LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. => Discussione aperta da: Admin - Giugno 13, 2007, 06:49:57 pm



Titolo: PRODI
Inserito da: Admin - Giugno 13, 2007, 06:49:57 pm
Stefano Folli

  stefano.folli@ilsole24ore.com
 
 
Il premier resta in sella, ma è cominciato un lento dopo-Prodi

13 giugno 2007
 
La sensazione diffusa, all'indomani delle amministrative e del nuovo ciclone scandalistico legato alle intercettazioni, è che il dopo-Prodi sia cominciato.
Tuttavia questo non significa che una crisi di governo sia imminente. Il paradosso è tutto qui. Da un lato si ci si proietta idealmente in una nuova fase politica, ancora del tutto indefinita, dall'altra si resta ancorati all'esistente, sia pure con un sentimento di crescente sfiducia.

Nei fatti il centro-sinistra tende a divaricarsi. Ci sono i Ds sotto assedio, un partito che deve difendersi su più fronti. Poi ci sono i partner della Margherita: dovrebbero essere del tutto solidali con la Quercia, visto che insieme si apprestano a costituire il Partito Democratico. Ma non è così: Rutelli sembra seguire un suo percorso, al termine del quale c'è sì, il Partito Democratico, ma con una forte connotazione liberal-moderata e i diessini subordinati. La speranza è di recuperare il voto dei produttori e del ceto medio deluso, ma la strada è in salita. Infine c'è la sinistra radicale che chiede di affrontare in via prioritaria la «questione sociale»: lo ha ripetuto ancora ieri sera il presidente della Camera, Bertinotti. Si smentisce che Rifondazione voglia uscire dal governo, ma il solo fatto che se ne parli indica il malessere crescente di una forza che voleva essere la voce dei "movimenti" e da questi ultimi viene oggi abbandonata.

Due mondi, due ipotesi strategiche che è sempre più difficile far coesistere. Fassino parla della necessità di uno «scatto in avanti». In realtà se ne parla da mesi. Chi non ricorda il vertice di Caserta, all'inizio di gennaio, già allora dedicato alla fantomatica «fase due» del governo? Lo scatto manca per due ragioni: per la debolezza della leadership e per le contraddizioni presenti all'interno della coalizione.

È chiaro che oggi si aggiunge un problema spinoso e cruciale: la condizione politica dei Ds, partito-chiave delle alleanze di governo oggi e domani. Nelle intercettazioni Unipol non c'è, a quanto si sa, nulla di rilevante dal punto di vista giudiziario. Eppure in quella che Giuliano Amato definisce «una follia italiana» si intravede un'immagine desolante della politica quotidiana. Nessuna questione morale risorgente, ma il senso di una politica debole e sfilacciata, priva di trasparenza e di autonomia. Non è tema che riguardi i tribunali, ma senz'altro tocca il rapporto tra una grande forza di sinistra e l'opinione pubblica in un momento di scarsa o nulla credibilità della politica.

Qui forse è il punto nodale della crisi. Occorrerebbe un rinnovamento della politica e delle istituzioni che nessuna forza presente in Parlamento è in grado di assicurare. In fondo lo "scatto" vagheggiato da Fassino riguarda un programma ordinario di governo (pensioni, alta velocità, infrastrutture, eccetera). Invece dovrebbe investire la rigenerazione della vita pubblica e una chiara riforma istituzionale. Il che non appartiene al novero delle ipotesi realistiche.

In forme più prosaiche, l'ennesimo scandalo va a intrecciarsi con il destino di Prodi. E con gli interrogativi sul dopo.

Non si può non dar ragione a Luigi La Spina che scriveva ieri sulla "Stampa": «Tutti gli scenari che si aprirebbero dopo una sua eventuale caduta (del governo Prodi) sembrano far perno sulla figura di D'Alema. Ecco perchè può essere utile, da una parte, non escludere il suo apporto alla soluzione alternativa; dall'altra, condizionare il suo potere, quello del suo partito e dei suoi alleati... agli sviluppi di uno scandalo».

da ilsole24ore.com




Titolo: e Montezemolo lo conferma...
Inserito da: Admin - Giugno 13, 2007, 11:13:59 pm
«C'è ancora dibattito sull'abolizione del Pra e questo è molto triste»

«Su liberalizzazioni si sta andando indietro»

Montezemolo: «Si perdono troppi pezzi, manca cultura di mercato in molti esponenti del governo»


 
ROMA - Ancora una dura critica al governo. Sulle liberalizzazioni «si sta andando indietro e si perdono troppi pezzi». A lanciare l’allarme è il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo a margine dell’assemblea dell’Unione petrolifera. Montezemolo per questo si dice d’accordo con il presidente dell’Autorità antitrust Antonio Catricalà che martedì ha sottolineato come sulle liberalizzazioni si siano fatti passi indietro. Mercoledì la Camera ha approvato - pur con qualche importante passo indietro - il ddl Bersani sulla «terza lenzuolata» di liberalizzazioni, che ora passerà al Senato.

MANCANZA DI CULTURA DI MERCATO - «Questo - ha aggiunto Montezemolo - dimostra la mancanza di cultura di mercato in molti esponenti del governo e dell’opposizione. Le liberalizzazioni servono soprattutto per dare ai cittadini servizi più competitivi e quindi meno cari». «Credo che il ministro Bersani abbia fatto il possibile e questo l’ho sempre detto dopo un anno di liberalizzazioni zero. Quando leggo - ha concluso Montezemolo - che c’è ancora un dibattito sul Pra, stiamo parlando del Medio Evo e questo è molto triste».

PENSIONI - Montezemolo è poi intervenuto sulla questione pensioni. «Io credo che la spesa sociale in Italia sia bassa e continuo a sostenere che il problema numero uno del nostro Paese sono i costi del debito pubblico, che non ci permette di avere denaro da investire, e la spesa corrente». Se si pensa alle pensioni minime, aggiunge Montezemolo, «credo che il Paese si debba far carico dei problemi di chi sta peggio, questo lo trovo condivisibile. Però bisogna anche reperire le risorse per crescere». Secondo il presidente di Confindustria la crescita infatti «crea ricchezza e può essere distribuita. Però - spiega ancora Montezemolo - non facciamo l'errore di redistribuire quello che non c'è, fermo restando quello che ho detto sulle pensioni». La vera missione dunque, secondo il presidente di Confindustria, è quella della crescita.

Ciò vuol dire, conclude Montezemolo, «creare ricchezza e avere la possibilità di fare investimenti per il futuro».

13 giugno 2007
 
da corriere.it


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Giugno 13, 2007, 11:14:51 pm
Mercoledì, 13 Giugno 2007
 

Il presidente dell’Ascom patavina: «Puntiamo a 50mila adesioni e a estendere l’iniziativa».

Domani Prodi atteso all’assemblea di Confartigianato 

Studi di settore, Padova e Treviso in piazza 

Nella città del Santo raccolte mille firme in poche ore contro l’inasprimento del fisco. Nella Marca pronta la proposta da inviare a Roma
 
Padova
Oltre mille firme raccolte in una mattinata. La mobilitazione organizzata ieri dall'Ascom di Padova contro la revisione degli studi di settore prevista dal governo Prodi sembra proprio avere colto nel segno.

«Abbiamo avuto un successo davvero grande - dice accanto al gazebo aperto in piazza Garibaldi il presidente Ascom, Fernando Zilio - che ha coinvolto non solo i commercianti, ma tutti i cittadini: dagli studenti ai pensionati. Il nostro obiettivo è quello di arrivare a 50mila adesioni. Per questo vorremmo che la raccolta firme cominciata a Padova venisse estesa alle altre nostre sedi nazionali». Per far quindi giungere il malessere e la protesta direttamente a Roma, al presidente del Consiglio, Romano Prodi. «Chi governa oggi - ricorda Zilio - ha vinto le elezioni per 24mila voti. Noi porteremo 50mila firme contro questa assurda revisione degli studi di settore. Le conclusioni le lasciamo trarre a loro. Sia ben chiaro che non chiediamo di non pagare le tasse, ma solo di essere trattati equamente come invece ora non avviene. E comunque, se necessario, torneremo a Roma anche con 20-30 pullman per manifestare civilmente, pagandoci interamente tutto il viaggio, la nostra protesta».

Accanto ai rappresentanti dell'Ascom anche quelli della Confesercenti e della Cna di Padova, nonché molti esponenti del centrodestra cittadino, tra cui il presidente della Provincia, Vittorio Casarin. «Questo governo - va giù pesante Casarin - vuole fare morire il Veneto perché è una regione di centrodestra. Con i piani di settore siamo ormai fuori da ogni grazia di Dio, e sono solo l'ultimo esempio di una Finanziaria che ha proposto una tassazione al di là del bene e del male. La sinistra, a parole, paventa una sensibilità che con i fatti smentisce andando a punire i piccoli commercianti e gli artigiani, ovvero l'ossatura dell'economia del nostro territorio».

«Ma poi - affonda definitivamente il presidente della Provincia - se oltre a questo ci penalizzano non costruendo nemmeno le infrastrutture di cui abbiamo bisogno, allora anch'io divento leghista fino in fondo e sono pronto alla "rivoluzione civile" per andare con l'Austria. Persino Di Pietro è venuto a Padova affermando che la tangenziale di Mestre l'ha fatta lui. Ma se è nato ieri! Da Roma non vogliono più darci soldi? Va bene almeno però ci mettano nelle condizioni di poter lavorare. E se Prodi venerdì arriverà qui, se ne avrò l'occasione manifesterò pure io contro di lui, perché così non si può continuare».

Intanto la valanga di firme contro gli studi di settore travolge anche lavoratori autonomi e piccoli imprenditori della Marca. L'Unascom Confcommercio trevigiana è pronta a riversarla sul ministero dell'Economia: nel giro di qualche giorno i 9mila soci dell'organizzazione riceveranno la proposta di revisione del provvedimento (promossa a livello nazionale), da sottoscrivere e da inviare poi a Roma. Non solo: verranno invitati ad aderire anche i partner delle imprese del terziario dotati di partita Iva. L'anno scorso la gran parte delle aziende trevigiane della categoria era risultata in regola. Ora, quelle stesse ditte rischiano di non rispettare i nuovi parametri. «Nel commercio basta la chiusura di una strada o l'apertura di un centro commerciale per cambiare completamente la situazione reddituale dei singoli - ribadisce il presidente Renato Salvadori - E' ora che il Fisco capisca questo concetto. E' giusto pagare, ma in maniera equa, su redditi effettivi e non presunti».

E mentre i commercianti raccolgono firme, anche la Confartigianato medita di scendere in piazza. Se dall'assemblea nazionale, in programma domani a Roma (annunciata anche la presenza del premier Prodi), non arriveranno concrete garanzie, gli artigiani della Marca sono risoluti ad occupare, il 23 giugno, piazza dei Signori, il "salotto" di Treviso, con bandiere e striscioni.
 
 
da gazzettino.quinordest.it


Titolo: "Ora basta giochi al massacro" Prodi dà la scossa all'Unione
Inserito da: Admin - Giugno 18, 2007, 10:45:38 pm
POLITICA

L'allarme del premier oggi al comitato del Pd. Ieri ad Assisi col Papa: "Pregare per l'Italia? Non basta una novena"

"Ora basta giochi al massacro" Prodi dà la scossa all'Unione

di MARCO MAROZZI

 

ROMA - Cupio dissolvi. E' questa la sindrome su cui Romano Prodi cerca di giocare una battaglia che potrebbe essere decisiva. L'ultima secondo tutti quelli che lo avversano e persino tanti che ne sono sempre più riottosi alleati. Contro la cupio dissolvi il premier scende in campo, fin da oggi, alla riunione dei 45 chiamati a costruire il Partito democratico.

"Non è possibile che il governo Berlusconi abbia prodotto i disastri, ci abbia lasciato tutti i pozzi avvelenati. Conti nel baratro, guerra in Iraq, pensioni... E adesso la stessa gente sia capace di presentarsi come i salvatori dell'Italia. Ed essere presa sul serio. Mentre noi che stiamo davvero facendo risalire la china al Paese, ottenendo già dopo un anno dei risultati, veniamo bollati come la rovina del Paese. io mi assumo le mie responsabilità. Ma lo stesso dobbiamo fare tutti quanti. Almeno noi finirla di dare l'idea di non credere in quello che facciamo. Non ci massacriamo noi, massacriamo l'Italia, il futuro dei nostri figli".

Il ragionamento del presidente del Consiglio è allargato a tutta la sua maggioranza. "Un clima deve cambiare". Il suo futuro Prodi se lo gioca su questa sfida. Infernale.

Per preparare l'incontro di oggi in Piazza Santi Apostoli, il premier ieri è subito volato a Roma dopo l'incontro ad Assisi con il Papa. Un faccia a faccia pubblico e privato raccontato come profondo, affettuoso. "Sarà una giornata di preghiera per l'Italia" lo aveva salutato, nella città di San Francesco, il vescovo Domenico Sorrentino. "Non basterebbe una novena" ha risposto il presidente del Consiglio, Riso, amaro.

Il richiamo fatto sul Po, sabato, all'"aria irrespirabile" in Italia è un attacco scontato all'opposizione scatenata ma anche - e forse soprattutto - un richiamo ad una maggioranza sempre più sconcertata, con momenti che danno l'idea di rotta. Prodi, pur stanco, solo, amareggiato, non ci sta ad accettare il baratro, anche se nessuno è in grado di definirne fine, alternative, successori. "Non è possibile che Berlusconi non produca nulla e venda tutto. Mentre noi, che pur produciamo, non sembriamo capaci di vendere nulla" commentano i prodiani.

Mentre sul Sole 24 ore un sondaggio urla: "Il 73 delle imprese boccia il Governo Prodi". A febbraio 2006 il no di un mondo pur non amico si "fermava" al 60%. Segni di un clima, dilatato ben oltre gli imprenditori.
Problemi, non solo comunicativi, di raccontare quel che si fa con risorse scarsissime. Soprattutto di approccio a un'Italia di anime diversissime, segnata dal governo e dallo strapotere di Berlusconi e dalle divisioni, le incapacità del centrosinistra di trovare un raccordo positivo.

Di afferrare i molti fili del Paese e tramutarli in qualcosa di unico, comune, condiviso. E' su questo terreno scivoloso e franoso che Prodi conta di chiamare i suoi. Tutto da vedere quanto sarà ascoltato, fra "veleni" che circolano, Margherita, centro che spingono in un senso, estrema sinistra nell'altro, i Ds tesissimi per le intercettazioni di Ricucci ("uno che si difende e tira in ballo tutto per salvarsi"), gli attacchi a D'Alema e insieme le voci - "guidate, spazzatura che si aggiunge a spazzatura" - di contatti ombra con Berlusconi.

In mezzo il premier sotto assedio, con la sua maggioranza - come la scarsa settimana i parlamentari davanti al ministro Santagata - che ribolle impaurita. Prodi pubblicamente chiama a speranza e mobilitazione. "La situazione è difficile, molto. - ha raccontato ad Assisi, nel pranzo delle autorità - ma ci vuole pazienza e capacità di avanzare comunque tranquilli. Il recupero può avvenire quanto si renderà chiaro nella vita quotidiana degli italiani l'effetto dei nostri provvedimenti. E intanto dobbiamo svelenire un clima, anche fra noi". La speranza è un Dpef, poi una Finanziaria che dovrebbe essere non di cassa ma di redistribuzione. "E' la prima volta che succede dal '92" dice Giulio Santagata.

Poi i provvedimenti con cui si promette un abbassamento delle tasse. E gli aiuti per le famiglie, di cui Prodi ha molto parlato con Benedetto XVI. "Io ho una famiglia di 107 persone" ha raccontato Prodi al Papa.

E il Partito democratico. "E' necessario che nasca con la dovuta energia e passione" è il leit motiv di Prodi. "E' determinante - ha aggiunto -poi può finire bene o male".


(18 giugno 2007) 

da repubblica.it


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Giugno 22, 2007, 10:50:44 pm
Lettera al premier: sott'accusa Padoa-Schioppa Dpef, i ministri a Prodi: «Così non va» Pecoraro Scanio, Mussi, Ferrero e Bianchi chiedono un cambio di rotta al governo.

La replica del governo: fiducia nei ministri 
 

ROMA - I quattro ministri dell'ala radicale dell'Unione hanno scritto al premier Romano Prodi per dire che la trattativa con le parti sociali sul Dpef non va, serve «un cambio di rotta». È quanto chiedono i ministri Alfonso Pecoraro Scanio, Fabio Mussi, Paolo Ferrero e Alessandro Bianchi al presidente del Consiglio, in una lettera scritta venerdì mattina e inviata al premier, secondo quanto si apprende da fonti di maggioranza.

LA REPLICA DEL GOVERNO- La risposta è affidata al portavoce Sircana: «Prodi - dice - ha piena fiducia nell'operato dei suoi ministri. Le critiche sono lecite, ma devono essere fatte nel rispetto delle proprie deleghe».

LA LETTERA - «Caro Romano - si legge nella lettera dei quattro ministri - scriviamo innanzitutto per segnalarti la nostra forte preoccupazione relativamente al modo in cui viene condotta la trattativa con le parti sociali. Non condividiamo la posizione con cui il governo, e segnatamente il ministro dell'Economia, affronta questa trattativa. Da un lato, le risorse messe a disposizione per affrontare i temi sul tappeto sono troppo limitate e, dall'altro, il balletto delle cifre determina un quadro francamente incomprensibile per il Paese tutto». Dopo aver ricordato la «drammatica emergenza sociale ereditata» e le «sciagurate politiche del governo Berlusconi», nella lettera si chiede che «le questioni siano affrontate di petto: a partire dalla lotta alla precarietà attraverso il superamento della Legge 30, dalla definizione di un serio intervento di edilizia pubblica, dal rilancio della ricerca scientifica alla abolizione dell'iniquo scalone sulle pensione». «La questione sicurezza che attraversa il Paese - proseguono i ministri - deve essere affrontata prima di tutto con la ricostruzione di un sistema di sicurezza sociale e ambientale».

RISORSE - «La redistribuzione delle risorse recuperate dalla lotta all'evasione fiscale - puntualizzano i quattro ministri nella lettera al premier - deve essere netto e inequivoco, non acconsentendo a quelle richieste di riduzione del debito a tappe forzate che provocherebbero solo danni al paese, sia sul piano sociale che economico». «Ti chiediamo quindi di imprimere al confronto con le parti sociali la necessaria svolta capace di rispondere positivamente alle ragioni che ci hanno portato a vincere la sfida elettorale dell'anno scorso». Pecoraro Scanio, Mussi, Ferrero e Bianchi concludono avvertendo che sono nettamente contrari ad una «frettolosa ratifica» del Dpef, e chiedono a Prodi che gli venga mandato il testo un «congruo numero» di giorni prima della data prevista per la sua approvazione.

22 giugno 2007
 
da corriere.it


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Giugno 23, 2007, 07:51:56 pm
Intercettazioni: la legge e l’ottovolante
Gian Carlo Caselli


Torniamo a parlare di intercettazioni. Le tante, interminabili polemiche che ciclicamente si accendono sono favorite dal fatto che la disciplina vigente, invece di avere un andamento lineare, sembra piuttosto un ottovolante. In sintesi: gli atti (intercettazioni comprese) portati a conoscenza dell’interessato mediante deposito non sono più segreti. In quanto non più segreti sono legittimamente conoscibili da chiunque, a partire dai giornalisti. Ma del contenuto di questi atti non più segreti e conoscibili è vietata la pubblicazione, vale a dire che i giornalisti non li possono usare. Se però li pubblicano lo stesso, commettono sì un reato, ma il reato si estingue con l’oblazione, cioè pagando una somma modesta (massimo 125 euro). Neppure Pirandello avrebbe saputo inventarsi qualcosa di più sfuggente, rispetto a questo continuo “palleggio” (fra segreti caduti, divieti di pubblicazione del non più segreto e vanificazione del divieto violato) che è lo specchio di una realtà bizantina, fonte di confusioni e incertezze che rendono quasi impossibile - ai non addetti ai lavori - raccapezzarsi quando si parla di “fughe di notizie” che magari non sono per nulla tali.

La confusione, poi, offre a certi settori della politica il destro per essere indulgenti verso sé medesimi, lamentando appunto presunte “fughe di notizie”, per mostrare invece animosità verso media e magistrati. Ecco le accuse di circuito vizioso fra gli uni e gli altri, anticamera per la prospettazione di oscuri complotti. Ecco, in generale, una certa insofferenza verso i controlli, e quindi una diffusa tendenza a imboccare strade che preferiscono sovrapporre ai fatti verità virtuali ma vantaggiose. Cresce, in questo modo, il rischio che la crisi della politica si accentui, indebolendo quel primato della politica che è struttura portante della democrazia. Nel senso che il governo della società e il motore del “vivere giusto” possono stare soltanto in azioni politiche , cioè spettano esclusivamente alla politica, non alla Chiesa o alla Confindustria e meno che mai alla magistratura. Ma per esercitare questo suo primato la politica deve anche essere capace di umiltà e di ascolto. Ciò che in passato è avvenuto assai raramente, se si pensa quanto siano stati trascurati o disattesi gli indicatori di concrete esigenze di cambiamento (in termini di nuove leggi, più incisivi controlli, pretesa di più rigorose condotte) che le tante inchieste in tema di corruzione o di collusioni con la mafia hanno copiosamente fornito. Per contro, la politica ha preferito (e la tendenza sembra oggi riaffiorare) avvitarsi su se stessa, lungo percorsi di perenne autoassoluzione. Invece di accendere la speranza del rinnovamento, traendo spunto anche dalle risultanze delle inchieste giudiziarie, spesso ci si è consolati accusando la magistratura di straripamento (così rivelando di preferire i magistrati inerti e dimenticando che la democrazia esige verità e trasparenza).

Tornando alle intercettazioni, l’irrazionale “otto volante” di cui si è detto rende necessaria una nuova disciplina della materia. Il disegno di legge Mastella contiene alcune novità positive. Esso infatti prevede barriere molteplici e rigorose (oggi non esistenti) in grado di assicurare che siano depositate e poi acquisite al processo esclusivamente le intercettazioni rilevanti, cioè quelle che in base a specifica motivazione risultano strettamente pertinenti al tema delle indagini (accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato). Le altre dapprima sono conservate in un “archivio riservato”, poi vengono distrutte. Dalla trascrizione devono in ogni caso essere espunte le parti riguardanti fatti, circostanze e nomi estranei alle indagini. A questo punto, però, diventa inaccettabile il divieto - previsto dalla nuova legge - di pubblicare il contenuto delle intercettazioni depositate (non più segrete) fino alla conclusione delle indagini o fino alla sentenza di appello in caso di apertura del dibattimento. Inaccettabile perché illogico e soprattutto perché comprime in modo certamente eccessivo il diritto dei media di informare e dei cittadini di essere informati su vicende di pubblico interesse. Diritto che una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (ricorso 1914/02 contro la Francia) ha considerato prevalente su ogni altro, soprattutto quando si tratta di fatti scottanti che coinvolgono politici (di questa sentenza, del 7 giugno scorso, si dovrà ovviamente tener conto in sede di discussione del disegno di legge Mastella).

Debbo invece precisare un profilo del mio precedente intervento su questo giornale. Nel labirinto di bis, ter e quater, nel groviglio di commi, alinea, rimandi e richiami che caratterizza il progetto di riforma, mi son perso il punto che - in materia di proroga delle intercettazioni - tiene ferma la vigente disciplina quando si tratta di criminalità organizzata. Va però detto che l’impossibilità di prorogare le intercettazioni oltre i 90 o 45 giorni (a seconda che siano telefoniche o ambientali) se non quando emergano nuovi elementi investigativi, riguarda - tra l’altro - le indagini in materia di reati contro la pubblica amministrazione, di esercizio abusivo di attività finanziarie e di violazione delle regole concernenti la trasparenza del mercato finanziario. Cioè materie per le quali occorrono tanta pazienza ed inesauribile tenacia - esattamente come per la mafia - se si vogliono conseguire risultati significativi. Essere costretti a bloccare tutto se dopo un breve periodo non sono ancora emerse novità (pur risultando tutt’ora promettente la pista d’indagine aperta con l’intercettazione) può essere rovinoso.

Pubblicato il: 23.06.07
Modificato il: 23.06.07 alle ore 15.16   
© l'Unità.


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Giugno 24, 2007, 12:25:46 am
Il presidente del Senato Franco Marini bacchetta i sindacati

Pensioni: insostenibile il no ad aumento età «Un rigido no, rifiutando il discorso su un parziale, attento e contrattato aumento dell’età, non può essere sostenuto»   


LEVICO TERME (Trento) - Il presidente del Senato, Franco Marini, interviene sul tema del momento, la riforma delle pensioni: e lo fa per richiamare i sindacati a un atteggiamento meno ostinato. «Un rigido no, rifiutando il discorso su un parziale, attento e contrattato aumento dell’età (pensionabile, ndr), non può essere sostenuto», ha detto Marini, che è intervenuto alla Festa nazionale della Cisl a Levico Terme, in provincia di Trento. Una critica ancora più pesante se si pensa che Marini è stato a lungo, prima di Sergio D'Antoni, al vertice del sindacato cattolico.

TRATTATIVA DURA - «Spero - ha aggiunto Marini - che si arrivi a una conclusione positiva di questa faticosa e dura trattativa». E replicando a Guglielmo Epifani, che ieri aveva detto che una trattativa non poteva essere condotta con la calcolatrice, il presidente del Senato ha sottolineato, che «la previdenza deve ovviamente tenere conto anche dei conti pubblici» e che «non c' è una fonte inesauribile se si guarda alle pensioni dei giovani di oggi». Come a dire: il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa ha tutte le ragioni del mondo a usare la calcolatrice nella trattativa sulla riforma delle pensioni. A Padoa-Schioppa, «tutto gli si può dire meno che non si deve portare la calcolatrice - ha detto Marini - Caro Epifani, tutte le critiche gli si possono fare tranne che questa».

DILIBERTO: NON C'E' NEL PROGRAMMA - L'aumento dell'età pensionabile? Non è nel programma. Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, subito pronuncia un secco altolà al richiamo di Franco Marini: «Occorre che tutti rispettiamo il patto implicito siglato con gli elettori attraverso il programma del centrosinistra nel quale non vi era alcun accenno all'aumento dell'età pensionabile». E Diliberto rincara la dose, chiamando in causa anche Walter Veltroni, in predicato di divenire coordinatore del nuovo Partito democratico: «D'altro canto come spero appaia chiaro a tutti, il governo deve recuperare consenso e non perderne drammaticamente altro. Ma forse qualcuno punta proprio questo. Sarei curioso di conoscere , sul punto, l'opinione del prossimo segretario del Partito democratico...». Veltroni, per l'appunto.

BONANNI APRE AGLI SCALINI - Nell'intervento mattutino alla Festa della Cisl, il segretario del sindacato, Raffaele Bonanni, aveva minacciato «mobilitazioni» se non si fosse raggiunto un accordo sulle pensioni. Ma aveva anche aperto all'introduzione degli «scalini» per evitare lo scalone, ovvero il brusco innalzamento di tre anni (da 57 a 60 anni) dell'età pensionabile, con 35 anni di contributi. Una misura contenuta nella riforma Maroni sulla previdenza e che dovrebbe essere effettiva dal 2008.

SPESA E DPEF - Sulla riforma della pensioni è intervenuto anche Francesco Rutelli: «Sulle pensioni non si può scherzare - ha detto il vicepresidente del Consiglio e presidente della Margherita - ne va del futuro dei nostri figli. Dalla concertazione con le parti sociali e dal confronto politico - ha concluso Rutelli - deve uscire un accordo responsabile, ma la spesa previdenziale deve essere sostenibile per i decenni a venire». Insomma, sembrano isolati i ministri «ribelli» che venerdì avevano spedito una lettera al premier Romano Prodi, accusando Padoa-Schioppa di gestire in modo discutibile sia la trattativa sulle pensioni sia l'elaborazione del Dpef. «Così non va» avevano scritto Mussi, Pecoraro Scanio, Ferrero e Bianchi, chiedendo un immediato «cambio di rotta» al governo.

23 giugno 2007
 


Titolo: Fortino palazzo Chigi
Inserito da: Admin - Giugno 25, 2007, 10:06:57 pm
Attualità

CENTROSINISTRA ALLA PROVA / I PROGETTI DEL PROFESSORE

Fortino palazzo Chigi
di Edmondo Berselli


Crollo dei consensi. Leader intercettati. Il governo sotto assedio prova a reagire. Così Prodi punta sul Dpef e sul Partito democratico
 
Un assedio. La coalizione di centrosinistra con i leader ammaccati dalle intercettazioni e dai verbali degli interrogatori di Stefano Ricucci. Il sospetto serpeggiante anche nella famiglia diessina che Piero Fassino e Massimo D'Alema fossero iscritti in un 'concerto' che spartiva pezzi di economia fra sinistra e destra, Bnl da una parte e Antonveneta dall'altra, con sullo sfondo la possibile 'finlandizzazione', cioè una neutralizzazione spartitoria, del 'Corriere della Sera'. E il governo Prodi protagonista involontario della più colossale caduta di consenso che si sia mai vista nella storia della Repubblica. Il premier fischiato in ogni occasione, anche dalla platea che si immaginava non ostile della Confesercenti. Le regioni del Nord che alle amministrative consegnano il foglio di via al centrosinistra, indicando percentuali intorno al 30 per cento. È la fine di una stagione? Per capirlo si può tentare di penetrare nel quartier generale del governo, sentire gli umori, raccogliere le valutazioni delle persone più vicine al premier. Ascoltare un grido di dolore silenzioso.

Guardiamo alle condizioni di scenario, dicono le voci di Palazzo Chigi. I politologi sostengono che il governo è impopolare perché al Nord si aspettavano libertà e hanno avuto tasse, mentre al Sud si attendevano trasferimenti pubblici che non sono arrivati. Il governo vittima delle aspettative asimmetriche. Ma ci sono anche ragioni più strettamente politiche. I Ds sono in condizioni preoccupanti. La scissione di Fabio Mussi a sinistra. E nel partito il diffondersi di un cattivo pensiero, l'idea o l'esorcismo di un complotto che viene da lontano, ossia che tutto vada fatto risalire alle esternazioni di Arturo Parisi due anni fa, quando l'attuale ministro della Difesa accennò al possibile riemergere di una "questione morale" a sinistra.

Non gliel'hanno mai perdonata, a Parisi, come se quella fosse la prova di una grande macchinazione e la dimostrazione implicita che a ordirlo fossero stati loro, gli ulivisti fondamentalisti, i prodiani, l'école parisienne. Ma non ci sono difficoltà soltanto sul fronte diessino: non passa giorno senza che Francesco Rutelli attacchi pesantemente la politica economica e fiscale del governo, e questo alimenta dubbi sul futuro. A quanto si capisce, se cade Prodi potrebbe esserci un governo di transizione più o meno lunga: che cosa succede del Partito democratico in questo caso? Bisogna chiedersi che cosa accadrebbe se crollasse il governo: rischierebbe di cadere anche il bipolarismo? In questo caso i Ds porterebbero a casa solo guai, mentre per le frange centriste della coalizione si creerebbero delle opportunità. A pensar male si fa peccato, ma si va vicini alla verità.

Naturalmente, ironizzano i Chigi-ultras, non c'è nessun complotto prodiano o parisiano. C'è un clima di rifiuto della politica, che ha avuto un detonatore nel libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, 'La casta', e c'è la crisi di credibilità del governo. Tuttavia bisognerebbe fare un modesto ragionamento ed elencare qualche dato fattuale: allora, abbiamo una crescita del Pil al 2,3 per cento; l'inflazione è la più bassa d'Europa, mezzo punto sotto la zona euro; i conti pubblici sono sotto controllo; la disoccupazione è la più bassa da quindici anni; abbiamo dato alle imprese il taglio del cuneo fiscale; siamo usciti elegantemente dall'Iraq; siamo al comando di una forza di pace in Libano che ha rappresentato anche simbolicamente una discontinuità netta rispetto all'unilateralismo americano e al conformismo americanista della destra italiana.

E allora, dice la voce profonda di Palazzo Chigi, qualcuno dovrebbe provare a spiegare come fa una somma di elementi positivi a trasformarsi, nella percezione pubblica, in un disastro. Tanti dati buoni che danno come somma una catastrofe. Se questi risultati li avesse fatti Berlusconi, avrebbe inneggiato a se stesso e ai suoi miracoli. Noi, invece, è chiaro che agli occhi del mondo siamo gente di qualità mediocre: abbiamo risanato sì, ma dal lato delle entrate, come dice il governatore Draghi, cioè con le tasse; e il risanamento c'è, ma è congiunturale, dice la Confindustria: un saldo di bilancio, non una messa in efficienza dei comportamenti statali.

Certo, insistono i prodiani, non possiamo rispondere alla crisi di rigetto del paese dicendo che non sappiamo comunicare. Ci sono ragioni più serie. Se guardiamo alle elezioni amministrative di fine maggio, ci accorgiamo che avevamo il territorio e non l'abbiamo più: cominciano a diventare contendibili anche aree di insediamento politico che prima erano indiscusse, in Liguria, Emilia, in Toscana, in Umbria. Il fatto è che noi ulivisti per dieci anni abbiamo coperto la malattia dei Ds, con l'Ulivo: ora che l'Ulivo non funziona più ce la faremo con il Partito democratico? È l'ultima chance.

In ogni caso, nessuno grida alla cospirazione delle lobby economiche e dei potentati mediatico-finanziari; ma c'è da considerare quella che Giulio Santagata, ministro per l'Attuazione del programma, ha definito "la debolezza dei poteri forti": i quali poteri per ovviare alla loro fragilità hanno interesse a puntare sull'indebolimento della politica. Con effetti anche clamorosi, perché Gianfranco Fini che riceve gli applausi dei giovani industriali quando difende il Pra dalle liberalizzazioni di Bersani dà un segno di che cosa significa il corporativismo.

Questo è l'elenco dei mille dolori. Adesso si tratta di vedere quali sono gli strumenti per cercare di uscire dall'impasse. Le 'cartucce' da sparare, come dicono nell'entourage prodiano, cioè la dimostrazione che il governo è in grado di decidere e decide. La prima cartuccia è la Tav, che sembra giunta a una soluzione onorevole. Consideriamo anche che il governo è dovuto intervenire su problemi lasciati marcire da Berlusconi, e quindi difficili da trattare: il Mose a Venezia, ripreso dopo che era stato messo in abbandono, i rifiuti a Napoli. Però pensiamoci, abbiamo chiuso la Maddalena in ottimo ordine, siamo alla guida di 13 mila uomini in Libano, siamo venuti via dall'Iraq in modo perfetto, come ha riconosciuto anche Bush: E allora, spiegateci il mistero: Zapatero esce traumaticamente dalla guerra ed è un eroe, noi usciamo con un passo di danza, con tutti i crismi e il rispetto dell'alleanza e siamo delle caccole. Bene così, ma c'è qualcosa che non si spiega.

La seconda cartuccia consiste nel chiudere bene i tavoli della concertazione. Che significa due questioni principali: pensioni e ammortizzatori sociali. Sulle pensioni si deve sapere che l'abolizione dello scalone costa circa 9 miliardi, e quindi serve a poco fare la voce grossa, come ha fatto il segretario della Cgil Epifani in apertura di trattativa. Occorre una soluzione. Nel frattempo però si interverrà sulle pensioni minime, per far tirare un respiro ai pensionati da meno di 500 euro al mese: con l'extragettito si aumenteranno le pensioni minime di una trentina di euro, e il primo anno arriveranno tutti in una tranche, 350-400 euro in un colpo solo, sicché anche loro si accorgeranno che non facciamo promesse a vuoto. Quanto agli ammortizzatori sociali, si lavora sulla 'totalizzazione', cioè sulla possibilità da parte dei lavoratori precari di ricongiungere periodi di contribuzione anche saltuari.

Dopo di che, l'appuntamento principale è il prossimo Dpef, che rappresenta un momento centrale perché mostrerà che l'azione del governo ha dato i suoi frutti. Potrà portare a una finanziaria senza manovre e senza la minaccia di tagli e amputazioni, e potrà anche mostrare l'intenzione di tagliare le tasse a chi le paga. Adesso a Palazzo Chigi aspettano con un certo ottimismo i dati sull'autotassazione, che sembrano promettenti e in grado di sostenere una politica seria di riduzione del peso fiscale. Nel frattempo, anche pochi ringraziano, si taglia l'Irap del 26 per cento: "Questo governo di incapaci opera un intervento fortissimo sulla tassazione alle imprese".

Altra cartuccia, l'intervento sui costi della politica: che era uno dei punti di attacco della politica prodiana, e che in questo clima diventa una manovra quasi soltanto difensiva. Comunque, c'è in atto un coordinamento fra cinque ministeri, per riuscire ad armonizzare misure di trasparenza e di sfoltimento degli organismi politici e parapolitici. Ma quanto ai costi della politica, dicono i Chigi-pasdaran, sarebbe il caso di non dimenticare che i liberista Berlusconi ha fatto due contratti del settore pubblico con un aumento di oltre il 5 per cento. Fra le curiosità, all'ultimo G8 si è scoperto che non avevamo saldato tutte le rate del Global Forum sull'Aids, che era stato voluto da Berlusconi in persona.

Ma la cartuccia vera, e qui i Prodi boys traggono un sospiro fra la speranza e la rassegnazione, è il Partito democratico. Adesso, dopo che Michele Salvati aveva auspicato un atto di coraggio da parte del premier, Prodi lo ha preso alla lettera e ha dato via libera all'elezione diretta del leader. Se lo ha fatto, vuol dire che si è reso conto che si era sviluppata una battaglia potenzialmente letale fra due partiti, uno ufficiale, i 'bipolaristi', e uno clandestino, gli 'inciucisti'. La decisione di accelerare sul Partito democratico nasce evidentemente dal timore che il partito inciucista potesse approfittare delle more in cui si trovava il Pd per tentare altri giochi, altre manovre. Senza rendersi conto, dicono i bipolaristi purissimi di Palazzo Chigi, che progettare e realizzare governi di larghe intese con Berlusconi significa consegnargli l'atout per scegliere il momento del ritiro della fiducia e andare alle elezioni alle sue condizioni.

Quindi? Resistere, resistere, resistere. Sapendo che ogni giorno può portare l'incidente fatale. E che il risentimento diffuso contro il governo è altissimo. Ma con l'idea che si può ancora risalire la china. A testa bassa, con la classica ostinazione di Prodi. Perché molti non capiscono, dice l'ultimo dei resistenti, che se cade il governo Prodi non c'è un'alternativa e non c'è lieto fine. È il fallimento del centrosinistra, dell'Unione, di tutta una classe dirigente: e allora ne riparleremmo fra vent'anni.

da espressonline.it


Titolo: Con la testa alle urne
Inserito da: Admin - Giugno 27, 2007, 12:12:32 pm
26/6/2007
 
Con la testa alle urne  
FEDERICO GERMANICCA
 
E’probabile che, nonostante l’esigua maggioranza al Senato, il referendum elettorale all’orizzonte e le fibrillazioni nella coalizione, il voto anticipato non sia dietro l’angolo.

E’ un fatto, però, che nell’ultima decina di giorni l’Unione ha risistemato alcune cose in maniera tale che se si dovesse invece precipitare verso uno showdown elettorale assai anticipato rispetto alla scadenza prevista, ecco, a quell’appuntamento il centrosinistra ora potrebbe arrivarci con qualche cartuccia in più. C’è anche questo, a ben vedere, dietro le scelte definite ieri dal governo in materia di politica economica: dopo i tagli, i sacrifici e le decisioni impopolari dei primi dodici mesi, arriva il tempo dell’aumento delle pensioni minime, della riduzione delle tasse (l’impegno sull’Ici) e di una politica - insomma - più di investimento che di risanamento. E’ un cambio di rotta non da poco: che sommato alla scelta di giocare sin da subito la carta-Veltroni (oggi candidato alla guida del Pd, domani a quella del governo) trasmette agli osservatori la sensazione che il centrosinistra riorganizzi linea e squadra come se le elezioni potessero davvero essere più vicine di quel che oggi si possa immaginare.

E’ possibile si tratti semplicemente della risultante oggettiva di decisioni non più rinviabili, e che hanno logiche e obiettivi del tutto distinti e autonomi l’una dall’altra. Ed è proprio in questa chiave, naturalmente, che Romano Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa ieri hanno motivato e illustrato ai leader della maggioranza la nuova linea in materia di economia: persino sorprendendo ministri e capigruppo della sinistra radicale, arrivati alla lunga serie di riunioni di ieri con la pistola - come si dice - carica e in mano. Tps in particolare si è subito scansato dalla possibile linea del fuoco, senza nemmeno attendere l’avvio dell’ostilità. Spiegherà poi Anna Finocchiaro: «Mi pare di poter dire che il ministro è orientato a non essere così rigoroso rispetto alle indicazioni per il piano di rientro nel rapporto deficit/pil». Ora, considerando il rilievo che Tommaso Padoa-Schioppa ha sempre attribuito al riequilibrio di quel parametro ed al giudizio degli organi internazionali, la svolta non è da poco. Così come è assai significativo il ragionamento all’interno del quale Romano Prodi ha inserito le novità dell’aumento di due milioni di pensioni minime e la riduzione dell’Ici.

Raccontano, infatti, che il premier si sia prima preso qualche soddisfazione («Ho detto più volte che bisogna giudicare il governo in una logica di legislatura, e che dopo i sacrifici sarebbero arrivati i benefici») e poi abbia spiegato, con qualche rapidità, la novità che permette al governo di metter mano al portafogli: «Immaginavamo che occorressero due anni per il risanamento, ma sia le misure messe in campo con la Finanziaria sia l’extragettito fiscale ci permettono di aprire subito una fase di investimento, sviluppo e sostegno alle famiglie». Che tutto questo - sia il minor rilievo attribuibile al parametro deficit/pil, sia la possibilità di avviare una politica di spesa - che tutto questo, dicevamo, sia stato scoperto nel giro di una settimana, può magari destare qualche sospetto ma è certo stato accolto con grande soddisfazione da tutta la maggioranza di governo.

E’ possibile, in fondo, che il tandem Prodi-Tps si sia reso conto negli ultimi giorni dell’impossibilità di reggere l’urto contemporaneo delle pressioni sia dell’ala radicale che dell’ala riformista della coalizione. Perché se è vero che la lettera critica di Pecoraro Scanio, Mussi, Ferrero e Bianchi aveva riaperto un pericoloso fronte polemico con la sinistra radicale, è altrettanto vero che, su queste materie, la pressione di Ds e Margherita sull’esecutivo non s’era mai allentata. E’ dall’autunno scorso che Piero Fassino si sgola nel chiedere un «cambio di passo» all’esecutivo; e sono ormai mesi che Francesco Rutelli insiste sulla riduzione dell’Ici (senza contare gli appelli di ministri come Bindi e Mastella per una politica di sostegno alle famiglie). Il deludente risultato elettorale delle amministrative di un mese fa, ha fatto scattare l’allarme rosso nel centrosinistra, aumentare la richiesta di un cambio di rotta del governo e probabilmente convinto Prodi e Padoa-Schioppa che era giunta l’ora, se non proprio di aprire, almeno di schiudere il portafogli.

Magari non c’entra niente: però, per tornare all’inizio, l’effetto congiunto della discesa in campo di Veltroni e della svolta in economia è quello di rendere meno vulnerabile la maggioranza di governo sui due terreni di maggior sofferenza. Che sono, appunto, il cosiddetto «discredito della politica» (per l’assoluta assenza di rinnovo della classe dirigente) ed una politica economica che ha fatto del governo Prodi - secondo la vulgata dell’opposizione - semplicemente il «governo delle tasse». E’ possibile che le due mosse aiutino l’Unione a ritrovare un po’ del consenso perso nel Paese. Ed è certo che la mettono in condizioni meno traballanti di fronte all’eventualità di un incontrollato precipitare verso le elezioni. Se poi saranno anche in grado di far davvero «ripartire il Paese», lo si vedrà. E non occorrerà davvero aspettare molto...
 
da lastampa.it


Titolo: Gianfranco Pasquino La sfida dell’erede
Inserito da: Admin - Luglio 02, 2007, 05:00:42 pm
La sfida dell’erede
Gianfranco Pasquino


La fiducia nel governo Prodi è scesa, almeno secondo i sondaggi dell’Atlante politico di Ilvo Diamanti e dei suoi ottimi collaboratori, a livelli davvero bassi. Per intenderci, sarebbe piombata persino al di sotto di quella degli americani per l’Amministrazione Bush. Distribuzione del tesoretto, ridefinizione dello scalone, contenuti del Dpef, conflitto Visco-Speciale sono tutte tematiche sulle quali il governo oscilla e barcolla.

È difficile sostenere, alla luce della composizione della coalizione di centro-sinistra, se con un già completato e attrezzato Partito Democratico la situazione sarebbe diversa e migliore. Quello che è certo è che la transizione al Partito Democratico e alla sua nuova leadership sta complicando, nonostante la comprovata lealtà di Walter Veltroni nei confronti di Romano Prodi, la vita grama del governo. L’affermazione di Veltroni «se cade il governo Prodi fallisce il progetto» rischia di rivelarsi pericolosa. Da un lato, infatti, incoraggia tutti coloro che sono contrari al Partito Democratico a dare una piccola, ma decisiva, spintarella per una crisi di governo; dall’altro, lega un ambizioso progetto di lungo termine per la ristrutturazione del sistema partitico italiano alla durata del governo. Soltanto se Veltroni e Prodi sapranno operare come un vero team, l’esito positivo avrà qualche chance di realizzazione.

Purtroppo, quello che contribuisce alla destabilizzazione del governo Prodi sono le molte incertezze sul percorso del Partito Democratico e del ruolo della sua leadership. A tutt’oggi, abbiamo il discorso di Veltroni di accettazione della sua candidatura a capo del nascituro partito, ma non abbiamo neppure le regole per la presentazione delle candidature, per la formazione delle liste nei diversi collegi e per le modalità con le quali i cittadini “democratici” avranno la possibilità di partecipare in maniera influente alla elezione della Assemblea Costituente. Naturalmente, quanto più breve sarà il tempo a loro disposizione tanto minore sarà l’influenza politica dei cittadini democratici partecipanti e la palla rimarrà saldamente nelle mani dei politici di lungo e solo corso, con più o con meno di sessantacinque anni.

Sicuramente, questo insieme di effetti non è stato voluto da Veltroni, ma il suo discorso del Lingotto, apprezzato, che non è affatto un fenomeno negativo, anche da Luca Cordero di Montezemolo, si configura come una sorta di programma, se non alternativo, almeno aggiuntivo e correttivo delle famigerate 281 pagine siglate dagli Unionisti. È una specie di manifesto del leader, non necessariamente del tutto condivisibile, anche perché in alcuni punti, non soltanto quelli istituzionali, già criticati da Giovanni Sartori, alquanto vago, ma sicuramente inteso come la individuazione di una missione da compiere. Cosicché, ripeto, anche senza volerlo, la struttura della situazione, ovvero un candidato investito dall’alto e già, in gran parte, plebiscitato dal basso, dove i cittadini democratici non riescono a organizzarsi e non vedono candidature alternative (in attesa di un altro ticket, davvero previsto dai saggi promotori?, Bersani-Letta, e della discesa in campo di Arturo Parisi, che non potrà continuare a limitarsi a giuste e incisive critiche senza tradurle in pratiche politiche) e che ha stilato e declamato un manifesto per il cambiamento possibile, Veltroni inevitabilmente diventa lo sfidante di Prodi. Era prevedibile ed è stato previsto. La conseguenza è logica, nei fatti.

Un Prodi senza partito doveva rivendicare la presidenza automatica del Partito Democratico e scegliere lui stesso un segretario organizzativo, ovviamente non Veltroni. Adesso, ovvero dal 14 ottobre, ma sarà una lunga estate calda, di dichiarazioni, di rivelazioni e di sospetti, il Partito Democratico avrà un erede designato di Prodi poiché mi parrebbe assurdo fare altre primarie e poiché una eventuale crisi di governo, possibile in qualsiasi momento, potrebbe implicare un (quasi) immediato ritorno alle urne. Peraltro, l’estate potrebbe servire anche a portare chiarezza sul profilo del Partito Democratico, sulla sua capacità di agire, come ha detto Veltroni, da “regolatore” di un sistema politico, economico, sociale, che, con buona pace della caricatura che Michele Salvati continua a fare delle socialdemocrazie classiche (e, persino, contemporanee), è il compito che i partiti progressisti si propongono regolarmente e che, spesso, svolgono con successo. Garantire «economia di mercato, non società di mercato», questo è quanto deve fare, come ha scritto con ammirevole sintesi Giorgio Ruffolo, la politica dei progressisti. Se c’è una filosofia politica del Partito Democratico dovrebbe essere proprio questa. Ma, può il sindaco di Roma, candidato in dirittura d'arrivo vincente alla guida del Partito Democratico, articolare le sue posizioni, di breve e di lungo periodo, senza entrare in conflitto con il governo Prodi? Intravedo una sfida, nelle parole, nelle cose, nelle preferenze, nelle scelte, che non promette nulla di buono, a meno che non venga intelligentemente orientata a mobilitare un popolo democratico oggi del tutto sottoutilizzato, spesso messo ai margini e abbastanza perplesso sulle modalità e sull'esito di quello che dovrebbe essere un traguardo ambizioso: un partito grande, aperto, federato, progressista a sostegno, ma anche capace di assumere la guida di un governo dinamico, efficace, sostenuto dalla fiducia, non soltanto dei suoi elettori.

Pubblicato il: 02.07.07
Modificato il: 02.07.07 alle ore 11.24   
© l'Unità.


Titolo: Il nervosismo di Prodi: non parteciperò a nessuna festa di partito
Inserito da: Admin - Luglio 04, 2007, 10:38:19 am
Il nervosismo di Prodi: non parteciperò a nessuna festa di partito

La giornata orribile di Palazzo Chigi

Pensioni, Dpef, rischi in Senato.

De Mita: governo morto, manca il medico legale


ROMA — Per tutta la giornata ha gestito l'aula di palazzo Madama, con una maggioranza a corto di numeri e l'opposizione che dai e dai alla fine è riuscita a mandar sotto il governo sull'Iva. «Fossero questi i problemi» ha commentato Marini con un amico di partito al termine della seduta: «Sono le pensioni il vero nodo e lì temo che...». Il presidente del Senato non ha concluso la frase, non ce n'era bisogno: tutti sanno ciò che lui ha capito dopo averne parlato con Bertinotti nei giorni scorsi. Marini scorge l'ombra che cala su Palazzo Chigi da Montecitorio, dove il presidente della Camera attende gli esiti della trattativa sulla previdenza, ma con l'intenzione di non condividere un eventuale compromesso «a danno dei lavoratori »: «Le pensioni non sono l'Afghanistan. Sulle pensioni non si possono proporre mediazioni estranee al programma di governo ». Il suo ruolo istituzionale gli impone un certo grado di riservatezza, ma ha avuto modo di far sapere che considera «inaccettabile il tentativo di scatenare un conflitto tra generazioni, mettendo i giovani contro gli anziani».
Bertinotti l'ha spiegato al sottosegretario alla presidenza Enrico Letta e ai ministri Bersani e Damiano: non c'è alcuna intenzione di mettere in crisi il governo, ma non c'è nemmeno l'intenzione di piegarsi dinanzi a una «battaglia ideologica». Se non l'ha detto personalmente a Prodi è perché negli ultimi tempi si sono diradati i contatti. È già accaduto che tra il premier e il presidente della Camera ci fossero momenti di distacco. Questo è uno di quei momenti, che coincide con una giornata orribile per Palazzo Chigi: con il Fondo monetario internazionale che bacchetta il governo sul Dpef; con l'opposizione che si ricompatta presentando un'altra mozione contro Visco; con il voto sull'Iva al Senato, dove Andreotti si trasforma nel salvatore dell'Unione; e con Di Pietro che dichiara guerra alla riforma dell'ordinamento giudiziario. De Mita a volte sa essere conciso: «Il governo è morto. Manca solo un medico legale che lo certifichi ».

Raccontano di un Prodi molto nervoso, per nulla disposto a fare concessioni e nemmeno a concedersi di qui in avanti: «Questa estate non parteciperò a nessuna festa di partito». Somiglia tanto a una dichiarazione di guerra preventiva, a fronte degli inviti che gli giungono. Mastella voleva bissare l'offerta di Telese, la Margherita era pronta ad aprirgli le porte della kermesse in Salento. Niente da fare, «niente dibattiti». Al contrario di Berlusconi, che dopo aver dato buca a Rutelli l'anno scorso, avrebbe gradito stavolta esser presente. Quest'anno le parti si sono rovesciate. Eppoi non è nemmeno certo che la festa della Margherita si faccia. D'altronde, cosa ci sarebbe da festeggiare? «La situazione è drammatica», ammette il leader dello Sdi Boselli: «E meno male che Veltroni sostiene di lavorare perché il governo arrivi al 2011. In realtà gli sta accorciando la vita. A settembre temo si arriverà allo scontro tra Prodi e il sindaco di Roma». È inutile tuttavia parlare del futuro se il presente riserva un'incognita difficile da decifrare: la riforma delle pensioni. Sul resto ci sono margini per evitare il naufragio. Sull'ordinamento giudiziario, per esempio, Di Pietro è pronto a votare la fiducia se il governo la porrà. Nelle settimane scorse l'ex pm era tentato di uscire dal governo per dare solo «l'appoggio esterno a Prodi». Al momento però non intende esporsi, sebbene continuino i suoi contatti con l'opposizione e si sia scambiato dei segnali — anche se non per via diretta — con lo stesso Berlusconi.

È la previdenza il vero spartiacque, «è lì io temo», ragiona Marini. Nell'Unione è opinione comune che se il premier riuscisse a trovare una soluzione, avrebbe garantito almeno un altro anno a Palazzo Chigi. Ma come sarà possibile conciliare gli opposti? Già Dini sul versante moderato dell'Unione, e i vari Giannini Rossi e Turigliatto sul fronte massimalista, si sono disposti sulle barricate. Sono tutti senatori, e al Senato il centrosinistra non ha margini numerici. Il nodo poi è politico, ed è difficile trovare un punto di mediazione tra chi — come il ministro diellino Fioroni — dice che «la riforma va fatta perché non possiamo tradire i nostri figli e i nostri nipoti», e chi — come il capogruppo del Prc Russo Spena — spiega che «non esistono difficoltà di equilibrio economico», accusa l'Unione europea «di aver scatenato una battaglia che riguarda solo 128 mila persone », e definisce «terroristica l'azione del Centro studi di Confindustria, che numeri alla mano sposta al 2015 le eventuali difficoltà del sistema».

Divisi e distanti. Il Pd da una parte e la sinistra radicale dall'altra. Per un Bertinotti che cita le pagine del programma come fossero un vangelo, c'è un D'Alema che si fa interprete dello «strappo» di Serravalle Pistoiese, e avvisa sindacati e alleati: «Non ci sono i soldi per togliere lo scalone». Ecco il punto su cui l'Unione rischia la rottura, ecco perché la giornata di ieri — per quanto orribile — non incide sulle sorti del governo. Prodi lo sa dove, quando e con chi si giocherà tutto. L'ha confidato a Boselli, sottoforma di battuta il giorno in cui Veltroni si è candidato alla guida del Pd: «Anche tu, Enrico, sei tra quelli che vogliono sostituirmi?».

Francesco Verderami
04 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: 'Famiglia cristiana' attacca Prodi "Poco impegno per padre Bossi"
Inserito da: Admin - Luglio 05, 2007, 12:18:48 pm
POLITICA

Il governo: nessuna discriminazione. Corteo a Roma per "salvare i cristiani".

