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« Risposta #60 inserito:: Aprile 23, 2009, 10:32:57 am » |
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Il retroscena
A Bondi il compito di replicare: elogi al Quirinale
Berlusconi evita scontri e punta sul voto popolare
L’obiettivo: «riforma silenziosa» attraverso le urne
ROMA — Se è vero che nei sondaggi raccoglie la fiducia nel 73% dell’opinione pubblica, se è vero che dice di sentirsi «per la prima volta il presidente degli italiani», perché il premier dovrebbe andare allo scontro con il capo dello Stato? Infatti non ci va, non ne ha interesse. Lo schema del Cavaliere è cambiato da tempo, e la riforma del sistema non passa per una modifica della Costituzione ma attraverso il consenso popolare, che la Carta la modifica di fatto.
Non è un caso se nelle liste per le Europee del Pdl il nome di Berlusconi si staglierà su quello degli altri candidati: il premier mira infatti a sfondare il tetto dei 3 milioni e mezzo di preferenze. Sarebbe una sorta di plebiscito che avrebbe dei riflessi nei rapporti politici e istituzionali. Perché, per quanto l’equiparazione sia del tutto impropria, mediaticamente farebbe un certo effetto quella massa di consensi rispetto ai 543 voti raccolti da Napolitano in Parlamento nel giorno della sua elezione al Quirinale. È così che il Cavaliere misurerebbe la distanza con il Palazzo, esercitando una pressione che non verrebbe mai esplicitata. Non passa occasione infatti senza che il premier rinnovi la propria «incondizionata stima» per il capo dello Stato.
Ecco come si gioca la partita, Napolitano ne è consapevole, e ieri ha fatto la prima mossa. Ma non sembra il Colle l’obiettivo di Berlusconi, da un paio di anni il tema gli è indifferente, tanto da non aver dato peso nelle scorse settimane a una battuta che gli era stata riferita, e che era stata attribuita al presidente della Camera: «Parliamoci chiaro, se fra quattro anni si vota per il Quirinale, chi avrebbe più voti tra me e Silvio»? «Non ci crederei nemmeno se l’avessi sentita con le mie orecchie», ha tagliato corto il premier. È dalla tolda del governo che ambisce a varare la riforma silenziosa. Da tempo ci pensa, ben prima che tornasse a palazzo Chigi. Proprio alla vigilia della caduta di Prodi, al senatore del Pdl Riccardo Conti giurò che «io lassù non ci voglio andare. Così com’è, il Quirinale è un mausoleo. Eppoi non intendo fare la fine di Fanfani », concluse, evocando le forche caudine del Parlamento che impedirono al potentissimo leader dc di salire al Colle. Insomma, senza un sistema autenticamente presidenziale il Cavaliere non correrebbe per la prima carica dello Stato.
Tesi ripetuta anche a Nucara, in tempi più vicini: «Quando gliene accennai — rivela il segretario del Pri — fu sbrigativo e chiaro. Se fosse del tutto sincero non lo so, però mi disse: "Nel caso, c’è Gianni", Gianni Letta». Berlusconi non vuole lo scontro istituzionale, non gli serve. La strategia si è disvelata ieri quando ha lasciato a Bondi il compito di replicare. In una breve nota il coordinatore del Pdl ha eluso gli affondi del capo dello Stato e ha commentato solo la parte del discorso sul rafforzamento dei poteri del governo, complimentandosi con il presidente della Repubblica che «ancora una volta ha saputo interpretare correttamente e saggiamente i bisogni del Paese e del suo futuro». Il resto è un silenzio che sa di assedio. E che può essere il preludio di nuovi conflitti sulla decretazione d’urgenza, sull’uso ripetuto della fiducia da parte del governo. «D’altronde, o si garantisce una corsia preferenziale in Parlamento per i provvedimenti dell’esecutivo—obietta Gasparri — oppure si fanno i decreti. C’è bisogno di una democrazia governante e più efficiente».
I rapporti tra Quirinale e palazzo Chigi sono inchiodati a questo problema irrisolto, restano segnati dallo scontro sul «decreto Englaro». «Con il capo dello Stato sono stato chiaro », spiegò giorni dopo il premier al governatore siciliano Lombardo: «Nulla di personale. Ho fatto presente le esigenze di governo. Tutto chiarito, per il momento». È dalle urne che Berlusconi vuol far emergere la riforma sostanziale del sistema, e siccome le Europee sono abbinate alle Amministrative — che impegneranno 30 milioni di elettori italiani — la percentuale dei votanti si preannuncia più alta di quanto in molti pronosticano. Proprio ciò che serve al Cavaliere per superare l’asticella dei tre milioni emezzo di preferenze.
Ha già in mente l’operazione di traino: i candidati del Pdl alle Amministrative saranno accompagnati dalla scritta «Berlusconi per...». C’è infine quella bomba ad orologeria chiamata referendum. La decisione di far votare i quesiti insieme ai ballottaggi, il 21 giugno, sembra un sistema appropriato di disinnesco. Se così non fosse, con il sistema elettorale cambiato per decisione degli italiani, il premier avrebbe addirittura a disposizione l’arma del voto anticipato. Sarebbe il colpo decisivo. Napolitano lo sa, perciò ieri si è spinto fino a chiedere la modifica della legge elettorale. È la linea Maginot del Colle.
Francesco Verderami
23 aprile 2009 da corriere.it
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« Risposta #61 inserito:: Aprile 25, 2009, 03:01:36 pm » |
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Sette giorni
Berlusconi: basta pregiudizi
Voglio un 25 aprile di libertà
«Nel discorso non userò la parola comunista, non serve più»
Nel suo discorso sul 25 Aprile Silvio Berlusconi non userà la parola comunista, «non ce n’è motivo, non serve più». Perché secondo il premier c’è un solo modo per festeggiare la festa della Liberazione superando ogni divisione: è darle il senso di una «festa di libertà», «la libertà da ogni pregiudizio». Ed è come se cadesse un muro che per quindici anni ha resistito, perché dal ’94 —da quando scese in campo— il Cavaliere ha usato la parola «comunista» per fronteggiare gli avversari. Allo stesso modo, dal ’94, Il Cavaliere ha sempre percepito che la festa della Liberazione veniva vissuta dai «comunisti» come festa di liberazione da Berlusconi. La scorsa settimana, appena Dario Franceschini l’ha invitato a partecipare alla ricorrenza, il premier ha intravisto una trappola nell’offerta, tanto da aver reagito d’istinto sulle prime: «Possibile che quando governo io, del 25 aprile si debba cominciare a parlare dal 25 marzo? ». È stato allora che ha deciso di presenziare, e da allora ha iniziato a pensare a un discorso che fosse di conciliazione nazionale, giocato sul valore della tradizione e al contempo sulla necessità di una pacificazione. Così ha riposto l’armamentario ideologico di cui si è sempre servito per chiamare a raccolta gli elettori.
Via la parola «comunista» dal testo, «non ce n’è motivo, non serve più», ha detto ieri ai dirigenti del Pdl che avevano notato l’assenza di quel termine identificativo. E con un tratto di penna il premier ha abbattuto il muro che ha diviso finora il Paese, e che lo divideva da un pezzo di Paese. Scrivendo il discorso, Berlusconi si è fatto guidare dall’idea di offrirsi con un messaggio da capo di governo, non da capo di una parte, perché bisogna allungare lo sguardo «alle nuove generazioni». Non a caso ieri, parlando del suo ruolo di presidente del Consiglio, ha detto che «chi governa deve saper sempre guardare al futuro», e non solo nell’amministrazione degli affari di Stato. Libertà vuol dire essere «liberi da ogni pregiudizio». E se ha scelto Onna per parlare, è perché voleva accostare un remoto simbolo delle efferatezze naziste al dramma del terremoto che in queste settimane ha unito la nazione. Ricorda ancora, ieri l’ha ricordato, «il giorno dei funerali, io e Gianni Letta insieme, con gli occhi umidi, senza parole»: «Per una volta, finalmente, ho avvertito come nel dolore collettivo fossero state messe da parte le divisioni. Ho sentito la vicinanza e la gratitudine di chi abbiamo soccorso. Ho visto il coraggio dei soccorritori. E osservando tutto ciò mi sono sentito orgoglioso di guidare questo Paese».
C’era lo Stato quel giorno ai funerali, c’erano tutti gli uomini dello Stato a partecipare al lutto, epperò mancavano i simboli dello Stato, non c’era per esempio la Bandiera, non si è intonato il «silenzio» dopo le esequie religiose. E si è notato. «Qualche dettaglio, magari importante, è potuto anche sfuggire », ammette Berlusconi, che invita tuttavia a guardare «lo sforzo di chi sta gestendo una comunità di 75 mila persone, a cui abbiamo apprestato l’alloggio e continuiamo a garantire tre pasti caldi al giorno, i servizi igienici, l’assistenza logistica, l’assistenza sanitaria e quella psicologica». Insomma, se c’è stata una mancanza simbolica, si rimedierà al vertice dei Grandi, «perché — sostiene sempre il premier — ho voluto spostare il G8 a L’Aquila come segnale di solidarietà nazionale e internazionale. E proprio in termini simbolici significa che, non solo l’Italia, ma tutta la comunità mondiale si troverà vicino alle popolazioni colpite dal terremoto». La scelta di trasferire l’evento dalla Sardegna all’Abruzzo dice di averla «meditata a lungo»: «Ne ho parlato con Guido Bertolaso, e ovviamente con Gianni Letta, con il quale lavoro spalla a spalla. Insieme al capo della Protezione civile e al sottosegretario alla Presidenza avevo compiuto dei sopralluoghi alla Maddalena. Quella sede l’avevamo ereditata come governo, e ritenevo fosse una scelta sbagliata, con enormi problemi logistici e di sicurezza non ancora risolti, che per di più avrebbero comportato spese ingentissime».
Berlusconi fa capire che l’idea non è di pochi giorni fa, né risale all’ultima visita in Sardegna per verificare lo stato dei lavori alla Maddalena. Avviene molto prima, «quando ho visitato la scuola della Guardia di Finanza dell’Aquila, e mi sono reso conto che la struttura era, è adeguata alle esigenze di un vertice complesso come il G8, che il secondo giorno diventerà un G14 e il terzo un G21». Letta e Bertolaso «subito si sono trovati d’accordo », e insieme a loro Giulio Tremonti, perché «con questo spostamento si risparmiano 220 milioni di euro». Si dice che Berlusconi non riesca a tenere un segreto, eppure stavolta nulla è trapelato fino al Consiglio dei ministri di due giorni fa. Ancora la mattina, poco prima di recarsi all’Aquila per la riunione dell’esecutivo, molti esponenti del governo assicuravano alla stampa che il G8 si sarebbe svolto alla Maddalena. Il Cavaliere sorride, quasi a scusarsi con quanti «non ne sapevano nulla», se non li ha informati è stato per evitare fughe di notizie, «perché se l’indiscrezione fosse finita anzitempo sui giornali, ne sarebbe uscito un polverone, e tutto sarebbe stato più complicato. Poi però la proposta è stata approvata all’unanimità». Ma questa non è una novità. Il fatto nuovo ha imposto un frenetico giro di contatti con le Cancellerie straniere, «e fin dal primo momento abbiamo registrato da parte di tutti un consenso non solo formale. Non ho parlato con nessun capo di Stato e di governo, però da nessuno è giunto un veto, anzi ».
