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Autore Discussione: Francesco VERDERAMI  (Letto 125854 volte)
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« Risposta #225 inserito:: Ottobre 05, 2014, 10:48:47 pm »

SETTEGIORNI
Berlusconi e l’attacco a Fitto per rassicurare Renzi
Il capo del governo teme che il leader di FI non controlli più i suoi

Di Francesco Verderami

Un patto è un patto, e Renzi voleva capire se Berlusconi avesse cambiato idea o se in Forza Italia fossero cambiate le cose. Dal loro ultimo incontro a Palazzo Chigi il premier aveva preso a dubitare del suo interlocutore. Il Cavaliere - si chiedeva Renzi - stava rallentando sull’Italicum perché si era convertito al proporzionale o perché aveva difficoltà a garantire l’intesa in Parlamento? Per veder dissipati i propri sospetti, si era rivolto a Berlusconi con un linguaggio tanto crudo da imporre una risposta altrettanto chiara. «Sulla legge elettorale voglio chiudere in fretta», era stata la premessa del premier, che a sua volta intende tener fede al patto con Napolitano, e mira a chiudere la pratica della riforma elettorale entro l’anno, così da lasciare al capo dello Stato la libertà di decidere quando congedarsi dal Quirinale: «Perciò devo capire se c’è ancora l’accordo e se avete il controllo dei vostri gruppi parlamentari».

«Manterrò la parola data», gli aveva fatto sapere il Cavaliere. Al segretario del Pd non bastava: «Serve una dichiarazione pubblica». Ecco allora che, per mostrarsi fedele al patto, Berlusconi gli aveva anticipato quanto sarebbe poi accaduto all’Ufficio di presidenza di Forza Italia: la prova della sua fedeltà all’accordo sta dunque nell’attacco portato l’altro ieri al capo del dissenso azzurro, a quel «Fitto che parla molto con D’Alema», come lo stesso Cavaliere ha raccontato a Renzi. Ma l’offensiva verso quel «figlio di un democristiano» si è rivelata un boomerang e non ha risolto a Berlusconi il problema di una minoranza interna che nei gruppi di Camera e Senato raccoglie ben più dei due voti ottenuti nell’Ufficio di presidenza.

Ora il premier sa che il Cavaliere non ha cambiato idea, ma sa anche che le cose sono cambiate in Forza Italia, e quella riunione di partito è stata un’ulteriore prova di quanto già accade a Montecitorio con le fumate nere sui giudici della Consulta. «Io parlo con Berlusconi perché ha milioni di voti», ha detto ieri Renzi. Ma i voti di Berlusconi che gli servono sono in Parlamento, perciò è preoccupato. E se per il leader forzista il patto del Nazareno ha un’unica funzione politica, perché gli garantisce ancora una certa visibilità e centralità, per il premier ha valenze diverse: gli è utile, finché l’altra sponda regge, e all’occorrenza può essere usato come diversivo mediatico.

Ad agosto, per esempio, quando l’Istat stava per rendere noti i dati che certificavano la recessione dell’Italia, Renzi decise prontamente di incontrare Berlusconi e in meno di un’ora concesse al Cavaliere un appuntamento a lungo atteso. Ufficialmente fu un briefing per verificare lo stato d’avanzamento dei lavori sulle riforme, in realtà il premier voleva attutire con la notizia dell’incontro l’impatto sull’opinione pubblica di quei numeri che vive come un incubo.



Perché per Renzi l’Istat è «un incubo», anzi «una tragedia», un «farmaco depressivo per il Paese». E non ne fa mistero. Più volte ha aperto i Consigli dei ministri citando l’Istituto nazionale di statistica, e all’ultima riunione - giorni fa - è tornato a parlarne, dopo la pubblicazione dei dati sulla disoccupazione: «Anche oggi – ha esordito con dolente ironia - l’Istat ci ha voluto dare un’altra buona notizia. Mica ce le dà tutte insieme, no...». Il premier sa che la divulgazione dei dati è stabilita da un preciso calendario, ma è proprio il reiterarsi delle «buone notizie» il virus che teme maggiormente, perché indebolisce la forza del vaccino con cui vuole combattere quello che considera «il male dell’Italia contemporanea: la rassegnazione».

L’Istat invece è una sorta di ice bucket, una secchiata d’acqua gelida che cambia la sua agenda e la sua strategia comunicativa, e incide sul parametro che più sta a cuore a Renzi: l’indice di fiducia degli italiani nel futuro, che può rivelarsi una leva economica con cui muovere consumi e investimenti. «Ragazzi - ha detto appellandosi ai ministri - o restituiamo agli italiani la speranza o la paura li terrà bloccati. Perciò dobbiamo insistere sulle cose positive che facciamo». Ma i numeri lo inseguono, e i parametri europei sono più minacciosi di quelli dell’Istat. Bastava sentire Padoan in Consiglio, mentre spiegava che a Bruxelles «ci attende un difficile negoziato» sulla legge di Stabilità. Molto più difficile del negoziato sulla legge elettorale con Berlusconi .

4 ottobre 2014 | 08:05
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_ottobre_04/berlusconi-l-attacco-fitto-rassicurare-renzi-70cea48c-4b8b-11e4-afde-3f9ae166220d.shtml
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« Risposta #226 inserito:: Ottobre 09, 2014, 05:18:41 pm »

Il retroscena
Renzi e la mossa per evitare la troika: commissariare il Parlamento
Il capo del governo e la fiducia per scongiurare il commissariamento dell’Italia Padoan: se all’Ue non bastasse quello che offriamo, non riusciremmo a risalire la china

Di Francesco Verderami

ROMA Renzi commissaria il Parlamento per evitare che la troika commissari l’Italia. D’altronde, se non fosse una autentica emergenza nazionale, difficilmente Napolitano sarebbe rimasto silente dinnanzi a un governo che pone la fiducia su una legge delega, con cui di fatto le Camere e le forze politiche vengono estromesse dalla scrittura del provvedimento. Ma il Jobs act non è una riforma come altre, è parte essenziale della «trattativa» con Bruxelles, come aveva avuto modo di spiegare la scorsa settimana il titolare dell’Economia in Consiglio dei ministri, poco prima di recarsi al Quirinale.

L’Europa - secondo Padoan - «ritiene sia insufficiente» che l’Italia non sfori il 3%, perché chiede che «almeno mezzo punto» venga destinato all’abbattimento del debito pubblico: «Noi offriamo invece uno 0,1%, alcuni tagli strutturali e soprattutto la riforma del mercato del lavoro. E confidiamo si comprenda che, se non fosse accolta la nostra proposta, non riusciremmo a risalire la china». Parole crude che avevano fatto calare il gelo a palazzo Chigi. «Ma noi - aveva subito ripreso Renzi - non possiamo accettare che ci venga tenuta la testa sott’acqua».

Ecco qual è il valore del Jobs act, inserito dal premier nella «trattativa» con Bruxelles per evitare quelle che definisce «le regole capestro volute dall’Europa all’epoca del governo Monti». Regole che, «fossimo costretti ad applicarle, costerebbero 40 miliardi. Invece io punto a fare una manovra espansiva per rilanciare l’economia. E lavoreremo per realizzarla, alle condizioni date». Per riuscirci bisogna intanto sfuggire alle «regole capestro» che «ha votato Bersani mica io», va ripetendo Renzi quasi a voler esorcizzare l’esito negativo di un «negoziato che - come ha tenuto a sottolineare Padoan - sarà comunque difficile».

Di certo sarebbe stato impossibile se il governo non avesse accelerato sulla riforma del lavoro, perciò il premier ha forzato la mano, grazie anche a una copertura istituzionale che è dettata dall’emergenza nazionale. A sua volta questo passaggio di natura economica non è politicamente a saldo zero, produce effetti sul sistema che nemmeno la riforma elettorale avrebbe determinato. Sul Jobs act - per esempio - si misurerà la solidità del rapporto di Renzi con Alfano, che non a caso l’altra sera in Consiglio dei ministri aveva insistito sull’utilità di porre al Senato la fiducia «anche per valorizzare il profilo riformatore della maggioranza, per darle quel tratto distintivo che si deve a una riforma epocale».

Il premier aveva convenuto con il leader di Ncd, senza mostrarsi preoccupato per le resistenze della minoranza democratica: «... Sarà poi responsabilità dei singoli parlamentari decidere se fare andare avanti il governo o metterlo in crisi. Non penso accadrà.


Scommetto invece che arriveremo al 2018». È da vedere se davvero Renzi arriverà a fine legislatura, ma non c’è dubbio che la sua scommessa sul voto di palazzo Madama sembri realistica, che il suo esecutivo otterrà la fiducia, «magari con qualche assenza». Il riferimento del premier era ad alcuni suoi compagni di partito, ma è chiaro che sul Jobs act si va profilando un clima di larghe intese, per quanto camuffato.

Formalmente Berlusconi vorrà marcare la distanza, in realtà il «soccorso azzurro» è pronto a materializzarsi se ce ne fosse bisogno per bilanciare - con qualche assenza - il dissenso tra i democrat: «Vedremo se Verdini verrà a votare contro il suo governo», ridevano ieri sera alcuni senatori forzisti. Ma non è solo per idiosincrasia verso la troika che il Cavaliere vuole evitare problemi al premier. Basti vedere la trattativa in corso tra Pd e FI sulla legge sul conflitto d’interessi, affidata all’azzurro Sisto e caratterizzata addirittura da una norma sul blind trust: fumo negli occhi un tempo per Berlusconi, a cui oggi interessa piuttosto il matrimonio tra Telecom e Mediaset, che per realizzarsi necessita di un «ritocchino» alla legge Gasparri...

Ma è il Jobs act la chiave di volta. La drammatica crisi economica sta accelerando il processo di archiviazione della Seconda Repubblica e nel frattempo ha rottamato gli ultimi retaggi della Prima: perché l’incontro di ieri tra Renzi e i sindacati, più che l’inizio di un dialogo è parso la fine di un’era. Se ne sono resi conto i rappresentanti delle forze dell’ordine, ricevuti poco dopo a palazzo Chigi. Quando il premier ha ascoltato il loro plauso per alcune sue idee, li ha interrotti: «Se conosceste tutte le riforme che ho in mente, non so se mi applaudireste».

