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Autore Discussione: FRANCESCHINI  (Letto 26151 volte)
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« inserito:: Novembre 19, 2007, 07:10:47 pm »

Franceschini: hanno puntato allo sfascio e hanno perso

Ninni Andriolo


Onorevole Franceschini, Fini dà l’ultimatum, Casini ironizza sulle firme anti Prodi, Bossi non si fida più. La “spallata” schivata dal governo farà “implodere” la leadership di Berlusconi?
«Ciò che sta accadendo è la conseguenza di un anno e mezzo in cui, anziché fare l’opposizione in modo produttivo e dedicarsi ad un riassetto del proprio campo, il centrodestra ha perso tempo nell’attesa che cadesse Prodi. Un po’ fidandosi delle parole di Berlusconi, un po’ affidandosi alla fragilità numerica della maggioranza al Senato. L’attesa spasmodica del fallimento del governo li ha fatti ritrovare, alla fine, con lo stesso schema e il clima ancor più deteriorato del giorno dopo la sconfitta elettorale. Naturale, che si scatenino tensioni»

Berlusconi ha sempre recuperato un ruolo centrale, anche questa volta sarà così?
«Non lo so. I precedenti mostrano che Fini, Casini e Bossi, a turno, hanno annunciato grandi svolte, facendo intendere più volte la conclusione dell’era Berlusconi. Alla fine, però, il leader di Forza Italia ha sempre ripreso saldamente in mano le redini».

Berlusconi oppone la piazza agli alleati. Prima parlava di partito unico, adesso di partito del popolo...
«Naturalmente ciò che sta accadendo nella Cdl riguarda anche noi. Noi pensiamo che dovrebbe prevalere il buon senso a cui tengono tutti gli italiani. È chiaro che, così com’è, il nostro sistema politico e istituzionale non funziona. Altri paesi, al di là di chi li governa, hanno meccanismi che consentono di scegliere e di decidere in fretta. Competere con loro è come correre con una palla al piede. Dovrebbe essere interesse di tutti, della maggioranza e dell’opposizione, prima fare riforme che diano efficienza al Paese, poi andare a votare. E non viceversa».

Il Pd ha già messo in campo proposte concrete...
«Abbiamo messo in campo tre livelli di modifiche delle regole. Riforme istituzionali, innanzitutto. Non più i disegni onnicomprensivi, tipo bicamerale, ma proposte mirate che cambierebbero completamente il meccanismo legislativo e decisionale. Una sola Camera che fa le leggi, Senato federale, riduzione del numero dei parlamentari, potere di nomina e di revoca dei ministri al Presidente del Consiglio».

Misure già approvate in Commissione alla Camera...
«E che si stanno votando in Aula. Il centrodestra, trascinato da Berlusconi, dopo aver detto sì in commissione, si è messo in una posizione di astensione. Tornino alla realtà. Abbiamo un’occasione concreta, dicano che sono pronti a collaborare e potremo varare insieme quelle proposte in tre giorni. Pensiamo, poi, che si debbano modificare i regolamenti parlamentari e che si debba varare al più presto una nuova legge elettorale».

Gli argomenti opposti al suo ragionamento sono stati: “non vogliamo dare alibi a Prodi per andare avanti”...
«Sarebbe interesse di tutti prima fare insieme le cose che ho detto, e poi - quando sarà - andare a votare. Se nel centrodestra prevalesse questo schema si potrebbero realizzare cose positive. Senza confusione di ruoli, naturalmente. Senza prefigurare ipotesi inesistenti tipo governo di larghe intese. Nella chiarezza delle rispettive collocazioni si può continuare a fare la maggioranza e l’opposizione al governo. Realizzando, contemporaneamente, un’intesa per cambiare le regole del gioco».

Fini, Casini e Bossi sono disponibili. Berlusconi fino a ieri mattina diceva “no”, le sue dichiarazioni del tardo pomeriggio aprono qualche spiraglio?
«I precedenti spingono sempre ad aspettare qualche giorno dopo le affermazioni di Berlusconi. E questo per capire se si tratti di battute o di scelte politiche. Crediamo sia utile fare così anche questa volta»

Nell’eventualità che il Cavaliere continui a mettersi di traverso andrete avanti senza di lui?
«I temi di cui ho parlato richiedono l’accordo più ampio possibile. Siamo andati in piazza quando la Cdl si è approvata da sola la legge elettorale che molti vorrebbero modificare. Non possiamo adottare oggi lo stesso metodo seguito ieri dal Centrodestra. Per noi vale il principio che le regole non le cambia uno dei due giocatori. Questo, però, non significa dichiarare che senza unanimità non si può fare nulla. Se fosse così chiunque potrebbe far valere un potere di veto che renderebbe impraticabile qualunque cambiamento».

Accordo con settori della Cdl e non con tutto il Centrodestra, quindi?
«Sulle regole non abbiamo alcun interesse a dividere la Cdl. È logico che lavoreremo per un’intesa che coinvolga tutti. Qualora solo una parte significativa dell’opposizione dovesse accogliere il nostro appello per le riforme, riterremmo la condizione più che sufficiente per andare avanti».

La proposta Vassallo-Ceccanti incontra perplessità nello stesso centrosinistra. Andrete avanti ugualmente?
«Quella proposta risponde all’idea di un proporzionale che riduce drasticamente la frammentazione del sistema politico, ma non costituisce assolutamente un prendere o lasciare. È chiaro che serve un confronto approfondito. Prima dentro la maggioranza, poi con l’opposizione. Parliamo di un’offerta che risponde ai principi che tutti si dicono disposti a sottoscrivere: stabilità, semplificazione, ricostruzione di un rapporto diretto tra eletto ed elettore. Le riforme istituzionali potrebbero essere votate dalla Camera prima di Natale. Da gennaio, poi - a quel punto si conoscerà l’ammissibilità o meno del referendum - avremo una finestra temporale di due mesi, utile per varare una buona legge elettorale in modo trasparente. Vedremo in Parlamento se ci sarà questa disponibilità».

Lei è il vicesegretario del Partito democratico. A dispetto di certe previsioni, il governo non ha risentito negativamente dell’effetto primarie e della nascita del Pd...
«La risposta l’hanno data i fatti: non c’è stato alcun indebolimento del governo. Si vede chiaramente che l’azione quotidiana di Veltroni, e di tutti noi, punta a dare stabilità a questa coalizione e, contemporaneamente, a qualificare l’azione di governo. Ognuno fa la sua parte. Chi è alla guida dell’esecutivo, o ha responsabilità ministeriale, deve lavorare per trovare la sintesi. I partiti, nel contempo, possono mettere in campo qualche proposta più avanzata che possa consentire quella sintesi. Il Pd non è nato per governare solo al meglio il presente. La domanda dei nostri elettori è quella di cambiare il centrosinistra e l’agenda delle priorità, dando, contemporaneamente, stabilità all’esecutivo»

Stabilità messa a rischio da Dini, non crede?
«Dini ha detto cose in parte anche condivisibili sui contenuti. In una coalizione così larga è naturale che ci sia una componente più a sinistra e ce ne sia una che si colloca più al centro. C’è spazio, quindi, per la posizione che Dini ha scelto di assumere. Che è una di quelle che concorrono a definire la linea della coalizione».

Dini non lascerà la maggioranza, quindi?
«Questo non avverrà. I retroscena che immaginano altri li lascio alle speranze spesso deluse di Berlusconi».

Che bilancio trae dai primi passi del Pd?
«Il Pd sta correndo. E va detto che tra le tante cose inedite c’è la velocità. In pochi giorni si è costruita una segreteria molto giovane, molto mescolata, formata da donne più che da uomini. È stato messo in campo un coordinamento con funzioni di indirizzo politico. Da sabato nelle diverse provincie italiane non ci saranno più i segretari politici Ds e Margherita, perché saranno eletti contemporaneamente i 110 coordinatori provinciali del Pd. Entro Natale si chiameranno alle urne gli elettori delle primarie per eleggere gli organismi dirigenti territoriali. Stiamo lavorando perché entro l’anno nascano i gruppi unici in tutta Italia. Le commissioni si sono già insediate e chiuderanno i lavori entro il 31 gennaio, in modo che a febbraio possa tornare a riunirsi la Costituente per approvare statuto, codice etico e carta dei valori»

Questa “velocità”, però, suscita critiche...
«Era prevedibile qualche timore per un meccanismo troppo veloce che fa saltare certi equilibri. Bisogna ricordare a tutti, però, che i tre milioni e mezzo delle primarie ci hanno dato credito perché si cambi veramente. Per questo il processo deve andare avanti spedito, con il suo carico di idee e di innovazione. Spero che dalla commissione per lo statuto esca un meccanismo nuovo. Non possiamo riportare pigramente nel Pd le stesse forme organizzative dei partiti di provenienza».