Centinaia di persone, anche Fini e Berlusconi

'Famiglia cristiana' attacca Prodi "Poco impegno per padre Bossi"

Il vicepresidente della Comunità ebraica: "Ovunque libertà di fede"

Berlusconi: dal Vaticano ebbi imput a mediare per la libertà religiosa"

di MARCO POLITI


ROMA - Famiglia Cristiana punta l'indice contro Palazzo Chigi. Per padre Giancarlo Bossi - scrive - la mobilitazione governativa è scarsa. Immediata la replica del Governo: è insensato parlare di "discriminazioni" nell'impegno per la liberazione di un cittadino italiano.
Il settimanale accusa che muoversi per un "prete" non sia importante per il Governo e parla di "silenzio totale" sulla vicenda del missionario. Una certa Italia, insiste la rivista, si sarebbe "appassionata ad altri sequestri". "Non c'è stata alcuna riunione del Governo per padre Giancarlo", scrive l'editoriale "e non c'è stato un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che ha convocato un vertice segreto". Come per le due Simone o per Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto. Non si è mossa nemmeno la Croce Rossa - incalza Famiglia Cristiana - né Scelli né Gino Strada.
La conclusione è ruvida: "Quel Giancarlo Bossi è un prete. Quasi che la Chiesa sia abituata alle persecuzioni. Diventano martiri, vanno in paradiso. Perché mobilitare servizi segreti e spendere denaro per ottenere la loro liberazione?".

Sorpresa e amareggiata la reazione di Palazzo Chigi, che sottolinea in una nota che la vicenda di padre Bossi è stata sistematicamente seguita dal Governo e dalla Farnesina come avviene per tutti i cittadini italiani: "Non si fanno ovviamente distinzioni di sorta tra ruoli, luoghi o valutazioni geopolitiche". Se poi il sequestro ha avuto un impatto mediatico diverso da altri casi non è certo colpa del Governo. Con irritazione Palazzo Chigi definisce "grave" l'insinuazione strumentale che nel caso di padre Bossi "la tonaca rappresenti un discrimine negativo" nelle scelte e nelle azioni governative.

Una forte pressione per la liberazione del missionario è venuta anche dalla manifestazione "Salviamo i cristiani", promossa da un comitato guidato dallo scrittore Magdi Allam per denunciare la persecuzione e la discriminazione dei cristiani nel mondo. Nutrita la partecipazione dei politici del centro-destra (da Berlusconi a Fini, a Castelli, Formigoni, Pezzotta, Pera, Buttiglione, Vernetti), mentre scarsa è stata la folla. Qualche migliaio di persone, piazza Santi Apostoli piena a metà. Tra i presenti le bandiere di Azione Giovani e qualche cartello sulle "Radici cristiane" e l'appello "Cristiani, mai più nelle catacombe".
Ha pesato certamente il fatto che alcuni dei promotori siano stati tra i corifei più accesi dell'invasione dell'Iraq, che ha distrutto una società laica, alimentando quel fondamentalismo e quel terrorismo che stanno mettendo in gravi difficoltà anche i cristiani. Ma sono intervenuti anche esponenti del centro-sinistra come Ranieri (Ds), Castagnetti (Dl), il socialista Villetti, lo scrittore Khaled Fouad Allam. Presenti, inoltre, il rabbino di Roma Di Segni, il direttore dell'Anti Defamation League Abraham Foxman, il presidente dell'Alleanza evangelica italiana Mazzeschi, Jesus Carrascosa di Cl, il direttore di Avvenire Boffo.

Preoccupati gli interventi. Per Pacifici, vicepresidente della Comunità ebraica, la manifestazione non è un attacco ai musulmani, ma la rivendicazione di libertà per tutti. Don Cervellera, direttore di Asia News, ha sottolineato la necessità di una conferenza di pace in Medio Oriente, ma anche la libertà religiosa in Cina. A Repubblica Souad Sbai, dell'associazione donne marocchine, ricorda che nel mondo islamico "donne, cristiani e veri musulmani sono tutti nella stessa barca, chiedendo democrazia e la fine dell'odio". Acceso l'intervento di Magdi Allam: "Assistere in silenzio alla persecuzione dei cristiani, sarebbe stato farsi complici".
Tra i presenti l'ex premier Berlusconi ha commentato: "Quando i cristiani non possono manifestare la propria fede, il mondo civile deve denunciare questa barbarie". E ha ricordato il suo impegno in tal senso. "In tutti i colloqui che abbiamo avuto quando ero al governo abbiamo agito sempre per garantire libertà religiosa. L'ho fatto in Cina, in Arabia Saudita e in tutti i paesi del Nordafrica dove abbiamo concordato con la Santa Sede l'intervento dopo aver ricevuto un input preciso".

(5 luglio 2007) 
da repubblica.it


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Luglio 05, 2007, 12:42:59 pm
IL RETROSCENA

Tonino e Clemente, parte la «corsa» ai contatti con Silvio

Unione nella bufera.

Il ministro delle Infrastrutture: perché è legittimo solo se lo fanno quelli del Pd? Il 30 agosto il Cavaliere a Telese 

 
ROMA — Siccome ieri pomeriggio Mastella e Di Pietro avevano siglato un armistizio sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, l’Unione ha voluto comunque garantirsi la rissa di giornata: c’è riuscita accapigliandosi sulla riforma della legge elettorale. «La fibrillazione è una condizione cronica per questo governo», dice il capogruppo del Prc alla Camera, Migliore. Ed ha ragione. D’altronde è da un anno che Prodi convive con il bradisismo e ci si è abituato. Un politico di lungo corso come Maccanico, che osserva le mosse di palazzo Chigi dal Senato, lo definisce «il governo delle forze di inerzia»: «Non funziona, ma va avanti grazie a Berlusconi, che al contrario di Casini e Fini vuole impedire l’avvento di un altro esecutivo».

Da tempo il leghista Calderoli ne è convinto, e ora giura di aver le prove a sostegno della tesi: «L’altra sera ho chiamato il Cavaliere e l’ho avvisato, "Silvio, il governo è cotto". Mi ha risposto: "Bene, allora bisogna accelerare". Poi è andato all’ambasciata israeliana e ha sputtanato tutto, annunciando che ci sono dei senatori della maggioranza pronti a passare con noi. È come se avesse gridato "al lupo, al lupo", quando il lupo è lui. La verità è che pensa di andare alle elezioni con l’attuale governo, perché è convinto che basti e avanzi per la nostra campagna elettorale. Al contrario di Bossi e Fini non si è ancora rassegnato all’idea che il centrosinistra non ci manderà mai alle urne con Prodi ancora in sella».

Il primo ad averlo capito è il Professore. A sentire il resoconto che Mastella ha fatto ai suoi, dopo aver parlato con il premier nelle pause della Conferenza sull’Afghanistan, «Romano è fuori dalla grazia di dio, è incattivito con tutti gli alleati. A iniziare da Veltroni. Lui dice che si sbagliano a darlo per morto e che se ne accorgeranno». Non è una minaccia, è una promessa, che in queste ore si accompagna alle voci più disparate. Rimpasto è la parola che si sente sussurrare nella maggioranza, che corre incontrollata di bocca in bocca, che si alimenta per le tensioni. Il rimpasto sarebbe la mossa che il premier ha in mente per rafforzarsi. C’è chi parla di Fassino pronto a essere imbarcato, chi assicura che Padoa-Schioppa sarebbe con le valigie in mano, destinazione Fondo monetario. Ma proprio ieri il ministro dell’Economia ha assicurato la sua presenza alla festa di Telese, per il 27 agosto. Prodi non ci sarà, in compenso ci andrà Berlusconi il 30 agosto. Previsti fuochi d’artificio.

E visto che gli inviti di Mastella non sono mai casuali, s’intuisce il traffico che c’è al centro. «Inciuciano tutti, pure quelli del Partito democratico, e non posso inciuciare io?», commenta il capo dell’Udeur. E come dargli torto. Anzi, per una volta lui e Di Pietro non solo la pensano allo stesso modo. Si muovono allo stesso modo. C’è traccia dappertutto dei contatti tra Forza Italia e l’Italia dei Valori, e l’ex pm l’ha fatto capire ai suoi: «Dovete spiegarmi perché è legittimo se sono i dirigenti del Pd a non escludere la rottura con la sinistra radicale e a ipotizzare un’alleanza con le forze di centro, mentre se lo fanno altri no. E che sono loro, la Cassazione? Semmai il problema politico per me è un altro. Ha un nome e un cognome». Silvio Berlusconi. Difficile in effetti immaginarli insieme, altrimenti Di Pietro avrebbe già rotto gli indugi.

Così scorre il tempo nel governo Prodi, che convive da un anno con il bradisismo, marischia di crollare per effetto di una scossa di terremoto. La riforma delle pensioni è un vulcano pronto a eruttare: nell’Ulivo c’è chi teme avvenga già a luglio, nel Prc c’è chi prevede che si arriverà fino a fine anno, «magari quando Prodi ci proverà con un decreto. Un altro decreto di San Valentino». Non è chiaro se l’accostamento di Prodi a Craxi sia un complimento oppure no. È certo che al momento la trattativa sulla previdenza è aria fritta. Bastava sentire ieri il senatore dei Dl, Polito: «Il segretario della Uil mi ha raccontato che la mediazione avanzata dal ministro Damiano è quella già bruciata la scorsa settimana dal governo, quando sembrava che fossero a un passo dall’accordo con il sindacato. Angeletti mi ha detto che era già tutto pronto, ma che dopo cena Prodi ha chiamato nella sala della riunione un dirigente della Ragioneria generale dello Stato e gli ha dato la parola. Quello ha spiegato che l’intesa era economicamente insostenibile, ed è saltato tutto. Allora, di che stiamo parlando?».

Infatti Bertinotti non vuole sentir parlare di accordi. Lui non va oltre, ci pensa il capogruppo del Prc al Senato Russo Spena, a dar voce ai sospetti che circolano nel suo partito: «Con Berlusconi nei panni di alleato di Prodi, D’Alema si è messo a lavorare contemporaneamente contro il premier, per arrivare a un altro governo, e contro Veltroni, per sparigliargli le carte, altrimenti è fuori gioco. Questa è la sua fase destruens. Lui crede di poter poi passare alla fase construens, che come al solito non gli riuscirà». E meno male che sono alleati.

Francesco Verderami
05 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Luglio 06, 2007, 09:44:36 am
«Doveroso abolire lo scalone» Prodi rilancia sulle pensioni

Sindacati soddisfatti, Dini meno


Prodi concorda con quanti, come il vicepremier Massimo D'Alema, segnalano le difficoltà derivanti dalla mancanza di risorse, ma nello stesso tempo spiega: «Sì, non ci sono, e le dobbiamo accumulare, perché abolire lo scalone è doveroso, perché non si può fare questo gioco per cui in un minuto solo vanno in pensione tre classi di età insieme, non è mica giusto, ma i soldi noi li troviamo risparmiando sulle spese della pubblica amministrazione».

E alla domanda se non tema un indebolimento dell'esecutivo proprio a causa dei contrasti all'interno della maggioranza sulla riforma del sistema previdenziale, Prodi avverte: «Io ho consultato tutti, continuerò finendo queste consultazioni. Le diversità ci sono, poi però come è accaduto in passato, come governo prendo una decisione e a quella si sta, io non ho paura del futuro».

Il Presidente non aveva finito di parlare che sono arrivate, a valanga, le reazioni, da destra e da sinistra. Queste ultime positive, quelle altre arrabbiate. Dini dice “se è così cade il governo”, mentre Bonanni, leader della Cisl, si augura che “adesso riparta la trattativa”, e Migliore, di Rifondazione, applaude.

Di fronte al profluvio di commenti, Palazzo Chigi si sente in dover di fare una puntigliosa precisazione. I due punti base attraverso cui si costruisce il percorso per la riforma delle pensioni, precisano fonti di Palazzo Chigi, sono scritti a pagina 171 del programma.

Il primo passaggio recita: «Puntiamo a eliminare l'inaccettabile gradino e la riduzione del numero di finestre che innalzano bruscamente e in modo del tutto iniquo l'età pensionabile, come prevede per il 2008 la legge approvata dalla maggioranza di centrodestra».

Il secondo passaggio precisa: «Con la tendenza all'aumento della vita media all'interno di una modifica complessiva del rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro, l'allungamento graduale della carriera lavorativa, tenendo conto del diverso grado di usura provocato dal lavoro, dovrebbe diventare un fatto fisiologico. Il processo va incentivato in modo efficace, con misure incisive, che non mettano a rischio l'adeguatezza della pensione»


Pubblicato il: 05.07.07
Modificato il: 05.07.07 alle ore 21.39   
© l'Unità.


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Luglio 07, 2007, 05:20:05 pm
7/7/2007 - CONTO ALLA ROVESCIA
 
Il virus galoppa, si pensa alle urne

Grandi manovre tra i poli. Mastella: «Prodi è finito, ma io non faccio la crisi»


AUGUSTO MINZOLINI
ROMA

Qualche giorno fa Gianfranco Fini, spiegando le dinamiche politiche dei prossimi mesi al deputato azzurro Guido Crosetto, era sicuro solo dell’epilogo: «Caro Guido, tieniti pronto. Si voterà nella primavera del prossimo anno. Anche Veltroni ne è convinto. Anzi, secondo me, vuole le elezioni al più presto». Debbono essere state delle parole soppesate visto che in questi anni il presidente di An ha sempre avuto buoni rapporti con il sindaco di Roma. E in fondo fotografano esattamente la situazione: quello che più dà l’idea dell’«ineluttabilità» del ritorno alle urne, infatti, è l’atteggiamento di tutti i protagonisti del Palazzo. Tutti sono nervosi. Tutti coltivano più gli interessi del proprio elettorato che non la strada maestra della mediazione. Tutti si guardano intorno per tentare di individuare l’impresario che può regalargli un altro giro in Parlamento.

C’è il contagio. L’aria elettorale ha cominciato a condizionare il Palazzo e quelli che a prima vista possono sembrare degli atteggiamenti assurdi in realtà appartengono all’extrema ratio del «si salvi chi può». Ad esempio, la rigidità di Lamberto Dini sulle pensioni nasce sicuramente da un contrasto programmatico con il governo ma contemporaneamente è enfatizzata dai propositi del personaggio: l’ex premier ha cominciato una traiettoria di distacco dal centro-sinistra perché, per come si sono messe le cose, l’Unione difficilmente potrà regalargli alle prossime elezioni un altro seggio in Parlamento, tantomeno una poltrona di ministro. Sull’altro versante Fausto Bertinotti sta tentando di tutto per arrivare a un accomodamento con Prodi, ma si pone un problema: se per caso fosse costretto ad accettare «scalone» o «scalini» e nel maggio del 2008 si andasse a votare, cosa racconterebbe ai suoi elettori? Un atteggiamento attento alle elezioni comune a molti: vale per Di Pietro sulla giustizia, ma anche per i riformisti del Pd sulla politica economica.

Insomma, in molti si stanno facendo due conti sui tempi e i modi che porteranno al voto. Il primo è Clemente Mastella. Ben piantato sulla frontiera tra i due poli, il ministro della Giustizia gode di un ottimo punto di osservazione. «Cominciamo col dire - spiega - che un ciclo si è chiuso: Prodi non lo vuole più nessuno. Ma se si va a votare Berlusconi potrebbe vincere da solo e questo non sta bene neppure ai suoi alleati. Sicuramente a Casini che, infatti, continua a non volere le elezioni subito. Per questo Pierferdinando punta a una crisi ora per arrivare a un governo del Presidente che punti a scavalcare il 2008. Ma non può staccarsi da solo dal centro-destra, per cui è bloccato. Dini non può provocare da solo la crisi. Rifondazione non può far cadere Prodi dopo averlo già fatto nel ‘98. Per cui non credo a una crisi a breve sempreché Turigliatto e i pazzi della sinistra non decidano di votare contro insieme a Dini...».

Quindi, per Mastella il Professore è morto ma può andare avanti perché nessuno ne vuole certificare il decesso. Le rassicurazioni «paradossali» del Guardasigilli nei confronti di Prodi, però, finiscono qui. I progetti futuri di Mastella, infatti, faranno sicuramente fischiare le orecchie al premier: «Io non posso far cadere il governo sulle pensioni. Scomparirei. Farei la fine di Liotta, cioè del deputato che fece fuori il primo governo Prodi. Io faccio politica. E allora siamo chiari: io con la testa sono già dall’altra parte... Dopo che si sarà conclusa l’esperienza politica del governo Prodi posso anche passare con il centro-destra, però non posso assumermi ora la responsabilità della crisi. Magari più in là, di fronte a un fatto politico... Ad esempio se si arrivasse al referendum io farò la crisi e andrò al voto schierandomi con il centro-destra».

La tabella di marcia di Mastella, a ben vedere, quindi, coincide in linea di massima con quella del Cavaliere. Ieri con un amico Berlusconi è stato chiarissimo: «Dal punto di vista tattico la cosa migliore è arrivare alla crisi in autunno o in dicembre. Così si va dritti al voto nel 2008 senza governi del Presidente. E avremmo il vantaggio di votare con Prodi ancora a Palazzo Chigi. Poi, però, bisogna essere pratici: questo governo è talmente conciato male che la situazione può sfuggire di mano. E noi non faremo nulla per salvarlo. Sfrutteremo la prima occasione». Quindi l’unico pensiero del capo dell’opposizione è quello di puntellare la strada verso le elezioni, per renderla sicura. E gli argomenti per tirare a sé gli interlocutori che ha dall’altra parte non gli mancano con l’aria di urne che tira: con i sondaggi che girano il Cavaliere può fare le promesse che vuole perché ha dalla sua le percentuali.

Già, il «contagio elettorale» nel Palazzo si allarga e potrebbe far precipitare gli eventi da un momento all’altro. Ieri lo spettro del voto a primavera aleggiava anche nel vertice «ristretto» sulle pensioni. E il Professore ha di nuovo avuto i suoi guai. Tommaso Padoa-Schioppa, Massimo D’Alema e Francesco Rutelli gli hanno detto apertamente che non si può cedere a Rifondazione. «Facciamo ridere l’Europa», ha spiegato il primo. «Non ci sono i soldi - ha osservato il secondo - e in più è un’operazione sbagliata». «Perdiamo - ha rimarcato il terzo - la nostra credibilità». Ma in fondo il problema posto in quella riunione dai due vicepresidenti del Consiglio è stato essenzialmente politico: c’è il rischio che per salvare il governo si condanni alla sconfitta il Pd.

Il Professore ha accettato paure e critiche ma con riserva, visto che il personaggio ha un’unica priorità: la salvaguardia del suo esecutivo. Tant’è che subito dopo con il ministro Paolo Ferrero ha tirato le somme in questo modo: «Non cederò né con la sinistra né con i riformisti. Farò l’unica mediazione possibile». E’ probabile che alla fine il Professore scelga la proposta della Cgil. Gli altri allora, riformisti e massimalisti, tenteranno di tirarla per le lunghe, di inserire la riforma in Finanziaria e rinviare lo scontro finale a dicembre. Un’ipotesi che Prodi rifiuta, consapevole che se arrivasse con questa patata bollente in mano a Natale la sua sorte sarebbe segnata: a quel punto, infatti, Berlusconi darebbe l’ultima spallata; e Veltroni, già eletto segretario del Pd, sarebbe pronto a raccogliere la sfida. Ci sarebbe la crisi e la corsa verso il voto. E si avvererebbe la profezia del Cavaliere: «Prodi non mangerà il panettone a Palazzo Chigi: a meno che qualcun altro non lo inviti».

da lastampa.it


Titolo: Il piano del premier al consiglio dei ministri, si tratta sulle quote
Inserito da: Admin - Luglio 13, 2007, 03:21:52 pm
Il piano del premier al consiglio dei ministri, si tratta sulle quote

Il ministro del Lavoro: i tempi per l'accordo sono maturi

Spiraglio sulle pensioni oggi il "patto" di Prodi

Previste finestre per chi lascia l'attività con 40 anni di contributi

Ieri sera lungo vertice tra Letta, Damiano e i leader sindacali
 
di ROBERTO PETRINI


ROMA - Sarà un "patto" quello che Romano Prodi illustrerà oggi al consiglio dei ministri. Una proposta rivolta alla maggioranza, alle parti sociali, ma soprattutto al paese e alle generazioni. La "sintesi" arriva dopo giorni di trattative e di telefonate riservate e dovrebbe ripercorrere i termini emersi negli ultimi giorni: due scalini crescenti da 18 e 24 mesi per portare l'età a 58 anni e poi a 59, l'arrivo delle quote (ma tra "96" e "97" c'è ancora un braccio di ferro), l'allargamento della platea dei lavori usuranti (recependo le richieste di Rifondazione) e il ritorno delle 4 finestre per consentire a chi ha 40 anni di lavoro di poter uscire senza attese snervanti. Novità dell'ultima ora: una "clausola di salvaguardia" che, se i risparmi non funzionassero, entrerebbe in vigore con intensità proporzionale alle necessità finanziarie (dunque senza automatismi o date capestro).

I contatti sono proseguiti fino alla tarda serata tra il sottosegretario Enrico Letta, i ministri Padoa Schioppa e Damiano e i tre leader sindacali, con l'obiettivo di rivedersi stamattina per arrivare all'accordo. Il premier si è mostrato ottimista: "I tempi sono maturi", ha detto. Ai suoi collaboratori ha aggiunto una battuta: "Vedrete che ce la faccio". Ai leader della Cisl Bonanni e della Cgil Epifani che gli hanno passato la palla chiedendo una proposta e una convocazione, ha replicato: "Gli assist di solito si raccolgono". Fiducioso anche il leader dei Ds Fassino: "Accordo vicino, ragionevole la proposta di Damiano (gli scalini, ndr)".

Il costo della soluzione-scalini andrebbe da 1,5 a 2 miliardi (molto meno dell'abolizione che arriva a 8) e i fondi sarebbero recuperati con una razionalizzazione degli enti previdenziali: sarebbero unificati i servizi ispettivi, snelliti gli organismi e costituita una unica centrale di acquisti. A fare da corollario alla difficile trattativa le cifre che cadono sul dibattito: positive quelle che arrivano dall'Inps che ha reso noto che nei primi cinque mesi del 2007 le entrate sono cresciute di 3,8 miliardi (per effetto dell'aumento dei contributi). Negative quelle che giungono dalla Banca d'Italia secondo cui il debito pubblico ha battuto un nuovo record toccando ad aprile quota 1.609,1 miliardi.

Resta aperta la questione della sinistra radicale che ieri ha continuato a dare segnali di nervosismo, ma con minore intensità: Rifondazione riunirà il comitato politico nel fine settimana, giusto in tempo per dare una valutazione del piano Prodi. Ieri il leader Giordano ha accennato all'eventualità della crisi e Rizzo (Pdci) ha ribadito che bisogna "abolire lo scalone".

Anche sull'eventuale percorso non si va oltre le ipotesi: se la mossa di Prodi avrà un tono squisitamente politico, pur recependo ipotesi gradite ai sindacati, potrebbe tradursi in un emendamento al decreto "tesoretto" o, molto più probabilmente, in una norma della prossima Finanziaria. I sindacati, che non hanno ancora firmato formalmente l'intesa sulle pensioni basse perché attendono il pacchetto complessivo, potrebbero dopo il confronto politico.

La possibile schiarita ha fatto alzare il tono della polemica della Cdl: "Prodi ha fatto un patto con il demonio, è stato eletto con l'impegno di eliminare lo scalone e lo deve eliminare altrimenti andrà a casa", ha detto Tremonti.

(13 luglio 2007)
 


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Luglio 13, 2007, 03:24:20 pm
Il retroscena

Sulle pensioni Prodi si gioca il tutto per tutto

L'offensiva: risolvere i nodi di previdenza e legge elettorale   
 

ROMA - Prodi è convinto di chiudere oggi, «sono convinto di chiudere l'accordo sulle pensioni con i sindacati ». E certo il suo ottimismo stride con l'ennesimo bollettino di guerra, al termine di un'altra giornata in cui il governo non ha trovato un porto in cui riparare. Al Senato è andato sotto sulla riforma dell'ordinamento giudiziario. Alla Camera si appresta a mettere la fiducia sul «tesoretto » perché non c'è accordo nell'Unione, mentre la sinistra radicale è pronta ad astenersi sul Dpef nelle commissioni Ambiente e Trasporti, contro i progetti delle Grandi Opere.

Il Professore convive ormai da tempo con i fantasmi del '98, e per una volta concorda con il Cavaliere, secondo cui Prodi non cadrà per un incidente di percorso in Parlamento ma per una trama politica ordita dai suoi alleati. «Io però non mollo, andrò fino in fondo », ha ripetuto ieri il premier, sfidando lo sguardo dell'interlocutore di turno: «E dopo di me non c'è nulla. Ci sono solo le elezioni». Anche su questo punto è in sintonia con l'eterno rivale, sebbene nessuno al momento possa ipotecare il futuro, mentre impazza la lotteria sul prossimo capo di governo, e un potentissimo funzionario dello Stato - depositario di molti segreti e confidenze - scommette che «non saranno né Marini né Dini né Veltroni i successori di Prodi a palazzo Chigi, bensì Giuliano Amato, che porterà il Paese alle elezioni».

Il premier vuole smentire le profezie. Certo, sono molti i nodi politici che si sono aggrovigliati e che stanno togliendo il fiato al suo esecutivo. Anche se in realtà la crisi in cui versa è determinata da due problemi: «Le pensioni e la riforma della legge elettorale ». Perciò non si preoccupa più di tanto per quel che sta accadendo al Senato, dove il Guardasigilli ieri ha minacciato le dimissioni sull'ordinamento giudiziario, dopo aver subito «lo schiaffo» di un emendamento presentato da alcuni dissidenti dell'Ulivo, che è stato votato dal centrodestra per mettere in scacco il governo. Oggi si replica. E malgrado la preoccupazione sia palpabile, con Mastella che definisce le proposte di modifica annunciate da Manzione «un vero e proprio atto eversivo», con Mussi che annuncia ai suoi «il rischio molto alto di saltare», c'è la sensazione che si arriverà a un'intesa in extremis. «La verità è che abbiamo già evitato la trappola», spiegava infatti il ministro della Giustizia nei giorni scorsi, con il sorriso di chi la sa lunga: «La trappola era la fiducia. Se Prodi l'avesse messa, allora sì che sarebbe caduto. Magari ci sarebbe mancato un voto... Per fortuna mi ha dato retta e abbiamo sventato la minaccia». D'altronde Mastella sapeva in questi giorni di poter fare affidamento sui centristi dell'opposizione, che però oggi in Aula a palazzo Madama non potranno assentarsi.

Così ha ordinato Casini: «Tutti presenti o verremo additati come il soccorso bianco di Prodi. Stavolta non è come sul decreto per le missioni militari».
Resta da capire come possa Prodi continuare a lungo così, e se davvero c'è un piano per sostituirlo in autunno. L'altra sera l'argomento è stato al centro di una discussione tra Rutelli e i suoi fedelissimi: dai ministri Gentiloni e Lanzillotta, a Lusetti e Realacci, a Polito e Bobba. Il vicepremier ha allargato le braccia: «Qui si naviga a vista, ogni questione può diventare una buca ».

Certo Rutelli non sembra far nulla per impedire il passo falso, anzi nel documento che ha redatto per il Partito democratico, tratta l'esecutivo alla stregua di un «governo amico»: gli addebita «la delusione dei ceti popolari», «l'insofferenza dei ceti medi, dei piccoli imprenditori, dei professionisti, dei commercianti, degli artigiani». Praticamente di tutto il Paese. In più prospetta la rottura del Pd con l'ala massimalista dell'Unione per non restare «imprigionati dal minoritarismo e dal conservatorismo di sinistra». E nella chiosa sottolinea addirittura che Veltroni «a queste ragioni si ispira».

«Conoscendo il carattere di Prodi, starà fuori dalla grazia di Dio», ha commentato il segretario del Prc con i suoi: «Quella di Rutelli è una posizione da ribaltonista, da tradimento del mandato elettorale». Ma la «forzatura » del leader diellino — secondo Giordano — «può esserci di aiuto perché ci tira fuori dall'angolo, spinge il premier a proporsi nel ruolo di garante e magari può far ripartire il feeling tra noi e lui». Il pensiero, ovviamente, va alla trattativa sulle pensioni. Al momento restano le divergenze tra il capo del governo e gli alleati, né le mediazioni finora hanno ridotto la distanza. A dire il vero, hanno irritato persino gli esponenti dell'area riformista: «Io non sono mai stata femminista — diceva giorni fa la Lanzillotta — ma ipotizzare l'aumento dell'età pensionabile per le donne, così da consentire agli uomini di andare a riposo prima, mi pare una bestialità ».

È sulle pensioni che Prodi si gioca molto se non tutto.

Sulle pensioni e sulla legge elettorale, che è all'origine della instabilità della maggioranza. «Sono pronto a impegnare il governo sul sistema tedesco», ha sussurrato il premier ai dirigenti del Prc: «Però dovete convincere i partiti più piccoli ad accettare lo sbarramento al 4%». Verdi e Pdci non ne vogliono sapere, Mastella men che meno. Intanto il tempo passa, e senza accordo il tic-tac del referendum avvisa che la bomba ad orologeria si appresta a esplodere. Ieri il Cavaliere ha criticato il ricorso alla consultazione popolare, che in realtà sta segretamente sostenendo, come lascia intendere Rotondi, suo fedelissimo alleato democristiano: «Io sto raccogliendo le firme, e ho capito che può venire utile a Berlusconi. Lui non si può muovere perché altrimenti si scatena la Lega».

Sarà una coincidenza, ma è l'ennesima: i percorsi dei due rivali coincidono. Entrambi non vogliono concedere spazio agli alleati che puntano al cambio della guardia. Prodi deve contrastare il passo a Veltroni per restare a palazzo Chigi, mentre Berlusconi deve stroncare la resistenza di Casini per tornarci. Il resto è ammuina, tattica, annusamento. Basta pensare a quello che è avvenuto sere fa, alla festa in onore di Valentino, durante la quale il Cavaliere ha corteggiato Rutelli: «È ora di metterci d'accordo... Troviamo un'intesa anche sulla legge elettorale... Se voi abbandonate i comunisti noi tagliamo i nostri rami secchi...». Il giorno dopo il vicepremier l'ha raccontato ai suoi. Commento finale: «E mica crederete a Berlusconi?». Nessuno crede più a nessuno. Succede tra avversari, ma anche tra alleati.

Francesco Verderami
13 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Luglio 13, 2007, 03:26:42 pm
13/7/2007 (7:36) - RETROSCENA

La crisi? Ora è caccia a chi la fa
 
Il segretario di Rifondazione Giordano: «Non escludo che il governo possa cadere anche se non è il nostro obiettivo»

Governo in bilico

FEDERICO GEREMICCA
ROMA


Lentamente e per progressione quasi impercettibile, la discussione tra i partiti dell’Unione sulla tenuta e sul futuro del governo ha fatto un salto di qualità che Romano Prodi sbaglierebbe a sottovalutare (ammesso e non concesso che l’abbia sottovalutato): il confronto, chiamiamolo così, si è infatti spostato dal «se» il governo incapperà prima o poi in una più che paventata crisi, al «chi» sta lavorando per quell’epilogo. In questo senso, la difficile giornata vissuta ieri dall’esecutivo (battuto al Senato su un emendamento alla riforma dell’ordinamento giudiziario e ancora stretto nelle spire mortali del confronto su scalini, scaloni e pensioni) è assai più che istruttiva, essendo stata una rappresentazione perfetta di come si prepara e poi si scivola verso una crisi. Gli elementi, infatti, sono stati messi in campo tutti. A cominciare dal più importante: l’accusa all’alleato di star lavorando per mandare tutto gambe all’aria. Vediamo.

Ha cominciato «Europa», aggressivo quotidiano della Margherita (e apripista per molte sortite rutelliane) che - a proposito di pensioni - deve aver mandato il caffè di traverso a Prodi con un titolo a tutta pagina di questo tenore: «Veltroni sta con i giovani, vediamo con chi sta Prodi». Ha subito risposto Giordano, leader di Rifondazione, con una battuta inutilmente sibillina: «Non escludo che il governo possa cadere sulle pensioni. Non è l’obiettivo per cui stiamo lavorando, piuttosto sono altri che lo stanno facendo». Dicevamo inutilmente sibillina perché bastava aver letto «Liberazione», quotidiano di Rifondazione, per sapere Giordano con chi ce l’aveva. Nel grande titolo d’apertura, infatti, spiegava in chiaro chi sarebbero gli «altri» che lavorano per la crisi: «Pensioni, il Pd non vuol trattare, nell’Unione tensione altissima». E lo scambio d’accuse intorno a chi lavora per la caduta del governo prendendo a pretesto la riforma della previdenza, sarebbe certamente continuato, se non si fosse improvvisamente aperto un nuovo e perfino più concreto scenario di crisi: l’Unione battuta al Senato su un emendamento alla legge di riforma dell’ordinamento giudiziario presentato da un suo senatore (governo contrario) e passato con i voti del centrodestra e di due altri parlamentari della maggioranza.

Immediata la polemica. E visto che il senatore in questione (Manzione) annuncia per oggi un altro emendamento non concordato con l’Unione, ecco lo scambio di accuse. Comincia il partito di Di Pietro: «Se passa l’emendamento, l’Italia dei valori non voterà la riforma». Continua Anna Finocchiaro: «Se accadesse l’irreparabile, le responsabilità saranno chiare». Conclude il ministro Mastella: «Non so se c’è più la maggioranza, voglio sapere se c’è o non c’è e ne prenderò atto». Si potrebbe continuare. Ma ieri, intanto, s’è capito che Rifondazione accusa il Pd di volere la crisi sulle pensioni, che il Pd accusa Rifondazione di voler far cadere il governo sempre sulle pensioni, che sulla giustizia il sospettato di volere la crisi è Di Pietro mentre il partito di Di Pietro sospetta che sia il Partito democratico a volere che Prodi cada su una riforma considerata troppo «tenera» con i magistrati.

E teniamo da parte, giusto per carità di patria, la mossa a sorpresa fatta ieri da Francesco Rutelli che ha lanciato il suo «manifesto dei coraggiosi» per il Partito democratico. Ci sarà infatti tempo per registrare le polemiche che determinerà. E che ne determinerà sembra abbastanza scontato: visto che si apre con l’annuncio che il Pd «deve aiutare il governo a cambiare rotta» (ne sarà felice Prodi...) e si conclude con l’avvertimento che «il Partito democratico dovrà proporre un’alleanza di centrosinistra di nuovo conio, per non riconsegnare l’Italia alle destre ma soprattutto per non essere imprigionato dal minoritarismo e dal conservatorismo di sinistra».

Questo ieri. E non è affatto detto che oggi andrà meglio. Infatti, al di là delle note divisioni che segnano dall’avvio il profilo della coalizione, sta cominciando a pesare il processo innescato dai primi passi del Partito democratico. In realtà, non era difficile prevedere che la sua nascita, con l’incoronazione di un nuovo leader (Veltroni) e l’acuirsi della polemica con la sinistra radicale, avrebbe potuto arrecare più danni che benefici al governo in carica. Anzi, la dinamica va facendosi così chiara, che perfino Berlusconi ha cambiato la sua analisi: «Questo governo non cadrà per una imboscata parlamentare ma per una operazione politica - ha annunciato ieri -. Per ora è a bagnomaria, ma i tempi vanno facendosi maturi: penso che cadrà in autunno...». In serata, però Cicchitto smentisce: «Berlusconi non ha mai detto quella frase».

da lastampa.it


Titolo: La tesi di Berlusconi: cadrà per un incidente ma dietro c’è un’operazione politi
Inserito da: Admin - Luglio 13, 2007, 03:31:48 pm
La Nota

Massimo Franco

Crisi in incubazione.

Tempi imprevedibili

La tesi di Berlusconi: cadrà per un incidente ma dietro c’è un’operazione politica 


Nella stessa maggioranza adesso comincia a circolare il termine «agonia ». E ci si chiede quanto potrà resistere il governo di Romano Prodi dopo l’ennesima bocciatura al Senato; e stavolta per iniziativa di tre parlamentari dissidenti dell’Ulivo. Gli appelli allarmati ad evitare «l’irreparabile» fanno pensare che anche nelle votazioni di oggi sull’ordinamento della giustizia la maggioranza rischi. Ma proprio perché ormai s’è capito che se la crisi si aprirà, almeno in apparenza sarà per un incidente legato ai numeri di palazzo Madama, qualunque previsione suona azzardata.

Un governo così debole potrebbe, proprio per questo, andare avanti per un po’. Il problema riguarda il costo che il centrosinistra sta pagando in termini di consensi. Il tramonto di Prodi avvicinerebbe drasticamente la fine della legislatura, seppure attraverso un passaggio intermedio. Ma il suo lungo logoramento si proietta sull’Unione, erodendone i margini di credibilità. L’indizio più vistoso della voglia di parlare al passato del premier è offerto dalla fioritura di scenari alternativi. Non si tratta soltanto della proposta di unità nazionale, rilanciata dal leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini e bocciata da Silvio Berlusconi con un lapidario: «troppo tardi».

L’archiviazione si coglie nel «manifesto » del vicepremier Francesco Rutelli, che non esclude un nuovo centrosinistra senza i partiti dell’antagonismo. E nella reazione iniziale del ministro della Giustizia, Clemente Mastella, dopo l’approvazione dell’emendamento di ieri con l’appoggio del centrodestra: «Ci rimettiamo alla sovranità del Parlamento». Formula obbligatoria per evitare la caduta; e ammissione di un Senato dove la maggioranza ha contorni volatili, soprattutto sul fronte moderato.

La tesi del Guardasigilli, tuttavia, rilanciata dalla capogruppo diessina Anna Finocchiaro, ha provocato l’altolà del partitino di Antonio Di Pietro. E Mastella ha dovuto dire che potrebbe dimettersi. Rispetto al passato, la novità sta in uno scontro non dovuto alle assenze o ad una trappola del fronte berlusconiano. La modifica sulla quale il governo è scivolato nasce nei meandri moderati della maggioranza. Fa affiorare i problemi di un’Unione che sente la pressione del’Associazione nazionale dei magistrati con la minaccia di sciopero. E allo stesso tempo deve fare i conti con i suoi settori meno inclini ad assecondarla.

Berlusconi accarezza «il disagio» di singoli esponenti di una coalizione appesa a «senatori che vanno alla toilette o ai senatori a vita». L’allusione è a Giulio Andreotti, decisivo mercoledì scorso per salvare il governo. Ma all’ex premier interessa soprattutto la polemica con la magistratura. Un’eventuale caduta di Prodi, tuttavia, sarebbe legata solo incidentalmente alla riforma della giustizia. Ormai, qualunque provvedimento diventa un’incognita quando approda nell’aula del Senato. E uno diventerà l’incidente fatale, che per Berlusconi servirà a mascherare «un’operazione politica».

Massimo Franco
13 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Luglio 13, 2007, 03:37:30 pm
Le mosse di Dini

Spunta il «partito dei guastatori»

La Finocchiaro: vogliono far cadere il governo.

L'Udc: non saliremo su un carro funebre 

 
ROMA - «Ditelo a Prodi, è molto meglio andare alle feste che ai funerali...». Stravaccato su un divanetto del Senato, Clemente Mastella rilancia (a suo modo) l'invito al premier per la festa Udeur di Telese e, al tempo stesso, pronostica al governo del Professore un avvenire nient'affatto luminoso. Pochi metri più in là il presidente dei senatori udc Francesco D'Onofrio dedica un epitaffio all'inquilino di Palazzo Chigi: «Noi i guardaspalle di Mastella? E perché mai dovremmo salire sul carro funebre di Prodi?».

Matrimoni (mancati) e funerali, a Palazzo Madama. All'ora di pranzo sembrava quasi che il Guardasigilli, con quella frase «d'ora in avanti il governo si rimette all'Aula», avesse colpito con freccia di Cupido il cuore dei senatori di Casini prolungando così la vita della legislatura, ma a sera nessuno parla più di amorosi inciuci al centro. Il tema, tra i senatori stremati dalla maratona sull'ordinamento giudiziario, è un altro. É il partito dei guastatori, i soliti post—ulivisti e post—prodiani cui ancora una volta sono appesi i destini dell'intera Unione. Anna Finocchiaro, già inviperita senza darlo a vedere per l'uscita di Mastella, lo ha detto ai suoi con una frase secca, inequivocabile: «A che gioco giocano Bordon e Manzione? Semplice, stanno cercando di far cadere il governo ». E non da soli.
L'appuntamento col destino è per la tarda mattinata di oggi. Se l'emendamento Manzione sugli avvocati nei consigli giudiziari non sarà ritirato Prodi potrebbe davvero non avere scampo, tanto che ieri si è dato da fare di persona per scongiurare il peggio, ha chiamato e redarguito Mastella, rabbonito Di Pietro, schivato accuratamente le telefonate allarmate della Finocchiaro e perfino spronato a convocare i senatori a vita latitanti.

«L'emendamento Manzione è la buccia di banana su cui il governo può cadere» certifica il rischio il capogruppo di Rifondazione, Giovanni Russo Spena. Il quale si è convinto che dietro ai due pasdaran — che coltivano il sogno di tenere a battesimo un Pd alternativo e d.o.c., senza Prodi senza D'Alema e senza Veltroni — si muova l'ex presidente del Consiglio, Lamberto Dini: «Qualcuno dice che il burattinaio sia Marini, ma io non ci credo...». Che interesse avrebbe la seconda carica dello Stato a far da traghettatore a Veltroni al timone di una scialuppa delle larghe intese? Dini, invece. Ieri lo si è visto scivolare via a passi felpati tra le boiserie del Palazzo, elegantissimo e silente, la faccia di uno che aveva altro a cui pensare. E invece, nelle stanze ristrutturate di fresco della commissione Esteri, i suoi collaboratori lo descrivono «determinatissimo a far cadere il governo» e rivelano che del bellicoso proposito, covato «per il bene del Paese » e «per puro senso di responsabilità», Lamberto avrebbe «per correttezza» informato il presidente del suo partito, Francesco Rutelli.

Nei piani di Dini la pietra tombale dovrebbe calare sul governo Prodi col voto sulle pensioni, ma il presidente ha fretta, «i mercati non aspettano e l'Europa nemmeno». E così uno scivolone sull'ordinamento giudiziario non gli sarebbe sgradito, convinto com'è che un'area liberaldemocratica che va dai frondisti ex ulivisti a scampoli di Forza Italia, passando per i centristi di Casini, sia pronta a seguirlo col nobile intento di «liberare il Paese da un governo ostaggio delle sinistre».

Bordon si gode lo spettacolo. «Se voterò l'emendamento Manzione? C'è tutta la notte per pensare». Notte lunga e intensa, trascorsa a trattare e ancora trattare, con la speranza di convincere Manzione a ritirare il suo emendamento e Bordon e Barbieri, ex ds in avvicinamento a Enrico Boselli, a non votarlo. In cambio di cosa? Un seggio sicuro, sospettano i più. Un «aiutino» da parte di Marini per mettersi in proprio, con un gruppo che accolga anche Dini? La presidenza della commissione Giustizia, cui aspira Manzione? O ancora, come chiosa il capogruppo dell'Udeur Nuccio Cusumano, «sufficienti garanzie dentro il Partito democratico». Quello vero, però.

Monica Guerzoni
13 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Luglio 14, 2007, 12:10:05 pm
POLITICA - IL DOCUMENTO

Pd, il documento di Rutelli


Il Partito Democratico deve aiutare il Governo a cambiare rotta e a rivolgere un messaggio chiaro al Paese. Dopo il primo anno, i risultati positivi vengono incrinati da un rapporto via via più difficile con l'opinione pubblica. E' finita la lunga stagione in cui la coesione del centrosinistra è stata garantita dall'antagonismo verso Berlusconi.

Non è possibile esaurire la missione di questa legislatura nel risanamento economico. Già l'esperienza del 1996-2001 ha insegnato che non appena è stato raggiunto l'ambizioso traguardo dell'Euro la crisi politica è stata immediata. Occorre indicare con nettezza agli italiani gli obiettivi e comunicarli in modo preciso, chiaro, bene organizzato.

Le difficoltà non vanno sottovalutate, ma esplicitate, per essere risolte. C'è delusione tra i ceti popolari: non si colgono ancora i benefici per chi ha un reddito fisso; le conseguenze dei tagli degli anni passati incidono sui servizi. Si sta radicando un'insofferenza nei ceti medi, tra piccoli imprenditori, commercianti, artigiani, professionisti; l'eccesso di adempimenti fiscali e amministrativi rende mal difendibile la sacrosanta azione contro l'evasione fiscale.

Un incessante e coraggioso processo riformatore è indispensabile per superare le difficoltà competitive dell'Italia e agganciare il mondo che corre. La missione di questi anni per l'Italia è il ritorno alla crescita: la capacità di far crescere l'economia, produrre più ricchezza e benessere, ridurre la pressione fiscale, creare più lavoro, migliore e meno precaria occupazione.

Crescita però è una parola che va declinata in modo comprensibile ed efficace: bisogna mostrarne i benefici per i cittadini e soprattutto dare una spinta di ottimismo e fiducia.

La nascita del Partito democratico rappresenta in sé una svolta. È una decisione coraggiosa; è stato coraggioso il superamento di DS e Margherita per dare vita a un partito nuovo e aperto. Questo partito avrà l'ambizione di costruire alleanze europee ed internazionali innovative. Avrà un impianto pluralista e laico, per cui l'ispirazione religiosa e i valori ideali avranno libertà e forza, senza integralismi. Coraggioso e nuovo è l'appuntamento popolare del 14 ottobre. La candidatura di Walter Veltroni ha esordito con una chiara e positiva discontinuità.

Per battere i riflessi egoistici della destra, che parlano al ventre di molti italiani, ma soprattutto per scongiurare che nasca un "blocco sociale" potenzialmente maggioritario e a noi avverso - che già si vede in alcune aree più dinamiche del Paese e specialmente nel Nord - occorre che il PD sia molto più che un partito nuovo. Proporrà una forte ispirazione nazionale dei compiti dell'Italia. Incontrerà le vocazioni, i talenti, i problemi dei territori con un'organizzazione autonomistica e federale corrispondente alla nostra moderna visione delle istituzioni.

Il Partito Democratico deve produrre un sano shock politico e progettuale per il centro sinistra. La sua nascita deve accompagnarsi con il nuovo messaggio al Paese. Senza porre mano al programma generale di governo, che dovrà procedere con l'impegno di tutta la coalizione, indichiamo 7 programmi d'azione prioritari da mettere in campo per i prossimi 4 anni:

L'ambiente, in primo luogo, terreno del nuovo umanesimo del XXI Secolo. No al localismo esasperato e alle ideologie della crescita zero; sì a far respirare la natura e le città, migliorare la vita delle persone, dare all'Italia e all'Europa una leadership nella difesa del clima e della terra.

Modernizzare l'Italia è non solo indispensabile ma può essere popolare. Tutela del paesaggio, buona progettazione, tecnologie moderne debbono sposare un programma, con tappe precise entro la fine della legislatura, di costruzione di infrastrutture per la mobilità bloccata, termovalorizzatori ed impianti energetici avanzati.
       
Coesione sociale è futuro. Nell'oggi, tutelare il potere d'acquisto di stipendi e pensioni; migliorare i servizi per le persone. Per l'Italia di domani: i nostri figli sono un bene pubblico; è urgente uscire dall'inverno demografico. Il welfare sia amico delle famiglie con più occupazione femminile, più equità tra le generazioni, una vecchiaia più attiva e sostegni ai non autosufficienti.

Etica pubblica della responsabilità. Oggi in Italia chi delinque è premiato. Le vittime non sono risarcite e di fatto vengono punite più degli autori dei delitti, che godono troppo spesso i benefici del crimine subendo sanzioni irrilevanti. Qui sta la radice dell'insicurezza: senza certezza dei diritti e delle pene non c'è Repubblica.

Per le imprese, una burocrazia più snella, subito. Una regolazione liberale e liberalizzazioni in economia, con totale separazione tra politica e affari. Ma, molto di più: il messaggio che siamo dalla parte di chi crea ricchezza, di chi ama fare. Siamo dalla parte di chi innova, ricerca, rischia, crea l'eccellenza della qualità italiana.

Potere alla creatività dei giovani, che hanno diritto a un ascensore sociale, che torni a far salire talenti, merito, lavoro. Grazie al sapere, alle tecnologie, alla garanzia di accesso alla rete. Con la cultura, espressione del patrimonio e dell'identità della patria e protagonista dello sviluppo del XXI Secolo.

L'Italia nel mondo sa da che parte stare: costruisce pace, diritto, diritti umani, sicurezza, contrastando il fondamentalismo terrorista con la forza necessaria. In Europa promuoverà politiche comuni - ambiente, energia, immigrazione, difesa - con i paesi che vogliono cooperare senza restare schiavi dell'unanimismo né dell'antieuropeismo. Sarà dinamica nella politica di solidarietà con l'Africa, in una visione di comune destino.

La maggioranza che ha vinto le elezioni deve governare i cambiamenti. Sappiamo che potrà essere confermata solo se soddisferà le attese degli elettori.
Altrimenti, il Partito Democratico dovrà proporre una alleanza di centrosinistra di nuovo conio. Per non riconsegnare l'Italia alle destre, ma soprattutto per non essere imprigionato dal minoritarismo e dal conservatorismo di sinistra, né dalla paralisi delle decisioni.

Noi firmatari sosteniamo Walter Veltroni che a queste ragioni si ispira e che può dare loro forza e consenso.

(13 luglio 2007) 

da repubblica.it


Titolo: La Bindi : "Quel documento non è conciliabile con il sostegno a Prodi"
Inserito da: Admin - Luglio 14, 2007, 12:11:51 pm
POLITICA

La Bindi e gli ulivisti attaccano: "Quel documento non è conciliabile con il sostegno a Prodi"

Non convinto neppure il ministro Bersani: "Le proposte devono essere precise e gli orizzonti più lunghi"

Manifesto di Rutelli, si agita la maggioranza

Veltroni: "Non indebolisca il governo"

Si moltiplicano intanto le sottoscrizioni.

Tra gli altri Cacciari, Bassanini e Chiamparino


ROMA - Il manifesto di Francesco Rutelli, il nuovo sasso gettato nello stagno del Partito democratico, agita le acque della maggioranza e raccoglie più perplessità che consensi. A non piacere è soprattutto il punto in cui il vicepremier e leader della Margherita parla di "alleanze di nuovo conio" da sperimentare nel caso in cui l'attuale maggioranza non si mostrerà in grado di "governare i cambiamenti". Il passaggio è parso a molti almeno inopportuno. Il documento di Rutelli non piace a Rifondazione. Non convince Bersani e preoccupa la Bindi e gli ulivisti. E Veltroni è assai prudente: "Non indebolisca il governo". Intanto però si moltiplicano le adesioni.

Franco Giordano non ha gradito il riferimento di Rutelli alla sinistra "minoritaria e conservatrice". Il segretario ha poi attaccato: "E' chiaro ormai che i pericoli per il governo non vengono da sinistra, ma da qualche altra parte".

Anche i Ds prendono le distanze. Bersani invita a guardare più lontano e non fermarsi alle tattiche di breve termine. "Non riesco a ragionare in un'ottica così di breve periodo - scrive il ministro Pierluigi Bersani - stiamo facendo il partito del secolo, dunque le proposte devono essere precise e gli orizzonti più lunghi. Il Pd può anche accettare una traversata del deserto, altro che alleanze".

Per il ministro della Famiglia Rosy Bindi l'ipotesi di nuove alleanze "non è conciliabile con il sostegno al governo Prodi". La Bindi poi sollecita Veltroni e Dario Franceschini a pronunciarsi sul documento che suo avviso mette in discussione il governo.

Franceschini difende il documento e replica parlando di dietrologie. "Francamente - ha detto Franceschini a margine del convegno degli Ecodem - sono stanco delle dietrologie quotidiane, di chi vuole distinguersi a tutti i costi. Il documento di Rutelli ha un buon impianto riformista e non credo proprio che tutte quelle persone che l'hanno firmato intendano far cadere il governo".

Veltroni, che ha cercato di evitare dapprima di rilasciare commenti, ha poi ammesso che il "manifesto contiene elementi di programma di grande interesse, coincidenti con la piattaforma che ho espresso a Torino". Ma poi il sindaco di Roma ha ritenuto opportuno precisare che il "Pd sostiene con grande forza l'azione di questo governo e il suo impegno di risanamento e riforma del paese".

L'ipotesi di Rutelli non piace neppure agli ulivisti vicini ad Arturo Parisi. Franco Monaco, il loro portavoce, dice che "l'iniziativa non solo mette a rischio il governoma in più "esprime una particolare visione del Pd che dovrebbe concretarsi in una candidatura distinta e in competizione con Veltroni". Preoccupate anche le dichiarzioni di alleati come Angelo Bonelli dei Verdi e Pino Sgobio del Pdci.

Intanto si moltiplicano le adesioni al documento di Rutelli. Le sottoscrizioni arrivano soprattutto dal territorio e dai rappresentanti del mondo dell'associazionismo. Ma anche da esponenti dell'Ulivo, amministratori locali, imprenditori e protagonisti della cultura e dello spettacolo. Tra le prime personalità che hanno aderito ci sono anche l'ex ministro Franco Bassanini, lo scrittore Alberto Bevilacqua, Luigi Bobba, il primo ballerino della Scala Roberto Bolle, il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, il nutrizionista Giorgio Calabrese, il regista Mimmo Calopresti e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino.

(13 luglio 2007) 

da repubblica.it


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Luglio 14, 2007, 11:38:24 pm
2007-07-14 16:53

MARINI, BASTA QUERELLE SUI SENATORI A VITA

 UDINE - Fermare la 'querelle' sui senatori a vita: è l'invito lanciato dal presidente del Senato, Franco Marini, che a margine della cerimonia per i mille anni della Foresta di Tarvisio, ha parlato con i giornalisti del voto di ieri a Palazzo Madama.

"Sui senatori a vita - ha detto Marini - è una lunga 'querelle'. E' una delle cose che mi dispiacciono perché i diritti sono gli stessi. Sono identici. Lo prevede la Costituzione. Quindi - ha affermato - questa cosa la dovremmo fermare, questa è la mia idea e penso che ci possiamo riuscire".

 "Quando in una Camera i numeri pressoché si equivalgono - ha aggiunto Marini - le tensioni debbono essere 'scontate'.

Il Presidente lo deve sapere e deve essere capace di governare lo stesso". "Naturalmente - ha affermato il Presidente del Senato - ieri c'era una discussione importante e devo dire che l' opposizione regolamento alla mano, avrebbe anche la possibilità di ritardare, di fare ostruzionismo" e "questo non l'ha fatto.

Quindi alla fine - ha concluso Marini - si è discusso con toni aspri ma l'ostruzionismo non è stato fatto e la legge, che io ritengo positiva, è stata approvata". 

da Ansa.


Titolo: Re: E' Prodi che da fastidio... e si pensa al dopo Prodi.
Inserito da: Admin - Luglio 15, 2007, 09:19:55 am
Il presidente del Consiglio: "Serve un accordo serio e conti in ordine

Unire gli interessi di chi deve andare in pensione e delle nuove generazioni".

Pensioni, la priorità di Prodi "Prima la copertura finanziaria"

"Le urla della Cdl contro i senatori a vita devono far pensare"
 


BOLOGNA - "La copertura finanziaria è il mio punto di partenza". Romano Prodi mette al primo posto dell'agenda del governo la questione della copertura finanziaria della riforma delle pensioni. "Io metto a disposizione le risorse possibili - continua il premier che sta lavorando su una proposta in grado di sciogliere il nodo delle pensioni - .Possibili significa tener conto dello sviluppo di lungo periodo del Paese".

