don Marco Scattolon espresso in un editoriale del bollettino della parrocchia di Spinea (Venezia) ha mandato su tutte le furie gli animalisti che annunciano iniziative, compresa quella di presentarsi in chiesa durante la messa con i migliori amici dell’uomo.

Il sacerdote fa pollice verso sul boom di negozi che abbinano veterinari al parrucchiere, contro coloro che sperperano il denaro per croccantini, abbigliamenti e acquistano «cani appena sposati e non "compra" figli» e spendono «più per il proprio cane che per la carità cristiana, che fa più carezze al cane che agli esseri umani».

Don Scattolon, come riferisce la stampa locale, ricorda che nella Bibbia questo animale su 36 citazioni, 32 erano di disprezzo e che solo Tobia ne ha parlato bene. «Si troveranno prima i soldi per un canile che per una casa per i fratelli del terzo mondo?» si chiede don Scattolon il quale ammonisce che, in caso di risposta affermativa, «suonerò le campane a morto perchè sarà morta la fraternità cristiana».


Qui di seguito pubblichiamo il testo integrale della cartolina del parroco di Spinea (Ve) Don Marco Scattolon

Caro cane,
mi sono ripercorso la Bibbia cercando appigli per parlare bene di te. Su 36 citazioni trovate, 32 erano di disprezzo, solo nel libro di Tobia si parla bene del cane oltre che nella creazione. Il cane è diventato, oggi, animale da compagnia; sappiamo che c'è la grande, triste, spietata solitudine dell'uomo ed il cane di qualsiasi tipo, razza, dimensione, colore e pedigree, la può dare rimpiazzando l'assenza dei parenti. Guai se a certe persone morisse il cane! I ragazzini al camposcuola, al memento dei defunti nella messa, intervengono: "Io ricordo, il nonno, io la nonna defunta,...io il mio cane"
Ormai gli animali sono equiparati agli umani: si parla col cane, si chiedono informazioni ai giardini su dove l'altro compera i croccantini, liscia il pelo o lima le unghie del suo cane.
A volte si stimano di più le persone che hanno un cane simile al proprio, perchè quelle persone a modo, educate e di buoni sentimenti più delle altre.
Ormai è il cane che scandisce l'orario del padrone.
Un amico mi raccontava: "Ieri sera, ho telefonato a mia mamma un po' più tardi e mi hanno rimproverato per l'ora perchè il cane già dormiva e non si poteva disturbare."

Aumentano i negozi che abbinano veterinario al parrucchiere per cani. Basta guardarsi attorno "Qua la zampa! - Fido ti lavo - Collare di stelle - Barba, baffi e pelo lucido" sono negozi per estetica canina. E così giovinastri senza studi e specializzazioni hanno trovato l'America con i cani.
"Ho smarrito cagnetta..." trovo scritto spesso sulla porta della Chiesa oppure "Vendo cuccioli di gran pregio...", c'è chi offre "Casa Pensione per cani (e gatti) aperto tutto l'anno, box riscaldati o con 5.000 mq di verde.
Dire BAU, salutandosi, sembra diventare una prospettiva per il domani. Anche a casa nostra avevamo il cane, ma per difendere il pollaio e la casa, viveva all'aperto nella cuccia e mangiava le briciole della nostra sobria tavola.
Ad un cane si può dare una carezza o un pizzicotto, ma... - c'è gente che spende più per il suo cane che per la sua carità cristiana;
- c'è gente che fa più carezze al cane che al suo anziano;
- c'è gente che appena sposata compra il cane e non "compra" un figlio;
- c'è gente che si scandalizza se il consorzio dei nostri comuni non ci provvede di un bel canile accessoriato.
Io spero che prima si provveda ad una casa di prima accoglienza per quei terzomondiali che dormono sulle panchine o dentro le case diroccate. Ne conosco più di uno.