Partito “liquido” o strutturato nel territorio con sedi e tesserati?
«Dobbiamo avere la capacità di radicare il Pd nel territorio. E di mescolare la militanza, che è una cosa preziosa, con altre forme di partecipazione. Le grandi scelte non possono essere compiute solo da chi milita. Si dovrà individuare un meccanismo di apertura che consenta a decine di migliaia di persone - che si sentono parte di un processo ma non vogliono impegnarsi politicamente a tempo pieno - di esprimersi pienamente. Come è accaduto alle primarie».


Pubblicato il: 19.11.07
Modificato il: 19.11.07 alle ore 8.52   
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 14, 2008, 12:20:27 am »

POLITICA

Il Cavaliere chiude a qualsiasi possibilità di allargare la discussione al ddl Gentiloni

Poi boccia il modello tedesco: "Sarebbe un ritorno indietro al passato"

Riforma elettorale, stop di Berlusconi "Non dialogo con chi vuole la legge tv"

Pdci: "Visione 'commerciale' della politica. Subito la legge sul conflitto di interessi"

Franceschini: "Nessuno scambio con le cose che ci siamo impegnati a fare per il Paese""

 
ROCCARASO - Massima apertura al confronto sulla legge elettorale, ma chiusura netta se il campo viene esteso anche a provvedimenti come il ddl Gentiloni sul riassetto del sistema radiotelevisivo. Silvio Berlusconi torna a farsi sentire con la base del partito e detta le condizioni per le riforme. In collegamento telefonico con Roccaraso, il Cavaliere afferma: "Non potremmo trattare con forze politiche che mettessero in atto una decisione criminale come il disegno Gentiloni. Non ci sarebbe alcuna possibilità di dialogo - rimarca - con chi agisse in questo modo". E se An parla di "intervento positivo" e Fini ritiene "opportuno approfondire la questione", frena la sinistra estrema: "Come si fa a fare accordi sulla legge elettorale con chi ha una visione 'commerciale' della politica? - si domanda il Pdci - servono fatti concreti, subito la legge sul conflitto di interessi". Dello stesso tenore il vicesegretario del Pd Enrico Franceschini: "Non ci può essere nessuno scambio fra le cose che ci siamo impeghnati a fare per il Paese e il dialogo sulla legge elettorale".

Berlusconi: "Eliminare frazionamento". La proposta sulla legge elettorale, osserva il leader di Fi, "deve eliminare il frazionamento eccessivo che rende impossibile governare, espone i grandi partiti ai ricatti delle ali estreme e ci rende ridicoli agli occhi del mondo". Per questo "il sistema tedesco non va bene, sarebbe un ritorno al passato, verrebbe sottratta ai cittadini la possibilità di scegliere premier e governo". La governabilità "è cosa necessaria, lo sbarramento più elevato è, meglio è: il 5% è il minimo che si deve avere".

Ideale il modello francese. Berlusconi ribadisce che dal suo punto di vista il "porcellum" di Calderoli, con qualche piccolo ritocco, potrebbe andare benissimo, mentre a questo punto il traguardo ideale resta il modello francese. "Sono d'accordo con Veltroni, ha dato buoni risultati. Per fare in Italia quello che Sarkozy ha fatto in Francia in poco tempo ci vorrebbero 2-3 anni. Ci vuole un solo turno, una sola scheda, un solo voto. Speriamo che si trovi l'accordo".

"Dialogo con centrosinistra, la legge, poi al voto". Per Berlusconi le "difficoltà" della situazione italiana sono tali da rendere "assolutamente" necessario un dialogo con il centrosinistra. "Noi lo stiamo facendo - insiste - dopo la legge bisognerà andare al voto per dare un governo condiviso dalla maggioranza del Paese. E' assurdo che un esecutivo con il 17-21% dei consensi continui a governare. Se fosse capitato a me, sarei salito da tempo al Quirinale per dare le dimissioni".

Fini: "Intervento positivo". Parla di "intervento doppiamente positivo" Gianfranco Fini, "per la sua contrarietà al sistema elettorale tedesco e per il ribadito sì al sistema elettorale francese, da sempre scelta privilegiata di An. "Poiché nella bozza Bianco il diavolo è nei dettagli - aggiunge il leader di An - che poi tanto dettagli non sono, è comunque opportuno approfondire la questione della legge elettorale. Per quanto riguarda An, è doveroso farlo in uno spirito che salvaguardia il bipolarismo e l'unità della coalizione di centrodestra".

Franceschini: "Non si fanno scambi". Il vicesegretario del Pd parla chiaro: "Non ci può essere nessuno scambio tra le cose che ci siamo impegnati a fare per il Paese", tra cui la Gentiloni, "e il dialogo sulla legge elettorale". Franceschini ricorda che "abbiamo spiegato l'esigenza di mantenere due piani distinti, quello delle riforme e delle regole, sul quale servono dialogo e intesa con l'opposizione, e quello dell'azione di governo, su cui sarebbero proseguiti il confronto e lo scontro tra maggioranza e opposizione. Per questo continueremo, mentre dialoghiamo sulle regole, a impegnarci per attuare il programma di governo che, com'è noto, prevede la riforma Gentiloni".

Pdci: "Subito legge conflitto interessi". In una nota, il capogruppo del Pdci alla Camera, Pino Sgobio, invoca una "risposta con fatti concreti" alle parole di Berlusconi, "non con accordicchi di basso profilo, o inciuci". E sottolinea la necessità di "fare subito ciò che si è promesso agli elettori: il conflitto di interessi, punto fondamentale del programma dell'Unione, non attuarlo sarebbe tradire un impegno solenne".

(13 gennaio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 14, 2008, 02:19:52 pm »

I VELTRONIANI E LE MINACCE ALL'INTESA

Un pomeriggio pieno di sospetti

Atto finale? No. Veltroni:«Ultimo miglio sarà accidentato ma io ci credo ancora»


In casa Veltroni la gelata di Roccaraso arriva alle due del pomeriggio, con il leader del Pd a tavola in famiglia. Lo chiama il portavoce, Roberto Roscani: «Hai saputo, Walter? Berlusconi ha detto che non tratta con chi vuole quella legge criminale che è la Gentiloni...». No che non sapeva, il segretario. Solo 24 ore prima dichiarava al Corriere di sentirsi «a un passo da una soluzione positiva». Seguono minuti di autentico sgomento, Veltroni telefona all'uomo chiave del dialogo col Cavaliere ma il cellulare di Goffredo Bettini è spento, chiama allora Dario Franceschini e la diplomazia del loft si mette in moto. Possibile che il Cavaliere abbia voluto stoppare il dialogo sulle ri forme, alla vigilia del vertice di governo? Mentre pensieri maliziosi viaggiano veloci dal Campidoglio all'indirizzo di Palazzo Chigi — dove alberga un premier determinato ad approvare non solo la Gentiloni, ma anche il conflitto di interessi — nello staff del leader i fedelissimi si dividono i compiti. Chi chiama i giornalisti a Roccaraso per farsi raccontare come è andata e chi sonda collaboratori dell'ex premier. Finché Franceschini, numero due del Pd, trova al telefono il capogruppo azzurro Elio Vito: «Coi ricatti non andiamo lontano, come pensate che possiamo barattare la legge elettorale con la Gentiloni?». Il resto lo fa Bettini. Rintraccia l'amico Gianni Letta e chiede garanzie sulla tenuta dell'accordo tra Walter e Silvio. «Si va avanti», rimette in moto il treno delle riforme il plenipotenziario di Berlusconi. Ma i veltroniani sono guardinghi. Bisogna alzare i toni, è la linea dell'emergenza, convincere alleati e avversari che il Pd non sta trattando sottobanco con l'opposizione. Ed è Franceschini a scandire l'altolà: «Non ci può essere nessuno scambio tra le cose che ci siamo impegnati a fare per il Paese e il dialogo sulla legge elettorale ». Veltroni, insomma, ha capito che il suo interlocutore «ci sta provando », come si dice a Roma, sospetta che minacciare l'abbandono del campo sia un modo, magari un po' troppo smaccato, per imporre un limite al dosaggio proporzionalista della bozza Bianco che domani andrà al voto in commissione. E dunque si impunta, manda a dire che «se Berlusconi si sfila dovrà assumersi le sue responsabilità, davanti al Paese e davanti a Napolitano » e poi, per voce di Franceschini e Bettini, chiede e ottiene una «prova di fedeltà». Prova che alle cinque si concretizza nella formale correzione di rotta di Paolo Bonaiuti.