Ora Berlusconi è atteso a una prova quantomai rischiosa, ne è conscio ma è convinto di riuscire a superarla. È certo che l’idea di organizzare il G8 in Abruzzo non verrà interpretata dal Paese come una mercificazione del dolore a uso elettorale. Al momento l’opinione pubblica sarebbe dalla sua, lo si capisce quando accenna al fatto che «gli italiani stanno condividendo la mia scelta», svelando così di aver fatto uso a tempo di record dei suoi amatissimi sondaggi per testare il progetto. In passato—neppure tanto tempo fa — dinnanzi alle critiche che già salgono dall’opposizione per «un’iniziativa che sa di passerella », avrebbe risposto a muso duro. Oggi preferisce smorzare i toni, evitare la polemica, soffocarla in uno spirito di «unità nazionale». Certo, non manca di sottolineare che «l’opposizione è sempre contraria alle nostre decisioni. Ma — ecco la sorpresa — ho registrato anche delle eccezioni, dei segnali positivi. Le divisioni d’altronde non servono a nessuno, semmai in situazioni come questa dell’Abruzzo l’unità è davvero auspicabile ». C’era una volta il «Cavaliere nero », oggi c’è un premier che avverte di essere diventato «il presidente degli italiani», che finalmente celebrerà il 25 aprile, che salirà all’altare della Patria insieme al capo dello Stato, che ha tagliato dal suo discorso la parola «comunisti», e che inviterà il Paese a festeggiare la Liberazione come «la festa di chi ama la libertà». E «liberi da ogni pregiudizio» si appellerà alla «conciliazione nazionale».
Francesco Verderami 25 aprile 2009
da corriere.it
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« Risposta #62 inserito:: Aprile 30, 2009, 10:13:48 am » |
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IL RETROSCENA
Il premier ai suoi: stavolta non mi scuso
Il Cavaliere oggi vola a Milano per un chiarimento con la moglie dopo le critiche sulle candidate-veline ROMA - Non sapeva se ridere o disperarsi, Enrico Letta: «Stanno per arrivare dati terrificanti sul fabbisogno dello Stato, e di cosa si parla? Di 'papi'». Perché in effetti non si parlava d’altro ieri in Parlamento, della diciottenne Noemi che chiama Berlusconi «papi» e dell’ennesima sfuriata di Veronica Lario contro il marito. Ma per quanto possa apparire paradossale non c’è differenza tra questa storia d’interno familiare e i conti dello Stato, perché lo scontro tra il premier e la sua consorte è un affare di Stato nel sistema della seconda Repubblica.
Così la «dynasty all’italiana» si è prepotentemente infilata nelle dinamiche politiche. All’ombra di una lite privata sulla suddivisione dell’asse ereditario— con Berlusconi a dir poco irritato con la moglie, «la signora», che starebbe cercando di «mettermi contro i figli» — si sono prodotti effetti sul Pdl e sul governo, con ministri e dirigenti di partito preoccupati per i contraccolpi d’immagine alla vigilia delle elezioni. Perché dopo il 25 aprile il Cavaliere è schizzato ben oltre il 73% nella fiducia degli italiani e il suo partito nei rilevamenti ha raggiunto «quota 45%». Insomma, il rischio che la lite recasse danni c’era. Non a caso ieri mattina il Cavaliere ha commissionato subito un sondaggio, dal quale — così ha spiegato in serata ai suoi — «sono uscito vincitore». Gli italiani sarebbero dalla sua parte, «stavolta non dovrò chiedere scusa», come accadde nel 2007 dopo la lettera inviata dalla moglie a Repubblica. Tanto basta per capire quanto abbia inciso la faccenda privata nelle faccende pubbliche. Ecco perché martedì — venuto a sapere in mattinata delle intenzioni della moglie — Berlusconi aveva invano tentato di evitare che la questione esplodesse. Ecco perché oggi avrebbe intenzione di volare a Milano. Ecco il motivo per cui sarebbe saltato il pranzo con Fini. D’altronde non sarebbe stata una colazione serena, dato che Berlusconi aveva il dente avvelenato con il presidente della Camera, perché la sua fondazione, Farefuturo, con un articolo aveva sparato a zero sulle «veline in lista», prima che la moglie lo attaccasse.
Quando poi la signora Lario ha fatto riferimento proprio a quell’articolo, apriti cielo. È vero che Fini aveva in parte rettificato il tiro di Farefuturo, ed è vero che le liste del Pdl all’ultimo momento sono state in parte sbianchettate, «ma le candidature — racconta il coordinatore Verdini — erano concordate, Gianfranco ne era a conoscenza. Più volte l’ho sentito in questi giorni». La Russa conferma la versione del collega, «eravamo d’accordo su tutto, anche perché avevamo potere di veto sulle proposte ». Il ministro della Difesa, chiamato spesso a fare da pompiere tra il Cavaliere e Fini, ci prova anche stavolta: «A parte il fatto che Gianfranco ha preso subito le distanze dall’articolo di Farefuturo, Silvio non ce l’ha con lui. Diciamo che gli attribuisce una sorta di 'responsabilità oggettiva', come accade alle squadre di calcio che devono rispondere del comportamento dei tifosi sugli spalti». Sarà, ma ciò non basta a placare l’ira del premier, pronto a sfidare tutto e tutti, facendo campagna elettorale «con le veline a fianco»: «Ho chiesto dei giovani perché non volevo che le liste fossero inzeppate dai soliti noti, per di più d’età avanzata. Mentre il Pd candida Berlinguer e Cofferati, alla faccia del rinnovamento. Ed è spregevole quello che hanno detto sul conto di alcune ragazze. La stessa cosa l’avevano fatta con Mara Carfagna. E poi...». E poi Franceschini ha riconosciuto che verso la ministra «gli uomini hanno mostrato tutto il loro razzismo inconsapevole, il loro maschilismo ». Insomma, dirà pure «cose sbagliate » ma è «preparata». Non erano tuttavia solo le «veline in lista» il motivo del dissidio tra Berlusconi e sua moglie, e se la «dynasty all’italiana » è diventata un affare di Stato, è proprio il leader del Pd che l’ha spiegato nell’intervista alla Stampa, quando ha gettato lì che «dopo Silvio ci sarà Pier Silvio».
Non era una battuta, c’era dietro un ragionamento sul sistema presidenziale caro al Cavaliere, e che riproduce il modello statunitense, dove da decenni le grandi famiglie si contendono la Casa Bianca: dai Kennedy, ai Bush, ai Clinton. Ecco perché ieri non si parlava d’altro in Parlamento, nonostante la crisi, l’Abruzzo. E soprattutto il sì del Cavaliere al referendum. Una mossa dirompente. Perché è vero che il 21 giugno difficilmente la consultazione otterrà il quorum, ma ci sono alcune variabili che vengono calcolate nel Pdl: insieme al 12% degli italiani che andrebbe a votare per i ballottaggi, c’è un 15% di cittadini legati al referendum. Se poi a sostenerlo ci fossero Berlusconi, Fini e Franceschini... Di qui alle Europee il premier non dirà altro sull’argomento, attenderà il risultato delle urne. E se davvero superasse il 45%, allora potrebbe anche decidere di dare un ulteriore segnale sul referendum. «E se passasse — come dice Cicchitto — sarebbe con quella legge che si andrebbe a votare». Magari in anticipo.
Francesco Verderami 30 aprile 2009
da corriere.it
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« Risposta #63 inserito:: Maggio 05, 2009, 11:20:02 am » |
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Il retroscena Berlusconi vuole evitare il Tribunale e arrivare a un compromesso
Lo sfogo del Cavaliere : «Contro di me ondata di falso perbenismo»
La preoccupazione per il fronte cattolico
(28 aprile 2009) ROMA — Ancora una settimana fa era «il presidente di tutti gli italiani». Ci ha pensato sua moglie, «la signora», a picconare il basamento della statua. Perché sarà pur vero che, per ora, Silvio Berlusconi tiene nei sondaggi, che tutti gli analisti giudicano la lite familiare priva di riflessi sull'elettorato. Ma il Cavaliere - dopo l'affondo di Veronica Lario - teme che «l'offensiva di perbenismo e falso moralismo avviata contro di me» possa alla lunga intaccare la sua immagine, il suo indice di gradimento presso l'opinione pubblica, e infine i suoi consensi.
È il fronte cattolico che lo preoccupa maggiormente, lì c'è il rischio di uno smottamento, e come non bastassero gli avversari «c'è anche l'amico Umberto», Umberto Bossi, che si è messo a fare la talpa per scavargli la terra sotto i piedi. Competition is competition, vale anche per il centrodestra. Fossero questi tutti i suoi problemi. Il fatto è che la «Dinasty» all'italiana impone al premier di tutelarsi su molti, troppi fronti. Il primo è legato alla pesante allusione della moglie sulla «frequentazione di minorenni». I rischi potrebbero non limitarsi a un contraccolpo nell'ambito politico e nella controversia del divorzio. Perciò il Cavaliere ha anticipato un pezzo della sua strategia mediatica: le foto della festa a Casoria per i 18 anni di Noemi Letizia, la giovane che chiama Berlusconi «papi», verranno pubblicate sul prossimo numero di Chi, settimanale del gruppo Mondadori. Ma ieri il tg di Italia1, Studio Aperto, le ha mostrate come anticipazione, «ed è la prova della mia moralità e buona fede». È evidente come la strategia d'immagine del premier s'intrecci con la linea legale, per controbattere alle accuse della Lario. Raccontano che in queste ore il suo umore ondeggi tra un senso di liberazione, «mi sento un uomo libero» ha detto, e picchi di indignazione verso «la signora»: «Lei non mi vuole parlare? Sono io che non voglio parlarle».
