Chianciano
Prodi saluta i " mille"
Grazie, grazie, è più lungo il vostro applauso del mio discorso.
Vi ringrazio dell'accoglienza ma sono io a ringraziare dell'invito che ho
accettato immediatamente proprio per un segno di gratitudine a Emma, Emma
che è stata nel governo un sostegno forte. E quando Pannella dice "sono
stato l'ultimo dei giapponesi" è vero e di questo lo ringrazio. Lo è stato
anche su punti, su temi su cui non eravamo d'accordo; lo è stato per un
senso di coscienza e consapevolezza di cosa è il governo. Coscienza e
consapevolezza che avrebbero dovuto essere comuni a tutti coloro che
partecipavano alla coalizione di governo. Ed è per questo motivo che qui
faccio certamente un ultimo intervento della fine di questa ordinaria
amministrazione, come è stata chiamata.
In settimana ci sarà il nuovo governo, ci sarà il giuramento del nuovo
governo, ci sarà il passaggio delle consegne e quindi io chiudo, come ho
detto, questa non lunga ma intensissima mia esperienza politica. Non lunga
perché iniziata il 2 febbraio del '94, parecchio tempo fa ma non secoli fa;
e intensa perché passata attraverso due presidenze del consiglio, la
presidenza della commissione europea, un profondo lungo lavoro di
riorganizzazione, tentativo di riorganizzazione della politica italiana
perché è nato con l'Ulivo, con l'idea precisa dell'Ulivo come premessa della
fondazione del partito democratico. Non è nata da un discorso vago,
generale. Cioè l'idea che se il riformismo italiano, in un paese così
complicato, così conservatore sotto tanti aspetti, doveva e poteva imporsi,
questo esigeva una struttura di cooperazione che prima si è chiamato Ulivo,
poi si è chiamata Unione e nell'ambito di questa il partito democratico come
momento di riferimento anche quantitativo, oltre che l'importante punto di
convergenza di un riformismo socialista, cattolico, laico e liberale che si
mettevano assieme. Sono stati anni intensi come una direzione politica,
come un quadro di riferimento molto preciso, molto rigoroso al quale io ho
cercato di tenere sempre coerenza. Anche nelle sconfitte. Perché è raro
nella democrazia occidentale, con tutta onestà, vincere in un paese di
sessanta milioni di abitanti, vincere due elezioni. E ripeto ho vinto due
elezioni, di fronte ad una struttura fornita di una organizzazione di mass
media poderosa, formidabile, anch'essa che non ha confronti come
percentuale, come capacità di penetrazione in nessun paese del mondo
occidentale. Ho vinto due elezioni e in entrambi casi non ho potuto finire
la legislatura. E allora è chiaro, è giusto, doveroso che un politico
democratico prenda atto di questo e lasci ad una nuova leva la
responsabilità di portare avanti questo cammino che io ho iniziato e al
quale io sarò fedele, che è la linea di azione, che è il mio riferimento
anche etico della mia vita politica ma che non si è potuto verificare in
entrambe le situazioni.
E' chiaro che, per questo motivo, quanto prima dicevo è un obbligo di
riconoscimento del lavoro fatto da Emma Bonino e dai radicali di aver
interpretato in modo corretto il tema della governabilità e di aver
rinunciato in molti momenti, Emma lo sa benissimo perché ci siamo anche
quasi azzuffati, nel senso buono del termine, di aver saputo rinunciare alla
visibilità di bandiera in nome del progetto condiviso, senza con questo
abdicare alle proprie convinzione e ai propri valori. Questa è democrazia
governante. Questa è la democrazia governante.
Democrazia governante non è andare d'accordo in tutte le virgole delle 281
pagine del programma, che però è stato - interessante questo aspetto - molto
deriso questo aspetto delle 281 pagine. Però, Emma lo ricorda benissimo, è
stato il momento della discussione in cui tante cose sono venute a
convergere, in cui siamo rimasti con pochi punti di dissenso. E soprattutto,
attenzione: io capisco che dal punto di vista mediatico può non essere
utile avere 281 pagine di programma ma da queste a fare la campagna
elettorale in cui i programmi sono stati assolutamente trascurati e
calpestati perché la gente diceva che non contano nulla ed aver convinto il
popolo italiano che i programmi non contano nulla, guardate è un passaggio
indietro grosso quello che è avvenuto non è un passaggio in avanti. Io
vorrei che riflettessimo su questi fatti proprio perché, ripeto, in un paese
complicato, un paese così articolato come l'Italia, il problema di trovare
la convergenza sul programma di forze diverse, mantenendo anche le proprie
radici, le proprie differenze, è un fatto fondamentale perché vi sia una
democrazia vera e perché non si vada alla ricerca di quanto ha detto prima
Marco, di una democrazia così semplificatrice da togliere di mezzo tanti
significati, tante voci, tanti aspetti della vita politica italiana. Ecco
questo è il motivo per cui io conservo questa gratitudine e ho ascoltato con
grande interesse le riflessioni di Del Bue prima su un cammino di politica
che si allontana dalla democrazia effettiva che è stato un po' al centro
della sua analisi; e di Marco che ha fatto il discorso sulla distinzione tra
innovazione reale e nuovismo ad ogni costo che è l'altro rischio che noi
abbiamo; e poi prendo anche un altro concetto che ho sentito nei discorsi
precedenti, soprattutto da Amato quando ha parlato al governo ha parlato di
un coraggio dell'impopolarità.