8 ottobre 2014 | 08:27
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_ottobre_08/renzi-mossa-evitare-troika-commissariare-parlamento-364efa08-4ead-11e4-b3e6-b91ef8141370.shtml
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« Risposta #227 inserito:: Ottobre 26, 2014, 08:06:25 am »

FORZA ITALiA
Verdini e il no al nuovo patto del Nazareno: potrei lasciare
In una lettera il senatore indica la data di scadenza del suo incarico

Di Francesco Verderami

Il patto del Nazareno somiglia sempre più a un accordo programmatico. E l’intesa che sembrava circoscritta alla legge elettorale e alle riforme costituzionali, si scopre in realtà più ampia, comprende anche le unioni civili e lo ius soli: due temi sui quali Renzi e Berlusconi si erano però limitati a un accordo sui «titoli». E allora come mai il Cavaliere ha deciso di aderire alle tesi del leader del Pd?

La mossa ha provocato lo sconcerto tra i forzisti, che già vivono come un «tradimento» da parte del Cavaliere l’idea di accettare la proposta renziana per assegnare il premio di maggioranza della legge elettorale a un partito e non più a una coalizione. Perciò in molti hanno chiesto conto a Verdini, considerato il nume tutelare del «patto», e tutti sono rimasti stupiti quando gli hanno sentito dire: «Non chiedete a me. Io lascio». Era già accaduto che «l’uomo dei numeri» del Cavaliere fosse stato sul punto di mollare, ma dopo averlo minacciato era sempre tornato sui propri passi, cedendo agli appelli di Berlusconi. Stavolta però Verdini è andato oltre, perché non solo l’ha detto a voce al capo di Forza Italia, l’ha anche scritto in una lettera dove ha aggiunto la data di scadenza dell’incarico, così da dare tempo di organizzare l’avvicendamento. Da più di una settimana l’ex premier mostra la missiva e ne parla con apparente preoccupazione.

Chissà se anche stavolta riuscirà a comporre lo strappo. Il fatto è che Verdini è stanco di fare il cireneo: lui che era stato additato in Forza Italia come «la tessera numero due del Pd» per la sua «eccessiva vicinanza» a Renzi, non accetta di essere usato nel rapporto con il premier e di vedersi poi delegittimato. Problemi di linea politica si intrecciano a questioni di credibilità personale, visto che agli occhi dei parlamentari forzisti ormai vale più un selfie della corte di Berlusconi che la parola di un dirigente incaricato di gestire la trattativa con Palazzo Chigi.

«Speriamo che Silvio si svegli», ha sospirato Verdini, commentando la decisione. Le oscillazioni del Cavaliere a suo modo di vedere mettono a repentaglio il futuro del partito. L’approccio su temi sensibili quali le unioni civili e lo ius soli aprono una faglia con la Lega, dove rischiano peraltro di finire inghiottiti voti forzisti. E l’opzione del premio di maggioranza da assegnare a una lista e non a una coalizione per la futura legge elettorale «sarebbe per noi esiziale».

Ma Berlusconi non sembra dargli retta. La proposta di Renzi, «con i dovuti accorgimenti su soglie di sbarramento e blocco delle preferenze», sarebbe secondo Berlusconi «utile al sistema»: «Meglio che governi un solo partito. L’ho sempre sostenuto. Se penso a quello che ho dovuto sopportare con Fini, Casini e Bossi quando ero a Palazzo Chigi...». Per certi versi è l’eterno alibi con cui il Cavaliere ha coperto le inadempienze del suo contratto con gli italiani: «Non mi hanno lasciato lavorare».


Una tesi che può reggere sulla riforma della giustizia e su quella del fisco, sulla riforma della burocrazia e su quella dello Stato, ma che cade quando si parla del partito unico di centrodestra. Perché fu Berlusconi a promettere di voler «lasciare in eredità agli italiani la più grande forza moderata della storia». Ma fu lui che dopo esser salito sul predellino decise di scenderci e di tornare a Forza Italia. E oggi è consapevole che lo scontro con Renzi è impari: per numeri, per uomini, per struttura di partito e soprattutto per il fattore tempo, che non gioca a suo vantaggio.

Così il Cavaliere sembra applicare la massima secondo la quale se non si può battere un nemico ci si allea. Il problema è se, alleandosi con il nemico, si perdono gli alleati: cioè il partito, attraversato da forti tensioni interne che vengono monitorate anche da Renzi, a cui stanno bene gli attuali equilibri di sistema, e che è preoccupato quindi dal rischio di una disgregazione di Forza Italia. In questo contesto è maturato il distacco tra Berlusconi e Verdini, che ha prodotto una novità.

Nel gruppo dirigente del partito è infatti cresciuta l’impressione che si sia saldato un sodalizio tra lo stesso Verdini e Gianni Letta, che insieme gestiscono le trattative con Palazzo Chigi. Per quanto diversi per carattere e per approccio, hanno in comune la conoscenza della sintassi politica, laddove alla corte del Cavaliere (quasi) tutti sono digiuni di grammatica. Ma tant’è. E «Denis» non accetta più di assistere ad errori persino di ortografia.

Non è chiaro quali siano le motivazioni che hanno indotto Berlusconi alle ultime svolte. In Forza Italia esistono due scuole di pensiero. C’è la tesi politica, secondo cui il leader si ritrova senza più bandiere: perso il vessillo delle riforme economiche per mano di Renzi, senza più lo stendardo dei temi etici che vuole intestarsi Ncd, lasciato per forza di cose il ruolo di forza anti-europeista alla Lega, l’immagine «liberal» servirebbe al Cavaliere per accreditarsi presso una parte di opinione pubblica che pure non lo vota. Ma con cui magari spera di avvicinarsi per allearsi con Renzi. C’è poi un’altra tesi, quella di chi dice che se Sky entrasse sul mercato italiano delle tv generaliste per Berlusconi sarebbe un problema.

25 ottobre 2014 | 09:22
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_ottobre_25/verdini-no-nuovo-patto-nazareno-potrei-lasciare-98c3218e-5c16-11e4-a063-152f34c0ded7.shtml
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« Risposta #228 inserito:: Novembre 09, 2014, 11:39:18 am »

L’ultimatum di Renzi, Berlusconi punta ancora sulla trattativa
Il governo accelera sulla legge elettorale che da martedì arriva in Parlamento:
«Se salta il patto avanti da soli». E il Cavaliere convoca il partito

di Francesco Verderami

A Berlusconi serve un accordo sulla legge elettorale che non sappia di resa, e su questo punto Renzi è disposto ancora a trattare. Ma Renzi vuole una risposta «entro domani sera», e su questo punto Berlusconi non può più trattare. Il patto del Nazareno è una cambiale che va a scadenza. Se il premier chiede al Cavaliere di onorare l’impegno, è perché l’Italicum non è più (solo) la legge che serve per le prossime elezioni, ma è diventato lo strumento con cui si misurano la forza e la debolezza dei due leader. Per quanto finora sia stato paziente, Renzi non ha mai inteso affidare il proprio destino nelle mani di un Berlusconi che ha temporeggiato per non rendere manifeste le difficoltà tra le sue stesse file. Ma dopo il voto sulla Consulta, dopo che l’ennesimo candidato di Forza Italia non è stato eletto, il premier ha avuto una plastica rappresentazione della drammatica condizione in cui versa il Cavaliere.

Quella «figura di m....» - così testualmente definita da Berlusconi - ha indotto Renzi a porsi una domanda: «Se Forza Italia non è capace di essere determinante per se stessa, come potrà esserlo sulla legge elettorale, quando si dovrà votare anche a scrutinio segreto?». Più dei sospetti per le trame politiche del suo interlocutore, ha potuto la dura realtà delle cose. Ecco il motivo per cui il premier ha reso pubblico il suo «piano B», approntato per tempo: le aperture di credito ai Cinquestelle - infatti - non sono state estemporanee, così come la concessione ad Alfano di un vertice di maggioranza sull’Italicum, autentica novità politica del suo gabinetto.

«Se salta il patto del Nazareno, l’accordo lo faremo con i partiti alleati di governo», aveva preannunciato il leader del Pd. A quel punto l’intesa - calata nei dettagli - incrocerebbe nelle Aule di Camera e Senato anche il consenso di M5S e Sel. «E noi faremmo la fine dei bischeri», si lamentava l’altro giorno in Transatlantico Verdini: «Non solo verremmo tagliati fuori politicamente, ma consegneremmo a Renzi una vittoria senza avversari. Perché con le soglie di ingresso basse per entrare in Parlamento, la futura maggioranza si troverebbe contro un’opposizione polverizzata in tanti piccoli gruppi».

C’è un motivo però se il capo democrat ha concesso un’ultima chance a Berlusconi, se ieri - attraverso il ministro Boschi - gli ha offerto ancora una linea di credito: il punto è che Renzi non vuole trovarsi a pagare a sua volta cambiali alla minoranza del suo partito, che mira a uno scambio tra Italicum e Jobs act. Ecco allora che è partita una nuova e faticosa trattativa con il Cavaliere, desideroso di chiudere ma timoroso di non mostrarsi arrendevole verso il premier. «Non possiamo pagare un prezzo troppo alto», è stato il messaggio giunto a palazzo Chigi, a cui si chiede - magari - di non inserire il premio alla lista nel patto e di lasciarlo semmai a un emendamento da approvare in corso d’opera in Parlamento.



Ma davvero Renzi può accettare che l’intesa si chiuda senza un accordo sul punto cruciale dell’Italicum? E Berlusconi può davvero immaginare di superare così gli ostacoli interni a Forza Italia? «Immagino che avremo occasione di discuterne prima negli organismi dirigenti», chiede minaccioso Fitto. La verità è che, per il Cavaliere, dire oggi sì al premier sarebbe come dire no al suo partito, che sembra ormai l’ex Jugoslavia. Stretto tra il pressing di Renzi, il tentativo di Opa di Salvini e il processo di disgregazione dei suoi gruppi parlamentari, Berlusconi ieri non avrà avuto certo voglia di festeggiare il primo anno di vita della nuova Forza Italia: quello che doveva rappresentare il primo step per il suo rilancio si sta rivelando un’intrapresa a saldo negativo.

Il patto del Nazareno per il Cavaliere è una cambiale che va in scadenza, «e di Renzi invidio la sua cattiveria». In vista del vertice di partito convocato per oggi, questa considerazione sul premier serve a Berlusconi anche per tirare una riga rispetto a quanto gli sta accadendo attorno, per pensare all’affronto di Salvini che vuole i suoi voti e non la sua leadership, per meditare sugli errori commessi nella gestione di ciò che un tempo è stato il centrodestra. Perché in fondo l’ex premier è più arrabbiato con se stesso che con il capo dei leghisti, e c’è un motivo se ha fatto votare contro la mozione di sfiducia ad Alfano e formalmente ha cambiato tono. Due settimane fa diceva: «Nessun accordo con i traditori». Due giorni fa ha detto: «Quelli di Ncd si diano una mossa». Ma la prima mossa tocca a lui...