Le battute sul «sobillatore» della Lario e sui «giornali di sinistra» non sono state affatto casuali: agli amici il Cavaliere ha fatto un identikit preciso del personaggio, rivelando che «Veronica ci passava le ore al telefono, subendone il fascino intellettuale e finendo per prestarsi a una macchinazione politica». Pare che voglia addirittura farne uno dei punti della linea di difesa. Ma c'è di più: il premier immagina che dietro le mosse della (ex) moglie si celino «avvocati e finanzieri», e che dunque sia l'impero dell'«imperatore» nel mirino. Una cosa è certa, Berlusconi non può né vuole arrivare in tribunale. I panni di famiglia diverrebbero cosa pubblica e sarebbe un disastro che vorrebbe risparmiare anzitutto ai figli. Per questo è propenso a ricercare un compromesso. È l'unico punto sul quale i due (ex) coniugi concordano. Si preannuncia uno scontro fra eserciti legali. È in questo clima che descrivono un Fedele Confalonieri assai preoccupato per la serenità dell'amico e anche per la tranquillità di Mediaset. Al patron del Biscione, che si è sempre speso per pacificare le cose tra «Silvio» e «Veronica», non piace l'idea dell'azienda ridotta a prateria dove si fanno scorribande.
D'altronde c'è chi - toccando ferro - rammenta come finì la vicenda dell'Arnoldo Mondadori Editore, che iniziò proprio con una lite tra due rami della stessa famiglia. E ci sarà un motivo se ieri - mentre lo staff del Cavaliere si preparava già a fronteggiare «un'estate di paparazzate contro il premier» - ad Arcore veniva ricevuto Bruno Ermolli, amico strettissimo di Berlusconi e grande consulente di strategie aziendali. Il Biscione va difeso, il Biscione non si tocca. Fuori dalla porta il Cavaliere ha lasciato le vicende politiche, l'astio verso «quel Fini» a cui attribuisce un ruolo - per quanto indiretto - nella vicenda, e il disappunto verso Bossi. La battuta del leader leghista sulle veline non gli è piaciuta, perché «quando Walter Veltroni ha candidato Marianna Madia, tutti hanno parlato di ricambio generazionale. Invece, appena ho proposto io delle giovani, una delle quali ha persino collaborato con le agenzie delle Nazioni Unite, si è scatenato il putiferio. Altro che ciarpame, questo è razzismo».
Ancora una settimana fa Berlusconi era «il presidente di tutti gli italiani». Non è stata l'opposizione a picconarlo ma la (ex) moglie. Così sì è aperta una crepa, e tutti lavorano per allargarla. Tra il serio e il faceto l'altro giorno la leghista Emanuela Dal Lago commentava: «Magari potessimo candidare la Lario con noi...». Berlusconi è consapevole dello sbrego, e per quanto cercherà di abbassare i toni della vicenda familiare, lo scontro legale e mediatico sul divorzio si preannuncia durissimo. Sarà stato un caso, ma il 30 aprile, proprio dopo l'attacco della «signora» al Cavaliere, sulla prima pagina del Giornale è apparsa la rubrica «controcorrente» con uno strano testo: «Una delle celebri figure della corrida è la Veronica. Il toro il più delle volte ne esce male».
Francesco Verderami 05 maggio 2009
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« Risposta #64 inserito:: Maggio 09, 2009, 10:13:20 pm » |
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Giorni di umore nero nel timore di conseguenze elettorali legate alla crisi familiare
E il tarlo del Cavaliere ora è stravincere alle Europee
I consigli di Confalonieri, che l’ha invitato a far spostare l’attenzione dalle vicende personali alle questioni politiche
Il consenso è sempre in prestito, e non c’è dubbio che gran parte del Paese continui a investire su Silvio Berlusconi. Ma da due settimane qualcosa è cambiato, e la «sindrome del tarlo» si è insinuata nella mente del premier, intaccando l’immagine di chi si sentiva ormai «il presidente di tutti gli italiani». Per certi versi Berlusconi l’aveva previsto, «con sondaggi così alti posso solo scendere», ma immaginava che le difficoltà sarebbero arrivate per questioni di governo o per iniziativa dell’opposizione. Invece, proprio in coincidenza con il primo compleanno del suo esecutivo, è costretto a fronteggiare una crisi familiare che è tracimata nell’ambito politico, incidendo sull’umore e interferendo con l’azione.
C’è un tarlo che mina in queste ore il suo stato d’animo e che alla lunga rischia di eroderne l’immagine dinanzi all’opinione pubblica. Cosa già vista e vissuta, non è un caso se ha evocato la parabola del 2001 come a esorcizzarla. Francesco Cossiga, che giorni fa gli ha reso visita, conosce l’Italia delle piazze Venezia e dei piazzali Loreto, sa quali sono i sintomi della «sindrome del tarlo» e quali possano essere gli effetti: «Alle Europee, con una vittoria elettorale, è chiaro che Berlusconi potrà spazzare tutto via. Nella democrazia dei numeri chi prende i voti prende il banco. Ma il premier — ecco il punto — d’ora in avanti dovrà stare attento, perché al primo scivolone gli italiani gli faranno pagare anche questa vicenda, e con gli interessi». Perciò il Cavaliere deve scongiurare l’evenienza, deve impedire che il tarlo lo logori politicamente dall’interno. Fedele Confalonieri, l’amico di una vita, è consapevole del problema, fin dall’inizio l’ha invitato a tenere i toni bassi sulla questione familiare. Non è dato sapere se fosse d’accordo con il passaggio televisivo di Berlusconi, è certo che all’indomani di «Porta a Porta» l’ha esortato a cambiar registro: «Silvio, ora concentrati sulle cose da fare. Tu sei il presidente del Consiglio, occupati del governo, dei problemi economici, dell’Abruzzo, e lascia perdere il resto».
Ma non è semplice sdoppiarsi, infatti a ogni incontro, a qualsiasi interlocutore, il Cavaliere ripete che «quanto mi sta accadendo è incredibile. Mia moglie poi, mia moglie...». Con la signora Lario i rapporti sono interrotti. Come sono interrotti i rapporti politici con Gianfranco Fini. Raccontano che il suo umore sia pessimo, spesso lo sorprendono con il pensiero altrove. Persino l’altra sera, alla cena con gli industriali, dove ha sfoggiato sorrisi di rappresentanza, a un certo punto si è lasciato andare. È stato quando — elogiando gli esponenti del suo governo — ha speso parole particolari per Sandro Bondi: «È la persona con il più alto tasso di coerenza e lealtà nei miei riguardi». Tutti hanno capito, perché il ministro dei Beni Culturali è stato l’unico a presentarsi in tv a difenderlo sulla «dynasty all’italiana».È davvero paradossale quanto accade, perché Berlusconi sta vivendo con il Paese la più lunga luna di miele della storia repubblicana, nessun presidente del Consiglio è mai riuscito a tenere un legame così forte e duraturo con l’opinione pubblica, malgrado il tracollo dell’economia mondiale.
Ancora ieri ha presentato il rendiconto del primo anno di governo, che nel Paese è valutato— a leggere i sondaggi — positivamente. Ma c’è un motivo se Gianni Letta, nei colloqui riservati, è parso agitato ai ministri, preoccupato com’è per la faccenda che coinvolge il premier: «In questo momento — si è raccomandato — bisogna essere prudenti». È vero, il governo sta andando avanti, ha «rafforzato la sua squadra», come dice il Cavaliere, e sembra anche che si avvicini il tempo delle nomine. Ma tutto appare sospeso, in attesa che il capo muova il passo. La campagna elettorale del Pdl, per esempio, è ancora bloccata. Berlusconi l’aveva impostata con uno stile istituzionale, lui che fino a due settimane fa si sentiva «il presidente di tutti gli italiani » aveva deciso di non usare i famosi cartelloni sei per tre, che l’avevano reso vincente: «C’è la crisi economica, eppoi sono inflazionati. Meglio puntare sul governo del fare».
La mission in Abruzzo, il 25 aprile, il G8 all’Aquila, così ipotizzava di realizzare il pieno nelle urne. Ieri in Abruzzo non c’è andato più. Domani non andrà a Marcianise, domenica si dice salterà l’apertura della campagna elettorale per la provincia di Milano. Intanto la Lega ha appiccicato i suoi manifesti in tutto il Nord, e nei report riservati sembra pronta a far man bassa in Veneto. L’opposizione nel frattempo alimenta «il tarlo» e inizia a lavorarlo ai fianchi proprio sull’Abruzzo, dove Berlusconi ha suscitato aspettative altissime. Da tre giorni Europa, quotidiano del Pd, batte sullo stesso tasto in prima pagina: «Basta con la tregua. È ora di alzare la voce». Non a caso il governo ha modificato il decreto, affidando inoltre al sindaco dell’Aquila la responsabilità della ricostruzione. È un modo per coprirsi il fianco.
Ma è un altro oggi il vero fianco scoperto del Cavaliere, lui non ha bisogno degli amatissimi sondaggi per percepire l’umore del Paese. Veleggia oltre quota 40%, è vero. Ma deve snidare il tarlo, quel dubbio che alla lunga può far presa sugli italiani. E magari evidenziarsi in autunno, al primo incidente serio di percorso. Per riuscirci deve decidere come riproporsi dopo la crisi familiare, se tornare sulla scena o isolarsi per un po’. In entrambi i casi deve mettere in conto dei rischi. Esserci o non esserci (nelle piazze), questo è il suo dilemma.
Francesco Verderami 09 maggio 2009
da corriere.it
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« Risposta #65 inserito:: Maggio 17, 2009, 12:09:37 am » |
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Settegiorni
Il Cavaliere sceglie di evitare le piazze e mette in agitazione il partito
I tre coordinatori pdl: gli mettiamo pressione perché si mostri ma lui rinvia
Un altro fine settimana senza poter ostentare il corpo del capo in campagna elettorale. Silvio Berlusconi è in Russia, non sui palchi dei comizi per il Pdl, e a nulla finora è valsa la processione di ministri e dirigenti di partito, preoccupati per la sua assenza. Nel Pdl tutti sgomitano per avere il premier nella loro città, «se non per un discorso, per un atto di presenza, Silvio. Almeno una passeggiata». Sanno che è il re Mida del consenso, capace - così dicono i sondaggi - di incidere fino a cinque punti ad ogni apparizione in favore di un candidato, e di lasciargliene incollati due dopo la partenza. E siccome - per dirla con Fedele Confalonieri - «la leadership di Berlusconi è una leadership fisica», è chiaro il motivo dell’allarme.