 VELTRONI SPERA ANCORA - Ma ormai l'aria è cambiata, i vertici del Pd non si fidano più. «È già qualche giorno che Berlusconi fa circolare i suoi dubbi sulla bozza Bianco...» annota segnali negativi Federica Mogherini, responsabile Istituzioni in esecutivo. Anche Marco Follini si è convinto che l'ex premier abbia «innescato la marcia indietro» e nel volgere di un paio d'ore l'ottimismo nei dintorni del loft scende bruscamente a livelli di allarme. Eppure Veltroni non vuol mostrare cedimenti. «L'ultimo miglio sarà accidentato, ma io ci credo ancora — confida ai suoi —, l'accordo si può ancora trovare». Una scintilla di speranza che Enrico Morando non si rassegna a spegnere: «Berlusconi ha fatto solo una mossa tattica, perché ha bisogno della legge elettorale almeno quanto noi». Sarà. Ma Beppe Fioroni non ci crede. Il ministro si è fatto l'idea che Berlusconi stia girando «il solito film», visto come andò con la Bicamerale: «Quando iniziò speravamo che il Cavaliere non si sarebbe fermato all'antipasto, con D'Alema arrivammo alla crostata, ma poi Silvio fece saltare tutto... ». La strategia del leader azzurro, così almeno la vede Fioroni, è chiara: insinuare il sospetto del «grande inciucio » e mettere Veltroni contro Prodi, ma questa volta, ammonisce il ministro, «la patente di inaffidabile non gliela leva nessuno». Dentro il Pd, però, c'è anche chi ha letto con sollievo le parole minacciose del Cavaliere. «Berlusconi ha ragione, un modello come il tedesco non si può fare — spera nel naufragio il professore Augusto Barbera —. Walter dovrebbe convincersi che sarebbe molto meglio andare al referendum». E chissà che il Veltroni, nel segreto del suo animo, non ne sia già convinto.

Monica Guerzoni
14 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 14, 2008, 02:42:46 pm »

Ermete Realacci: «Non tratteremo mai sulla legge Gentiloni»

Andrea Carugati

«Preferiamo dar credito alla smentita di Paolo Bonaiuti». Ermete Realacci, responsabile comunicazione del Pd, non insegue Silvio Berlusconi sul terreno del diktat di Roccaraso. «Se fanno la riforma tv niente più dialogo sulla riforma elettorale», tuona il Cavaliere. Risponde Realacci: «Ho visto che Bonaiuti ha corretto il tiro. Ma è evidente che per noi è inaccettabile ogni legame tra l’avvio di un leale confronto sulla riforma elettorale e il blocco dei ddl del governo sulle tv, che per noi sono importanti. Ricordo però che finora il ddl Gentiloni non è andato avanti non solo per l’opposizione del centrodestra, ma anche per una certa rilassatezza da parte della maggioranza».

Dunque il diktat di Roccaraso potrebbe provocare uno scatto d’orgoglio del centrosinistra sulle tv?

«In realtà temo che qualcuno nella maggioranza possa giocare su questa vicenda per far saltare l’accordo elettorale, e anche questo sarebbe inaccettabile. Noto, ad esempio, un certo entusiasmo di Mastella sul ddl Gentiloni che prima non si era visto. Sono contento che si appassioni di riforma tv, ma mi pare che questo atteggiamento sia molto legato a un ragionamento sulla legge elettorale. Per quanto riguarda il Pd, vogliamo che il Parlamento continui a lavorare sulla riforma tv che riteniamo molto importante».

Bonaiuti ha smentito, ma le parole del Cavaliere sono state pronunciate ieri in un contesto pubblico e trasmesse dai tg...

«È un classico, e non è la prima volta che accade. Ma mi auguro che stavolta sia più attendibile la smentita».

Se Berlusconi insiste, voi cosa fate?

«Rispondiamo che è un atteggiamento inaccettabile, al pari di chi dice che fa saltare il governo se non gli piace la riforma elettorale. Sono terreni diversi, che devono restare separati. Ma sulla legge elettorale continuiamo a ritenere giusto dialogare anche con l’opposizione. Berlusconi deve sapere che i ddl sulle tv non saranno mai oggetto di trattativa su un altro tavolo: i ddl sulle tv sono in Parlamento, lì ci si può confrontare e magari anche migliorarli».

Ripeto, se Berlusconi insiste col diktat?

«Se interrompe la trattativa, si assumerà la responsabilità di non dare al Paese una buona legge elettorale. Noi siamo per un confronto leale e trasparente su questo tema: non ci sono clausole occulte, o accordi segreti».

E fare la riforma elettorale senza Berlusconi?

«Mi sembra difficile. Noi restiamo coerenti con quanto abbiamo sempre sostenuto e con quanto dice il presidente della Repubblica: le regole del gioco si decidono insieme. Al Paese serve una nuova legge elettorale che lo renda meno frammentato. Ma questo non può interferire nè con altri terreni di riforma, come le tv, nè sulla tenuta del governo. È un messaggio che vale per Berlusconi ma anche per i nostri alleati».

Pubblicato il: 14.01.08
Modificato il: 14.01.08 alle ore 8.37   
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 14, 2008, 02:44:19 pm »

Un altolà prevedibile che rende più vicino il voto referendario


Prima o poi l’altolà berlusconiano doveva arrivare. In fondo, l’aveva previsto lo stesso Walter Veltroni. L’altro giorno, alla fine della riunione di Palazzo Chigi con il resto dell’Unione, il segretario del Pd aveva accolto con un velo di disappunto l’insistenza del governo sulla legge Gentiloni che dovrebbe riformare il sistema radiotelevisivo. Sapeva che poteva costituire l’ostacolo più ingombrante ad un accordo sulla riforma elettorale con Silvio Berlusconi. E ritenendo che Romano Prodi ne fosse altrettanto consapevole, confidava di vederlo, se non accantonato, additato con minore perentorietà.
Adesso, però, di fatto, sta diventando una priorità: non perché sia decisione delle prossime ore, ma come argomento polemico che potrebbe allontanare di nuovo l’intesa fra il Pd e il Cavaliere. Una parte dell’Unione vuole discuterne già oggi nel vertice con Romano Prodi. Le parole con le quali ieri il leader di FI ha parlato dell’argomento non lasciano margini di dubbio. Anzi, nella loro durezza i maliziosi tendono a indovinare il calcolo di Berlusconi, di chiedere quello che sa di non essere in grado di ottenere; e dunque una strada di riserva per sottrarsi all’accordo sul nuovo sistema di voto. Definire, come ha fatto il Cavaliere, «decisione criminale » la legge Gentiloni, significa pretendere da Veltroni una scelta di campo a favore del dialogo che lo metterebbe in rotta di collisione con gran parte dell’Unione; e in primo luogo col presidente del Consiglio.

E infatti il vicesegretario del Pd, Dario Franceschini, respinge l’ultimatum. Eppure, appare difficile che FI accetti di chiudere una trattativa equivalente ad un probabile rinvio delle elezioni, senza ottenere qualcosa di corposo in cambio.

Dunque, la mano a Veltroni è ancora tesa e, apparentemente, fiduciosa. Ma «non è possibile volere un accordo col centrodestra e colpirne il leader», avverte la voce di Berlusconi nel partito, Sandro Bondi. Per FI parole come «Gentiloni» e «conflitto di interessi» sono parolacce; di più, provocazioni. Rappresentano un tabù invalicabile; e l’arma impropria agitata dal governo ogni volta che si avvicinano le posizioni fra maggioranza e opposizione. Bisogna riconoscere che finora l’argomento è stato sollevato o rimesso nel cassetto a seconda delle circostanze, ma mai risolto dal centrosinistra. Dice molto la determinazione con la quale lo ripropongono i partiti minori dell’Unione, attaccando il rischio di «uno scambio sottobanco» e invitando Veltroni a rifiutarlo.

La riforma del sistema tv e il conflitto di interessi sono l’ultima trincea per bloccare una legge elettorale odiata da una parte dell’estrema sinistra e dai centristi dell’Udc quasi quanto il referendum: ritengono infatti che ne vada della propria sopravvivenza. Ma si accentua l’immagine di un’Unione divisa: con Palazzo Chigi in posizione d’attesa, ma preoccupato dall’effetto destabilizzante che un patto Pd-FI-Rifondazione-Udc potrebbe avere sul governo. Non a caso, Berlusconi ripete la propria disponibilità a Veltroni; e in parallelo aggiunge che però dipende dalla capacità del segretario del Pd di «mettere d’accordo i suoi». Una terza ragione che indebolisce la trattativa riguarda i due principali contraenti: entrambi considerano l’ipotesi d’accordo una soluzione transitoria rispetto ad un ideale maggioritario ritenuto irraggiungibile. Su questo sfondo, si spiegano meglio le parole di protagonisti e comprimari.

Si capisce perché ministri come Arturo Parisi e Rosy Bindi chiedano di privilegiare l’azione di governo sulla riforma elettorale; e ripropongano tutti i propri dubbi sull’opportunità stessa di discutere le riforme istituzionali col Cavaliere.

Il berlusconiano Paolo Bonaiuti ritiene che si sta esagerando; che quanto sta succedendo dipende solo dalla voglia prodiana di affossare l’intesa. Eppure, nel centrosinistra nessuno può negare che il baratto fra un accordo e la Gentiloni rappresenta una proposta indecente, da respingere al mittente: almeno nei termini in cui il leader del centrodestra l’ha avanzata. Può darsi che dopo la sentenza della Corte costituzionale sul referendum elettorale, prevista fra pochi giorni, si torni a discutere. Ma sarebbe ingenuo ignorare la zavorra pesantissima dei minuetti inconcludenti e dei veti incrociati di queste settimane.