Prima i cristiani dei cani!
Si troveranno i soldi per il canile zonale prima che per una casa per i fratelli terzomondiali? Se sì, giuro che suonerò campane a morto, per un buon tempo, perchè sarà morta la fraternità umana. Diceva Gesù: "Non date le cose sante ai cani, date loro le briciole".
I telegiornali finiscono sempre con notizie su animali, mai notizie dall'Africa: sulla siccità o le epidemie, sugli acquedotti e le scuole inaugurate. Parlino delle belle iniziative delle Associazioni: Mato Grosso, Amnesty, Emergency o altre ancora che chiedono sostegni e realizzano progetti!
E ai cani diamo gli avanzi dei nostri pasti, non le scatolette piene di sonniferi: un cane ama la libertà, la terra e le corse non il guinzaglio, il salotto e il passo lento come il nostro. Che "vita da cani" facciamo fare loro!
Se hai un cane: trattalo bene, ma non sostituisca i poveri o l'affetto tra familiari. Saranno belle anche le sfilate dei cani, perchè sono affettuosi e gioiosi, ma sono animali...e io i sacramenti a loro non li posso dare. Ci sarà un perchè!


da lastampa.it
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« Risposta #73 inserito:: Settembre 30, 2008, 05:50:51 pm »

Molti temi e motivi di riflessione nel discorso della storica Sonia Residori, tenuto in occasione del 64° anniversario dell'Eccidio del Grappa.


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Sonia Residori, Bassano del Grappa 26 settembre 2008

I.