Senza il Cavaliere il marchio non tira, almeno non come potrebbe. Se non c’è, se non appare, è perché la vicenda familiare ha lasciato il segno, anche politicamente. Raccontano che ieri in Consiglio dei ministri sia rimasto sulle sue. Cordiale come al solito, ha organizzato anche un rinfresco per festeggiare la prima volta di Michela Brambilla a palazzo Chigi. Ma non ha riempito di barzellette la pre-riunione, nè Gianni Letta ha dovuto usare il campanello per fermarlo. Solo una battuta, ripetuta poi in conferenza stampa, sempre sul tema delle «veline» e delle «minorenni ». Ne fa uso da settimane per indurre l’opinione pubblica ad andare oltre, e anche per mettere ordine tra le macerie del suo personale terremoto d’immagine. Perché è vero - come spiega il sondaggista Nando Pagnoncelli che «gli italiani sono pragmatici », che «la vicenda ha inciso poco sulla valutazione del governo e sull’orientamento di voto», mentre «è nel giudizio sulla persona che Berlusconi risulta in calo ».
Ma è proprio questo il punto. Ignazio La Russa dice di essere andato a trovarlo «insieme a Sandro Bondi e Denis Verdini», gli altri due coordinatori del partito: «Gli stiamo mettendo pressione per farsi vedere. Lui però rimanda. D’altronde, ben prima che gli capitasse la faccenda, ci aveva avvisato delle sue intenzioni. Voleva impostare una campagna elettorale sobria». Non è mancato nè mancherà agli appuntamenti istituzionali, alle convention delle categorie produttive che sono volano di consensi. Ma sempre al chiuso, sempre in luoghi asettici, e da presidente del Consiglio non da leader che si fa toccare per strada, come ha sempre fatto da re taumaturgo, da moderna icona pop-politica. È il prezzo che il Pdl sta pagando per la bufera scoppiata dopo quella festa dove Noemi l’ha chiamato «papi». «È un prezzo che sta pagando il suo partito e lui personalmente», sostiene Francesco Cossiga: «Se non si mostra in pubblico è perché teme che gli gettino una signorina tra le braccia per menare altro scandalo». Di più, teme «la calunnia». Come ha confidato giorni fa ad un amico, «un conto è che mi diano del playboy, cosa che mi lusingherebbe, altra cosa è se mi dicessero una parola che non voglio nemmeno pronunciare». Cossiga è andato a trovarlo la scorsa settimana, l’ha visto «incupito e sofferente per l’atteggiamento della moglie». Non solo. Secondo l’ex capo dello Stato «sulla storia di Casoria, Berlusconi pensa di esser stato attirato in una trappola. E quando parla di 'congiura' non si riferisce ai giornali o alla sinistra, che semmai ci sono montanti sopra. No, lui pensa ad altro».
Non è dato sapere di cosa si tratti, è certo - lo riferisce Cossiga - che «durante la nostra conversazione ha avuto apprezzamenti per Massimo D’Alema»: «'Se ci fosse stato D’Alema a dirigere il Pd - così mi ha detto - non avrebbero sollevato un polverone. Come mi ripeti sempre, caro Francesco, resta il migliore di quelli lì'». Berlusconi non c’è, oggi è in Russia. Ad essere maggiormente preoccupati sono gli ex azzurri, impegnati nella sfida intestina con gli ex di An. Altro che liste bloccate: dalla lotta delle preferenze si stabiliranno i rapporti di forza interni, oltre gli eurodeputati per Strasburgo. «Il Pdl è nato ma è una fatica tenerlo insieme», ha commentato il premier la scorsa settimana, dopo l’ennesima riunione per l’ennesima vertenza. Perché sarà anche vero che il Cavaliere non si muove - «il presidente non ci ha fatto ancora avere la sua agenda», è il refrain quotidiano - però è concentrato sull’appuntamento di giugno. E fa previsioni: il Pdl «supererà il 40%, e ogni frazione in più sarà per me un successo», mentre il Pd «perderà moltissimi punti rispetto alle Politiche, ma non sarà una disfatta, arriverà al 26%», un risultato che - a suo dire - non farà crollare il progetto. È così che attende di tornare in campo, perché lo farà - non c’è alcun dubbio - a ridosso delle urne. E chissà, forse l’assenza, l’astinenza dal contatto con «il popolo», è l’ennesima trovata elettorale, un modo per suscitare curiosità, creare aspettativa. Il tentativo di ricostruirsi quel profilo che ha perso tre settimane fa.
Francesco Verderami 16 maggio 2009
da corriere.it
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« Risposta #66 inserito:: Maggio 20, 2009, 10:46:23 am » |
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Il capo del governo preoccupato anche dagli effetti delle vicende personali
Toghe e caso Noemi: Silvio si sente «braccato» Berlusconi ritiene di essere vittima di un’operazione che mira a destabilizzarlo.
«Cosa vogliono, che mi dimetta?» ROMA — «Cosa vorrebbero, che morissi in un attentato? Cosa dovrei fare, scomparire?». Berlusconi si sente come un toro a cui i picadores stanno infliggendo le banderillas, per poi lasciarlo senza forze al colpo del matador. Dice di essere «circondato, braccato», e ieri pomeriggio la sua furia senza bersaglio era rivelatrice del suo stato d’animo: «Sono sconfortato. Vogliono che molli tutto e mi dimetta? Questo vogliono? Massì, chi me lo fa fare, arrivederci...»
Così aveva farcito le sue conversazioni prima di presentarsi all’Aquila. E quel ragionamento svolto con autorevoli ministri e dirigenti di partito, quell’atto d’accusa verso una spectre priva di volti e di nomi, aveva allarmato la corte del Cavaliere, dove a un certo punto era prevalso il timore che davvero il premier fosse pronto a un gesto clamoroso, di sfida quantomeno, se non addirittura di rassegnazione. È chiaro che senza Berlusconi l’intera architettura politica cederebbe, perché senza di lui lo spiegò tempo addietro Confalonieri - salterebbe tutto. Ma non è questione all’ordine del giorno, semmai il patron di Mediaset è preoccupato per l’amico di una vita, teme che altre banderillas possano venire usate per stroncare una leadership che oggi non ha rivali.
La sentenza Mills è un altro colpo all’immagine del premier, «coperto» dall’avvocato inglese e protetto dal lodo Alfano. Certo, l’ennesima offensiva contro Berlusconi per la sua ennesima vertenza giudiziaria, nelle urne potrebbe trasformarsi in un boomerang per l’opposizione. Ma per quanto possa apparire paradossale, la campagna elettorale non interessa più nessuno, nell’inner circle del Cavaliere se ne sono convinti, «tanto, anche se il Pd arrivasse al 27% invece del 25%, si direbbe che in fondo ha ottenuto un buon risultato rispetto alle attese».
È Berlusconi nel centro del mirino, almeno così lui si sente: vittima di un’operazione che mira a destabilizzarlo. E più del caso Mills, è ossessionato dai vortici sulla vicenda di Noemi che lo chiama «papi», da quella parola terribile che non osa nemmeno pronunciare, che teme di veder affiorare sulle labbra dei suoi contestatori, o di veder riproposta sulle prime pagine della stampa internazionale quando ospiterà i leader mondiali al G8. Ecco oggi la priorità del premier: c’è un’immagine da ricostruire in fretta, come l’Abruzzo, anche al cospetto dei potenti della Terra. L’ha fatto capire quando ha ammesso che «il danno c’è stato, certamente», e che sarà chiamato a «uno sforzo per far passare la realtà» con le cancellerie straniere.
Sarà pur vero che l’indice di gradimento resta altissimo, «ero al 75,1% e sono calato solo dello 0,3%, cioè nulla». Ma intanto l’altra sera alla cena elettorale di Milano — citando gli amatissimi sondaggi — è rimasto sul vago dicendo che «il Pdl sta ben sopra il 40%», lasciando intuire una flessione. Eppoi, a forza di subire colpi, il rischio è che un tarlo possa logorare il suo rapporto con l’opinione pubblica, ancora solidissimo. Chi lo cinga d’assedio non lo dice, al di là dell’offensiva contro «la stampa di sinistra». Che sia pronto a ribattere è evidente, quando annuncia di volersi recare in Parlamento a parlare di giustizia.
Ma Berlusconi avverte l’accerchiamento. La crisi economica sembrava il suo unico nemico. In autunno, «quando eravamo sull’orlo dell’abisso », Tremonti aveva scorto strane manovre dentro e fuori il Palazzo, le aveva attribuite al «partito della crisi», a «quelli del tanto peggio tanto meglio». «Sfascisti idelogici», li aveva definiti il titolare di via XX Settembre, «sono personaggi che si illudono di poter ereditare qualcosa dalla caduta del governo, senza capire che una crisi non sarebbe solo la fine dell’esecutivo ma la fine di tutto». «L’allarme è rientrato», spiegava Tremonti una settimana fa. Ora c’è un altro fronte, ben più insidioso, a preoccupare il Cavaliere.
Francesco Verderami
20 maggio 2009 da corriere.it
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« Risposta #67 inserito:: Maggio 22, 2009, 06:26:35 pm » |
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Il retroscena: Anche Letta preoccupato
Il premier e la sindrome dell’«anatra zoppa»: disegno contro di me
ROMA — Il sorriso negli ultimi tempi Berlusconi lo indossa solo nelle occasioni pubbliche, e anche in quei casi la maschera a volte cede. D’altronde non è facile celare l’inquietudine per chi si sente «vittima di un disegno costruito a tavolino » che ha l’obiettivo di indebolirlo, fiaccarlo e infine isolarlo, per trasformarlo in un’anatra zoppa, in un leader cioè senza più leadership, in un premier senza più potere, in attesa di essere sostituito. È un’ossessione che non lo lascia più, anzi che è proprio il Cavaliere ad alimentare giorno dopo giorno, andando alla ricerca di riscontri che convalidino la tesi.
Perché è vero che nel Palazzo e nelle urne non c’è al momento la possibilità di scalfire la sua forza: non ci sono i numeri in Parlamento per un ribaltone, nè c’è un’opposizione in grado di rimontarlo nei consensi, «e siccome non riescono a colpirmi politicamente, stanno tentando altre strade». Il punto è che il suo tallone è ben in mostra, le vicissitudini personali hanno allargato l’area del bersaglio. Lo descrivono «assai irrequieto e angosciato», convinto com’è che «siamo solo ai preliminari »: il colpo semmai — ecco il motivo del suo stato d’animo — lo attende dopo le elezioni, a ridosso del G8.
In questa sindrome che lo attanaglia, Berlusconi intravede una sinistra coincidenza a sostegno delle sue congetture: nel ’94, al vertice di Napoli, fu l’avviso di garanzia del pool di Mani Pulite a destabilizzarlo; stavolta — siccome nemmeno il caso Mills sembra produrre quegli effetti — teme ci proveranno «con la spazzatura». Se accadesse, sarebbe un terremoto. Raccontano che finora il premier non sarebbe riuscito a capire da dove stia arrivando l’attacco: scartata l’ipotesi dell’opposizione e dei giornali, «terminali » a suo dire del disegno, lascia aperta la pista della magistratura, della finanza italiana e persino di lobby internazionali.
