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Autore Discussione: Così cambieranno anche le abitudini ...  (Letto 2663 volte)
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« inserito:: Agosto 16, 2007, 12:17:01 am »

1 agosto 2007

 Così cambieranno anche le abitudini
di Luca Paolazzi


Quando il termometro dei prezzi al consumo segnava in Italia "temperature" a due cifre, ogni giustificazione era valida per rialzare anche vistosamente i cartellini.

La fettina di carne rincarava? Colpa dell'aumento del petrolio, rispondeva lesto il macellaio.

Il che, alla lontana e in modo assai attenuato, era pure vero.


In un mondo senza inflazione, invece, tutto gira al contrario. I commercianti, dalle grandi catene al piccolo dettagliante, temono la reazione di consumatori a ogni rialzo dei prezzi, ancor più se tocca beni "nazionali", come la pasta o la pizza. Perciò l'aumento delle materie prime non si traduce automaticamente in più alti listini per le famiglie. E l'effetto finale è tanto più attenuato quanta maggiore è la distanza, in termini di filiera produttiva, tra l'input primario (il grano, la lana, il petrolio greggio) e il bene finale.

Ciò spiega perché negli ultimi anni abbiamo osservato un'inflazione molto contenuta, quasi inesistente, nonostante un aumento del greggio tale da configurare un vero shock petrolifero. E nonostante le altre materie prime, alimentari e non, di origine agricola e non, abbiano raggiunto in dollari quotazioni da record. La qualificazione «in dollari» è anche importante, perché la svalutazione della moneta americana sul mercato dei cambi, e in particolare nei confronti dell'euro, ha attenuato molto l'impatto di quei rialzi. In parte li ha anche provocati, nella misura in cui i produttori subiscono dal deprezzamento del dollaro una perdita di potere d'acquisto e riescono a compensarla tenendo più alti gli stessi prezzi in dollari (come sta facendo l'Opec); dal lato della domanda, in gran parte dei Paesi il segnale di scarsità dell'aumento del prezzo arriva attutito proprio dall'apprezzamento della loro valuta contro il dollaro.

Ammortizzatori valutari a parte, l'aspetto interessante è che i produttori e i distributori nazionali si devono attrezzare per limitare il più possibile le ricadute finali, tagliando i costi di altri input, aumentando l'efficienza organizzativa, proponendo prodotti alternativi. Ciò comporta lentamente un cambiamento dei costumi e dei consumi. Anche perché dobbiamo adattarci a vivere con materie prime più costose, e sempre più tali, dato che masse bibliche di nuovi compratori dai Paesi emergenti si stanno affacciando sui mercati globali. E hanno per sempre invertito quella tendenza secolare alla riduzione del valore relativo delle materie prime iniziato con la rivoluzione industriale e ancor prima con la rivoluzione agricola.

In fondo, il mutamento di abitudini può risultare perfino salutare, perché indurrà risparmio energetico, e quindi minor inquinamento, e un risparmio calorico, che limiterà o arresterà il diffondersi dell'obesità, che sta contagiando quote crescenti di popolazione italiana.
Tutto ciò non garantisce che l'inflazione italiana rimarrà ferma ai livelli attuali. Le previsioni per l'autunno sono per una salita verso il 2,5% annuo. Un ritmo pur sempre contenuto di fronte ai balzi delle materie prime.


luca.paolazzi@ilsole24ore.com
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