Il rastrellamento del Grappa, contrariamente alla versione diffusa e accettata da decenni anche dalla storiografia ufficiale, non fu un’operazione militare, ma un massacro di uomini indifesi, in parte partigiani combattenti che si erano arresi o consegnati spontaneamente, in parte civili inermi, padri di famiglia e ragazzi.
Tra il 20 e il 27 settembre 1944, sul Grappa, quindi, non avvenne un combattimento sanguinoso tra tedeschi e partigiani, ma solo alcuni scontri armati, con un numero esiguo di perdite. Le forze della Resistenza, infatti, non disponevano di armi adeguate e neppure di munizioni sufficienti per fronteggiare un rastrellamento messo in atto da migliaia di uomini e, dopo un breve tentativo per contrastare il nemico, dovettero abbandonare il terreno. La maggior parte dei partigiani riuscì a sganciarsi e, superando i posti di blocco disposti attorno al massiccio, a trovare un nascondiglio o a tornare a casa.
I tedeschi intendevano “bonificare” la zona del Grappa dai “banditi”, per la costruzione della Blau Linie, una linea fortificata che doveva fermare l’avanzata delle truppe alleate sulle Prealpi, e a questo scopo, secondo i documenti, il generale Wilhelm Harster, comandante della Polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza per l’Italia (BdS), aveva ordinato di uccidere 30 uomini per ogni villaggio situato ai piedi del Grappa.
Dal momento che i partigiani erano sfuggiti attraverso le maglie dei rastrellatori, il tenente delle SS Herbert Andorfer, comandante di un’unità mobile, il Kommando Andorfer, ufficiale già esperto in pratiche di sterminio per aver “gasato” oltre 5000 ebrei a Belgrado nel 1941, mise in atto un piano crudele. Il Comando tedesco s’impegnò a condonare le pene previste per i renitenti: coloro che si fossero presentati spontaneamente sarebbero stati arruolati nella Flak Italien oppure mandati a lavorare per i tedeschi nell’Organizzazione Todt. Queste disposizioni furono diffuse con tutti i mezzi disponibili: i manifesti murali, il megafono, l’opera persuasiva di vicini e conoscenti di parte fascista, le visite dei brigatisti italiani di casa in casa.
La popolazione accolse il provvedimento come la liberazione da un incubo e i familiari dei partigiani e dei renitenti, sfuggiti alla caccia delle pattuglie dei rastrellatori, convinsero i ragazzi ad uscire dai nascondigli, scongiurandoli di presentarsi spontaneamente al comando tedesco, e in alcuni casi li accompagnarono essi stessi.
Si trattò di un progetto infame: nazisti e fascisti uccisero fisicamente i giovani o giovanissimi uomini e moralmente tutti quei padri, madri e sorelle che, avendo convinto i propri cari a presentarsi, vissero negli anni a venire con il senso di colpa di essere stati la causa della morte del proprio figlio o fratello (Cesare Longo, Armando Benacchio, Silvio Martinello, Pietro Bosa, Ferdinando Brian, Francesco Caron, Attilio Donazzan, Angelo Ferraro, Fiorenzo Puglierin, Gio Batta Romeo, Ferruccio Zen).
Per il massacro del Grappa le truppe tedesche non seguirono il modello di sterminio nazionalsocialista che coinvolgeva tutta la popolazione, donne, anziani e bambini. Fu applicato il criterio della matrice maschile della guerra, secondo l’interpretazione del conflitto come scontro militare tra maschi, e furono uccisi centinaia di uomini e di giovani atti alle armi, in quanto guerrieri potenziali, mediante il sistema dell’esecuzione ordinata con fucilazione o impiccagione (Ferruccio Toniazzo, Maurizio Bergamini, Annibale Biasion, Attilio Bernardi, Guerrino Ruini, ignoto carabiniere di Potenza).
Per alcuni giorni, in tutti i paesi della fascia pedemontana del Grappa, si susseguirono fucilazioni e impiccagioni di giovani uomini, secondo l’estro o le attitudini dei rastrellatori, mentre un numero rilevante veniva inviato nei campi di concentramento tedeschi dopo una sommaria selezione.
Alcune esecuzioni furono precedute da tormenti e bastonature, ma anche da torture o sevizie come nel campanile di Cavaso del Tomba (Ferruccio Silvi, Leo Menegozzo, Gino Ceccato) o nell’osteria di Arten trasformata in tribunale (Antonio Boschieri, Zuelo Benincasa, Bortolo Camonico, Luigi Campigotto, Rino Torresan, Guido Todesco). Le stesse uccisioni furono seguite o alternate dall’incendio delle abitazioni, anche di intere frazioni come Schievenin, e dal saccheggio di case che permetteva ai rastrellatori di riempire le tasche e lo stomaco.
Il massacro fu eseguito secondo una vena creativa della crudeltà umana, che non escludeva interamente pianificazione e razionalità. La messa in scena e l’ostentazione dei cadaveri dei nemici uccisi fucilati o impiccati non furono dettate dall’impulso di un momento, da una vendetta “spontanea”, anzi erano marcatamente intenzionali (Gilberto Carlesso, Marcello Zilio, Guerrino Dissegna, Matteo Scalco, Michele Ancona, Girolamo Binotto, Mirto Andrighetti, Ermenegildo Metti, Carmine D’Innocenzo, Giuseppe Ardito, marinaio sconosciuto, Alfredo Ballestin).
L’esibizione delle vittime, tesa a terrorizzare la popolazione che doveva considerare colpevoli i partigiani per aver provocato la “giusta reazione” dei nazisti, s’intrecciò con la prassi opposta della loro sparizione, della cancellazione di ogni traccia della loro morte, con esecuzioni quasi clandestine.
Il 22 settembre 1944 mentre Lodovico Todesco, comandante della brigata Italia Libera Campo Croce, cadeva in combattimento, la madre Paolina e la sorella Ester venivano arrestate e caricate a forza su un camion militare per essere deportate in Germania. Di loro non si ebbe più alcuna notizia, scomparse nel nulla. Secondo la testimonianza di un soldato austriaco le due donne non furono portate lontano, ma uccise e il loro corpo occultato nel cemento di una delle tante piramidi anticarro fatte costruire dai tedeschi della Todt a Cismon del Grappa.
Anna Giglioli, la moglie incinta del ten. Angelo Valle, proprio per il fatto di essere l’unica donna destinata all’esecuzione, fu giustiziata di notte e seppellita in fretta, in una bassa fossa acquitrinosa.
Anche le fucilazioni all’interno della caserma Reatto avvennero quasi di nascosto e rimasero occultate fino al novembre del 1945, quando le salme di tutti i caduti furono riesumate (Mario Gattoni, Pio Ricci, Manlio Chirco, Giuseppe Chirco, Guido Pinarello, Giuseppe Romeo, Arturo Zen, Giovanni Favero, Emilio Boaretto, sette ignoti).
Soltanto per la disperata tenacia dei padri degli uccisi fu possibile ricostruire nel dopoguerra quanto era successo quel mattino del 24 settembre 1944. Carlo Gattoni, il padre del quindicenne Mario, concludeva il suo atto di accusa contro Alfredo Perillo, con una formale denuncia «per vilipendio di cadavere e per tentato occultamento essendo risultato che ai fucilati […] vennero fatti indossare sopra i propri abiti borghesi dei pantaloni lunghi di tela da militari onde renderne più difficile il riconoscimento (infatti le salme si presentavano tutte con uguali caratteristiche di vestiario) ed inoltre essendo accertato che a fucilazione avvenuta le vittime vennero sepolte nella fogna della caserma “E. Reatto” ove rimasero per circa 10 giorni avanti di venire inumate nel cimitero di S. Croce di Bassano del Grappa, causando così una più rapida decomposizione delle salme che si poterono solo in parte riconoscere dopo accurati esami sulle misere spoglie e con indicibile strazio dei singoli congiunti […]».
Anche in questo caso il messaggio era diretto alla popolazione: seppellendo le vittime nella fogna per accelerarne la decomposizione e renderne difficile il riconoscimento, oppure, ancora, di notte, anonimamente, nelle fosse comuni, il nazismo dimostrava di essere capace di annullare fisicamente i nemici fino a farli svanire nel nulla.
Nel massacro la divisione del lavoro della violenza dà a molti la possibilità di abbandonarsi alle proprie inclinazioni. L’unico dovere di ognuno è quello di contribuire con tutte le proprie forze alla violenza, per questo i plotoni di esecuzione della caserma Reatto sono composti da italiani e tedeschi alternati e dello stesso plotone fanno parte le diverse specialità della Repubblica sociale. Una divisione del lavoro alla quale partecipano anche gli “altri” della truppa, coloro che oziano nei pressi della morte, spettatori indolenti o entusiasti, come le compagnie della Tagliamento dei giovanissimi volontari di Salò, quelli della Camilluccia che assistono alla fucilazione dei 20, tra partigiani e alleati, avvenuta a Carpané presso la stazione ferroviaria (Angelo Valle, Alfredo Tosin, Filippo Bianchi, Giuseppe Mocellin, Virgilio Versa, Matteo Gheno, Pietro Boaria, Federico Fiorese, Luigi Ferrarsi, Antonio Bellò, Angelo Bosio).
Solo alla fine, tutti gli assassini si raggruppano in un luogo «per festeggiare insieme il trionfo del lavoro eseguito». Domenico Martinello, padre di Silvio, uno dei ragazzi di Pove impiccati a Bassano, affermò nella sua deposizione che i fascisti del paese con quelli di Valdagno «banchettarono insieme la sera del martedì col pollame rapinato alla famiglia Bennacchio», il cui figlio era stato impiccato. Pietro Trevisan, durante il processo contro i maggiori responsabili italiani del rastrellamento, raccontò in aula che alla sera, dopo l’impiccagione dei 31 giovani di Bassano, si svolse un banchetto al quale parteciparono tedeschi e brigatisti. Festeggiarono nei loro soliti locali di ritrovo, il Caffè Centrale e il ristorante “al Cardellino”.