Un lavoro che, si augura Prodi, porterà "a un accordo serio che tenga presente gli interessi di chi deve andare in pensione e delle nuove generazioni". Nessun commento, invece, sui malumori che agitano l'Unione: "Si sta lavorando seriamente per fare i conti". Per le polemiche, fa capire, non c'è spazio.

Gli attacchi ai senatori a vita. "Le frasi e le urla che si sono sentite in Senato ieri devono fare molto pensare". Prodi torna così sugli attacchi, sguaiati, che ieri la Cdl ha riservato ai senatori in vita durante il voto sulla riforma della giustizia. L'accusa dell'opposizione è quella più volte utilizzata: il voto decisivo al Senato dei senatori a vita "che non hanno legittimazione popolare". Ma Prodi non ci sta. "Non è vero che il loro voto è stato decisivo, bastava quello dei senatori non a vita. Ma ricordo ancora che i senatori a vita sono senatori come tutti gli altri, perchè la Costituzione è la Costituzione della Repubblica".

L'inchiesta di Catanzaro. Poche battute invece sul'inchiesta di Catanzaro che lo vedrebbe indagato per abuso d'ufficio nell'ambito di un'inchiesta su finanziamenti illeciti nazionali ed europei: "Nessuna novità. Quello che ho detto ieri".

(14 luglio 2007)


Titolo: Dini: «Prodi abbandoni il Prc o cadrà»
Inserito da: Admin - Luglio 17, 2007, 04:22:32 pm
Per l'ex presidente del Consiglio «è giusto guardare altrove»

Dini: «Prodi abbandoni il Prc o cadrà»

«Una piccola minoranza sconfitta dalla storia e che rappresenta il 5-6% non può piegare il Paese a ideologie del passato»

 
ROMA — Se non si candida alle primarie del Pd è solo per raggiunti limiti anagrafici, ma di certo Lamberto Dini, 76 anni, presidente della commissione Esteri del Senato, non rinuncia a prendere per le corna il toro della politica.

Bacchetta Prodi per aver «ceduto alle sirene di Bertinotti», minaccia di non votare le pensioni, bolla la sinistra come «minoranza sconfitta dalla storia» e apostrofa, sarcastico, quel «filosofo » di Arturo Parisi.

Il ministro della Difesa dice che Rutelli si muove da «bella statuina» verso un nuovo assetto centrista. «Reazioni di un filosofo della politica, che poi trovino sostanza nella realtà è un'altra cosa. Capisco Rutelli e Fassino, ma non cosa abbia in testa Parisi».

Per Fassino la maggioranza è fragile, non coesa.
«Sono emerse lacerazioni, differenze molto forti. Ma se prevale la ragionevolezza forse il quadro si può ricomporre ».

La sinistra vi accusa di tentare una offensiva centrista...
«Rutelli non è stato bene interpretato. Se la maggioranza è così divisa da non permettere di fare le riforme che vuole Prodi, con una nuova legge elettorale perché non si dovrebbero cercare nuove alleanze? Non oggi, né domani. Ma dopodomani».

Sembra quasi che Rutelli e Fassino abbiano più fretta di lei: il segretario Ds ha aperto con forza a Udc e Lega.
«Se la coalizione è bloccata dalle contraddizioni interne e non consente di fare le riforme, tutte le forze facciano il punto della situazione. Io mi auguro che a sinistra prevalga la ragionevolezza».

A sinistra? E che dice del voto sulla giustizia? Al senato sono stati due ulivisti a portarvi sull'orlo del baratro.
«Il governo poteva esprimere parere favorevole sull'emendamento Manzione. Non vedo cosa ci fosse di sconvolgente, visto che in passato il centrosinistra condivideva quelle posizioni. La norma sugli avvocati nei consigli giudiziari è stata bocciata solo grazie al voto dei senatori a vita convocati per l'occasione».

Ora l'Ulivo vuole espellere sia Manzione che Bordon.
«Non capisco tanta severità, se non si può parlare in dissenso si creano ulteriori tensioni. Due senatori in meno non facilitano la sopravvivenza del governo».

Qualcuno sospetterà che sia davvero lei il burattinaio di Bordon e Manzione.
«Ammesso che ne siano capaci si muovono nella logica di creare un altro gruppo, un movimento di cui non mi hanno mai parlato. Non faccio parte della loro cordata».

Però lei ha detto che anche i riformisti possono far cadere il governo e che 20 senatori bastano...
«Confermo. Fassino e Rutelli, non due cani sciolti, hanno spiegato il clima dentro i nostri partiti. Dl e Ds devono valutare se si può andare avanti in queste condizioni, anche se mi auguro che si permetta al governo di recuperare il terreno perduto».

Dicono i bene informati che dopo Prodi non c'è Dini e non c'è Marini, ma Giuliano Amato.
«Dovrebbe chiederlo a chi mette in giro queste previsioni, io non ne faccio. Marini e Amato sono impeccabili, hanno tutti i titoli per guidare un eventuale governo prima di nuove elezioni».

Voterà le pensioni?
«Faccio affidamento sulla proposta del premier, se Prodi vuole accettare un addolcimento dello scalone si trovino le risorse all'interno del sistema previdenziale per finanziare i minori risparmi. Se questo è non ho difficoltà a votarla, se invece si aumenta la spesa no, non la voto ».

Giordano ha detto che Prodi farà sua la proposta del Prc.
«Prodi ha ceduto alle sirene del Prc, ma andare in pensione alla giovane età di 57 anni non si può. Non credo che Prodi accetterà la proposta di Giordano, non deve accettarla, la soluzione ideale è che lo scalone entri in vigore il primo gennaio 2008. La sinistra antagonista è isolata, sono loro che devono unirsi al resto della maggioranza».

Sembra facile...
«Un accordo in questa direzione è la sola possibilità per il governo di sopravvivere. Capisco che Giordano minacci di far cadere Prodi, è stato eletto da movimenti, no global, pacifisti anti-Usa... Una piccola minoranza sconfitta dalla storia e che rappresenta il 5 o 6 per cento della popolazione non può avere la pretesa di piegare il Paese a ideologie del passato, mentre l'Italia perde la battaglia dell'economia».

Bertinotti dice che voi riformisti siete i veri conservatori.
«Il conservatore è colui che vuole mantenere l'età della pensione al di sotto della media europea. I riformisti siamo noi del Pd».

Presenterà una sua lista?
«Ci sto pensando, è bene che ci sia una componente liberaldemocratica in appoggio a Veltroni».

E perché non a Letta?
«Nessuno me lo ha chiesto».

Monica Guerzoni
16 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: Casini contro tutti: ...
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2007, 03:30:30 pm
Casini contro tutti:

«Prodi? E’ morto. Ora un esecutivo di salute pubblica»

«Fini difende bipolarismo per sopravvivere»

Dopo le tensioni tra An e Berlusconi arriva la bordata del leader dell’Udc: «Difende la sua rendita. In campo aperto non ha chance» 
 

ROMA – Il bipolarismo continua a far discutere la Casa delle Libertà. O ciò che ne rimane. Mercoledì sul ring erano saliti Silvio Berlusconi e An. Il giorno successivo è il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini a riprendere le ostilità. E riferendosi direttamente al presidente di Alleanza nazionale, Gianfranco Fini, sostiene che «Il bipolarismo è difeso solo da chi, avendo paura del futuro, ritiene che questo sia un'assicurazione sulla vita. Chi lo difende sa di avere pochi numeri in campo aperto e vuole conservare una rendita di posizione».

REFERENDUM - Per il leader dell’Udc, inoltre, «il referendum (appoggiato dall’ex ministro degli Esteri, ndr) è solo un'illusione, non certamente la soluzione» dei problemi della politica italiana. Dunque, sostiene l'ex presidente della Camera, Gianfranco Fini «difende la propria convenienza e io - aggiunge - non mi scandalizzo. Non vorrei che dimenticasse però che anche lui ha difeso questa legge elettorale proporzionale che con il referendum può essere solo peggiorata». Invece, è il ragionamento di Casini, «serve una nuova legge elettorale» che possa far mettere attorno a un tavolo «coloro che ragionano».

PRODI E’ MORTO – Intanto però Casini non è tenero neanche con l’attuale maggioranza e soprattutto con il governo guidato da Romano Prodi: «Questo governo è un morto che cammina, se ne vada il più presto possibile perché più resta e più alimenta il discredito delle istituzioni e della politica. Serve un governo di salute pubblica», ha ribadito Casini. «La gente ragionevole del centrosinistra – ha aggiunto – deve prendere atto che questo è un caso tipico di accanimento terapeutico». Anche perché. È la tesi del leader dell’Udc, «in nessuna parte d'Europa Di liberto e gli esponenti della sinistra estrema hanno le chiavi della politica italiana. Oggi la battaglia non è tra destra e sinistra ma tra modernizzazione e il conservatorismo. Che è a sinistra».

19 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: PRODI RIMANI ALMENO PRESIDENTE DEL PD!!
Inserito da: Admin - Luglio 26, 2007, 10:52:33 pm
PRODI, CHIRAC FRENO' SU RADICI CRISTIANE IN COSTITUZIONE
 
"Feci ogni sforzo per inserire le radici giudaico-cristiane nella Costituzione Ue, ma Chirac ed il premier belga mi dissero che non era possibile. Abbiamo rimediato con l'articolo 52". Lo afferma il presidente del Consiglio, Romano Prodi, in una intervista a Radio 24.

Prodi, in una trasmissione dedicata al cammino dei pellegrini verso Santiago de Compostela, rimarca: "Mi fa arrabbiare molto che in Italia non abbiamo piu' il cammino dei pellegrini verso Roma.

Ad esempio la via Francigena, da Canterbury a Roma, attraverso la Francia, la Pianura Padana, la Cisa, la Toscana, il viterbese fino a Roma. Per ricostruire il grande cammino dei pellegrini non abbiamo bisogno della Costituzione, ne' di grandi investimenti, ma di cuore".

Alla domanda su chi debba fare il pellegrinaggio nella sua coalizione, Prodi replica: "Il pellegrinaggio lo dobbiamo fare tutti, cominciando da me.

Nessuno e' esente da questo obbligo".

 (AGI) - Roma, 26 lug.(AGI)


Titolo: PRODI ...
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2007, 12:00:30 am
LA "CHIAMATA" DI ROMANO PRODI PER IL 14 OTTOBRE

Care amiche e amici,

chiedo ospitalità al “nostro” sito per salutare la nuova fase della costruzione del Partito Democratico. Abbiamo finalmente i candidati per il grande appello popolare del 14 ottobre, quello che è ormai nei nostri cuori “il giorno del Pd”.

La pluralità di persone, di esperienze e di motivazioni che compongono il ventaglio delle candidature mi fa capire che, ancora una volta, la nostra non è una scommessa ma una certezza. Il 12 luglio, nella lettera aperta scritta sul mio sito, confessavo la mia  soddisfazione perché “a dodici anni dalla nascita dell’Ulivo, sento intorno la stessa voglia di cambiamento, di partecipazione.”  Ebbene, oggi quella soddisfazione è il sentimento con cui saluto tutti i candidati in corsa. Perché sono soddisfatto di vedere esperienze e storie diverse pronte a fare proposte, ma soprattutto perché vedo persone pronte a proporre se stesse e a mettersi in gioco.

Sarà una competizione?, una gara?, una battaglia? Molto più semplicemente sono convinto sarà un confronto, uno di quei percorsi che arricchiscono sia chi vi partecipa che il risultato finale. Vedete, in democrazia ogni sfida – come ho già detto più volte – è “per”, non “contro”. Questo non significa che ci debba essere un appiattimento generale. La visione comune del “nuovo partito” deve assolutamente avere prospettive diverse a confronto. Chi farà emergere la propria avrà poi il compito e l’impegno di farsi contaminare positivamente dalle altre nella costruzione definitiva del progetto.

Agosto è il mese tradizionalmente dedicato al riposo e, possibilmente, al divertimento. I candidati alla segreteria probabilmente si divertiranno lavorando per questo grande progetto, ma sicuramente non si riposeranno. Anche per questo dobbiamo rivolgere loro un sincero grazie per quanto si apprestano a fare. E’ vero che saranno settembre e le prime due settimane di ottobre le giornate calde in vista del voto. Ma sono certo che già durante questo mese si faranno strada idee e proposte.

Anche per questo abbiamo il dovere di stare vicini ai candidati, ascoltare, tenerci informati. In una parola sola: partecipare.

Il Partito democratico, lo ripeto ancora una volta,  non può nascere senza una grande partecipazione popolare. Verrebbe meno tutto il lavoro degli ultimi anni, non solo degli ultimi mesi. Il 14 ottobre, non dimentichiamolo, si scelgono i partecipanti all’assemblea nazionale e a quelle regionali. La mia non è una “offerta di lavoro”. E’ una pressante, determinata e convinta “chiamata”.

Chiunque dei candidati prevalga, qualsiasi linea programmatica adotti, deve sapere che il suo lavoro non può essere disgiunto da quello dei rappresentanti eletti delle assemblee. Abbiamo voluto un partito aperto e lo stiamo costruendo. Agosto servirà anche a molte migliaia di italiane ed italiani per decidere come e con chi concorrere. Contribuendo al confronto e non alle recriminazioni o alle contrapposizioni. E’ una scelta che non solo auspico, ma che appunto chiedo con forza.

Desidero infine rivolgere il mio grazie anche a chi è rimasto escluso dalla possibilità di correre per la segreteria. So che si è trattato di decisioni non semplici, ma so anche che gli amici che avevano dato la loro disponibilità continueranno a guardare con attenzione al Partito Democratico. Chi tra loro ricopre già rilevanti ruoli politici è atteso da una sfida appassionante, quella di arricchire il percorso del nuovo partito al di là delle pur comprensibili reazioni negative per non poter essere, da subito, protagonisti di questa avventura.

Il Partito Democratico non esclude. Il Partito Democratico non ha paura di nascere aperto e plurale. Il Partito Democratico è realmente democratico: le regole che ci siamo dati da Orvieto in avanti testimoniano la trasparenza e la perenne ricerca del confronto. A chi oggi si sente “respinto” chiedo solo di non emettere sentenze e di credere in questo progetto, sia prima che dopo il 14 ottobre, perché è un progetto che viene da lontano, è stato generato dall’Ulivo e dagli sforzi congiunti di chi ha già preso decisioni storiche. Saremo felici di abbracciarne altre, perché quella del partito Democratico sarà davvero una storia di tutti e per tutti.

Auguri di buon lavoro “per” il Pd a tutti i candidati. Auguri a noi.


Romano Prodi


Titolo: Mobilitazione sì, ma lealtà al governo
Inserito da: Admin - Agosto 03, 2007, 10:31:00 pm
Mobilitazione sì, ma lealtà al governo


Il premier scrive agli elettori della sinistra dell’Unione. Con una lettera, pensata per i due quotidiani d'area: “Liberazione” e “Il Manifesto”, ma poi pubblicata sul suo sito, Romano Prodi si rivolge direttamente al popolo che meno si sente vicino a lui in questo momento. A quanto riferiscono fonti dei due quotidiani, in mattinata Silvio Sircana, portavoce del presidente del Consiglio, avrebbe avuto due colloqui telefonici con i direttori Piero Sansonetti (“Liberazione”) e Gabriele Polo (“Il Manifesto”). I quali hanno fatto presente al premier che entrambi i quotidiani pubblicano l'appello per una manifestazione d’autunno di tutta la sinistra (forze politiche e movimenti) per portare in piazza la delusione nei confronti delle politiche sociali ed economiche del governo. Un appello sottoscritto da diversi esponenti politici e da diverse organizzazioni.

Sansonetti e Polo avrebbero dunque chiesto a Prodi di aspettare 24 ore. La lettera, insomma, sarebbe stata pubblicata sabato e non venerdì. Il premier ha deciso allora di far uscire la lettera sul suo sito personale. Una scelta che nelle redazioni di “Liberazione” e “Manifesto” non è stata particolarmente apprezzata. Anche perché sarebbe stata fatta senza avvertire i giornali.

Diversa la versione di palazzo Chigi su tutta la vicenda. In un primo momento, si rileva, Sansonetti e Polo avevano accettato, sia pure con qualche riserva, di pubblicare subito la lettera del presidente del Consiglio. Salvo poi cambiare idea nel pomeriggio. Insomma, secondo Palazzo Chigi prima ci sarebbe stato un sostanziale “sì”, e poi un “no” da parte dei due direttori. A questo punto Sircana, dopo essersi consultato con il premier, avrebbe avvertito Gabriele Polo, che era in contatto con Sansonetti, della decisione di pubblicare la missiva direttamente sul sito di Prodi.

Nella sua lettera aperta agli alleati e agli elettori di sinistra il premier ricorda agli alleati che in questo periodo manifestano le critiche più dure nei confronti del governo, il percorso fatto insieme. «La sinistra, dopo i cinque anni di devastazione sociale ed etica alimentati dal governo delle destre, ha testardamente voluto - ricorda Prodi - il governo di questo Paese. Ha lavorato per questo obiettivo insieme alle altre forze dell`Unione, costruendo un Programma e un`idea diversa di Italia. Ha fatto tutto questo ben sapendo che al primo posto delle emergenze c`era il risanamento dei conti pubblici. Non senza fatica ha condiviso un Dpef e una Finanziaria che hanno prodotto risultati mirabili a fronte di una nuova richiesta di sacrifici per i cittadini. Sacrifici che, anche grazie a tutti i ministri del Governo e ai gruppi parlamentari che ne rappresentano l`elettorato in Senato e alla Camera, sono stati equi e giusti, diminuendo privilegi ed ingiustizie».

«La critica costruttiva - precisa il capo del governo nella sua lettera aperta - è l`anima di una politica vera. Sia negli editoriali che negli articoli o nei commenti ospitati su quelle colonne si legge spesso la parola “mobilitazione”. In queste ultime settimane, poi, sembra quasi che il mantra della reazione sia una sorta di “liberazione” o “manifesto” (scusate il gioco di parole), con cui la cosiddetta sinistra cosiddetta radicale si prepari ad affrontare la ripresa del dibattito politico e dell`attività di governo».

Dopo aver elencato i meriti del governo e della maggioranza, e il carattere “popolare” delle sue scelte, Prodi si rivolge direttamente ai suoi alleati di sinistra: «Per tutte queste ragioni - dice - vorrei davvero che in autunno ci fosse quella mobilitazione di cui si parla: nelle piazze, come sui luoghi di lavoro. Portando sì le vostre istanze, l’orgoglio “popolare”, gli stimoli e naturalmente anche le critiche. Ma ricordando che questo Governo merita fiducia perché in soli 14 mesi ha rimesso a posto il debito, vede ripartire l`economia e tutelare i consumatori grazie alle liberalizzazioni, non teme i giudizi europei e internazionali, combatte la propria guerra alle guerre e si batte per la moratoria sulla pena di morte. E, appunto, sta ricostruendo un sistema di welfare che non deve essere giudicato tutti i giorni da “riformisti” o “radicali” come un qualcosa da cambiare comunque».

«Se potremo migliorare ancor di più le nostre azioni sociali lo faremo, statene certi. E ascolteremo con attenzione tanto i cittadini quanto il Parlamento. Ma non dimentichiamo mai, prima di giudicare o attaccare, quello che stiamo riuscendo a fare insieme dopo tanti, troppi anni bui», conclude Prodi.

Nella parte centrale della sua lettera aperta agli alleati di sinistra, Romano Prodi rivendica orgogliosamente i risultati ottenuti dal suo governo, partendo dalla recente intesa sul welfare con le parti sociali. «Il percorso delle riforme - scrive il premier - ci ha portati nelle scorse settimane a definire con i sindacati il Protocollo sulle pensioni e sul welfare. Non è stato un atto isolato o autoritario, ma il frutto di mesi di concertazione, una parola che non vorrei venisse sottovalutata. Il governo precedente aveva imposto, noi abbiamo scelto di condividere. È stato così sulle grandi opere, sui temi ambientali, sulle riforme economiche. Non poteva che essere così anche sul welfare».

«Non mi stupisco - prosegue - quando si dice che si poteva fare di più e che a settembre è necessario lavorare ancora per fare in modo che l`equità sia massima e che si cancellino i favoritismi. Ma vorrei che a quel mese di settembre si arrivasse dopo aver analizzato con trasparenza e serietà quanto è stato fatto finora in questo ambito». «Lasciatemi sintetizzare in poche parole orgogliose - dice Prodi - quanto è stato siglato il 23 luglio, una data importante. Innanzitutto è stato evitato che, il 31 dicembre, entrasse in vigore una delle leggi più arroganti di sempre, uno “scalone” di disuguaglianze e finte responsabilità. Basterebbe questo, come il Programma firmato insieme ci stimolava a fare, per considerare un successo quell`accordo. Ma non basta: abbiamo deciso di investire sul futuro dei giovani e dei meno giovani attraverso un progetto da 35 miliardi di euro in dieci anni, garantendo assegni più alti e tutele più forti. Abbiamo allargato la platea dei lavori usuranti, abbiamo limitato le pensioni d`oro, abbiamo, in buona sostanza, fatto quelle politiche sociali che la sinistra ci chiedeva il 9 e il 10 aprile del 2006 mettendo la propria croce sul simbolo dell`Unione».

«Ma non è tutto. Ferme restando le esigenze di riequilibrio dei conti pubblici, l`extragettito frutto delle politiche serie di lotta all`evasione e che proprio in queste ore è stato approvato in Parlamento - sottolinea il capo del governo - ci ha permesso di alzare le pensioni minime a milioni di cittadini, far riscattare la laurea senza esborsi folli ai giovani, aumentare la lotta al precariato che già è stato limitato dalle politiche sul cuneo fiscale. Certo, si può fare di più, ci mancherebbe. Ma sfido chiunque a non definire queste scelte come “popolari”».

«Abbiamo ancora molto da fare - ricorda Prodi - e non solo su temi fiscali ed economici. Ci sono da portare a termine le riforme istituzionali imposte dalla destra, da risolvere il conflitto di interessi, da garantire il pluralismo dell`informazione e della formazione. C`è, forte, la necessità di lavorare per le sicurezze, a partire da quelle per i lavoratori. Le Camere hanno approvato una legge che abbiamo fortemente voluto ma non basta. Non è tollerabile piangere ogni giorno vite spezzate dalla mancanza di regole e di tutele. Siamo di fronte a un`emergenza nazionale che va combattuta con provvedimenti forti e controlli severi, come abbiamo iniziato a fare: in questi mesi sono stati assunti 1411 ispettori, sospese 1760 aziende prive dei requisiti di legge in materia e altre 711 regolarizzate. E non dimentichiamo - sottolinea ancora Prodi - che ben 143mila lavoratori sconosciuti all`Inail, metà dei quali stranieri, sono adesso garantiti».

«Anche sull`ambiente - scrive Prodi rivolgendosi agli alleati più sensibili ai temi dell'ecologia - abbiamo fatto solo una parte del lavoro che ci eravamo ripromessi. E che dobbiamo intensificare assolutamente dopo la pausa di agosto. prefissati. Proprio in queste ore il ministro Pecoraro Scanio ha ricordato gli impegni programmatici su Kyoto, la Legge obiettivo, la lotta all`inquinamento, le biodiversità. Tutto il governo, tutta la maggioranza devono essere 'verdì, perché è in gioco il futuro delle nuove generazioni e lo stesso sviluppo del Paese. Abbiamo investito in un piano sull`energia di grande profilo, ci siamo attivati nelle tutele e nella ricerca. Ma sappiamo di poter dare e fare di più, perché anche in questo - rivendica il premier - siamo più responsabili e motivati di chi ci ha preceduto».

In serata, la replica del ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero: «Non posso che valutare positivamente il fatto che Prodi dialoghi con la parte sinistra dell'Unione», ma «ho con Prodi una evidente differenza di valutazione su quello che il governo ha fatto fin qui».

Pubblicato il: 02.08.07
Modificato il: 03.08.07 alle ore 9.39   
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Titolo: Romano Prodi Il Governo merita Fiducia
Inserito da: Admin - Agosto 03, 2007, 10:38:44 pm
Il Governo merita Fiducia

Romano Prodi


Questa lettera aperta è rivolta in modo particolare a quanti, sostenendo l’Unione, hanno espresso la loro preferenza per i partiti della sinistra. Al tempo stesso è una riflessione comune che credo doverosa e che forse era giusto fare anche prima.

Leggo spesso sulle pagine dei quotidiani di riferimento di questo elettorato parole pesanti e preoccupate.

Non vengono da un'opposizione preconcetta, ma vengono da chi, con lealtà, sostiene il governo di centrosinistra, lo stesso governo che gli elettori-lettori di questi giornali hanno contribuito ad eleggere nell'aprile dell'anno scorso. Sono quindi parole da considerare con attenzione. E rispettare.

La critica costruttiva è l'anima di una politica vera. Sia negli editoriali che negli articoli o nei commenti ospitati su quelle colonne si legge spesso la parola «mobilitazione». In queste ultime settimane, poi, sembra quasi che il mantra della reazione sia una sorta di «liberazione» o «manifesto» (scusate il gioco di parole), con cui la cosiddetta sinistra cosiddetta radicale si prepari ad affrontare la ripresa del dibattito politico e dell'attività di governo.

Chiariamo subito un primo concetto. Io non credo affatto all'idea di una sinistra «radicale». Ve lo dico come leader dell'Unione e come presidente del futuro Partito Democratico, un partito che non deve essere visto come un avversario ma al contrario come un motivo in più per una coabitazione rispettosa e serena. Ho troppa stima per le donne e gli uomini che compongono la grande area della sinistra (e che stanno giustamente lavorando affinché ci sia in questa area una forma di riunificazione moderna ed europea) per considerare come «radicale» qualcosa che invece è a mio avviso estremamente «popolare». L'idea stessa di considerarsi i difensori della società meno fortunata è un compito nobile. Specie quando si è chiamati a farlo ricoprendo incarichi di responsabilità.

La sinistra, dopo i cinque anni di devastazione sociale ed etica alimentati dal governo delle destre, ha testardamente voluto il governo di questo Paese. Ha lavorato per questo obiettivo insieme alle altre forze dell'Unione, costruendo un Programma e un'idea diversa di Italia. Ha fatto tutto questo ben sapendo che al primo posto delle emergenze c'era il risanamento dei conti pubblici. Non senza fatica ha condiviso un Dpef e una Finanziaria che hanno prodotto risultati mirabili a fronte di una nuova richiesta di sacrifici per i cittadini. Sacrifici che, anche grazie a tutti i ministri del Governo e ai gruppi parlamentari che ne rappresentano l'elettorato in Senato e alla Camera, sono stati equi e giusti, diminuendo privilegi ed ingiustizie.

Il percorso delle riforme ci ha portati nelle scorse settimane a definire con i sindacati il Protocollo sulle pensioni e sul welfare. Non è stato un atto isolato o autoritario, ma il frutto di mesi di concertazione, una parola che non vorrei venisse sottovalutata. Il governo precedente aveva imposto, noi abbiamo scelto di condividere. È stato così sulle grandi opere, sui temi ambientali, sulle riforme economiche. Non poteva che essere così anche sul welfare.

Non mi stupisco quando si dice che si poteva fare di più e che a settembre è necessario lavorare ancora per fare in modo che l'equità sia massima e che si cancellino i favoritismi. Ma vorrei che a quel mese di settembre si arrivasse dopo aver analizzato con trasparenza e serietà quanto è stato fatto finora in questo ambito.

Lasciatemi sintetizzare in poche parole orgogliose quanto è stato siglato il 23 luglio, una data importante. Innanzitutto è stato evitato che, il 31 dicembre, entrasse in vigore una delle leggi più arroganti di sempre, uno «scalone» di disuguaglianze e finte responsabilità. Basterebbe questo, come il Programma firmato insieme ci stimolava a fare, per considerare un successo quell'accordo. Ma non basta: abbiamo deciso di investire sul futuro dei giovani e dei meno giovani attraverso un progetto da 35 miliardi di euro in dieci anni, garantendo assegni più alti e tutele più forti. Abbiamo allargato la platea dei lavori usuranti, abbiamo limitato le pensioni d'oro, abbiamo, in buona sostanza, fatto quelle politiche sociali che la sinistra ci chiedeva il 9 e il 10 aprile del 2006 mettendo la propria croce sul simbolo dell'Unione.

Ma non è tutto. Ferme restando le esigenze di riequilibrio dei conti pubblici, l'extragettito frutto delle politiche serie di lotta all'evasione e che proprio in queste ore è stato approvato in Parlamento ci ha permesso di alzare le pensioni minime a milioni di cittadini, far riscattare la laurea senza esborsi folli ai giovani, aumentare la lotta al precariato che già è stato limitato dalle politiche sul cuneo fiscale. Certo, si può fare di più, ci mancherebbe. Ma sfido chiunque a non definire queste scelte come «popolari».

Abbiamo ancora molto da fare e non solo su temi fiscali ed economici. Ci sono da portare a termine le riforme istituzionali imposte dalla destra, da risolvere il conflitto di interessi, da garantire il pluralismo dell'informazione e della formazione. C'è, forte, la necessità di lavorare per le sicurezze, a partire da quelle per i lavoratori. Le Camere hanno approvato una legge che abbiamo fortemente voluto ma non basta. Non è tollerabile piangere ogni giorno vite spezzate dalla mancanza di regole e di tutele. Siamo di fronte a un'emergenza nazionale che va combattuta con provvedimenti forti e controlli severi, come abbiamo iniziato a fare: in questi mesi sono stati assunti 1411 ispettori, sospese 1760 aziende prive dei requisiti di legge in materia e altre 711 regolarizzate. E non dimentichiamo che ben 143mila lavoratori sconosciuti all'Inail, metà dei quali stranieri, sono adesso garantiti.

Anche sull'ambiente abbiamo fatto solo una parte del lavoro che ci eravamo ripromessi. E che dobbiamo intensificare assolutamente dopo la pausa di agosto. prefissati. Proprio in queste ore il ministro Pecoraro Scanio ha ricordato gli impegni programmatici su Kyoto, la Legge obiettivo, la lotta all'inquinamento, le biodiversità. Tutto il governo, tutta la maggioranza devono essere «verdi», perché è in gioco il futuro delle nuove generazioni e lo stesso sviluppo del Paese. Abbiamo investito in un piano sull'energia di grande profilo, ci siamo attivati nelle tutele e nella ricerca. Ma sappiamo di poter dare e fare di più, perché anche in questo siamo più responsabili e motivati di chi ci ha preceduto.

Per tutte queste ragioni vorrei davvero che in autunno ci fosse quella mobilitazione di cui si parla: nelle piazze, come sui luoghi di lavoro. Portando sì le vostre istanze, l'orgoglio «popolare», gli stimoli e naturalmente anche le critiche. Ma ricordando che questo Governo merita fiducia perché in soli 14 mesi ha rimesso a posto il debito, vede ripartire l'economia e tutelare i consumatori grazie alle liberalizzazioni, non teme i giudizi europei e internazionali, combatte la propria guerra alle guerre e si batte per la moratoria sulla pena di morte. E, appunto, sta ricostruendo un sistema di welfare che non deve essere giudicato tutti i giorni da «riformisti» o «radicali» come un qualcosa da cambiare comunque.

Se potremo migliorare ancor di più le nostre azioni sociali lo faremo, statene certi. E ascolteremo con attenzione tanto i cittadini quanto il Parlamento. Ma non dimentichiamo mai, prima di giudicare o attaccare, quello che stiamo riuscendo a fare insieme dopo tanti, troppi anni bui.

Pubblicato il: 03.08.07
Modificato il: 03.08.07 alle ore 8.17   
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Titolo: Pecoraro Scanio: «Bene Prodi, ora dialogo aperto»
Inserito da: Admin - Agosto 03, 2007, 10:40:59 pm
Pecoraro Scanio: «Bene Prodi, ora dialogo aperto»

Il leader dei Verdi apprezza l’intervento del premier: «Una risposta alla mia sollecitazione»

Eduardo Di Blasi


È l’unica persona citata (per cognome) nella lettera di Prodi. Il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, appare sostanzialmente soddisfatto.

«Questa è una bella botta anche a chi pensa che noi siamo quelli che dicono no». Soddisfatto anche perché la lettera di Prodi risponde, tra l’altro, a una missiva sul programma ambientale dell’Unione inviata al premier il giorno prima. «Io non posso che essere contento che Prodi dica che abbiamo fatto solo una parte del lavoro che ci eravamo ripromessi. La vertenza ambientale è per noi fondamentale».

Di che si tratta?

«Al primo punto c’è la modifica della Legge obiettivo. Siamo arrivati a un compromesso di opere che è quasi di 300 miliardi di euro: evidentemente non si faranno mai. Rispondono alla fame di apparati, a pressioni di lobbies e di realtà territoriali. Dobbiamo saper scegliere: il territorio è la prima infrastruttura. Poi bisogna investire su ferrovie e mobilità sostenibile nelle città».

Prodi dice che tutta la maggioranza deve essere «verde»...

«E allora dobbiamo subito dire che il carbone è in contrasto con il protocollo di Kyoto. Nel nostro programma c’è scritta un’altra cosa. È per questo che abbiamo aperto la vertenza».

Lei usa la parola «vertenza»: queste lettere tra esponenti del governo sono una risorsa o un elemento di attrito?

«Io credo siano una risorsa, perché se uno scrive una lettera vuol dire che vuole risolvere i problemi. Chiamiamolo dialogo intenso. Certo siamo preoccupati: la legge obiettivo è stata considerata un fallimento nel programma dell’Unione. Dopo un anno non si è mosso nulla. Siamo affetti da “Lunardismo”».

La battaglia a sinistra è diventata un richiamo al programma...

«Il programma dell’Unione è ben fatto: è che non c’è il coraggio riformatore, perché la verità è che noi siamo la sinistra riformatrice mentre abbiamo una serie di moderati che non vogliono alcuna riforma. Anche il tema della biodiversità trova resistenza nella maggioranza. O il diritto all’acqua bene comune. L’abbiamo messo nel programma ma a tutt’oggi non siamo riusciti a scrivere la norma che ne stabilisca la proprietà pubblica».

Secondo lei dopo la lettera di Prodi cambia qualcosa?

«Mi sembra una disponibilità maggiore al dialogo. Mi auguro lo sappia esplicitare in Consiglio dei ministri».

Lei ha sottolineato solo temi «Verdi». Non parla dei temi della sinistra, chiamiamola «radicale»...

«Chiamiamola sinistra arcobaleno, oppure sinistra riformatrice...».

A ottobre questo soggetto dovrebbe dar vita a una manifestazione unitaria...

«No, questo lo vediamo con calma. Quello che serve è un’intesa su 10 riforme vere, e consultare i cittadini su questo. Noi dobbiamo essere quelli dei contenuti. Io ho questo mandato dal mio partito, all’unanimità: devo fare la riforma dell’energia, dei trasporti, dell’edilizia, il reddito di cittadinanza, una riforma che ristrutturi il meccanismo della spesa militare utilizzando anche le forze armate per abbattere gli abusi edilizi. pacs...».

Però sulla prima «cosa concreta», le pensioni, vi siete trovati divisi...

«È normale, perché non si è discusso prima. Noi avevamo preso un impegno con i sindacati che non li avremmo lasciati scoperti. Noi e Sd abbiamo mantenuto l’impegno. Prc e Pdci hanno avuto più difficoltà. Però io non capisco come invece di parlare di 300 miliardi buttati sulla legge obiettivo che non funziona, discutiamo di cose che hanno il valore di 2-3 miliardi...».

È il tema politico oggi in discussione...

«Sì, ma se noi non vediamo svolte serie sull’ambiente può essere che qualcosa cambi, e quello diventa il tema politico. Perché il governo cade pure se i Verdi a un certo punto dicono basta. Oggi Prodi ha dato disponibilità: vediamo. Sennò la corda siamo costretti a tirarla noi».

Il tema resta quello del «chi tira la corda». Ma la maggioranza è vera o virtuale?

«La maggioranza è vera perché ha retto più di un anno. E regge se rispetta il programma. La corda la tira il centro, perché il programma dice esattamente quello che diciamo noi. Prodi scrive che il Pd vuole collaborare con la sinistra. Adesso alla prova dei fatti rispondano questi moderati della coalizione e rispettino quello che dice il loro leader, perché, in attesa di quello che sarà il segretario, Prodi resta il fondatore del Pd».

Pubblicato il: 03.08.07
Modificato il: 03.08.07 alle ore 8.19   
© l'Unità.


Titolo: PRODI ...
Inserito da: Admin - Agosto 03, 2007, 10:44:38 pm
Il bilancio del premier prima delle vacanze: «Non potevano fare di più»

Prodi: «L'Udc non entrerà nel governo»

Il presidente del Consiglio: «Non ho intenzione di cambiare maggioranza e poi i loro voti non basterebbero» 
 

ROMA - Romano Prodi, in un'intervista a SkyTg24, ha escluso la possibilità dell'ingresso dell'Udc nel governo. «Sono al governo con questa alleanza - ha detto il presidente del Consiglio - rimango leale e non ho intenzione di cambiarla. E poi i voti di Casini non basterebbero nemmeno lontanamente».

IL GOVERNO DECIDE - Con l'attività dell'ultimo periodo il governo «ha sfatato il concetto che si è tentato di imporre e cioè che non è capace di decidere» aveva spiegato Prodi durante la conferenza stampa al termine dell'ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva. «Abbiamo una maggioranza risicata al Senato - ha aggiunto il premier - ma le decisioni sono state copiose: in un anno e tre mesi di più non potevamo fare. Questo governo, nonostante le difficoltà e le contrapposizioni in Parlamento, va avanti con un piano organico, nella messa in atto del programma», ha detto il primo ministro. ««C'è ancora una contrapposizione durissima tra maggioranza e opposizione, le occasioni di collaborazione sono state scarse: mi auguro che in futuro ci siano più occasioni per collaborare».

A BERLUSCONI: «CONTINUA COSI'» - «Continua così, che a me va bene così ». È questo il messaggio che Romano Prodi, intervistato da Sky tg24, ha detto di voler mandare a Silvio Berlusconi. Il premier ha spiegato che Berlusconi, come capo dell'opposizione, gli va più che bene: «Meglio di così... Questo scontro continuo, questo continuo minacciare la possibilità che qualche senatore della maggioranza passi con lui...». «Le posizioni politiche - sottolinea Prodi - si costruiscono con la politica, non dicendo che c'è qualche senatore in procinto di passare con lui. La politica si fa capendo le ragioni degli altri e immaginando una strategia».

LIBERALIZZAZIONI - Alla ripresa dell'attività politica, la priorità del governo saranno le liberalizzazione, ha aggiunto il Professore. «Questi pacchetti ci potranno portare a obiettivi crescita superiori al passato».

SOCIALE - «È visibilmente migliorata la condizione sociale. Per oltre 3 milioni di persone tra pochi mese aumenteranno le pensioni minime. Non c'è più l'incubo della quarta settimana», ha aggiunto Prodi.

BILANCIO - «Alle Camere è stato approvato il decreto sull'extragettito. E poi la risoluzione sul Dpef, la riforma dell'ordinamento giudiziario, la riforma dei servizi, il provvedimento sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, la legge sull'intramoenia. E ci sono stati anche i dibattiti sulla politica estera», ha elencato il capo del governo. «Nello stesso periodo di tempo il governo ha siglato l'accordo sulle pensioni, il protocollo sul welfare. C'è il rinnovo del contratto per il comparto sicurezza e difesa e quello per il parastato, il provvedimento per l'assunzione di 60 mila precari nella scuola. Abbiamo licenziato il testo per la sicurezza stradale e il ministro Bersani ha presentato a Bruxelles il piano per l'energia».

03 agosto 2007
 
da corriere.it


Titolo: Padellaro Deboli ma Prodi
Inserito da: Admin - Agosto 04, 2007, 10:01:40 pm
Deboli ma Prodi

Antonio Padellaro


Si dice che il direttore di "Liberazione" (e non solo lui dentro Rifondazione) sospetti che la l´appello alla sinistra dell´Unione sia stato escogitato da Romano Prodi per giocare d´anticipo. Obiettivo: la manifestazione indetta da partiti, movimenti e associazioni per il prossimo 20 ottobre la cui piattaforma stava per essere pubblicata dal giornale del Prc e dal "Manifesto". Di qui la richiesta di far slittare di un giorno la lettera del premier. Di qui il diniego di palazzo Chigi che ha provveduto subito alla divulgazione della lettera. Di qui la risposta di Piero Sansonetti che ha definito «arrogante e autoritario» il gesto del presidente del Consiglio. Se così fosse, se cioè di mossa tattica si è trattato, il Professore avrebbe dimostrato una volta di più la sua capacità politica di trarre forza dalla debolezza. O meglio, di trasformare la debolezza in un fattore di forza, come ebbe a scrivere mesi fa Pierluigi Battista sul "Corriere della sera". Battuta azzeccata, ma che alla luce dei fatti andrebbe così corretta: è Prodi che si rafforza sulle debolezze degli altri. Infatti, mentre la parte più antagonista della coalizione si preparava a mobilitare la piazza contro il governo di cui pure fa parte (peculiarità questa della sinistra italiana), il premier ha realizzato comunque tre risultati. Ha mostrato «attenzione» e «rispetto» nei confronti di quella sinistra spesso protestataria che va da Rifondazione, ai Comunisti italiani, ai Verdi al nuovo partito di Mussi e Salvi.

E anzi, per conferire maggiore dignità politica a quell´area e alle critiche «costruttive» che da essa provengono, ha cambiato denominazione alla sinistra «radicale» omaggiandola come sinistra «popolare». Un aggettivo appropriato visto che si tratta non di un gruppo isolato di esagitati, come qualcuno vorrebbe far credere, bensì di forze che rappresentano complessivamente quasi cinque milioni di italiani e che contano in parlamento circa centocinquanta tra deputati e senatori.

Cordiale nella forma, l´appello prodiano contiene tuttavia un nocciolo duro poco conciliante. Sulle questioni di merito (come il sistema di welfare) che, scrive Prodi, non deve essere giudicato tutti i giorni da riformisti o radicali come un qualcosa da cambiare comunque. C´è poi un avvertimento, esteso a tutti i naviganti dell´Unione che si può riassumere così: non esagerate con le critiche e con gli attacchi perché a furia di agitarsi si rischia di mandare a fondo la barca. Insomma: se c´è qualcuno che preferisce un ritorno agli «anni bui» di Berlusconi, si faccia avanti.

Con questa esperta tecnica (si può dire democristiana?) della carota e del bastone, il premier prova a disinnescare la manifestazione di ottobre dalle contraddizioni che essa già presenta. E quindi, par di capire, niente di grave se accanto a tanta brava gente che lotta per i suoi diritti scenderanno in piazza ministri ed esponenti della maggioranza. Anzi, leggiamo, «considerarsi i difensori della società meno fortunata è un compito nobile».

Un testo che per tono e contenuti difficilmente sarà piaciuto all´ala riformista dell´Unione. Anche perché in un passaggio che non sarà sfuggito a chi corre nelle famose primarie, Prodi rivendica in pieno e a lettere maiuscole il suo ruolo di leader dell´Unione e di presidente del Partito democratico. Ponendosi cioé in alto e al centro dello schieramento. Assumendo un ruolo equilibratore tra le varie anime dell´Unione che nessun´altro in questo momento può esercitare. Ma dando anche l´impressione di voler riportare un po´ più a sinistra la rotta del Pd, correggendo gli entusiasmi centristi (con un occhio all´Udc) dei cosiddetti «coraggiosi». A palazzo Chigi, scriveva ieri mattina Massimo Franco sulla prima pagina del Corriere, ironizzano sulle maggioranze di nuovo conio ipotizzate da Francesco Rutelli, e fanno sapere che il governo continuerà a battere la sua moneta. Restando ben fermi su questa maggioranza, come ha ripetuto ieri sera il presidente del Consiglio a Sky..

Così, tra ministri litigiosi e spallate a vuoto, tra laicisti e teodem, pro-dico e antidico, filoisraeliani e filopalestinesi, liberisti e statalisti, al Senato sempre sull´orlo del tracollo che non arriva, al minimo dei consensi sulla Finanziaria, tra Visco, Speciale e Padoa Schioppa, Prodi taglia il traguardo dei quattordici mesi. Sempre facendosi forte delle altrui debolezze. quelle di una maggioranza che non ha alternative. Quella di un´opposizione vincente nei sondaggi ma riluttante sulle elezioni anticipate da quando Berlusconi non ha più una leadership condivisa, e si prende i ripetuti no di Casini. In queste condizioni, traballanti ma sempre in piedi, Prodi e il suo governo (a parte le scivolate impreviste) il solo avversario che sembrano dover temere è un nuovo sistema di voto che renda praticabili nuove maggioranze e nuovi governi. Chissà perché ma si ha l´impressione che prima che l´Unione concordi la famosa riforma elettorale passerà del tempo. Molto tempo.

apadellaro@unita.it



Pubblicato il: 04.08.07
Modificato il: 04.08.07 alle ore 13.05   
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Titolo: Quando Romano Prodi chiede alla Chiesa italiana un maggiore impegno contro ...
Inserito da: Admin - Agosto 10, 2007, 05:15:49 pm
Peccato Capitale

Paolo Leon


Quando Romano Prodi chiede alla Chiesa italiana un maggiore impegno contro l’evasione fiscale, l’Avvenire reagisce sostenendo che i partiti hanno a loro volta delle colpe.

Il giornale cattolico, nella sua argomentazione, dimentica importanti insegnamenti di Cristo, in particolare quello del fuscello (il costo della politica) e della trave (l’evasione fiscale).

Tra l’altro, ci viene insegnato di non giudicare, e questo è vero soprattutto per chi non vuole essere giudicato.


Il problema dell’Avvenire è che effettivamente l’evasione fiscale non è considerata dalla Chiesa italiana un peccato così grave: se lo fosse, avremmo visto, negli anni, stuoli di evasori restituire il maltolto, come ogni confessore li avrebbe obbligati a fare, prima di assolvere; allo stesso modo, premier cattolici non avrebbero potuto promettere condoni. Invece, l’evasione fiscale è un peccato grave, oltre che un reato: per chi, come talvolta l’Avvenire e tanti cattolici tradizionalisti, ritiene che un peccato dovrebbe essere un reato (aborto, preservativo, fecondazione assistita, ecc.), svalutare l’evasione fiscale come peccato, implica svalutarla anche come reato. Ora, la Chiesa ha tutto il diritto di insegnare alle coscienze, ma deve rassegnarsi ad essere criticata quando l’insegnamento è insufficiente. Qui è in causa un comportamento generale, dietro il quale si nascondono prevaricazione, fuga dalle responsabilità, ipocrita critica allo Stato, finanziamenti illeciti, e soprattutto, grande ingiustizia tra chi paga e chi non paga le tasse. Se non pagare le tasse è una lieve scorrettezza per la Chiesa, è possibile che i cattolici non si rendano conto delle conseguenze dell’evasione; e al consigliere tributario che suggerisce scappatoie illegali, la coscienza gli rimorderà solo poco. Più in generale, se è moralmente consentito chiudere un occhio sulle tasse, come si impedisce che si chiuda un occhio su molte altre illegalità? Perfino Valentino Rossi è più corretto dell’Avvenire, quando afferma che lo Stato fa il suo dovere nel contestargli l’evasione, e non si nasconde dietro i fallimenti dello Stato.

Vorrei ricordare all’Avvenire una delle conseguenze dell’evasione fiscale. Se i cittadini non pagano le tasse, diventa difficile assicurare a tutti un servizio sanitario universale, che non guardi al reddito, alla razza, alle convinzioni di ciascuno. In effetti, negli ultimi decenni, l’evasione fiscale ha determinato un’erosione nell’universalità del diritto alla salute. Molti, nella destra italiana, che tanto piace all’Avvenire, sono in realtà favorevoli ad una sanità pagata direttamente dai malati, accompagnata da un sussidio per i poveri; non più un servizio nazionale, ma una beneficenza pubblica, che ridurrebbe fortemente il deficit pubblico. In questo modo si ridurrebbero le tasse, i ricchi pagherebbero per la loro salute, i poveri verrebbero aiutati da un’assistenza pubblica che inciderebbe poco sulle finanze dello Stato. Sembra l’uovo di Colombo. Ora, che questo sistema non funzioni affatto, è ampiamente dimostrato negli Usa: i ricchi sono pochi, la classe media non è mai tanto ricca da potersi permettere di sopportare il costo della malattia, la beneficenza pubblica (compresa la filantropia privata) acuisce lo stigma dei poveri, perché li classifica come tali e li fa oggetto di disprezzo da parte di chi paga le tasse. Tuttavia, il punto che vorrei fare è che, anche se il nostro paese dovesse avviarsi su questa pessima strada, i ricchi continuerebbero a non pagare le tasse, dato che l’evasione fiscale sarebbe sempre considerata una leggera scorrettezza dalla Chiesa, e perciò non contribuirebbero a finanziare nemmeno la salute per i poveri.

Papa Giovanni Paolo II ha fatto molte autocritiche: l’Avvenire ci pensi.

Pubblicato il: 10.08.07
Modificato il: 10.08.07 alle ore 10.12   
© l'Unità.


Titolo: Il presidente del Consiglio: "Condivido tutte le parole del cardinale"
Inserito da: Admin - Agosto 20, 2007, 05:50:42 pm
POLITICA

Il presidente del Consiglio: "Condivido tutte le parole del cardinale"

Opposizione compatta: "Il suo governo ha aumentato le tasse a tutti"

Fisco, Prodi d'accordo con Bertone

E la Cdl va all'attacco: "Un ipocrita"

Federmeccanica: "Lo sciopero fiscale è uno shock. Ma a mali estremi, estremi rimedi"

 
SIENA - "D'accordo con tutte le parole del cardinale Bertone". Romano Prodi, in partenza per Bologna dopo la pausa estiva, a San Casciano dei Bagni si presta alle domande dei cronisti e commenta quanto detto dal segretario di Stato vaticano a proposito di tasse e evasione fiscale, parole che, con un seguito di polemica, hanno animato la giornata di ieri. D'accordo, dunque, il presidente del Consiglio con il prelato che ha invitato a "fare il nostro dovere" pagando le tasse ma ha invocato, tuttavia, leggi giuste e maggiore attenzione alle esigenze delle fasce più deboli. Anche il viceministro dell'Economia, Vincenzo Visco, apprezza "la sensibilità civile" di Bertone ma "è decisivo che ciascuno, governo, parlamento, forze sociali, cittadini, faccia la sua parte perché prevalga il rispetto della legge e dall'altro lato vengano migliorate le norme che regolano la vita civile". Ed è di nuovo polemica, con il centrodestra compatto nell'accusare il presidente del Consiglio di ipocrisia.

Metteoli: "Prodi ha scontantato tutti". Il presidente dei senatori di An, Altero Matteoli, si chiede in che modo Prodi possa dirsi d'accordo con Bertone "se il suo governo ha aumentato le tasse a tutti, e si appresta a rifarlo con la prossima Finanziaria, senza alcun beneficio neppure i meno abbienti. Ha scontentato tutte le categorie, colpendo particolarmente le classi più svantaggiate, massacrate dalle sue leggi ingiuste e immotivate. Bertone - conclude Matteoli - ha sostenuto considerazioni condivisibili, ma se Prodi se ne dice d'accordo è solo un ipocrita".

Cesa: "Governo Prodi, freno per il Paese". Sulla stessa linea il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa. Per il quale "il governo Prodi si è rivelato il più potente freno allo sviluppo economico del Paese". E "non è un caso che mentre gli altri Paesi europei crescono, i principali indicatori economici italiani sono al ribasso. L'aumento della pressione fiscale e la deriva ideologica di Caruso e Giordano, che vogliono scardinare la legge Biagi, sono la prova di una nave senza timone".

Lega: "Niente prediche". Roberto Calderoli se la prende con "tutti coloro che, intervenendo in questi giorni cercano, mistificando, di tradurre la rivolta fiscale promossa dalla Lega Nord in 'evasione': se qualcuno vuole fare prediche rispetto agli evasori, le indirizzi a quelle parti del Paese dove le filiere del nero raggiungono il 75-80%". "La nostra protesta - sottolinea - comporterà comunque il pagamento delle tasse e quindi la non evasione, ma costringerà un governo che si comporta come lo sceriffo di Nottingham a riscrivere le leggi e a farle giuste".

Schifani: "I senatori a vita non votino con l'esecutivo". Per Renato Schifani, presidente dei senatori di Forza Italia, il governo Prodi "continua a caratterizzarsi per l'utilizzo spregiudicato della leva fiscale per la soluzione dei problemi del paese e ci aspetta un'altra finanziaria lacrime e sangue". Per questo si augura che "i senatori a vita prendano la distanza da un esecutivo criticato dalla stragrande maggioranza degli italiani e che ha posto il freno alla crescita economica del paese"


Federmeccanica: "A mali estremi, estremi rimedi". Lo sciopero fiscale è un'ipotesi possibile anche per gli industriali del Nordest. Massimo Calearo, presidente di Federmeccanica, ha detto che l'idea di Bossi è "uno shock: però a mali estremi, estremi rimedi". L'imprenditore, pure se dichiara di non credere che si arriverà a tanto, ha spiegato che "quando si continua a caricare il mulo, alla fine anche il mulo cade. Bisogna ricordarsi che c'è un'Italia che lavora e un'Italia che vive su chi lavora".

(20 agosto 2007)
da repubblica.it


Titolo: «Più soldi pubblici ai partiti» - La proposta ds agita l’Ulivo
Inserito da: Admin - Agosto 20, 2007, 05:55:27 pm
L’esponente della Quercia: senza i fondi venuti dal voto non avremmo battuto la Cdl «Più soldi pubblici ai partiti»

La proposta ds agita l’Ulivo

Il tesoriere Sposetti: bisogna tornare al finanziamento statale

Prodiani all’attacco: greve, sul Pd ha idee opposte alle nostre

 
ROMA — Incurante del ciclone dell’antipolitica che chiede di abbattere i costi del sistema, il cassiere dei Ds Ugo Sposetti si tuffa controcorrente e, intervistato dal Giornale, rilancia il suo cavallo di battaglia: tornare al finanziamento pubblico, elargire, come titola il quotidiano in prima pagina, «più soldi ai partiti». Immediata e furente la protesta di prodiani, dipietristi, radicali e di tanti nel centrodestra, una levata di scudi che Sposetti liquida come «belle animelle che storcono il naso», per «opportunismo» o per «malafede ».

Il teorema del deputato che da cinque anni lavora con innegabile successo per risanare i disastrati bilanci della Quercia è noto, negare risorse alla politica per lui significa «colpire al cuore la democrazia». Ma nel Partito democratico sono tanti a non pensarla così. Da Arturo Parisi a Romano Prodi, che da quando si è insediato a Palazzo Chigi si è messo al lavoro per tagliare le spese della politica.

Non a caso il commento più aspro alla proposta di rispolverare il finanziamento pubblico arriva da Franco Monaco. Per il deputato vicinissimo a Prodi lodare le virtù delle norme sul rimborso elettorale e concludere, come fa Sposetti, che senza i soldi incassati dall’Ulivo grazie a quella legge «la vittoria contro Berlusconi sarebbe stata impossibile», è cosa «greve e insolente», degna della massima indignazione: «Possiamo anche perdere ma non perderci, vendendo l’anima — stigmatizza Monaco —. Il Pd che vogliamo noi è opposto a quello di Sposetti».

Per i prodiani come Marina Magistrelli, insomma, il cassiere è «l’anima nera dei Ds», perché è vero che la politica ha un prezzo ma i costi «devono scendere e non salire ancora». I Radicali si dicono «allibiti e indignati», parlano di «rapina » e anche l’Italia dei valori respinge con enfasi l’idea del tesoriere.   