8 novembre 2014 | 07:49
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_novembre_08/ultimatum-renzi-berlusoni-punta-ancora-trattativa-26c94cce-670c-11e4-afa4-2e9916723e38.shtml
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« Risposta #229 inserito:: Novembre 25, 2014, 04:35:45 pm »

Il retroscena
Il Cavaliere «tradirà» il Nazareno
In Parlamento il no all’Italicum
L’ex premier cercherà di rallentare i tempi per giocarsi tutto nella partita per il Quirinale

Di Francesco Verderami

ROMA Più che il periodo dell’avvento, si prepara il mese della passione per il patto del Nazareno, che proprio alla vigilia di Natale non festeggerà la sua epifania nell’Aula del Senato, ma sarà accompagnato da un «de profundis» con il voto contrario di Forza Italia alla legge elettorale. Fino ad allora Berlusconi continuerà a ripetere con una certa dose di ambiguità che l’accordo con Renzi resta, perché una separazione lenta tatticamente gli serve. Tuttavia la decisione è presa, e non da ieri: non è stato infatti il crac di Forza Italia alle Regionali a determinare la sua decisione, semmai il voto ha evidenziato l’ineluttabilità della futura mossa.

Una scelta è sempre suffragata da dati di fatto, che un giorno la controparte potrà anche additare come pretesti: è il gioco della politica. E il gioco di Renzi non piace più al Cavaliere, che si lamenta per il modo in cui il premier avrebbe - a suo dire - «disatteso i patti», dalle modifiche «non concordate» sull’Italicum, fino allo sfregio praticato da Palazzo Chigi con la sua costituzione di parte civile al processo di Bari sulle escort. La celerità è parsa sospetta a Berlusconi: in effetti il governo avrebbe potuto attendere l’inizio della fase dibattimentale prima di muoversi, perciò le motivazioni giunte all’orecchio del leader forzista da parte dell’esecutivo hanno solo acuito la sua furia: «Non mi vengano a dire che ha fatto tutto Del Rio. Lì non si muove foglia che Renzi non voglia».

Perciò quel tweet con cui l’altra notte il capo del Pd ha spiegato come «la Lega ha asfaltato Forza Italia» alle Regionali, è parso l’anticamera della rottura ufficiale. Renzi si sceglie Salvini come avversario, con Berlusconi ci sarà tempo per la restituzione degli anelli. In fondo non è nemmeno detto che si arrivi all’ufficializzazione del divorzio, piuttosto dietro l’ambiguità dei due Nazareni si approssima una sfida ad alto tasso di rischio, anche per il premier. Perché il punto non è se il segretario democrat al Senato - senza il sostegno azzurro - avrà i voti per far approvare l’Italicum: si è già premunito con una pattuglia di ex grillini all’occorrenza.

Il vero test-match si giocherà sul Quirinale. Sia chiaro, Berlusconi farà di tutto per essere della partita, «come ai tempi di Ciampi - racconta chi c’era - quando fece finta gli piacesse quella scelta, che invece era stata frutto dell’accordo tra Veltroni Fini e Casini». È assai probabile che Renzi inizialmente starà al gioco, sebbene si sia ormai convinto del fatto che il Cavaliere non controlla più i suoi gruppi parlamentari, che Fitto per esempio - come gli disse lo stesso Berlusconi - «si muove d’intesa con D’Alema». E a voto segreto ognuno cercherà la propria intesa. Così la battaglia sulla legge elettorale si trascinerà ai supplementari con la corsa al Colle. E siccome (quasi) tutti in Parlamento sono tifosi del Consultellum che non piace a Renzi, (quasi) tutti punteranno su un capo dello Stato che non piaccia a Renzi.

Ecco l’ultima vera partita che può giocare Berlusconi, ormai politicamente debole nel Paese ma non del tutto nel Palazzo. Si vedrà quale sarà il destino di Forza Italia, che ne sarà dell’intesa con Alfano che il Cavaliere si dice pronto ad incontrare. Il Mundial ora si disputa nel cortile del Quirinale, e nell’ambigua e lenta dissolvenza del Patto del Nazareno l’ex premier cercherà tempo e modi per dare quella che lui spera sia la sua penultima zampata, per evitare insomma i titoli di coda.

D’altronde, sulla presidenza della Repubblica - come ha spiegato ieri sera Bersani ai suoi - «bisognerà prepararsi a una lunga serie di votazioni». Con il Pd in fibrillazione, con la Lega che vorrà segnalarsi, con i Cinquestelle che cercheranno la rivincita, Renzi non potrà stare tanto sereno.

25 novembre 2014 | 07:56
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_novembre_25/cavaliere-tradira-nazareno-parlamento-no-all-italicum-49f0c55e-746f-11e4-ab92-90fe0200e999.shtml
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« Risposta #230 inserito:: Dicembre 13, 2014, 04:14:39 pm »

SETTEGIORNI

Mosse, tempi, nomi
La partita per il Quirinale
Sul Colle lo «schema Renzi» che elimina Prodi e D’Alema

Di Francesco Verderami

L’ incertezza sulla data d’addio di Napolitano stava trasformando quel caos calmo, che nel Palazzo caratterizza le vigilie della corsa per il Colle, nel «caos Quirinale»: non solo era stata stravolta l’agenda politica di Renzi, ma anche i piani dei candidati alla successione. Ora però sembra che il capo dello Stato abbia fissato il giorno delle sue dimissioni: il 14 gennaio, subito dopo il rendiconto del premier sul semestre italiano di presidenza in Europa. Non che la sfida per il Quirinale nell’ultimo mese si sia mai fermata, ma la data - per quanto ufficiosa - è una sorta di fixing che consente ai protagonisti della grande corsa di dispiegare le rispettive strategie. E certo la prima mossa toccherà a Renzi, che già a Napolitano avrebbe illustrato il modo in cui intende procedere: lo schema - per ragioni diverse - escluderebbe dalla corsa al Colle personaggi come D’Alema, Marini e lo stesso Prodi.

Con il Professore, il premier ha voluto parlare di persona, e che il colloquio non si sarebbe incentrato sul Quirinale è stato subito chiaro. Quasi subito, perché l’incipit del leader democrat avrebbe potuto generare un fraintendimento: «Il mio candidato ideale sei tu (pausa) per la carica di segretario generale della Nazioni Unite». Raccontano che Prodi abbia poi descritto la scena ad alcuni amici, con quel sorriso dietro cui spesso cela cattivi pensieri. Ma Renzi si sarebbe mostrato convinto all’atto di prospettargli il suo futuro, «chi meglio di te?», preannunciando che - quando Ban Ki-moon lascerà - siccome la carica toccherà a un rappresentante dell’Europa - «farò una battaglia sul tuo nome».

A Prodi però toccherebbe aspettare ancora due anni. Nel frattempo il fondatore dell’Ulivo, che pure si dichiara estraneo alla corsa per il Colle, non disdegna gli incontri conviviali. Uno di questi è stato organizzato da Bettini, che alcune settimane fa - prima che scoppiasse lo scandalo di Mafia capitale - di ritorno da Bruxelles confidò a un collega europarlamentare l’imminente appuntamento con Prodi: «Stasera, insieme ad altri, ci vediamo a cena con Romano per discutere di prospettive politiche». In fondo, «Romano» non è l’unico a discutere di «prospettive politiche». Anche Casini avrà affrontato lo stesso argomento con Berlusconi, incontrato riservatamente.

D’altronde la riservatezza è d’obbligo in questa fase, dove tutti stanno fermi ma tutto è in movimento. E ognuno lancia segnali. Il voto in commissione alla Camera con cui il governo è andato sotto sulla riforma del Senato, per esempio, non era che un segnale a Renzi inviato dalle minoranze del Pd e di Forza Italia. È vero, Fitto ripete sul Quirinale le stesse parole del Cavaliere, «servirà una personalità autorevole», ma l’identikit potrebbe non collimare. E nel Palazzo c’è chi teorizza che Berlusconi, lanciando il nome di Amato, abbia inteso bruciare il candidato di Napolitano e di D’Alema, che proprio con Fitto ha stretto un asse «anti Nazareno». Una cosa è sicura, e il vice segretario del Pd Guerini ne è consapevole: «Finché non si risolverà la questione del Colle la fibrillazione è destinata a protrarsi». Pertanto le prossime settimane per il governo si preannunciano ad alto rischio: sulla legge di Stabilità ma soprattutto sulla riforma del sistema elettorale che è all’esame del Senato. Renzi - che contava di arrivare al voto d’Aula sull’Italicum prima delle votazioni per il Quirinale - ora ha ridotto le sue pretese: spera di ottenere il via libera della commissione Affari costituzionali senza incidenti di percorso. Ecco quale influenza ha la corsa per la presidenza della Repubblica, che non è - né poteva essere - una variabile indipendente dello scenario politico, dopo che Napolitano ha lasciato accreditare il suo addio.

E più si ingarbuglia la faccenda delle riforme più si capisce che il caso Quirinale è ancora un caos. «Più ci si avvicina alla metà - ha spiegato infatti Bersani ad alcuni compagni del Pd - e più aumenta la nebbia». Allora, davvero Renzi ha dei nomi coperti che non siano già finiti nel tritacarne delle anticipazioni? Da Bassanini a Padoan, dal governatore di Bankitalia Visco al capo della Bce Draghi, da Finocchiaro a Mattarella, non c’è opzione che non sia stata preannunciata. E non è solo l’incertezza sulla data delle dimissioni del capo dello Stato ad aver fatto aumentare le tensioni nel Palazzo. Perché il punto non è solo quando Napolitano si dimetterà. Il punto è anche cosa dirà...

13 dicembre 2014 | 10:13
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_13/mosse-tempi-nomi-partita-il-quirinale-54c60c82-82a7-11e4-a0e7-0a3afe152a95.shtml
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« Risposta #231 inserito:: Dicembre 20, 2014, 12:08:06 pm »

Quirinale, le variabili tempo e alleanze sulle manovre incrociate
Tra i nomi dei renziani per la presidenza rispunta Mattarella. Il premier prepara il decreto sull’Iva per la vigilia di Natale

Di Francesco Verderami

Era evidente che la corsa per il Colle non sarebbe potuta rimanere una variabile indipendente della politica, e infatti - per quanto il capo dello Stato abbia tentato di tenere le sue dimissioni slegate dalle questioni di governo e dalle dinamiche parlamentari - da oltre un mese ogni mossa è influenzata e dettata da quell’evento.