Massimo Franco
14 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Gennaio 21, 2008, 06:20:46 pm »

L'intervista

Franceschini: stupito dai «piccoli».

Sono loro che minacciano il governo

Il numero due del Pd: sosteniamo con la massima lealtà l 'esecutivo. Gli italiani vogliono due grandi partiti

 
ROMA — Dario Franceschini, ma allora davvero vi presenterete da soli alle prossime elezioni?
Il vicesegretario del Partito democratico non ha esitazioni: «Mi stupisce la reazione di chi ha giudicato improvviso e inaspettato, quasi un tradimento, l'annuncio di Veltroni: è sin dall'inizio che abbiamo detto a tutti con chiarezza due cose: da una parte che avremmo continuato a sostenere con la massima lealtà il governo, dall'altra che il Pd è un partito a vocazione maggioritaria».

E allora, come risponde alle proteste delle formazioni minori?
«È paradossale dire che la nascita del Pd o la scelta di presentarsi da soli mettano a rischio la maggioranza, quando molti di quelli che lo affermano non fanno che ripetere da sempre lo stesso ritornello: "O ci ascoltate o facciamo cadere il governo". C'è mai stato un esponente del Partito democratico che ha mai detto questo? Ed è un delitto dire che in futuro dovranno esserci coalizioni meno eterogenee, quindi in grado di governare?»

Veltroni l'ha presntata comunque come una notizia di rilievo. E a fare muro è stata anche l'area del partito che fa capo a Rosy Bindi e Arturo Parisi.
«Non mi scandalizzo. È normale che ci sia dibattito interno in un partito che rappresenta circa un terzo degli italiani. Ma i tre milioni che hanno votato Veltroni alle primarie hanno chiesto un forte impegno a cambiare. Vogliamo aprire una nuova fase del bipolarismo chiudendo quella in cui le alleanze si facevano solo contro qualcuno con il risultato di coalizioni troppo frammentate. E comunque, a mio giudizio, il problema è soprattutto uno».

Quale?
«Appare ormai chiaro che gli italiani hanno voglia di due grandi partiti: uno democratico e uno conservatore, in concorrenza aperta su due programmi diversi e distinti. Poi, se non raggiungono la maggioranza, ovviamente decidono con chi allearsi». Ha ragione quindi chi dice che volete le «mani libere»? «Oltre al Partito democratico ci saranno altre forze che riusciranno a superare la soglia di sbarramento. Ad esempio la Cosa Rossa, quando nascerà. Dato che non possiamo fare patti con le forze del centrodestra, loro potranno essere nostri alleati. Però solo in presenza di una condivisione programmatica vera, chiara e pulita».

Guarderete cioè più a sinistra che al centro?
«Più che alle sigle guarderemo a tutti gli italiani, quindi anche al centro, inteso come quegli elettori moderati che aspettano da tempo una politica del fare connotata dal buon senso e dalla concretezza. Intanto però lavoriamo sulla riforma elettorale ».

Non ci sono troppi veti sulla bozza Bianco che in questi giorni dovrebbe essere votata in commissione al Senato?
«Ci stiamo impegnando per un'intesa più larga e bipartisan possibile: è per questo che abbiamo insistito sulla necessità di dialogare anche con Silvio Berlusconi. Noi, come si sa, avremmo preferito il sistema francese a doppio turno, con elezione diretta del presidente della Repubblica, ma dato che non è possibile stiamo lavorando sulla bozza Bianco. Fra pochi giorni si vedrà comunque chi vuole fare veramente la riforma e chi invece preferisce bloccarla».

Altrimenti ci sarà il referendum, che molti sembrano avere già messo nel conto, a partire dallo stesso Veltroni.
«Puntiamo a fare la legge perché il referendum non risolve le difficoltà nate con l'attuale legge elettorale ».

Ma se non ci si riuscirà e vinceranno i «sì» al referendum, il partito più forte potrà governare anche solo con il 30 per cento, grazie al premio di maggioranza.
«Per questo stiamo lavorando ad un compromesso. Ma una cosa deve essere chiara a tutti, a partire da chi protesta un giorno sì e uno no: non accetteremo mai di abbassare la soglia minima di sbarramento, fissata al 5 per cento. Altrimenti avremmo perso la nostra battaglia contro la frammentazione e la difficoltà a governare. Ci batteremo inoltre per il cambiamento dei regolamenti parlamentari. Perché, soprattutto, non sia possibile creare gruppi parlamentari diversi da quelli che vengono determinati dal voto popolare».

Non teme la settimana «terribile » che attende il governo, a partire dal voto di solidarietà a Mastella richiesto dall'Udeur alla Camera?
«Per quanto riguarda Clemente Mastella ho già espresso nell'aula di Montecitorio la solidarietà umana e politica del Partito democratico. E martedì non mancherà certamente alla Camera il sostegno alla relazione sulla giustizia che sarà presentata dal ministro ad interim Romano Prodi».

E mercoledì a Palazzo Madama, quando verrà discussa e votata la mozione di sfiducia al ministro Pecoraro Scanio, con Dini che ha già annunciato il suo «sì»?
«Sui rifiuti in Campania credo che prima si debba risolvere il problema, poi guardare alle responsabilità. Ma a Lamberto Dini chiedo di ripensarci: se vuole davvero rappresentare quella parte dell'elettorato moderato di cui parla non dovrebbe desiderare di consegnare il Paese alla crisi».

Roberto Zuccolini
21 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #6 inserito:: Ottobre 11, 2008, 06:02:56 pm »

Franceschini: il premier si rassegni, in piazza un’opposizione forte e civile

Eduardo Di Blasi


Dario Franceschini, vice segretario del Pd, sgombera il campo: la crisi economica in atto non cambierà la piattaforma della manifestazione del 25 ottobre.

E spiega che la risposta alla natura della manifestazione di piazza è nel dna stesso del Pd. «Il fatto che in Italia sia tornato un grande partito che non ha l’incubo quotidiano della visibilità per la sopravvivenza, dello 0,1% in più o in meno nei sondaggi, consente di fare un’opposizione moderna che contrasti con tutta la determinazione necessaria in Parlamento e in piazza le scelte del governo che ritiene sbagliate, e, che contemporaneamente non abbia timori di fare la propria parte in un momento di emergenza». Indica l’America: «Mi pare che Obama e McCain se le stiano dando. Poi si sono seduti di fianco a Bush di fronte al tema emergenza finanziaria e nessuno ha gridato allo scandalo...».

Però, a differenza di Bush, quando il Pd ha teso la mano all’esecutivo ha ottenuto per risposta un «me ne frego»...
«In Berlusconi c’è l’assoluta insofferenza verso le regole di un sistema democratico moderno. L’idea di fondo che lo muove è: “Avendo vinto le elezioni, non sono chiamato a governare il Paese per una legislatura ma divento padrone delle istituzioni”. E tutto ciò che ostacola questo suo “diritto” viene vissuto come un fastidio. È un fastidio il Parlamento, sono un fastidio le regole, è un fastidio l’opposizione...».

Ed è un fastidio anche la piazza...
«È un fastidio in generale un’azione dell’opposizione. Però se ne faccia una ragione. Così come abbiamo fatto sull’Alitalia, anche di fronte alla drammatica situazione finanziaria abbiamo messo in campo idee propositive. Negli altri Paesi chi governa dice “grazie” del contributo delle opposizioni. Qui c’è solo una reazione irritata, fatta di insulti. Ragione di più per andare avanti su questa strada. Chi pensa ad un modello di opposizione solo gridato dovrebbe porsi la domanda se non sia proprio quello che vuole Berlusconi...».

Oggi sarà in piazza anche un’altra opposizione al Cavaliere. Diliberto la chiama «la vera opposizione».
«Scelta legittima quella di scendere in piazza. Siamo tutti dalla stessa parte. E troverei molto più utile, anche se con modalità diverse, concentrare l’azione nel contrastare le politiche sciagurate del governo piuttosto che fare una gara a chi è più bravo tra le forze di opposizione».

Quale sarà invece il segno della manifestazione del 25 ottobre?
«Una piazza civile ma forte, piena, è un segnale importante. È innegabile che la manifestazione partecipata che l’allora Cdl mise in campo nel 2006, fece capire che dopo la prima finanziaria si era incrinato qualcosa tra governo e opinione pubblica».

Nel vostro campo troverete la stessa risposta?
«La destra è riuscita a creare una specie di doppio registro, un piano è quello delle cose che fa, l’altro di quelle che annuncia o nasconde.
Naturalmente chi è stato toccato da uno dei provvedimenti sbagliati di questi mesi, vediamo la scuola, è in uno stato di mobilitazione. Ma tutto questo non si è ancora trasformato, grazie al secondo livello, alla manipolazione comunicativa, in una reazione sociale. Ci sono tanti segmenti di società profondamente arrabbiati. La manifestazione del 25 li metterà assieme scoprendo questo gioco del doppio registro. Per questo la manifestazione è promossa dal Pd, ma noi non chiediamo che vengano in piazza solo i nostri militanti. La nostra è una manifestazione che nella sua natura resta assolutamente aperta a tutti coloro che volessero aderire...».