Ancora ieri — dopo l’ennesima offensiva contro il «Parlamento pletorico» e le «toghe rosse» — ha confidato di non aver paura di manovre di Palazzo: «Il problema non sono Fini o Casini, figurarsi, ma certi poteri. Non vorrei stessero di nuovo pensando a mettersi in proprio». Non è un caso se nei giorni scorsi Gianni Letta si è mosso con riservatezza e cautela nei panni dell’ambasciatore: ha avuto colloqui con Carlo De Benedetti, editore del gruppo Repubblica-L’Espresso, e con importanti banchieri. E non è un caso se ieri a Confindustria si è avvertito il gelo del premier con pezzi del gotha imprenditoriale, se De Benedetti ha stretto le mani di (quasi) tutti i ministri senza mai incrociare il Cavaliere.
Difficile capire se Letta coltivi la stessa sindrome, di certo è preoccupato, perché convinto che «la campagna di aggressione », unita alla campagna mediatica, non si arresterà. Di più. Teme che stavolta non sarà come ai tempi del «caso Saccà», quando da un’inchiesta della Procura di Napoli emersero le intercettazioni tra il dirigente Rai e il premier su alcune attrici. «Stavolta il tentativo per colpire Berlusconi sarebbe stato perfezionato, costruito meglio», sussurra un autorevole ministro. E non è facile spiegare al Cavaliere che non può andare in pizzeria come uno qualunque o mostrarsi disponibile con chiunque. Nei giorni in cui tutto ebbe inizio, Berlusconi urlò ad alcuni suoi consiglieri: «Non sono tenuto a dirvi sempre dove vado e cosa faccio. Non faccio nulla di male nella mia vita».
Ma è proprio lì che l’opposizione si prepara a mirare. Finora il Pd ha tenuto separato lo scontro politico dalle faccende private del premier, ma ora i Democratici stanno raccogliendo le firme alla Camera per un’interpellanza urgente al Cavaliere, perché risponda «direttamente » ad alcune domande: «Quando e come ha conosciuto Benedetto Letizia»? «Qual è la natura dei rapporti con lui»? «Conosce le copiose proprietà immobiliari della famiglia Letizia»? «Qual è la natura dei rapporti con Noemi che conosce da quando era minorenne»? «Dopo quanto affermato da Veronica Lario, ci sono altre minorenni che incontra o 'alleva' »? E «quali sono le sue condizioni di salute». Tutto ciò — è scritto nel testo — per fare «chiarezza» su una vicenda che «rischia di danneggiare l’Italia e le sue Istituzioni a livello internazionale », anche perché siamo «alla vigilia del G8»...
Francesco Verderami 22 maggio 2009
DA CORRIERE.IT
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« Risposta #68 inserito:: Maggio 27, 2009, 11:03:01 am » |
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Il retroscena
Il capo del governo racconta della madre e della sorella scomparse: che vuoto nella mia vita
E il premier fa la conta dei nemici
Inquietudine anche per il caso rifiuti.
Sollievo sulla Chiesa: fandonie, i rapporti non sono rotti
Un mese fa, dopo il 25 aprile, si sentiva ed era «il presidente di tutti gli italiani». Un mese dopo eccolo, il premier, rifugiarsi nelle viscere dello stadio a San Siro, inseguito dai cori su «Noemi» e «papi», preoccupato che le telecamere possano immortalare la scena, trasformando quelle parole nelle moderne monetine di Craxi. Domenica scorsa per Berlusconi doveva essere un test per il ritorno in pubblico, un esperimento nel salotto di casa, al «Meazza», con il suo Milan: è finita peggio della sfida di calcio con la Roma. Così il Cavaliere è tornato a rintanarsi, a comunicare dal chiuso del suo ufficio, plumbeo nell’umore e sordo agli appelli di quanti gli chiedono di uscire allo scoperto e contrattaccare.
Come se non bastasse la gogna mediatica di cui si sente vittima, e che gli sta procurando un calo nei consensi e un vistoso danno d’immagine internazionale, da giorni è assillato per una nuova offensiva giudiziaria, i cui contorni gli sono ancora poco chiari, proveniente da Napoli, questo è certo, come sembra certo che la vicenda sia legata al problema dei rifiuti. In principio aveva temuto soltanto per il capo della Protezione civile Bertolaso, ora sa di essere anche lui «nel mirino» e sostiene che «la manovra fa parte del disegno per colpirmi», per lavorarlo ai fianchi e fiaccarlo politicamente.
Quando si perde la serenità ogni ombra ingigantisce i timori e i sospetti, sebbene l’opinione pubblica continui a sostenerlo nei sondaggi. Così nel sancta santorum del premier c’è chi — facendo di conto sui suoi «nemici» — aggiunge alla lista addirittura il tycoon australiano Murdoch, e motiva questa congettura legando l’aumento dell’aliquota agli abbonamenti per la tv satellitare, deciso l’anno scorso dall’esecutivo, ai ripetuti attacchi del Times contro il Cavaliere.
In un’atmosfera davvero surreale, nel governo c’è persino chi racconta di strani conciliaboli dentro e soprattutto fuori dal Palazzo, su un fantomatico «governo di emergenza economica» da approntare se l’argine degli ammortizzatori dovesse cedere per l’aumento esponenziale della disoccupazione, precipitando il Paese in una crisi sociale. «Mi viene da ridere», è stato il commento a denti stretti del premier. Eppure ieri Bossi è stato sibillino quando ha detto che la crisi economica durerà ancora due o tre anni, per poi aggiungere che «tutto dipende da chi sarà alla guida. Se c’è Berlusconi qualche lavoro si trova». «Se» c’è Berlusconi? Ma la legislatura non termina tra quattro anni?
Il «caso Noemi» è come un fermo-immagine, la politica appare ferma, in attesa di nuovi e clamorosi colpi di scena o di una reazione del premier. Così s’inseguono voci su un ritorno a breve in pubblico di Berlusconi, già stasera all’Olimpico per la finale di Champions, e illazioni senza fondamento, compresa quella che vorrebbe la ragazza di Casoria una «nipote segreta » del Cavaliere. Ecco quali effetti distorsivi produce quell’immagine bloccata che ipnotizza tutti.
Ma la politica in realtà è in gran movimento. La crisi della giunta siciliana, per esempio, è interpretata nel centrodestra come l’anticipazione di quanto potrebbe accadere nel day-after berlusconiano, il rischio cioè dell’implosione del progetto pdl. Sul fronte delle riforme si prepara una union sacrée contro i progetti del Cavaliere. La Lega poi — come spiega il ministro Calderoli — è «preoccupata di far vedere i risultati del governo» e allo stesso tempo «è preoccupata per Berlusconi», per il suo stato d’animo. E nel Carroccio resta forte il timore per ciò che potrà decidere il premier sul referendum dopo le Europee.
C’è «Noemi» però. E allora si attende che persino la Cei prenda posizione sull’argomento. E l’ansia si era impadronita anche di Berlusconi, se è vero che ieri mattina — tirando un sospiro di sollievo — ha anticipato a un autorevole ministro che «tra poco i vescovi italiani assumeranno una posizione comprensiva», che «farà giustizia di quanto si dice in giro, e cioè che si sarebbero rotti i rapporti con il mondo cattolico. Non è vero, tutte fandonie. La sinistra si illudeva». In effetti la Cei ha deciso di non esprimere un giudizio sul premier, anche se «non si può essere incuranti degli effetti che certi atteggiamenti producono».
Il Cavaliere non ha tirato a indovinare, ancora una volta deve tutto alle relazioni diplomatiche Oltretevere di Gianni Letta. «Ma io vi giuro sulla testa dei miei figli che nulla di quanto si dice è vero», ha ripetuto Berlusconi ai suoi più fidati consiglieri: «Ed è avvilente che la sinistra si sia gettata così nelle mie tristi vicende personali». E nel raccontare la propria tristezza ha evocato la madre e la sorella scomparse, «il vuoto che hanno lasciato nella mia vita ». Medita di prendersi «una rivincita contro i fomentatori d’odio», intanto resta chiuso nel suo bunker. Solo con se stesso e con la sua valanga di consensi.
Francesco Verderami
27 maggio 2009 da corriere.it
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« Risposta #69 inserito:: Maggio 28, 2009, 09:43:13 am » |
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IL COLLOQUIO
Marina: «Superata ogni decenza Sono orgogliosa di mio padre»
«Da Franceschini arrivano scuse? Le respingo. Disegno politico contro il premier»
ROMA — Da settimane tace, «sono settimane che soffro senza dire una parola per quanto sta capitando a Silvio Berlusconi», così lo chiama. «Ma stavolta non posso più tacere». E stavolta non è la presidente di Fininvest e Mondadori a parlare, non è la donna che la rivista Forbes definisce «la più influente d'Italia», non è la signora che siede a Mediobanca. È Marina Berlusconi, una figlia che intende difendere l'onore del padre con le unghie, e con un tono di voce che ha fatto letteralmente ribaltare dalla sedia il fratello: «Hai sentito cos'ha detto l'onorevole Dario Franceschini?», ha urlato al telefono a Pier Silvio. Il Tg1 aveva appena trasmesso lo stralcio di un comizio del leader democratico: «Agli italiani e alle italiane vorrei chiedere una cosa. Fareste educare i vostri figli da Berlusconi?». È pomeriggio inoltrato e Marina è ancora arrabbiata. «Arrabbiata? Sono indignata. Furiosa. Eh no, basta. Ora basta davvero. Il signor Franceschini — così lo chiama — non può permettersi di insultare Silvio Berlusconi. Ma chi si crede di essere? Si rende conto della gravità della sua dichiarazione? Dovrebbe vergognarsi, v-e-r-g-o-g-n-a-r-s-i».