Tutto insomma ruota attorno alla data d’addio di Napolitano. E nel «triangolo della politica» - che include Palazzo Chigi, Montecitorio e Palazzo Madama - ci si stava preparando all’evento per il 14 gennaio: ce n’è traccia nelle conversazioni riservate delle massime cariche e nell’organizzazione del cerimoniale per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, che si stava già predisponendo. C’è un motivo quindi se ieri in Parlamento la frase con la quale Napolitano ha annunciato la sua «imminente» decisione, è stata legata al compromesso sulla legge elettorale, la clausola di salvaguardia che sposta al settembre del 2016 l’entrata in vigore dell’Italicum.

Si tratta di un elemento con cui Renzi stabilizza il quadro politico, rasserena deputati e senatori sulla durata della legislatura e facilita il percorso delle riforme. Ma il rischio è che i due disegni di legge si fermino in Parlamento a un passo dall’approvazione per dover lasciare strada alle votazioni sul Quirinale. Per favorire il varo dei provvedimenti, e quindi Renzi, Napolitano potrebbe posticipare di qualche giorno le dimissioni, così da lasciare dopo aver raggiunto l’obiettivo: quello cioè di aver consegnato un Paese che si avvia ad ammodernare le istituzioni e dotato di un nuovo sistema elettorale.

È da vedere se le previsioni sulla «data» - che accomunano autorevoli esponenti di maggioranza e opposizione - si realizzeranno. Ma già il solo esercizio interpretativo sulle volontà del capo dello Stato testimonia come proprio «la data» sia determinante nelle manovre per il Quirinale. Manovre che sono in corso e si alimentano ogni giorno con le solite voci e i soliti nomi: l’ultimo ritorno di fiamma è Mattarella, ex giudice della Consulta, ministro ai tempi della Dc e anche dell’Ulivo, attorno a cui viene ritagliato l’identikit di Palazzo Chigi. È una personalità che - secondo gli uomini di Renzi - Berlusconi farebbe difficoltà a non accettare, visto che il suo nome richiama all’estremo sacrificio nella lotta alla mafia.

Non è dato sapere se si tratti di una mossa diversiva o se l’indicazione sia stata formalizzata al Cavaliere, che di Mattarella rammenta le dimissioni dall’ultimo governo Andreotti - insieme ad altri quattro ministri della sinistra dc - in polemica per il decreto con cui vennero riaccese le tv del Biscione. Una cosa è certa: la corsa per il Colle è troppo lunga per essere già terminata. Anzi, nemmeno è iniziata che si intravvedono i bagliori dello scontro. È bastato che ieri il ministro Boschi prospettasse un metodo, in base al quale il Pd proporrebbe «un nome» agli altri partiti, per far saltare i nervi anche all’Ncd. Parafrasando un famoso slogan della campagna elettorale del ‘48, Cicchitto ha avvisato l’alleato: «Nel segreto dell’urna Dio ti vede, Renzi no» ...

Altro che Grillo e Salvini: il premier non può perder tempo, e prima di trovare l’intesa con il Cavaliere deve compattare la maggioranza e il suo partito. D’altronde la clausola di salvaguardia sulla legge elettorale non è stato solo un segno distensivo verso Forza Italia, ma anche - anzi soprattutto - verso la minoranza interna. Eppure, proprio nel Pd temono che l’emendamento «salva legislatura» possa essere un cavallo di Troia, perché basterebbe un decreto del governo per cambiare data all’introduzione dell’Italicum. A quel punto, come si comporterebbe il nuovo capo dello Stato? Perciò l’opposizione dem chiede per il Colle «una figura di garanzia».

E si torna alla sfida sul Quirinale, sfida che non può iniziare senza l’ufficializzazione dell’addio da parte di Napolitano. Nel frattempo, però, all’ombra della partita decisiva, il premier ne sta giocando altre, e non di secondo piano. L’attesa per il varo dei decreti attuativi al Jobs act ha allertato quanti - da Sacconi a Ichino - temono cedimenti verso il fronte filo-Cgil. Ma Renzi potrebbe smentire se stesso e la campagna che ha fatto in Europa? È Natale, e in Parlamento c’è l’ingorgo. In verità anche a palazzo Chigi, dato che il premier sta pensando di convocare due distinti Consigli dei ministri: l’ultimo nel giorno di vigilia, per mettere sotto l’albero il decreto sull’Ilva.

19 dicembre 2014 | 07:33
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_19/quirinale-variabili-tempo-alleanze-manovre-incrociate-a8636a66-8747-11e4-b343-7326607b3ce4.shtml
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« Risposta #232 inserito:: Gennaio 05, 2015, 04:54:00 pm »

Le tattiche dei due leader
«Il patto regge»: Renzi e Berlusconi vogliono l’accordo
Uno scambio sull'Italicum in vista dell'elezione del nuovo capo dello Stato. Ma senza il bisogno di incontrarsi subito

Di Francesco Verderami

Tra Renzi e Berlusconi l’accordo è di fare l’accordo, e sul Quirinale per ora può bastare. Non c’è quindi bisogno di vedersi subito, tantomeno prima che Napolitano abbia formalizzato le dimissioni: è questione di galateo istituzionale ma anche di opportunità politica. Il patto del Nazareno regge e lo si vedrà fra una settimana, quando l’Italicum farà da stress test alla corsa per il Colle. Il vero appuntamento tra il premier e il Cavaliere è fissato l’8 gennaio al «check point Charlie» del Senato sulla legge elettorale: l’accordo prevede che il leader del Pd ottenga l’approvazione della riforma prima del voto sul presidente della Repubblica, e che in cambio al capo di Forza Italia vengano garantite la norma sui capilista bloccati (con cui impedirebbe un’opa ostile nel suo partito) e la clausola di salvaguardia sull’entrata in vigore dell’Italicum (con cui si allungherebbe formalmente la legislatura almeno per altri due anni).

Con modifiche, Patto a rischio
Qualsiasi modifica metterebbe a rischio il patto, ed è evidente che quanti si oppongono all’intesa di sistema tra Renzi e Berlusconi useranno Palazzo Madama come luogo per tendere l’agguato, consapevoli che gli effetti si ripercuoterebbero sulla partita per il Colle. Fino ad allora le sorti dei quirinabili saranno appese alle manovre dei leader di partito e dei loro avversari interni. Perché questo è il punto: lo stesso Parlamento che due anni fa bruciò ogni intesa prima di affidarsi ancora a Napolitano, oggi si ripresenta all’appuntamento maggiormente frammentato. E dunque, chi più riuscirà a tenere uniti i propri gruppi avrà la golden share all’atto decisivo.

Priorità
È questa al momento la priorità del premier e del Cavaliere, sebbene i due già studino la tattica dell’altro. Berlusconi, per esempio, è convinto che «bisognerà lasciar fare Renzi», che «il nome vero uscirà all’ultimo momento». È un’opzione, che però si porta appresso dei rischi. Tuttavia le prime schermaglie consentono al presidente del Consiglio di capire su chi verrà posto il veto. Dicendo che non accetterà di votare «un candidato con la tessera del Pd», il Cavaliere sembra volersi realmente muovere d’intesa con i centristi. «Dobbiamo fare asse insieme», ha spiegato l’altra sera l’ex premier a un dirigente di Ncd, ripetendo ciò che aveva detto alcune settimane fa ad Alfano. Sarebbe un’operazione «di blocco preventivo» rispetto ai quirinabili di stretto giro renziano, a quei ministri cioè che il leader democratico fa mostra di voler proporre: da Delrio alla Pinotti. Al tempo stesso sembrerebbe un segnale di apertura verso chi - come Veltroni e Mattarella - non è (più) dirigente del partito.

Parlare a nuora (Renzi) perché suocera (Berlusconi) ascolti
Ma siccome nessuno conosce meglio Berlusconi degli stessi berlusconiani (per quanto ex), sono pochi a volersi già ora esporre. Anzi, venerdì il coordinatore di Ncd Quagliariello ha lanciato un messaggio pubblico double face: ha parlato a nuora Renzi, «sul Colle niente giochi», perché ascoltasse suocera Berlusconi. È stato un modo per accreditare le voci da tempo circolanti su un possibile accordo tra il Cavaliere e Prodi grazie agli uffici di Putin: l’intesa garantirebbe quella «pacificazione» a cui i dirigenti di Forza Italia mirano e che cela la richiesta della «riabilitazione» politica del loro leader.

Rassicurazioni dal Pd
Dal Pd sono arrivate autorevoli rassicurazioni, «non ci facciamo scegliere il presidente della Repubblica dal Cremlino», che sanno tanto di allergia verso il fondatore dell’Ulivo. Peraltro lo stesso capo di Forza Italia aveva pubblicamente smentito, dopo aver spiegato a un vecchio amico come Cicchitto che «a Prodi non ci penso proprio, figurarsi». Semmai, nei colloqui di queste ore, Berlusconi ribadisce in privato ciò che si era lasciato «sfuggire» in pubblico: «Io continuo a stare su Amato e aspetto che sia Renzi a propormi il suo nome».

L'attesa di un nome
E se Renzi quel nome non lo proponesse, e se fosse anche questa una manovra diversiva? Ma soprattutto, chi avrà davvero la forza di opporre un veto al premier tra l’alleato di governo Alfano, che siede al suo fianco in Consiglio dei ministri, e l’alleato di opposizione Berlusconi, che ambisce a essere kingmaker nella corsa per il Colle? Di certo c’è che il premier intende chiudere un’era.

Chiudere un'era
Dagli albori della Seconda Repubblica, infatti, gli inquilini del Quirinale hanno giocato un ruolo diretto nelle vicende politiche: Scalfaro arrivò a porre il veto sulla squadra dei sottosegretari del governo Amato; Napolitano spaziò dalla lettera all’allora presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Vizzini, su alcuni emendamenti del lodo Alfano, fino alla telefonata con cui invitò Cuperlo ad accettare l’incarico di presidente del Pd. Che Renzi voglia cambiar verso è indubbio. Ma deve tenere in considerazione lo scrutinio segreto. L’idea di tener coperto fino all’ultimo il nome del suo quirinabile può risultare pericolosa: tutti lo attendono al varco della quinta «chiama», quella decisiva. Se si andasse troppo oltre, il voto sulla presidenza della Repubblica si trasformerebbe in una lotteria, e quanti oggi si tirano ufficialmente fuori dalla corsa per il Colle potrebbero rientrarci sulle macerie del disegno renziano. Siccome il leader del Pd lo sa, allora può darsi che anche la sua tattica dilatoria sia solo tattica.