Alcuni dicono che l’idea è partita troppo presto...
«Forse c’è qualcuno che pensa che organizzare una grande manifestazione si possa decidere il lunedì per il venerdì. In più non abbiamo deciso il 14 aprile ma solo dopo aver visto i primi provvedimenti del governo. I mesi che sono passati hanno aggravato quella situazione. Adesso tutti dobbiamo rimboccarci le maniche. La riuscita di quella manifestazione sarà molto importante non solo per il Pd, ma anche perché il governo capisca che ha di fronte una parte fortissima del Paese che non starà lì ad assistere».

Pubblicato il: 11.10.08
Modificato il: 11.10.08 alle ore 8.36   
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« Risposta #7 inserito:: Febbraio 07, 2009, 10:41:15 pm »

«Furore ideologico. Gli esiti saranno drammatici»

di Simone Collini


«Sono dominati dal furore ideologico e se ne fregano delle conseguenze drammatiche delle loro scelte». Dario Franceschini è persona solitamente pacata e attenta a controllare il linguaggio. Questa volta no. Di fronte a questa «mancanza di rispetto nei confronti dei più elementari diritti umani» il controllo salta. Complice anche la visita al centro di permanenza di Lampedusa fatta dieci giorni fa dal vicesegretario del Pd.

Le politiche sull’immigrazione della destra la sorprendono?
«È comprensibile che si governi da una posizione di destra, ma loro pensano solo a impugnare una bandiera per costruirsi un’identità e trascurano il danno pazzesco provocato dalle loro decisioni».

Si riferisce al Ddl Sicurezza approvato dal Senato?
«Anche, ma prima già avevano dimostrato tutto il loro furore ideologico dicendo che gli immigrati clandestini verranno rimpatriati direttamente da Lampedusa».

Perché?
«Perché si tratta di una scelta simbolico-ideologica in parte contraddetta dai fatti, perché dei 1800 che erano presenti quando sono andato io 700 sono stati trasferiti in altri centri in Italia, e che comunque non tiene conto delle condizioni degli abitanti dell’isola e di quei poveri disperati che arrivano. L’unica cosa che interessa questo governo è che passi il messaggio che i clandestini non potranno neanche mettere piede sul suolo patrio».

Perché mette in relazione Lampedusa con la cancellazione del divieto per i medici di denunciare i clandestini?
«Perché anche in questo caso c’è il furore ideologico di costruire simboli, disinteressandosi degli effetti pratici. Siamo di fronte alla violazione di tutti i codici deontologici dei medici, visto che questo provvedimento li spinge a fare i delatori. E poi sono evidenti le possibili conseguenze drammatiche di questa norma, per persone costrette a scegliere per loro o per un proprio parente tra la possibilità di essere curate e il rischio di essere denunciati. Questo non è rispetto per la dignità umana».

E voi, in tutto questo?
«Sull’immigrazione il centrosinistra ha commesso degli errori, perché anziché avere il coraggio di dire che la società di questo secolo sarà inesorabilmente multietnica e che questo è anche un bene perché diventiamo una società più giovane, più vivace, meno chiusa, impaurita e destinata inevitabilmente a tramontare, ci siamo limitati ad aggiungere un po’ di buonsenso mentre la destra cavalcava la paura. Ora il Pd deve avere il coraggio di invertire la linea».

Ci sono tutti i presupposti per perdere ulteriormente consensi...
«Arriva un punto in cui devi chiederti se vuoi mantenere i consensi o fare le cose giuste, anche se nell’immediato rischi l’incomprensione. Noi dovremo essere bravi a spiegare che dentro il termine “immigrazione” sono presenti tre piani. Per essere credibili noi dovremo dimostrare massima durezza nei confronti del primo piano, cioè la criminalità legata all’immigrazione clandestina, rispetto per il diritto delle persone che arrivano clandestinamente anche nel momento in cui si contrasta il fenomeno e, terzo piano, sottolineare gli aspetti positivi dell’immigrazione regolare».

Piuttosto complicato, è più facile cavalcare la paura...
«O siamo capaci di ricostruire un tessuto di valori in questo paese, o la partita è persa per molto tempo, non soltanto per una legislatura. Se offri una proposta alternativa puoi perdere nell’immediato ma nel lungo periodo puoi riuscire ad attrarre consensi. Se offri soltanto correttivi al modello altrui, ad attrarre sarà sempre l’originale».

scollini@unita.it

06 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #8 inserito:: Febbraio 19, 2009, 11:50:53 am »

GLI SCENARI

Il «reggente» e i dubbi dei veltroniani

Franceschini a Bettini: non posso dirti se farò le primarie.

Il sospetto di un asse con Bersani
 
 
ROMA - Quella frase Veltroni l'aveva scritta negli appunti che aveva preparato per la conferenza stampa di ieri. Suonava così: «Se non mi fossi dimesso una parte del partito avrebbe remato contro per farci perdere». Parole dure, che, però, alla fine ha preferito non pronunciare: «Non sarebbe nel mio stile». Parole dure che qualcuno dei fedelissimi ricorda quando vede il nemico numero uno di Soru, il senatore pd Antonello Cabras, che, per dirla con il sottosegretario alla Difesa Giuseppe Cossiga, «cammina tre metri sopra da terra» in Transatlantico, e sorride parlando del disastro sardo. Ma Veltroni è fatto così. Ha preferito lasciare dietro di sé una serie di «non detti». E ora si acconcia davvero a fare il deputato semplice: oggi sarà alla Camera per partecipare diligentemente alle votazioni e sabato con tutta probabilità diserterà l'assemblea costituente del «suo» (?) partito.

Del resto lo ha detto lui stesso: «Forse sono più uomo di governo e delle istituzioni che uomo di partito». Eppure Veltroni non scompare del tutto di scena. Martedì è stato per lui il giorno della commozione e anche del pianto (lacrime non viste da molti ma versate in un momento di tristezza). Ieri il leader che se ne va, non pareva però rinunciare a dire la sua. E a imporre uno stop a chi, nel coordinamento, chiedeva di andare al congresso anticipato e non alla soluzione ponte di un Franceschini segretario- reggente fino al congresso d'autunno. Sono stati Goffredo Bettini, Giorgio Tonini e Andrea Orlando a evocare e invocare le assise e le primarie per la scelta del nuovo leader. Fassino è restato silente, ma chi ci ha parlato sostiene che l'ipotesi del congresso anticipato tutto sommato non gli dispiaceva. Meglio tacere, però, anche perché il suo nome è circolato come quello di un possibile segretario di transizione al posto di Franceschini. Ai veltroniani che preferivano anticipare il «redde rationem », l'ex sindaco di Roma ha risposto così: «Abbiamo bisogno di un congresso vero, che non sia un confronto tra nomi ma tra piattaforme politiche e programmatiche, e questo ora non si può fare».

In privato, con i fedelissimi, Veltroni si è lasciato sfuggire anche un'altra spiegazione: se facciamo ora il congresso si arriva a Bersani, mentre la reggenza di Dario è una polizza contro questa soluzione. Non è che il segretario dimissionario abbia proprio convinto tutti. Goffredo Bettini, per esempio, ritiene che «andare alle elezioni dando un segnale di "rompete le righe" sia un errore» e per questo sarebbe necessario il congresso. Sia il coordinatore dell'esecutivo pd che Tonini e Orlando hanno comunque assicurato che per «lealtà» ieri non avrebbero parlato pubblicamente di questa loro tesi. Che, però, fa proseliti. I quarantenni sono d'accordo. La pensano così sia Andrea Martella che alcuni segretari regionali, come il lombardo Martina, perché nelle realtà locali la soluzione-ponte Franceschini non convince del tutto. Ma anche i Cacciari, i Burlando, i Cofferati sono perplessi. C'è pure una parte dei dalemiani che preferirebbe accelerare. E Francesco Rutelli ha più di un dubbio sull'opportunità di una reggenza: «Ci dovranno spiegare perché dovremmo votarla».

Tra gli ex Ds c'è il sospetto che alla fine Franceschini faccia il segretario sul serio, ossia che si candidi alle primarie. Bettini glielo ha chiesto in coordinamento. Lui non ha risposto: «Non ve lo posso dire». E c'è un altro dubbio che assale in queste ore una parte dei veltroniani. Che Franceschini non si candidi alle primarie e baratti questa sua rinuncia con Bersani per stringere un accordo con i dalemiani. Già, D'Alema. Che cosa ha intenzione di fare? Con alcuni interlocutori, ieri, l'ex ministro degli Esteri è stato assai chiaro: «Io non partecipo a questo dibattito. Ognuno si assuma le sue responsabilità. Mi hanno tenuto ai margini, e ora che si vuole da me? Il segretario e il coordinamento propongono Franceschini? Bene, sosterrò lui. Che altro devo fare?». Ostenta distacco il D'Alema che si defila dai tormenti pd. Ma lancia anche un ammonimento per il futuro: «Quando si tratterà però di fare la scelta vera del nuovo segretario si dovrà andare alle primarie».