Al telefono si avverte il rumore di un pugno che si abbatte sulla scrivania, si sente il respiro affannoso di chi ha deciso di svestirsi del proprio ruolo in nome del padre: «Le parole di Franceschini sono un insulto, e non soltanto per Berlusconi. Perché insultando mio padre ha insultato anche me, la donna che sono, la madre che sono, e che sta trasferendo ai propri figli i valori che a loro volta mi hanno trasmesso i miei genitori». Si è sempre detto e scritto del legame particolare che unisce Marina al padre. Eccone la prova. «Si è superato ogni limite di decenza», protesta ad alta voce: «Questa non è libertà di parola, non è una semplice caduta di stile in campagna elettorale, questa è un'infamia». Perciò non accetta la puntualizzazione del segretario del Pd, dispiaciuto per il fatto che «le mie dichiarazioni sono state male interpretate». «Se si tratta di scuse, sono respinte. È la marcia indietro di chi si rende conto di aver sbagliato. Ma le sue parole al telegiornale le hanno sentite tutti. E penso che, come dirigente di partito, stia trascinando questa vicenda su un piano che con la battaglia politica, anche quella dei colpi bassi o bassissimi, non c'entra nulla». «Ma quale diritto ha di dire anche una parola, una sola, su Berlusconi padre? Io questo diritto ce l'ho e stavolta non intendo restar zitta. Vuol fare una domanda agli italiani? Gli rispondo da italiana, che è mamma e che ha avuto la fortuna di avere un genitore come Silvio Berlusconi. E parlo di fortuna non per il cognome che porta o per quello che ha fatto, ma per il padre che è stato e che è. Mio padre ha sempre lavorato tanto, ma non c'è stata una volta, una volta sola, in cui io non l'abbia sentito vicino quando ne avevo bisogno. E vicino nel modo giusto, a seconda delle situazioni: una presenza forte, se di quella avevo bisogno; o discreta, sfumata, se era la cosa giusta. Mi ha fatto sentire sempre molto amata, rispettata come figlia e come donna. Ha sempre compreso e sostenuto le mie scelte. Ma cosa ne sa Franceschini di me, di noi...».
Le regole della lotta politica le sono chiare, è la lezione morale che non accetta: «Il segretario del Pd parla di valori? Allora sappia che ho fatto dei valori che i miei genitori mi hanno trasmesso la spina dorsale della mia vita. Ed è grazie a tutto l'amore che mi hanno dato, e a quello che mi hanno insegnato, che oggi, a 42 anni, posso dire di essere una donna contenta, soddisfatta e fiera della mia vita, della mia famiglia, di mio marito, dei miei figli». Non intende parlare del «caso Noemi», «anche perché si tratta di una montagna di infamie costruite sul nulla», ed è la prima volta nel corso della conversazione che il tono cambia e si incrina: «Verrà il momento in cui mi toglierò i sassolini dalle scarpe, per restituire al mittente quei macigni fatti di parole che sono stati poggiati sul mio cuore di figlia. Verrà il momento. Non è ancora arrivato». Vive il dolore del padre, ne condivide lo stato d'animo dopo l'annuncio del divorzio da parte di Veronica Lario: «Ma quello che ho dentro preferisco tenerlo per me». Difende la privacy della famiglia, Marina, e racconta che «questo periodo difficile sta, se possibile, rafforzando il legame tra fratelli e sorelle. Ci sentiamo ancor più uniti». Ma oggi il «Berlusconi» da difendere è il padre, che certo è anche il premier. «E come si fa a negare che ci sia un disegno politico contro di lui?», commenta. «È un disegno portato avanti da chi non sa più nemmeno cosa sia la politica. È evidente: dopo tanto tempo c'è un governo stabile, che fa il suo lavoro, che dà soluzioni concrete, che ha restituito autorevolezza alle istituzioni. Si pensi per esempio a come ha gestito l'emergenza dei rifiuti in Campania e il terremoto in Abruzzo. Ci sarà un motivo se gli italiani oggi dicono che "finalmente lo Stato c'è". E ora il tentativo di distruggere Berlusconi rischia in realtà di distruggere la dignità recuperata dalla politica, e il ritrovato senso di una presenza utile ed efficace delle istituzioni». Ma non è il premier che Marina vuole difendere. Il Cavaliere ci penserà da sé. È l'onore del padre che le preme: «Io sono orgogliosa di mio padre come uomo e come genitore. Auguro sinceramente ai figli di Franceschini di avere un padre come il mio».
Francesco Verderami
28 maggio 2009 da corriere.it
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« Risposta #70 inserito:: Giugno 08, 2009, 11:04:30 am » |
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Il risultato delle elezioni indebolisce Berlusconi
Offensiva su intercettazioni e giustizia
Allarme per il voto dei cattolici
Tra i credenti perso il 20% in un mese. Crisi di immagine. E il premier ora teme uno choc sul G8
ROMA — È allarme rosso nel Pdl. Altro che 25 aprile, altro che pacificazione nazionale, altro che dialogo e riforme condivise. Da domani maggioranza e opposizione contribuiranno ognuna per la propria parte a rendere ancora più alto il muro che le tiene separate. Perché ormai è chiaro quale tema terrà banco in Parlamento fino all’estate, è sulla giustizia che si sfideranno i due schieramenti. Berlusconi ha invitato il suo Guardasigilli a prepararsi per uscire allo scoperto, sapendo che Bossi si comporterà da «alleato leale», dopo aver ottenuto quanto chiedeva: la legge delega sul federalismo fiscale. E siccome al momento non ci sono le condizioni per un tavolo bipartisan dove discutere sulle modifiche alla Carta costituzionale, il Cavaliere vorrebbe sfruttare questi due mesi di lavoro parlamentare per portare a casa il nuovo testo sulle intercettazioni e la riforma del processo penale. Era questo il piano prima delle elezioni, ma il risultato delle urne lo consegna indebolito e sarà più complicato in questo modo dar battaglia.
Eppure lo scontro inizierà già domani alla Camera, dove si voterà la mozione del Pd che chiede l’abolizione del «lodo Alfano». Per l’ennesima volta sarà come ripiombare in un passato che non è mai alle spalle, se è vero che si intravedono le ombre di ulteriori e clamorosi colpi di scena giudiziari. Da tempo voci preoccupate alimentano i colloqui riservati dell’inner circle berlusconiano, nuovi fantasmi si muoverebbero nel triangolo delle procure di Milano, Napoli e Palermo, con il Cavaliere — e non solo lui — nel mirino. È un’ipoteca politica che grava anche sul G8 dell’Aquila, dove Berlusconi teme «una sgradevole sorpresa» come quella del ’94. È una questione che comunque ieri sera è rimasta ai margini delle prime analisi sul voto.
A preoccupare i dirigenti del Pdl, semmai, è stato l’azzardo del premier, che tenendo altissima l’asticella del risultato in campagna elettorale aveva prodotto un’aspettativa molto ambiziosa. Anche troppo. «Quota 40» era la soglia, invece non solo è sceso sotto quel limite, ha ripiegato anche rispetto alle Politiche. Una sconfitta. Nessuno lo immaginava nel Pdl, dove si è avvertito un senso di smarrimento, più di quanto ne avesse prodotto la sfuriata di Berlusconi qualche ora prima, irritato per la «pessima organizzazione» dell’ultima manifestazione a Milano: «C’era pochissima gente». Quella convention è stata emblematica perché ha dato l’idea di un partito che stenta a decollare. In fondo, quando il premier sostiene di esser stato «forzato» a candidarsi, disvela la fragilità del Pdl.
Il punto è che Berlusconi resta l’unico attaccante, l’uomo panino, il collettore di consensi. Fino al 25 aprile, infatti, quando ancora macinava gli avversari, quando si sentiva ed era «il presidente di tutti gli italiani », il Pdl veleggiava tra il 43-45%. Il Cavaliere appariva un dominus della politica italiana capace di proiettare la sua forza anche a livello internazionale, prefigurando il Pdl come primo partito del Ppe e ipotecando persino la presidenza dell’Europarlamento. Poi è cambiato tutto.
La crisi d’immagine è iniziata cinque settimane fa, il tarlo del sospetto su Noemi, la ragazza di Casoria che lo chiama «papi», ha iniziato a minare il suo rapporto con l’opinione pubblica, che aveva toccato il suo picco storico nel giorno della festa della Liberazione, quel «76%» di fiducia che lo stesso premier aveva definito «imbarazzante». Da allora è precipitato nei numeri personali. Una crepa si è aperta soprattutto con l’elettorato cattolico: per i sondaggisti, in meno di un mese, c’è stato un crollo di venti punti percentuali, concentrati sui credenti praticanti. E con lui ha preso a calare anche il Pdl. Berlusconi a quel punto ha capito di essere in affanno e dopo aver giocato la competizione con la Lega si è aggrappato a Bossi. Nel Pdl c’è chi contesta le sue ultime sortite, perché non si possono cedere Kakà al Real e il Veneto alla Lega a pochi giorni dal voto.
La sconfitta si fa cocente, paradossalmente passa in secondo piano il fatto che si sia allargata la forbice con il Pd. Resta la botta. È tutto da vedere se cambierà la strategia del Cavaliere, è certo che già prima delle urne il premier si era preparato a risolvere i casi politici aperti, riannodando i rapporti con il governatore siciliano Lombardo e anticipando di voler lasciare a un leghista la candidatura in Veneto alle prossime regionali. Berlusconi mirava (e mira) a spegnere i focolai d’incendio per garantirsi un percorso parlamentare sicuro sui provvedimenti che gli stanno più a cuore, in modo poi da concentrarsi su un G8 che non sarà facile, vista la freddezza con cui la Casa Bianca tiene i rapporti con l’Europa intera. Immaginarsi con l’Italia di un Cavaliere che si è indebolito.
Francesco Verderami 08 giugno 2009
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« Risposta #71 inserito:: Giugno 09, 2009, 10:35:56 am » |
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«Pdl fotocopia leghista, Sud deluso» Fini riapre il confronto nel partito
Telefonata al premier, critiche ai tre coordinatori. Il rammarico di Letta
ROMA — Voleva emulare De Gasperi, «voglio essere il De Gasperi di un’Italia moderna », diceva il premier un mese fa, quando «quota 40» appariva un obiettivo elettorale raggiungibile, e che avrebbe fatto del Pdl un partito forte come solo la Dc degli anni Cinquanta. Sa che a far saltare il suo progetto non è stata l’opposizione, o la stampa straniera, o un complotto internazionale, ma «la mia signora», così ha sospirato ieri, sintetizzando il crescendo polemico iniziato sulla candidatura delle «veline », e culminato nel caso Noemi, la ragazza di Casoria che lo chiama «papi». In quel momento — un mese fa — Berlusconi avrebbe avuto bisogno di un partito che lo sorreggesse e ne surrogasse l’assenza, siccome «con tutte le infamie che i media mi hanno riversato addosso non ho potuto fare campagna elettorale».