II.

Il massacro del Grappa ebbe termine martedì 26 settembre 1944 a Bassano, quando 31 tra partigiani e civili, furono impiccati agli alberi delle vie cittadine, con il cartello “Bandito” sul petto (Giovanni Cocco, Gastone Bragagnolo, Giuseppe Bizzotto, Luigi Stefanin, Albino Vedovotto).
L’esecuzione, allestita su tre vie alberate della cittadina trasformate in improvvisati patiboli, fu eseguita da giovani volontari di Salò, ex Fiamme bianche dislocate alla Flak Italien di Bassano del Grappa. I ragazzi, tutti sui 17 anni, addossavano il camion sotto le piante, afferravano il laccio, lo infilavano al collo della vittima che scaraventavano dal camion e andavano avanti (Leonida De Rossi, Ignoto, Francesco Cervellin, Giovanni Cervellin, Giuseppe Giuliani, Carlo Fila). Talvolta davano due violenti strappi alle gambe della vittima per affrettarne la morte (Mario Aliprandi, Girolamo Moretto, Ignoto)
Secondo la testimonianza del prof. Rino Borin, a dirigere l’impiccagione, vi era un componente del Kommando Andorfer, il vicebrigadiere SS cecoslovacco, Karl-Franz Tausch, nato a Olmuetz il 9 ottobre 1922.
Alcuni mesi fa, avuta notizia della possibile esistenza in vita sia di Andorfer che di Tausch, gli Istituti storici per lo studio della Resistenza e dell’età contemporanea di Vicenza e di Treviso hanno presentato formale richiesta alla Procura Militare perché finalmente, dopo oltre 60 anni, siano accertate le responsabilità degli esecutori del massacro avvenuto a Bassano del Grappa il 26 settembre del 1944.
Ora Herbert Andorfer ha 97 anni, Karl-Franz Tausch, invece, ne ha quasi 86 e vive tranquillamente nella sua villetta a Langen, in Germania. Ormai sono due anziani signori che fra non molto dovranno rendere conto del loro operato ad un’Autorità ben più grande di quella umana.
Questo era quanto avevo scritto nel preparare la relazione di oggi. Tre giorni fa ho ricevuto la comunicazione che Andorfer, dopo essere resuscitato varie volte, è ufficialmente deceduto nel 2003 e ieri pomeriggio ho avuto la conferma che Tausch si è suicidato con un colpo di rivoltella alla testa dopo aver letto il lungo articolo pubblicato da un giornalista tedesco sul Frankfurter Rundschau. Ieri sera avrei dovuto cambiare questa parte della relazione in rapporto alla mutata situazione, ma poiché la cerimonia di stamani è per ricordare le vittime, il patrimonio di valori di cui ci hanno lasciato eredi, e non i carnefici, Andorfer, Tausch e la morte violenta di quest’ultimo, ho voluto lasciare il testo inalterato.