Maria Teresa Meli
19 febbraio 2009

da corriere.it
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« Risposta #9 inserito:: Febbraio 19, 2009, 06:39:46 pm »

Passi perduti, «serve qualcuno di sinistra»

di Marcella Ciarnelli


La tramontana che spazza Roma sembra soffiare anche nel Transatlantico di Montecitorio dove i deputati attendono che il governo ponga un’altra fiducia, la tredicesima dall’inizio della legislatura, questa volta sul decreto “milleproroghe”. L’opposizione ha poco fiato per commentare questo altro schiaffo al Parlamento. C’è da fare i conti con l’addio di Walter Veltroni alla segreteria del Pd, motivata con argomenti e sentimenti. I deputati del Partito democratico si sentono, e lo sono, sotto i riflettori. Volti suri, sicuramente preoccupati. Qualche sorriso per cercare di sdrammatizzare una situazione imprevista anche da chi con il segretario che ha lasciato d’accordo lo sono stati poco o mai in questi mesi.

In prospettiva c’è l’assemblea costituente convocata per sabato. Fino ad allora sono destinate ad intrecciarsi le ipotesi oltre la strada indicata nel suo discorso finale da Veltroni medesimo. L’orientamento prevalente torna inesorabile nel lessico di un partito che con esso ha dovuto farci i conti nella vicenda appena conclusa sul caso Englaro. Questa volta l’orientamento prevalente è su un reggente, il vice che fu designato.

Si susseguono le riunioni, i capannelli. La soluzione a qualcuno va bene in nome della necessità di non creare altre lacerazioni in un partito che alla prova sembra far riemergere le due anime che non ce l’hanno fatta a diventare ancora una sola. Dispute sui rispettivi “tesori”, sulle sezioni, sui dipendenti, sulla linea da tenere in particolare sui temi che laici e cattolici da sempre hanno vissuto in modo diverso. I nodi mai risolti.

«In quest’aula non c’è più un segretario di partito che venga dalla sinistra», è un’amara considerazione colta al volo. Una battuta? In realtà, a ben vedere, se l’ipotesi Franceschini andrà a compimento, scomparsa nelle urne la sinistra radicale, con Veltroni via, non è che non sia vero. Anche se il ragionamento sul partito nuovo... Ma questa è anche la giornata dei rimpianti. E delle polemiche. Se Veltroni ha fallito perché la responsabilità non devono assumersela anche quelli che con lui hanno lavorato ai vertici in questi mesi? Chi non ha costruito le strutture portanti del partito la cui assenza ora costringe ad un interregno pericoloso date le scadenze elettorali ormai prossime? E il governo ombra decade o resta in campo? Domande di un pomeriggio gelido, e non solo per la temperatura esterna.

I Grandi assenti
Prodi, il presidente mai sostituito, ha scelto da tempo di tacere. Massimo D’Alema è stato il grande assente all’addio come Rutelli, però impegnato a Bruxelles. Si lavora sulle ipotesi e sulle possibilità che regole molto complicate rendono tutte possibili. L’investitura diretta potrebbe scontrarsi anche con candidature alla segreteria che sabato potrebbero essere messe in campo alla Fiera di Roma. La “Velina rossa” lancia Piero Fassino. Mentre Pierluigi Bersani, che ha mostrato di apprezzare le parole di Veltroni, potrebbe essere un altro candidato ad una segreteria ponte. Per tutti deve valere l’impegno a mettersi comunque in gioco con le primarie in ottobre, senza vantare diritti acquisiti. Ma ci potrebbero essere anche protagonismo imprevisti.

Per ora voci. Ipotesi. Confronto che rivela il disagio. Che sembra aver preso anche gli avversari. «Sono preoccupato, ora manca un interlocutore nell’opposizione» dice preoccupato il ministro Calderoli. E Silvio Berlusconi mostra la stessa ansia anche se le parole di Veltroni gli hanno fatta «passare la voglia di chiamarlo». Però «spero di trovare un interlocutore dall’altra parte».

19 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #10 inserito:: Febbraio 21, 2009, 05:56:18 pm »

Parisi il suo unico sfidante. Anna finocchiaro: «Non è l'8 settembre che ci attende»

Franceschini nuovo segretario del Pd

Tensioni e contestazione in assemblea

Il vice di Veltroni eletto a grande maggioranza, dopo la decisione di saltare le primaria.

Resterà fino a ottobre

ROMA - Dario Franceschini è il nuovo segretario del Partito democratico. La sua elezione è avvenuta al termine dell'Assemblea nazionale del partito che, in mattinata, aveva deciso di nominare subito un nuovo leader, dopo le dimissioni di Walter Veltroni annunciate all'indomani della sconfitta elettorale alle regionali in Sardegna. Franceschini ha ottenuto 1.047 voti; il suo unico sfidante, Arturo Parisi, ne ha conquistati invece solo 92. I votanti sono stati complessivamente 1.258, meno della metà rispetto al numero di delegati che era atteso nei padiglioni della nuova Fiera di Roma per la convention democratica. Il nuovo leader avrà pieni poteri e nn sarà dunque un semplice reggente. Guiderà il partito nei prossimi mesi - caratterizzati dall'importante appuntamento delle elezioni amministrative ed europee - e lo traghetterà fino al congresso di ottobre. La decisione di votare subito un sostituto di Veltroni, evitando così l'indizione di primarie, come chiedeva una parte dell'assemblea, è stata decisa dall'assemblea stessa, con un voto che ha visto 1.006 delegati a favore dell'immediata votazione, a fronte di 207 no e 16 astenuti.

I DUE SFIDANTI - I candidati alla segreteria, dunque, sono stati solamente due: Dario Franceschini, appunto, che già nel corso del suo intervento di candidatura aveva parlato da segretario in pectore; e il prodiano Arturo Parisi, che ha chiesto di superare la crisi del partito, attribuita senza troppi giri di parole all'attuale dirigenza, Franceschini compreso. Molto critiche le prime reazioni delle altre forze politiche: il centrodestra profetizza altri mesi di sconfitte per il centrosinistra, mentre Rifondazione comunista teme che con un ex della Margherita alla guida del partito non vi sarà vera opposizione al governo, alla Confindustria e al Vaticano.


FINOCCHIARO: «SENZA PAURA» - «Noi non torniamo indietro, non abbiamo paura, non è l'8 settembre che ci attende - aveva affermato in precedenza Anna Finocchiaro aprendo i lavori dell'assemblea -. Noi non siamo un gregge che si disperde alla prima sassata. Quello di oggi è un evento straordinario e anche inaspettato, il passaggio più difficile che un giovane partito può trovarsi a affrontare e la scelta di tornare alla sovranità dell'assemblea è stata una scelta politica contro anche una rappresentazione di noi che viene data dai media: noi siamo capaci di affrontare questo momento in piena democrazia e senza isteria».

LA CONTESTAZIONE - Tuttavia qualche tensione la si è registrata. Gad Lerner, che sosteneva l'ipotesi di svolgere delle primarie, ha parlato del rischio «di farci ancora una volta molto male a non parlare con il Paese e a illuderci di trovarci compatti dietro un gruppo dirigente che ci ha portato di sconfitta in sconfitta». Lerner è stato autore di uno degli interventi più duri, che ha raccolto anche applausi scroscianti da una parte della platea. Rivendicando a viva voce le primarie, il giornalista ha chiesto polemicamente: «Come mai qui oggi non si presenta Bersani, per quando si annunciano le candidature? A cosa si rinvia la propria assunzione di responsabilità? Già una volta Bersani ha ammesso di aver fatto una grossa cavolata a non presentarsi non vorrei che oggi la facessimo noi, se ci chiudessimo dentro ad un gruppo dirigente che deve essere fortemente ricambiato. Il problema vero del paese oggi è un'opposizione che non c'è». L'intervento di Lerner ha riacceso gli animi, dando il via ad una contestazione da parte di un gruppetto di delegati. Al grido di «andate a casa» e «primarie, primarie», alcuni partecipanti all'assemblea nazionale hanno poi interrotto l'intervento di Ermete Realacci, a sostegno della elezione di Dario Franceschini.

VOTO SEGRETO - Le urne sono rimaste aperte dalle 15 alle 16,30, mezz'ora in meno del previsto dato che la gran parte dei delegati ha votato nella prima parte del tempo a disposizione. L'elezione si è svolta a scrutinio segreto. Franceschini è ora segretario a tutti gli effetti e con pieni poteri, anche se la sua permanenza alla guida del partito sarà inizialmente limitata a un periodo di circa otto mesi, fino a quando a ottobre il congresso del Pd chiamerà a raccolta i delegati delle sezioni di tutta Italia per la definizione della linea politica e la scelta del nuovo leader. Sarà solo in quell'occasione che potrebbero uscire allo scoperto anche altri nomi di spicco del Pd - Bersani su tutti - che in questa fase di transizione hanno preferito non esporsi in prima persona.