3 gennaio 2015 | 09:12
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_gennaio_03/patto-regge-renzi-berlusconi-vogliono-l-accordo-3a375fb2-931c-11e4-8973-ae280e1dba84.shtml
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« Risposta #233 inserito:: Gennaio 15, 2015, 12:02:17 pm »

Il retroscena

Quirinale, pronta una terna di nomi
E cresce l’ipotesi Veltroni
Le opzioni Mattarella, Gentiloni e Fassino.
Il premier chiede a Berlusconi di serrare i ranghi Il leader di Forza Italia valuterà la rosa dei candidati con il metro dell’agibilità politica

Di Francesco Verderami

ROMA Sul Quirinale è il momento di contarsi per contare. E se Renzi non mette in dubbio la parola di Berlusconi, «ha detto che voterà con noi e io gli credo», vuole capire se ha davvero fondamento l’altra garanzia fornita dal Cavaliere: «A breve incontrerò Fitto e i miei gruppi saranno uniti». La corsa per il Colle inizia ufficialmente oggi, e il premier chiede all’alleato dell’opposizione di stringere i suoi ranghi, «io devo badare a compattare i miei». Si vedrà se il leader del Pd riuscirà ad arrivare puntuale all’appuntamento, «alla quarta votazione avremo il nuovo capo dello Stato», o se la sua scommessa si rivelerà un azzardo. Molto dipenderà dal grado di tenuta del capo dei forzisti ma soprattutto dalla tattica che verrà adottata per evitare le insidie del voto segreto. Arcore è la Fortezza Bastiani di Berlusconi, che in attesa di sapere cosa disporrà Renzi sul Quirinale si sporge dai camminamenti per scorgere la sagoma di un messaggero: da quel deserto, d’altronde, non arrivano più nemici ma solo un ufficiale di collegamento. È Verdini. È lui che spiega al Cavaliere come comportarsi: «Renzi ti proporrà una serie di candidati e noi potremo scegliere». Il leader di Forza Italia inizia così a sfogliare i petali della rosa, a modo suo: «Avrò l’agibilità, non avrò l’agibilità...». È un chiodo fisso, non smette di parlarne, mentre attorno a lui i fedelissimi sbirciano sui suoi fogli i nomi dei quirinabili: Mattarella, Gentiloni, Fassino.

Chi è il vero candidato
Il Cavaliere storce il naso. In realtà, in fondo al sentiero che porta alla presidenza della Repubblica, quella terna (forse) nasconde il vero candidato. Confalonieri sostiene che «nella storia del Quirinale sono salite personalità sbiadite, però pensi di eleggere uno sbiadito e poi magari ti ritrovi un Pertini». Il Colle visto da Arcore è un santuario laico da cui Berlusconi si attende il miracolo, e la sua Fortezza Bastiani è un ottimo punto di osservazione per vedere tutti quelli che si agitano con i loro messaggi e le loro telefonate, grazie alle quali l’ex premier può dimenticare l’estrema debolezza politica del momento. Fassino - per accreditarsi - gli ha fatto sapere che da Guardasigilli non ebbe mai alcun atto ostile contro di lui sulla giustizia, «e quanto a standing internazionale sono stato ministro del Commercio estero». Persino Prodi gli manda a dire. O meglio, alcuni prodiani - non si sa se autorizzati o mossi da iniziativa personale - hanno contattato rappresentanti berlusconiani del mondo dello spettacolo e dell’informazione per affidare un pensiero da consegnare al Cavaliere.

Prodi è in corsa o no?
Ma il Professore non ha detto a più riprese di non essere «in corsa»? Vero, ma «in corsa» lo potrebbero sospingere gli avversari di Renzi nelle prime tre votazioni, quelle in cui il premier ha dichiarato che «si voterà scheda bianca», quelle in cui il leader del Pd sarà maggiormente vulnerabile. Se il Professore iniziasse a salire nei consensi sarebbe complicato arrestarne poi la marcia. A meno da non proporre un nome che sia «all’altezza di Prodi e di Marini», come chiede Bersani a mo’ di sfida. E il capo democrat - per parare il colpo e fermare la corsa del fondatore dell’Ulivo - medita di lanciare in pista il primo segretario del Pd, quel Veltroni che - per dirla con autorevoli membri del governo - «più sta fermo più sta dentro i giochi». Se così fosse, gli oppositori interni di Renzi avrebbero difficoltà a respingere la proposta del loro segretario. Se così fosse, altro che terna: vorrebbe dire che Berlusconi qualche garanzia deve averla data sul candidato secco. Proprio Bersani ieri sentiva aria di grande intesa: «Il premier dice che per il capo dello Stato partirà dalla quarta votazione e l’opposizione non protesta?».

Apertura sul nome di Veltroni
Di più. Tra i ranghi forzisti c’è chi sottovoce si mostra disponibile a votare eventualmente Veltroni, accreditando di fatto la tesi che la debolezza politica del Cavaliere lo porterebbe ad accettare anche «un esponente del Pd» pur di stare in gioco. Ma è questo il vero gioco o la soluzione ventilata ieri da Palazzo Chigi è una mossa tattica, fatta nell’urgenza del momento, per stoppare gli oppositori del premier? E l’accordo - semmai fosse stato già chiuso con Berlusconi - comprende anche l’area dei centristi che stanno nel governo? Perché ieri Alfano ha detto no a un candidato al Colle che sia frutto «delle primarie del Pd». Tra tanti interrogativi, una cosa è certa: Renzi oltre la sesta chiama potrebbe perdere il controllo della situazione in Parlamento, perciò ha bisogno di presentarsi ai blocchi di partenza con un candidato forte. I rischi di un protrarsi della corsa sono stati analizzati a Palazzo Chigi come ad Arcore, dove a Berlusconi è stato prospettato che - in caso di stallo - potrebbe prendere corpo anche la candidatura di Grasso. Raccontano che il Cavaliere abbia avuto un sobbalzo: «Un magistrato anche al Quirinale? Ci manca questo». Fosse per lui, un nome ci sarebbe, uno che gli fa ricordare la sua gioventù politica: «Tra tutti, l’unico è D’Alema ad avere il profilo dell’uomo di Stato. E sarebbe garante degli accordi. Ma purtroppo...». Purtroppo Renzi non lo vuole. E se invece fosse Veltroni?

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14 gennaio 2015 | 07:54

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« Risposta #234 inserito:: Gennaio 18, 2015, 06:29:50 am »

La successione al colle
Quirinale, la rete di Renzi che tiene i contatti con tutti i candidati
Il premier e la presidenza della Repubblica: «Nessuno può fare un presidente contro di me, ma dovrò sceglierlo con gli altri»

Di Francesco Verderami

Terrà fede al soprannome che gli hanno affibbiato in Consiglio dei ministri, perciò prima di lanciare un nome per il Colle Renzi «last minute» aspetterà fino all’ultimo, fino all’ultimo studierà i candidati e i sondaggi che sul loro conto ha commissionato. E siccome dai dati demoscopici emerge che nessun politico spicca oggi negli indici di gradimento, non ha definitivamente accantonato l’idea della sorpresa.

Ma di questo il premier tace con i quirinabili, a cui dice o fa dire cose che non spengono le loro speranze. Per Amato ha avuto parole commendevoli, a Del Rio ha spiegato che «tu saresti il mio ideale», a Casini non ha opposto veti all’ipotesi di un esponente dell’area moderata al Quirinale. Tranne Cantone - a cui ieri ha cancellato ogni aspirazione sostenendo in pubblico che «lui ha già tanto da fare all’Autorità anticorruzione» - il leader del Pd fa sentire tutti in corsa. Se i candidati di Renzi si costituissero in Associazione, capirebbero che a ognuno di loro è stata detta sostanzialmente la stessa cosa.

Sarà per via della sua indole o per la difficoltà politica di comporre al momento l’intricata faccenda, in ogni caso il premier sta alimentando le ambizioni di quanti vorrebbero succedere a Napolitano. E li tiene stretti a sé, grazie a un network di fedelissimi che risponde solo a lui e che ha il compito di monitorare i quirinabili e riferirgli ogni dettaglio delle loro conversazioni.
   
Così a Delrio è stato assegnato il «fronte emiliano», dove sono di stanza Prodi e Castagnetti. Alla Boschi sono toccate la Severino e la Finocchiaro. La Madia è stata facilitata, visto che parla ogni giorno con il figlio di Mattarella, capo legislativo del suo dicastero. Nessuno si risparmia. Persino il sindaco di Firenze è coinvolto da Renzi nella «rete»: è Nardella infatti a tenere in via riservata i rapporti con Amato.

Agli ex segretari del partito ci pensa invece il premier, conscio che «tutti i miei predecessori si sentono candidati in pectore per il Quirinale». E con loro Renzi parla, più di frequente manda sms di lusinga o di rassicurazione. Ma tra questi c’è chi ricorda com’era rassicurante il messaggio inviato dal segretario del Pd a D’Alema quando era in ballo per una nomina in Europa: è un messaggio che l’ex premier ha tenuto nella memoria del telefonino e che ogni tanto mostra ai suoi interlocutori per metterli sull’avviso.

In fondo però Renzi va capito. Deve gestire il passaggio più delicato della sua giovane carriera politica, con avversari interni ed esterni al suo partito che - a scrutinio segreto - vorrebbero riservargli il trattamento della rottamazione. Il premier però è convinto di partire nella corsa al Colle da una posizione di forza, e da lì poter mediare: «Nessuno - spiega - potrà fare un presidente della Repubblica contro di me, anche se io dovrò farlo insieme agli altri».

Gli «altri» sono Berlusconi, l’Area popolare di Alfano e la minoranza democratica. E pur di tenere dentro l’accordo il Cavaliere, mette in conto di perdere un pezzo del suo stesso partito. Il problema è di non perdere tanti pezzi del Pd e soprattutto di non ritrovarsi con una Forza Italia a pezzi. Questo è il maggior rischio, evidenziato ieri nell’Aula della Camera e riassunto in un tweet dal renziano Giachetti: «Dal dibattito sulle riforme si deduce che a giorni cadrà la giunta Maroni e che ad ore i fittiani usciranno da Forza Italia».

Nonostante Berlusconi faccia sfoggio dei «nostri 150 grandi elettori» per dire che «al Quirinale non voteremo un capo dello Stato come gli ultimi tre», lo spettacolo offerto a Montecitorio non è stato un bel segnale per il premier alla vigilia della partita per il Quirinale. E come non bastasse, in vista delle prime tre votazioni - le più insidiose per Renzi - i dirigenti del Pd hanno segnalato a palazzo Chigi movimenti di truppe Cinquestelle, pronte a votare Prodi per tentare di sabotare il patto del Nazareno. Come ammette il vice segretario del Pd Guerini, il passaggio in cui è prevista la maggioranza dei due terzi dei grandi elettori, «sarà delicato».