Qualcuno potrebbe affermare che, data l’avanzata età, essi avevano il diritto di morire serenamente o, in ogni caso, di essere lasciati in pace: che senso aveva metterli davanti alle proprie responsabilità dopo 60 anni?
E poi, perché ancora ricordare uno dei circa 400 massacri compiuti da nazisti e fascisti, uno degli infiniti massacri di questo secolo appena trascorso?

Le risposte non sono e non possono essere semplici.
Il rastrellamento del Grappa non fu un’operazione militare, ma un massacro di inermi, che nel dopoguerra si trasformò in una gigantesca menzogna e in un’enorme ingiustizia. Gli esecutori negarono ogni loro responsabilità, alcuni reparti non furono neppure processati e, alla fine, nessuno scontò la pena per quanto aveva commesso. Le vittime, oltre al massacro, subirono l’ingiustizia dell’assenza di giustizia. Pertanto restituire alla verità ciò che accadde oltre sessant’anni fa, conferisce un po’ di giustizia a chi ha dovuto tanto soffrire per la sua mancanza.
Il nome di coloro che furono appesi ai lecci e lasciati penzolare per ore, pronunciato ad alta voce nelle aule dei tribunali, scritto a caratteri cubitali sulla carta stampata, ripetuto di bocca in bocca, può risarcire le vittime strappandole all'oblio e restituendole alla memoria della verità (Giuseppe Moretto, Bortolo Busnardo, Ignoto, Pietro Citton, Emilio Seghetto, Giacomo Bertapelle).
Come gli individui non possono costruirsi una specifica identità e autonomia senza fare i conti con la propria storia individuale, così la collettività non può rimuovere il proprio passato, la propria storia senza conseguenze assai gravi.
«Per quanto possa essere un’esperienza dolorosa» scriveva nel 1999 l’arcivescovo Desmond Tutu, presidente della Commissione sudafricana “Verità e riconciliazione”, «non possiamo permettere che le ferite del passato arrivino a suppurazione. Devono essere aperte. Devono essere pulite. Devono essere spalmate di balsamo perché possano guarire. Questo non significa essere ossessionati dal passato. Significa preoccuparsi che il passato sia affrontato in modo adeguato per il bene del futuro».
In questi ultimi anni si è parlato molto di pacificazione con il passato, ma pacificazione ed oblio non sono la stessa cosa, bensì due modi assolutamente opposti di rapportarsi al passato. L'oblio porta alla cancellazione di quanto è avvenuto, invece la riconciliazione parte necessariamente dalla memoria e non può prescindere dal riconoscimento della verità e delle responsabilità. L'oblio nega e rimuove le responsabilità; la riconciliazione si costruisce sull'accettazione e l'individuazione delle responsabilità.
Nel nostro Paese sotto la parola "riconciliazione" si nasconde spesso la tentazione dell'amnesia e dell’oblio, con la ricorrente proposta di "riconciliazione" tra partigiani e repubblichini, attraverso il riconoscimento della “buona fede” che tende a fare degli uni e degli altri un sol fascio, dimenticando responsabilità e colpe.
E’ possibile che la maggior parte dei giovani che nel periodo ‘43-‘45 si sono schierati, rischiando volontariamente la propria vita, fossero in buona fede, convinti gli uni e gli altri di difendere la causa più giusta. Ma la buona fede è una categoria morale, etica, utile per ricostruire la biografia dei singoli uomini. Quando si ricostruisce la biografia di una nazione, quando si fa la storia di un paese, si deve guardare ai progetti per i quali gli uomini hanno combattuto, non alle ragioni individuali delle scelte di campo. Nella seconda guerra mondiale si sono contrapposti due progetti: uno era quello nazista, che voleva ridisegnare il mondo secondo una gerarchia delle razze e stabilire quali popoli avevano diritto a detenere il potere nel mondo e quali no; l’altro era quello degli alleati, che perseguivano obiettivi sociali e politici diversi, ma che trovarono il denominatore comune nell’opposizione al progetto nazista. Al di là di qualsiasi considerazione sulle storie personali dei ragazzi di Salò e sulla pietà per i caduti di tutte le guerre, di qualsiasi guerra, non si può dimenticare che le formazioni partigiane, gli internati militari, le forze regolari del Regno del Sud, tutti i ragazzi impiccati e fucilati che oggi ricordiamo, stavano dalla parte degli alleati, dalla parte della democrazia e della libertà, mentre il fascismo di Salò stava dalla parte di Hitler, del nazismo, dei campi di concentramento: questo resta il dato storico di fondo che nessuno potrà mai cambiare.
E' tempo ormai di accettare coraggiosamente tutto il nostro passato, qualsiasi esso sia, per costruire ponti fra gli uomini invece di muri che dividono. È necessario che la memoria diventi strumento di coscienza civile nel presente, che ognuno si assuma la responsabilità della propria storia, anche di quella che ha preceduto la nostra vita.
Dopo oltre sessant’anni, ragazzi della Resistenza e ragazzi di Salò sono ancora pieni di rancore per quanto è accaduto nel passato. Dovremmo chiederci se non possa essere anche questo un’ultima vittoria del nazismo, quella di privarci del buon uso della memoria, quella di impedire l’elaborazione del lutto e la riconciliazione fra gli uomini.
Ognuno di noi deve tentare, per riprendere l'immagine del vescovo Tutu, di guarire le ferite invece di farle suppurare, lavorare per la verità e la memoria, non per esacerbare gli odi, ma pacificare l’uomo con se stesso.