M.Le./Al. S.
21 febbraio 2009

da corriere.it
« Ultima modifica: Febbraio 24, 2009, 11:42:16 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #11 inserito:: Febbraio 22, 2009, 10:56:33 am »

Alla Fiera di Roma l'assemblea nazionale dei democratici

"Dentro il nuovo, basta divisioni. Diciamo grazie a Veltroni"

Pd, la sfida di Franceschini "Non ho padrini, serve unità"

di MATTEO TONELLI

 
ROMA - Guardarsi in faccia senza negare la crisi. Ripartire, o provare a farlo.
Perché non è l'ora delle emozioni ma della verità. Conscio "della sua fragilità" ma senza, per questo, disposto "a scendere a patti". Davanti alla platea dell'assemblea nazionale del Pd che l'ha eletto segretario Dario Franceschini disegna quello che sarà il filo rosso del suo mandato. Che sarà a termine, fino al congresso di ottobre.
Ma che non sarà, giura Franceschini, quello di un mero reggente, di un segretario dimezzato. Magari facile preda "delle oligarchie" del partito.

E' tarda mattina quando Franceschini sale sul palco. L'assemblea, a larghissima maggioranza, ha appena deciso di puntare sull'elezione del segretario archiviando la richiesta di primarie immediate. L'ex vice di Veltroni sa che dal voto non usciranno sorprese. L'altro candidato, Arturo Parisi, scende in campo solo "per rompere l'unanimismo". Sa di avere addosso gli occhi di tutti. Dei big del partito che lo ascoltano in platea e della base di un partito che cerca di uscire dal caos. E allora mette uno dietro l'altro quelli che saranno i principi cardine del suo mandato.

Prima, però, c'è da rassicurarare gli elettori. Convincerli che non c'è nessun 8 settembre del Pd: "Non è il momento della delusione, della paura, della fuga ma quello della raccolta delle forze per dare vita ad un alunga battaglia civile". Ci tiene Franceschini a fugare lo spettro delle divisioni, dei passi indietro. Quello che vuol fare è un partito aperto, che guardi al territorio, dove "le personalità saranno coinvolte", certo, ma una cosa deve essere chiara: "Non ho fatto patti, non avrò padrini e protettori, non sono qui per preparare il mio futuro personale". La sala esplode in un appaluso. Ma Franceschini avverte: "Non faccio trattative e chi batte le mani adesso non mi chieda domani di nominare qualcuno".

Poi lo sguardo volge al passato. Anche se recente. Alle difficoltà del Pd, alle dimissioni di Veltroni ("i suoi errori sono i miei errori"). A Romano Prodi e all'Ulivo di cui rivendica l'esprienza. Il presente, invece, assume le forme dell'affondo contro Berlusconi e il suo governo "che nega la crisi e che vuole diventare padrone dell'Italia, sfruttando una ragazza morente per attaccare la Costituzione". Ma anche alla Chiesa il cattolico Franceschini manda precisi segnali rivendicando la laicità dello Stato. Parole che la sala accoglie con un lungo applauso. E che fanno storcere il naso alla teodem Binetti.

Ma è al Pd che oggi bisogna guardare. A quello che non sarà più e a quello che diventerà. E allora basta con il partito leggero, meno internet e più militanza, con un forte radicamento sul territorio. Un partito che farà a meno del governo ombra varato da Veltroni. Che userà le primarie, certo, ma che abbia dirigenti che si facciano carico delle responsabilità. "E soprattutto basta con le interviste sulle nostre divisioni - tuona Franceschini tra gli applausi - gli scontri si fanno in casa e non sui giornali e sulle televisioni".

Ed è a questo punto che arriva il richiamo all'unità. L'assicurazione che indietro non si torna: "Abbiamo costituito non soltanto un nuovo contenitore ma una casa nuova, comune. Non abbiate paura, non ci saranno crisi, risultati negativi, o scontri tra dirigenti che ci possano far pensare che si torni indietro dalla scelta di una casa comune".

Lex vice di Veltroni si avvia a concludere. All'inizio aveva confessato di non aver dato retta a chi lo consigliava di fare un discorso che puntasse l'emotività.
Ma alla fine quando annuncia che il suo primo atto da segretario sarà quello di giurare sulla Costituzione davanti alla lapide dei 13 partigiani trucidati dai fascisti a Ferrara nel 1943, la voce gli si incrina per un attimo. Solo un attimo però perché oggi, in questo grande capannone, non è davvero il tempo delle emozioni. Semmai quello di rimboccarsi le maniche.

E, in serata, a elezione avvenuta (con 1.047, Parisi ne ha avuti 92) Franceschini si lascia andare all'ottimismo: "E' tornata la voglia di cambiare. Aveva ragione Walter, serviva una scossa e il suo è stato un atto d'amore. Adesso è la stagione dell'unità, possiamo guardare al futuro".

Poi lascia l'Assemblea diretto proprio a casa Veltroni. Il grande assente di oggi, il suo riferimento fino a ieri.

(21 febbraio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #12 inserito:: Febbraio 22, 2009, 11:19:21 am »

22/2/2009 (7:10) - PERSONAGGIO

Dario, il maestro Zaccagnini e il compagno Bratti
 
Dario Franceschini nel 2007 è diventato vicesegretario del Pd

Dall'impegno cattolico all'asse con i dalemiani. Chi è Franceschini

MATTIA FELTRI
ROMA


Bisognerebbe chiederlo ad Alessandro Bratti, deputato del Pd che da ragazzo era a scuola con Franceschini, allo Scientifico Roiti di Ferrara, e siccome era comunista - e Dario democristiano - gli dava fuoco alla copia del “Popolo”. Se Dario possa farcela, ecco, bisognerebbe chiederlo a Bratti, perché poi i due divennero amici e nel ‘94 provarono a prendersi la città. Dario, nel frattempo, aveva incontrato il suo maestro: Benigno Zaccagnini. Erano lontani i tempi - gli anni Cinquanta - in cui suo padre Giorgio prendeva la bicicletta e di nascosto dai comunisti, per evitar mazzate, andava in provincia ad attaccare i manifesti della Dc insieme con i preti. Dario era uno che negli anni Settanta (è nato nell’ottobre del 1958) circolava per Ferrara con la barbetta rossa e indosso l’eskimo (e il “Popolo” in tasca, prima dell’attentato di Bratti), e insomma, era un Partito democratico ambulante. Si invaghì di Zaccagnini (“il fiore è di nuovo bianco”, disse Zac incantando i ragazzi), della sua idea che con i comunisti ci volesse concorrenza e confronto, del suo richiamo alla questione morale, proprio come Enrico Berlinguer. E dunque, ormai cresciuto, nel ‘94 Franceschini scansò con rabbia la corsa in solitaria del Partito popolare - e Silvio Berlusconi esordì alla vittoria - e con i Cristiano sociali imbarcò i Laburisti e i Verdi, e c’era anche Bratti, e provò la corsa a sindaco. Ora a Ferrara dicono che la sua parsimonia (in realtà sono meno eufemistici) gli precluse il trionfo: gli sarebbe bastato un milione di lire in più in manifesti e l’avrebbe spuntata.

Ma, forse, gli è andata meglio così, ora che gli capita di applicare lo schema Bratti-Zaccagnini alla leadership del Pd. Perché c’era, e c’è, specialmente questa sterminata base diessina della Toscana e della sua Emilia che si vede tutto sfuggirgli dalle mani: il cattolico Matteo Renzi candidato a Firenze, Massimo Carlesi dell’Azione cattolica a Prato, un repubblicano a Forlì, il prodiano Flavio Delbono a Bologna. E ora un cattolico anche alla guida del partito. Non saranno queste cose a impressionare Franceschini. Come scrisse Lucia Annunziata, ha una faccia da bravo gitante della domenica che piace alle mamme ma non alle figlie. E, come dicono a Ferrara, ha la capacità scientifica di stare in prima fila senza stare in primo piano. E cioè, per intenderci, è uno che ha sposato una bella e agiata figlia della sua terra, Silvia, figlia di medico, che gli ha dato due bimbe e ogni sera, cascasse il mondo, lo obbliga a portare il bastardino Dado a far bisogni in piazza Barberini, a Roma, dove abitano. Dunque l’uomo è temprato anche per ragioni familiari. La mamma Gardenia, per esempio, va in giro dicendo che Dado è il cane più brutto del mondo. Ed è una signora perbene, così perbene che quando il Carlino ha scritto che Dario era un secchione, e a scuola era sempre il primo della classe, telefonò infuriata in redazione - «quante stupidaggini scrivete!» - per precisare che allo scientifico si era diplomato col 36. Quanto al padre, deputato per una legislatura, è avvocato molto riverito, una specie di topo di biblioteca e, ora che gli anni pesano e camminare gli costa, s’è tramutato in un mago di Internet e naviga nel sito della biblioteca del Congresso americano.