Ecco spiegato l’endorsement per Veltroni, che di fatto viene contrapposto al fondatore dell’Ulivo. Guerini confuta la tesi, spiegando che «comunque un candidato forte si misura poi alla prova del consenso». Insomma, è solo l’inizio della sfida, non è pensabile sia già scritta la fine. Perciò al momento tutti nutrono speranze. Grasso, per esempio, agli occhi di Renzi si gioca la partita della vita con il «canguro», l’arma usata per eliminare gli emendamenti di massa presentati dalle opposizioni per fare ostruzionismo. E il presidente del Senato - pur da supplente di Napolitano - tiene la regia dell’Aula di palazzo Madama dov’è in gioco l’approvazione dell’Italicum prima delle votazioni per il Colle.

Nell’attesa tutti si apprestano a manovre di posizionamento. Anche quello che un tempo fu il centrodestra - cioè i gruppi di Forza Italia e di Area popolare - dovrà decidere: marcerà in ordine sparso verso l’intesa con il premier o darà vita a un preventivo patto di consultazione? Alfano, puntando per il Colle su una personalità «garante di tutti e con sensibilità cattolica» si schiera per Casini. E Berlusconi?

15 gennaio 2015 | 07:36
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_gennaio_15/quirinale-rete-renzi-contatti-tutti-candidati-224f9636-9c80-11e4-8bf6-694fc7ea2d25.shtml
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« Risposta #235 inserito:: Febbraio 01, 2015, 11:34:11 am »


Il retroscena

I tanti veti di Berlusconi e la tattica di Renzi sui tempi
Perché il premier sposta avanti il traguardo. Riprende quota Padoan L’obiettivo Forse in questo modo il segretario conta di riuscire a convincere il Cavaliere Il voto decisivo Il leader pd ai suoi dice che il nome arriverà tra la quarta e la quinta votazione

Di Francesco Verderami

ROMA Fidarsi o non fidarsi? Questo è il dilemma dei tanti kingmaker impegnati nelle mediazioni alla vigilia della corsa per il Colle. E nelle ultime ore le trattative sul prossimo capo dello Stato sembrano ricalcare per un verso certi canovacci delle opere shakespeariane, per un altro il copione del film La stangata . Perciò ogni considerazione e ogni espressione del volto dei protagonisti può significare una cosa e il suo opposto. Per esempio, cosa voleva davvero dire Renzi ieri, quando - nei suoi contatti riservati - ha previsto che «il nuovo presidente lo avremo tra la quarta e la quinta chiama»? E il dettaglio gli è sfuggito o è stato offerto di proposito ai suoi interlocutori?

Far scivolare l’elezione anche solo di una votazione, può far trasparire da parte del premier un segno d’incertezza, a sostegno della tesi che sia in difficoltà nella vertenza. Oppure il leader del Pd vuole far capire che non dispera di riuscire a convincere Berlusconi, deciso al momento a far valere i suoi tanti voti con altrettanti veti: su Padoan, su Mattarella, su Finocchiaro e su tutti gli ex segretari del Pci-Pds-Ds-Pd, compreso Fassino. Guarda caso proprio i nomi che stanno nella Renzi’s list.

Dall’altro lato della barricata, Bersani osserva lo sviluppo della situazione, e al pari del Cavaliere sembra per ora intenzionato a non offrire sponde: «Non si era mai visto un premier che avoca a sé le trattative per il Quirinale. Ma visto che ha deciso così, tocca a lui la soluzione». E Renzi dovrà trovarla prima di incontrare proprio Berlusconi e Bersani, gli unici che vedrà al riparo delle formali consultazioni con i partiti, e che - guarda caso - hanno un nome in comune nelle loro liste: quello di Amato, a favore del quale si sta esercitando sul premier una forte pressione.

Scartando l’opzione della «rosa di candidati», Renzi sta tentando di rompere l’assedio. Ma ci sarà un motivo se ieri la forzista Mariarosaria Rossi - fedelissima del Cavaliere - ha detto che «se si trovasse l’intesa su un nome condiviso, si potrebbe eleggere il capo dello Stato al primo voto»: era un chiaro «sì» ad Amato e un indiretto «no» alle proposte finora avanzate dal leader dem. Che nel frattempo ha cambiato (ancora) la sua road map. Se la scorsa settimana aveva anticipato di voler rendere pubblico il nome del prescelto «prima dell’inizio delle votazioni», adesso medita uno slittamento, «tra venerdì sera e sabato mattina», cioè a cavallo tra la prima e la seconda chiama, per evitare un’esposizione di quarantott’ore che rischierebbe di bruciare il suo candidato.
 
Anche questo sembra un segno di difficoltà se legato all’atteggiamento del Cavaliere, che non sembra dar segni di cedimento dinnanzi alle pressioni del premier su Delrio e soprattutto su Padoan. La versione di Berlusconi è che - dopo aver sostenuto le riforme e la legge elettorale - non può dare i suoi voti per il Colle a un ministro di un governo a cui non ha dato la fiducia. Men che meno al titolare dell’Economia. Ora il capo forzista si aspetta un dividendo, non vuole acconciarsi a una svendita che lo esporrebbe all’attacco interno di Fitto.

Ma la versione di Renzi è un’altra, almeno così è stato interpretato quel lampo sul suo volto mentre incontrava alcuni compagni di partito, che gli chiedevano lumi sui suoi pronostici, sul cambio di road map, sull’idea di tenere la carta coperta fino all’ultimo, sulla sua insistenza a puntare su Padoan. Un lampo, nulla più. Ma quel lampo ha fatto rammentare ai presenti cos’è accaduto solo due settimane fa: se sulla legge elettorale Renzi è riuscito a «convincere» il Cavaliere sul premio alla lista, perché non potrebbe riuscirci sul nome del futuro capo dello Stato?

D’un tratto ai dirigenti del Pd i tanti veti di Berlusconi sono parsi troppi perché il premier non riesca a scalfirne uno e giungere così all’obiettivo. Magari con il sostegno degli ex grillini, un drappello che alla vigilia del voto per il Colle si è trasformato in un piccolo esercito, e che Renzi coltiva e incontra, com’è accaduto con il deputato Rizzetti: se così fosse, grazie (anche) a loro potrebbe neutralizzare il veto dei bersaniani sul «tecnico» Padoan e ottenere il voto dei dalemiani. Ma Renzi è disposto a rischiare? Perché Berlusconi (per ora) non demorde, e l’asse con gli alfaniani di Area popolare regge, al punto che ieri il ministro Lupi ha posto pubblicamente il veto sui tecnici: «È stato Renzi a dire che la loro stagione è finita. E ora dovremmo eleggerne uno alla massima carica del Paese?». «Tra la quarta e la quinta votazione», ripete il premier: come avere a tennis due palle per il match-point, sapendo quanto è esile il confine tra un ace e un doppio fallo.

27 gennaio 2015 | 08:27
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« Risposta #236 inserito:: Febbraio 01, 2015, 11:40:50 am »

ETTEGIORNI
Quirinale: Renzi, l’ipotesi Amato e la tentazione del rimpasto
Il premier non scopre le carte sulla corsa al Colle.
In crescita le azioni di Padoan: se liberasse l’Economia si aprirebbe un giro di valzer nelle poltrone del governo
Di Francesco Verderami

Nella lista di Berlusconi c’è (anche) il nome di Amato. Nella lista di Alfano - che è la stessa di Berlusconi - c’è (anche) il nome di Amato. Nella lista di Bersani c’è (anche) il nome di Amato. Napolitano spinge per Amato. D’Alema dice Amato. Ma Amato sta nella lista di Renzi? È questo il punto, perché in passato, con un candidato così sponsorizzato, la corsa al Colle sarebbe finita al primo giro. Invece il premier - che prima del varo dell’Italicum al Senato non scioglierà la riserva - sta trasformando la corsa al Colle in un thriller. Renzi vive il nome di Amato come un assedio ed è evidente il tentativo di trovare una via di fuga. Da settimane gli interlocutori provano a interpretarne i segnali, azzardando pronostici sul quirinabile di suo gradimento. «Il fatto è - ha raccontato Bersani dopo averlo visto - che Matteo si comporta come un pokerista. Sta lì, inizia a sciorinare una lunga lista di nomi, e intanto ti scruta per vedere quali sono le tue reazioni».

L’unica volta in cui tracciò un identikit appena articolato sul candidato ideale, Napolitano era ancora al Quirinale. «Serve una figura saggia e preparata», disse Renzi: «Perché nei prossimi anni potrebbe essere chiamato ad affrontare situazioni difficili». Sembrava una preferenza per una personalità politica. Ma non è facile decrittare un oracolo, tantomeno il leader del Pd, capace - come solo lui sa fare - di muoversi su molti fronti contemporaneamente. E infatti, mentre è atteso alla partita della vita, Renzi medita sul restyling da fare al suo governo.

In più di un’occasione si è lamentato dell’operato «a dir poco insoddisfacente» di alcuni sottosegretari che vorrebbe cambiare. Intanto ha chiuso un negoziato con il governatore della Calabria, al quale farà arrivare come «forte sostegno» per la giunta il ministro Lanzetta, che lascerebbe quindi l’esecutivo. Vorrebbe poi mettere le mani sull’Istruzione - da affidare a un ministro del Pd - prima di presentare la riforma della scuola, e intanto non fa passare riunione di governo senza leggere alla Giannini i sondaggi che danno Scelta civica allo zero virgola. C’è il sindaco di Milano, Pisapia, che gli ha rappresentato la «personale disponibilità» al ruolo di Guardasigilli, anche se Orlando non intende candidarsi in Campania. Si tiene pronto nel caso il rapporto con Poletti - che si è logorato - dovesse liberargli il dicastero del Lavoro...

Più che un restyling sarebbe un rimpasto, un vero e proprio Renzi bis, una mossa inopportuna in questa fase, dato che in primavera si tengono le Regionali. A meno che il premier non intenda incrociare la partita del Quirinale con quella del governo. Perché se riuscisse a piazzare Padoan sul Colle, sfrutterebbe l’occasione - la sedia vuota dell’Economia - per avviare il giro di valzer. E Padoan - nonostante le polemiche sulla norma «salva Berlusconi» nel decreto fiscale - ci crede e ci spera nella promozione. Lo hanno intuito a via XX settembre, visto come il ministro ha ridotto all’osso le trasferte: «Fatemi restare a Roma in questi giorni...», sorride. E gli altri gli sorridono.