Non è andata così perché il Pdl non è stato organizzato così per volontà del Cavaliere. La novità è che il premier vuol porre rimedio a questo deficit. Ed è proprio quanto Fini si attende. Raccontano che il presidente della Camera abbia chiamato il premier, e le sollecitazioni che sono giunte a Berlusconi in serata attraverso una nota della fondazione Farefuturo riflettono il pensiero del «cofondatore » del Pdl. Fini auspica che il partito «nasca davvero », che dietro il leader ci sia «una struttura legittimata e visibile », perché quella struttura «gli potrebbe tornare molto utile — così recita la nota — per contenere» l’offensiva leghista e il malcontento del Sud «emerso dall’astensione»: «Non basta che Berlusconi si occupi personalmente del caso Sicilia», se poi non c’è un gruppo dirigente che sappia reggere altri eventuali casi.
Non c’è dubbio che il presidente della Camera critichi il premier per una «politica di governo a trazione leghista», che ha dato a Bossi «una forte affermazione elettorale». E non c’è dubbio che Fini chieda maggiore attenzione verso il Sud dove si avverte «un senso di crescente insoddisfazione». E il Mezzogiorno entrerà nell’agenda di governo, «bisognerà dare visibilità alla nostra azione in questa area del Paese», dice il ministro Fitto. Ma sono i «triumviri » del Pdl il bersaglio dell’attacco di Fini-Farefuturo, dato che «al vertice» del partito «non pare abbiano colto» il problema: «E la cosa è grave». Insomma, il presidente della Camera sprona il Cavaliere, confidando in un cambio di passo nel partito e nel governo, dove un Pdl «senza preciso profilo» ha svolto «una politica fotocopia» della Lega.
Spera poi che «dalle vicende che lo hanno colpito», Berlusconi capisca di «stare più tranquillo ». Perché in fondo — ha spiegato ai suoi — «si sarebbe potuto commentare un buon risultato elettorale, se Silvio non avesse fatto la sparata» su «quota 40». Più o meno quel che ha commentato un rammaricato Gianni Letta nei suoi colloqui riservati: «Senza quegli eccessi, Berlusconi avrebbe potuto dire che il suo governo è l’unico ad aver davvero retto in Europa». «Nessun altro infatti — spiega il ministro Matteoli — ha fatto meglio di noi. Anche perché, quanto il Pdl ha perso in punti percentuali è finito alla Lega, rimanendo nell’alveo della maggioranza».
Invece Berlusconi, pur di arrivare laddove solo la Dc era arrivata, ha giocato d’azzardo con i numeri. Ma non sono stati i sondaggi a tradirlo, se è vero che alla vigilia del voto nessun istituto gli assicurava più «quota 40». Missione fallita. Il segretario del Pri Nucara sostiene che dal Paese è giunto un messaggio al Cavaliere: «Se vuole governare deve capire che lui è il capo di una coalizione, non può limitarsi a fare il capo di un partito».
Berlusconi ha compreso il messaggio dell’opinione pubblica e si appresta a cambiar passo. Il fatto di voler mettere mano nel partito è un modo per assumersi la responsabilità di quanto accaduto, e per porre fine a «lotte intestine», come quella in Sicilia, «che hanno disorientato quanti ci votano». Intanto si augura che «finita la campagna elettorale finisca l’aggressione contro di me». Eppoi i dati ufficiali delle urne hanno cambiato il suo umore, che ieri mattina era pessimo, perché avvertiva sulla propria pelle «lo smacco» di chi in Europa si era prenotato come grande vincitore.
Nonostante la botta, infatti, il Pdl è diventato il primo partito in tutte le circoscrizioni, e il Pd è stato scavalcato nelle regioni centrali a dominanza rossa. Dalle tabelle in suo possesso ha notato che — in termini assoluti — se il suo partito ha perso 2 milioni e 850 mila voti, i Democratici ne hanno persi 4 milioni e 100 mila, mentre la Lega ne ha conquistati 100 mila. Tra quei 5 milioni e 900 mila di cittadini che stavolta hanno disertato le urne, c’è anzitutto il granaio siciliano che mira a recuperare.
È vero, il sorpasso sul Pd è «a scendere», non «a salire», ma i risultati delle Amministrative gli segnalano «performance molto lusinghiere». Ed è così che Berlusconi mediaticamente tenterà di uscire dall’angolo preparandosi alla partita delle Regionali, che si svolgeranno tra un anno, cioè domani. Perché c’è da trovare presto un compromesso con il Carroccio sui governatori, magari proponendo a Bossi la candidatura di un leghista in Piemonte. E c’è da riallacciare un rapporto con l’Udc, che farà fatica a chiudere un’intesa con il Pd, visto l’ostacolo ingombrante dell’Idv. Il Cavaliere non sarà il nuovo De Gasperi, ma magari può diventare un nuovo Berlusconi. Ecco la scommessa.
Francesco Verderami 09 giugno 2009
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« Risposta #72 inserito:: Giugno 14, 2009, 11:18:27 pm » |
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Il retroscena
E Silvio si sente nel mirino: pronto a nuove offensive sperando nell’asse con Bossi
I timori di un «governo di emergenza economica»
ROMA — Ora inizierà la caccia a «mister x», a quella «persona» che avrebbe dovuto «destituire» il Cavaliere con un «piano eversivo», costruito — secondo il premier — sulle «quattro calunnie messe in fila contro di me»: «Veline, minorenni, Mills e voli di Stato». Gli indizi non mancano per costruire un teorema, ma la caccia al personaggio misterioso resterà un gioco di società, un gossip sul gossip, almeno finché reggerà il patto tra Berlusconi e Bossi.
Perché è vero che il Cavaliere si sente nel centro del mirino, e non perde mai di vista le ombre da cui si sente circondato: ascolta le voci del Palazzo dove si ipotizza un fantomatico «governo di emergenza economica », testa la notorietà e il gradimento di personaggi come Draghi e Montezemolo, e scruta soprattutto i movimenti di importanti cariche istituzionali e di autorevolissimi membri del suo stesso gabinetto, cercando di capire il gioco a incastro con pezzi dello Stato, presunti artefici di un’operazione comunque interna al centrodestra. Così s’intuisce, a decrittare la battuta del ministro Rotondi, che nelle settimane scorse ha parlato del «tentativo di creare un moderno caso Montesi ma senza vittime».
Sembra di rivedere le scene del film Todo Modo tratto dal romanzo di Sciascia, dove i potenti leader democristiani riempivano la stanza di santità prima di lasciar spazio ai refoli del maligno. Nell’inner circle di Berlusconi si avverte il nervosismo che il leader trasmette a fasi alterne. Perché ancora l’altro giorno, per ore e ore, si è appartato con la Brambilla per studiare uno spot con cui promuovere il turismo nazionale all’estero. E quando l’ha illustrato — spiegando che nel filmato avrebbe avuto il ruolo di promoter delle bellezze italiche — gli è stato fatto notare che il copione somigliava un po’ alla pubblicità dei tortelli Rana. «Se permettete — ha risposto sorridente il premier — sono un figurino niente male rispetto all’amico Rana». Insomma aleggia un misto di ansia e ilarità attorno al problema, che però esiste a sentire i boatos provenienti da alcune procure, o il commento del ministro Gelmini dopo la denuncia del «piano eversivo» da parte di Berlusconi: «Credo che abbia qualche motivazione per essere preoccupato». Ma ci sarà un motivo se il premier è passato politicamente indenne per quindici anni attraverso numerose traversie giudiziarie, mentre ora sembra accusare il colpo per storie più da rotocalco rosa. È come se avversari senza volto e senza nome avessero trovato il suo punto debole. Ed è stato proprio il Cavaliere a offrire il fianco, è stato lui ad accendere la miccia, andando a Casoria per la festa di Noemi che lo chiama «papi».
Nell’ultimo report riservato sul «giudizio dei leader», redatto da Ipsos per il Pd, c’è il segno evidente di quanto la vicenda abbia impattato sulla politica. Prendendo come date di riferimento i test del 22 aprile e dell’11 giugno, si nota come Berlusconi è sceso dal 60% al 53,1% (con un minimo che ha toccato il 51%); Franceschini è calato dal 49,1% al 43,7% (con un gradimento comunque superiore al partito di tre punti); mentre Bossi è salito dal 40,2% al 46,4%; Di Pietro è passato dal 40,1% al 42,1%; e Casini è balzato dal 47% al 51,8%. Il lavorio ai fianchi del Cavaliere, quel «tarlo» insinuato nell’opinione pubblica hanno lasciato il segno. Ed è vero che dalle urne è emersa una tendenza chiara verso il centrodestra, ma l’immagine di Berlusconi è stata logorata. Specie a livello internazionale.
Cosa succederebbe se dovessero concretizzarsi i timori del premier e di molti esponenti del Pdl? Se cioè lo stillicidio dovesse proseguire? Se altre vicende, magari senza risvolti giudiziari, chiamassero ancora in causa il Cavaliere sulla base dell’odierno canovaccio? Il provvedimento approvato dalla Camera sulle intercettazioni telefoniche non è ancora legge. E comunque — è già accaduto con le foto di Villa Certosa — non garantirebbe all’estero. È immaginabile cosa accadrebbe se i media stranieri rilanciassero durante il G8.
Forse allora è questa la vera chiave con cui interpretare la sortita di Berlusconi davanti ai giovani industriali. La denuncia di un «piano eversivo» è un modo per prepararsi e preparare il Paese a un’eventuale nuova offensiva. Non voleva essere una battuta, quella fatta dal Cavaliere giorni fa, quando ha detto: «Sto preparando un matrimonio tra Noemi e Mills, e metterò loro a disposizione un aereo di Stato». Era un segnale non una boutade.
Quindi, più che ricostruire l’identikit di «mister x», sarà decisivo verificare quanto è solido l’asse tra Berlusconi e Bossi, e se davvero il Senatùr — come ha fatto capire — non accetterà di appoggiare qualsivoglia esecutivo in cui il Cavaliere non sia il premier. Se così fosse, un’eventuale crisi di governo si trascinerebbe fino a traumatiche elezioni anticipate. Scenari di cui si discute nei palazzi istituzionali. Ma perché se ne discute oggi se il governo Berlusconi dovrebbe durare ancora quattro anni?