Senza dire del nonno fascista. Adesso, spiegano gli amici, Franceschini sa che il plebiscito con cui è diventato segretario costituisce un trionfo ambiguo: lo hanno votato tutti, e tutti avranno qualcosa a pretendere. Lui, infatti, annuncia l’azzeramento del gruppo dirigente e lo ricostruirà col bilancino, coi bindiani, coi rutelliani, coi lettiani, coi veltroniani, specialmente coi dalemiani. «Non chiudo nessuna porta», dice, e cerca di superare le recenti tortuosità del partito immaginando il Pd in Europa con i socialisti, ma in un gruppo più ampio, e dicendo la sua - con qualche chiarezza - sul testamento biologico: nutrizione e alimentazione non sono accanimento terapeutico, ma si sospendano se il malato ne fece indubbia richiesta. Basterà? Ce la farà a cancellare tutte queste paure della base, queste acrimonie della nomenclatura, queste indecisioni nel dibattito quotidiano? Ce la farà a superare le Europee senza suicidarsi? Ce la farà, soprattutto, a non essere il servo sciocco dei pretendenti alla leadership? Con il poco che sia ha disposizione per valutarlo, visto che il profilo politico - conciliare, don milianiano - e la carriera non incantano, si può intanto ricordare che «Nelle vene quell’acqua d’argento» è un romanzo di certo migliore di qualsiasi libro di Walter Veltroni, e infatti fu tradotto in Francia da un santuario della cultura come Gallimard e premiato con lo Chambery. Veltroni non lo ha mai confessato, ma invidiò il suo vice. Adesso, probabilmente, non lo invidia più.

da lastampa.it
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« Risposta #13 inserito:: Febbraio 23, 2009, 06:15:13 pm »

Colloquio con Dario Franceschini


I posti in seconda classe erano tutti esauriti. Pazienza, si va in prima. «Ma quando vado a Ferrara con la mia famiglia viaggio sempre in seconda», puntualizza Dario Franceschini. Manca poco alle 10 del mattino, stazione Termini, domenica mattina, binario 6, il segretario del Pd, nel suo primo giorno da leader. «Auguri», si fa avanti un signore. «Ce n'è bisogno», risponde lui. Impermeabile nero sopra il completo grigio fumo, cravatta rosso scuro, quell'aria da buona borghesia padana che forse lo rende poco carismatico, ma che può essere anche un punto di forza.

Di questo almeno è convinto suo padre Giorgio, avvocato come lui ed ex partigiano cattolico, 87 enne che gira ancora in bicicletta: «Si è preso una bella rogna, ma sarà difficile incastrarlo, anche per Berlusconi. Dario è molto più forte di quanto non sembri». «Lui e la mamma mi hanno visto da casa su Youdem, hanno pianto come due fontane», confida Franceschini junior mentre l'Eurostar corre verso le sue nebbie. Parla del nonno podestà fascista, di sua figlia, «mia madre, che ha sposato un partigiano», di comunisti e democristiani che «in Emilia alla fine si volevano un bene dell'anima perché c'era una base di valori condivisi: l'antifascismo,la Costituzione, la laicità». Ecco, quei valori «prima di Berlusconi nessuno li metteva in discussione, non erano di parte ma di tutti». Ora no, il Cavaliere «per 15 anni ha predicato valori distorti, con il controllo dei media ha sabotato questo sentimento costituzionale». «Questo sarà il nostro principale obiettivo: ricostruirlo».

Le europee saranno un banco di prova decisivo: «Se il Pd prende una botta forte, se c'è un plebiscito per il centrodestra, cosa fa il giorno dopo Berlusconi? Prende il piccone sul serio e cambia la nostra Costituzione, rompe l'equilibrio tra i poteri, li concentra in una sola persona. La Sardegna è stata la prova generale. La controprova è Fini: dice cose normali e sembra un eroe». Si torna all'antiberlusconismo e al voto "contro"? «Io non so neppure cosa vuol dire antiberlusconismo, so perfettamente cos'ha in mente lui, forzare le regole. E noi dobbiamo chiamare a raccolta tutte le opposizioni per difendere la democrazia italiana. Alle europee mi va bene anche un voto contro, alle alleanze penseremo dopo».

Sarà opposizione dura«Certo, se fanno le ronde e restano immobili sulla crisi economica, mi pare che avremo poche occasioni per dire dei sì. Legalizzare le ronde prima che esistano è un incitamento a creare una milizia parallela. Se le fanno i naziskin chi li controlla? Per la sicurezza, che è sacrosanta, io voglio più fondi per polizia e carabinieri. Contro le ronde faremo una battaglia dura, anche in piazza». I rapporti con Casini e il suo sogno di un centro stile Kadima? «Dal Pd non ci andrà nessuno, l'idea che Rutelli e Letta possano seguirlo è una cavolata, criticare non significa tradire. E' Casini che deve decidere da che parte stare, non noi. Ma lo conosco da 30 anni, prima di decidere aspetterà fino all'ultimo secondo».

Sul Pd è prudente: «Io voglio salvare la baracca, insieme agli altri, non da solo. Lo so anch'io che ci voleva subito un leader eletto dal congresso, ma non c'era il tempo». E la base come reagirà? «La base non è solo il popolo di Internet, quei 1300 dell'assemblea cosa sono? Io non ci avrei scommesso una lira che venivano così in tanti, convocandoli tre giorni prima. Non sono stati eletti con le primarie? Guai se un politico si fa guidare solo dai sentimenti del popolo dei blog». «No, non mi stupiscono tutti quei voti da una assemblea che in maggioranza proviene dalla storia dei Ds: ci siamo mescolati a una velocità impressionante, e il merito è di Walter che ha lavorato sul terreno fertile dell'Ulivo». E lì cosa farà in ottobre? «Ci sono le europee, la costruzione del partito da completare, il congresso da organizzare. Se ci riesco ho raggiunto il mio traguardo».

23 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #14 inserito:: Febbraio 23, 2009, 06:16:39 pm »

Franceschini, l'antiberlusconismo e la prova delle riforme

di Emilia Patta
 
 

Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato: «La solita solfa annacquata, che fa cadere le braccia a chi invece si aspettava una nuova opposizione che all'antiberlusconismo avesse sostituito un dialogo costruttivo basato sui fatti e non sulle solite menzogne». Ignazio La Russa, ministro della Difesa: «Franceschini si è racchiuso nell'antiberlusconismo e ha fatto una sceneggiata con una ritualità che nemmeno nel '68 si faceva più». Paolo Bonaiuti, sottosegretario azzurro alla Presidenza del Consiglio: «Il solito minestrone dell'antiberlusconismo».

Il neosegretario del Pd Dario Franceschini che giura sulla Costituzione davanti al padre partigiano e accusa il premier Silvio Berlusconi di essere contro la Carta non è piaciuto al Pdl. E gli esponenti della maggioranza hanno buon gioco ad accusare i Democratici di svolta antiberlusconiana dopo le aperture di Walter Veltroni sul tema delle riforme, dal federalismo ai regolamenti parlamentari al premierato soft previsto dalla "bozza Violante".

In effetti, dalla "svolta" laica sul testamento biologico alla crescente attenzione ai temi sociali ed economici, si intravvede una curvatura di sinistra nella strategia del neo leader, in queste ore impegnato a definire i nuovi organismi di partito dopo l'azzeramento del governo ombra e del coordinamento. Una curvatura di sinistra che un ex popolare può forse permettersi, e che punta chiaramente a evitare fughe a sinistra o nell'Idv ai prossimi appuntamenti elettorali di primavera.

Eppure il volto dell'ex allievo di Zaccagnini appare rassicurante agli interlocutori centristi. Come dimostra stamane l'intervista di Pier Ferdinando Casini al Corriere della sera: se da una parte il leader dell'Udc ribadisce che «per battere Berlusconi è sbagliato demonizzarlo» e che «il dialogo diventa difficile se nel rapporto con i sindacati si sceglie la piazza della Cgil e sulla riforma della giustizia si sta con Di Pietro», dall'altra apre significativamente alla candidatura del giovane Matteo Renzi a sindaco di Firenze: «A Firenze, con Renzi, l'alleanza è possibile».

Resta da vedere l'effetto che questo rialzarsi di toni antiberlusconiani avrà sul cantiere riforme aperto in Parlamento. A cominciare dal federalismo fiscale, alla Camera dopo l'astensione del Pd in Senato. Dalla scelta del relatore di minoranza e dalle prime posizioni che prenderà si potrà capire l'aria che tira. Va ricordato che l'astensione voluta da Veltroni a gennaio è stata fortemente osteggiata dalla sinistra del partito e da Massimo D'Alema, che invocava il voto contrario. Vedremo nei prossimi giorni se con il leader cambierà anche la linea.

da ilsole24ore.it
 
 
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