E dal centrodestra Maurizio Gasparri prepara una proposta di legge, condivisa dal capogruppo di An Ignazio La Russa, per abolire ogni forma di esborso statale ai partiti. Ne avrebbe di cose da dire (contro il finanziamento) anche Rosy Bindi e lo farà presto, ma intanto l’aspirante leader del Pd incassa «onorata e commossa» il sostegno di Francesco De Gregori, il già testimone di nozze di Veltroni che voterà per lei alle primarie del 14 ottobre: «Lo ringrazio per le parole di apprezzamento e stima, è il mio cantautore preferito...».

M.Gu.
20 agosto 2007
 
da corriere.it


Titolo: Re: Il presidente del Consiglio: "Condivido tutte le parole del cardinale"
Inserito da: Admin - Agosto 20, 2007, 06:00:10 pm
Il premier sulla crisi finanziaria Usa: «La lezione serva per il futuro» «D'accordo con tutte le parole di Bertone»

Così Romano Prodi all'indomani del monito del segretario di Stato vaticano sulle tasse.

Sui conti pubblici: «Aiutare la ripresa» 

 
SAN CASCIANO DEI BAGNI - Appoggio pieno del premier Prodi alle dichiarazioni del cardinale Tarcisio Bertone sulle tasse. Il presidente del Consiglio si dice d'accordo «con tutte» le parole pronunciate domenica dal segretario di Stato vaticano al Meeting di Rimini. Bertone ha fatto un richiamo a pagare le tasse, ha citato San Paolo, ma ha anche sottolineato la necessità di leggi giuste. Prima di lasciare San Casciano dei Bagni e tornare a Bologna, il premier Prodi ha risposto a chi gli chiedeva se fosse concorde con le dichiarazioni di Bertone: «Sì - ha detto il Professore - soprattutto sono d’accordo con tutte le parole di Bertone», scandendo la parola «tutte» come a far capire che quel monito va letto nella sua interezza e non per singole parti.

CONTI PUBBLICI E CRISI DEI MUTUI - Da San Casciano dei Bagni il premier fa accenno anche ai conti pubblici. «Adesso - è l'invito di Prodi - bisogna aiutare la ripresa». «Da domani - ha osservato - incominciamo a ragionare sulla strategia». Sulla crisi dei mutui americani il presidente del Consiglio sottolinea la necessità di «monitorare il mercato finanziario». «Spero proprio - ha detto il premier - che la paura per i mercati internazionali si sia definitivamente allontanata. Ma non si sa mai. Bisogna sempre tenere gli occhi aperti e soprattutto apprendere la lezione». Secondo il presidente del Consiglio «le società di rating sono nate per fare un controllo preventivo e bisogna che questo controllo lo facciano».

20 agosto 2007
 
da corriere.it


Titolo: PRODI ...
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2007, 12:10:29 pm
21/8/2007 (6:57)

Un solo tributo da versare

Il piano per le partite Iva
 
Prodi risponde agli autonomi e applaude Bertone: condivido in pieno

ROSARIA TALARICO


ROMA
Le parole del segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone sul fisco («tutti dobbiamo fare il nostro dovere nel pagare le tasse secondo leggi giuste») riescono nell’impresa singolare di mettere sulla stessa linea la Lega che promuove lo sciopero fiscale e il premier Romano Prodi.

Sì, perché l’affermazione del cardinale è stata interpretata in maniera opposta a seconda dell’ascoltatore. Se Umberto Bossi vi scorge una benedizione dello sciopero da lui proposto («perfino il cardinale dice che le tasse vanno pagate, però devono essere giuste. Se però un cittadino deve lavorare otto mesi l’anno per mantenere lo Stato, non sono mica tanto giuste»), Prodi parla di piena sintonia tra il programma di governo e il Vaticano sul nodo fisco dicendo di «condividere dalla prima all’ultima riga le parole del cardinale».

Legittimazioni vaticane a parte, sarà un caso, ma sulla prima pagina del Sole-24Ore di ieri si annunciava il piano del fisco per quanto riguarda gli autonomi. In sostanza, una semplificazione degli adempimenti fiscali che interesserà almeno 900 mila titolari di partita iva. Che dovrebbero versare un importo fisso (proporzionato alla capacità contributiva di ciascuno) al posto di Irpef, Ires, Irap e Iva. Un bel risparmio anche dal punto di vista dei calcoli per determinare gli imponibili. La misura riguarderebbe però solo i contribuenti minimi, coloro cioè che hanno ricavi annui inferiori ai 30 mila euro. Coro di approvazione dalle associazioni di categoria, per un piano che potrebbe apparire quasi come un condono mascherato.

Il più critico è Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato che sente «puzza di minimum tax». Mentre per Marco Venturi di Confesercenti si tratta di «un passo positivo che può far emergere molti redditi, pensiamo agli ambulanti che oggi non pagano nulla». Il presidente di Confesercenti aggiunge però che si deve trattare di imprese davvero marginali e che «se dobbiamo semplificare davvero, allora bisogna arrivare al superamento dello scontrino». Sulla stessa linea Luigi Taranto, direttore generale di Confcommercio: «Una soluzione utile a semplificare purché il contribuente sia effettivamente nella fascia minima». Gian Carlo Sangalli della Cna (da non confondere con il quasi omonimo presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli) ricorda che «quando facemmo l’accordo sugli studi di settore l'idea era di aumentare la fascia degli esenti».

Tornando invece sul versante politico, in materia fiscale si registra tutt’altro che unanimità. E ancora sono le parole del cardinale a infiammare il confronto tra i due schieramenti. Il viceministro all'Economia Vincenzo Visco, fautore della tolleranza zero in tema di evasione fiscale, sostiene che Bertone dovrebbe essere «ringraziato per la sensibilità civile dimostrata. Concordo pienamente con le sue dichiarazioni sulle tasse, sulle buone leggi, sulla necessità di aiutare coloro che hanno di meno, temi che furono peraltro anche al centro di un nostro breve colloquio qualche mese fa».

Da Alleanza nazionale per bocca del capogruppo al Senato Altero Mattioli arriva l’accusa di «ipocrita» per Prodi, colpevole di aver «scontentato tutte le categorie colpendo particolarmente le classi più svantaggiate, massacrate dalle sue leggi ingiuste e immotivate». Fosche le previsioni di Renato Schifani, presidente dei senatori di Forza Italia convinto che «ci aspetta un'altra finanziaria di lacrime e sangue». Il Carroccio non ritira la proposta di sciopero fiscale, ma Roberto Calderoli precisa che è «una forma di protesta che però niente ha a che vedere con l'evasione fiscale». L’Udc da un lato critica l’operato del governo Prodi («il più potente freno allo sviluppo economico del Paese», lo definisce il segretario Lorenzo Cesa), ma dall’altro prende le distanze dalla proposta leghista. L’invito alla Cdl a mettere da parte proposte «bolse» arriva dal senatore Maurizio Ronconi che spinge a «pensare fin dalla prossima legge finanziaria a soluzioni per una fiscalità più giusta, sottoponendole anche agli esponenti della maggioranza disponibili».

da lastampa.it


Titolo: Damiano: «Chi tira la corda fa cadere il governo»
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2007, 05:54:34 pm
Damiano: «Chi tira la corda fa cadere il governo»
Felicia Masocco


«Attenzione a non tirare troppo la corda perché si spezza», «il rischio è che il governo cada e si riconsegni il Paese alla destra». Cesare Damiano ammonisce chi il 20 ottobre sarà in piazza e difende il protocollo sul welfare: con l’aria che tira «meno male che c’è». Austerità o no, il governo è impegnato a spendere quasi 40 miliardi in 10 anni per pensionati, giovani e lavoratori. «Se lo negoziassimo oggi avremmo un risultato inferiore».

La crisi dei mutui americani minaccia la crescita economica. Il ministro Padoa-Schioppa indica l’austerità come strada obbligata. Non è il massimo delle prospettive. Non c’è alternativa?
«La crisi finanziaria americana arriva anche in Europa, seppure in modo più rallentato. Gli interventi delle banche centrali hanno fatto riprendere le Borse ma la situazione non è automaticamente risolta. Per fortuna questi prodotti finanziari non hanno una influenza forte sui fondi pensione, quelli contrattuali in particolare. Con la loro condotta prudente sul mercato azionario e la forte vocazione agli acquisti obbligazionari, il Tfr dovrebbe essere al riparo».

L’economia però rischia. Ci si prepara a un periodo di vacche magre?
«Infatti il problema fondamentale è il rallentamento della crescita che, come dice Padoa-Schioppa, impone maggiore rigore. Senza però smarrire la rotta della crescita nell’equità».

Ma ci può essere equità senza nulla da redistribuire, senza neanche un tesoretto?
«A maggior ragione, alla luce dei fatti recenti, il protocollo del 23 luglio acquista un valore ancora più alto. Abbiamo messo al riparo, nel decennio 2008-2017, quasi 40 miliardi di euro di redistribuzione sociale che andranno a vantaggio della parte più debole del Paese, i pensionati a basso reddito, i giovani a lavoro discontinuo, e andranno agli ammortizzatori sociali e al salario di produttività. Non solo abbiamo realizzato il miglior protocollo di concertazione da 25 anni a questa parte, ma dobbiamo essere doppiamente impegnati per attuarlo con la Finanziaria. A partire dall’aumento delle pensioni che già da questo autunno migliorerà le condizioni di più di 3 milioni di pensionati al di sotto dei 600 euro mensili».

Sta dicendo che con l’aria che tira...
«...Meno male che c’è il protocollo, rappresenta una formidabile rete di protezione sociale che impegna il governo anche se l’economia rallenta e vuole rigore».

Ministro, sa bene che quel documento rischia di aprire una crisi di governo.
«So anche che se dovessimo negoziare quel protocollo oggi avremmo risultati inferiori. L’Unione anziché girare le mille piazze d’Italia per illustrare il grande risultato di concertazione è dilaniata al suo interno con una sinistra radicale che addirittura prepara una manifestazione contro il protocollo e contro il governo».

Sul mercato del lavoro la sinistra radicale vuole di più. Ma c’è anche il polo più moderato della maggioranza che contromanifesta, con la destra, il 20 ottobre. Non è paradossale per una maggioranza di governo?
«Infatti. Intanto non è vero che la sinistra radicale si mobilita solo sul mercato del lavoro. Ed è ancora più paradossale che la nascente Cosa Rossa sia profondamente divisa al proprio interno: mentre Mussi e Pecoraro Scanio condividono la parte sulle pensioni, Rifondazione comunista è persino contraria al superamento dello scalone. Quasi che 10 miliardi di euro in dieci anni a vantaggio delle pensioni e dei lavori usuranti siano poca cosa».

Insisto, ci saranno anche i moderati in piazza, secondo loro la legge 30 andava mantenuta così com’era.
«È il bel risultato prodotto dall’attacco ad alzo zero sferrato ai risultati della concertazione. Una contro-manifestazione gestita dal centrodestra con l’adesione di componenti della maggioranza che vedono di buon occhio le cosiddette coalizioni di nuovo conio. Di fronte a tutto questo il governo ha il dovere di mantenere la rotta e di difendere a spada tratta i contenuti del protocollo. Questo non vuol dire, comunque, che sia perfetto».

Che cosa può essere cambiato e chi deve farlo, il governo? Il Parlamento?
«Bisogna distinguere l’azione di governo da quella del Parlamento, dai quella dei partiti, da quella delle parti sociali. Un governo che ha concluso un accordo di concertazione è vincolato e lo può cambiare solo con il consenso delle parti che lo hanno sottoscritto. Se per il mercato del lavoro e in particolare per i contratti a termine, la scrittura del protocollo lascia margine a dubbi li risolveremo consultando le parti sociali».

Il Parlamento non starà a guardare, in tanti sono pronti a dare battaglia, c’è poi chi minaccia di uscire dalla maggioranza se il protocollo si cambia, chi promette di non votarlo se non si cambia. E dati i numeri...
«Il Parlamento è sovrano e potrà richiedere modifiche. Attenzione però, non tiriamo troppo la corda, né da una parte, né dall’altra, perché si strappa. Noi vogliamo attuare il programma e lo stiamo attuando, chi dice il contrario afferma il falso».

Questo tiro alla fune può far cadere il governo?
«Il rischio c’è, certo, se la corda si spezza il governo può cadere. E bisogna sapere che se cade e viene meno questa esperienza di centrosinistra, è molto probabile che dopo non ce ne sarà un’altra. C’è il rischio di riconsegnare il paese alla destra, sarebbe una gravissima responsabilità. È un rischio che non dobbiamo assolutamente correre se vogliamo fare gli interessi del Paese e della sua parte più debole e non quelli di partito come qualcuno sta facendo».

A complicare le cose ci si mette la crisi e la necessità di stringere la cinghia. Il ministro dell’Economia invoca austerità anche per le retribuzioni pubbliche. I sindacati già alzano gli scudi. Il ministro del Lavoro?
«L’obiettivo del contenimento della spesa pubblica è da perseguire. Ma non procedendo con tagli orizzontali, indistinti. Ci sono spese che rappresentano un investimento. Faccio l’esempio degli ispettori del lavoro: non avevano un minimo di indennità, e neanche le risorse per la benzina per fare il loro mestiere, abbiamo sbloccato risorse e in dieci mesi solo nell’edilizia sono emersi 143 mila lavoratori e l’Inps ha incassato 56 milioni di euro di contributi previdenziali in più. Ecco, credo che in questo settore l’attuale tetto di spesa di 3 milioni vada superato. Vanno tagliate le spese improduttive, quelle produttive vanno incentivate. Per le retribuzioni pubbliche, le intese prevedono incentivi al merito e alla produttività individuale e di gruppo, anziché distribuire in modo uniforme premi di risultato a prescindere. Io sono d’accordo».

Cosa c’è nella sua agenda delle prossime settimane?
«Oltre agli impegni ministeriali sarò occupato nella costruzione dei Forum del lavoro per il Partito democratico. Con Treu e Gasperoni il 22 settembre saremo al teatro Brancaccio di Roma per il Forum nazionale del lavoro al quale invitiamo tutti i candidati alla segreteria del Pd. Per quello che ci riguarda il protocollo sul welfare è l’architrave del lavoro del futuro Pd».

Radici che non vanno tagliate. E del «taglio» delle feste dell’Unità che dice? Vanno sacrificate in nome del nuovo?
«No. Seguo di malavoglia queste polemiche, francamente sono altri i problemi del paese. Mi pare poi che coloro che criticano le feste dell’Unità e pretendono la loro cancellazione usando termini come “stalinismo” non si accorgono di assumere a loro volta un atteggiamento stalinista: pretendono di cancellare con un colpo di penna una tradizione che è nel cuore e nella testa di decine di migliaia di volontari, iscritti e no. Non confidano nella capacità di queste persone di trovare loro la via per l’unità. Io ho fiducia, e poi mi passi una battuta: lei cambierebbe il nome alla Nutella?».

Pubblicato il: 21.08.07
Modificato il: 21.08.07 alle ore 10.50   
© l'Unità.


Titolo: su PRODI - L’industriale e il Cardinale
Inserito da: Admin - Agosto 22, 2007, 10:43:46 pm
L’industriale e il Cardinale
Paolo Leon


Non so perché Romano Prodi, della cui laicità non si può dubitare, abbia dichiarato che sottoscrive tutte le parole del Cardinal Bertone. Il Cardinale ha detto che le tasse da leggi giuste vanno pagate, che il ricavo deve andare ad opere giuste e all’aiuto ai più deboli (nemmeno l’8 per mille della Chiesa Cattolica può andare tutto ai poveri!). Ora, lo Stato non può cedere su un punto di principio: le leggi fiscali approvate dal Parlamento e dai Consigli degli enti territoriali sono giuste finché non vengono cambiate, anche se sembrano ingiuste a cardinali e cittadini.

Così, le tasse vanno sempre pagate, anche se possiamo criticarne la struttura e la dimensione, che è poi il giudizio di Cristo: si dà a Cesare quel che è di Cesare, senza chiedersi cosa ne farà (e Cristo sapeva che Cesare avrebbe martirizzato i cristiani).

Il Cardinal Bertone ha tutto il diritto di dire quel che vuole ed esprimere una sua regola che egli vorrebbe generale, ma egli dovrebbe sapere che il suo insegnamento è uno strumento importante di evangelizzazione: se dalle sue parole si diffonde l’idea che solo le tasse da leggi giuste vanno pagate, e poiché per chi paga le tasse è sempre difficile sostenere che le leggi sono giuste, egli è responsabile (non solo di fronte alla propria coscienza, ma anche di fronte alla comunità) della deriva demagogica che ne discende, come puntualmente si riscontra nelle reazioni della destra. Prodi sa bene che, come cattolico, può anche sottoscrivere ciò che dice il Cardinale, ma come presidente del Consiglio non deve sottoscrivere alcunché in proposito, e per la stessa ragione per la quale, quando rappresenta lo Stato, non gli bacia l’anello. Tra l’altro, Prodi ammetterebbe implicitamente che le sue tasse e le sue spese sono ingiuste, o, peggio, che il Parlamento, e la sua stessa maggioranza, hanno fatto leggi ingiuste.

Non stupisce, perciò, che con tali esempi Massimo Calearo, Presidente di Federmeccanica (l’associazione imprenditoriale di settore), si senta in diritto di affermare che lo sciopero fiscale di Bossi è uno shock, ma che «a mali estremi estremi rimedi». Non capisco a quali mali estremi si riferisca Calearo, ma è ovvio che egli ritiene di poter fare questa affermazione, perché sostenuto dalle diverse voci del mondo cattolico che si sono recentemente espresse sul tema. La Confindustria si è dissociata dal Presidente della Federmeccanica, ma il danno è stato fatto, e la demagogia può continuare a seminare i suoi danni. Allo stesso tempo, chiunque sia propenso a criticare il governo sulle politiche economiche e di bilancio, è immediatamente spinto a difenderlo, quale che sia il suo operato.

La mia impressione è che Bossi abbia invocato lo sciopero fiscale perché la Lega è ormai all’angolo: l’ideale federalista è troppo debole rispetto ai problemi economici e sociali della gente, e si deve trasformare in un’orgia localistica, parente stretta dei fanatismi, razzismi, fondamentalismi che nascono come reazione ai guasti della globalizzazione. Non credo che questa idea dello sciopero fiscale andrà da qualche parte, ma la demagogia che scatena non si fermerà, se coloro che sono responsabili di una funzione collettiva, come la Federmeccanica e il Cardinal Bertone, non se ne rendono conto.

Pubblicato il: 22.08.07
Modificato il: 22.08.07 alle ore 10.28   
© l'Unità.


Titolo: E il «padre del Pd» ottiene garanzie
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2007, 05:44:47 pm
Dietro le quinte

Il Professore faccia a faccia col sindaco «Ora vorrei sapere qual è la rotta».

E il «padre del Pd» ottiene garanzie   


ROMA — «È importante capire dove stiamo andando e con chi». Romano Prodi, incontrando ieri a Palazzo Chigi Walter Veltroni in un faccia a faccia fissato prima delle vacanze e durato più del previsto (un'ora e mezza), ha di fatto spalancato i cancelli alla lunga corsa che porterà alle primarie del 14 ottobre, facendo pesare il suo ruolo di padre nobile del Pd, «equidistante» dalle varie candidature, ma intenzionato «a tutelare il Dna» del nuovo soggetto.

Obiettivo del premier, che ha apprezzato il passaggio dell'intervista di Veltroni al Corriere della Sera nel quale il primo cittadino esclude di poter andare a Palazzo Chigi senza elezioni («Lo davo per scontato, ma fa sempre bene sentirlo dire...» il commento del Professore), un po' meno là dove il sindaco afferma che «questo è il miglior governo possibile nelle condizioni date», era quello di far uscire il segretario in pectore allo scoperto, cercando di trovare un filo conduttore nella matassa di parole che hanno sinora avvolto la sua candidatura, al punto da spingere Arturo Parisi a rinfacciargli di voler tenere insieme «tutto e il contrario di tutto». «Caro Walter, qual è la rotta?».

Domanda tutt'altro che innocua, quella del Professore. Che prende forma da un sospetto e da una necessità: stanare il sindaco di Roma, cercando di sottrarlo alla morsa «centrista » del vicepremier Rutelli e di tutti coloro che, teorizzando alleanze di nuovo conio e aprendo continui fronti polemici con la sinistra radicale, «non si rendono conto — è il ragionamento stizzito di chi lavora con Prodi — di farsi del male da soli, di fatto dando già per fallita l'attuale formula di maggioranza e il governo che la rappresenta ». Insomma, dopo un agosto senza dire una parola sul Pd e sulla sfida spesso acida tra Veltroni, Bindi e Letta, ciò che a Prodi ieri premeva capire era se, dietro l'ecumenismo buonista di Veltroni e il suo insopprimibile desiderio di accontentare tutti, vi fosse in realtà un'intesa con Rutelli per spostare l'asse del Pd verso lidi diversi da quelli che per anni lo stesso sindaco di Roma aveva indicato. Saranno i fatti a dire se il pressing del Professore ha dato frutti. I resoconti di giornata parlano di «un incontro segnato dall'impronta ulivista». Che, nella terminologia della corsa al Pd, sembrerebbe significare qualcosa di molto distante, se non antitetico, ai progetti centristi di Rutelli. «Veltroni ha dato garanzie» hanno aggiunto i prodiani, senza però entrare nello specifico.

Nel frattempo i rapporti tra il Professore e i rutelliani sembrano tornati a livelli di notevole incandescenza. Ieri, è partita da Palazzo Chigi una telefonata bollente al giornale «Europa», quotidiano dei Dl. Sotto accusa un editoriale non firmato che indica «nelle componenti prodiane alle quali dà efficacemente voce Rosy Bindi» i principali avversari di Rutelli e Veltroni, rei di aver prospettato nuove alleanze. L'avversione dei prodiani, è la tesi dell'articolo, nascerebbe dalla consapevolezza che, «in caso di discontinuità con l'era Prodi-Berlusconi (altro passaggio che ha mandato su tutte le furie il Professore, ndr)», per il premier e i suoi «sarebbe difficile trovare spazi». I prodiani hanno risposto per le rime: «Toni sgradevoli e contenuti inaccettabili, attenti a non tirare troppo la corda...». Così vanno le cose all'ombra del Pd.

Francesco Alberti
29 agosto 2007
 
da corriere.it


Titolo: Monsignor "faccia tosta"...
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2007, 06:01:14 pm
Fisco e Chiesa, Bagnasco: «Non abbiamo privilegi»


La Commissione europea vuole vederci chiaro sui benefici fiscali concessi dallo Stato italiano alla Chiesa, e per questo si prepara a chiedere nuove informazioni, più approfondite. «Non sappiamo ancora se aprire un'inchiesta o meno, anche perché non abbiamo abbastanza informazioni e ne chiederemo delle altre, per via scritta o verbale», ha spiegato il portavoce del commissario per la Concorrenza Neelie Kroes, ricordando che una prima richiesta, subito soddisfatta dalle autorità italiane, era stata già presentata a giugno.

Si difende il presidente della Comunità episcopale italiana, monsignor Angelo Bagnasco. La Chiesa ha fatto e fa molto per aiutare le popolazioni sia in Italia sia in Europa, e «questo dovrebbe essere considerato con molta attenzione per non cadere poi in posizioni pregiudiziali di tipo ideologico. La parola privilegio - ha detto riferendosi alle critiche sulle agevolazioni fiscali - è una parola totalmente sbagliata».

Alla domanda se questo provvedimento possa essere stato ispirato dall'Italia, Bagnasco ha risposto: «Non saprei proprio dire questo, mi sembra strano». «Credo - ha aggiunto mons. Bagnasco - che sia sotto l'occhio di tutti, in Italia, ma direi in tutta Europa, quanto la Chiesa fa e ha sempre fatto per la povera gente, per i ragazzi, per l'educazione, per i più disagiati. Lo fa con tutti i fondi e con tutte le risorse di cui dispone. Quindi questo dovrebbe essere considerato con molta attenzione per non cadere poi in posizioni pregiudiziali di tipo ideologico».

Il portavoce del ministro per le Politiche europee, Emma Bonino, ha garantito che il governo esaminerà le richieste di Bruxelles, osservando come l'Italia rischia «una procedura di infrazione proprio quando sì è finalmente riusciti a ridurne il numero».

Il caso, sollevato da Maurizio Turco settimane fa, della Rosa nel Pugno, riguarda le esenzioni del pagamento dell'Ici per le attività commerciali della Chiesa, in teoria abolite dal decreto Bersani dello scorso anno e di fatto sopravvissute per quanto riguarda gli immobili commerciali. Le esenzioni ammonterebbero a circa 400 milioni di euro all'anno. «A partire dal momento in cui si ha davanti un organismo che svolge delle attività economiche, occorre valutarle dal punto di vista della concorrenza, e quindi in questo caso degli aiuti di Stato», ha aggiunto Todd, ricordando che un dossier analogo è stato aperto ed è tuttora in corso con la Spagna.

La vicenda ha suscitato l'interesse della stampa straniera, anche sulla base dell'intervista a "La Stampa" di monsignor Karel Kasteel, segretario del pontificio consiglio «Cor Unum», che ha parlato di «possibili ritocchi» al testo del Concordato fiscale, scritto nel 1984. La sala stampa della Santa Sede ha però subito preso le distanze dalle dichiarazioni del prelato, sottolineando che «non è all'ordine del giorno alcuna revisione del Concordato», e in una nota diffusa in serata, lo stesso monsignor Kasteel ha smentito «di aver mai affrontato la questione fiscale nell'intervista».

Monsignor Giuseppe Betori, segretario della Conferenza episcopale italiana, ha sottolineato in un editoriale su "Avvenire" «che l'esenzione dall'Ici è materia del tutto estranea agli accordi concordati» e che «si applica alle sole attività religiose e di rilevanza sociale». Per Betori contestare questo atteggiamento dello Stato corrisponde a manifestare «una sostanziale sfiducia nei confronti di molteplici soggetti sociali di diversa ispirazione, particolarmente attivi nel contestare il disagio e la povertà».

Un aspetto, questo, sottolineato anche dal ministro della Giustizia Clemente Mastella, che ha spiegato come l'esenzione si applica a «tutti gli enti no profit, mentre pagano integralmente l'Ici le strutture alberghiere, i ristoranti e i negozi di proprietà di enti ecclesiastici. Spero - ha aggiunto - che anche in questo caso non si alzi il solito polverone anticlericale a fronte di una semplice e legittima richiesta di approfondimento dell'Ue». Ovviamente soddisfatti della richiesta preliminare di informazioni di Bruxelles sono invece i radicali e Maurizio Turco, così come Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera, che ha annunciato «un pacchetto di proposte da inserire in finanziaria per eliminare l'esenzione fiscale e Ici per gli immobili ecclesiastici che hanno attività commerciali».

Per Marina Sereni, vicepresidente gruppo l'Ulivo alla Camera «gli accordi tra Stato e Chiesa che governano i rapporti tra l'Italia e la Santa sede sono materia che riguarda due Stati sovrani». «Daremo, tuttavia, i chiarimenti necessari a Bruxelles così come avremmo e abbiamo fatto per qualsiasi altra richiesta legittimata dal fatto che l'Italia ha scelto di far parte dell'Unione europea e dunque di accettare regole sovranazionali anche in materia economica e di concorrenza tra Stati».

Per Lorenzo Cesa, dell'Udc, occorre «affrontare questo argomento con la dovuta maniera, ragionando tra di noi con tutti i partiti». Per Gianfranco Rotondi, della Democrazia Cristiana, la richiesta di Bruxelles è sintomo di tendenze «anticlericali», mentre per Maurizio Gasparri, di An, «vanno respinti gli attacchi morali e materiali che offendono tradizioni e valori profondamente radicati nella realtà italiana». Infine, secondo il presidente della Lombardia Roberto Formigoni, è «sconcertante» l'intenzione dell'Unione Europea, che dimostra di non conoscere la situazione italiana e di cedere senza colpo ferire alle idee più oltranziste e false che circolano sui rapporti tra Stato e Chiesa in Italia».

Pubblicato il: 28.08.07
Modificato il: 29.08.07 alle ore 12.48   
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Titolo: La promessa di Romano Prodi "Ora possiamo tagliare le tasse"
Inserito da: Admin - Agosto 30, 2007, 11:59:08 pm
In un'intervista al Gr1 il premier annuncia una "Finanziaria di pace e di sviluppo"

"Ci saranno tagli alle spese ma arriveranno risorse anche dalla lotta all'evasione"

La promessa di Romano Prodi "Ora possiamo tagliare le tasse"

Sul manifesto di Veltroni: "Nove punti su 10 sono quelli del nostro programma"
 

ROMA - Romano Prodi prima fotografa la situazione dei conti pubblici: "Il Paese l'anno scorso era in disordine, ma ora sta meglio". Poi arriva la promessa tanto attesa dei cittadini: "Possiamo cominciare a dire che le tasse possono diminuire". Il presidente del Consiglio parla al Gr1, in un'intervista che andrà in onda domattina.

Una Finanziaria di pace. Il premier è sicuro. La prossima Finanziaria non sarà di tregua, "perchè non c'è stata alcuna guerra". L'anno scorso per le finanze italiane era allarme rosso, dopo il quinquennio berlusconiano. E allora l'Unione ha dovuto mettere in ordine "un Paese che era in disordine". Quest'anno, invece, dopo la cura Padoa-Schioppa i conti pubblici non fanno più acqua e il rigore si può mettere da parte. Ecco perché la Finanziaria sarà "di sviluppo e di pace". Insomma, anche se ci saranno dei tagli, "nel senso di riduzione delle spese", le tasse potranno diminuire.

La lotta all'evasione. Per ridurre le tasse, ovviamente, ci vogliono le risorse. Dove recuperarle? Prodi è chiaro su questo punto. I tagli alla spesa ci saranno, perché "tutta l'Europa ci ha rimproverato un eccesso di spesa dello Stato oltre ai costi della politica". Ma il premier indica un'altra fonte di equilibrio, la lotta all'evasione fiscale, che "è il vero cambiamento di cui il Paese ha bisogno". Combattere gli evasori per "alleggerire il peso per le persone oneste".

Il manifesto di Veltroni. Walter Veltroni, in una lettera a Repubblica aveva lanciato la campagna per un Fisco amico, in dieci punti. "Serve un nuovo patto fiscale", aveva scritto il sindaco di Roma. Ma per il presidente del Consiglio il manifesto veltroniano non sa di novità. Perché la strategia del leader in pectore del Pd è la stessa dell'esecutivo, perché "nove punti su dieci sono specifici del nostro programma". Delle proposte veltroniane di sostegno al governo dice: "Sono un'assicurazione sulla vita". E sul Pd dichiara: "E' condizione perchè io duri 5 anni".

La replica a Berlusconi. Oggi a Telese, alla festa dell'Udeur, Berlusconi aveva lanciato l'ennesima profezia: "Il governo cadrà e si andrà a votare a primavera". Il premier rispedisce al mittente il pronostico, non senza una punta di ironia: "Berlusconi in questo è come un calendario perpetuo, il governo cade sempre sei mesi dopo...". E a proposito del leader di Forza Italia, che aveva giudicato "ottima" l'attuale legge elettorale, commenta: "E' già la quarta volta che cambia idea, domani darà un altro parere...".

(30 agosto 2007)

da repubblica.it


Titolo: Romano Prodi La morte, la pena, l’arbitrio
Inserito da: Admin - Agosto 31, 2007, 11:14:05 pm
La morte, la pena, l’arbitrio

Romano Prodi


Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita?

(Dei Delitti e delle Pene. Cesare Beccaria, 1764).



Gli italiani - lo dimostrano queste considerazioni di Cesare Beccaria - hanno compreso prima di altri il valore civile e morale di una battaglia contro la pena capitale. E il nostro Paese ha il merito, fin dal 1994 e grazie a tutti i Governi che si sono da allora succeduti, di aver guidato la lotta contro la pena di morte nel mondo, registrando sulla nostra proposta di moratoria universale il sostegno dell’opinione pubblica, una convergenza straordinaria in Parlamento di forze politiche sia di maggioranza sia di opposizione e incontrando negli anni il crescente sostegno di Paesi in ogni continente. Con l’abolizione della pena di morte dai codici militari nel 1994, l’Italia infatti non solo cancellava l'ultimo retaggio ancora presente nell'ordinamento interno, ma intraprendeva un percorso che l'ha portata ad essere il Paese che più ha fatto in concreto, nelle sedi internazionali e nei confronti di Paesi mantenitori, per fermare le esecuzioni capitali.

Una Risoluzione per la moratoria fu presentata per la prima volta all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite già nel 1994. Anche se battuta (per soli otto voti!), ciò non impedì alla Commissione dell'ONU per i Diritti Umani, tre anni dopo e su iniziativa del Governo da me presieduto, di approvare a maggioranza assoluta una risoluzione che chiede «una moratoria delle esecuzioni capitali, in vista della completa abolizione della pena di morte». Con ciò, per la prima volta, un organismo delle Nazioni Unite stabiliva che la questione della pena di morte attiene alla sfera dei diritti umani e che la sua abolizione costituisce «un rafforzamento della dignità umana e un progresso dei diritti umani fondamentali». Da allora, per nove anni, la Risoluzione è stata ininterrottamente approvata a Ginevra, ed è anche grazie a questo se la situazione della pena di morte è oggi decisamente mutata, con abolizioni e moratorie stabilite ovunque nel mondo che hanno salvato dal patibolo migliaia di persone.

In questi anni l'Italia ha fatto valere la sua posizione contraria alla pena di morte anche nei confronti dei Paesi che ancora la praticano. Il 25 giugno 1996, con una sentenza storica, la Corte Costituzionale del nostro Paese ha posto una riserva assoluta a estradare verso i paesi mantenitori persone che lì rischiano di essere condannate a morte, italiani o stranieri che siano, che risiedano o vivano sul nostro territorio. Un Paese che ha abolito totalmente la pena di morte - ha stabilito la Corte - non può cooperare alla sua applicazione ovunque nel mondo.

È giunto ora il tempo di affrontare il passaggio decisivo per portare a compimento la nostra iniziativa: la moratoria universale delle esecuzioni capitali. L'impegno mio e del Governo affinché questa moratoria venga attuata è forte, sulla base anche della decisa mobilitazione del Parlamento italiano. Su questo tema ho chiesto innanzi tutto uno sforzo dei Paesi europei a riaprire la questione in Assemblea Generale alle Nazioni Unite. Abbiamo in questi mesi ingaggiato una significativa azione a Bruxelles e a livello internazionale e con la nostra proposta di moratoria ci siamo confermati capofila di una grande battaglia di civiltà. Sono per questo particolarmente soddisfatto per la decisione presa il 18 giugno scorso dall'Unione Europea di presentare, nell'ambito di un'alleanza interregionale, la risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali all'apertura della prossima sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. È stato un grande successo dell'Italia, delle associazioni, di chi su questo non ha mai cessato di battersi, del Parlamento e del Governo. Ritengo doveroso ringraziare il Ministro Massimo D'Alema per aver insistito coi partner europei sull'esigenza di procedere il più presto possibile con un atto concreto per una battaglia di civiltà che ci vede in prima linea.

L'Italia e l'Europa non sono sole. Molti Paesi nelle diverse aree del mondo hanno nel frattempo deciso di sostenere la nostra iniziativa. Nel gennaio scorso, intervenendo al vertice dell'Unione Africana ad Addis Abeba, ho rivolto un appello ai leader africani a lavorare insieme sulla moratoria universale. Ritengo particolarmente straordinario l'impegno dell'Africa: Sud Africa, Mozambico, Angola, Senegal, ma anche Paesi come la Liberia, la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, che nella loro storia recente hanno conosciuto le più gravi violazioni al diritto umanitario internazionale, si sono uniti alla nostra campagna globale. Con questo impegno l'Africa dimostra di non voler più essere solo terra di colpi di stato, di esecuzioni sommarie e di esecuzioni capitali; anzi, di essere capace di lanciare al mondo anche segnali di nonviolenza e messaggi di civiltà. Il conferimento al Presidente Paul Kagame del Premio di Nessuno tocchi Caino «L'Abolizionista dell'Anno» coglie lo straordinario valore simbolico, oltre che giuridico e politico, dell'abolizione della pena di morte in Ruanda, una terra dove la catena perpetua della vendetta e l'eterna vicenda di Caino e Abele hanno avuto forse una delle rappresentazioni più tragiche e attuali. L'esempio del Ruanda e di altri Paesi africani dilaniati dalla violenza, spesso fratricida, è espressione di una via da seguire per giungere alla fine della pena capitale nel mondo. Chiedere l'abolizione tout court in situazioni particolari come quelle di Paesi nei quali vige uno stato di emergenza o sono in corso conflitti internazionali o sono appena terminate guerre civili, sarebbe una mera petizione di principio. La moratoria universale decisa dalle Nazioni Unite, invece, può essere una via pragmatica e efficace contro questo flagello.

Conseguire l'obiettivo di una moratoria avrà un significato politico di enorme portata. Una decisione a favore della moratoria in vista dell'abolizione da parte dell'organismo maggiormente rappresentativo della Comunità Internazionale, presa anche solo a maggioranza, avrà l'indiscutibile effetto di consolidare l'opinione mondiale della necessità di mettere al bando le esecuzioni capitali così contribuendo allo sviluppo dell'intero sistema dei diritti umani. Molte e autorevoli voci si sono levate in Italia e nel mondo a sostegno in questa battaglia di civiltà. Di questo vorrei ringraziare i Premi Nobel e le prestigiose personalità internazionali che nei mesi scorsi, rivolgendomi un Appello personale, hanno sostenuto il Governo in questa iniziativa, e tutti gli esponenti del Partito Radicale e di Nessuno tocchi Caino, a partire da Marco Pannella, che su questo obiettivo continuano la loro lotta nonviolenta a testimonianza di uno straordinario impegno politico e civile.

Dall’introduzione al Rapporto 2007 a «La pena di morte nel mondo» a cura dell’associazione «Nessun Tocchi Caino» edito da Reality Book



Pubblicato il: 31.08.07
Modificato il: 31.08.07 alle ore 10.05   
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Titolo: Prodi: "Nuovo slancio alla politica"
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2007, 12:35:28 pm
6/9/2007 (19:9)

Prodi: "Nuovo slancio alla politica"
 
Il premier: la riforma della legge elettorale deve avvicinare i cittadini


ROMA
«Il sentimento di disaffezione per la politica davvero mi rattrista. Ho cominciato a lavorare al progetto del Pd, e sono passati ormai più di dieci anni, proprio nella speranza di rivedere una reale e sentita partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. Nella speranza di respirare un nuovo entusiasmo. Guai a perdere fiducia nella democrazia. Rimbocchiamoci piuttosto le maniche per regalarle un nuovo slancio». Lo afferma il premier Romano Prodi, in un’intervista sul mensile senese Metis.

Sui mutamenti dei rapporti fra eletti ed elettori, Prodi sottolinea che «il sistema maggioritario, quello che abbiamo conosciuto in Italia prima della riforma voluta dal governo Berlusconi, garantiva un rapporto diretto tra eletto ed elettore. È stato sostituito, ahimè, da un sistema che, al contrario, esalta la mediazione delle segreterie dei partiti e favorisce la frammentazione. Credo sia davvero necessario approvare una nuova legge che sappia riavvicinare cittadini e politici, perchè tornino a conoscersi, a guardarsi negli occhi, a scegliersi. Mi auguro che questo possa portare anche ad una maggiore responsabilizzazione di tutti. Le primarie, uno strumento in cui continuo a credere fermamente, sono state pensate proprio per un nuovo avvicinamento, un nuovo punto d’incontro tra eletti ed elettori».

Secondo Prodi, infine «la classe politica ha un ruolo cruciale, essenziale, nella vita democratica, e fare politica ha un costo. Sempre che non la si voglia lasciare nelle mani di chi le risorse le ha già in partenza. Ragioniamo piuttosto sulle possibili riduzioni dei costi della politica, sui possibili tagli. Il disegno di legge approvato prima dell’estate dal mio governo cerca di andare prpprio in questa direzione: ridurrà infatti i costi di circa 1,3 miliardi».

da lastampa.it


Titolo: Pietro Ignazi: «Caro Prodi, manifestare fa bene anche a chi governa
Inserito da: Admin - Settembre 15, 2007, 10:46:59 pm
Pietro Ignazi: «Caro Prodi, manifestare fa bene anche a chi governa»

Vladimiro Frulletti


«La piazza fa bene alla politica» e anche a Prodi farebbe «bene» organizzare una manifestazione. Il politologo Piero Ignazi, ordinario di politica comparata a Bologna e autore di numerosi saggi sui partiti italiani e europei, non ha dubbi nel ritenere che questa «peculiarità» italiana (che «in Europa ci invidiano») di portare la gente in piazza sia positiva in sè. Perché testimonia voglia di partecipazione. Anche se, avverte, poi la «bontà della piazza» dipende dal motivo per cui la gente si mobilita.

Professore chiamare la gente in piazza è un aspetto positivo o negativo?

«È positivo. È una gran bella cosa perché si riesce ancora a mobilitare le persone alla politica. È una risorsa della società civile italiana che tutti gli altri paesi europei ci invidiano».

In Europa non c’è questa abitudine alla piazza, alla mobilitazione per strada, come in Italia?

«No, in Europa la partecipazione a questo genere di iniziative, anche se un po’ vecchiotta, oleografica e quasi ottocentesca, è tramontata. Le riunioni pubbliche, all’aperto, di piazza, dove e nel nostro caso italiano confluiscono anche centinaia di migliaia di persone, negli altri paesi europei sono sconosciute. In Francia, a Parigi, accadono qualche volta. Ma si contano sulle dita di una mano in un decennio. Insomma per l’Italia questo è un fattore estremamente positivo».

Il Pci era solito portare in piazza quasi a scadenze fisse milioni di persone.

«Quelle sono cose vecchie. Ma anche guardando al passato più recente, c’è stato il periodo del 2001, 2002, 2003 dove ci sono state imponenti manifestazioni sulla pace...».

Sull’articolo 18...

«Quella fu, per dimensione e partecipazione, un unicum nella storia italiana, Ma anche tante altre, per altro poco sottolineate. Manifestazioni fatte da reti della società civile e da nessun partito che portarono a Roma centinaia di migliaia di persone, tantissimi giovani. Fu un successo incredibile. Di grandissimo impatto. Quindi ben venga la manifestazione. Altro discorso è poi per cosa si va in piazza. Anche i nazisti portavano centinaia di migliaia di persone in piazza».

E il fascismo faceva le sua “adunate oceaniche” per i discorsi del Duce...

«Appunto. Quindi è un bene la gente che scende in piazza quando questo avviene in democrazia».

Insomma la piazza è positiva se è volontaria, non obbligata dal dittatore di turno

«Ovviamente»

Ma poi bisogna vedere per quali obiettivi si va in piazza?

«Certo. Si può andare in piazza per urlare a favore della pena di morte . Lo troverei orrendo. E invece si può andare in piazza per reclamare i diritti negati a qualche componenti della società».

E la piazza di Grillo a Bologna, che piazza è?

«Amorfa e indistinta. Ma anche una cosa nuova. Emersa dalla rete, cioè da un modo di mettersi in contatto inedito. Una specie di movimento sotterraneo, carsico che a un certo punto vede la luce».

Ma quando poi finisce la manifestazione e dalla piazza si torna a casa, la politica è cambiata o no?

«Dipende da come i professionisti politici reagiscono di fronte a queste cose. Possono prodursi influenze o può prodursi nulla. Dipende da chi deve ascoltare».

A suo avviso può esserci un legame fra partecipazione nelle piazze e una rappresentanza politica distante dalla gente. Anche alle politiche, con quella legge elettorale, i parlamentari non sono stati scelti dagli elettori, ma nominati dai partiti.

«No, non vedo nessuna relazione. La disponibilità a partecipare e la partecipazione effettiva dipendono soprattutto dai temi che vengono agitati. Da quanto questi temi incontrano la sensibilità delle persone. Poi ovviamente c’è anche la capacità organizzativa di alcuni soggetti. Però se non c’è un problema sentito la gente rimane a casa»

Lei ritiene che sia una contraddizione che partiti e esponenti della maggioranza al governo organizzino manifestazioni, visto che possono fare scelte in Parlamento o nel Consiglio dei ministri?

«Al contrario. Secondo me ne organizzano poche. Perché iniziative di mobilitazione a sostegno di scelte del governo e in risposta anche a altre iniziative promosse dall’opposizione dovrebbero essere la normalità. È sbagliato pensare che quando si sta al governo si sta seduti su una poltrona e basta. Così si perde contatto con l’elettorato, con l’opinione pubblica».

E quindi un consiglio a Prodi potrebbe essere quello di organizzare anche lui una manifestazione?

«Certo, ovvio. L’intelligenza della politica contemporanea, che adesso non è molto diffusa nel centrosinistra, dovrebbe portare a qualcosa di nuovo rispetto alla stanca ripetizione di determinati comportamenti per cui si protesta quando si è all’opposizione e non si manifesta quando si è al governo».

E le primarie del Pd del 14 ottobre potranno essere un momento di partecipazione, di piazza per chi sta col governo?

«Vedremo, ma penso che non ci sarà una partecipazione nemmeno paragonabile a quella che c’è stata per le primarie di Prodi».

C’è chi ipotizza due milioni di votanti.

«Forse mi sbaglio, ma per me si arriverà a un quarto di quella cifra»

Perché?

«Per Prodi andarono a votare per dimostrare che c’era una opposizione a Berlusconi. E ci andò tutto il centrosinistra. Qui se ci va mezzo milione è un successo clamoroso. Vedo poco entusiamo e anche il meccanismo messo in piedi dai saggi non aiuta».

Possiamo dire che se c’è più piazza la politica sta meglio. Che le manifestazioni sono un indicatore di salute?

«Sì, senza dubbio alcuno».

Pubblicato il: 15.09.07
Modificato il: 15.09.07 alle ore 13.10   
© l'Unità.


Titolo: PRODI ... E Romano parte in contropiede "Ma la società non è meglio"
Inserito da: Admin - Settembre 19, 2007, 12:29:30 am
POLITICA

Dopo gli attacchi di Grillo, sfogo del Professore durante la registrazione di Porta a Porta

"Concorsi truccati e mestieri passati di padre in figlio: anche tra i cittadini tanti difetti"

E Romano parte in contropiede "Ma la società non è meglio"

di CONCITA DE GREGORIO

 
ROMA - Sarà pure letargico, Romano Prodi. Inseguito dalle risate di Beppe Grillo che lo chiama Valium ma sai che novità, sono quarant'anni che calca la scena pubblica: non è mai stato un drago del cabaret. Non è Berlusconi, no. Ha voglia di dire "sono sveglio come un grillo": si vede che se l'era preparata, le battute non gli vengono bene nemmeno quando sono buone. Però attenzione alle parole. "Gli italiani non sono meglio della classe politica che li rappresenta", ha detto e ci vuole un coraggio da leoni, altro che Valium, a dire agli italiani pensate per voi, guardate a come vi comportate nelle vostre vite.

Dirlo mentre a migliaia scendono in piazza sulla cresta dell'onda dell'antipolitica che avanza: il grillismo di sinistra, gli antipartiti, gli anticasta, gli antiprivilegi, gli scrittori dell'impegno, gli intellettuali della protesta.
Eravamo, ieri sera, a "Porta a Porta": il feudo tv di Vespa che da tredici anni segna le stagioni ormai in sostituzione del meteo, è ricominciato dunque è autunno.

Prodi era lì sotto un cartello rosso con scritto 'Adesso parlo io'. Difatti. "Non trovo che la società sia meglio" dei politici arraffoni e cialtroni, cambiacasacca e avidi, pavidi, mangia pane a ufo, mediocri. Ha detto così e ci vuole coraggio, appunto, a farlo adesso oppure (o anche) niente più da perdere: è l'ultimo mandato, l'ultimo scorcio di legislatura, dopo di lui correrà Veltroni e dunque qualche libertà in più, qualche verità si può anche dire in scioltezza. Bene, sostiene Prodi: la politica è quella che è ma "io mi giro intorno e vedo concorsi truccati, figli che fanno lo stesso mestiere dei genitori", non c'è bisogno di aver letto i giornali nelle ultime settimane per capire di che parla.

Medici figli di medici e avvocati e notai e presentatori tv e giornalisti, certo, cantanti figli di cantanti e via con le corporazioni che si blindano e si proteggono truccando le carte come i bari alla bisca. E poi ancora. "Sì, ho fatto il testimonial dello spot per la donazione di organi: ma vi rendete conto che l'Italia importa il 40 per cento del sangue necessario? E' colpa del governo, questa, o è responsabilità degli educatori, delle scuole?". Che gente è la gente che non dà il suo sangue a chi ne ha bisogno? Chi deve insegnare la generosità, il coraggio, l'onestà a questo popolo? Dove sono gli educatori, chiede il Professore. Lo aveva già fatto parlando di tasse: perché la Chiesa tace, nelle sue omelie, sull'evasione fiscale? E' successa la fine del mondo, lì, perché toccare la Chiesa e toccarla sui soldi non è proprio un'abitudine soprattutto se sei cresciuto in parrocchia.

E poi ancora, torniamo alla serata in tv, nuova pagina nuovo argomento: la sicurezza, il controllo nella microcriminalità e le sanzioni a coloro che commettono reato siano o non siano immigrati. "Gli immigrati servono all'economia. Nella mia terra in Emilia i sik, gli indiani col turbante e la barba, mungono le mucche i marocchini fanno il pane: o ci mandiamo i nostri figli a mungere le mucche o il lavori pesanti notturni e poco pagati o li facciamo fare agli immigrati.

Certo, poi ci sono quelli che delinquono ma per combattere il crimine la prima cosa è la certezza della pena: è il sistema giudiziario che deve garantirla". Sta dicendo che i magistrati sono lassisti?, chiede felpato Bruno Vespa. Prodi allarga le braccia: "Di fatto tutte queste sospensioni, patteggiamenti..." insomma sì, una strozzatura un freno grande è lì. Ce n'è per i giudici e non basta, perché proprio a proposito di pane ce n'è ancora per qualcun altro: "Ai miei tempi si portava al forno un quintale di farina e si riceveva indietro un quintale di pane, il pane pesa parecchio meno della farina perché c'è dentro l'acqua e il resto, il guadagno del fornaio era quella differenza di peso. Oggi la farina costa poco più di 40 centesimi al chilo. E quanto costa il pane?". Rispondono tre famiglie in collegamento video: vicino a Milano costa 4 euro e 50, a Roma 2,50, a Bari 1,50.

Benissimo, anzi malissimo chiosa Prodi: "Come può costare il pane, a Milano, dieci volte più della farina? Come ci possono essere tre euro di differenza al chilo dal Nord al Sud?". Risposte sottintese: qualcuno ci specula parecchio. I fornai? Il governo sta accusando i fornai dell'hinterland lombardo di affamare i pensionati? Controreplica dei direttori di giornali, sindacalisti e industriali seduti in studio: servono controlli, serve la liberalizzazione delle professioni.

"Ma abbiamo appena aperto l'opportunità di lavoro a migliaia di nuovi fornai - risponde Prodi - Certo, i controlli. Certo che bisogna anche mandare le ispezioni nei forni" ma la tesi di fondo, l'accusa è ancora quella: ci vuole il bastone per punire, d'accordo, ma il carattere nazionale è così. Chi può lucrare lucra, chi può evadere evade. Chi è più furbo degli altri la fa franca: e l'etica, la morale di un popolo?

Dal pulpito, per stasera, l'omelia è finita. Fate il vostro esame di coscienza, dice Valium-Prodi. Fatelo tutti, "voglio proprio vedere cosa succederà a Grillo ora che ha deciso di fare un partito, perché questo è successo: farà le sue liste, dunque un partito. Io sono d'accordo con molte delle cose che dice, è giusto - con alcune specifiche - inibire il Parlamento ai condannati e sono stato il primo, non da oggi, a darmi il limite di due mandati. Ma come si sposa la richiesta di non avere tessere di partito per essere candidati con la nascita del partito di Grillo? Lo voglio vedere alla prova della selezione dei candidati, dei piccoli interessi. Lo voglio veder passare dalla protesta alla proposta: riparliamone fra quindici giorni".

Il resto è politica dei prossimi giorni. Non si può tagliare l'Irpef ma ridurremo le imposte, sull'Ici si decide il 30 settembre. La Tav si farà, "c'è un nuovo progetto a Bruxelles: abbiamo sentito le comunità locali abbiamo cambiato il tracciato". Il nucleare no, per ora. Il rimpasto di governo non sembra necessario al momento. Non è detto che dopo un'eventuale riforma elettorale si torni a votare, "non è una regola non è scritto da nessuna parte". Ma durerà, questo governo, o si vota in primavera come tanti dicono? "Può cadere per un incidente ma senza incidenti si arriva alla fine: cinque anni". E, domandone, Veltroni sarà d'accordo o vuole forse insidiarla, con quel suo programma per il partito che sembra un programma per la legislatura? "Veltroni è degno di aspirare alla guida del governo", degno, dice. Perciò il suo programma va bene così, al prossimo giro tocca a lui e tanti cari auguri.

(18 settembre 2007)
da repubblica.it


Titolo: Il mal comune di Prodi
Inserito da: Admin - Settembre 19, 2007, 04:38:20 pm
Il mal comune di Prodi

Bruno Gravagnuolo


Che la società civile non sia meglio della società politica e che la classe politica sia lo speccchio dei cittadini di una nazione, è un vecchio adagio della tradizione storiografica e politica italiana. Nonché della scienza politica in generale.

Proverbiali infatti, da Gobetti a Salvemini, sono le denuncie dei tratti antipolitici, «qualunquisti» e cinici degli italiani. A descriverne un´indole sempre pronta a ribaltarsi in trasformismo politico, su base localistica, familistica e corporativa. Così com´è nota la scoperta negli Usa del «capitale sociale» e del «legame civico», in studiosi come Robert Putnam, al fine di contrapporre alla politica non una generica «società civile», populista e intimamente di destra. Bensì una cittadinanza eticamente attiva, a sostegno di un´altra politica, e non già nemica delle istituzioni. Perciò spiace dirlo, l´affermazione di Romano Prodi a «Porta a Porta» ieri l´altro ci pare un po´ scontata e fuorviante.

Riascoltiamola: «Non credo che la società sia migliore della sua classe politica: penso ai raccomandati, alle difese corporative, alla corruzione». Vero che Prodi aveva premesso che «La politica ha il dovere di dare l´esempio». Ma lo aveva fatto di sfuggita, come un sottinteso, restando assodato nella sua affermazione che gli italiani hanno i politici che si meritano, specularamente. E che i raccomandati, le corporazioni e la corruzione sono lì a dimostrarlo: proprio in quanto espressione (diretta) della viziosità della nostra «società civile». E poco dopo Prodi ha rincarato la dose col citare Aristofane, il comediografo conservatore ateniese che bersagliava Socrate e la sua virtù filosofica, proprio in nome di umori demagogici e retrivi dal basso: «Aristofane usò le stesse parole di Grillo nei confronti di Socrate, mi sono documentato...».

Perché giudizi fuorvianti? Perché sono l´esatto rovesciamento, dalla parte della politica, della demagogia che intendono colpire. Perchè sono unilaterali, e come tali rischiano di alimentare l´antipolitica che intendono contrastare. Con ricadute inevitabili del tipo: «politici e cittadini? Tutti eguali, inutile scaldarsi e volerli riformare!». E perché alla fine, oltre a generare un circolo vizioso fatalista, costituiscono una comoda scappatoia rispetto al problema capitale oggi sul tappeto: la legittimazione della politica in questa Italia. I suoi costi, i suoi privilegi, la sua credibilità sull´impegno di riformare il paese, con gli oneri e le impopolarità che possono derivarne. Insomma, con una metafora calcistica, è come se Prodi avesse spedito il pallone in tribuna, aspettando in difesa a catenaccio che l´ondata offensiva antipolitica (con tutte le sue limacciosità) rifluisca. E che con essa rifluiscano anche le sgradevoli, ma altresì legittime contestazioni, alla politica di oggi, a questa politica.