Sorridono un po’ meno nel Pd, dove - per il Quirinale - non solo la minoranza ha messo una croce sul suo nome, come su quelli di Bassanini e dell’ex presidente della Consulta De Siervo, ormai ribattezzato «il capo dello Stato del giglio magico». A differenza di due anni fa, però, l’opposizione interna non compirebbe il gesto sacrificale nel segreto dell’urna. Quando Bersani spiega che «non sarò certo un franco tiratore», è perché ai suoi ha detto: «Se Renzi ci presentasse un candidato di secondo rango, dovremmo dire pubblicamente che non l’accettiamo». Ormai il leader del Pd e il suo predecessore sono sull’orlo di un divorzio, perciò non è alle viste un nuovo incontro: una separazione nel voto per il Colle equivarrebbe a una scissione.

«Amato» dice Bersani. Per evitare la rottura ci sarebbe anche Mattarella. E la Finocchiaro. Ma è Renzi che manca all’appello, e nel Palazzo basta niente per scatenare la psicosi collettiva. Ieri un accenno su Visco, durante una riunione, ha innescato una reazione a catena. E poco importa se il governatore di Bankitalia si è schermito, il punto è che il suo nome è stato pronunciato da Renzi all’incontro con Berlusconi. Rientrato a palazzo Grazioli, il Cavaliere si è sfogato con i suoi: «Ci manca solo il ministro delle tasse». «Ma no dottore, non è Vincenzo. È Ignazio Visco. L’ha nominato lei a Bankitalia». «Ah sì e non mi ha nemmeno chiamato per dirmi grazie». E tutti a fissarlo: il «dottore» sta dicendo il vero o sta bluffando? Perché di pokeristi al tavolo d’azzardo per il Colle non c’è seduto solo Renzi...

24 gennaio 2015 | 07:30
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Da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2015/elezioni-presidente-repubblica/notizie/quirinale-renzi-ipotesi-amato-padoan-rimpasto-governo-9242e066-a391-11e4-808e-442fa7f91611.shtml
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« Risposta #237 inserito:: Febbraio 06, 2015, 11:19:34 am »

Il retroscena
La strada stretta dell’ex premier e la partita dell’azienda di famiglia
La rottura dell’accordo con Renzi va inquadrata oltre il recinto della politica Telecomunicazioni
Il sottosegretario Giacomelli: peccato se si interrompe un clima positivo Ad Arcore
Gli amici: ha fatto più questo governo per le tue aziende che i tuoi ministri


Di Francesco Verderami
ROMA Berlusconi non ha rotto il patto del Nazareno, ha rotto lo specchio che avrebbe dovuto magicamente trasformare la proiezione dei suoi desideri in realtà. È la fine di un incantesimo di cui Renzi si è servito prima di porre il suo «alleato di opposizione» dinnanzi al bivio del prendere o lasciare. E se è vero che agli occhi del leader di Forza Italia il premier ha assunto le sembianze di «una iena», è altrettanto vero che nell’ultimo lunedì di Arcore - quello dedicato ai figli e agli amici di una vita - c’è stato chi ha ricordato al padrone di casa come, «nonostante tutto, questo governo in un anno ha fatto per le nostre aziende molto più che i tuoi ministri in dieci anni».

Eppoi certo, l’opinione comune a quel desco era che - per quanto bravo e sveglio - di Renzi non ci si dovesse fidare ciecamente, sebbene il moto istintivo che appartiene a Marina Berlusconi non fosse un consiglio, tantomeno una critica rivolta al genitore, che invece in Renzi credeva e a Renzi credeva. Semmai è stato un gesto solidale in vista della decisione: «Fai la cosa giusta». E il padre, che si è sentito tradito, ha mandato in frantumi lo specchio, destandosi da un sogno che era a sua volta il sequel di un altro sogno.

Ma davvero era solo un sogno? Perché in tal caso la rottura tra il premier e l’ex premier andrebbe confinata nel recinto della politica, alla partita sul Quirinale: «E il patto - dice Berlusconi - è che non si sarebbe proceduto oltre se io non fossi stato d’accordo sulla scelta». Non c’è dubbio che abbia commesso degli errori nella trattativa, come sostiene Gianni Letta, secondo cui «non ci si siede al tavolo con un solo nome». Però alla vigilia del voto in Senato sulla legge elettorale - quando Renzi aveva estremo bisogno di Forza Italia - la vicesegretaria del Pd Serracchiani disse in un’intervista radiofonica che «il prossimo presidente della Repubblica lo voteremo insieme a Berlusconi».

Le cose sono andate diversamente, anche se l’ex premier è convinto che Renzi abbia fatto male i conti con il successore di Napolitano, «perché lui pensa di trarne vantaggio, ma non sarà così. Mattarella è un cattolico integralista e alla lunga questa scelta gli si ritorcerà contro». Si vedrà, e comunque sono valutazioni che stanno ancora tutte dentro il perimetro della politica. Il punto è se c’era e c’è dell’altro, oltre l’intesa sulle riforme costituzionali e l’Italicum. Bisognerebbe forse seguire le tracce lasciate dall’avvocato-onorevole Ghedini negli ultimi tempi per verificare se quello di Berlusconi era davvero solo un sogno.

È un percorso punteggiato da indizi lasciati sul sentiero: senza andar dietro i boatos sulle modifiche alla legge Severino e sulla prescrizione, andrebbe capito come mai - a ridosso della sfida per il Colle - è stato perso del tempo per raccontare all’ex premier la storia del comandante partigiano comunista Moranino, scappato in Cecoslovacchia dopo una condanna per omicidio plurimo aggravato ai tempi della Resistenza, e graziato da Saragat appena salito al Quirinale. Ecco lo specchio dove Berlusconi vedeva i suoi desideri prender corpo. Era solo un incantesimo? Perché è stato Renzi a tracciare il solco del decreto fiscale, ed è andata la Boschi in tv a difenderlo. Perché il premier l’altra sera a «Porta a Porta» ha accennato all’affaire Telecom-Mediaset dopo aver detto che «sulle riforme non mi faccio ricattare da Berlusconi».

Nonostante questi segnali, il cristallo si è ugualmente rotto. E appena ieri se n’è sentito il frastuono, nel dibattito politico si è inserito un sottosegretario di solito silenzioso come il democratico Giacomelli, che nel governo ha una delega particolare, l’emittenza: «Sono dispiaciuto che si possa interrompere un clima positivo». Confalonieri conosce Giacomelli, una volta lo descrisse come «un politico pragmatico e lontano dai furori ideologici», e si disse perciò convinto della bontà della linea del governo, «improntata alla difesa delle aziende italiane, che sono un patrimonio nazionale».

Quando i suoi collaboratori gli hanno consegnato quel dispaccio di agenzia, il patron del Biscione si è chiesto se la dichiarazione fosse una casualità o un avvertimento, che ribalterebbe l’accusa sul conflitto d’interessi per venti anni addebitata a Berlusconi. «Lasciamo che la polvere si posi», si è limitato a dire, senza far capire quale risposta si fosse dato. Perché, se lo specchio si è rotto, in qualche modo il patto può ancora essere politicamente reincollato.

È Berlusconi che dovrà decidere, dopo aver urlato l’altra sera in faccia a Verdini la sua rabbia: «Mi hai portato in un vicolo cieco». No, lo portò al Nazareno, dove Renzi prima lo adulò, «qui sono circondato da milanisti», poi lo dileggiò alle spalle: «Voleva Amato, allora mi son fatto vedere con Cantone e si è messo paura che lo volessi davvero candidare al Quirinale». Un anno dopo a Berlusconi è chiaro che quel patto non era la sua «legittimazione». Era una gabbia da cui ora è difficile uscire. Infatti ha rotto lo specchio, non il patto.

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5 febbraio 2015 | 07:37

Da - http://www.corriere.it/politica/15_febbraio_05/berlusconi-renzi-rotto-patto-nazareno-a28a4bcc-acff-11e4-8190-e92306347b1b.shtml
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« Risposta #238 inserito:: Febbraio 07, 2015, 12:21:43 pm »

SETTEGIORNI

Patto in crisi, l’amarezza di Verdini «Vedo nani e ballerine fare festa»
Il diario: Renzi prepara rappresaglie e organizza le truppe come faceva Masaniello


Di Francesco Verderami

Non dovendo più scrivere i suoi report per Silvio Berlusconi, Denis Verdini si è messo a scrivere le sue memorie, che sono per ora fogli scritti a mano, sparsi sulla scrivania. Non è casuale che l’uomo della trattativa con Matteo Renzi abbia iniziato il racconto dalla fine, perché risalendo il sentiero verso la sorgente si possono meglio analizzare le vicende, le ragioni e gli errori, propri e altrui. Certo, l’autobiografia sfocia sovente nel mare dell’autoassoluzione, e lui in Forza Italia è l’imputato. Che ha scelto la scrittura per dire la sua verità.

Eccolo l’artefice del Nazareno, «è grazie a Denis, alla sua intuizione, che un anno fa siamo rientrati in gioco», aveva esordito Berlusconi all’ultimo vertice di Forza Italia, prima di dargli il benservito: «Ora però dobbiamo uscire dall’equivoco». Di equivoci nel Patto con Renzi e nella sua gestione ce n’erano stati troppi perché il leader e il suo ambasciatore potessero riassumerli nella furibonda lite della sera prima. Ed è con un riferimento a quello scontro che inizia il racconto di Verdini: «In una monarchia il re è la legge. E se il re dice “la legge sono io”, meglio aspettare che si sfoghi». Perciò il giorno seguente, quando era stato richiamato a corte, aveva disertato l’appuntamento: «Sono a un funerale». Verdini aveva perso tre volte in un colpo solo: perché era saltato il Patto, perché era stato accerchiato dal «cerchio magico», e perché - siccome in Forza Italia il leader non sbaglia mai - aveva sbagliato solo lui. Ma Verdini sentiva di aver vinto: perché il Patto non era davvero saltato, perché non aveva accettato di dimissionarsi, e perché Renzi aveva annunciato di non voler parlare con altri messaggeri dell’ex premier: «Ho fatto sapere che, se vogliono, li faccio mettere in contatto con il mio vice al partito, Lorenzo Guerini. Vadano al Nazareno a parlare con lui. Anche Berlusconi».