Guardate, sia chiaro, quando io ho preso le decisioni durante questi due
anni di governo le ho prese sapendo benissimo che cosa comportavano ma
sapendo anche che un leader prende le decisioni impopolari perché governa
cinque anni e poi si hanno i risultati delle decisioni prese. E noi abbiamo
risanato l'economia, l'abbiamo risanata davvero, lasciamo un bilancio in
ordine. E' stata un'azione forte, vigorosa, rapida. L'abbiamo fatto con
quello che deve essere la democrazia pulita, quella che sfida
l'impopolarità, quella che non corre dietro al messaggio quotidiano, quella
che ha un contenuto etico nella sua azione. Sa benissimo, perché la
legislatura dura cinque anni, che poi i frutti anche in termini di sviluppo
di redistribuzione del reddito verranno ma non può non toccare le
incrostazioni del presente se vuole migliorare la situazione. Non possiamo
fare la campagna elettorale in cui critichiamo l'evasione fiscale, la
distribuzione iniqua dei redditi, il peggioramento e la divaricazione di un
paese e poi non ci mettiamo nella nostra azione politica quotidiana a
toccare questi temi sapendo benissimo che sono impopolari, sapendo benissimo
che le ferite e le difficoltà arrivano prima dei risultati. E' così che
agisce la politica.
Io credo che si debba agire sempre con lealtà verso il paese. E noi abbiamo
portato avanti questo impegno difficile. Emma ci ha aiutato enormemente in
questo. Ci ha aiutato come un ministro politico che ha dato un contributo al
governo e anche come un ministro donna che non ha mai ragionato per quote ma
ha sempre ragionato per progetti. Un ministro che ha portato nel mondo
l'orgoglio italiano ma ricordava sempre al consiglio dei ministri che siamo
dentro l'Europa e che questo comporta doveri. Questo è il motivo per cui
sono qui, un motivo di gratitudine, un motivo di parlare di quella che è
l'etica di un governo, perché se no il paese se non tiene questa etica è un
paese finito e le nuove leve che dovranno portare avanti il partito
democratico e che dovranno reggere questo paese dovranno ricordare questi
punti elementari, questi punti semplici della vita democratica di un paese.
Guardando sempre a quello che si è fatto insieme: se l'export è oggi la
parte più dinamica dell'economia italiana, tutti lo scrivono, ma non
scrivono mai perché.
Se l'export va avanti soprattutto nei paesi nuovi, in cui l'opera del
governo è più importante perché ancora il mercato non si è affinato da poter
portare avanti lui le sue regole, è perché questo il governo lo ha fatto,
perché Emma lo ha fatto. I viaggi in Cina i viaggi in India, l'ultimo
viaggio in Egitto non sono mai stati viaggi burocratici. Avevamo con noi
centinaia di imprenditori. Certo eravamo diversi dagli altri paesi: se
confronto come erano i viaggi di Chirac, o la Merkel, con i nostri erano
completamente diversi; loro avevano dieci grandi imprese, una piccola
rappresentanza che comprendeva il paese. Noi avevamo cinquecento
imprenditori in Cina, quattrocento in India, centocinquanta nell'ultimo
viaggio in Egitto ma abbiamo sempre voluto portare con noi il paese, aiutare
il paese, rappresentare il paese. I risultati sono che se oggi non c'è un
crollo della nostra economia lo si deve alla fortissima tenuta dell'export.
Su questo non c'è alcun dubbio e nonostante tutti i dati macro economici
proverebbero il contrario, una produttività bassa, un cambio durissimo.
Andate a vedere paese per paese: dove il governo contava, lì abbiamo avuto
gli incrementi maggiori. Ecco per venti mesi ci siamo assunti il compito di
governare l'Italia partendo dalle emergenze dell'Italia, dall'enorme
difficoltà da affrontare. E dallo zimbello dell'Europa noi ci siamo messi
al centro dell'Europa e, non secondario su questo, è la grande diminuzione
del contenzioso nei confronti dell'Europa. Ogni consiglio dei ministri Emma
ci portava i passi in avanti verso la diminuzione delle nostre controversie
e del nostro essere in stato di accusa di fronte alla comunità
internazionale di cui noi facevamo parte.