Non è così che è possibile cavarsela o tener botta. E c´è anzi il rischio che a rispondere in tal modo la nuova antipolitica - intrisa anche di cittadinanza «irriflessiva» di sinistra - si rafforzi. Sia ingigantita, e sospinta a fare il pieno dei consensi da una certa alterigia «sociologica», fino a saldarsi rovinosamente, e magari contro la sua volontà, proprio col populismo stagionato della destra. Che da tempo cavalca il cavallo di battaglia del «popolo italiano così com´è», contro «l´elitismo sapienziale» del centrosinistra. E non è efficace la replica di Prodi, anche per altri motivi. Analitici e di merito. Chiediamoci infatti: com´è fatta la nostra «società civile» e come funziona? Perchè è diventatata così, ammesso che sia tutta da demonizzare? E chi ne ha plasmato certi comportamenti? Qui proprio la storia e la scienza politica ci soccorrono. E non per caso proprio i critici più impietosi dell´italica società civile, i Gobetti e i Salvemini di cui sopra, non hanno mai mancato di aggiungere alle loro «geremiadi» (contro il familismo e il cinismo italico), una chiave di spiegazione essenziale, senza cui si pesta l´acqua nel mortaio dell´«Arcitalia» immodificabile.

E la chiave è: un popolo diviso e frammentato, privo a lungo di stato nazione, istituzioni civiche e classi dirigenti(il «paese a coriandoli» evocato da De Rita che Prodi ben conosce). Detto diversamente: un popolo dominato e governato da classi dirigenti censitarie, localistiche. Economicamente protette, spesso apertamente reazionarie. Che hanno esaltato i ritardi antropologici degli italiani, facendosene addirittura forza nell´arte di governo e nello scambio dei favori col consenso. Ecco, dicevano quei due grandi antifascisti con Gramsci, di qui proviene anche l´antipolitica profonda del nostro popolo. Magari a fasi alterne rinforzata dalla retorica patriottarda stracciona e strapaesana (ve ne è l´eco nelle fanfaronate berlusconiane al tempo del suo interim agli Esteri). E di qui, soggiungevano, anche l´intreccio tra notabilato locale e trasformismo, per garantire al governo una base parlamentare dentro aggregati politici fluidi e trasversali. Come al tempo di De Pretis e di Giolitti. Una stagione che rischia di riprodursi oggi con le alchimie di «nuovo conio», esaltando convergenze e ammucchiate al centro, con perdita definitiva di identità, valori, progetti e appartenenze, e a scapito una trasparente etica bipolare (che «listoni monstre» maggioritari non potrebbero preservare, anzi!).

Ma stiamo ancora al presente. Dice Prodi: «Raccomandati, difese corporative, corruzione...». E si potrebbe aggiungere evasione fiscale, sul che pure qualcosa si sta facendo nel rompere abitudini. Ebbene, davvero quei mali sono automatica espressione della «società civile»? Chi ha consolidato e inaugurato un certo costume? Chi ha dato l´esempio, nei rami alti come in quelli bassi dello stato? Chi, invece di privilegiare interessi in direzione di progetti e valori, ha alimentato legislazioni contorte e intricate, eludibili e interpretabili ad libitum? Chi infine non pon mano ad una vera «riforma delle riforme», come i costi amministrativi della politica e l´efficienza (non la licenziabilità!) nella pubblica amministrazione? Anche su tutto questo - diritti e doveri- si misura l´attendibilità di una classe politica e di una classe dirigente nel paese, inclusi gli imprenditori, corporazione protetta più delle altre nel battere cassa e quant´altro. E ancora su tutto questo si gioca la scommessa del centrosinistra governante, auspicabilmente al riparo da tentazioni di «nuovo conio» al centro, e da cieco rigore tecnocratico che chiuda gli occhi su sprechi e ingiustizie. Quanto a «classe politica» e «società civile»- e a chi è più «cattivo» - forse ormai è un po´ come l´uovo e la gallina. Ma a condizione di sapere che il «circolo vizioso» è sempre la politica a doverlo rompere: con l´esempio, se vuole essere creduta. E a condizione di tenere bene a mente quanto nel 1947 scriveva Gaetano Salvemini: «Un contadino sardo è anche lui responsabile per la sua quarantacinquemilionesima parte di quanto avviene oggi in Italia. Ma un Ministro che sta a Roma è infinitamente più responsabile che un contadino sardo per quel che avviene col suo consenso, o per suo ordine, o colla sua semplice passività». Caro Presidente Prodi, sottoscrive?

Pubblicato il: 19.09.07
Modificato il: 19.09.07 alle ore 13.52   
© l'Unità.


Titolo: Il Vietnam di Prodi
Inserito da: Admin - Settembre 21, 2007, 10:02:24 am
POLITICA
IL COMMENTO

Il Vietnam di Prodi
di MASSIMO GIANNINI


Resistere, resistere, resistere. Prodi non ha altro orizzonte all'infuori di questo. I tatticismi parlamentari di una maggioranza sempre più fragile e i velleitarismi inconcludenti di un'opposizione sempre più confusa consentono al governo di sopravvivere all'ennesima roulette russa del Senato sulla Rai. Ma l'Unione esce a pezzi dall'arena di Palazzo Madama. La stessa cosa si può dire della Cdl. Ma la cosa non conforta, perché il centrodestra non governa, il centrosinistra sì.

La novità di questi ultimi giorni è che la "faglia", nel dissestato campo politico unionista, si apre al centro, e non a sinistra. Prima la rottura di Dini, ora lo strappo di Mastella. Sono segnali diversi, ma precisi: c'è un'area moderata che, per quanto piccola, non regge più alle pressioni dell'ala radicale e non crede più alla tenuta di questo quadro politico. E dunque si mette in movimento, si riaffaccia sul mercato elettorale.

C'è chi sospetta i dissidenti centristi di qualche "intelligenza col nemico": fuor di metafora, di aver sottoscritto qualche accordo sottobanco con Berlusconi per dare la spallata definitiva al Professore. Che sia vero o no è persino irrilevante, viste le condizioni altrettanto sconfortanti nelle quali versa l'"armata" non più invincibile del Cavaliere. Quello che conta è che, da questo voto sulla Rai in poi, e a dispetto di tutti i possibili vertici e di tutte le opinabili verifiche che la maggioranza sta già annunciando, comincia per Prodi un Vietnam politico-parlamentare dal quale sarà difficile uscire indenni. La Legge Finanziaria, il Protocollo sul Welfare, la manifestazione del 20 ottobre, le intercettazioni del caso Unipol.

Servirebbero un Sarkozy e un quadro istituzionale di tipo francese, per affrontare a viso aperto le insidie e le imboscate nascoste in questa giungla. Un governo instabile, in questo inconsistente e patologico bipolarismo all'italiana, non ha molte speranze di farcela. È vero che, allo stato attuale, non ci sono alternative. Ma in guerra come in politica, il "cadornismo" purtroppo ha quasi sempre un solo sbocco. Caporetto.

(20 settembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: PRODI all'Onu "E' ora di dire basta alla pena di morte"...
Inserito da: Admin - Settembre 26, 2007, 12:10:26 pm
ESTERI

Intervento del presidente del Consiglio all'assemblea delle Nazioni Unite

Il pressing dell'Italia, le resistenze della Cina e degli Usa

New York, l'appello di Prodi all'Onu "E' ora di dire basta alla pena di morte"

 

NEW YORK - Immagina una società che supera "la spirale della vendetta fratricida" compiendo così "un gesto di grande politica". Un segnale che sancisca che l'umanità "non è solamente capace di compiere progressi nella scienza, ma anche in campo etico". Romano Prodi apre così il suo intervento alla 62esima assemblea generale delle Nazioni Unite. Un appuntamento a cui l'Italia si presenta con una battaglia politica da portare avanti: arrivare a una moratoria universale delle esecuzioni.

Cosa non facile, però, su cui la diplomazia italiana sta lavorando senza sosta da mesi. Un lungo lavoro che si spera dia frutti. "Abbiamo condotto questa battaglia dall'inizio nello scetticismo generale e oggi ha raccolto sempre più ampi consensi" dice Prodi. Consensi ma anche fortissime sacche di resistenza, come quelle degli Stati Uniti e della la Cina. Paesi che potrebbero mettere sul piatto tutta la loro influenza al momento del voto. "Ci potrebbero essere sorprese" ammette Prodi. Infatti l'Assemblea, quando andrà al voto sulla risoluzione, dovrà coagulare i due terzi dei Paesi aderenti che sono attualmente 190.

A questo si aggiunge una grande incertezza sia sul testo da presentare al voto che sui tempi e i modi della sua formalizzazione. Inoltre restano ancora delle perplessità in ambito europeo sulla strada da seguire: presentare una richiesta per una moratoria o per una via più decisa, caldeggiata da alcuni Paesi del nord Europa, per chiedere sin da ora l'abolizione? Differenza non da poco, sottolineano fonti diplomatiche italiane, che potrebbe far perdere per strada almeno 20 Paesi e compromettere quindi l'esito del voto. Prodi, però, insiste: "La battaglia per la moratoria generalizzata inizia oggi, non sottovalutiamo i rischi, ma i numeri ci sono". Ed entro novembre dovrebbero essere concluse tutte le schermaglie procedurali affinché si voti al massimo entro Natale.

Oltre alla pena di morte Prodi ha anche affrontato il tema della riforma delle Nazioni Unite. Con Roma che resta contraria alla creazione di nuovi membri permanenti al Consiglio di sicurezza. In questo momento storico, spiega il presidente del Consiglio, le Nazioni Unite devono restare "centrali nella soluzione delle controversie internazionali" ed è importante rilanciare il processo di riforma che ha già prodotto negli ultimi due anni "i primi risultati positivi".

(26 settembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: PRODI ... Richiamo del premier: «L'unità prima di tutto»
Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2007, 12:56:06 pm
Verso le primarie del 14 ottobre: «Il Pd respingerà l'antipolitica»

Prodi: «Basta con le piccole polemiche»

I candidati litigano sulla «trasparenza» del voto.

Richiamo del premier: «L'unità prima di tutto»


ROMA - «Basta con le piccole polemiche». I candidati alla guida del Partito democratico si dividono sulla «trasparenza» del voto, «insinuano irregolarità», paventano brogli. E Romano Prodi è costretto a intervenire con un richiamo all'ordine. Dopo le polemiche tra Rosy Bindi, Arturo Parisi e Dario Franceschini, il presidente del Consiglio ha cercato di rimettere tutti in riga con una secca dichiarazione: «Mi sembra che la foga della competizione rischi talvolta di mettere in secondo piano, di offuscare, la grandezza di un grande progetto politico, riducendo il dibattito a piccole polemiche che credo non interessino quanti saranno chiamati al voto di domenica prossima». Il premier, uno degli ispiratori del progetto del Partito democratico si è rivolto così ai «candidati del Partito democratico e ai loro supporter», ai quali ha chiesto di «concentrarsi sul motivo principale della loro partecipazione a questa competizione, cioè la nascita del Pd». Prodi ha ricordato anche che al progetto del Pd credono «milioni di cittadini, gli stessi che nei comizi dell'ultima campagna elettorale ci ammonivano dicendo a gran voce una sola parola: unità. È di questo - conclude Prodi - che il Paese ha bisogno».

TRASPARENZA - A cinque giorni dalle consultazioni era tornato in primo piano il tema della trasparenza sull'esito del voto. Per garantire la quale, Arturo Parisi e Rosy Bindi avevano rivolto un «appello» al Comitato organizzatore. «Il 14 ottobre - ha detto il ministro della Difesa - sarà la festa della partecipazione. Se raggiungessimo un milione di partecipanti - ha aggiunto - sarebbe una esplosione di partecipazione» perché pur essendo una cifra di poco superiore a quella degli iscritti di Ds e Dl, sarebbe altrettanto vero che «in tanti si muoverebbero contemporaneamente per dare il loro contributo». Per questo, secondo Parisi, «il risultato deve essere protetto attraverso il massimo di verifica e di trasparenza». Dura la replica del capogruppo dell'Ulivo alla Camera, Dario Franceschini. «Vorrei dire all'ex ragazza della Valdichiana - ha detto Franceschini riferendosi alla Bindi - che stiamo facendo una cosa inedita e posso anche capire qualche scivolata di tono, qualche confusione per il fatto di essere persone che concorrono allo stesso obiettivo e non avversari politici. Però, francamente - ha aggiunto - insinuare, a cinque giorni dalle primarie, che ci possono essere delle irregolarità nel meccanismo di voto, non è giusto».

ANTIDOTO ALL'ANTIPOLITICA - Romano Prodi aveva provveduto a lanciare, nelle ultime ore, le primarie del Pd, in programma domenica. In un editoriale sul numero zero della rivista del nascente Partito democratico presentata martedì a Santi Apostoli, il premier ricorda il lungo cammino (dodici anni) che ha portato alla costruzione del Pd, apostrofandone la nascita come «evento di portata storica per l'Italia». «Abbiamo voluto - scrive il presidente del Consiglio - il Partito Democratico: oggi è un patrimonio di tutti gli italiani». Ma soprattutto, secondo il presidente del Consiglio, la nascente formazione politica sarà in grado di «respingere l’antipolitica, uno dei più gravi rischi che il sistema democratico può correre». La fase preparatoria del Partito democratico, sottolinea il premier, è stato un periodo «durante il quale - scrive Prodi - abbiamo saputo superare la fatica, le difficoltà, le tensioni e le divisioni anche al nostro interno e sono, lo sapete, le più pericolose oltreché le più dolorose».

«IL CAMMINO È COMPIUTO» - Ma «ora il lungo cammino è compiuto - spiega il presidente del Consiglio - il Partito democratico è ormai una realtà» e sarà un partito «democratico davvero, cioè restituito ai cittadini che oggi ne festeggiano la nascita...noi abbiamo voluto un partito vero, disciplinato da regole e che si configuri come organismo collettivo. Tutto il contrario i partiti oligarchici o personali». «Abbiamo voluto - scrive ancora il Professore - un partito grande a vocazione generale... Un partito che faccia l’Italia più forte, più giusta e dunque più coesa. Noi abbiamo voluto il Pd: oggi è un patrimonio di tutti gli italiani».

«NIENTE SEGGI NELLE SCUOLE» - E con le primarie ormai alle porte arriva, dal ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, l'altolà sull'uso delle scuole come seggi per le consultazioni del 14 ottobre. Per Fioroni, che replica così alle polemiche alimentate della maggioranza sull'organizzazione delle primarie, è «prioritario non creare disagio al regolare svolgimento delle lezioni». Il ministro ha comunicato ai direttori scolastici regionali, provinciali e ai dirigenti scolastici che, «pur nel rispetto delle autonome determinazioni delle singole istituzioni scolastiche e della concorrente competenza in materia degli enti locali», non ritiene che le consultazioni per le elezioni primarie del Pd rientrino tra quelle previste dalle norme che regolano l'uso dei locali per attività diverse da quelle scolastiche. All'altolà di Fioroni torna a replicare Maurizio Gasparri. «Vigileremo - dichiara l'esponente di Alleanza nazionale - affinchè non si verifichi in alcun caso un uso improprio di luoghi che servono per l'attività didattica e, semmai, per le elezioni vere, non per le manifestazioni di parte. L'eventuale decisione del Partito democratico è anche istruttiva per qualche sindaco che potrà meditare su un più rigoroso rispetto delle regole».


09 ottobre 2007

da corriere.it



Titolo: PRODI ... Vi spiego i ritocchi al patto del Welfare
Inserito da: Admin - Ottobre 15, 2007, 10:15:16 am
ECONOMIA

LA LETTERA. Non ci tiriamo indietro di fronte alle richieste di dialogo

Ma la drammatizzazione di questa vicenda non fa bene al Paese

Vi spiego i ritocchi al patto del Welfare

di ROMANO PRODI


CARO direttore, oggi avrei voluto occuparmi solo del Partito democratico, del significato che questo 14 ottobre ha e avrà per la storia politica del Paese e avrei voluto, come si dice, "godermi la festa" perché dopo dodici anni, si porta a compimento un progetto nel quale ho fermamente creduto, per il quale ho lottato, nel quale ho tanto investito.

Essere a capo di un governo, tuttavia, implica onori ed oneri e, tra questi ultimi, anche l'onere di spiegare e motivare, anche in giorni di festa, le decisioni dell'esecutivo.

Prendendo spunto dall'analisi, come sempre approfondita e sostanzialmente condivisibile, di Eugenio Scalfari in primis, ma anche dalle interviste dei leader sindacali e da alcuni commenti, sono pronto a spiegare cosa ha deciso il governo sul tema Welfare
con le deliberazioni prese - con una votazione positiva, che è andata ben al di là delle funeste previsioni di tanti - nella riunione del Consiglio dei ministri del 12 ottobre.

Prima di tutto intendo sgomberare il campo da tutte quelle critiche pretestuose che vogliono far intendere che ci sarebbero stati "cedimenti" a una delle componenti della maggioranza.

Leggo, appunto, di cedimenti, prezzi pagati, pedaggi. Queste sono analisi che non esito a definire faziose e che sono oggettivamente aprioristiche. Sono analisi che leggiamo da mesi e che non potendo accusare il governo di gravi errori (perché finora l'economia risponde bene alle decisioni prese) ripetono da oltre un anno, come in un ritornello, l'accusa al governo di essere vittima degli estremisti radicali.

Essi non salgono in cattedra per spiegare, ma solo per accusare senza mai mettere in rilievo la differenza tra i risultati delle decisioni prese nei 17 mesi di questo governo rispetto ai cinque anni del governo precedente.

Il nostro è un governo che sta affrontando una sfida straordinaria al servizio del Paese e che ha imparato a lavorare in modo coeso e unito.

E' un governo che ha sempre visto confermata la propria maggioranza in Parlamento, pur avendo preso decisioni coraggiose, e spesso scomode, in campo economico, politico e sociale.

Nessun "cedimento" quindi e tanto meno in questa occasione.

Quanto alle critiche "bipartisan" delle parti sociali, sarebbe semplicistico limitarsi a dire che qualche scontento sia da parte degli imprenditori sia da parte dei lavoratori testimonia dell'equilibrio e della saggezza del testo messo a punto dal governo. Le critiche non tengono semplicemente conto del fatto che il governo ha dovuto compiere un lavoro complesso per tradurre un "accordo politico" (quello del protocollo del 23 luglio) in un "disegno di legge", formulato nel rispetto delle esigenze della formula legislativa e sempre tenendo presenti le doverose coperture finanziarie.

La traduzione dal linguaggio evocativo e forzatamente, in alcuni aspetti, non dettagliato dell'accordo nel linguaggio asciutto e compiuto delle norme e dei numeri può creare qualche perplessità, ma il governo non poteva esimersi dal fare questo lavoro di traduzione per inviare il disegno di legge alle Camere.
Così come non poteva, nel corso della riedizione del testo, non tenere conto di adattamenti richiesti dagli uffici legislativi. Si tratta, e non mi stancherò mai di ripeterlo, di variazioni marginali rispetto a un impianto corposo di un disegno di legge che, una volta approvato dalle Camere, migliorerà decisamente le politiche del lavoro di questo Paese.

Esso infatti, contrariamente a quanto sostenuto da qualcuno in questi giorni, affronta, ad esempio, per la prima volta la questione giovanile sia sul versante della tutela previdenziale sia su quello del mercato del lavoro e delle relative tutele.

Per quanto riguarda inoltre le tanto drammatizzate "variazioni" al protocollo approvate dal Consiglio dei Ministri, queste erano a preventiva conoscenza delle parti e riguardano, tanto per fare anche qui esempi concreti, la eliminazione del tetto dei lavoratori usuranti previsto fino ad oggi in 5mila l'anno (scelta obbligata al fine di rispettare i diritti individuali).

Contemporaneamente è stato però riconfermato il tetto di spesa a sostegno di questa particolare categoria a 2,5 miliardi di euro nei dieci anni, e si sono introdotte regole più certe per la definizione e la determinazione di quanti hanno diritto a rientrare in tale categoria.

Altre "specificazioni" riguardano i contratti a termine per i quali abbiamo introdotto la proroga di una sola volta dopo i 36 mesi, proroga che avviene alla presenza dei sindacati maggiormente rappresentativi. Essa costituisce a nostro avviso una garanzia contro l'abuso dell'utilizzo dei contratti a termine. Anche questo strumento è condiviso da Confindustria e Sindacati.

In ogni caso non ci siamo mai tirati indietro rispetto alle richieste di dialogo delle parti sociali e questo lo sanno molto bene tanto Montezemolo e Bombassei, quanto Epifani, Bonanni e Angeletti e non intendiamo certamente cambiare atteggiamento in questa occasione. Per questo essi e i loro uffici sono stati informati dal Ministro del Lavoro sul processo di stesura del disegno di legge e per questo li incontreremo al più presto, spero domani stesso, per esaminare uno per uno i punti controversi e fornire nel dettaglio le spiegazioni del caso.

Credo che la drammatizzazione di questa vicenda a cui stiamo assistendo in queste ore non faccia bene al governo, ma, soprattutto, non faccia bene al Paese che ci chiede iniziative forti e responsabili non dibattiti e scontri alimentati ingigantendo piccoli particolari per trarne sempre conclusioni affrettate e negative. Il Paese chiede scelte coerenti e stabilità, avendo ereditato assieme a tutti noi (camere, governo, parti sociali) un quadro di squilibrio e instabilità preoccupante, anche grazie alle sciagurate decisioni della passata legislatura, a cominciare dalla legge elettorale. Non è alzando tutti i giorni il tono della polemica che si lavora per il bene dell'Italia.

(15 ottobre 2007)
da repubblica.it


Titolo: LETTERA A VELTRONI di Romano Prodi
Inserito da: Admin - Ottobre 16, 2007, 11:58:51 pm
LETTERA A VELTRONI


di Romano Prodi


Caro Walter,

dodici anni fa eri con me fra quei pochi che all’Ulivo dedicarono fin dall’inizio energie e speranze. E così come è stato bello lavorare insieme a quel progetto, so che da oggi sarà addirittura ancora più bello ed importante.

Scriverti per salutarti come il nuovo segretario del Partito Democratico è un grande motivo di contentezza e di speranza. Oltre tre milioni di italiane e italiani hanno voluto testimoniarci la loro fiducia affidando alle tue mani il nuovo partito.
So che il Partito Democratico potrà crescere solo con una dedizione totale da parte di tutti noi. So che ci saranno passaggi non facili, tensioni e tentazioni. Ma so anche che non cederemo a nessuna di esse, perché siamo ben coscienti dei nostri compiti e delle nostre responsabilità.

Ci sono tantissime cose da fare. Ma ci sono tre milioni e mezzo di motivi per farle con il sorriso. Da parte mia essere presidente del Partito Democratico è una  sfida che mi appassiona. Avremo segretarie e segretari regionali nuovi e motivati, una classe dirigente piena di entusiasmo e la voglia di presentarci nelle regioni, nelle province e nei comuni con programmi riformisti e persone riformatrici.

Guardiamo già ai prossimi impegni e alle prossime scadenze. All’orizzonte vediamo le elezioni europee del 2009, una occasione in cui il nostro partito sarà chiamato a misurarsi con traguardi e prospettive più ampi. Un appuntamento da non fallire.
Costruire un nuovo partito non è certo facile. Ci conforta il contributo fondamentale di chi con grande visione e anche con tanto sacrificio ha saputo e voluto guardare avanti e non indietro. Ci assicura che sarà cosa nuova il grande arrivo di nuove energie, nuovi nomi, nuovi contributi. Ci rassicura sapere che potremo contare sul determinante contributo di nuove energie e di nuovi nomi.

Per questo è necessario mettersi al lavoro da subito. Nelle prossime ore convocherò formalmente l’assemblea costituente del 27 ottobre. Sarà un’altra grande giornata di democrazia e di festa. Sarà il primo giorno del Pd!

Allo stesso tempo continuerò insieme a te nella attività riformatrice del governo, con pazienza, dedizione e tenacia. Discutendo con i nostri alleati con lealtà e apertura, come abbiamo sempre fatto.

L’abbraccio che ti rivolgo vorrei lo dividessimo insieme agli altri candidati, ma anche ai volontari, al Comitato dei 45, ai tre coordinatori. Volti noti e non. Tutte persone alle quali dire grazie.

Più volte in queste ore sono andato con la mente al lungo lavoro che abbiamo fatto insieme. Come assieme abbiamo portato l’Italia nell’Euro così la porteremo tra i Paesi più innovativi e più giusti di questo ventunesimo secolo. L’emozione è la stessa. La certezza nel futuro ancora più forte. Un futuro che si chiama Partito Democratico. Per un’Italia migliore.

Buon lavoro.A te, a noi, al PD.


da www.ulivo.it


Titolo: PRODI ... Con il Pd già mi sento meglio
Inserito da: Admin - Ottobre 18, 2007, 06:24:49 pm
Con il Pd già mi sento meglio
di Giampaolo Pansa

Veltroni? Un rapporto a prova di bomba.

Il nuovo partito? Conquisterà più di un terzo degli elettori. Ridurre i ministri? Io ne volevo 15, ma Fassino e Rutelli...

A Palazzo Chigi? Fino al termine del mandato.


Colloquio con Romano Prodi. In edicola da venerdì  Romano Prodi e Walter VeltroniAccerchiato, tormentato, sgambettato da tante, troppe parti. Eppure scopro Romano Prodi tonico, asciutto, di umore buono e molto determinato. Dalla sera di domenica 14 ottobre si trova al fianco un leader di nuovo conio, Walter Veltroni, il numero uno del Partito democratico prossimo venturo. Ma è una presenza che non sembra cambiare la vita e il lavoro del presidente del Consiglio. Sentiamo che cosa ci dice lui.

La vedo accerchiata, presidente.
"Non è un'impressione sbagliata. Però non c'è nulla di nuovo. Era così anche il primo giorno a Palazzo Chigi, dopo il voto dell'aprile 2006. Le cause? Coalizione complessa e ricerca di visibilità. Tuttavia oggi c'è una differenza. La caccia alla visibilità è rimasta molto forte nei partiti della coalizione, ma è diminuita moltissimo nei ministri. Nel governo si è affermata una solidarietà interna molto alta. E il lavoro del Consiglio dei ministri è assai più omogeneo e più semplice".

Resta la babele tra i partiti di centrosinistra.
"Può darsi. Ma la funzione e la forza dei governi democratici è di attrarre nuove energie alla democrazia, cioè di assorbire quella che i politologi anglosassoni chiamano 'le frange lunatiche'. È quel che cerco di fare, suonando sia il violino che il violoncello: due strumenti molto umani".

Dovrà darci dentro con entrambi, presidente. Dopo il trionfo bulgaro di Veltroni, molti dicono che adesso il suo governo è più debole. Anzi, che la nascita del Pd è un salto nel buio per il suo ministero.
"L'aggettivo bulgaro non mi piace. E poi i tanti elettori delle primarie hanno espresso una richiesta di stabilità. Se c'è una logica, io sono più forte, non più debole. È la frammentazione dei partiti che rende più difficile fare una politica lineare e coerente".

Veltroni ha detto che il rapporto con lei è "a prova di bomba". E che sosterrà il suo governo sino al 2011. Lei gli crede?

"Sì. Tanto per la prova di bomba che per il sostegno. È interesse di entrambi raggiungere il 2011 con il governo in piedi e ben saldo. Ma è molto più importante ricordare che Veltroni ed io abbiamo costruito insieme l'Ulivo, che Walter è stato un pilastro del primo governo dell'Ulivo e che la nostra collaborazione e la nostra amicizia sono troppo collaudate per andare in crisi".

Ma il 2011 è lontano.
"Certo, sembra lontano. Ma ho scelto una strategia di governo che se mi ha portato un gradimento molto basso oggi, darà frutti importanti nel futuro. Però ci vuole tempo. E so bene che, lungo il cammino, possono esserci delle sorprese".

Una sorpresa negativa potrebbe venire dai sei senatori centristi che non hanno aderito al Pd: Dini, due suoi colleghi, Bordon, Manzione e Fisichella. Enrico Letta ha detto a 'Omnibus' de La7 che bisogna parlarci, con questi sei.
"Con loro parlo da sempre. E ne ho ricavato un'assoluta coincidenza di posizioni. Loro si fidano di me e io mi fido di loro. Ma è vero che bisogna continuare a parlare con loro. Lo farà anche Veltroni".

Un Veltroni trionfante può essere tentato di sfruttare la vittoria andando a elezioni anticipate?
"L'anticipo del voto lo decide il presidente della Repubblica. E poi si cercano nuove elezioni quando i sondaggi sono favorevoli. Non mi pare che siamo in questo caso".

Se si dovesse votare all'inizio del 2008, quale risultato prevede per il centrosinistra?
"Un risultato cattivo. E aggiungo: 'ovviamente' cattivo. Un paese malato si guarisce con le medicine amare. La terapia l'ho studiata con cura e nel 2011 farà vincere il centrosinistra. Comunque, l'anno prossimo non si andrà a votare. Ne sono sicuro".

Con chi starà Veltroni? Con la sinistra radicale o con i centristi dell'Unione? Pier Ferdinando Casini gli ha chiesto di scegliere, per cominciare a chiarire l'identità del nuovo Pd.
"Veltroni l'ha già detto: non ha altra alternativa che questa coalizione di governo".

Insomma, Veltroni non sceglierà.
"Non è così: Veltroni ha già scelto questa alleanza. Non confondiamo le decisioni con le discussioni. Walter non ha altra via che questa. Altrimenti gli scoppia il sistema in mano. Come scoppierebbe a me se cambiassi coalizione".

D'accordo. Però il 14 ottobre è nato un leader davvero maximo, un imperatore. Veltroni sarà di certo esigente e poco malleabile. La preoccupa questa prospettiva?
"Per niente. Veltroni sarà esigente soprattutto con il suo nuovo partito. Deve costruirlo per intero. E avrà il suo daffare. Un conto è il ruolo di leader. Un altro conto è dare soddisfazione a tutte le voci del Pd".

Spesso si dice che Prodi è un politico della Prima Repubblica. Ma non lo è anche Veltroni? Non mi sembra un politico del tutto nuovo.
"Rispondo per me, non per lui. Certo, Prodi è nato nella Prima Repubblica. Ma è entrato in politica soltanto con la Seconda Repubblica. Vuole la data esatta? Il 2 febbraio 1995. Quel giorno alcuni amici troppo affettuosi e quindi sciagurati, tra i quali Nino Andreatta, fecero il mio nome come possibile candidato premier nella battaglia elettorale dell'anno successivo. Il mio nome ruzzolò, andò in giro. Fu così che mi chiesero se ero disposto a guidare il confronto con Silvio Berlusconi. Risposi di sì. E nel 1996 il centrosinistra vinse".

Veltroni dovrebbe dimettersi subito da sindaco di Roma?
"No. A Roma lui ha costruito una macchina grande e forte che può camminare quasi da sola. Certo, lo aspetta una fatica terribile, perché la gestione del Pd diventerà sempre più assorbente".

Lo penso anch'io. La lotta all'ultimo sangue per le candidature alle primarie ci fa prevedere un Pd diviso in correnti che si combatteranno.
"Ma non esiste un partito senza sfumature o espressioni diverse. Guardi che cosa succede nel Partito Laburista inglese. Nel Pd troveremo una sintesi per non farle diventare correnti organizzate. Veltroni si è già dato questo compito. Gli offrirò il mio aiuto: sono il presidente del Pd, garante di tutti".

Dunque, dal 14 ottobre il Pd ha due capi: Veltroni e lei. Le diarchie, i doppi comandi, non sono fonte di guai?
"I nostri ruoli sono diversi. Bisogna sempre distinguere fra governo e partito. Io guido il governo. E sono il capo di una coalizione che va ben oltre il Pd. E rispondo in modo intero all'alleanza che mi ha eletto".

Oggi i sondaggi parlano di un Pd che ha meno voti di quelli raccolti da Ds e Margherita alle elezioni dell'aprile 2006.
"Ha detto bene: oggi. Quando il Pd è allo stato nascente. La stabilità e la coesione faranno cambiare i sondaggi. Certo, ci vogliono i risultati buoni del governo. Insomma, occorre l'impasto di due farine. Ma sono convinto che il Pd conquisterà almeno un terzo degli elettori. E forse di più".

Per tentare di farcela, Veltroni dovrà agitarsi molto. Ha timore dell'inevitabile movimentismo del suo amico Walter?
"Assolutamente no. Ma non userei la parola movimentismo. Direi piuttosto movimento. Spero che Veltroni ne faccia molto. Abbiamo bisogno di mobilitare molta società, molti cittadini".

Il Pd si propone di riconquistare i ceti medi che hanno abbandonato il centrosinistra, soprattutto nell'Italia del nord. In che modo può riuscirci?
"Il modo è uno solo: fare. Il Nord ha bisogno di cose elementari: sicurezza, infrastrutture e fisco più equo. Per i più raffinati anche un po' di scuole, di ricerca, che per me, nel lungo periodo, sono l'aspetto primario anche al Nord".

Lo scrittore-ombra di Veltroni, il senatore diessino Giorgio Tonini, ha messo nero su bianco la seguente previsione: nel gennaio 2008, dopo l'approvazione della Finanziaria, il Pd chiederà a Prodi "un chiarimento politico e programmatico, che indichi le cose essenziali da fare in modo convinto e disciplinato nei prossimi tre anni. Altrimenti, meglio staccare la spina e tornare a votare". Che ne pensa?
"Che 'staccare la spina' è un'immagine truculenta. Mi stupisce che la usi Tonini, un mite cristiano sociale. Deve averla chiesta in prestito alla destra. Cosa posso rispondere? Che ha perfettamente ragione, purché lui abbia un generatore di riserva, una volta staccata la spina. Se lo ha, ci dica quale è".

Veltroni ha già annunciato che vorrà uno snellimento del governo.
"Questo è un problema mio. E lo specifico così. A) Il governo adesso funziona. B) Ho già ridotto molte spese. C) Io stesso, come tutti sanno, avevo proposto un governo di soli quindici ministri. Oggi sono venticinque. E sa perché? Me lo ricordo bene il giorno che Fassino e Rutelli entrarono nella mia stanza e mi dissero: devi dare nove ministri ai Ds e sei alla Margherita. E il resto è venuto da sé. Quando sarà il momento, provvederò io a ripensare la struttura del governo".

Ma è vero che Fassino diventerà vice-premier, posto che sarà lasciato da D'Alema?
"Fassino si meriterebbe ben di più per le sue doti e per il suo spirito di sacrificio. Ma in questo momento non cambio niente".

Andrebbe fatta subito anche la legge elettorale. Ritiene che sia possibile?
"So benissimo che è un compito molto difficile, nel quale Walter e io dovremo buttarci a capofitto. Ma se non lo affrontiamo, trovando la soluzione giusta, non risolveremo i problemi dell'Italia. Con la stabilità del governo, saremmo il primo paese in Europa".

Ma ha discusso con Veltroni su quale sistema elettorale puntare?
"Walter e io ci siamo già confrontati su questo problema. E sappiamo bene che per varare una nuova legge occorre una maggioranza parlamentare molto ampia. Entrambi non vogliamo abbandonare il bipolarismo. Ovvero l'idea di due coalizioni che si alternano nel governo del paese. Speriamo di farcela. Ma le ribadisco che non sarà un'impresa semplice".

Che cosa può accadere al governo dopo la manifestazione della sinistra radicale a Roma, il sabato 20 ottobre?
"Non accadrà assolutamente niente. In questi ultimi sette giorni abbiamo avuto tre grandi manifestazioni di società civile: il referendum sindacale sul Protocollo del Welfare, la marcia di An per la sicurezza e le primarie per il leader del Pd. Quella della Cosa Rossa sarà la quarta. E non potrà che concludere un ciclo tutto a sostegno del governo".

Anche il corteo di An era a sostegno del governo?
"Sì. E per una ragione molto semplice: che ha saputo offrirci soltanto degli insulti. Dunque, ha giocato a nostro favore, sia pure contro l'intenzione degli organizzatori, perché credo che abbia riscaldato molti simpatizzanti del Pd alla vigilia del voto".

Che cosa farà Berlusconi dopo le primarie del 14 ottobre?
"La domanda giusta dovrebbe essere: che cosa dirà. Bene, continuerà a dire quel che ha sempre detto. Che quindici parlamentari della Margherita passeranno con lui. Che la maggioranza di centrosinistra sta per implodere. Che si andrà subito a nuove elezioni. Che il 98 per cento degli italiani spasima di tornare alle urne per votare compatto Forza Italia. Insomma, seguiterà a dire quello che dice da sedici mesi. E come vede la faccenda non mi preoccupa minimamente".

Posso dirle quello che mi domando sempre più spesso nel vederla alle prese con le difficoltà del governare? Mi domando: ma perché Prodi mostra tanta tenacia nel restare a Palazzo Chigi? Ne vale davvero la pena?
"Le offro due risposte. La prima è che le cose si fanno con tenacia oppure non si fanno. La seconda è che a Palazzo Chigi io ci sto volentieri".

È vero che lei se ne andrà soltanto quando sarà chiaro a tutto il paese che il governo Prodi è stato distrutto dai suoi alleati riottosi?
"Sì, se questa distruzione si manifesterà con un voto parlamentare. Altrimenti no: io rimango qui".

Che cosa succederebbe se il suo governo dovesse cadere, per esempio a causa di un incidente al Senato? Dopo di lei, verrà un governo istituzionale o si andrà subito a votare?
"Quello che potrebbe succedere lo deciderà il presidente della Repubblica".

Accerchiato, però tenace. Da vera testa quadra reggiana. Ma è felice di fare questa vita?
"Purtroppo sì".

(18 ottobre 2007)

da espresso.repubblica.it


Titolo: PRODI il presidente del consiglio scherza con i cronisti. Non mi sento a rischio
Inserito da: Admin - Ottobre 20, 2007, 04:28:12 pm
il presidente del consiglio scherza con i cronisti

Prodi: «Non mi sento a rischio»

«La vita di un casaro è anche più breve di quella del premier se sbaglia produzione, ma io non l'ho fatto»

 
 
REGGIO EMILIA - Romano Prodi non si sente a rischio nel suo ruolo di presidente del Consiglio nonostante le profezie di Berlusconi sulla caduta del governo a metà novembre. Lo ha ribadito parlando con i giornalisti nel corso di una visita alla latteria sociale di San Giovanni della Fossa, nel Reggiano.

I RISCHI PER IL GOVERNO - «La vita di un casaro è anche più breve di quella del presidente del Consiglio, se sbaglia produzione», ha scherzato il premier assaggiando una forma di Parmigiano-Reggiano. Ma lei si sente a rischio?, hanno chiesto i cronisti. «No, perché non ho sbagliato produzione», è stata la risposta. «Per governare ci vuole tanta pazienza. Occorre stare insieme, lavorare con la testa e con il cuore».
Poi il premier ha commentato con i cronisti le indiscrezioni su un presunto colloquio che sarebbe avvenuto tra il presidente del Consiglio stesso e il comitato organizzatore della manifestazione sul welfare, nel quale Prodi avrebbe dato il governo per spacciato, dicendo di essere pronto a gettare la spugna. «È proprio tutto inventato» spiega il presidente del Consiglio.

MASTELLA - «Su Mastella non ho assolutamente niente da dire», ha affermato Prodi. «Ci siamo telefonati con molta cordialità venerdì sera. E non c'è proprio nulla di nuovo».


20 ottobre 2007

da corriere.it


Titolo: FEDERICO GEREMICCA - Ultimatum disperato
Inserito da: Admin - Ottobre 26, 2007, 04:18:54 pm
26/10/2007
 
Ultimatum disperato
 
FEDERICO GEREMICCA
 

Il penultimo rovescio nell’aula di Palazzo Madama è arrivato quando erano appena passate le nove della sera, cioè giusto un paio d’ore dopo che Romano Prodi - il volto teso, il tono grave - si era mostrato ai cronisti di Palazzo Chigi per scandire il suo ultimatum: «È giunto il momento che tutte le forze politiche della maggioranza dicano chiaramente se vogliono continuare a sostenere il governo». A differenza delle precedenti quattro sconfitte, pare che il quinto capitombolo dell’esecutivo - il penultimo, appunto - non sia stato determinato né da espliciti dissensi nella maggioranza né dal colpo a tradimento di un qualche «franco tiratore»: semplicemente, Rita Levi Montalcini (contestata e sbeffeggiata dal centrodestra per tutta la giornata) provatissima da un’ininterrotta serie di votazioni, s’era assentata un attimo dall’aula per andare alla toilette. L’episodio, ovviamente, non cambia il senso della pesante giornata. Anzi, in fondo lo rafforza.

Infatti, affinché la maggioranza di centrosinistra si riveli tale anche al Senato, è necessario il concorso contemporaneo di una serie di eventi divenuti - però - ormai quasi eccezionali: che non vi siano capricci da parte di uno dei troppi gruppi dell’Unione, che siano presenti tutti o quasi i senatori a vita, che Di Pietro e Mastella non abbiano appena litigato, che qualche senatore della sinistra radicale non avverta problemi di coscienza, che altri non abbiano conti da regolare e si potrebbe, naturalmente, continuare. «Oggi non pongo la fiducia - aveva avvertito da Palazzo Chigi il premier - ma esigo che tutte le forze politiche della maggioranza rispettino gli impegni».

Dopo l’avviso, il governo è stato battuto al Senato altre due volte: prima per l’assenza della Montalcini, come detto, e poi di nuovo su un emendamento alla procedura di commissariamento dell’Ordine Mauriziano. Si fa un gran parlare, nei corridoi dei palazzi romani, di accanimento terapeutico, eutanasia e di un governo tenuto in vita artificialmente, ma è una discussione in fondo finta, pura propaganda, un modo come un altro per prender tempo: si parla, cioè, di quel che tutti vedono - che l’esecutivo è ormai alla fine del suo binario morto - perché nessuno può, fondatamente, parlare di quel che accadrà dopo. Il governo, insomma, è tenuto in vita dagli stessi che lo vorrebbero già sepolto perché non c’è accordo su cosa fare dopo. Andare al voto subito? Andare al voto dopo aver tentato una riforma elettorale? Aspettare la mannaia del referendum? Provare la carta di un governo istituzionale? Maggioranza e opposizione sono divise - divise anche al loro interno - sull’epilogo da dare a una crisi che tutti però assicurano essere ormai scontata. E mentre si cincischia, il Paese perde colpi, il governo continua la sua via crucis e Romano Prodi, intanto, si trasfigura lentamente in una sorta di moderno San Sebastiano.

D’altra parte, non c’è via d’uscita. Sono mesi che il premier insiste nel ripetere di voler rispettare il mandato elettorale e altrettanti mesi che l’opposizione - con ogni giorno una ragione in più - replica che l’esecutivo è morto nel giorno della sua nascita, diviso com’è, paralizzato da spinte contrapposte e senza una vera maggioranza in Senato. Mesi forse gettati al vento. Pericolosamente gettati al vento, visto che durante il lungo stallo il discredito della politica (di tutta la politica) è cresciuto come prima mai. Onestamente, non occorreva giungere fino a questo punto per rendersi conto che il declino della maggioranza di governo non era arrestabile: e che Prodi giochi ora, nel suo momento di massima debolezza, la carta del «chiarimento a muso duro», fa apparire la sua mossa ancor più vana e disperata di quanto lo sarebbe forse stata cinque, sei o addirittura dieci mesi fa.

Paradossale, infine - e immaginiamo malinconica per i protagonisti - è la circostanza che la crisi politica sembri precipitare proprio nel momento in cui muove i primi passi il tanto inseguito Partito democratico. Voluto per concludere un lungo processo e per rafforzare «l’asse riformista» della coalizione di governo, rischia di trasformarsi da subito nel maggior partito di opposizione. Andasse così, sarebbe un epilogo grottesco. Con buona pace di chi ha sostenuto che la sua nascita avrebbe indebolito il governo, si può vedere bene - ora - come sia il governo che rischia di portare a fondo il partito appena nato.
 
da lastampa.it


Titolo: PRODI ... "Se arrivo a gennaio Berlusconi è nei guai"
Inserito da: Admin - Ottobre 27, 2007, 11:08:28 pm
27/10/2007 (7:10) - IL RETROSCENA

"Se arrivo a gennaio Berlusconi è nei guai"
 
Prodi: «Solo il voto di sfiducia può fare cadere il mio governo»

FABIO MARTINI
ROMA


Nella cripta del «Cristo Re» il saluto al professor Pietro Scoppola si sta dipanando con tratti da rito protestante - lettura dei salmi dall’Antico Testamento, canti post-conciliari, il «Magnificat anima mea Dominum» -, Romano Prodi arriva da solo e si siede su una panca defilata. Si toglie gli occhiali e nella penombra due lacrime gli solcano il viso.

Era un giovane professore, Romano Prodi, quando nel 1975 Pietro Scoppola, Nicolò Lipari, Achille Ardigò, Ermanno Gorrieri diedero vita alla «Lega democratica», l’ultimo tentativo di rinnovare la Democrazia cristiana. E mentre Prodi è assorto nel ricordo, al «Cristo Re» arriva anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Dopo qualche minuto i due presidenti - che non hanno avvertito i giornalisti e per una volta non sono seguiti dal solito codazzo - risalgono assieme le scale della cripta. Sottovoce ricordano Pietro Scoppola, mentre alle vicende politiche dedicano due parole di circostanza e subito dopo si salutano. Non c’è bisogno di parlare. La crisi di governo, una volta ancora, si è allontanata. E se non fosse per quel velo di tristezza, davvero inusuale per uno come Prodi così poco incline alle tenerezze, per lui venerdì 26 ottobre sarebbe una giornata da incorniciare.

Due giorni fa il Professore se l’era vista brutta. Gli aveva fatto impressione quel «fuggi fuggi a piccole dosi», quel fronte che al Senato si sfaldava attraverso pericolosissime fessure. E’ stato a quel punto che ha deciso per l’appello alla comune responsabilità che alla fine si è rivelato vincente. Naturalmente nelle chiacchierate in privato Prodi non si lascia andare al trionfalismo. Non è nelle sue corde, non lo ha fatto in momenti più gratificanti, non può farlo ora che ha soltanto ripreso fiato. Ma in lui ha cominciato a prendere forma un pensiero che ha ripetuto agli amici veri: «Ragazzi, ma vi rendete conto che se teniamo sulla Finanziaria e il governo supera il traguardo di gennaio, i problemi non li abbiamo più noi? A quel punto chi entra in difficoltà è Berlusconi...», con gli alleati che potrebbero rialzare la testa dopo l’ennesima spallata fallita. Tra sé e sé Romano Prodi accarezza - come direbbe la canzone - questo «pensiero stupendo», uno di quei pensieri che non scandirebbe mai in pubblico, anche perché lui stesso sa quanto sia difficile arrivare sani e salvi non solo al traguardo di Natale, ma anche a quello più modesto del 16 novembre.

Ma il rovesciamento logico e psicologico che potrebbe determinarsi da un governo che portasse a casa la Finanziaria, che a gennaio riducesse da 26 a 15 il numero dei ministri e aprisse sulla legge elettorale è una delle molle che hanno tenuto su il Professore in questi ultimi giorni davvero snervanti anche per lui. Con un’altra idea fissa, questa confessata qualche sera fa, durante una cena tra amici: «Io non mollerò, soltanto un voto parlamentare di sfiducia può far cadere il governo. Sia chiaro: io resisterò fino all’ultimo e se proprio dovesse finire male, temo che una fine anticipata sarebbe una catastrofe. Per il Paese, non certo per me o per il governo».

E sebbene il Professore non cambi - o non abbia l’umilità di cambiare - lo stile delle sue quotidiani esternazioni ai Tg con quelle lunghe pause durante le quali si smarrisce il messaggio, in compenso Prodi sa che in giro per l’Italia sta spuntando un fenomeno nuovo. «In periferia - racconta uno dei “vecchi saggi” dell’Ulivo come Pierluigi Castagnetti - nella nostra opinione pubblica sta crescendo una fortissima insofferenza per i mercanteggiamenti e ora, a differenza di qualche settimana fa, il Prodi-Penelope, il Prodi tenace viene visto come il personaggio che resiste non soltanto al ritorno di Berlusconi, ma anche all’immoralità dei “saltafossi”. Un sentimento nuovo, al quale devono stare attenti in tanti». Certo, Prodi resta un personaggio davvero originale e la sua capacità di tenuta si alimenta anche di piccoli aneddoti. L’altra notte, dopo una giornata di colpi di scena, al Senato le votazioni proseguivano incerte ma non appena il premier ha saputo che presumibilmente non ci sarebbero stati più imprevisti, ha preferito andarsi a coricare, anziché lasciarsi prendere dall’ansia e attendere l’approvazione finale del decreto. Con l’ovvio avvertimento di svegliarlo se ci fossero stati «problemi». All’1,15, quando il decreto è stato approvato, il Presidente del Consiglio riposava.

da lastampa.it
 
 
 
 


Titolo: PRODI ... Antonio Padellaro. Profferte
Inserito da: Admin - Ottobre 27, 2007, 11:10:30 pm
Profferte

Antonio Padellaro


Tra le molte cose interessanti della nostra intervista a Romano Prodi ce n’è una che ci aiuta a comprendere meglio qual è la vera, grave debolezza di cui soffre l’attuale governo. Certo, i numeri risicatissimi del Senato. Certo, il dover tenere insieme una coalizione con dentro tutto e il contrario di tutto. Certo, i colpi di testa di alcuni ministri ossessionati dalla visibilità. In fondo però, ci ha confidato il premier, gli stessi, identici problemi esistevano fin dal primo giorno a Palazzo Chigi e non mi hanno mai spaventato. Sostiene insomma Prodi che l’isolamento di cui soffre il presidente del Consiglio non è affatto politico, ma di ben altra natura. Ovvero: «Una certa sordità a rispondere a certi richiami, a certe profferte».

Si parla naturalmente di lobby. Di interessi particolari. Di poteri forti e di grandi giornali che ne sono i portatori. Di quegli stessi grandi giornali che, guarda caso, un giorno sì e l’altro pure chiedono le dimissioni di questo governo e l’avvento di un nuovo governo (o governissimo) dell’armonia e della prosperità. Con legittimo orgoglio il premier afferma che non si è mai sentito nessuno dire che il governo ha favorito questo o quello. Ma questo o quello difficilmente se ne faranno una ragione e prima o poi te la faranno pagare. Sugli autori delle «profferte» Prodi si è naturalmente cucito la bocca anche se noi abbiamo capito che non si tratta né della lobby dei venditori di violette né della multinazionale del castagnaccio. C’è da sorridere pensando all’infinta attenzione che ogni giorno viene dedicata, anche da noi, alle vicende minime della più piccola politica. E come non si riesca a vedere, e a sapere, quasi nulla del potere che davvero pesa, che davvero conta e che davvero pretende. Quel potere capace, come ci spiega Prodi, di troncare a metà la vita di un governo. Facendo stampare la notizia che si è suicidato.

Pubblicato il: 27.10.07
Modificato il: 27.10.07 alle ore 9.46   
© l'Unità.


Titolo: Il Professore tratta con Dini: «Io ho un vaso rotto e devo incollare i cocci»
Inserito da: Admin - Novembre 01, 2007, 11:36:40 am
1/11/2007 (7:12) - IL RETROSCENA - LA STRATEGIA DI PRODI

Anche Romano nel suk del Senato

Il Professore tratta con Dini: «Io ho un vaso rotto e devo incollare i cocci»

AUGUSTO MINZOLINI


ROMA
L’operazione è complessa: riprendere quello che si è perso non è mai semplice.

Ma Romano Prodi è un personaggio ostinato e in trent’anni di frequentazione del Palazzo ha maturato una rara abilità nella gestione del potere. Per cui si è tuffato a capofitto nella grande battaglia al Senato sulla Finanziaria. Quella da cui dipende la sopravvivenza del governo. E per spuntarla è disposto a giocare su tanti tavoli ed a promettere tutto a tutti. «E’ come Berlusconi - racconta Stefano Pedica, capo della segreteria dei dipietristi -. Sta incontrando i più insoddisfatti e gli chiede se hanno da proporre emendamenti, aumenti di spesa, se vogliono un sottosegretario o altro nel futuro rimpasto. Lo incontreremo anche noi e se a noi toccherà un sottosegretario, vado io. All’Interno o alle Comunicazioni».

Il premier tratta con la destra come con la sinistra della sua coalizione. Non rifiuta niente. Sta tentando di riprendersi anche il comunista Fernando Rossi. Ha in testa di tenergli in piedi l’emendamento al decreto fiscale che il dissidente dell’Unione è riuscito a far passare al Senato, quello che ha raddoppiato il bonus per gli incapienti da 150 a 300 euro. «Troveremo il modo - spiega il presidente della commissione Bilancio della Camera del Pd, Lino Duilio - ho un’ideuzza in testa che non farà aumentare la spesa». Un proposito che sta all’aritmetica come la parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Con buona pace degli estimatori del «riformismo impopolare» dell’attuale governo. Ma si sa, il Professore è l’uomo delle missioni impossibili. «Io - ha fatto presente il Professore chiedendo indulgenza ad uno dei tanti “dissidenti” - sono alle prese con un vaso rotto. Sono l’unico che può tenerlo insieme. Se muovo qualcosa si rompe. Per questo debbo essere prudente ma ri-incollare coccio dopo coccio».

Ieri, appunto, è stata la volta del «coccio» più delicato: Prodi ha incontrato Lamberto Dini. Il presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama, dopo il colloquio, è rimasto in bilico: ha detto che voterà contro emendamenti che tendono «ad aumentare la spesa pubblica»; e ha auspicato «un cambiamento, un rimpasto, una cosa nuova per sfoltire la compagine governativa». In sostanza, al di là delle liturgie della politica, Dini ha assicurato al premier che non voterà contro le pregiudiziali di costituzionalità sulla Finanziaria, cioè nelle votazioni del 5-6 novembre. Poi si vedrà. Una notizia che è bastata ad accrescere l’ottimismo del Professore: «In un modo o nell’altro - ha confidato - sto facendo rientrare tutti i capricci. Se ho ben capito, Dini tirerà la corda ma non vuole rompere. Credo che alla fine ce la faremo».

In realtà la partita è ancora da tutta da giocare. Anche perché il comandante dell’esercito nemico, Silvio Berlusconi, non dà segni di scoramento. Anzi. Ieri se ne è stato tutto il giorno a Roma e ha fatto iniezioni di ottimismo a tutte le persone che ha incontrato. «Sono certo - ha assicurato nel ruolo del condottiero - che butteremo giù questo governo. Dobbiamo, però, calibrare bene la strategia. Dobbiamo evitare che i nostri avversari conoscano in anticipo la data del “D-day”. Dobbiamo anche tenere conto che al Senato le astensioni sono considerate voto contrario, per cui abbiamo più probabilità di raggiungere l’obiettivo se votiamo contro su una proposta del centrosinistra anziché a favore di una nostra. Ecco perché il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità non è il terreno più favorevole per portare l’attacco. La Finanziaria è piena di passaggi letali per il governo...».

Insomma, lo scontro è in atto e i due contendenti si sono trasformati in vere e proprie sirene. Prodi promette a Dini una vice-presidenza del Consiglio nel rimpasto (Palazzo Chigi però smentisce). Berlusconi, per rispondere, fa balenare a Lambertow la presidenza del Senato per la prossima legislatura (Palazzo Grazioli fa altrettanto). Non potrebbe essere altrimenti, nelle condizioni date, l’unico tasto su cui può far leva il premier è il potere. L’attuale governo non ha altro appeal. Non ne combina una buona. L’ultima addirittura è surreale: a 24 ore dal Consiglio dei ministri sul pacchetto sicurezza, il premier, su richiesta di Walter Veltroni, ha dovuto convocare una riunione straordinaria sull’onda di un drammatico fatto di cronaca per approvare un decreto d’urgenza.