Vorrei terminare questa mia esposizione con le parole di una grande donna, Etty Hillesum, tratte dal suo diario:
«Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo ... Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra». Etty è morta ad Auschwitz nel 1943.

Settembre 2008


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« Risposta #74 inserito:: Ottobre 01, 2008, 10:35:48 pm »

Sì amo Vicenza
 
Il 5 ottobre i vicentini sono chiamati a decidere del proprio territorio, della propria città, del proprio futuro. La vicenda Dal Molin è molto importante e alta è la posta in gioco; il no a Dal molin contiene in sé tanti significati: il no alla guerra e il rispetto dell’articolo 11 della nostra Costituzione, la volontà che siano i cittadini a scegliere; significa anche opporsi a decisioni imposte dall’alto che non tengono conto né dell’impatto ambientale né della salute delle persone; significa non avere rispetto per il riconoscimento che l’Unesco ha conferito alla storia ed al patrimonio della città nota al mondo per l’urbanesimo e l’architettura.

Sono più di cento le basi e le installazioni militari statunitensi sul territorio italiano. Quale motivazione può giustificare una tale azione di forza sul popolo vicentino? Cosa potrebbe cambiare con l’allargamento della base della provincia veneta? Che cosa, se non una forzatura della realpolitik e un dazio che Berlusconi vuole e deve pagare all’amministrazione Bush, può rappresentare questa vicenda?

Forse sarebbe più utile utilizzare una superficie così ampia per il bene della collettività. 

Tante sono le proposte alternative per sfruttare quell’area e metterla a disposizione dei cittadini. Progetti a favore dell’ambiente che prevedono la costruzione di un grande parco cittadino con lo sviluppo di un parcheggio scambiatore e la partenza di linee di trasporto pubblico elettrico, il tutto alimentato da pannelli fotovoltaici; l’area può diventare un polo scientifico–tecnologico, finalizzato all’ innovazione dell’economia vicentina attraverso propedeutici nuovi corsi Universitari.

Dopo circa due anni dall’inizio di questa battaglia, la situazione non fa che complicarsi tra ricorsi al Tar, decisioni del Consiglio di Stato in senso contrario, e per ultimo l’ intervento del premier : “la consultazione popolare da lei indetta si manifesta ancora più gravemente inopportuna”, così ha scritto nei giorni scorsi Silvio Berlusconi al sindaco di Vicenza Achille Variati (Pd), per invitarlo a rinunciare al referendum sulla nuova base americana.

In una vicenda come quella di Vicenza, in cui sembra proprio che gli interessi delle persone, del popolo, siano stati schiacciati dalla prepotenza della solita ragion di stato, sarebbe bello che per una volta il referendum, la consultazione popolare per eccellenza, restituisse la voce e il potere di decidere ai vicentini.

Sperando che il Consiglio di Stato, a cui si è rivolto il comitato "Sì dal Molin", gruppo di commercianti e imprenditori favorevoli all'ampliamento della caserma Ederle2, non bocci la consultazione.


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