E poi è iniziato un'opera di effettive liberalizzazioni anche se la terza
parte, forse la più cospicua, è rimasta davanti al Parlamento ancora
incompiuta, la politica della casa, l'aiuto alle famiglie, la riforma del
walfare, gli aumenti alle pensioni più basse che vanno in distribuzione nel
momento in cui il governo è entrato in crisi. Ma l'abbiamo deciso perché
avevamo fatto una politica economica severa e abbiamo potuto mettere in
ordine il bilancio. Se noi avessimo preso queste misure senza la famosa fase
di serietà e di severità, noi avremmo sfasciato la struttura del bilancio,
avremmo messo a rischio il nostro paese. Abbiamo lavorato sulle energie
alternative, abbiamo lavorato sulla riforma del welfare, abbiamo ridotto la
disoccupazione al minimo storico e aumentato fortemente, nonostante che sia
ancora una tragedia, l'attenzione sulla sicurezza del lavoro. I lavoratori
in nero emersi sono stati regolarizzati. Potrei continuare. Regolarizzati
duecentomila lavoratori edili irregolari come una media grande città
italiana, duecentomila. Questa è opera seria, come l'opera seria della
evasione fiscale. La lotta contro evasione fiscale è stata fatta non con i
proclami ma con la severità e la serietà con cui si fanno queste cose.
Questi sono problemi che, credo, hanno aumentato la impopolarità. Non ho
alcun dubbio perché affrontare queste cose vuol dire essere impopolari ma il
coraggio della democrazia è questo. E il risultato è stato che senza
aumentare le imposte, ripeto, senza aumentare le aliquote, sono aumentati
gli introiti e quindi la premessa per potere diminuire le aliquote e fare in
modo di avere un fisco diseguale e ingiusto che pesa innanzitutto sugli
onesti e passare ad un fisco invece distribuito a seconda della forza delle
spalle. Questo è l'operato che il governo ha fatto nei suoi venti mesi.
Certamente questa azione del governo, lo ha ricordato Marco giustamente, è
stata condizionata dalle tensioni di una maggioranza composita ma non
bisogna mai dimenticare quello che è stato fatto nella direzione che ho
indicato prima e soprattutto nel risanamento della economia e nella lotta
alla evasione fiscale.
Ecco questa è l'opera del governo. E un'altra opera paziente, ancora più
complicata, cioè il lavoro che ho compiuto con difficoltà - e qui parlo ad
un ambiente che capisce le difficoltà - per un dialogo tra laici e
cattolici che fosse rispettoso di entrambe le origini, di entrambe le
radici, di entrambe le profonde convinzioni ma laici e cattolici che devono
vivere insieme in un paese comune, in un paese che si sta trasformando in un
modo enorme. Il nostro futuro, lo ricordavo al congresso dei democratici e
voglio leggere le stesse parole che dicevo a loro per non creare né
equivoci, né cambiamenti. Dicevo: "Il nostro futuro non è evocare i fantasmi
del passato dello scontro tra laici e cattolici quanto quello di essere
necessariamente e positivamente assieme" . Dicevo allo stesso convegno del
partito democratico, che non ho risposte perché questo non avvenga con
grande volontà impegno. Non ho risposte, dicevo. So che ormai "da alcuni
anni si procede nella direzione sbagliata. Assisto infatti con tanta
preoccupazione al moltiplicarsi di atteggiamenti negativi che occupano
entrambe gli schieramenti politici. Da una parte, si fa strada l'elogio
acritico e l'ossequio formale alle autorità religiose e, dall'altra, vedo la
volontà di non affrontare i problemi che dividono la nostra società solo per
non pagarne il costo politico. Né con l'una, né con l'altra scelta si
consente una convivenza matura tra laici e cattolici. Anzi sia l'una che
l'altra contengono di fatto la volontà di rendere irrilevante il contributo
di una ispirazione religiosa, del quale contributo anche lo sviluppo della
laicità ha bisogno" Ed io sono profondamente convinto di questo ed era parte
tutto questo contributo del messaggio dell'Ulivo, del messaggio voi del
partito democratico. Questo è la ragione, la motivazione forte del nostro
lavoro che abbiamo compiuto assieme.