L’unico motore che muove tutti i protagonisti della coalizione di governo è l’istinto di sopravvivenza. Prodi deve accontentare tutti per durare. Veltroni deve comportarsi come un premier ombra per imporsi, per recuperare consensi, ma i sondaggi, purtroppo per lui, restano quelli che sono (ci sono quelli di Berlusconi che danno il Pd al 27,5% un punto sotto Forza Italia, uno riservato di Swg, che non è certo di destra, al 24,5). Marini, D’Alema, Rutelli stanno ancora peggio: hanno bisogno di una nuova legge elettorale perché il combinato disposto della lista bloccata, prevista da quella in vigore, con un Pd organizzato sul modello del partito senza tessere, li mette alla mercé di Veltroni.

Quindi nell’Unione sono disposti a tutto. Hanno perso i freni inibitori nell’intento di tenere in piedi il governo al Senato. «E’ il metodo “a Fra’, che te serve...” - stigmatizza l’ex-direttore dell’Unità, Giuseppe Caldarola -. Il solito errore». «Io che vengo dal mondo arabo - rimarca il deputato algerino dell’Ulivo, Khaled Fouad Allam - una cosa del genere non l’ho mai vista». Mentre Giulio Tremonti è preoccupato per l’impennata di spesa che un «metodo» del genere può provocare nella Finanziaria: «Alla fine, bocciarla - è la sua previsione - diventerà una priorità per salvaguardare il paese».

Già, a questo punto tutti si sentono autorizzati a chiedere. «Debbo vedere Prodi - spiega il capo dei senatori socialisti, Gavino Angius - ma gli emendamenti che ho presentato non li ritirerò mai. Scherziamo. Il problema di Prodi non è la “cucina” di Palazzo Madama, la corsa al senatore in più, ma è squisitamente politico: è incompatibile con ogni logica politica l’immagine di un premier, Prodi, che spala merda e di un premier ombra, Veltroni, che gira l’Italia per dire l’esatto contrario».

 da lastampa.it
 


Titolo: Prodi: «La Cdl è implosa».
Inserito da: Admin - Novembre 22, 2007, 03:26:30 pm
21/11/2007 (11:14) - L'ANNUNCIO DI PRODI

"Sì a riforme, no a grande coalizione"

Prodi: «La Cdl è implosa».

Lunedì incontro Veltroni-Fini


ROMA
È durato quasi un’ora il colloquio tra il presidente del Consiglio, Romano Prodi e il segretario del Pd, Walter Veltroni a palazzo Chigi, presente anche il vice Dario Franceschini.In mattinata Prodi aveva dichiarato che «il Paese ha bisogno di riforme e non di un voto anticipato o una grande coalizione».

Il vertice con Veltroni
Veltroni è arrivato intorno alle 8 e ha lasciato la sede del governo prima delle 9. Al centro dell’incontro le riforme, la legge elettorale e i contatti con l’opposizione che il leader del Pd sta tenendo. Una riunione «rapida» nella quale il segretario del Pd ha presentato il nuovo simbolo del partito. Prodi racconta così l’incontro di stamani con Walter Veltroni. «È venuto a presentarmi il simbolo del partito, è stata una riunione rapida. Un simbolo molto bello, dove c’è la scritta Pd sotto quella dell’Ulivo. Oggi lo presenterà in pubblico».

Lunedì prossimo incontro tra Fini e Veltroni
Intanto Gianfranco Fini tenta di bruciare sui tempi Silvio Berlusconi, e lunedì incontra Walter Veltroni per discutere di riforme e legge elettorale. Nel frattempo lo scontro nel centrodestra non si placa, e il duello tra Fini e Berlusconi si fa sempre più aspro. La frattura tra i due sembra ormai insanabile. Fini non arretra di un millimetro, e ieri ha attaccato l’ex premier definendo le sue idee «campate in aria». Sulle riforme e sulla legge elettorale «siamo pronti a dialogare con il nuovo partito di Berlusconi - dice Ignazio La Russa - così come abbiamo dialogato con Forza Italia», ma «sia chiaro: An non è disponibile a fare inciuci con Veltroni e con Prodi».

Lo stop di Bonaiuti: «Dialogo sulla legge elettorale, ma non sulle riforme»
E intanto Paolo Bonaiuti, portavoce di Berlusconi, ribadisce che «il Partito del Popolo della Libertà accetta il dialogo sulla legge elettorale, ma non sulle riforme». Bonaiuti riconosce a Veltroni l’idea di discuterne, perchè, «il Pdl ritiene giusto partecipare al dibattito sulla riforma elettorale». Però,dice, al di là della riforma della legge elettorale, «ogni dialogo su riforme non è possibile, perchè non è pensabile che governo che ha fallito tutto dica: discutiamo di riforme e portiamo avanti la legislatura».

La frecciata di Cesa (Udc): «Un partito non si fa in una notte»
Casini, che parla della mossa di Berlusconi come «un colpo di teatro a una strategia da sconfitta annunciata», ritiene che i margini per un accordo tra i due schieramenti sulla legge elettorale «ci sono», e il segretario Lorenzo Cesa osserva: «Un partito non si fa in una notte, ma sulla base della condivisione di progetti, di programmi e di valori», per questo «partiti come Udc, An, o come il Partito democratico non avrebbero mai potuto fare una cosa del genere, non avrebbero mai potuto fare un partito nuovo in 24 ore perchè hanno gli organi democratici che decidono».

I piccoli dell’Unione temono asse Pd-Ppl
L’apertura di Silvio Berlusconi al dialogo sulle riforme mette però in fibrillazione i piccoli dell’Unione, che temono un asse privilegiato Pd-Ppl: «Insistere sul sistema tedesco è una pazzia, come dimostrano le ultime svolte di Berlusconi, serve solo a favorire un inguardabile inciucio tra il Pd e la destra. È vero che alla sinistra piace farsi del male ma smettiamola con il tafazzismo», afferma Pecoraro Scanio. Per il ministro del Prc, Paolo Ferrero, «sul sistema elettorale bisogna cercare l’accordo dentro la coalizione e sulla base di questo allargare» il confronto. Tranquillizza il presidente della commissione Affari costituzionali dlela Camera, Luciano Violante: «Il Partito democratico non ha un interlocutore privilegiato a cui si riferisce. La legge elettorale e le riforme costituzionali vanno discusse tutti insieme». Il Pdci, Con Pino Sgobio, arrivare a parlare di «operazioni che hanno l’antipatico odore di inciucio». Ma i timori di "inciuci" non riguardano solo il centrosinistra. Anche An mette le mani avanti: «Noi non siamo disposti a fare una sola cosa: a fare inciuci con Veltroni e con Prodi», dice Ignazio La Russa. Infine, l’ex premier Lamberto Dini chiosa: «I due più grandi partiti devono dare la linea, e questo sta avvenendo».


Titolo: Il sostegno di Veltroni: il premier fa miracoli, il Paese deve ringraziarlo
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2007, 03:30:37 pm
Gli scenari

Il sostegno di Veltroni: il premier fa miracoli, il Paese deve ringraziarlo

Prodi: basta con gli ultimatum

Il Professore ai suoi: o si trova un'intesa oppure tutti a casa

La «diplomazia» di Palazzo Chigi cerca di ricucire con il Prc

DAL NOSTRO INVIATO


LISBONA — «Che succede in Italia?». Romano Prodi sbarca in serata a Lisbona, dopo aver fatto tappa a Londra per incontrare il primo ministro britannico Gordon Brown, e si esibisce in una delle sue migliori interpretazioni da sfinge. «Non so nulla...» sibila all'indirizzo di telecamere e taccuini. Naturalmente non è vero. Naturalmente sono arrivate anche sull'Airbus presidenziale, diretto al vertice Ue-Africa, le grida di Mastella contro il Prc sull'emendamento omofobia e il rinnovato pressing dei quattro ministri della sinistra radicale sulla base americana di Vicenza. In realtà, il Professore sta preparando da alcuni giorni la verifica di gennaio, dalla quale dipende il destino del governo. E il suo sarà un approccio tutt'altro che morbido: «Non si può andare avanti a colpi di ultimatum — ha spiegato ai suoi, anticipando quelle che saranno le linee portanti della sua strategia —. La coalizione non è una fune che possa essere tirata in continuazione...».

È un Prodi preoccupato, ma per nulla disposto a gettare la spugna, rincuorato dalle parole di Walter Veltroni. Per il leader del Pd «il governo ha fatto miracoli e il Paese deve essere grato a chi, come Prodi, sta governando il Paese con la fragilità data da una legge elettorale voluta dalla precedente coalizione che ha avvelenato i pozzi». Il premier spiega: «Sono un lottatore, ho grande resistenza e credo di averlo dimostrato in tutti questi mesi». A tutto però c'è un limite. O, come dicono i suoi, «non è che siamo disposti ad accettare ogni cosa». Ecco allora che la frontiera sulla quale il premier si attesterà di fronte agli alleati diventa una sorta di linea di fuoco: «O si trova un'intesa o è meglio andare tutti a casa ». A quel punto, la palla passerà a Rifondazione e a quegli spezzoni di centristi e cattolici in fibrillazione. «Le possibilità sono due — spiegano gli uomini del Professore —: o accettano di rilanciare l'azione del governo, trovando una sintesi tra le varie posizioni, oppure ognuno si assumerà di fronte ai cittadini la responsabilità delle proprie scelte».

La speranza di Prodi, il cui obiettivo resta quello di «terminare la legislatura, o comunque andarci molto vicino», è che l'ennesimo salto mortale di due giorni fa in Senato, con la maggioranza salvata da Cossiga, abbia fatto capire a tutti che c'è il forte rischio di fare «un regalo al centrodestra». L'obiettivo primario del Professore è ora quello di portare a casa la Finanziaria e il ddl sul welfare: «È un dovere verso il Paese». Nel frattempo la diplomazia prodiana cercherà di smussare gli angoli con Rifondazione, mettendo sul tavolo un'agenda di cose sul sociale, a partire da contratti e salari. Infine, le riforme. Secondo il resoconto dell'inviato del «New York Times», Ian Fisher, che ha intervistato il premier mentre faceva jogging a villa Borghese, Prodi avrebbe detto che «le modifiche alla legge elettorale e la successiva entrata in vigore richiederanno molto tempo, lasciandogli la possibilità di completare i 5 anni di mandato». Una versione rettificata da Palazzo Chigi: «È frutto di un equivoco». Francesco Alberti Londra, l'ora del tè con Brown Il premier Romano Prodi prende il tè con il primo ministro inglese, Gordon Brown, ospite nella residenza di campagna a Chequers. In serata Prodi è arrivato a Lisbona per il vertice Ue-Africa

Francesco Alberti
08 dicembre 2007

da corriere.it


Titolo: Lettera aperta al Presidente del Consiglio Romano Prodi
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2007, 07:06:09 pm
09 Dicembre, 2007

Lettera aperta al Presidente del Consiglio Romano Prodi

In un momento così difficile, i Cittadini per l'Ulivo manifestano la loro sincera solidarietà.




Al Presidente del Consiglio Romano Prodi

Caro Presidente,

in un momento così difficile per Lei e per il suo governo, noi "Cittadini per l'Ulivo" desideriamo manifestarLe  la nostra sincera solidarietà.
 
Non abbiamo dimenticato la straordinaria giornata delle primarie dell'Unione, da Lei volute,  in cui oltre  tre milioni di cittadini con il loro voto Le affidarono la speranza di un futuro migliore  e siamo consapevoli che è per non deludere queste attese e per realizzare responsabilmente  il mandato popolare e parlamentare ricevuto, che Lei non ha ancora abbandonato la battaglia.
 
La Sua fermezza nell'azione di governo, la Sua concezione di una politica alta, la sobrietà nella comunicazione ed infine il perseguimento continuo ed indefesso del bene del Paese, ci infondono coraggio ogni giorno.

Ma gli attacchi continui che Le arrivano da un'opposizione incapace di assumersi le necessarie responsabilità di fronte ai problemi dell'Italia, e ancor più quelli provenienti dalla Sua stessa maggioranza, ci indignano perchè denotano, nel migliore dei casi, una visione politica di cortissimo respiro,  nel peggiore, piccoli calcoli che non hanno certo come fine quello di restituire speranza e futuro agli Italiani.

Non era certo questo che ci aspettavamo dalla coalizione di governo per la cui vittoria ci siamo tanto prodigati.
 
In questa fase stiamo lavorando per il Partito Democratico, perchè nasca sano e forte, scevro dai vizi antichi della politica italiana, ma siamo consapevoli che Sua è l'idea di dar vita ad un  partito  in cui si fondono le grandi culture democratiche del secolo scorso e le nuove sensibilità di questo tempo  e che Suo è stato l'impulso affinché questo partito nuovo vedesse presto la luce, nonostante i rischi prevedibili per il Governo.

Noi non dimentichiamo quanto grande sia il debito dei Democratici e dell'intero Paese nei Suoi confronti.
 
Per questo invitiamo tutti i cittadini cui stanno a cuore le Istituzioni della Repubblica e l'opera faticosa di risanamento e sviluppo da Lei intrapresa, a sostenerLa oggi e in ogni momento della Sua azione per il bene dell'Italia.
 
La Rete Nazionale dei Cittadini per l'Ulivo

9 dicembre 2007

da cittadiniperlulivo.com


Titolo: Luigi Bonanate - La ragion distante
Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2007, 06:26:58 pm
La ragion distante

Luigi Bonanate


Quando uno statista fa una cosa diversa da quella che ritiene buona e giusta, si appella alla «ragion di Stato», cioè alla regola secondo cui la sicurezza dello Stato, la sua immagine, e la tenuta stessa delle istituzioni valgono più di ogni verità: per salvaguardare tutto ciò conviene mentire piuttosto che rischiare di indebolire il proprio Paese. Si tratta di un precetto che non soltanto ha dominato la storia del pensiero politico e della prassi politica universale, ma che è ancora ogni giorno applicato con la massima noncuranza.

È ben vero che è esattamente la linea che ha scelto il governo Prodi nei confronti del Dalai Lama, massima autorità spirituale e politica del Tibet, premio Nobel per la pace nel 1989, in visita in Italia. Ma — prima di approfondire la circostanza — lasciatemi ricordare che la settimana scorsa il Presidente della repubblica francese Sarkozy ha coccolato per 5 giorni consecutivi il leader libico Gheddafi che non è notoriamente il tipo di persona che più Sarkozy ama (e tutto sommato, neppure la maggior parte di noi), ma con il quale è riuscito a firmar contratti e combinare affari da capogiro. Per diversi giorni il governo francese ha concesso a Gheddafi di presenziare a riunioni, partecipare a banchetti, pronunciare discorsi che di tutto parlavano fuor che di democrazia, di beni pubblici, di giustizia sociale e di pace tra i popoli, e via dicendo, costringendo i suoi imbarazzati ospiti a far finta di non aver capito o non aver sentito... Se la giustificazione di Sarkozy era l’opportunità, il desiderio di fare ben figurare l’industria e la tecnologia francesi per accattivarsi la simpatia e il ben volere (finanziario) di Gheddafi, ebbene questa avrebbe dovuto chiamarsi e in effetti è stata una colossale (e deteriore) manifestazione di «ragion di Stato», che si trasforma nella fattispecie in vero e proprio opportunismo e indifferentismo ideologico e morale.

Diversamente da Sarkozy che ha preferito accogliere un ospite scomodo pur di fare dei buoni affari, il nostro premier Romano Prodi ha evitato di ricevere il Dalai Lama per l’inopportunità diplomatica che ciò nascondeva. Il nostro governo non se l’è sentita di dispiacere a quello cinese, al soglio del quale anche l’Italia (come del resto tutto il mondo) si prosterna nella speranza di essere meglio accolto dell’agguerrita concorrenza. Ma nello stesso tempo Prodi ha calpestato proprio la regola fondamentale del gioco della «ragion di Stato», che dice: anche se stai mentendo non lo ammettere. Prodi ha invece confessato chiaro e tondo, chiacchierando con Fazio in televisione, che la decisione presa non lo confortava ma che ogni tanto «si possono fare delle eccezioni». Come dire: avevo a cuore l’interesse di tutti noi e ho ritenuto che l’un danno (una scortesia diplomatica) fosse più facilmente sanabile che non l’altro (il dispetto alla Cina).

Se noi ora cerchiamo di restar fuori del «teatrino della politica» (come dice uno che ormai sta per cascar dal palcoscenico), possiamo osservare con il dovuto distacco che la figura del Dalai Lama è comunque quella di un personaggio che non viene intaccato dal mancato invito, e che incarna una dignità politico-morale di altissimo valore, dotato di un carisma che lo rende ben visibile a tutto il mondo e di fronte al quale tutti, Prodi compreso, si trovano in imbarazzo e un po’ intimiditi perché in fondo nessun paese si è finora impegnato nella sua difesa. Non c’è neppur bisogno di dire che questa sensazione è giusta proprio perché ci può aiutare a smascherare il presupposto della «ragion di Stato». Prodi ha infatti anche avuto l’onestà intellettuale di auto-denunciarsi, per così dire, perché alla domanda che forse altri anchorman (un nome a caso? Bruno Vespa) non gli avrebbero fatto (autocensurandosi: che brutta cosa) ha semplicemente risposto che sì, non aveva fatto la cosa teoricamente più corretta ma che insomma ogni tanto ci si deve rassegnare in vista di altri superiori interessi, veri e propri o quanto meno ritenuti tali nello specifico momento.

Dovrebbe essere discusso a questo punto quanti e quanto sovente altri statisti, italiani e non, se la sentano di confessarsi così bonariamente di fronte a qualche milione di elettori, ma finiremmo per cadere negli stereotipi più banali della personalizzazione della politica. Lo stesso Prodi del resto non si è accontentato di un sorriso e di uno stropicciamento di mani, come ha altre volte fatto, ma ha incassato il colpo, risposto dicendo la verità, confessando che dir bugie, cioé obbedire alla «ragion di Stato», non dà la felicità e non riempie di gioia, ma talvolta ci aiuta a sopravvivere e a superare ostacoli che in un primo momento appaiono insuperabili o comunque pericolosissimi e poi (e questo è un pizzico di saggezza che tutti possiamo ben accettare), a cose fatte, a oneste risoluzioni prese seppur insoddisfacenti, ebbene ci accorgiamo che esse ci hanno consentito di procedere lungo il nostro cammino e forse anche di migliorare il nostro standard politico. Prodi è stato troppo opportunista e il Dalai Lama si è offeso? L’accoglienza torinese lo avrà ben consolato e in ogni caso neppure lui si è lasciato andare a dichiarazioni risentite o aggressive. Diciamolo alla buona: non se la sono cavata male, né il primo né il secondo, al quale sapremo pure rendere i meriti della sua dignità e della purezza della sua scelta politica; non sarebbe stato egli stesso per primo a consigliarci di tener a bada la Cina? Dal canto suo, Prodi ha anche saputo ammettere che non c’è «ragion di Stato» che possa giustificare le scorrettezze o gli errori. E per uno statista questa è davvero una novità, neppure brutta!

Pubblicato il: 18.12.07
Modificato il: 18.12.07 alle ore 8.59   
© l'Unità.


Titolo: Prodi attacca Berlusconi "Fa molto male agli italiani"
Inserito da: Admin - Dicembre 25, 2007, 06:56:20 pm
POLITICA

Da Reggio Emilia il premier rassicura il Paese, stiamo andando in direzione di una crescita "che ha obiettivi buoni"

Prodi attacca Berlusconi "Fa molto male agli italiani"

I continui "al lupo al lupo" del centrodestra, ha detto il presidente del Consiglio

si sono rivelati infondati e seminano inquietudine e stanchezza

 
REGGIO EMILIA - Il presidente del Consiglio Prodi ha colto l'occasione degli auguri di Natale per lanciare un altro messaggio di fiducia nelle potenzialità del Paese, ma anche un monito all'opposizione e in particolare al suo leader Silvio Berlusconi. "Non hanno fatto altro che dire 'al lupo al lupo al lupo': basta, siamo stanchi di queste continue grida, che fanno molto agli italiani. Io ho il diritto di poter andare all'estero come lo ha avuto Berlusconi, tranquillo che non ci sia una continua insidia, questa continua gioia della spallata. E' il desiderio di mettere il Paese nell'inquietudine, secondo me è sbagliato", accusa Prodi.

E invece il Paese va nella direzione giusta, sostiene il premier: "Sarà un Natale buono, un Natale sereno nel paese, molto sereno, anche se è chiaro che c'è tutto il mondo in sconvolgimento, sia economico che politico: è chiaro che queste inquietudini si sentono, ma è un'inquietudine che ha come obiettivo la crescita, verso obiettivi buoni, non verso obiettivi cattivi".

"Certamente - ha aggiunto Prodi, che si trova a Reggio Emilia, dove parteciperà al pranzo di Natale con la famiglia - la gente che pensa che si possa vivere sempre tranquilli e andare avanti senza problemi rimane inquieta, molto inquieta nel momento in cui tutto cambia: ma il cambiamento ormai ce lo dobbiamo avere dentro di noi".

Le accuse di Prodi a Berlusconi sono ingiuste, replica il vicecoordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto, che accusa il premier di "mescolare le carte": "Prodi poteva risparmiarci almeno a Natale la sua predica che è funzionale ad un ostinato attaccamento al potere, mentre, invece, il governo fa acqua da tutti i punti di vista".

Rispondendo a una domanda di un giornalista di Sky Tv sulle sorti di Alitalia, Prodi ha detto: "Abbiamo un'analisi della compagnia, decideremo tenendo conto degli interessi della compagnia e dell'Italia".

E sulla vicenda Saccà-Berlusconi, ha replicato: "Lasciamo fare alla magistratura. Ricordatevi che prima delle elezioni mi hanno fatto uno spionaggio sistematico, durissimo, illegale, come ho sempre detto, lasciamo fare alla magistratura, credo che un uomo politico debba fare queste cose".

Ieri Prodi aveva lanciato invece un messaggio di fiducia sulle possibilità d'integrazione degli immigrati, andando a trovare la famiglia rom Draghici, che ha perso un figlio un mese fa in un incendio.

(25 dicembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Bruno Miserendino - Tutte le sfide del Professore
Inserito da: Admin - Dicembre 29, 2007, 12:35:50 am
Tutte le sfide del Professore

Bruno Miserendino


Veltroni lo incoraggia: «Ha fatto moltissimo per il risanamento e i suoi obiettivi per il 2008 sono i nostri». Anche il resto della maggioranza lo sostiene.

Insomma, se l’obiettivo era scacciare il fantasma del governo istituzionale, e isolare Dini, che continua a minacciare defezioni, Prodi sembra aver segnato un punto a favore. Almeno per ora. Alla fin fine quell’accenno un po’ misterioso del premier alla «maggioranza cospicua della Camera», che ieri ha scatenato i cultori del retroscena, vorrebbe solo significare che Prodi continua a considerarsi senza alternative. Una maggioranza c’è, afferma, è quella voluta dagli elettori, e alla Camera è chiarissima, perché occuparsi solo del Senato, dove i numeri permettono il gioco dei ricatti individuali? È una sfida chiara a Dini: sfiduciami, ma non solo al Senato, e sarà chiaro che nessuno nella mia maggioranza vuole la crisi e il governo istituzionale.

È la realtà, probabilmente. Eppure ieri, alla fine della conferenza stampa, è aleggiata anche tra gli alleati un’impressione di debolezza. Come se quel puntello che ha sostenuto Prodi negli ultimi mesi, ossia la mancanza di alternative credibili, da solo non fosse più sufficiente a descrivere un futuro accettabile al governo e alla maggioranza. Indicativa la reazione di Veltroni alle parole di Prodi: pieno sostegno per i progetti economici di rilancio, silenzio sulla parte riguardante le riforme. È ovvio che quella parte del discorso del premier non può aver entusiasmato Veltroni ed è chiaro che qui si nasconde il punto debole. Prodi ha tranquillizzato i «piccoli» partiti, sostenendo che non può essere fatta una legge «che li penalizzi». Ha ricordato nuovamente il «Mattarellum», «legge che funzionava bene e che il centrodestra ha cancellato» per mettere i bastoni tra le ruote a chi governa. Ma poi quando ha risposto sull’eccessivo numero dei ministri e sulle fibrillazioni della maggioranza, il premier ha spiegato che molto dipende proprio dalla legge elettorale e dall’eccessivo numero dei partiti. Insomma, Prodi è il primo a sapere che una riforma elettorale ha senso solo se riduce la frammentazione, costringendo i piccoli ad aggregarsi e impedendo che si ridividano in frammenti dopo le elezioni. Solo che al momento vuole o deve per forza di cose interpretare il ruolo di paladino dei «piccoli» partiti. È questo che gli garantisce una verifica meno burrascosa, è questa la sua polizza per l’immediato futuro. Qualcuno al loft la mette così: «Al momento, se si stesse alle parole di Prodi, non si farebbe nessuna legge elettorale, oppure si tornerebbe al Mattarellum, che però costringe in ogni caso all’ammucchiata, perché solo così si vince...» Il problema è che c’è il referendum e quindi il nodo andrà sciolto. «Ma se l’intenzione è garantire con una riforma elettorale la presenza anche dei piccoli partiti è chiaro che non si fa nemmeno il sistema tedesco annacquato». Al Pd, o almeno a Veltroni, questa prospettiva continua a non piacere.

Naturalmente bisogna aspettare la verifica di gennaio, anche se la parola non piace a Prodi. La scontata riluttanza a parlare di riforme non potrà durare a lungo. E probabilmente non basterà che Prodi dica agli alleati “io mi occupo del rilancio del governo, le riforme le fa il parlamento”. Si sa cosa pensa Veltroni: una prospettiva di riforme nel 2008 aiuta il paese e il governo Prodi, non lo indebolisce. Quanto all’ipotesi di un esecutivo istituzionale per fare la riforma elettorale, il leader del Pd la considera al momento inesistente. Si prenderà in esame se la caduta di Prodi lo imporrà, ma sapendo che a quel punto il voto resta l’ipotesi più probabile. Del resto, osservano nel Pd, questa è materia del capo dello stato. Ma non si può ipotizzare un governo, tecnico-istituzionale per le riforme sostenuto da una maggioranza sbilanciata verso il centrodestra. Si ricorda il precedente proprio del governo Dini, ex ministro del governo Berlusconi e scelto dal presidente Scalfaro dopo la caduta del Cavaliere per mano di Bossi.

Del resto politicamente è stato questo il leit-motiv del discorso di Prodi. Il mandato popolare, dice il premier, è stato dato a me e a questa maggioranza e non si potrà non tenerne conto. Ieri a Palazzo Chigi hanno passato il pomeriggio a smentire le ipotesi più fantasiose sorte intorno all’accenno di Prodi al tema dei governi alternativi che devono avere una larga maggioranza alla Camera. Persino la vecchia e molto teorica ipotesi di scioglimento del Senato è stata rievocata per spiegare quell’accenno, ma a Palazzo Chigi hanno smontato tutto.

Quanto a Dini «uomo che parla e non chiede», Palazzo Chigi continua a non capire «cosa vuole davvero». Ma tanti brutti sospetti albergano. Infatti facevano notare la dichiarazione di Berlusconi: «Non sembra sua, ha qualcosa di diniano...». Prodi di certo non molla e avverte che non sarà certo Dini a ribaltare un mandato popolare: «Dobbiamo prendere sul serio l’impegno preso con l’elettorato. Non lo possiamo cambiare sulla base di sensazioni».

Pubblicato il: 28.12.07
Modificato il: 28.12.07 alle ore 12.21   
© l'Unità.


Titolo: D'Amico: "Discutiamo sul da farsi"
Inserito da: Admin - Dicembre 29, 2007, 09:48:54 pm
POLITICA

Il premier parte per qualche giorno di vacanza sulle Alpi.

E spiega che resiste perchè il suo esecutivo fa e realizza programmi

Prodi: "Io duro perché faccio"

D'Amico: "Discutiamo sul da farsi"

Spiragli dal senatore lib-dem: "Il nostro programma non è fatto per essere bocciato"

Proposta di spostare la data della verifica a dopo il verdetto della Consulta sui referendum

di CLAUDIA FUSANI

 
BOLOGNA - La spiegazione sta in una specie di scioglilingua. "Io faccio. Io duro perché faccio. Non è che faccio perché duro. Se no sarei già caduto mille volte". Il premier in partenza per qualche giorno di vacanza a Pontelongo sulle Alpi affida a questo sillogismo le ragioni del suo governo. Un esecutivo che fa, lavora e quindi va avanti, nonostante tutto.

Il "gioco dell'anno" - come lo ha ribattezzato Fabio Fazio, cioè: "quando cade il governo Prodi?" - non va in vacanza neppure in questi giorni. Il Professore non se ne cura e, con la tattica del muro di gomma, rilancia. Non è vero, tanto per cominciare, che il suo personale augurio per il 2008 è quello di "durare": "Nessun governo che vuole durare dura. Un governo dura solo se fa".

Fare, agire, decidere. Il mandato per il 2008 del governo Prodi sembra questo. Alla faccia di chi prevede crisi, nuove elezioni e governi istituzionali. O meglio, ha ribadito il premier nella conferenza stampa di fine anno, "questo è il mio mandato. Altrimenti le regole in democrazia sono chiare: esiste il voto di sfiducia. Nel momento in cui sono sfiduciato mi faccio da parte". Un messaggio chiaro a tutti, maggioranza ed opposizione: se cado, si va al voto, nessuno parli di governi tecnici.

Lo schema è quello di sempre. L'opposizione - Forza Italia, Lega e An - chiede di tornare al voto il prima possibile perchè il Professore non ha più la maggioranza politica. L'Udc chiede un governo istituzionale per fare le riforme, quella del voto e quelle istituzionali.

Il rumore delle lame si sente soprattutto dalle parti dell'Unione, sia sul lato dei cosiddetti centristi capitanati dal senatore lib-dem Lamberto Dini che su quello dei più radicali, Cosa Rossa eccetera. Il governo tecnico viene bocciato sia dal ministro Amato che da Fassino. Il ministro Giuliano Amato in un'intervista al Corriere della Sera dice chiaramente che "in Italia non c'è il clima per esecutivi istituzionali" mentre è necessario riformare portandola verso la nascita di "due grandi forze politiche intorno al 40%". Più che esplicito Piero Fassino che in un'intervista a Repubblica dice che "le ampie intese sono irreali" e "un'altra maggioranza semplicemente non c'è".

Prodi passerà i sei giorni di festa sulle Alpi a cercare la quadra tra centristi e sinistra radicale. Entrambi chiedono di "cambiare qualcosa nell'azione del governo". Solo che i primi vanno nella direzione della crescita, dello sviluppo e della competitività. Gli altri verso il "risarcimento sociale" e la "reditribuzione delle risorse". Un fiorentino come Dini direbbe che è un po' come "mettere d'accordo il diavolo e l'acqua santa". Alla fine sembra proprio lui il problema: "Accetto la sfida di Prodi, noi porteremo il nostro programma, se lo boccia voteremo contro" ha detto Dini.

Ma qual è il programma dei diniani? Il leader lib-dem è in vacanza alle prese con il testo. Il senatore Natale D'Amico, anche lui sulla via delle vacanze, è un po' meno tranchant del suo "capogruppo". "E' chiaro che il nostro programma non è fatto per essere bocciato ma per poter essere discusso e condiviso" spiega D'Amico. "Il punto fondamentale è che Prodi riconosca che qualcosa nell'azione del governo va cambiata".

D'Amico accenna a un programma in "5-6 punti" in cui "centrale sarà la questione fiscale". "Siamo anche noi d'accordo che in Italia è primario in questo momento ridare potere d'acquisto agli stipendi - spiega il senatore lib-dem - il fatto è che noi non crediamo che la strada giusta per risolvere il problema sia quello di affrontarlo per via fiscale. Il punto vero è la contrattazione tra imprese e sindacati". Quello della pressione fiscale, poi, "è un problema che riguarda tutti in questo paese", non solo i lavoratori. Certo, precisa il senatore, se la proposta di partenza sarà quella di un ritorno a una specie di scala mobile (stipendi che aumentano di pari passo al costo della vita così come va dicendo la sinistra radicale), "non si va da nessuna parte".

Possibilista sulla disponibilità a discutere, D'Amico è invece critico "sull'eccesso di ottimismo" mostrato dal premier nella conferenza stampa di fine anno. "L'ottimismo non giova a nessuno" dice il senatore "soprattutto quando i nostri indicatori di crescita per il 2008 sono i peggiori di tutto il mondo sviluppato". Piuttosto, suggerisce D'Amico, "rinviamo la verifica a dopo il 16 gennaio. Poichè buona parte della discussione sarà dedicata alla riforma della legge elettorale, tanto vale aspettare il verdetto di ammissibilità della Consulta e andare al 18 o al 21 gennaio".

Eh già, gennaio: dal 10 in poi sarà un susseguirsi di date cruciali. Il 22 il Senato dovrebbe votare la mazione si sfiducia a Padoa Schioppa sul caso Speciale. D'Amico tranquillizza: "Dini ha già assicurato che in quell'occasione non voterà contro il governo". Per altri voti di fiducia, uno di quelli su cui Prodi sfida la maggioranza dicendo "votatemi contro, se volete", non se ne vedono per ora all'orizzonte. Almeno fino al rinnovo delle missioni militari. Anche Fassino crede che Dini "nonostante tutto non passerà mai al centrodestra".

Prima di partire il premier ha fatto gli auguri agli italiani: "Auguro a tutti molta serenità, ne abbiamo bisogno, e anche un minimo di capacità di stare insieme, di lavorare insieme e di sperare insieme". La speranza è in un 2008 "migliore perché è sempre bene puntare in alto". Ottimismo, sempre e prima di tutto.

(29 dicembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: EDMONDO BERSELLI - Prodi: ci riusciremo perché abbiamo risanato i conti
Inserito da: Admin - Dicembre 31, 2007, 05:06:09 pm
ECONOMIA

Il premier in vacanza sulla neve: possiamo dare una svolta alla dinamica sociale del paese

"Nuova concertazione nel 2008 e faremo correre l'economia"

Prodi: ci riusciremo perché abbiamo risanato i conti

di EDMONDO BERSELLI
 

DA gennaio la parola chiave per spingere lo sviluppo è "nuova concertazione". Nel frattempo le piste di Passo Campolungo sono perfette, anche se il nevischio della mattinata rende difficile sciare bene. Qualche turista passa davanti a Romano Prodi nella sua tuta fiammante e scatta una foto col telefonino, per poi arrischiare la domanda: "Ma lei è un bravo sciatore, presidente?" Risposta allegra, che evoca discese ardite da cartoni animati. "Non sono bravo, ma sono veloce!". Risate. Anche nella mimica Prodi non nasconde la convinzione che dopo la conferenza stampa di fine anno, con l'elencazione puntigliosa dei dati e delle tendenze, qualcosa stia cambiando nell'opinione pubblica.

Qual è il suo atteggiamento, presidente, di fronte alla verifica, ai numeri del Senato, ai sette punti programmatici di Lamberto Dini? Risposta alla Prodi: "Fiducia, fiducia".

Ci vuole l'ostinazione quadrata di "Romano" per ricorrere alla parola "fiducia" per un governo sempre a rischio di essere sfiduciato; e anche di fronte alle cifre di quelli che lui chiama con nonchalance accademica "opinion polls", i sondaggi che lo danno alla miserabile soglia del 25 per cento. "Ma il fatto è che tutti sottovalutano un aspetto fondamentale, e cioè la possibilità di recupero del governo e del centrosinistra". Sulla fiducia di Prodi non esistono dubbi: il premier è davvero convinto, anzi di più, intellettualmente sicuro che lavorando con coerenza il governo non si limiterà a galleggiare, ma risalirà la china.

Ottimismo gratuito? No, dice lui: realismo pragmatico. Eppure in estrema sintesi il quadro è il seguente: una serie discretamente coerente di dati positivi, sui conti pubblici come sui dati dell'economia reale, si è tradotta fra l'opinione pubblica nella percezione di una catastrofe, tanto da avere indotto a una delusione grave anche ampie fasce del voto di centrosinistra.

Com'è stato possibile? Per Prodi il disagio nelle famiglie è reale. Ma è sulle ragioni del disagio che si deve ragionare senza pregiudizi: "Parlare di un effetto dell'inflazione rispetto a salari rimasti bloccati conduce a una diagnosi generica. La realtà appare molto più sfaccettata: oggi le famiglie hanno una struttura dei consumi in cui le componenti nuove rispetto ai consumi tradizionali sono diventate incomprimibili".
Già, ma non ci sono solo i cellulari, la televisione satellitare, la connessione adsl, le rateazioni, i mutui. In realtà si assiste anche a una lievitazione incontrollata delle tariffe (nonché a misure di contenimento dell'aumento del carburante che sono rimaste lettera morta: molti discorsi sulle accise e pochi effetti sui distributori). Ma si ha la sensazione che il premier voglia guardare più in là della contingenza: "Tutto vero, ma noi oggi ci troviamo davanti a una possibilità importante, cioè alla chance di cambiare di segno alla dinamica socio-economica del nostro paese. E questo è praticabile oggi non per un miracolo inopinato, ma perché abbiamo posto le premesse giuste nei diciannove mesi di governo. Abbiamo fatto il risanamento, adesso proviamo a fare il miglioramento".

Nella sua concezione d'ora in avanti c'è l'opportunità di un "irripetibile" salto di qualità. Bisognerebbe spiegarlo bene anche a tutto il centrosinistra: stabilizzato il bilancio pubblico, si può puntare tutto sulla crescita, chiamando a confronto con l'esecutivo le parti sociali, sindacato e organizzazioni imprenditoriali, per impostare un progetto complessivo di ulteriore rilancio, fondato su due capitoli centrali: aumento della produttività e recupero del potere d'acquisto, grazie alla riduzione della pressione fiscale sulle retribuzioni fino alla soglia dei quarantamila euro. Si tratterebbe soltanto di capire come si combina, il "realismo pragmatico" di Prodi, con il realismo esplicito e "impolitico" di Tommaso Padoa-Schioppa, il quale ieri ha fatto sapere che i chiari di luna delle tasse dureranno fin verso il termine della legislatura.

Ma anche su questo punto il premier non si scuote. Esclude di risolvere la questione con una mediazione al ribasso, tipo un bonus fiscale una tantum. "Non se ne parla, non faccio una tantum. Dobbiamo procedere a un mutamento strutturale, niente palliativi". E allora? E allora si segue il metodo Prodi. Una riedizione aggiornata del vecchio "metodo Ciampi". Si fa una ricognizione precisa delle risorse disponibili, si osservano le opportunità di crescita, si chiede il coinvolgimento dei soggetti interessati impostando e decidendo obiettivi reali da conseguire. Un metodo alla giapponese, il noto schema neocorporativo. Eccola, la concertazione. "Sì, non ho esitazioni a definirla "nuova concertazione". Nuova perché non è più difensiva, è tutta orientata alla crescita. Perché sono convinto che un impulso alla ripresa lo dà il sostegno ai lavoratori con stipendi da mille euro, e qui è anche questione di equità, ma ci vuole anche il contributo effettivo e psicologico del lavoro qualificato, quello che fa da traino alla dinamica economica".

Naturalmente ad ascoltare Prodi sembra di vivere su un altro pianeta rispetto alla turbolenza politica quotidiana, ai ricatti parlamentari, agli sbandamenti in Senato, alle manovre trasformistiche in corso, alle proposte più o meno provocatorie di Dini. Già, Dini. Con un piede nella maggioranza e uno all'opposizione. Proiettato verso le larghe intese e la presidenza del Senato, come minimo. Che fare con Dini? Calma innanzitutto: "Noi elaboriamo le nostre proposte, e le collochiamo in un quadro razionale di compatibilità. Dopo di che vediamo se e come Dini potrà dire di no".

Tuttavia a quanto si capisce la preoccupazione primaria del premier, se possibile ancora più forte della tenuta della maggioranza, è di ricostituire un consenso in funzione della crescita. Non solo, come ha riferito ieri su queste colonne Massimo Giannini, per "cercare una blindatura con le parti sociali, e costruire con loro un sistema di paratie stagne che proteggano il governo dalle fibrillazioni della sua maggioranza". C'è un'ambizione in più: "Perché nel primo anno della legislatura io avrei tanto insistito sul taglio del cuneo fiscale? In parte per dare respiro ai ceti medio-bassi. E in parte per imprimere una prima spinta alla crescita. Per questo mi sarei aspettato un atteggiamento diverso da parte dell'establishment. E invece una sua parte consistente si è chiamata fuori, mettendosi all'opposizione, come se volesse investire sulla turbolenza. E i risultati si sono visti, almeno sul terreno del consenso. Non è passato un giorno senza il dileggio sui giornali, senza le manifestazioni più plateali di sfiducia".

Forse l'atteggiamento degli ambienti confindustriali e delle categorie era dettato dall'incertezza della prospettiva politica. E anche adesso viene da chiedersi chi è in grado di scommettere positivamente sui numeri di Prodi. C'è in vista una parte dell'establishment disposta ad assumersi il rischio e la responsabilità di una nuova scelta concertativa? Per dire, su un programma fondato sul recupero di produttività e reddito sarebbe possibile avere l'appoggio di un neokeynesiano come Sergio Marchionne? E quale sarebbe l'atteggiamento di un Montezemolo? "Io mi auguro che sia positivo, e non sulla base di una simpatia maggiore o minore per il centrosinistra, ma sui risultati empirici che possiamo mostrare. Dentro la politica mi sembra che una personalità come D'Alema sia perfettamente d'accordo. E che anche Veltroni condivida l'idea che questo governo è in grado di produrre un risultato favorevole alla competitività del Partito democratico".

L'obiezione fisiologica è già sul tappeto, in realtà: come si fa a credere nella razionalità del metodo Prodi, e all'ambizione della nuova concertazione, con una maggioranza in Senato tenuta con le unghie, e che può cedere alla prima prova, per un voto, per un niente? "Certo, le leggi naturali dicono che se mi cade un mattone sulla testa sono morto". Tuttavia? "Tuttavia non è che non torno a casa perché mi può cadere una tegola sulla nuca. Vado a sciare, torno e vado a dormire. Domani è un altro giorno".

(31 dicembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Italia-Spagna: la lettera di Prodi all'Ansa
Inserito da: Admin - Gennaio 01, 2008, 11:36:50 pm
 2008-01-01 20:02

Italia-Spagna: la lettera di Prodi all'Ansa


ROMA - Questo il testo integrale della lettera indirizzata dal presidente del Consiglio Romano Prodi al direttore dell'ANSA Giampiero Gramaglia, nella quale il premier nega che il Pil della Spagna abbia superato quello dell'Italia. "Caro Direttore, qualche mese fa il Presidente Zapatero ha annunciato che l'economia spagnola aveva imboccato la corsia di sorpasso e che, entro breve, avrebbe superato la nostra economia. La sfida l'abbiamo raccolta come una gara utile e importante tra due grandi paesi europei. Una sfida tra due economie che tendono sempre più ad integrarsi grazie all'intensificarsi del commercio e degli investimenti.

Basti pensare all'ingresso di Enel in Spagna e di Telefonica in Italia". "E' vero -prosegue Prodi- che negli ultimi anni l'economia spagnola cresce più rapidamente tra tutti i grandi paesi dell'euro.

La crescita della Spagna ha fatto bene all'Europa e all'Italia e di questo risultato ci compiaciamo da veri amici augurando alla Spagna di continuare a crescere come ha fatto in questi anni. Ne continueremo a beneficiare tutti!".

Il premier continua: "Vediamo però di rappresentare correttamente la realtà: nonostante la straordinaria performance dell'economia spagnola, l'economia italiana è ancora ben più grande di circa il 50% di quella iberica. E questo è scontato. Ma anche in termini pro capite il nostro Pil è superiore a quello spagnolo di circa il 13%". "Ma allora -s'interroga Prodi-, questo sorpasso di cui si è parlato nello scorso dicembre è avvenuto o no? Anche se questo annuncio ha alimentato un corposo e per molti aspetti utile dibattito, il sorpasso non è avvenuto. Si è infatti sostenuto che la Spagna abbia superato l'Italia in termine di Pil pro capite calcolato a parità di potere d'acquisto, cioè tenendo conto del livello generale dei prezzi che prevale in ciascuna delle economie. Questo tipo di analisi è, a conoscenza di tutti, del tutto aleatorio, dato che non esiste una metodologia standard con cui si calcola il reale potere d'acquisto nelle diverse economie".

Il premier spiega: "Se usiamo ad esempio la metodologia che impiega l'Fmi nelle sue analisi comparate (e credo che questa sia quella da usare), le conclusione che hanno fatto gridare gli amici spagnoli 'missione compiuta' sarebbero ribaltate. Secondo il Fondo, l'Italia continua ad avere un vantaggio di circa 3000 euro in termini di Pil pro capite espresso a parità di potere d'acquisto. Non parliamo poi del reddito in valori assoluti, il cui confronto è il più certo: Eurostat ci dice che il risultato del 2006 è di 25100 euro in Italia e 22300 in Spagna. Il che fa ancora una bella differenza. La stessa differenza è nelle statistiche dell'Fmi, in cui il dato del Pil pro capite italiano è di 31791 dollari e quello spagnolo di 27767. Ancora una volta una differenza non piccola". "La gara -continua Prodi- sarà dunque ancora lunga, e, soprattutto, molto impegnativa. Non solo per i problemi particolarmente sentiti in Spagna della crisi immobiliare e del troppo elevato tasso di inflazione, ma soprattutto perché l'Italia ha ripreso a far girare il motore dopo troppi anni di fermo ai box, durante i quali abbiamo accresciuto il nostro deficit e il nostro debito pubblico". "Certo -s'avvia alla conclusione il premier-, gli spagnoli continuano ad avere il vantaggio non trascurabile di un deficit pubblico per cui non debbono spendere come l'Italia tra i 70 e gli 80 miliardi di euro all'anno per gli interessi .

Ma noi abbiamo finalmente cominciato a ridurre i debiti e, ciò che più conta, la macchina Italia dopo un cambio gomme ed un rifornimento di fiducia sta uscendo dai box e sta girando ad una velocità che, sebbene ancora inferiore a quella spagnola, non raggiungeva più da anni. La sfida, dunque, continua. Sarà bella ed affascinante. E' certo che si svolgerà in un contesto di accresciuta cooperazione internazionale e che non farà altro che rinsaldare gli antichi e solidi legami di amicizia tra i nostri popoli. Tanti auguri, quindi, alla Spagna perché il suo entusiasmo aiuterà anche a noi.

Cordialmente, Romano Prodi".

La lettera è in data odierna e proviene da Campolongo, nell'Agordino, dove il premier sta trascorrendo alcuni giorni di vacanza.
 
da ansa.it


Titolo: PRODI - «Ecco il mio piano: più salari e meno tasse»
Inserito da: Admin - Gennaio 03, 2008, 05:28:33 pm
L'IINTERVISTA

«Ecco il mio piano: più salari e meno tasse»

Prodi alle parti sociali: «Nuova concertazione per il rilancio, nessuno si tiri indietro»


ROMA — «C'è un freddo che pela, siamo a meno 20 gradi, però è magnifico. E poi così mi conservo meglio...». È una minaccia per qualcuno? Risata: «Non so... La resistenza non mi manca e poi di lavoro ce n'è ancora tanto da fare».

Alle 8 di sera del suo quarto giorno sulla neve (Passo Campolongo, Dolomiti bellunesi), Prodi ha il timbro di voce di chi ha già ricaricato le pile e si prepara ad affrontare le ben più insidiose discese della politica italiana. «Un gennaio difficile? Perché forse c'è stato qualche mese semplice finora? Non mi pare che questo governo si sia concesso molti ozii, il nostro è stato un cammino tutto in salita, ma intanto siamo ancora qui...». Se la vuole giocare fino in fondo, il Professore, la sua avventura a 

Palazzo Chigi. Rimessa al suo posto la Spagna («I dati sono dati, non si scappa...») e incassata la lieta novella di un fabbisogno statale in netta diminuzione («Sono cifre migliori del previsto, era importante mettere fieno in cascina »), il premier intende aggredire questi primi giorni del 2008 con una griglia di obiettivi che, visti gli spifferi, definire ambiziosa è il minimo: «Più salari, meno tasse e misure a sostegno della crescita». Queste le carte che calerà sul tavolo della verifica di gennaio, sperando che bastino per spuntare le unghie a Dini e alla sua truppa di dissidenti. La riforma elettorale? Certo, anche quella. «Mandare in soffitta il "porcellum" è fondamentale — mette in chiaro — così come è importante varare un pacchetto di altre modifiche istituzionali». Ma non sarà questo, però, il fulcro degli esami di gennaio.

 «CENTRALI I TEMI ECONOMICI» - «I temi economici sono al centro della nostra azione » puntualizza il Professore. Facendo capire di essere intenzionato, prima di sottoporre all'Unione un nodo esplosivo come la riforma elettorale, ad aspettare la sentenza della Consulta sulla legittimità dei referendum, prevista per metà mese. Giorni cruciali, quelli che attendono il premier al rientro a Roma. Un percorso stretto che andrà, all'incirca, dall'8 al 18 gennaio. Il calendario, ancora ufficioso, è ben chiaro nella mente di Prodi: «Il nostro sarà un lavoro progressivo — spiega —. Il primo passaggio, da effettuare in tempi rapidissimi, ruoterà attorno all'incontro con le parti sociali: imprenditori e sindacati». L'obiettivo è arrivare a stringere «un grande patto, una nuova concertazione per il rilancio» che consenta di far crescere le buste paga, dare una sforbiciata alle tasse sul lavoro dipendente e sui redditi da pensione, rilanciando la competitività. «Tutti — prosegue il capo del governo —, dovranno dare il loro contributo, nessuno si tiri indietro.
Verificheremo i margini di manovra su salari e fisco. E fisseremo gli obiettivi». Impresa non facile, ma il Professore ci crede: «Alla luce degli ultimi dati, ci sono gli spazi per dare risposte concrete ai cittadini, anche se non è il caso di riempirsi la testa di grilli». Poi la palla passerà all'Unione, alla quale Prodi confida di poter sottoporre l'intesa con le parti sociali: «Concorderemo — dice — percorsi e strumenti, cercando il punto di sintesi tra le varie posizioni...». E se con Rifondazione le carte prodiane potrebbero avere successo, centrate su salari, difesa dei ceti meno abbienti e sicurezza sul lavoro, restano due versanti a rischio: Dini e parte del fronte imprenditoriale. Al primo, Prodi sottoporrà una serie di proposte «concrete e compatibili», tali da rendere difficilmente motivabile un eventuale disimpegno. E a quei settori del mondo industriale, che «da mesi coltivano disegni alternativi al mio governo», cercherà invece di far capire che «conviene a tutti fare gioco di squadra».

Francesco Alberti
03 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: Chiara Scalise Prodi a Unione: "Paese ci chiede di governare, avanti uniti"
Inserito da: Admin - Gennaio 10, 2008, 07:34:12 pm
2008-01-10 17:33

Prodi a Unione: "Paese ci chiede di governare, avanti uniti"

di Chiara Scalise


ROMA - "Il Paese ci chiede di governare, di dire dei sì e dei no, di non tergiversare. E' una lezione di cui fare tesoro". Il presidente del Consiglio Romano Prodi apre il vertice di maggioranza con un messaggio chiaro agli alleati, invitandoli ancora una volta a superare i distinguo, prendendo lo spunto dalla richiesta di governo che viene dall'emergenza rifiuti in Campania. E che vale anche in economia, come in tutti gli altri campi. L'incontro di oggi ha però i fari puntati in particolare sull'agenda economica del governo. Il Professore snocciola, in otto cartelle, le linee guida: stop a nuove tasse e avanti tutta per un taglio a quelle sui redditi più bassi. Ai rigoristi del bilancio sottolinea come il risanamento dei conti sarà sempre un obiettivo di questo governo e sul nodo della tassazione delle rendite finanziarie sceglie una soluzione diplomatica: alzarle dal 12,5% al 20% è una questione di giustizia sociale, ma occorre procedere - avverte - con cautela. L'occhio ovviamente é alla crisi dei mutui subprime di questa estate e al delicato equilibrio dei mercati finanziari.

AUMENTARE POTERE D'ACQUISTO SALARI - "Con gli strumenti che abbiamo a disposizione - dice Prodi - e con le risorse che saremo capaci di generare possiamo muoverci nella direzione di una riduzione concreta del carico fiscale, a vantaggio, innanzitutto dei salari e dei bassi redditi. Dobbiamo fare più affidamento sulla domanda interna, sostenere il potere d'acquisto dei lavoratori e delle famiglie in un quadro di economia competitiva".

EXTRAGETTITO PER MENO TASSE LAVORATORI E FAMIGLIE - "Tutto ciò che sarà recuperato dall'evasione fiscale o da altre forme di extra-gettito dovrà essere indirizzato alla riduzione del carico fiscale dei lavoratori e delle famiglie. Del resto - prosegue il premier - questa è stata la decisione del Parlamento assunta in sede di esame e approvazione della legge Finanziaria".

RISORSE DA TRIMESTRALE - Per conoscere a quanto ammonta esattamente il gruzzolo a disposizione del governo per mettere in campo tutte le misure occorrerà, però, aspettare "la trimestrale di cassa, quando - dice il presidente del Consiglio - avremo dati certi a nostra disposizione".

RENDITE FINANZIARIE - Prodi promette agli alleati un intervento sulla tassazione delle rendite finanziarie, con un occhio però attento ai mercati finanziari. "Pur con tutte le cautele, legate al momento delicato che vivono in questo momento i mercati finanziari, è difficile continuare con l'anomalia di un sistema nel quale il lavoro e l'impresa sono tassati più che le rendite finanziarie. Nessun intento punitivo, naturalmente. Semplicemente la riconduzione delle nostre regole a principi di maggiore semplicità (come l'uniformità dell'aliquota al 20%) e di giustizia distributiva".

LIBERALIZZAZIONI - "Dobbiamo fissare - afferma il presidente del Consiglio - un calendario impegnativo per le riforme già in parlamento e proseguire con politiche che mettono al centro i diritti dei consumatori".

CONCERTAZIONE E NUOVO PATTO PER LO SVILUPPO - "Dopo questo nostro incontro, il governo aprirà una nuova fase di concertazione con l'obiettivo di giungere ad un grande patto per lo sviluppo. Lo dobbiamo fare ora - prosegue - e lo dobbiamo fare noi. Per non sprecare un'enorme opportunità che abbiamo a portata di mano".

EQUILIBRIO CONTI - Il trend delle spese è stato invertito. I dati sono buoni: "Il disavanzo pubblico scende sotto il 2% del Pil e l'avanzo primario supera il 3% del Pil", evidenza il Professore. "Proseguire il riequilibrio finanziario - dice Prodi - è un obbligo non solo economico, ma anche morale nei confronti delle generazioni future dalle cui spalle dobbiamo togliere il peso enorme dei debiti accumulati in passato". P.A.- "Apriremo subito la trattativa per il contratto" del pubblico impiego, "chiedendo piena attuazione del memorandum siglato con sindacato su qualità, mobilità e merito".