Francesco Verderami 14 giugno 2009
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« Risposta #73 inserito:: Giugno 17, 2009, 10:44:09 pm » |
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Gli scenari
«Io, Silvio e Letta, i reduci del '94 Il nostro rapporto non può cambiare»
Tremonti e le voci di «complotto»: solo chi l’ha vissuto sa cos'è, senza il Cavaliere si rivota
ROMA - «Piacere», dice. E si presenta: «Sono il complottista». Tremonti lo fa appena legge negli occhi dei suoi interlocutori il retropensiero: le riunioni all’Aspen, gli incontri pubblici con Prodi, quelli riservati con D’Alema, il ribaltone, la fine di Berlusconi e lui che entra a Palazzo Chigi a capo di un governo d’emergenza economica. «Piacere sono il complottista», sorride per ridicolizzare il chiacchiericcio. Non è così che ha salutato ieri il Cavaliere all’aeroporto di Ciampino, non ce n’era bisogno. Lui arrivava da Milano, il premier dagli Stati Uniti, e per un po' hanno discusso di questioni economiche, cioè della Finanziaria da impostare e del G8 da gestire, all’indomani dell’incontro di Berlusconi con Obama «perfettamente riuscito», secondo il titolare di via XX settembre. Dopo che il presidente americano ha inserito i «global legal standard» tra gli obiettivi da raggiungere, Tremonti è parso compiaciuto: d’altronde è la prima volta che un governo italiano impone un tema nell’agenda dei Grandi della Terra.
Da Washington è tornato un Cavaliere sicuramente rinfrancato rispetto ai giorni scorsi, ma ancora preoccupato per vicende interne - estranee alla politica - che sono all’origine del suo nervosismo scaricato con le accuse contro il «piano eversivo » ordito ai suoi danni, e rilanciato nella polemica con D’Alema che ha annunciato prossime «scosse». È stato così che lo scorso fine settimana ha preso inizio la caccia a «mister x», alla persona che «senza il voto degli italiani » dovrebbe sostituirsi a Berlusconi. Tremonti è finito nella lista, anche per via delle frizioni che a scadenza regolare lo vedono protagonista con il premier quando bisogna mettere mano al portafogli dello Stato. Non era tuttavia preventivato il modo in cui avrebbe reagito. Lo scherno, che vale più di una smentita, gli è servito per spiegare nei colloqui riservati quanto aveva già detto alla vigilia delle Europee: «Bossi non sosterrebbe alcun governo che non fosse guidato da Berlusconi. Se qualcuno ci pensa se lo levi dalla testa. In Parlamento non ci sarebbero i voti nemmeno per votare una Finanziaria e poi andare alle urne».
Perciò scherza sull’etichetta che gli hanno ritagliato, tranne farsi serio quando rammenta il complotto del ’94: «Solo chi l’ha vissuto può capire. Sono passati quindici anni, alcuni nel frattempo sono andati via e altri sono arrivati. Rispetto ad allora siamo rimasti in tre: Silvio, Gianni Letta e io. E nessuno dei tre vuole rivivere quell’episodio». Non smentisce i momenti difficili con Berlusconi. Anzi, di quegli episodi si serve per spiegare che «il legame tra noi non è solo politico, va oltre le questioni tecniche. È un rapporto personale, non modificabile». «Silvio, Gianni e io». E con questo concetto Tremonti spiega che il core-business, il «nocciolo duro» dell’esecutivo resta impermeabile agli eventi, «perché aver vissuto il '94 non vuol dire solo aver vissuto un’esperienza, è avere esperienza». Resta il fatto che è stato Berlusconi a sollevare il polverone con la denuncia del «piano eversivo». E siccome in Parlamento l’opposizione non ha i numeri per farlo cadere, era implicito il riferimento a una «manina» interna alla maggioranza.
Può darsi che Berlusconi fosse nervoso per l’imminente e delicatissima visita negli Stati Uniti, come può darsi che gridare al complotto fosse un escamotage per disinnescarlo. Molte ipotesi sono state fatte, mentre nei Palazzi della politica si commentava l’attivismo di alcuni grand commis. Pare che anche il «complottista» abbia condiviso il sorriso in quelle circostanze, è sicuro che ha spiegato il tutto con una battuta: «Questa vicenda è figlia dell’ozio. E l’ozio è padre dei vizi». Si riferiva - così dicono - «alla sinistra, che siccome non ha nulla da fare, studia progetti di rilancio, alimenta le voci di complotti ». Dopo l’esito dell’incontro tra Obama e Berlusconi c’è nel centrodestra il desiderio di placare le tensioni che pure lo attraversano, di mettere la sordina alle voci che comunque non smettono di alimentarsi. Quanto a Tremonti, avrà modo di continuare a discutere con il premier. Non ha mai smesso. La scorsa settimana, durante una chiacchierata sulla crisi, mentre il titolare dell’Economia disegnava ancora scenari a tinte forti, il Cavaliere ha detto invece di intravedere tracce d’azzurro all’orizzonte. È un canovaccio che si ripete ogni qualvolta Berlusconi si appresta a batter cassa e si sente rispondere che «non ci sono fondi». E ogni volta il contrasto viene accompagnato da una battuta. Mesi fa, al termine di una riunione di governo, Berlusconi chiese alla scorta di accompagnare il ministro alla macchina: «Sta piovendo, usate l’ombrello. Perché se prende l’acqua mi si restringe. E lui è già stretto di suo con la borsa».
Francesco Verderami 17 giugno 2009
da corriere.it
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« Risposta #74 inserito:: Giugno 20, 2009, 07:11:12 pm » |
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Palazzo Chigi
L’attesa di un gesto per uscire dalla «condizione di minorità»
Il Cavaliere «vittima della generosità» e la svolta invocata dagli amici
L’ esortazione è stata pubblica e privata, perché non solo Giuliano Ferrara l’ha invitato a un mutamento radicale, a una rigenerazione. Anche Fedele Confalonieri, l’amico di una vita, confida in un «nuovo inizio».
Serve una «palingenesi», questo è l’auspicio di chi tiene disinteressatamente alle sorti di Silvio Berlusconi. Perché senza uno scatto del premier — come scriveva l’Elefantino sul Foglio l’altro ieri — si protrarrebbe un «clima da 24 luglio permanente». Ed è impensabile che la politica viva l’eterna vigilia di un crollo, la fine di un’era, quella berlusconiana, che il presidente della Camera nemmeno prevede. Ma non c’è dubbio che a lungo andare il clima che si respira nel Palazzo e nel Paese avrebbe un costo per la democrazia, potrebbe portare — come dice Gianfranco Fini — alla «sfiducia dei cittadini verso le istituzioni».
È come se la nemesi si fosse abbattuta sul Cavaliere: per quindici anni il suo privato ha contribuito alle sue vittorie pubbliche, e adesso lo costringe sulla difensiva. E mentre in passato a Berlusconi veniva contestato il modo in cui si proponeva agli elettori e li conquistava, ora gli viene chiesto — gliel’ha chiesto ieri il quotidiano dei vescovi, Avvenire — «un chiarimento con l’opinione pubblica » sui suoi fatti personali.
Tutti attendono un gesto da Silvio Berlusconi, coinvolto in una storia di feste e di donnine che al momento ha minato la sua immagine, non i suoi consensi. Al di là dei giochi di potere e di macchinazioni giudiziarie, il premier dice di sentirsi vittima anche di se stesso, «vittima cioè della mia generosità». È una valutazione complessiva, non per questo legata alle ultime vicende, che però riflette lo stato d’animo del Cavaliere e anche il suo atteggiamento, le sue scelte che stupiscono, ma fino a un certo punto, chi lo conosce bene.
Malgrado gli ultimi due mesi siano stati costellati da errori mediatici e di tattica politica, malgrado la sua macchina di voti si sia inceppata, difende i collaboratori più stretti e le loro mosse, con la stessa foga con cui difende se stesso. Perché non è stato solo Ferrara a criticare Nicolò Ghedini per quel concetto, «utilizzatore finale», di cui pure l’avvocato si è scusato. Eppure Berlusconi — a quanti gli facevano notare l’errore e i rischi che determinava — ha chiesto comprensione per il penalista: «Poveretto, deve fare tante cose ogni giorno».
All’indomani delle elezioni europee, aveva sottratto Adriano Galliani alle accuse di numerosi dirigenti del Pdl che gli addebitavano una percentuale nella perdita di consensi, dato che a due giorni dalle elezioni l’amministratore del Milan aveva rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport con la quale aveva di fatto annunciato la cessione di Kaká al Real Madrid. «È un amico di vecchia data. Non vi mettete pure voi, che già in famiglia...», era stata la risposta del premier: «Il fatto è che c’era una perdita nel bilancio societario e non potevo ripianarla io, in un momento di crisi economica come questo». Eppure Berlusconi sapeva quanto avesse pesato l’addio del calciatore brasiliano. Alle sole Provinciali di Milano, infatti, tremila schede erano state annullate dagli elettori, che dopo aver barrato il simbolo del Pdl avevano aggiunto: «Questo è per Kaká».
Tutti aspettano dal premier ciò che il premier però — almeno per il momento — non intende dare, perché si sentirà pur vittima della sua generosità, «è così che mi fregano», ma si sente soprattutto al centro di oscure «trame», e se ora il fronte giudiziario è Bari, immagina se ne aprano altri a Palermo, a Milano, pare anche a Firenze. Non crede, almeno così dà conto, a chi lo invita a guardare verso gli Stati Uniti, perché «con Obama abbiamo chiarito tutto, con la signora Clinton le relazioni sono eccellenti, e ho uno splendido rapporto con la presidente Pelosi».
No, è in Italia — a suo modo di vedere — l’epicentro del terremoto, è verso i palazzi della politica nazionale che tende lo sguardo, e di Massimo D’Alema dice oggi che «usa mezzucci». Avrà anche ragione il premier quando rigetta certe accuse dell’opposizione, perché è difficile immaginarlo a capo di un regime se poi non ne controlla i gangli più importanti, ed è esposto in questo modo. Emblematica è l’immagine di ieri, con Berlusconi che confida al telefono di non sentirsi spiato, proprio mentre è sotto l’occhio furtivo di una telecamera.
Tuttavia per il premier resta il problema di uscire da quella che Ferrara ha definito «l’incredibile condizione di minorità in cui si è ficcato». E resta il nodo di governare il Paese, di dare risposte agli interrogativi che il presidente della Camera pone ormai da mesi, a partire dalla necessità di varare una riforma dello Stato che sia condivisa dall’opposizione, per passare alla costruzione di una forza, il Pdl, che secondo Fini «di fatto non è ancora nata»: «La Lega è l’unico partito vero in Italia».
Chissà se pensa anche a «Gianfranco » quando dice di sentirsi vittima della sua stessa generosità, è certo che per misurare la distanza dal «cofondatore», il Cavaliere usa l’ironia: «Gianfranco alla Camera ha otto commessi che lo seguono ovunque. Io a palazzo Chigi ne ho uno solo». Ma non c’è sorriso sul volto di Berlusconi. Non era così che immaginava la vigilia di un G8 molto delicato. Dovesse superarlo senza intoppi forse inizierebbe per lui il 26 luglio.
Francesco Verderami 20 giugno 2009
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