E adesso oggi noi vediamo che il paese è pieno di paure. Le paure non solo
delle sfide globali che poi non si vincono con la paura, ma anche e
soprattutto di quello che avviene nel proprio cortile. Noi dobbiamo vincere
queste paure. Emma nel suo intervento darà dei dati da cui si dimostra
quanto queste paure siano state moltiplicate, esagerate, costruite a scopi
di campagna elettorale. Io non vi sto a dire questo però vorrei dirvi che
sia che ci occupiamo di problemi interni sia che ci occupiamo di strategie
internazionali, noi non possiamo andare avanti con una terapia dettata dalla
paura. La paura non è mai un buon consigliere, è una terapia di chiusura che
non accetta le sfide e quindi è destinata a perderle. E' chiaro che questo
porterebbe ad un discorso più ampio, perché l'Italia da sola non può
vincerle. Quando parlo di vincere le paure voglio dire che dobbiamo
vincerle insieme all'Europa, questa grande realtà politica che può diventare
l'Europa nel mondo attuale. Questa forza economica è anche forza culturale,
forza ideologica, forza che costituisce il nostro continente, al quale
dobbiamo continuare a dare un contributo attivo, alla quale dobbiamo credere
mentre invece vedo affievolirsi soprattutto nella nuova maggioranza questo
sentimento dell'Europa. Questo sentire l'Europa come un peso. L'Europa come
qualcosa che ti obbliga a scelte che tu non avresti fatto e invece è la
forza che ci aiuta a fare in modo che possiamo avere una parola nel modo
globalizzato. Questo è un rovesciamento che questo paese deve portare
avanti.
Tra queste battaglie ce ne sono tante che vanno nella direzione che voi
avete scelto che noi abbiamo scelto assieme. Pensiamo al problema della
battaglia per la moratoria della pena di morte. E' stato qualcosa di
straordinario ma io vedo un'altra battaglia da portare avanti con il peso
della responsabilità politica. Oggi nel mondo ci sono miliardi di persone,
quando parlo di miliardi, parlo di miliardi, che soffrono la fame per
sciagurate scelte di sviluppo macro economico e noi non possiamo far finta
che la cosa non ci riguardi. Quando faccio i conti, e c'era un paio di
giorni fa sul "Financial Time" una analisi di questo tipo che parte
prevalente dell'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari che sta
sconvolgendo l'Asia e l'Africa, la parte prevalente è data dai sussidi per
passare alla produzione di energia qui ci troviamo di fronte ad un problema
che ha una dimensione etica impressionante e combattere questo è il modo di
vincere le paure, far capire che possiamo spostare in avanti una frontiera
di civiltà, una frontiere di comunità mondiale. Ecco per questi motivi, e
potremmo indicarne tanti, c'è bisogno al mondo di una grande forza
riformista. Ho fatto esempi internazionali, ma al nostro interno c'è
bisogno di un discorso che riporti la redistribuzione del reddito. Io non ho
mai parlato di uguaglianza, io non ho mai parlato di queste cose. Ma quando
vediamo delle separazioni come abbiamo oggi, delle differenze tra il primo
decile e l'ultimo decile che si allargano sempre di più in termini
percentuali, qualcosa che non va nella nostra base, qualcosa che non va
nella nostra concezione politica c'è. Dobbiamo pure fare in modo che ci sia
un riformismo che nella politica estera raggiunga gli obbiettivi che abbiamo
detto prima e che nella politica interna stia attento a queste eccessive
divaricazioni.
Ecco, questo è il motivo per cui la politica è un grande impegno civile;
sopratutto deve essere un grande impegno civile. E credo che il partito
democratico ha l'ambizione di questa forza riformista. Ed io sono convinto
che perché possa far fronte a questa ambizione si debba alimentare delle
tante culture, di tanti valori che hanno costruito il campo del
centrosinistra italiano. Io credo che questo sia estremamente importante
proprio perché c'è bisogno di una grande convergenza di forze riformiste.
Credo che le ultime elezioni lo abbiamo dimostrato. Ecco, questo era il
progetto dell'Ulivo. Io ho fatto quello che dovevo fare, quello che mi
sentivo di fare. Credo che adesso spetti ad un'altra leva. E' una eredità
morale seria forte che lasciamo, una eredità politica impegnativa. Ma credo
che il paese abbia bisogno di portare avanti questa linea e di costruire una
forza riformista davvero in grado di cambiare il paese. Sono convinto che il
partito democratico può essere il riferimento di questa forza riformista.
Deve aver coraggio, non deve aver paura, Non deve guardare al passato ma
deve guardare al futuro Ecco perché sono venuto qui, e proprio perché mi
trovo di fronte agli ultimi giapponesi vi lascio dicendo sayonara e arigatò.
Roma, 2 maggio 2008
(trascrizione dalla registrazione della "Assemblea dei Mille" effettuata da
Radio Radicale
www.radioradicale.it)