RIFORME - "L'incontro di oggi ha lo scopo di condividere scenari ed obiettivi in un quadro generale di riforme che dobbiamo tenere presente - sottolinea il presidente del Consiglio - e che dovremo affrontare nei prossimi mesi. Penso alla riforma istituzionale, alla legge elettorale ed anche al conflitto di interesse ed alla riforma della Rai". 

da ansa.it


Titolo: Prodi: "Chiaro apprezzamento alla politica italiana anche dagli osservatori ...
Inserito da: Admin - Gennaio 13, 2008, 06:05:44 pm
ECONOMIA

Il commissario Ue: il deficit migliora più di quanto previsto

Presto colloqui con Padoa-Schioppa sulla manovra fiscale

Almunia plaude all'Italia "I conti meglio delle attese"

Prodi: "Chiaro apprezzamento alla politica italiana anche dagli osservatori più severi"

Ok anche dalla Bce. Trichet: "Ma serve un attento controllo dell'inflazione"


LA VALLETTA (Malta) - Dopo il plauso di Standard&Poor's di ieri, i conti pubblici italiani raccolgono altri importanti consensi. Dalla Commissione Ue e dalla Bce arriva l'apprezzamento per la capacità di ridurre il deficit del 2007 oltre le attese. Tuttavia, l'organismo di Francoforte ricorda di non allentare la presa sul controllo dell'inflazione, anche perché, sui conti italiani, si staglia l'ombra di una crescita Ue che potrebbe essere più lenta del previsto. Soddisfazione da parte del premier, Romano Prodi, che sottolinea come "è chiarissimo l'apprezzamento che viene fatto in questi giorni alla politica italiana anche dagli osservatori più severi".

Il primo a promuovere il miglioramento del deficit del Paese è il commissario Ue agli Affari Monetari, Joaquin Almunia: "I dati positivi del 2007, migliori delle attese" rappresentano "notizie molto positive e il miglioramento del deficit è assolutamente benvenuto". Se S&P aveva definito "notevoli" i progressi italiani, Almunia ha puntato l'attenzione su un dato "molto buono soprattutto per l'economia italiana e i suoi cittadini" che "aiuterà a gestire in condizioni migliori queste turbolenze finanziarie" e consentirà di "provare a mantenere un tasso di crescita e occupazione adeguato".

Parole che arrivano da un esponente della Commissione non sempre tenero nei confronti dell'Italia, ultima la critica formulata a ottobre su una Finanziaria giudicata "poco ambiziosa" sul fronte della spesa. Un argomento che Almunia vorrà indagare a breve, già nella prossima settimana in cui, annuncia, è in programma un incontro con il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Un'occasione per fare il punto sulle possibili azioni di Palazzo Chigi in tema di fiscalità: "Spero che mi informi sulle intenzioni del Governo, se ce ne sono", ha dichiarato Almunia.

A Malta, Prodi incassa anche l'ok di Jean-Claude Trichet, presidente della Bce che, rende noto il premier al termine di un colloquio informale fra i due, "ha molto apprezzato il cambiamento a 180 gradi della nostra economia". Anche se, "naturalmente dal punto di vista di un banchiere centrale", Trichet non ha perso l'occasione di ricordare all'Italia la necessità di "stare in guardia rispetto al fenomeno inflazionistico".

Un'ulteriore elemento di preoccupazione condiviso da Prodi e Trichet riguarda "l'incertezza" che regna sui mercati, anche alla luce delle recenti turbolenze finanziarie e all'elevato prezzo del petrolio. Situazioni che potrebbero costringere la Commissione Ue a rivedere nuovamente al ribasso le stime di crescita per il 2008. Dopo il taglio di novembre da +2,6% a +2,2%, il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha infatti spiegato che "la Commissione sta considerando che potremo avere una crescita nel 2008 dell'1,8-1,9%".

Juncker ammette: "Non sappiamo quale sarà l'impatto di ciò che stiamo vedendo" in questi mesi. E se "non ho l'impressione - spiega - che ci sia stato un enorme impatto finora, non sono sicuro che lo possiamo escludere per i mesi futuri". Lo stesso Almunia, rivelando tutta la sua preoccupazione per un euro "ormai vicino ai limiti storici", ha sottolineato l'esigenza di "discutere con i nostri partner su strategie di cooperazione per evitare una eccessiva volatilità". Perché "finora siamo stati in grado di assorbire l'apprezzamento dell'euro e di riceverne qualche effetto positivo", ma ulteriori rialzi della moneta unica potrebbero essere più difficilmente gestibili.

L'unica nota positiva arriva sul fronte dell'inflazione: in questo momento viviamo "una situazione di sofferenza per l'aumento dei prezzi del petrolio e degli alimentari. Speriamo che nel 2008 questi shock esterni si riducano e che l'inflazione a fine anno torni a livelli normali", è l'auspicio di Almunia.

(12 gennaio 2008)

da repubblica.it


Titolo: PRODI - Papa, «Chiudiamo questa tensione» (la tensione si ma la vigilanza no)
Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2008, 12:16:50 am
Papa, Prodi: «Chiudiamo questa tensione»


La messa è finita. L’Angelus-arringa della domenica che deve rimettere in pari i conti con la società civile, è ormai concluso da ore. Dal Vaticano cantano vittoria per come è andata la risposta della Chiesa al dissenso espresso da alcuni professori per la visita del Pontefice all’Università La Sapienza. Il sole che ha baciato Roma questa domenica 20 gennaio ha fatto il resto.

Secondo la gendarmeria vaticana erano in duecento mila domenica mattina a piazza San Pietro, e anche il mondo politico ha sgomitato per essere in prima fila tra le braccia del Colonnato del Bernini. Il centrodestra era al completo: i vertici dell’Udc, Casini e Cesa, Cicchitto di Forza Italia, Gasparri, Ronchi e Alemanno di An, Borghezio della Lega.

Ma non manca anche qualche esponente dell’Unione. Non poteva mancare il vicepremier Francesco Rutelli, che chiarisce però che «la politica non c'entra: oggi c'è stato un gesto di riconciliazione, di affetto e di amicizia dei romani verso il Pontefice». C’era come ovvio Clemente Mastella, rammaricato perché «anche mia moglie avrebbe voluto essere qui» e polemico con il premier e il ministro degli Esteri che «avrebbero dovuto chiamare il Segretario di Stato Bertone per scusarsi». Presente anche il vicesegretario del Pd Dario Franceschini, che ha voluto compiere un «atto di solidarietà», perché «le basi di uno Stato laico sono la libertà di parola, di pensiero e delle idee altrui». Ci sono anche i cattolici del Pd, Paola Binetti, Enzo Carra, Pierluigi Castagnetti e Giorgio Tonini. Assente la ministra per la Famiglia Rosy Bindi, che ha detto: «Non ci sarò anche per non essere accomunata a chi, non andando mai a sentire l'Angelus, domani sarà invece presente allo scopo di strumentalizzare».

Non era all’Angelus, ma ha commentato la vicenda, nemmeno il premier Romano Prodi, che invita a spegnere i riflettori sulla vicenda: «Adesso pensiamo a lavorare per il futuro – ha detto da Bologna – a chiudere definitivamente questa tensione, a renderla temporanea come deve essere: un fatto episodico, non una ferita costante». Più amaro il commento del segretario del Prc Franco Giordano che ha provato «una certa tristezza vedere tutto l'establishment politico del centrodestra utilizzare l'Angelus del Papa a fine di polemica politica interna. Così – ha aggiunto – come la perdita di autonomia complessiva di una classe politica che dimostra sempre più un deficit di identità progettuale».

In sostanza quella del Papa è stata una diretta risposta alla contestazione degli studenti: «Come professore, per così dire, emerito che ha incontrato tanti studenti nella sua vita, vi incoraggio tutti, cari universitari, ad essere sempre rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la verità e il bene».

Ma le polemiche non sono finite. Il comitato NoVat- Facciamo Breccia ha indetto per sabato 9 febbraio una manifestazione nazionale a Roma per denunciare «il crescente restringimento degli spazi di laicità». Ancora critico anche l’Arcigay: secondo il presidente nazionale, Aurelio Mancuso, «è necessario riflettere bene su cosa è accaduto oggi: l'assemblea che sancisce la nascita del clerical party, cui si sono iscritti, senza alcun rispetto per le cariche pubbliche che ricoprono, diversi politici italiani».

Pubblicato il: 20.01.08
Modificato il: 20.01.08 alle ore 18.24   
© l'Unità.


Titolo: Il premier verso la conta alle Camere: voglio vederli in faccia.
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2008, 04:25:36 pm
Lo strappo di mastella

Lo sfogo di Prodi: se cado sarà in piedi

Il premier verso la conta alle Camere: voglio vederli in faccia.

Dopo di me? Il voto

 
ROMA — «Se cado, sarà in piedi. Voglio vederli in faccia mentre mi voteranno contro... ». Serata muscolare. Sanguigna. Un ribollir di umori. Romano Prodi guarda il baratro che si è aperto davanti a lui e si prepara ad affrontarlo. Come ha sempre detto: «Se questo governo deve finire, che siano le Camere a sfiduciarlo. Altri giochetti non sono ammessi, almeno questo risparmiamolo agli italiani...». Oggi il Professore sarà alla Camera.

Ma non per parlare di giustizia: «È finito il tempo delle pezze, una per Mastella, l'altra per Pecoraro Scanio: di pezze si muore...». Appunto. No, sarà a Montecitorio, il premier, per guardare dritto negli occhi i mastelliani dell'Udeur mentre gli votano contro. Per ripetere che dopo di lui, dopo questo governo che per 20 mesi «ha vissuto a dispetto dei santi», ci può essere solo e unicamente il ritorno alle urne: «No a governi istituzionali o a larghe intese: la parola va restituita ai cittadini ». Fine delle trasmissioni, almeno di quelle a banda prodiana. Anche se ancora non c'è l'ufficialità, perché in questa serata da basso impero tutto è troppo convulso per capire, Prodi sa bene che la sua avventura a Palazzo Chigi ha raggiunto l'ultima stazione.
E ne ha parlato a lungo con il presidente Napolitano. La storia si ripete, dieci anni dopo.

Stavolta è Mastella a fare il Bertinotti. Allora fu questione di un voto. Oggi invece lo sfratto è arrivato per lettera. Senza tanti complimenti. Modi spicci, per la serie: fatti più in là. La raccontano così a Palazzo Chigi. Prodi aveva appena finito di incontrare il presidente della Repubblica di Timor Est (che risponde al nome di José Manuel Ramos Hosta) quando alcuni collaboratori gli hanno fatto le leggere le agenzie che annunciavano l'uscita dalla maggioranza dell'Udeur. «Il presidente — racconta chi era con lui — ha letto il dispaccio, ci ha guardati e, senza dire una parola, è rientrato nel suo ufficio». Pochi istanti dopo, un commesso di Palazzo Chigi ha consegnato allo staff del premier la lettera ufficiale dell'Udeur. «Potevamo immaginare qualcosa del genere ma non certo di leggerlo prima sulle agenzie...» è stato l'amaro e inevitabile commento dell'entourage prodiano. E visto che il galateo in politica ha un suo valore, «almeno per Romano», è anche giusto dire che Prodi, il gesto di Mastella, l'aveva messo in conto: quello che invece non si aspettava, «e che l'ha ferito profondamente» dicono i suoi, è stato il modo: «Erano due giorni che Clemente non si faceva trovare da Romano... » raccontano. E Prodi, che le antenne le ha sensibili, «una mossa a sorpresa se l'aspettava».

Come dicono attorno al Professore, cercando di farlo sorridere, «siamo il primo governo che cade perché colpito negli affetti familiari». Dove il riferimento è all'arresto della moglie di Mastella, alla rabbiosa reazione del marito, a quella simbiosi tra partito, famiglia e clan che ha fatto di Ceppaloni un'enclave della politica italiana. Si sente tradito e «ferito», Prodi, dal capo dell'Udeur: «Non mi aspettavo un comportamento del genere. Abbiamo lavorato insieme per quasi due anni, l'ho difeso tante volte, le sue baruffe con Di Pietro erano all'ordine del giorno... La politica, almeno come la intendo io, è fatta anche di rapporti umani ».

Ma ormai è andata. Il filo è rotto. E ora su Mastella piovono parole come proiettili. «È chiaro che si era già accasato — mormorano attorno al Professore —: ha visto che molti dei suoi passavano con il centrodestra e, temendo che gli si svuotasse il partito, ha giocato d'anticipo». È il fantasma di Berlusconi, del mercato della politica, del «complottone» tanto volte evocato durante le battaglie sulla Finanziaria a prendere corpo in questa notte di pensieri cupi, atmosfera da ultima stazione, mentre i grandi capi dell'Unione entrano a testa bassa a Palazzo Chigi per un vertice che dovrà formalizzare la fine di un governo e l'inizio di una fase ancora tutta da costruire.

Ci sarà tempo per le recriminazioni. E per le coltellate. Dietro lo strappo di Mastella c'è la storia di un centrosinistra che, da oggi, non sarà più lo stesso. «Peggio: rischia di non essere più, e basta...» mormorano attorno al Professore. Che, aldilà dell'ottimismo di facciata e della grande tenacia, da almeno 10 giorni sentiva avvicinarsi pericolosi scricchiolii. «Non se ne può più — si è sfogato con i suoi — di questi veti incrociati, un tutti contro tutti che non tiene in alcuna considerazione l'interesse del Paese...». E poi la battaglia sulla riforma elettorale.
Con Veltroni a scuotere l'albero dell'Unione: «Certo non ha aiutato — dicono attorno al Professore — l'ultima sortita sul Pd che va da solo alle elezioni: Mastella non aspettava altro... ». Notte di veleni. E voci in libertà. Qualcuno già ipotizza un Prodi ricandidato in caso di voto anticipato. «Neanche a parlarne, Romano è una persona coerente» tagliano corto a Palazzo Chigi. Perché, a volte, anche i diesel si fermano.


Francesco Alberti
22 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: PRODI ... Centrosinistra sfilacciato, non sarà più lo stesso.
Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2008, 04:49:41 pm
IL PROFESSORE

Prodi: non sgomiterò per un altro incarico

«E' la fine di una stagione politica. Centrosinistra sfilacciato, non sarà più lo stesso»
 
 
ROMA — «E bravo Mastella, ce l'ha fatta, bel pasticcio, complimenti...». Uno sbuffo. Un'aggiustatina agli occhiali. E il sigaro in bocca. Attorno a lui, gli amici di sempre: Rovati, Parisi, Ovi, Santagata. Da via del Corso rimbalzano i cori da stadio dei ragazzi di An, che brindano e cantano l'inno di Mameli. I telefoni di Palazzo Chigi squillano in continuazione. «E bravo Mastella, bel colpo...»: Romano Prodi, in una di quelle sere che la Roma politica consegnerà alla storia, assiste in diretta, sprofondato in poltrona, al funerale del suo governo. «Si torna a casa, ragazzi...» sibila prima ancora che al Senato il presidente Marini legga il verdetto finale: 161 a 156. Numeri che il Professore conosce a memoria, se li è sognati per due notti: «L'unica speranza era che Mastella tornasse indietro e allora anche i diniani avrebbero fatto retromarcia, vabbé...». Un incubo, certo. Ma ormai esorcizzato. Stavolta, a differenza del '98, non ci sono Gianburrasca (leggi Parisi) a cui dare la colpa di aver sbagliato i conti: «Stavolta sapevamo tutto da almeno 24 ore. Sono andato al Senato ben consapevole di non avere speranza. Ma dovevo farlo. Chiamatela onestà istituzionale. Chiamatela come volete... Spero solo che l'Italia, o almeno una parte, abbia capito che l'ho fatto per coerenza, per rispetto verso gli elettori e le regole».

 Non c'è rabbia, piuttosto un'infinita stanchezza, in questa notte prodiana. Morte annunciata di un governo. Quasi cercata. «Sapendo che molti non capiranno. E altri faranno finta di non capire...». Fine del Prodi Due. Fine del prodismo. «Fine di una stagione politica. D'ora in poi, tutto sarà diverso, il centrosinistra non sarà più lo stesso. E' tutto così sfilacciato...»: il sigaro ancora acceso, il Professore ragiona a voce alta, mentre la Roma dei palazzi guarda al Colle, costruendo il solito Totocalcio attorno alle prossime consultazioni. Un giochino al quale Prodi non intende minimamente partecipare: «Eh no, adesso basta, mi tiro fuori. La mia partita l'ho fatta. E non sarò certo io a sgomitare per avere un reincarico. Spetta ad altri fare il gioco: io non mi metterò di traverso, non farò nulla che possa impedire di trovare soluzioni che consentano di riformare l'attuale legge elettorale». Arriverà, è sicuro, l'onda dell'amarezza personale. Ma per ora c'è solo una grande preoccupazione. «Il destino dell'Italia è appeso a un filo. Andare al voto con questo sistema, con il "porcellum", sarebbe da irresponsabili: bisogna fare qualcosa». Il Professore sa benissimo che proprio alle urne, invece, punta Berlusconi: «Sarebbe un disastro, ricadremmo in quel tunnel in cui mi sono trovato io, che mi ha costretto in questi 20 mesi di governo a mediare in continuazione, un tiramolla estenuante...». Un governo di tregua è la soluzione che il premier dimissionario ha in mente. E di cui ha ripetutamente parlato con il presidente Napolitano, trovando una sponda. «E lì che bisogna arrivare. Io, a questo punto, resto alla finestra. Il Quirinale farà il suo lavoro...».

E' un Prodi a bordo campo. In panchina, diciamo. Una sorta di riserva della Repubblica: «I giochi, in casi come questi, non sono mai chiusi, si sa. Vedremo come andranno le consultazioni». Di più non dice. Ma fa chiaramente capire che, in assenza di alternative e a determinate condizioni, potrebbe anche accettare di essere lui a traghettare il Paese alle urne, con una nuova legge elettorale. Scenari comunque lontani, evanescenti. Neanche particolarmente interessanti per uno che, fino all'altro giorno, ancora credeva «di poter costruire qualcosa di importante per questo Paese». E invece la realtà è che, dopo quasi due anni, il pallino della politica non è più nelle mani del Professore. I giochi si fanno altrove. E il premier, nelle inedite vesti di spettatore, vede attorno a sé orizzonti tutt'altro che incoraggianti. «Una delle cose che mi hanno più rattristato, durante il dibattito al Senato, è stato il clima di scontro che si respira nel centrosinistra » confessa ai suoi. La sinistra radicale contro il Pd. Le correnti del Pd una contro l'altra. L'Unione ridotta a un cumulo di macerie. Spaccati anche sul futuro. Veltroni che non vuole il voto. Di Pietro che lo invoca. «Brutto spettacolo, che mi fa soffrire» mormora Prodi. Che naturalmente un'idea ce l'ha sul perché si è arrivati a questo punto, ma per ora se la tiene per sé. Atmosfera sospesa a Palazzo Chigi. «Ci sarà tutto il tempo per esaminare la situazione...» avvertono minacciosi attorno al premier dimissionario, facendo capire che qualche conto da regolare c'è, soprattutto con il Pd.

Non è affatto piaciuto a Prodi il modo in cui si è mosso Veltroni. «E' chiaro che da quel versante non è arrivato il sostegno che ci aspettavamo...» dicono i suoi, tenendo a freno un'irritazione inevitabilmente destinata a montare. Una tensione che montava da settimane, ma poi esplosa quando Veltroni ha ufficializzato l'intenzione di correre da solo alle elezioni. «Da quel momento, è iniziato il tracollo...» commentano attorno al Professore, convinti che l'accelerazione del sindaco abbia giocato un ruolo non da poco sulla decisione di Mastella di mandare per aria l'Unione e il governo. Il resto l'ha fatto la crisi, con Prodi deciso a morire in Parlamento e Veltroni invece a spingere per le dimissioni. «Non sarà semplice ricomporre i cocci » confessa un prodiano di lungo corso. Notte infinita, mentre fuori anche i ragazzi di An si sono stancati di brindare. La luce del Professore tarda a spegnersi, c'è tanta adrenalina ancora da scaricare: «Stasera qualcosa è finito, ma non mi pento: ho fatto la cosa giusta».

Francesco Alberti
25 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: Prodi: «E adesso farò il nonno»
Inserito da: Admin - Gennaio 26, 2008, 05:55:52 pm
«Non posso certo essere io a guidare un governo istituzionale»

Prodi: «E adesso farò il nonno»

Il premier dimissionario: «Quando si perde, anche per un voto, vuol dire che ha perso lo schema che si aveva»

 
ROMA - E adesso chissà se alla piccola Chiara regaleranno una nuova maglietta. Quella di due anni fa, con la scritta «nonno for president», oramai le va decisamente stretta. Lei è cresciuta e magari un bel «President for nonno» lo gradirebbe di più, se non altro perché avrebbe più tempo da trascorrere con lui. E del resto Romano Prodi è stato chiaro: «Non sono disponibile ad un reincarico, non posso essere io a guidare un governo istituzionale».
E a chi gli chiedeva che cosa avrebbe fatto dopo l'uscita di scena dalle stanze di Palazzo Chigi ha risposto senza esitazioni: «il nonno».

«HA PERSO TUTTO LO SCHEMA» - Chiara a parte, Prodi ha ammesso con molto realismo che il voto con cui è stato sfiduciato al Senato non può non lasciare il segno. «Io sono andato in minoranza - ha spiegato al termine del vertice del Pd a Sant'Anastasia -. Quando si va di fronte al Parlamento e si perde, anche per un voto, vuol dire che lo schema che avevo ha perso». Prodi è poi tornato sulla decisione di affrontare il voto in aula: «Ho deciso di andare di fronte al Parlamento non, come qualcuno ha detto, per tigna, ma perchè questo è il mio concetto di democrazia. E quindi, non credo di essere io la persona che può adempiere a questo ruolo di creare un governo che ci porti ad una legge elettorale che possa evitare le elezioni immediate».

«NO, IL PORCELLUM NO» - Prodi, in ogni caso, è favorevole come il resto del partito all'ipotesi di un esecutivo di larghe intese che possa portare a compimento almeno la riforma elettorale, perché se si tornasse alle urne con l'attuale legge elettorale, il cosiddetto «porcellum», «riprodurremmo tutte le tragedie italiane e la frammentazione politica di oggi». Non ha voluto però sbilanciarsi, il Professore, sul nome di un possibile candidato alla guida di un governo istituzionale, evitando di commentare anche l'ipotesi Gianni Letta con cui qualche cronista ha provato a stuzzicarlo: «Decide il presidente della Repubblica», è stata la sua laconica risposta. Identico abbotonamento di fronte alla domanda su eventuali altri «papabili»: «Vi posso assicurare che non si è assolutamente parlato di nomi. Si è parlato di disegni politici e di formule».

«PERIODO BELLISSIMO» - Prodi sembra dunque pronto ad uscire di scena, almeno temporaneamente. Prima di partecipare al summit del Pd aveva spiegato sorridendo che questi venti mesi a Palazzo Chigi sono stati «un periodo bellissimo». E adesso? «Ora andiamo avanti».

25 gennaio 2008

da corriere.it



Titolo: L’amarezza di Romano "Ma non torni Silvio"
Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2008, 10:56:41 am
25/1/2008 (7:10) - RETROSCENA, LO SFOGO DOPO IL KO

L’amarezza di Romano "Ma non torni Silvio"

Gelo con il Colle: prima di tutto va rispettata la Costituzione

FABIO MARTINI
ROMA


Quell’appartamento a Palazzo Chigi «che sembra una prefettura» non gli è mai piaciuto. In quel letto antico e grande fatto acquistare a suo tempo da Silvio Berlusconi non si è mai ritrovato. Ma proprio in queste stanze così impersonali, nella lunga, incerta nottata tra mercoledì e giovedì e consigliandosi con «la» Flavia, Romano Prodi ha deciso di tagliare ogni ponte con chi gli consigliava prudenza: «Domani al Senato io ci vado, per una questione di coerenza e di dignità e farò un discorso molto chiaro. Per tutti». A cominciare dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano che in questi giorni non aveva fatto nulla per nascondere la sua irritazione per la procedura alla luce del sole scelta dal presidente del Consiglio. Ma in quella lunga notte e in questi giorni così travagliati Romano Prodi è tornato a confessare alla moglie Flavia, consigliera e confidente come nessun altro («Dopo tanti anni si entra in simbiosi e si somigliano persino le calligrafie...»), quella che è diventata l’ossessione del Professore: «Non posso pensare all’idea che possa tornare Berlusconi: bisogna fare di tutto per evitarlo. Di tutto».

Un’ossessione che ha accompagnato Prodi ogniqualvolta, in questi venti mesi, è stato sfiorato dalla tentazione di gettare la spugna, un’ossessione che è tornata a riaffacciarsi in questi giorni. Soprattutto quando in molti - a cominciare da Massimo D’Alema - gli facevano notare che quella sua ostinazione a voler consumare la crisi in Parlamento, col doppio voto, avrebbe tremendamente complicato la gestione del dopo-Prodi. Certo, l’uomo è vendicativo e i demoni della rivalsa lo hanno sempre indotto nei passaggi più duri ad esprimersi con crudezza. Ma vuole cancellare quell’ immagine del «Prodi Sansone» che muore con tutti i suoi filistei che ha cominciato a circolare. E’ per questo motivo che il Professore, per ora nei «pour parler», ripete che «bisogna evitare di correre verso elezioni anticipate, perché questo Paese non lo merita».

E proprio questa sarà la novità dei prossimi giorni: pur evitando di fare il tifo per il governo d’emergenza, Romano Prodi non si «metterà in mezzo» rispetto a un’ipotesi sulla quale si è tuffato Walter Veltroni. Il quale, come pare, ha un nome in testa per l’esecutivo-ponte: Gianni Letta. Ma a parte questa ipotesi (sicuramente la più ostica all’ambiente prodiano), il Professore non tornerà in campo per combattere quell’ipotesi. E se poi si arriverà comunque ad elezioni anticipate? Difficile sapere cosa pensi per davvero dentro di sé Prodi. Ma in questi mesi il Professore pensa di aver subito tali e tante di quelle ingiustizie che nelle prossime ore non mancherà di esternare la sua amarezza. Come ha dimostrato anche nel discorso di ieri pomeriggio col quale si è presentato ai senatori. All’ostilità, neppure tanto sorda, espressa dal Capo dello Stato per la «parlamentarizzazione della crisi», Prodi ha voluto rispondere rivendicando con orgoglio la sua scelta: «E’ vero che le istituzioni della politica sono tra le cause prime del distacco tra cittadini e classe politica», ma «è prima di tutto necessario rispettare e applicare la nostra Costituzione e rileggerla con lo spirito con cui i padri costituenti la scrissero: non vi troveremmo né la prassi delle crisi extraparlamentari, né l’asservimento dell’informazione pubblica al potere politico». Non è finita: «La nostra prassi costituzionale è rimasta quella della Prima Repubblica: vera sede del potere erano i partiti, i governi non erano scelti dai cittadini, la composizione dei governi era stabilita delle segreterie dei partiti». E dunque «tutte le istituzioni», dunque anche il Quirinale, «debbono impegnarsi a stabilire prassi costituzionali più corrispondenti alla volontà dei padri costituenti». Principii cari all’ideologo del prodismo, Arturo Parisi, ma soprattutto un messaggio molto duro rivolto a tutti coloro che non hanno condiviso la sua scelta: i leader del Pd, ma soprattutto il Capo dello Stato. Al quale Prodi - anche con un certo coraggio - ha addirittura consigliato come interpretare la Costituzione.

Ma nell’ultimo giorno del suo governo Prodi una scena ha deciso di risparmiarsela: la gioia della destra per la sua sconfitta a Palazzo Madama. Non appena è iniziata la conta finale, Prodi non ha aspettato la comunicazione del voto. E’ tornato a Palazzo Chigi. Alle 19,35 il flash Radiocor: fiducia fallita. Poi, la salita al Quirinale, le dimissioni, le telefonate ai presidenti delle due Camere. Di nuovo a Palazzo Chigi. Qui, i venti mesi condotti dal Professore senza vellicare i poteri forti - interni ed internazionali - si sono fatti sentire: al telefonino di Prodi pochi segni di solidarietà.

da lastampa.it


Titolo: Democratici rassegnati: alle urne ci porta Prodi.
Inserito da: Admin - Febbraio 02, 2008, 08:50:50 pm
Dietro le quinte

Il Pd si è arreso: ormai si vota

Democratici rassegnati: alle urne ci porta Prodi.

E Veltroni rilancia il treno di Rutelli

 
ROMA - La telefonata del ministro dell’Interno Giuliano Amato raggiunge Walter Veltroni nella tarda mattinata. Si discute sulla possibile data di scioglimento delle Camere. Potrebbe essere già mercoledì prossimo, dopo le consultazioni di Marini, a meno che le dolorose vicende famigliari di Berlusconi non facciano slittare di qualche giorno l’incontro con il presidente del Senato. Di conseguenza tutto sarebbe rinviato. Di poco, perché la fine della legislatura sembra ormai decretata. Lo stesso ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni, mariniano di ferro ha dovuto prenderne atto: «Stamattina (ieri per chi legge; ndr) sembrava che potesse esserci qualche spiraglio, ma mi pare che non sia più così», ha detto a Veltroni. Il leader del Pd era d’accordo: «Anche io penso che sia chiusa». Già, chiusa, anche se non tutti si sono rassegnati. Ma neanche l’idea di D’Alema di indire i referendum prima delle elezioni per prendere tempo è passata. C’è il niet di Bertinotti e di Casini. E Veltroni ai promotori dei quesiti referendari che sono andati a trovarlo ha spiegato che non c’è più niente da fare: «Del resto, dovreste andare da Fini e non da me perché è lui che ha firmato il referendum ed è lui che adesso preferisce andare alle urne».

L’indisponibilità del centrodestra a fare le riforme sarà una delle carte che il centrosinistra giocherà al tavolo delle elezioni. Anche per questo Marini ha deciso di incontrare non solo i partiti, ma anche le forze sociali, in modo che sia chiaro che deve essere Berlusconi ad assumersi l’onere della rottura del dialogo e del ricorso anticipato alle urne, anche se sindacati e imprenditori (oltre che l’Unione ovviamente) chiedono il contrario. Una mossa tattica che nulla cambia sullo scacchiere politico. Tutti si stanno preparando alle elezioni. Veltroni ha già deciso che in campagna elettorale ripartirà il treno del Pd che, per la verità, non portò fortuna a Rutelli nel 2001. Tra gli organizzatori della campagna elettorale ci sono Bettini e Lusetti. Quest’ultimo fisserà le tappe del treno, mentre spetta a Bettini l’idea di far scendere in campo anche per le elezioni, come avvenne per le primarie, una lista «A sinistra per Veltroni». Un escamotage per togliere voti alla Cosa rossa, che ha già i suoi bei guai. Sì, perché anche da quella parti ormai si lavora alle elezioni e nessuno crede che sia possibile tornare indietro. Non lo pensa neanche Marini, il quale, non a caso ha fatto sapere che dopo il fallimento della sua esplorazione, non accetterà l’ipotesi di guidare un governo elettorale per andare al voto. Anche la soluzione di andare alle urne con Amato è stata scartata dal Pd. Perciò si andrà alle urne con Prodi.

A sinistra, si diceva, l’imminenza dell’appuntamento elettorale ha provocato qualche problema. Mussi, leader della Sd, non vuole che la Cosa rossa venga guidata da Bertinotti («sarebbe un’annessione»). Ma il presidente della Camera su questo punto è intransigente. Poi, potrà anche decidere di rinunciare al seggio alla Camera, ma la nuova formazione politica è una «sua creatura» e non accetta di cederne la leadership neanche a un giovane come Vendola. Perciò tutto è tornato in alto mare nel frastagliato arcipelago della sinistra. Mussi e Bertinotti sono d’accordo su un solo punto: nel nuovo simbolo non devono esserci la falce e il martello. Mentre nella Cosa rossa si litiga e si sgomita, Marini, anche ieri, ha proseguito come se nulla fosse le sue consultazioni. Incontrando anche i senatori che rappresentano solo loro stessi (Rossi e Turigliatto, per fare un esempio).

«E — racconta Oliviero Diliberto — ogni volta che entri in quella stanza trovi Enzo Bianco vicino al presidente del Senato. Con la prima bozza o la seconda della sua proposta di riforma a seconda del partito che deve essere consultato. Una presenza inquietante...». Una presenza che in realtà serve solo a certificare al puntiglioso Napolitano che non c’è più niente da fare. Come racconta Mastella «Franco mi ha dato ragione: mi ha detto che era finita». E che questa sia la piega che probabilmente prenderanno gli eventi lo dimostra anche il fatto che Gasbarra abbia annunciato ai vertici del Pd che non intende ricandidarsi alla Provincia di Roma perché vuole andare in Parlamento. Toccherà a Nicola Zingaretti scendere in campo per una battaglia certamente più semplice di quella che centrodestra e centrosinistra combatteranno a livello nazionale.

Maria Teresa Meli
01 febbraio 2008(ultima modifica: 02 febbraio 2008)

da corriere.it


Titolo: LUCA RICOLFI I rischi per la destra
Inserito da: Admin - Febbraio 02, 2008, 08:55:29 pm
2/2/2008
 
I rischi per la destra
 
LUCA RICOLFI

 
I politici di centro-sinistra hanno il morale a terra. Fiutano aria di sconfitta, e cominciano a rendersi conto che venti mesi di governo Prodi sono stati il più grande spot elettorale - per di più gratuito - di cui il Cavaliere abbia mai beneficiato. Per questo sono pessimisti, e si preparano mestamente al peggio.

La credenza del centro-sinistra di andare verso una Caporetto elettorale è sostanzialmente giustificata, se non altro perché largamente supportata dai sondaggi. Berlusconi ha di nuovo il coltello dalla parte del manico, e non c’è mossa degli astuti D’Alema e Veltroni che sia in grado di ribaltare la situazione. Il fatto che i dirigenti del centro-sinistra siano nell’angolo, però, non implica che il centro-destra abbia la vittoria in tasca. Chi fin da oggi è sicuro della vittoria di Berlusconi probabilmente sottovaluta alcune incognite.

La prima è che, di norma, il consenso per il governo in carica tocca il minimo lontano dalle elezioni, ma poi risale nei mesi immediatamente precedenti il voto. È già successo con la rincorsa di Rutelli nel 2001, si è ripetuto con quella di Berlusconi nel 2006, risuccederà nei mesi prossimi con quella di Veltroni. Dieci punti di distacco sono tanti, ma potrebbero tranquillamente diventare cinque già solo grazie a questo meccanismo.

La seconda incognita sono i possibili errori di Berlusconi. Qui si entra ovviamente nel regno dell’opinabile, ma a me pare che un errore il Cavaliere lo stia già facendo: l’errore «minestra riscaldata». Berlusconi ha passato gli ultimi mesi a ripetere che la legge elettorale va cambiata, che non si può governare con pochi voti di scarto, e che in passato lui stesso fu molto frenato nella sua azione riformatrice dal particolarismo degli alleati. A dispetto di questa ragionevole diagnosi, ora si oppone a qualsiasi cambiamento della legge elettorale e sembra fermamente intenzionato a riproporre la solita alleanza con Bossi-Fini-Casini, magari rinforzata da uomini come Mastella e Storace (grandi esperti di sanità, come tutti sanno...). Mi sbaglierò, ma questo a me pare un formidabile assist a Veltroni, che potrà dire (e certamente dirà): cari elettori, volete saltare dalla padella nella brace? Benissimo, votate l’allegra compagnia del centro-destra, così potrete rivedere per cinque anni il film del governo Prodi, con attori diversi ma uguali parti in commedia. È paradossale, ma in campagna elettorale potrà succedere che il fresco ricordo della litigiosità della coalizione di centro-sinistra venga usato da Veltroni non solo per giustificare la corsa solitaria del Pd, ma anche per profetizzare un analogo destino di discordia per il futuro governo di centro-destra.

La terza incognita è l’offerta politica. I sondaggi sono fatti a bocce ferme, ossia con gli attuali partiti. Ma che cosa succederebbe se, nei prossimi mesi, dovessero scendere in campo altri attori? Quanti voti perderebbero i partiti più grandi di fronte a una sfida antipolitica, tipo Beppe Grillo o Girotondi? E di fronte a una sfida neocentrista, tipo «Rosa bianca» o Family day? E di fronte a una sfida liberaldemocratica, tipo Montezemolo o «volonterosi»?

Le analisi e gli esercizi di simulazione condotti dagli esperti suggeriscono che il mercato potenziale di eventuali nuove liste sia molto ampio (fra il 10 e il 30 per cento), e che solo la scarsa credibilità e determinazione degli «imprenditori politici» che dovrebbero crearle renda remota l’eventualità di uno sconvolgimento degli equilibri partitici esistenti. Con la legge elettorale attuale, una formazione politica nuova che raccogliesse il 10 per cento dei voti e fosse sganciata da entrambi i poli sarebbe ininfluente alla Camera (a causa del premio di maggioranza) ma potrebbe diventare decisiva al Senato, dove non è detto che uno dei due poli disponga di una maggioranza autosufficiente.

Ma l’incognita più grande di tutte è il comportamento del partito invisibile degli indecisi, incerti, delusi, stufi, amareggiati, disgustati, arrabbiati, furibondi. I cittadini di questo tipo non sempre vanno a votare, e quando ci vanno spesso preferiscono annullare il voto o depositare nell’urna una scheda bianca. È possibile che alle prossime elezioni sia proprio questo segmento, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, a diventare il primo partito italiano. Un partito che non elegge direttamente alcun rappresentante, ma i cui comportamenti potrebbero anche diventare decisivi. Oggi siamo propensi a pensare che l’esercito degli indecisi potrebbe infliggere al centro-sinistra la più severa lezione dalla catastrofe del ’48. Ma il vento può cambiare in fretta, e il porcellum (la legge elettorale imposta due anni fa dalla Casa delle libertà) potrebbe rivelarsi pericoloso anche per il centro-destra, specie se Berlusconi, oltre a ripresentare se stesso, riproponesse per l’ennesima volta la solita squadra.

Il fatto di votare con una legge che non consente ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti costituisce un grande e ingiustificato privilegio del ceto politico. Permette a chi ci governa da vent’anni di non fare mai un passo indietro, e alle segreterie di partito di determinare al 90 per cento chi entrerà e chi starà fuori dal Parlamento. Ma a tutto c’è un limite, e non è detto che - per molti di noi - quel limite non sia già stato superato.
 
da lastampa.it


Titolo: Il centro si disfa.
Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2008, 11:40:54 pm
Il centro si disfa.

Nel Pd si accendono i motori per le elezioni


Finito il tentativo Marini, i partiti si preparano ormai alla campagna elettorale. Sul fronte destro è ormai scontato che si andrà alle elezioni con una coalizione ampissima: dall'Udc (ma Mastella e Dini sono vicini a dire sì) fino alla Destra di Storace.

Il centro in questo quadro risulta sempre più marginale, come conferma l'addio di Carlo Giovanardi all'Udc per andare con Forza Italia sotto l'ala di Silvio Berlusconi. Se qualche mese fa l'idea che il centro (autonomo) potesse essere l'ago della bilancia, ora le cose vanno diversamente. Berlusconi ha ripreso il controllo e il "centro" da Mastella a Dini, da Casini a Manzione, non sembra più avere voce in capitolo. Così anche Pierferdinando Casini cerca ora di ricordare a Berlusconi che pur essendo «rispettoso dell'alleanza», deve rispettare «la nostra identità, la nostra tradizione, il nostro Dna». 

Il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa conferma l'appiattirsi sulla leadership di Berlusconi: «Penso che andremo tutti uniti», e anche sulla partecipazione della Destra di Storace si limita ad un timido «vedremo».

Intanto anche la macchina organizzativa del Partito democratico si è già messa in moto: a Renzo Lusetti l'incarico di studiare e organizzare le tappe che Veltroni toccherà nel suo giro per l'Italia. Si tratterà, a quanto si apprende, di iniziative pubbliche su grandi temi, sulla falsariga delle convention americane, con pochi slogan ma chiari e riconoscibili. Ancora da definire il mezzo di trasporto: in un primo momento si era pensato di utilizzare il treno, ma le ultime quotazioni danno in pole position il pullman. Del resto, spiega una fonte, il metodo del pullman è già rodato e, soprattutto, racchiude in sè un valore simbolico: nel '96 si rivelò una scelta fortunata.

La campagna elettorale del Pd sarà comunque tutta incentrata sul programma e sulla novità che il Pd rappresenta sulla scena politica. Ed è proprio sull'elemento novità che punta Veltroni, sicuro della capacità del partito di sparigliare i giochi e rappresentare un catalizzatore di nuovi consensi.

I tempi sono stretti: la scelta delle candidature non potrà quindi essere affidata al popolo delle primarie, ma a livello nazionale se ne occuperà un ristretto gruppo di lavoro, guidato dallo stesso Veltroni, mentre a livello locale saranno i segretari regionali, ampiamente legittimati dal voto dei cittadini che li hanno eletti con le primarie, a selezionare i nomi.

L'appuntamento dell'Assemblea costituente, che dovrà ratificare il nuovo statuto, il manifesto dei valori e il codice etico del partito, sarà anticipato: inizialmente previsto per i primi di marzo, ora i vertici del Pd sarebbero intenzionati a convocare l'assise tra circa due settimane, comunque non oltre la fine di febbraio.

Per guidare il Pd nella campagna eelettorale, Walter Veltroni con molta probabilità si dimetterà da sindaco di Roma la prossima settimana e presumibilmente la data sarà mercoledì 13 febbraio. Fonti vicine al sindaco di Roma fanno sapere che «conoscendo Veltroni, userà tutti e sette i giorni a sua disposizione» per dimettersi, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione del decreto di scioglimento delle Camere sulla Gazzetta ufficiale, e partecipare così alla tornata elettorale. In Campidoglio ci sono ancora molti provvedimenti importanti da approvare, il piano regolatore su tutti, ed è molto probabile che Veltroni ne assista l'iter nella sua carica e con pieni poteri fino all'ultimo momento disponibile, ovvero mercoledì 13.

La stessa data ultima per tutti i sindaci dei comuni con più di 20 mila abitanti che si candideranno alla elezioni per evitare poi contumelie sull'eleggibilità. Sarebbero circa 150 gli amministratori locali che vorrebbero candidarsi, compresi alcuni presidenti di Provincia e di Regione. Tra cui potrebbero esserci  il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, di centrodestra e il presidente della Provincia di Milano Filippo Penati, di centrosinistra.

Tra i sindaci che hanno già reso note le loro intenzioni, quello di Vicenza - Enrico Hullweck - che ha più volte dimostrato di gradire una candidatura in Forza Italia. Il più sicuro della scelta da fare è invece il primo cittadino di Venezia Massimo Cacciari. «Ciò che voglio fare lo ho già dimostrato - spiega il sindaco - quando mi sono candidato per le regionali del 2000 e mi sono dimesso da sindaco. È scontato che lo rifarei».

Il Pd, ha detto e ripetuto Veltroni, correrà da solo. Ma la Sinistra Democratica insiste in un ripensamento. Anzi, per Sd tutta la "Cosa rossa" dovrebbe proporre al Pd la nascita di una coalizione di centrosinistra «su basi programmatiche rinnovate». «L'intesa tra Pd e sinistra - sostiene in un comunicato - è la strategia che può consentire, sul piano numerico, di contendere la vittoria al centrodestra e dare all'Italia la speranza di un governo innovativo».
Al contrario «sarebbe grave se il Pd confermasse la scelta della solitudine elettorale che contiene l'annuncio della rinuncia a competere per il governo dell'Italia. Non si possono spalancare, senza combattere, le porte a Berlusconi e ai suoi». Sd avanza questa proposta alle altre forze della sinistra ma anche «ai compagni socialisti , le cui importanti battaglie per l'eredità socialista e per la laicità dello stato rischiano di dissolversi nel contenitore neutro del Partito democratico».

Di parere diverso Oliviero Diliberto dei Comunisti Italiani che chiede a Bertinotti di fare il candidato premier della "Cosa rossa".
«Noi glielo chiediamo ufficialmente: Bertinotti è l'uomo giusto per unire tutte le sensibilità della sinistra». Domenica, alla trasmissione su Rai3 condotta da Lucia Annunziata, l'attuale presidente della Camera aveva chiarito che accetterebbe di guidare la sinistra arcobaleno come candidato premier di bandiera solo di fronte ad un invito unanime da tutti i partiti che compongono la federazione.


Pubblicato il: 04.02.08
Modificato il: 04.02.08 alle ore 23.12   
© l'Unità.


Titolo: Prodi e Padoa Schioppa hanno deciso di anticipare i risultati della trimestrale
Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2008, 11:43:00 pm
POLITICA

In caso di scioglimento delle Camere, Prodi in carica fino al voto (6 o 13 aprile)

Lunga la lista dei provvedimenti a rischio. Al governo dimissionario solo affari correnti

A maggio il nuovo governo

A rischio 12 miliardi di tesoretto

Prodi e Padoa Schioppa hanno deciso di anticipare i risultati della trimestrale

Mancano deleghe chiave per welfare, stipendi e lavori usuranti

di CLAUDIA FUSANI

 
ROMA - Elezioni in aprile e Prodi padrone di casa a Palazzo Chigi fino al voto. E' lo scenario prossimo venturo più probabile. "Prodi premier in carica fino alle elezioni", dice anche Anna Finocchiaro al termine del faccia a faccia del Pd a Palazzo Giustiniani. Una condizione che da una parte "arma" la mano di Berlusconi perché è più "facile" fare campagna elettorale avendo alla guida del governo il leader della coalizione sconfitta. Ma che può anche "armare" il Pd e il centrosinistra se è vero che nei prossimi due-tre mesi dovrebbero andare a buon fine una serie di iniziative economiche a favore dei salari e del lavoro dipendente, quell'operazione di risarcimento sociale tanto attesa dopo un anno e mezzo di "no" e sacrifici.

Come che sia, vantaggio e svantaggio per l'uno o per l'altro dei competitor, la non soluzione della crisi e la gestione ordinaria a cui l'esecutivo dimissionario è obbligato nei mesi precedenti il voto, rischia di congelare un sacco di soldi che dovevano andare proprio a salari e pensioni. I tecnici contano che sono almeno una trentina i decreti legislativi che se non approvati rischiano di far saltare importanti misure previdenziali e sui salari. E che sono "circa 12 i miliardi" pronti per essere distribuiti. A tanto dovrebbe infatti ammontare "il tesoretto". Ora non si sa. Perché, ci si chiede, fino a che punto i provvedimenti economici finanziari rientrano nelle emergenze e/o nell'ordinaria amministrazione su cui il governo dimissionario è tenuto a legiferare?

Agenda elettorale. Il presidente Marini ha rimesso stasera il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica. A Napolitano ha detto che non c'è stato nulla da fare, che al termine delle 27 consultazioni - oltre a gruppi e partiti anche le associazioni della società civile, dai sindacati ai Comitati per il referendum e Per le riforme - non è stato possibile trovare una sintesi e tentare di mettere su un governo di pochi mesi in grado di fare le attese riforme. A questo punto il boccino torna nelle mani del Presidente della Repubblica che però era già stato chiaro: un governo di larghe intese per le riforme altrimenti nulla. Esiste in teoria un'altra strada per il Presidente: quella cioè di dare ascolto a chi, tra i costituzionalisti, ha avvertito sia il Colle che Marini che il voto con questa legge elettorale potrebbe essere invalidato dai ricorsi dei cittadini per la dubbia costituzionalità della legge così come ha evidenziato la Consulta. Ipotesi possibile ma molto remota.

Lo scioglimento delle Camere. Quello che succederà quasi certamente nelle prossime ore è che Napolitano convocherà i presidenti delle Camere per comunicare la decisione di sciogliere Camera e Senato. I due rami del Parlamento resteranno in carica solo per i cosiddetti affari correnti. Poi sarà il Consiglio dei ministri a indire le elezioni anticipate e fissare la data di convocazione del nuovo Parlamento. La date del voto, invece, saranno indicate dal ministero dell'Interno. E' molto probabile il 6 o il 13 aprile. Il nuovo governo dovrebbe giurare e diventare operativo ai primi di maggio.

Il tesoretto per i salari - Lo dirà la trimestrale di cassa ("a questo punto sarà anticipata il più possibile" dicono fonti del ministero. A fine febbraio?) quanti saranno realmente i soldi a disposizione. I tecnici dei dicasteri economici hanno calcolato che tra tagli alle spese correnti e recupero da evasione fiscale l'esecutivo potrebbe gestire un tesoretto pari a 10-12 miliardi che dovrebbe essere ridistribuito (così come dispone la Finanziaria) secondo un piano in tre capitoli: salari; lavori usuranti; rinnovo contratto statali. Sette-otto miliardi di extragettito erano stati destinati al recupero di potere di acquisto dei salari: nel vertice di maggioranza del 10 gennaio Prodi e il governo si erano impegnati a destinare le risorse del tesoretto per ridare potere d'acquisto ai salari grazie a un piano di interventi fiscali in favore dei lavoratori dipendenti e delle famiglie e la detassazione degli straordinari.

Il confronto con sindacati e parti sociali: che fine fa lo sciopero del 15 febbraio? La maggioranza bisticciava al suo interno sui tempi della ridistribuzione: Padoa Schioppa diceva giugno; i sindacati dicevano "adesso", cioè tra un mese. Su questo punto era stato proclamato lo sciopero. Che adesso resta senza interlocutori. Ma i tavoli erano avviati e gli accordi incardinati. Il governo voleva mettere mano a pressione fiscali, redditi e pensioni, prezzi e tariffe, sicurezza sul lavoro, tagli alla prima aliquota Irpef (dal 38 al 37 per cento per gli stipendi medi tra i 28 e i 55 mila euro), detrazioni agli stipendi più bassi e per le famiglie meno abbienti con una dote fiscale per i figli (una superdetrazione per chi ha figli fino a tre anni). E al tempo stesso alzare al 20 per cento la ritenuta fiscale sui redditi finanziari.

Il pacchetto per i lavori usuranti. La legge sul welfare, approvata a fine dicembre, contiene almeno sei deleghe che vanno in scadenza nei primi tre mesi dell'anno. Tra queste la più importante è quella relativa ai lavori usuranti. Il welfare, infatti, riformando il sistema delle pensioni, aveva individuato un settore di lavoratori - quelli usuranti appunto - che potevano andare in pensione tre anni prima degli anni. Per rendere operativa questa norma era necessario un decreto delegato. Secondo le stime di palazzo Chigi sono circa un milione e mezzo i lavoratori coinvolti. Il decreto legislativo che doveva fissare le modalità con cui applicare lo sconto di tre anni sull'età minima della pensione deve essere approvato entro i primi tre mesi dell'anno.

Missioni militari. Il Parlamento dimissionario dovrà convertire in legge il decreto sulle missioni militari all'estero. Pena il ritiro immediato delle truppe. Anche questa rischia di diventare, come si può intuire, una partita puramente elettorale. Il Parlamento dovrà convertire il decreto in legge entro il 25-26 marzo. Il decreto del governo infatti porta la data del 25 gennaio, all'indomani dell'apertura della crisi. Già quel giorno, nonostante l'Unione finita in pezzi la sera prima nell'aula di palazzo Madama, il ministro Paolo Ferrero (Rc) votò contro. Si può immaginare cosa potrà succedere a fine marzo, in piena campagna elettorale, con ognuno nel centro-sinistra che dovrà piantare la propria bandiera di identità più o meno pacifista e antimilitarista.

L'emergenza rifiuti. In piena campagna elettorale, a fine marzo, scade anche il mandato del prefetto Gianni De Gennaro, commissario straordinario per i rifiuti in Campania. Il mandato del premier Prodi era di tre mesi per chiudere l'emergenza e avviare un sistema coordinato di smaltimento dei rifiuti. Non sembra possibile, ad oggi, che De Gennaro possa riuscire a concludere il suo mandato entro fine marzo. A quel punto cosa farà il governo in carica ma dimissionario?

(4 febbraio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Il primo duello Veltroni-Berlusconi la parola chiave è: governabilità
Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2008, 11:44:04 pm
POLITICA IL PUNTO

Il primo duello Veltroni-Berlusconi la parola chiave è: governabilità

di MARCO BRACCONI


ROMA - "Mercoledì Napolitano scioglie le Camere", dice il centrista Tabacci dopo aver incontrato Prodi.
Ma la campagna elettorale è già iniziata. Prima silenziosamente, tra le righe delle prime giornate di consultazioni a Palazzo Giustiniani. Oggi, con Berlusconi e Veltroni davanti alle telecamere, prima uno e poi l'altro.

Di fatto è andato in onda il primo faccia a faccia tra i due duellanti dell'aprile 2008. Veltroni-Berlusconi.
L'un contro l'altro armati. Di qua il candidato di sempre, che prova a conquistare Palazzo Chigi per la terza volta. Di là il sindaco di Roma, che lancia la sfida nel nome della novità. Il primo in vantaggio nei sondaggi. Ma il secondo ha un'arma non più segreta - il Pd che si presenta da solo - da non sottovalutare.

Basta ascoltare quanto hanno detto in Senato dal palchetto allestito per la stampa nella sala degli Specchi per capire che le rispettive strategie sono in parte già decise.

Il capo di Fi sfrutterà, ossessivamente, il fallimento del governo Prodi. Dal carovita alla munnezza, non a caso citata anche oggi a Palazzo Giustiniani. Per il centrodestra sarà un refrain continuo, al quale però si affiancheranno poche parole d'ordine: meno tasse, più soldi per le famiglie e pugno duro su immigrazione e criminalità.

Su questi temi il leader del Pd, dalla "discesa in campo di Torino" in poi, ha già fatto capire di voler puntare.
E la sua esigenza, specularmente opposta a quella del suo avversario, è quella di lasciare sullo sfondo l'esperienza del precedente esecutivo. Ma la parola su cui più di tutto conta Veltroni per rimontare i cinque o sei punti che potrebbero fargli cogliere almeno un pareggio è una sola: "governabilità".

Ad oggi, infatti, l'anello debole della larghissima coalizione di centrodestra è la mancata risposta al vento dell'antipolitica che soffia - e soffia bipartisan - nel Paese. Una tramontana gelata contro la politica dei "venticinque partiti", la politica "che litiga", che "non decide" e che "si chiude nelle sue beghe autoreferenziali". Nella Cdl, una alleanza da Storace a Casini - e Fini ha già fatto capire di avere ben presente il problema - non c'è una risposta. Dall'altra parte, se il Pd si presenta da solo con il suo programma, sì.

Il Cavaliere è ormai uomo politico esperto, e sa che contro un Pd non coalizzato con la Cosa rossa l'armamentario della propaganda anticomunista è una pistola quasi scarica. Per questo, c'è da aspettarsi, non faticherà a metterlo in soffitta. Più difficile trovare risposte efficaci alla questione che ogni giorno Veltroni solleverà davanti al Paese: "Meno tasse, più crescita, più sicurezza, ma come si fa se si va al governo in dieci partiti, e come al solito non si riuscirà a governare?"

Se il Pd andrà da solo, o si limiterà ad accordi tecnici per il Senato, sarà insomma una campagna elettorale nuova. Nella quale i singoli temi potrebbero essere preceduti da una questione preliminare e di fondo: che risposta la politica può dare alla politica in crisi?

Basti un solo esempio.
Senza coalizioni "coatte" Veltroni potrebbe essere in grado, un mese prima del voto, di dare la sua lista di ministri. Il Cavaliere, alla guida di una gioiosa macchina da guerra di nove o più partiti, potrà fare altrettanto?