Per quanto messo al rogo, Verdini non sembra temere le fiamme dell’inferno politico. Almeno così c’è scritto nelle sue memorie: «Mi sento sollevato, libero da responsabilità. Osservo nani e ballerine far festa per la fine del Patto. Io sto seduto sulla riva del fiume in attesa di pescare qualche pesciolino. Come Mike Bongiorno, sto lì: busta numero uno, busta numero due e busta numero tre...». Non è dato sapere a cosa alluda con quest’ultimo concetto. Lui, che si muove tra le colonne e però tiene sulla scrivania un piccolo Vangelo rilegato in pelle rosso fuoco, spesso parla e scrive senza volersi fare decrittare. E poco più sotto, nello stesso foglio, descrive la scena del Palazzo dopo l’elezione di Sergio Mattarella al Colle: «Il Pd attende, tranquillo che (frase incomprensibile, ndr)... Fuga di grillini in massa, il comandante zero alla guida di soldatini con piedi d’argilla, la nuova leva nordista che gonfia il petto. E Renzi sulla tolda di comando che - libero da patti - addomestica la tigre comunista alla sua sinistra, prepara rappresaglie, e intanto organizza truppe come faceva Masaniello: quelli con il fazzoletto di qua, quelli senza fazzoletto di là».

La frase meriterebbe un’esegesi, specie quando rivela che Renzi starebbe preparando «rappresaglie»: Verdini si riferisce forse alle prossime norme del governo in materia di giustizia, fisco ed emittenza? Più chiaro è invece il riferimento al premier che «organizza truppe» in Parlamento. Sono i nuovi Responsabili, che oggi vengono pubblicamente lodati dalla vicesegretaria del Pd, Debora Serracchiani, la stessa che - quando i gruppi vennero organizzati per salvare Berlusconi - si espose per accusare di mercimonio politico quella teppa: «Eccoli, i Disponibili, che chiedono un piatto di lenticchie. Questo sarebbe il simbolo giusto per la loro formazione». Così va il mondo e la (doppia) morale. Verdini non se ne cura. Anzi, essendo l’inventore di quel brevetto, annota come «ora è facile copiarlo, perché la gente tiene famiglia, non vuole andare a casa, e bussa alla porta di Renzi. Ai miei tempi fu diverso».

Eppoi, quanto sta accadendo è l’effetto della sfida per il Quirinale, durante la quale il centrodestra ha commesso degli errori di cui si sente (in parte) responsabile. Il patto di consultazione con Angelino Alfano, per esempio... Scrive Verdini: «Fu una riunione tra fratelli ritrovati. Ma ci facemmo prendere dai sentimenti, perdendo il senso della ragione. Renzi lo conosco, non avrebbe permesso che il nostro desiderio si realizzasse. Infatti andò così. Ncd non poteva a quel punto uscire dal governo. Né deve farlo. Per andare dove ora? Il centrodestra è in frantumi. Salvini pensa di vincere. Non vincerà mai. Quando in Francia Le Pen andò al ballottaggio con Chirac, non ci fu partita». Più che l’analisi della situazione, o il passaggio su Renzi che «conosco» - e che evoca lo stretto rapporto di Verdini con il premier - colpisce l’afflato verso «i fratelli ritrovati», gli «amici di Ncd e Udc» con cui - prosegue nello scritto - «ci siamo detti che in prospettiva bisognerà ricostruire. Ma ci vorrà tempo e pazienza. E servirà che Berlusconi capisca cosa loro hanno spiegato, con garbo e determinazione, quando hanno posto il problema del rapporto con la Lega e il tema della leadership».

Siccome non è un testo apocrifo, sono sensazionali le rivelazioni contenute in questi fogli, dove - per la prima volta - un dirigente forzista definisce un «errore la fine del Pdl»: «La rottura fu un errore strategico, perché dividersi è significato indebolirci reciprocamente. Se non lo avessimo fatto, forse oggi non ci sarebbe stato Renzi». Così Verdini arriva alla sorgente dei mali del centrodestra, che è la rottura con il governo Letta: «Resto convinto che la crisi andasse aperta per dare un segno di solidarietà a Berlusconi, ingiustamente estromesso dal Senato. Ma la mia tesi era che dopo quindici giorni avremmo fatto un altro governo». È la sua «tesi» che cela però un’altra verità.

7 febbraio 2015 | 07:49
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_febbraio_07/patto-verdini-nani-ballerine-festa-e05aacba-ae91-11e4-99b7-9c6efa2c2dde.shtml
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« Risposta #239 inserito:: Marzo 19, 2015, 05:59:50 pm »

Berlusconi e l’insofferenza per Salvini «il populista»
Il capo di Forza Italia ora non esclude l’alleanza in Veneto con il sindaco di Verona Tosi

di Francesco Verderami

Berlusconi si è proprio rotto di questo «goleador», i cui atteggiamenti iniziano a ricordargli quelli di Balotelli, la «mela marcia» che temeva potesse rovinare l’armonia nello spogliatoio rossonero. E se da presidente del Milan ci mise del tempo prima di liberarsi del giocatore, da leader di Forza Italia sta esaurendo la pazienza verso il segretario del Carroccio, quella «testa matta» - è la sua definizione - che gioca per sé irridendo persino la squadra. Non gli va giù il modo in cui Salvini lo tratta, insomma. Così venerdì, dopo essersi sentito etichettare come un leader «del passato», ha deciso che era giunto il momento di reagire. E quando ad Arcore, durante una riunione sulle Regionali, gli hanno chiesto se l’eventuale candidatura di Tosi in Veneto fosse un’opzione da scartare, ha risposto d’istinto: «No, no. Questo asso teniamolo nel mazzo...».

È da vedere se davvero Berlusconi romperà con il segretario della Lega per allearsi con il sindaco di Verona. Sarebbe un evento clamoroso, non solo perché con Zaia - che è stato suo ministro - ha un ottimo rapporto, mentre con Tosi ci sono vecchie storie tese. Ma il problema è Salvini, la sua linea, gli atteggiamenti che proprio non gli piacciono. L’altro giorno, a pranzo con il presidente del Ppe Daul, ha fatto una tirata dopo che l’ospite gli aveva raccomandato l’unità del centrodestra alle prossime elezioni: «In Francia abbiamo perso praticamente dappertutto per questo problema». «E io mi sto impegnando», ha replicato il leader di Forza Italia: «Io dico che dobbiamo andare tutti insieme, però Salvini...». E giù una collezione di apprezzamenti: «Non mi piacciono i suoi toni arroganti, non mi piace il suo populismo, non mi piace la deriva estremista che ha fatto prendere alla Lega».

Pensava di applicare con l’uomo in felpa lo stesso metodo adottato con il ragazzo in maglietta, che trangugiò a Milanello nella speranza gli facesse gol. Ma quella è la sua squadra, questo invece è un altro partito, con un altro capo, peraltro assai diverso da Bossi. E allora, visto che Salvini continua a comportarsi come Balotelli, il presidente (di Forza Italia) ha deciso di dargli un avvertimento, strizzando l’occhio a Tosi. Di lui gli hanno parlato a tavola alcuni fedelissimi, «in Veneto ha la Chiesa che lo sostiene». Di lui ha letto venerdì una nota, nella quale il sindaco di Verona sosteneva che «se Berlusconi si candidasse alle primarie del centrodestra, le vincerebbe». Un vero e proprio controcanto a Salvini, che poche ore prima aveva liquidato l’argomento: «Berlusconi non può essere più leader».

Quella dell’ex premier sarà una mossa tattica, presto lo si capirà, perché l’idea di tenere «l’asso nel mazzo» potrebbe servire a provocare una reazione nella Lega. Soprattutto in Zaia, che da candidato in Veneto è esposto per quanto sia favorito, e che avrebbe vinto senza far nemmeno campagna elettorale se solo avesse potuto ripresentarsi con la stessa squadra di governo regionale. Non a caso Tosi, che promette di far danni nella Lega, si è espresso in quel modo verso Berlusconi. In politica nulla è fatto gratis, e c’è un motivo quindi se il sindaco di Verona ripete che «bisogna riunificare il centrodestra», se anche Alfano prova a verificare le reali intenzioni del «dottore» e gli offre una sponda: «Quando Tosi sceglierà se candidarsi, valuteremo. Certo, se Forza Italia ci stesse, potremmo condividere una candidatura in Veneto».

È chiaro che su al Nord non è in gioco (solo) una poltrona da governatore ma si sperimentano i futuri assetti di quello che fu il campo dei moderati. E il ministro Lupi esorta Berlusconi a fare ciò che sempre ha fatto: «Dalla nascita del Pdl, all’idea del governo delle larghe intese, fino al patto del Nazareno, ha avuto sempre l’intuito per costruire progetti importanti, tranne poi interromperli. La storia gli offre ora un’altra possibilità, riproponendolo davanti a un bivio: può essere protagonista di un progetto nuovo o decidere di percorrere la strada segnata da Salvini». In effetti, per una mano, Berlusconi può tenere il banco al tavolo del centrodestra. E dal mazzo per il momento non ha ordinato di scartare Tosi: «No, no. Teniamolo».

Se il leader di Forza Italia tentenna, però, non è solo a causa della sopravvenuta debolezza politica, ma anche del suo status di cittadino «perennemente inseguito dalla giustizia». L’assoluzione per il caso Ruby non gli ha dato sollievo, al di là delle apparenze: «Perché non è finita», dice. Infatti - oltre ad essere pessimista sull’esito del ricorso in Europa contro la sentenza Mediaset - è «molto preoccupato» per l’indagine Ruby-ter. Tuttavia non è pentito per aver dato più di due milioni di euro alle olgettine. Lo considera anzi un atto di responsabilità «verso ragazze che a causa di quella inchiesta hanno oggi una vita rovinata»: «Non trovano un fidanzato, non trovano un lavoro. Nemmeno mio figlio le prende a Mediaset».

«Sistemerò le cose», si è ripromesso. E in effetti ne deve sistemare tante. Dal Milan che però non vorrebbe vendere, «non lo cedo, è un patrimonio di famiglia», a un altro asset a corto di fondi e di risultati, cioè Forza Italia. Tutte cambiali in scadenza, che Berlusconi vorrebbe onorare per rilanciarsi, anche se i suoi sogni appaiono imprigionati e i suoi discorsi sembrano attorcigliarsi in un vorrei ma non posso. Vorrebbe, per esempio, un nuovo e accomodante socio per la squadra di calcio, e un nuovo logo per la coalizione che dia l’idea dell’«Unione del centrodestra», con lui ovviamente al centro. Invece è costretto a fronteggiare la realtà che nel frattempo è cambiata. Dovrà fare l’abitudine alle nuove cose, Berlusconi, anche alla riacquisita libertà: la sera ha ancora il riflesso di chi attende che i carabinieri bussino alla sua porta per il controllo.

14 marzo 2015 | 08:12
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_marzo_14/berlusconi-salvini-tosi-lega-veneto-alleanza-68b1e73c-ca16-11e4-8e70-9bb6c82f06ec.shtml
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