(4 febbraio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Prodi: resto fuori, avanti le nuove generazioni
Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2008, 03:02:53 pm
Cena «politica»

Prodi: resto fuori, avanti le nuove generazioni

Il Professore riunisce i suoi: dobbiamo aiutare Walter e vincere, così il mio lavoro proseguirà


ROMA — Febbre elettorale. Romano Prodi l'ha già alta e, mentre il Quirinale si prepara ad annunciare lo scioglimento delle Camere e il voto in aprile, a Palazzo Chigi il premier dimissionario, nonché presidente e fondatore del Pd, carica e sprona i prodiani in vista di una battaglia politica che i sondaggi danno tutta in salita. Brindisi, qualche piccolo regalo e tante analisi a sfondo elettorale ieri sera nella sede del governo. Attorno al tavolo, Prodi e i fedelissimi. O perlomeno alcuni di loro (i ministri Bindi e Santagata, i parlamentari Magistrelli, Monaco, Barbi, Gozi, Soliani, oltre alla moglie Flavia). Cena di piacere, che inizialmente doveva riunire solo le donne prodiane. Cena resa inevitabilmente piccante dall'imminente sfida elettorale.

«Dobbiamo e possiamo vincere — ha esordito il Professore, che nel pomeriggio aveva incontrato Veltroni e Franceschini — e le nostre armi saranno la novità rappresentata dal Pd e l'unità che riusciremo a produrre attorno alla candidatura di Walter a premier: su questo, pretendo il massimo impegno da parte di tutti».

Avrà anche un futuro da nonno, Prodi, e probabilmente qualche sassolino da togliersi nei confronti di più di un alleato, ma chi spera in sfoghi o in regolamenti di conti dovrà aspettare a lungo: «Il momento è difficile, è una campagna elettorale che coglie il Paese in un passaggio molto delicato: solo vincendo potremo continuare il lavoro impostato dal mio governo, che stava dando frutti importanti ». Un Prodi tonico, pronto ad affrontare per l'ennesima volta le trincee elettorali: «Darò il mio contributo in prima persona», ha assicurato. Ma subito dopo, quando le urne saranno chiuse e le percentuali avranno disegnato la nuova geografia della politica italiana, lui si tirerà da parte. Non ci saranno prolungamenti alla sua avventura da parlamentare.

L'aveva detto giorni fa, l'ha ripetuto ieri sera ai suoi fedelissimi, dopo averlo ufficialmente comunicato nel pomeriggio anche a Veltroni e a Franceschini: «Non intendo ricandidarmi né alla Camera né al Senato. Ritengo sia giunto il momento che una nuova generazione politica si faccia avanti. Ed è mio dovere dare l'esempio. Ho avuto la fortuna di avere tanto dalla vita. Ora penso sia il momento che altri abbiano la possibilità di mettersi alla prova».

Pensione in vista? «No — assicurano i suoi —: Prodi continuerà ad occuparsi di politica e del Pd, ma in modo diverso da quanto fatto finora».
Piuttosto, azzarda qualcuno, nel passo indietro del Professore si potrebbe anche leggere un indiretto messaggio a Silvio Berlusconi, l'avversario di sempre. Come a dire: anche per il Cavaliere, arrivato alla sua quinta candidatura a premier dal 1994 ad oggi, è forse giunto il momento di tirarsi fuori dalla mischia.

Invitati
All'incontro hanno partecipato la Bindi, Barbi, Monaco, Gozi e la Magistrelli

Sintonia
Il premier dimissionario Romano Prodi e Rosy Bindi

Francesco Alberti
06 febbraio 2008

da corriere.it


Titolo: Prodi: «Dopo il voto guideremo il Paese»
Inserito da: Admin - Febbraio 16, 2008, 11:21:20 pm
Alla nuova fiera di roma

Prodi: «Dopo il voto guideremo il Paese»

Il premier ha aperto i lavori dell'assemblea del Pd. Finocchiaro: mi candido alla presidenza della Sicilia

 
ROMA - «Credo che la pazienza sarà una virtù necessaria, quando dopo le elezioni torneremo alla guida del Paese». Romano Prodi apre con queste parole l’assemblea costituente del Partito Democratico alla nuova Fiera di Roma accolto da un'ovazione della platea e dalle note di «What a wonderfoul word» nella versione di Joey Ramones. E ancora: «Il Pd raggiungerà la maggioranza dei consensi perché è una forza che affronta con serietà e idee nuove i problemi dell’Italia». Il premier ha quindi ribadito che non si presenterà alle elezioni di aprile: «Non mi ricandido, serve rinnovamento e coerenza». Oltre a Prodi, sul palco ci sono il segretario del Pd Walter Veltroni e il suo vice Dario Franceschini, Anna Finocchiaro e Antonello Soro. La Finocchiaro ha approfittato di quella che ha definito «una giornata importante per il Pd» per annunciare la sua candidatura alla presidenza della Regione Sicilia. «In Sicilia è possibile rompere il dominio del centrodestra, il cui governo ha mostrato incapacità di cogliere le possibilità dell'isola» ha detto. È seguito un fortissimo applauso da parte dell'assemblea dei delegati.

RIPRESA - Il Paese ha davanti grandi «sfide economiche che si vincono solo con il cambiamento che deve rompere incrostazioni e privilegi», spiega Prodi nel suo intervento, dicendosi convinto della necessità di «un riformismo nuovo e di un cambiamento per garantire la ripresa economica». E difende l'operato della sua seppur breve prermanenza a Palazzo Chigi: «Nelle condizioni date, siamo stati molto bravi».

REDISTRIBUZIONE - «È motivo di profondo orgoglio essere riusciti, nel momento stesso in cui risanavamo i conti dello Stato, a redistribuire un punto di Pil ovvero 15 miliardi di euro alle fasce più deboli della società - ha detto Prodi -. Una redistribuzione resa possibile da quei successi nella lotta all'evasione fiscale e nella diminuzione della spesa pubblica che oggi ci vengono riconosciuti da tutti, a partire dalla Ue».

IRAQ - E sulla politica estera: «Nel 2006 abbiamo combattuto e sconfitto una politica di isolamento in Europa, una linea di politica estera che era ed è lontana dal nostro concetto di pace. Per questo motivo siamo tornati a casa dall'Iraq».

VELTRONI - «Sono al fianco di Walter per rispondere alle domande che arrivano dalle realtà internazionali e alla crisi del sistema - ha concluso il premier dimissionario -. Stiamo lavorando per una grande forza di centrosinistra che raggiungerà la maggioranza nel Paese. Il Partito Democratico è l'insieme di culture politiche che affondano le loro radici in storie diverse il cui terreno però è comune ed è quello del riformismo».

D'ALEMA - Una candidatura, quella di Veltroni, elogiata anche da D'Alema, presente all'assemblea. «Quello che mi auguro è che i leader del mondo trovino a riceverli in Italia un leader contemporaneo e non si trovino nell'imbarazzante situazione di venire a visitare un sito archeologico restaurato e tirato a lucido per l'occasione. Il senso della sfida è tra passato e futuro del Paese - ha detto, senza risparmiare Berlusconi da una battuta pungente -. Abbiamo già vinto una sfida di importanza storica: la nascita del Pd segna la fine di una lunga transizione della politica italiana e l'inizio di una nuova stagione. Comincia una nuova epoca. Ora è importante vincere anche la sfida del 13 aprile».

 DELEGATI - L'assemblea costituente del Pd dà ufficialmente il via alla campagna elettorale. I 2.800 delegati eletti alle primarie sono chiamati ad approvare lo statuto e il manifesto del partito, ma soprattutto a incoronare Veltroni candidato premier. Il logo «Partito Democratico, Veltroni presidente» è l'unica novità della scenografia rispetto alla prima assemblea di Milano. Il colore verde domina gli sfondi e sul palco. Tra i presenti, il presidente dei giovani imprenditori di Confindustria, Matteo Colaninno e il senatore Nuccio Cusumano.


16 febbraio 2008

da corriere.it


Titolo: PRODI BILANCIO DEL PREMIER - La mia eredità
Inserito da: Admin - Febbraio 21, 2008, 10:46:01 am
19/2/2008

BILANCIO DEL PREMIER - La mia eredità

di ROMANO PRODI

Caro direttore,
l’editoriale di Luca Ricolfi, apparso ieri sul suo giornale, mi impone di
intervenire in quanto - pur di sostenere le proprie tesi in vista della
competizione elettorale - l’editorialista non si fa scrupolo di usare in
modo strumentale e scorretto molte cifre che si riferiscono all’azione del
mio governo. Per evitare ulteriori «incomprensioni», mi permetterà di far
seguire a ogni considerazione «virgolettata» di Ricolfi, la valutazione
ufficiale mia e del governo, confidando di evitare un successivo rimpallo di
dichiarazioni.

«Lotta all’evasione. La cifra di (almeno) 20 miliardi recuperati è altamente
controversa, ed è stata messa in dubbio da vari analisti e centri di studio
indipendenti. Per il 2006, unico anno per il quale si dispone già di dati
completi, non è nemmeno certo che esista un effetto-Visco (la mia migliore
stima fornisce un recupero di evasione di appena 1,7 miliardi)».

La stima del recupero di evasione per oltre 20 miliardi di euro è robusta ed
ampiamente documentata dai documenti ufficiali presentati dal governo al
Parlamento. A sostegno della credibilità della stima è l’andamento
dell’elasticità delle entrate tributarie al Pil.

Dal 2001 al 2005 è stata pari allo 0,75 per cento. Nel 2006 è stata pari al
2,6 per cento; nel 2007 è stimata all’1,6 per cento. È vero che nel corso
del 2006 anche altre economie sviluppate hanno avuto un aumento
dell’elasticità, tuttavia laddove essa è aumentata di più (Spagna),
l’incremento è stato inferiore alla metà di quello raggiunto in Italia.

Più in dettaglio, l’imposta maggiormente sensibile alla lotta all’evasione è
l’Iva da scambi interni, la quale ha un termine di confronto molto chiaro
per misurare l’emersione di base imponibile: i consumi interni. A partire da
maggio 2006, il gettito Iva da scambi interni è aumentato a tassi più che
doppi rispetto alla crescita dei consumi interni. Anche nel 2007, il gettito
Iva da scambi interni ha superato nettamente l’incremento dei consumi
interni. In sintesi, è emersa senza alcun dubbio nuova base imponibile.

In ogni caso, la discussione sulla quantità di risorse recuperate non può
offuscare un punto politico incontrovertibile, sottolineato innanzitutto
nella letteratura economica: i condoni favoriscono l’evasione. I 20 condoni
realizzati dal governo che ci ha preceduti hanno sicuramente determinato
l’ampliamento dell’irregolarità fiscale. E non a caso, l’Italia ha ancora un
procedimento in corso presso la Corte di Giustizia Europea per il condono
Iva del 2003, proprio per l’effetto di tale condono sull’evasione e quindi
sul gettito Iva per il Bilancio della Commissione Europea (alimentato
dall’imposta raccolta nei Paesi membri). La discontinuità nella politica
fiscale con il governo da me presieduto ha certamente innalzato la
correttezza nel comportamento dei contribuenti.

«Quel che in compenso è certo è che il governo Prodi ha sempre tenuto basse
le previsioni sulle entrate fiscali, e proprio grazie a questo artificio
contabile ha fatto emergere i vari “tesoretti”». Innanzitutto, oltre che
nell’extragettito non previsto, i risultati della lotta all’evasione sono
presenti nel gettito previsto in conseguenza di precise misure di intervento
contenute nel decreto di luglio 2006 e nella legge finanziaria per il 2007.
La quantificazione di tali misure ha avuto il vaglio della Ragioneria
Generale dello Stato e dei Servizi competenti di Camera e Senato. In
particolare, il decreto del luglio 2006 conteneva misure antievasione
quantificate in quasi 3 miliardi euro, mentre la legge finanziaria per il
2007 associava agli interventi antievasione quasi 6 miliardi di euro. In
sintesi, quasi la metà degli oltre 20 miliardi di recupero di evasione sono
frutto di un ventaglio di interventi dall’impatto finanziario ufficialmente
previsto e «bollinato».

E comunque, a proposito di previsioni «tenute basse», va sottolineato che le
previsioni devono soddisfare precisi criteri di contabilità pubblica. Il
ministero dell’Economia e delle Finanze poteva incorporare nelle previsioni
soltanto l’effetto di misure direttamente quantificabili. Il miglioramento
della regolarità dei comportamenti è per definizione non quantificabile ex
ante, in quanto dovuto al clima fiscale promosso dal governo: dalla
credibile eliminazione dei condoni, al riavvio dell’attività dell’Agenzia
delle Entrate, anche con iniziative esemplari su grandi evasori. I risultati
del clima fiscale si misurano ex post, in particolare attraverso
l’elasticità di specifiche imposte rispetto a specifiche basi imponibili.

Si aggiunga poi un’altra circostanza: per un Paese ancora fortemente
indebitato come l’Italia mancare di prudenza con le previsioni finanziarie -
come ad esempio capitò al governo Berlusconi nei Dpef 2003-2006 - può essere
molto dannoso. Costruire quadri finanziari poco realistici significa esporsi
al rischio di entrate più basse rispetto a quanto stimato e di spese
pubbliche destinate a crescere, proprio a causa di una programmazione
«lassista», ben più di quanto sia consentito dall’andamento dell’economia.
Atteggiamenti prudenziali non solo sono giustificati, ma costituiscono la
base onesta per una buona e corretta programmazione finanziaria.

«Uso dell’extragettito. Quale che sia l’origine del cosiddetto extragettito
(gettito non previsto dal governo), è incontrovertibile che i contribuenti
non hanno visto sgravi fiscali per 20 miliardi di euro (la lotta
all’evasione fiscale non doveva servire a ridurre le tasse ai contribuenti
onesti?). Essi hanno invece assistito, nel corso del 2007 a una sistematica
opera di dissipazione del gettito non previsto. Visco metteva i soldini nel
salvadanaio, i “ministri di spesa” lo rompevano tutte le volte che si
accorgevano che era pieno (Dl 81, Dl 159, Finanziaria 2008)».

Se quello che scrive il professor Ricolfi fosse vero, nel 2007 avremmo
dovuto assistere a un aumento delle spese di pari entità rispetto ai
guadagni ottenuti in termini di gettito con la migliore crescita economica e
con la lotta all’evasione. Ma così non è stato. Non abbiamo ancora i dati
definitivi, ma le informazioni ufficiali a disposizione ci consentono di
affermare che:
il disavanzo pubblico sarà con grande probabilità sotto il 2% del Pil, ben
al di sotto del 2006 e degli anni precedenti;
il fabbisogno di cassa delle Amministrazioni Pubbliche potrebbe essere
risultato nel 2007 «prossimo per l’intero anno a 38 miliardi, circa il 2,5%
del Pil (il valore più basso degli ultimi quattro decenni)» (p. 28,
Bollettino Economico Bankitalia, gennaio 2008);
Sulla base di elaborazioni dei dati Bankitalia resi noti l’11 febbraio 2008,
l’andamento delle spese di cassa del bilancio statale riferito all’intero
2007 mostra rispetto al 2006 che le spese correnti al netto degli interessi
passivi (questi ultimi aumentati tra il 2006 e il 2007 di circa 7 miliardi
di euro) sono praticamente rimaste invariate in termini nominali (e quindi
calate in termini reali di circa il 2%);
mentre le spese in conto capitale, così come tutti ci chiedevano, sono
aumentate di poco più di 8 miliardi di euro; e, di conseguenza, che le spese
totali al netto degli interessi sono aumentate del 2,1%, restando
sostanzialmente invariate in termini reali. Ricordo solo che il tasso di
crescita delle spese negli anni precedenti era ben superiore, quasi il
doppio, di quanto realizzato dal mio governo.

Aggiungo anche che nei miei 20 mesi di governo l’aumento delle entrate e il
controllo delle spese - a cominciare da quelle rientranti nei «costi della
politica» - hanno consentito di ridurre il cuneo fiscale di cinque punti
percentuali sulle imprese e sui lavoratori; di riformare l’imposta sulle
imprese con un abbassamento dell’aliquota di cinque punti e mezzo; di
introdurre semplificazioni e facilitazioni («forfettone») per le piccole
imprese; di ridurre l’aliquota Irap, di abbassare la pressione fiscale sui
redditi medio-bassi. Certo - ma ne sono orgoglioso - abbiamo aumentato le
risorse destinate ai più poveri (pensionati e incapienti), ai precari
(introduzione dell’indennità di maternità, dell’indennità malattie, migliori
condizioni per le pensioni future, facilitazioni per il riscatto ai fini
pensionistici della laurea), alle giovani coppie in affitto e l’elenco
potrebbe continuare.

«Morale. Il governo Prodi consegna all’Italia una situazione nella quale non
c’è più alcun extragettito da spendere e, se anche qualche risorsa dovesse
mai spuntare fuori, verrebbe immediatamente bruciata per coprire i 7-8
miliardi di spese non messe in bilancio dalla Finanziaria 2008».

In sintesi, quando il governo che ho avuto l’onore di guidare si è
insediato, l’Italia era ancora sotto la procedura per disavanzo eccessivo da
parte dell’Unione Europea. Proprio in questi giorni il Commissario Almunia
ha annunciato che dal prossimo aprile la procedura sarà cancellata. Al tempo
stesso, spese pubbliche, evasione fiscale e disavanzo pubblico erano in
forte crescita, il debito pubblico rispetto al Pil aveva ripreso a salire.
Oggi siamo in una situazione nella quale le spese sono tornate nell’alveo
delle necessità del risanamento, l’area dell’evasione fiscale è stata
visibilmente ridotta, il disavanzo pubblico è solidamente sotto il 3% del
Pil, il debito rispetto al Pil è nuovamente e significativamente in discesa.
I grandi obiettivi del pareggio di bilancio e di un debito pubblico sotto il
100% del Pil non sono più dei miraggi, ma delle mete realistiche che è
diventato possibile raggiungere negli anni a noi più prossimi. E si tratta
di mete che la nuova situazione del bilancio consente di accompagnare alle
misure, altrettanto necessarie, di riduzione del carico fiscale.

Come detto più volte, saranno i prossimi dati di consuntivo 2007 e la
prossima Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica a
certificare il buon andamento delle finanze pubbliche e a aggiornare le
previsioni sul 2008. Mi limito solo a ricordare quanto da altri già scritto
è cioè che il governo che verrà farà bene a preservare la buona eredità che
noi lasciamo sia sul fronte dell’aumento del gettito da evasione sia della
gestione delle spese pubbliche.

Mi scuso per la lunghezza della risposta e per l’elencazione di cifre,
percentuali e dati economici. Ma credo si tratti di una precisazione
doverosa al fine di evitare che tali e tante imprecisioni possano diventare
strumento di mistificazione elettoralistica.

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da lastampa.it


Titolo: Prodi annuncia l'addio: «Lascio la politica italiana»
Inserito da: Admin - Marzo 09, 2008, 11:53:46 pm
Prodi annuncia l'addio: «Lascio la politica italiana»


«Il futuro è sempre sereno perchè ci sono cose da costruire. Io ho chiuso con la politica italiana e forse con la politica in generale, ma il mondo è pieno di occasioni dove c'è gente che aspetta aiuto e pace. C'è più spazio ora che prima». Lo afferma il presidente del Consiglio Romano Prodi, nel corso di un'intervista a Sky tg24, rispondendo ad una domanda sul suo futuro.

«Intristisce molto una campagna elettorale in cui si stracciano i programmi», ha poi detto Prodi, riferendosi al gesto compiuto sabato a Milano da Silvio Berlusconi. Per Prodi «i programmi sono il cuore di una campagna elettorale».

Poi sull'inflazione. «Sarebbe ora che si finisse con le previsioni perchè sommando gli aumenti si crea un'angoscia terribile, e non serve». L'aumento dei prezzi «va controllato» sottolinea il premier che ribadisce poi l'importanza di aver fatto le liberalizzazioni: «Sono servite - dice Prodi - ma se il prezzo del grano aumenta del 70% e se il petrolio arriva a 105 dollari c'è un problema».

«Un'ordinaria amministrazione così lunga crea problemi al Paese, tante cose che si dovevano fare ed erano pronte non si possono portare in porto. Cerco di fare un'ordinaria amministrazione piena, sempre rispettando i limiti».

«Cerco di aiutare le imprese, aiutando i nostri lavoratori, aiutando l'export - aggiunge - ma non è facile ed è singolare che si chiami ordinaria amministrazione un processo che dura così a lungo, ma queste sono le regole e vanno rispettate».

Massimo D'Alema telefonerà a Romano Prodi, dopo che il premier uscente ha detto che non farà più politica. «D'altronde - ha detto D'Alema - sono anche vice Presidente del Consiglio e con Prodi ci sentiamo anche più volte al giorno». D'Alema, a Venezia per un convegno, parlando delle affermazioni di Prodi ha detto: «Prodi ha deciso di non candidarsi alle elezioni, non è una novità è una scelta sua di chi vuole lasciare spazio ad una nuova generazione». «Sentirò Prodi - ha aggiunto - come faccio più volte al giorno». D'Alema ha anche aggiunto che per lui si tratta di dichiarazioni di seconda mano che vanno approfondite prima di esprimersi.


Pubblicato il: 09.03.08
Modificato il: 09.03.08 alle ore 20.43   
© l'Unità.


Titolo: PRODI : «Lascio la politica italiana»
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2008, 03:15:29 pm
Prodi: «Lascio la politica italiana»

di Nicoletta Cottone

«Lascio la politica, ma il mondo è pieno di occasioni». Intervistato da SkyTg24, il presidente del Consiglio Romano Prodi parla del suo futuro, che vede lontano dalla politica. «Il futuro è sempre sereno perchè ci sono cose da costruire. Io ho chiuso con la politica italiana e forse con la politica in generale. Ma il mondo è pieno di occasioni, ma anche di doveri. C'è tanta gente che aspetta una parola di pace e di aiuto, e quindi c'è più spazio adesso di prima». Prodi ha ricordato che negli ultimi mesi si è molto parlato del fatto che i politici dovessero avere la capacità e il senso del bene comune anche nel momento in cui lasciavano, «io lo sto facendo con profondità e serietà». Commenta poi il gesto del leader dell'opposizione Silvio Berlusconi che ieri a Milano ha strappato il programma elettorale del Pd, bollandolo come carta straccia. «Vedere una campagna elettorale dove si strappano i programmi mi intristisce molto», dice Prodi, perché i programmi sono il cuore della campagna elettorale.

Prodi ha anche affrontato il tema dell'ordinaria amministrazione. «Un'ordinaria amministrazione così lunga crea problemi al Paese, tante cose che si dovevano fare ed erano pronte non si possono portare in porto. Cerco di fare un'ordinaria amministrazione piena, sempre rispettando i limiti».Cerco di aiutare le imprese, aggiunge Prodi, «ma è singolare che si chiami ordinaria amministrazione un processo che duri così a lungo». Sui prezzi Prodi ha chiesto più controlli, ma senza che si crei angoscia. «Benzina e petrolio sono cresciuti come mai dal Dopoguerra. Cerchiamo di controllare i prezzi, il comportamento degli intermediari e più concorrenza nel sistema, ma non spargiamo ogni giorno dell'angoscia perché è troppo comodo farlo». Le liberalizzazioni sono comunque servite, «ma se il prezzo del grano aumenta di oltre il 70% e se il petrolio arriva fino a 105 dollari, allora c'è un problema».

Il presidente del Consiglio ha parlato anche del rilascio da parte delle autorità libiche dell'equipaggio del perschereccio di Mazara del Vallo sequestrato. «Mi ha telefonato l'ambasciatore libico - spiega Prodi - dicendomi che il colonnello Gheddafi ha deciso di rilasciare tutti i nostri pescatori e anche il natante, e quindi potranno tornare a Mazara del Vallo.

Questo mi ha reso molto contento anche perchè avevo incontrato i familiari, angosciati e tristi». Una nota di Palazzo Chigi sottolinea come la liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo sia avvenuta per intervento diretto del leader libico, in segno di amicizia nei confronti del Presidente del Consiglio italiano. Gheddafi ha ribadito la richiesta che non si effettuino in futuro altre violazioni delle acque territoriali libiche da parte di pescherecci italiani. 


 9 marzo 2008
da ilsole24ore.com


Titolo: PRODI RIMANI ALMENO PRESIDENTE DEL PD!!
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2008, 03:20:49 pm
10/3/2008 (7:6) - PERSONAGGIO: "NON CI SARO' NE' ALLE POLITICHE NE' ALLE EUROPEE"

Il Professore: politica addio
 
Romano Prodi lascia la politica

«Ho chiuso con le questioni italiane», e pensa a una Fondazione alla Clinton

FABIO MARTINI


ROMA
In casa lo sanno bene. La faccia paciosa e la parlata lenta di Romano Prodi celano una inquietudine psico-motoria che tiene il Professore in continuo movimento (bici, convegni, dossier) anche nei momenti di riposo. Tanto è vero che un mese fa, quando Prodi disse «lascio la politica e faccio il nonno», in casa nessuno gli credette fino in fondo. Certo la moglie Flavia, i due figli, i fratelli sapevano che il loro Romano era sincero quando annunciava che non si sarebbe ricandidato in Parlamento e che non avrebbe messo su fantomatiche liste, concetto che ieri il Professore ha riconfermato per l’ennesima volta in un’intervista a Sky e che per le bizzarre regole dell’informazione è stata rilanciata, con enfasi e come fosse nuova, dai principali Tg.

Ma chi conosce bene Prodi non ha mai creduto per lui ad un futuro da consumare ai Giardini Margherita a dondolare il passeggino dei nipotini e lo stesso Prodi lo ha fatto capire dai microfoni di Sky: «Io ho chiuso con la politica italiana e forse con la politica in generale, ma il mondo è pieno di occasioni dove c’è gente che aspetta aiuto e pace».

Quel «forse» e quelle «occasioni» parlano chiaro: Prodi si sta già guardando intorno. Assottigliati gli impegni istituzionali, da qualche giorno il Professore sta accarezzando un progetto: metter su una Fondazione internazionale, un po’ sul modello di quella di Bill Clinton. Certo, quella dell’ex presidente americano - la William J. Clinton Foundation - è una Fondazione opulenta e ambiziosa che gode di finanziamenti corposi e adesioni prestigiose, ma in Europa sono pochissimi i personaggi che godono della rete di conoscenze di Prodi. Gli otto anni da presidente dell’Iri, i cinque da presidente della Commissione europea, i quattro da presidente del Consiglio, esperienze spalmate su un arco di 26 anni hanno consentito al Professore di stringere relazioni con i principali leader politici, finanziari e anche imprenditoriali. Una rete che gli tornerà utile nel progetto della “Fondazione Prodi" e anche nell’ipotesi che il Professore gradirebbe, di una "chiamata" per un incarico ad hoc da parte di un grande organismo internazionale, in primo luogo l’Onu. Una cosa è certa: quando Prodi ribadisce che con la politica lui ha chiuso, intende dire che nel suo futuro non ci saranno più elezioni popolari. «Anche su questo - ha spiegato Prodi ai suoi - voglio che non ci siano equivoci: non mi ripresento per il Parlamento italiano ma il prossimo anno non ci sarò neppure alle Europee». Un "non possumus" che esclude l’ipotesi che era stata ventilata, di un futuro incarico da Presidente del Parlamento europeo. In compenso, ieri dai microfoni di Sky, Prodi ha confessato di sentirsi «molto intristito» dal gesto di Berlusconi che ha strappato il programma del Pd. Ma la battuta del Professore si preannuncia episodica, perché Prodi non ha intenzione di rubare la scena a Veltroni, né di aiutare Berlusconi nella speranza di centrare la sua campagna contro il governo uscente.

Dietro le quinte si è consumata una separazione consensuale tra Prodi e Veltroni che potrebbe portare ad una estrema conseguenza sorprendente: quindici giorni fa il leader del Pd aveva chiesto al Professore di partecipare a «due, tre iniziative della campagna», ma a questo punto a Palazzo Chigi si sta meditando se rinunciare del tutto a farsi vedere in campagna elettorale, con l’unica eccezione della manifestazione di chiusura l’11 aprile a piazza del Popolo a Roma. Certo, la quasi totale rimozione di Prodi dalla campagna elettorale del Pd non fa piacere al Professore, quasi che il premier uscente sia qualcuno di cui vergognarsi, ma il tenersi nell’ombra (evitando il tormentone della Cdl) non dispiace a Prodi.

Che però nei suoi ripetuti addii alla politica attiva, non ha mai annunciato di voler lasciare l’unica "poltrona" che gli resterà a partire dai primi di maggio: quello di presidente del Partito democratico. Un incarico che Prodi intende "onorare".

da lastampa.it


Titolo: Prodi. "Grazie amici, per la Fondazione c'è tempo"
Inserito da: Admin - Marzo 17, 2008, 11:10:50 pm
Prodi. "Grazie amici, per la Fondazione c'è tempo"

DIRE - 12 Marzo 2008   


(DIRE) Bologna, 12 mar. - "Grazie amici, per la Fondazione c'e' tempo". Romano Prodi si rivolge cosi' ai suoi fidi collaboratori bolognesi ("io li chiamo con il loro nome, per la stampa sono i cosiddetti 'prodiani'") dalla prima pagina del "Corriere di Bologna", l'inserto locale del Corsera. In poco piu' di 20 righe, scritte in forma di lettera al direttore, il presidente del Consiglio dimissionario vuole dunque frenare gli entusiasmi di chi ipotizza "vari progetti di Romano Prodi" per il prossimo futuro.

"In questi giorni- scrive il Professore- si sono fatte le ipotesi piu' disparate su di me e sul mio futuro. Si e' parlato e scritto anche di una Fondazione o un think tank che si occuperebbe di politica internazionale e che avrebbe sede a Bologna. Lasciatemi pero' cogliere l'occasione per fugare ogni dubbio: cio' che sento e che leggo- e' la conclusione- lo considero solo un segno d'affetto nei miei confronti".

Nei giorni scorsi il Corriere di Bologna ha ospitato "interventi di carissimi amici", come li definisce lo stesso Prodi, che ipotizzavano, appunto, l'imminente nascita di una Fondazione dedicata a temi di politica estera in particolare, con base a Bologna, anche con l'obiettivo di preparare il rilancio del Professore sulla scena internazionale.

"Programmi- commenta oggi Prodi- che io interpreto come attestati di stima e di affetto. Di questo, e per questo, ringrazio tutti".
Infatti "la volonta' di immaginarmi un percorso futuro, dopo aver camminato insieme nel passato, e' certo appagante dal punto di vista umano non meno che dal punto di vista professionale".

Ma al momento, lascia intendere il Professore, e' prematuro parlare di progetti concreti.

Quindi "grazie amici- come sintetizza il titolo dell'intervento- ma per la Fondazione c'e' tempo".

da www.ulivisti.it
 


Titolo: PRODI. "Mi occuperò delle tensioni nel mondo"
Inserito da: Admin - Marzo 29, 2008, 06:55:29 pm
All'Università di Friburgo per la laurea ad honorem

Prodi: niente conferenza stampa finale

"Mi occuperò delle tensioni nel mondo"

Lettera a Petruccioli: il capo del governo non dovrebbe dare un «indebito vantaggio» alla sua parte politica



ROMA - Non c'è proprio più spazio per la politica nella vita del premier «in scadenza» Romano Prodi. Con una lettera al presidente della Rai Claudio Petruccioli ha espresso l'intenzione di rinunciare alla conferenza stampa al termine della campagna elettorale. Il motivo: tener fede al principio che il capo del governo non dovrebbe dare un «indebito vantaggio» alla sua parte politica. Cosa che peraltro il professore contestò all'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel 2006.

TENSIONI NEL MONDO - Il Presidente del Consiglio dimissionario ha detto in tutte le lingue che non intende più entrare nell'agone politico. Farò il nonno, aveva annunciato tempo fa. E ora, alla platea dell'Università di Friburgo che gli ha assegnato la laurea ad honorem in Scienze politiche, ha detto che nel suo futuro c'è spazio per "le tensioni del mondo". «Vacanze, riposarmi e dare, se possibile, un contributo anche informale alle tensioni che abbiamo nel mondo. Io sono sempre stato interessato alle relazioni con l'Asia, la Cina, l'India, il Medio Oriente e l'Africa, quindi questo è chiaramente qualcosa che merita di essere approfondito e di essere coltivato in futuro». La laurea a Prodi è stata motivata col fatto che lui «è un grande europeo» e c'è »la speranza che assuma un qualche ruolo internazionale».


28 marzo 2008

da corriere.it


Titolo: Prodi: "Il Paese era zimbello in Ue"
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2008, 06:02:48 pm
Cena di addio a palazzo Chigi raccontata su «la stampa»

Prodi: ecco chi ha fatto cadere il governo

La sinistra si arrabbia: inaccettabile

La colpa è di chi «ha minato continuamente l'azione dell'esecutivo».

E Mastella: «Non ti ho tradito io»

 
 
ROMA - A due mesi e mezzo dalla caduta del governo Prodi si consuma la rottura tra il Professore e quelli che lui considera i responsabili della fine di una stagione di estenuanti compromessi, sempre alla ricerca della mossa giusta da fare in una specie di Risiko in cui era in gioco la credibilità del Paese. La Sinistra Arcobaleno e i Verdi fanno muro contro le dichiarazioni di Prodi riportate in un articolo della Stampa, in cui Fabio Martini ricostruisce la cena di addio a Palazzo Chigi tra il Professore e i suoi fedelissimi.

ATTACCO ALLA SINISTRA - Questa volta non si parla del futuro ma del passato, quello che finora è stato minimizzato, reso accettabile e non traumatico grazie all'aplomb del Professore. Ma adesso basta. Chi ha fatto cadere il governo? I giornali sempre pronti ad attaccare, i poteri forti, Mastella, la Chiesa? Clemente «ha tradito, non c'è dubbio. E il modo in cui l'ha fatto dimostra mancanza di senso dello Stato» spiega Prodi, ma la colpa vera è di chi «ha minato continuamente l’azione del governo, di chi ha fatto certe dichiarazioni istituzionalmente opinabili». Non una parola su Bertinotti, ma un elogio a Veltroni, che «ha fatto la scelta giusta: correre da soli». Eccola, la dolorosa verità. Parole appuntite come spade, che non passano lisce - questa volta no - sulla schiena di chi è chiamato direttamente o indirettamente in causa.

BERTINOTTI: «NON HA CAPITO» - Lo stesso Bertinotti risponde da una videochat sul sito della Stampa: «Per Prodi è più grave dimostrare di non aver capito la ragione della crisi del suo governo, più ancora che averla subita». Il candidato premier della Sinistra Arcobaleno sottolinea: «Il governo è caduto perché gli sono venute a mancare la basi del consenso di massa e questo perché era caduto nella trappola della politica dei due tempi: prima il risanamento, poi la giustizia sociale, che non viene mai. Prodi ha subito il condizionamento di quelle forze moderate che poi lo hanno fatto cadere».

«INACCETTABILE» - La Sinistra giudica inaccettabili le parole del Professore e rifiuta la responsabilità di aver fatto cadere il governo. Di «colossale balla» parla Fabio Mussi, ospite di una videochat su Corriere.it. E Pino Sgobio del Pdci: «È francamente inaccettabile e ingeneroso l'attacco di Prodi alla Sinistra Arcobaleno. La verità inoppugnabile è che il governo Prodi non ha tenuto fede a tutte le promesse fatte agli elettori. La Sinistra Arcobaleno ha sempre chiesto l'applicazione integrale del programma di governo, in particolare per quanto riguarda l'aumento di salari e pensioni». Giovanni Russo Spena: «Le accuse di Prodi a Bertinotti sono completamente prive di fondamento. Affermare che il governo è caduto per colpa della Sinistra Arcobaleno mentre le responsabilità del Pd sono evidenti, così come l’inciucio tra la destra della coalizione e Berlusconi, significa pensare che gli elettori sono stupidi o non hanno memoria».

«PAROLE INGRATE» - «Sono sgradevoli e fuorvianti le dichiarazioni del presidente del consiglio Romano Prodi che alludono a una responsabilità della sinistra nelle difficoltà incontrate dal governo - dice Franco Giordano, segretario di Rifondazione comunista -. Prodi sa perfettamente che i problemi sono stati creati sempre e soltanto dalle aree moderate della coalizione, in particolare, dal Pd. Ricordiamo che i punti di sofferenza del governo sono stati sulle pensioni, sulla redistribuzione sociale, sui diritti civili. Non è un caso se si tratta proprio di quei punti sui quali oggi si è aperta una sfida tra la Sinistra Arcobaleno e il Pd sulla vera alternativa alla destra di Berlusconi e Fini». I Verdi: «Le parole di Prodi sono da ingrato e una vera e propria menzogna: noi l'abbiamo sempre sostenuto nei momenti più difficili quando una parte consistente del Pd non lo gradiva» afferma il capogruppo alla Camera Angelo Bonelli, che parla di «una una pugnalata al popolo della sinistra che aveva creduto in lui come garante dell'applicazione del programma dell'Unione».

«MANDATO A CASA DA VELTRONI» - Loredana De Petris, capolista della Sinistra l'Arcobaleno nel Lazio per il Senato: «La prova che Prodi sia stato mandato a casa dal suo stesso partito è data dal fatto che Veltroni ha cominciato la sua campagna elettorale già un mese prima della caduta dell'esecutivo. La sua campagna elettorale era già pronta da tempo, con pullman annessi e spazi elettorali prenotati con grande anticipo». «Evidentemente Prodi non ha ancora capito per colpa di chi è caduto. Ha assecondato per due anni i capricci di Mastella e Dini, finito poi a destra. Le forze politiche della sinistra lo hanno sostenuto lealmente anche nei momenti in cui suoi ministri del Pd compivano scelte impopolari» rincara Titti di Salvo, capogruppo di Sd alla Camera.

MASTELLA: «NON HO TRADITO IO» - E Mastella, l'unico (con i diniani) chiamato in causa con nome e cognome. «Caro Romano, non sono io ad averti tradito, ma chi ha lavorato per mandarti a casa logorando la tua e la nostra azione di governo» risponde il segretario nazionale dei Popolari-Udeur -. Condivido in larga parte le considerazioni di Prodi, soprattutto quando individua in alcune forze politiche la responsabilità di aver minato l'azione dell'esecutivo con dichiarazioni e atteggiamenti istituzionalmente opinabili. Quanto a me, ricordo di essere stato oggetto, sin dal mio insediamento, di una campagna di delegittimazione portata sistematicamente avanti da una parte della coalizione e assecondata da quegli stessi organi padronali dell'informazione, acerrimi nemici del professore bolognese, che strumentalizzando inchieste giudiziarie, rilevatesi poi prive di ogni fondamento, hanno decretato la mia panchina politica».


08 aprile 2008

da corriere.it


Titolo: Prodi - «Walter fa bene a correre da solo»
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2008, 06:13:40 pm
L'ultima cena di Prodi

E la polemica con la Sinistra

«Walter fa bene a correre da solo»


È la sua ultima cena. A cinque giorni dal voto, Romano Prodi si congeda da Palazzo Chigi con una serata insieme al suo staff. Chitarra, vecchie canzoni di Bob Dylan e tanti ricordi – così racconta La Stampa - e qualche sassolino che se ne va dalla scarpa. Tre mesi fa cadeva il suo esecutivo e tutti a dare la colpa a Mastella, al suo partitino da tre senatori che ha fatto svanire il sogno del governo dell’Unione.

Ma ora è lo stesso premier a dare la sua versione. Una versione articolata in tre punti. Primo, «Mastella ha tradito, non c'è dubbio. E il modo in cui l'ha fatto dimostra mancanza di senso dello Stato, ma la vera responsabilità politica non è stata la sua». Secondo, «La responsabilità politica della crisi è stata di chi ha minato continuamente l'azione del governo, di chi ha fatto certe dichiarazioni istituzionali opinabili...». Terzo, «Walter ha fatto la cosa giusta: correre da soli».

Non lo nomina nemmeno una volta, né lui né il suo partito. Ma il profluvio di reazioni arrivate il giorno dopo dalla Sinistra Arcobaleno, lasciano pochi dubbi. Quel nome l’hanno capito tutti. È lo stesso Fausto Bertinotti a chiamarsi in causa. «La mia analisi sulla caduta del governo Prodi – spiega il presidente della Camera – differisce totalmente da quella del presidente del Consiglio. Il suo governo è caduto perché sono venute a mancargli le basi di consenso di massa. Perché è caduto nella trappola della politica dei due tempi, prima il risanamento e poi la giustizia sociale che però non viene mai. E il governo ha subito il condizionamento delle forze moderate, come Dini e Mastella, che lo hanno fatto cadere». E si dispiace: «È più grave il dimostrare di non aver capito la ragione della crisi del suo governo piuttosto che averla subita».

Tra i ministri che affiancarono Romano Prodi a Palazzo Chigi, ci sono anche Paolo Ferrero e Fabio Mussi che ora pesano il macigno delle sue dichiarazioni. Mussi quasi non ci vuole credere: nell’articolo de La Stampa, rileva, «si riportano frasi attribuite a Prodi non virgolettate: bisogna che Prodi confermi o smentisca». E fa notare che i «nostri ministri non sono mai scesi in piazza contro il governo e non abbiamo mai votato contro il governo». Ferrero, titolare della Solidarietà Sociale nell’esecutivo Prodi, «è stato Walter Veltroni a voler rompere a sinistra, salvo oggi piangere lacrime di coccodrillo».

Attaccano Veltroni anche la senatrice verde Loredana De Petris («ha cominciato la sua campagna elettorale già un mese prima della caduta dell'esecutivo»), il capogruppo Prc al Senato, Giovanni Russo Spena («il Pd cerca in ogni modo di screditare la Sinistra e sono certo che non ci riuscirà»), Franco Giordano, Titti Di Salvo, Manuela Palermi, Pino Sgobio, Angelo Bonelli. E perfino Prodi si lascia scappare l’amaro in bocca: «È davvero strano per me non aver fatto campagna elettorale».

In tutto questo marasma, l’unico a gigioneggiare è lo “sdoganato” Clemente Mastella. «Caro Romano – gli scrive in una lettera – non sono io ad averti tradito, ma chi ha lavorato per mandarti a casa logorando la tua e la nostra azione di governo».

Pubblicato il: 08.04.08
Modificato il: 08.04.08 alle ore 14.46   
© l'Unità.


Titolo: Prodi: Prodi, addio cantando Bob Dylan
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2008, 10:09:21 pm
8/4/2008 (6:55) - IL RETROSCENA

Prodi, addio cantando Bob Dylan
 
Silvio Sircana, Romano Prodi e Arturo Parisi

Musica e politica, per il premier cena a Palazzo Chigi tra ricordi e chitarra: mi hanno fregato poteri forti e sinistra

FABIO MARTINI
ROMA


Da settimane e settimane Romano Prodi sublimava la sua delusione nel silenzio e anche l’ennesima giornata appartata si stava spegnendo senza patos. E invece, poco prima di mezzanotte, il Professore chiese al suo portavoce: «Dai Silvio, ce la fai “Blowin’ in the wind”?». Proprio così. Finita la cena, al piano nobile di palazzo Chigi, Prodi si è allentato il nodo della cravatta e in uno slancio di ritrovato buonumore, ha chiesto a Silvio Sircana di strimpellare la celebre canzone di Bob Dylan.

Sircana, che è un virtuoso della chitarra, ha tirato fuori lo strumento dal suo nascondiglio, ha saggiato le corde ed è partito: «How many roads must a man walk down...». Il Professore prima ha socchiuso le palpebre, poi si è messo a cantare pure lui: «How many times must a man look up...», per quanto tempo un uomo deve guardare in alto prima che riesca vedere il cielo? Finito Dylan, il chitarrista ha proposto “We shall overcome”, il Professore ha annuito e alla fine ha raccontato: «Mi ricordo benissimo, questa canzone Joan Baez la cantò ai funerali di Bob Kennedy, funerali persino più commoventi di quelli del fratello. Avevo 29 anni...».

Una sequenza da film sentimentale. Un presidente del Consiglio ormai fuori dalla mischia che nel cuore della notte si mette a intonare le canzoni della sua giovinezza è una scena che ha finito per toccare i ragazzi dell’Ufficio Stampa, che quella sera erano stati convocati da Prodi per un saluto finale. Qualcuno di loro guardava il soffitto per non commuoversi; qualcun altro era divertito e canticchiava; qualcun altro intuiva che stava per aprirsi una serata speciale. E così è stato. Protetto dalle mura amiche, alcuni giorni fa Prodi ha finalmente raccontato la sua versione dei fatti sulla caduta del governo. Certo, in pubblico finora si è ben guardato dal lanciare accuse e tantomeno si è prodotto in quel “grande sfogo” tanto atteso dai giornali. Prodi ci tiene troppo a non rinverdire la fama del rancoroso ed è riuscito a resistere alla tentazione di replicare alle quotidiane accuse di Silvio Berlusconi, ma anche di ricordare i misconosciuti meriti del suo governo.

Ma l’altra sera Prodi ha risposto senza rete alle domande dei ragazzi che nei 23 mesi precedenti avevano cercato di “fronteggiare” giornali e tv. Uno di loro ha chiesto: «Presidente, hai mai capito come mai i giornali “padronali” ti hanno osteggiato dal primo all’ultimo giorno?». Prodi ha sorriso: «Sai, me lo sono chiesto tante volte e alla fine ho trovato la risposta. Io ho vinto per due volte le elezioni, ma se sono riuscito a governare soltanto per 5 anni scarsi, questo mica è un caso. L’atteggiamento ostile dei giornali e dei loro proprietari si spiega così: io ero un’anomalia che non sono riusciti a riassorbire, ho urtato interessi di qua e di là e alla fine sono stato espulso!». Parole dure, amare di un professore orgoglioso, che ha provato a non rinunciare alla sua indipendenza rispetto ai poteri forti. Il mondo delle imprese. Gli Stati Uniti di Bush. Ma anche la Santa Romana Chiesa di Camillo Ruini: «Che paradosso, proprio io, che ho sempre avuto un rapporto così intenso e profondo con quel mondo...». E il suo pensiero va ad un passaggio che ha finito per restare cancellato nel racconto della crisi di governo. Era il 24 gennaio e la giornata - conclusa con la caduta dell’esecutivo - si aprì con una nota ufficiale del governo di smentita al presidente della Cei, il cardinale Bagnasco, sulla visita del Papa alla Sapienza. Uno scambio duro, uno dei più aspri nella storia recente tra la Chiesa e un governo italiano.

Certo, Prodi vanta fior d’amicizie tra i bancheri. Certo, l’autocritica è un genere sconosciuto al Professore e semmai la sua capacità analitica diventa penetrante nell’individuare i nemici. Tutti immaginano che Prodi ce l’abbia con Clemente Mastella, ma il Professore stupisce la tavolata: «Lui ha tradito, non c’è dubbio. E il modo in cui l’ha fatto dimostra mancanza di senso dello Stato: pensate l’ho cercato per due giorni, io avevo bisogno di fare almeno il cambio delle consegne al ministero di Giustizia. Ho chiesto persino a Diego Della Valle di trovarlo. Niente. Lui non aveva fatto male come ministro, ma la vera responsabilità politica non è stata la sua...». E di chi è stata? «Di chi ha minato continuamente l’azione del governo, di chi ha fatto certe dichiarazioni istituzionalmente opinabili...». Neppure tra i suoi, Prodi chiama per nome Fausto Bertinotti ma è a lui che pensa. Il Professore non ha dimenticato di essere stato paragonato ad un «poeta morente» e ad un fruitore di «brodini caldi» da colui che era - e ancora è - la terza carica dello Stato. E tanto gli brucia l’atteggiamento di Rifondazione comunista che Prodi, anche in privato, promuove Veltroni: «Walter ha fatto la scelta giusta: correre da soli». E il discreto feeling tra i due è confermato dal comizio in tandem che Prodi, il leader del Pd e il sindaco di Parigi Bertrand Delanoe, terranno domani in piazza Maggiore a Bologna. Anche se l’altra sera, il Professore confessava: «Davvero strano non aver potuto fare campagna elettorale...».

Un Prodi orgogliosamente solitario che racconta di non aver avuto timore neanche nello sfidare l’opinione del Capo dello Stato durante la crisi di governo: «Subito dopo aver parlato al Senato, ho ricevuto molte richieste, a tutti i livelli, per recarmi subito al Quirinale e dimettermi senza un voto. Ma per la mia dignità e per la dignità della politica ho tenuto duro sulla procedura più trasparente. Anche perché se avessi rinunciato al voto, avrei consentito ai Mastella e ai Dini di poter poi dire: Prodi si è dimesso, ma noi mica avremmo votato contro. La procedura trasparente ha inchiodato i responsabili e non è un caso che Mastella non sia stato candidabile da nessuno...». Zampate dell’antica cattiveria. Anche se venate da una certa malinconia. L’altra sera, oramai era passata mezzanotte, il Professore si è alzato, si è affacciato dalla finestra, ha visto la piazza vuota e poi ha chiesto a Sircana: «Fai Sound of Silence?».

da lastampa.it


Titolo: ROMANO PRODI.
Inserito da: Admin - Aprile 13, 2008, 02:45:51 pm
AMBIENTE L'INTERVENTO

Il mondo senza cibo un disastro evitabile

di ROMANO PRODI


CARO direttore,
dopo aver tanto parlato della crisi energetica e della crisi finanziaria ci siamo finalmente resi conto di un dramma ancora più grande e di conseguenze immediate per l'umanità: la crisi alimentare.

Miliardi di persone soprattutto in Africa, in Asia e in America centro-meridionale, sono colpiti da un progressivo e insostenibile rincaro di tutti i prodotti agricoli, dal grano alla soia, dal riso al mais, dal latte alla carne. Ogni giorno scoppiano rivolte e si ha notizie di repressioni.

Alcuni governi, come quello egiziano, sono costretti a impiegare nel sussidio del pane la gran parte delle risorse generate dalla buona crescita economica e in altri casi, come nel Corno d'Africa, nei paesi subsahariani e a Haiti non resta che la fame e la sempre più vicina prospettiva di una tragica carestia.

Alla base di questi aumenti di prezzi vi sono certo anche realtà positive, come il miglioramento della dieta in Cina, in India e in molti altri paesi. Per nutrirsi con la carne si impiega infatti una superficie di terreno di almeno cinque volte superiore di quanto richiesto da una nutrizione a base di cereali.

Vi sono altre realtà rispetto alle quali ben poco si può fare, come l'aumento dei prezzi dei carburanti e dei fertilizzanti necessari a produrre o trasportare i prodotti alimentari.

Ma vi è una decisione politica che sta aggravando in modo precipitoso la situazione ed è la progressiva sottrazione di suolo alla produzione di cibo per utilizzarlo a produrre biocarburanti. Sulla carta questo risponde al nobile scopo di attenuare la nostra dipendenza dalla benzina e dal gasolio nei trasporti e così facendo, ridurre l'impatto ambientale in termini di anidride carbonica. Purtroppo le cose non stanno così.

I più recenti studi (come quelli dell'Ocse e Royal Society) sostengono invece che con le tecnologie oggi impiegate per produrre biocarburanti, il bilancio energetico è solo marginalmente positivo o addirittura negativo. Il computo preciso dipende dalle specifiche realtà territoriali ma vi è chi autorevolmente sostiene (come le analisi apparse su National Resources Research) che l'energia impiegata per produrre biocarburanti sia negli Stati Uniti del 30% superiore all'energia prodotta.

Complessivamente un bel disastro sia dal punto di vista energetico che da quello ambientale. Ma il disastro ancora più grande è quello di mettere in conflitto il cibo con il carburante in un periodo già di scarsità. Un conflitto vero, tragico.

Per descriverlo in modo semplice e fortemente evocativo basta dire che il grano richiesto per riempire il serbatoio di un così detto Sport Utility Vehicle (Suv) con etanolo (240 chilogrammi di mais per 100 litri di etanolo) è sufficiente per nutrire una persona per un anno. E già siamo arrivati ad utilizzare per usi energetici intorno al 20% di tutta la superficie coltivata a mais negli Stati Uniti.

Una superficie più grande della Svizzera è stata sottratta di colpo alla produzione di cibo per effetto delle pressioni delle potenti lobby agricole e di una parte non informata o distratta di quelle ambientalistiche. E nel frattempo, come conseguenza, il prezzo della terra e dei fertilizzanti sale in tutto il mondo facendo a sua volta moltiplicare il prezzo dei prodotti alimentari. E questo fa scoppiare tumulti per la fame a Città del Messico, in Egitto, nel west Bengala, in Senegal, in Mauritania mentre la Fao ci dice che 36 paesi hanno oggi bisogno di urgenti spedizioni di grano e di riso.

Questo non comporta che la produzione di energie alternative vada del tutto cancellata perché vi sono situazioni in cui essa non è in diretta concorrenza con la produzione agricola, utilizzando terreni non alternativi a produzioni alimentari, aree boschive o biomasse. E soprattutto bisogna incentivare la ricerca sulla "seconda generazione" di biocarburanti, attraverso la selezione di nuove specie, attraverso una maggiore efficienza dei processi e l'utilizzazione di terre marginali (ad es. il bosco ceduo) non alternative all'agricoltura.

E' quindi necessario che i governi smettano di sovvenzionare gli agricoltori al fine di produrre meno cibo, obbligando i paesi poveri a svenarsi per assicurare il pane quotidiano a coloro che muoiono di fame. E bisogna che questo obiettivo venga tradotto subito in decisioni politiche. La prima di queste decisioni è di intervenire dove sono in corso i drammi maggiori.

Rendere quindi subito disponibili i 500 milioni di dollari richiesti per l'emergenza del Programma Alimentare Mondiale delle nazioni Unite e il miliardo e mezzo di dollari richiesto dalla Fao. Ma non si può non affrontare nel contempo il problema politico fondamentale, in modo da invertire l'aspettativa di ulteriori aumenti dei prodotti alimentari prima che i paesi che hanno produzione eccedente proibiscano (come hanno già cominciato a fare) l'esportazione di prodotti alimentari trasformando, con questo, l'attuale crisi in tragedia mondiale.

I due prossimi grandi appuntamenti internazionali, cioè la riunione della Fao a Roma e dei G8 in Giappone, debbono diventare il momento di discussione e di decisione di una nuova politica che fermi i danni dell'attuale politica e che possa redistribuire al mondo le risorse alimentari di cui ha bisogno.

Non sono decisioni facili, ma bisogna agire perché sia negli Stati Uniti che in Europa la produzione di carburante in concorrenza col cibo si fermi e gli incentivi vengano riservati agli studi e alle ricerche necessarie per arrivare alla produzione di biocarburanti di nuova generazione. Non possiamo più ammettere che la gente muoia di fame in Africa perché c'è qualcuno negli Stati Uniti che considera i voti degli agricoltori o dei proprietari terrieri più importanti della sopravvivenza di milioni di persone. È vero che la politica di oggi è stata decisa quando si pensava di vivere in un mondo di scarsità energetica e di eccedenza alimentare. Ma oggi le cose non stanno più così.

È ora quindi di cambiare politica perché i rimedi finora adottati sono peggiori del male che si voleva curare. Queste sono le politiche serie che la globalizzazione ci impone e l'Italia non può certo sottrarsi alle sue responsabilità.

(13 aprile 2008)

da repubblica.it


Titolo: ROMANO PRODI. Dopo i dati su bassa affluenza e avanzata della Lega in Emilia
Inserito da: Admin - Aprile 15, 2008, 10:49:57 pm
Dopo i dati su bassa affluenza e avanzata della Lega in Emilia

Prodi: si dorme nel letto che si è preparato

L'attesa nella casa di Bologna e una "profonda delusione" per come si è conclusa la stagione dell'Unione

DAL NOSTRO INVIATO

 

BOLOGNA — Finestre e portone di casa chiusi. Un gesto dalla finestra, a metà pomeriggio, per mandare via la scorta. Un «no» con il dito all'indirizzo dei giornalisti. Il ritorno del Cavaliere ha l'effetto di un bavaglio su Romano Prodi. Dalla casa di via Gerusalemme, nel giorno che sancisce la fine della breve e chiassosa stagione del centrosinistra, non escono dichiarazioni ufficiali, ma solo sensazioni pesanti, pensieri cupi, recriminazioni che soltanto nei prossimi giorni prenderanno probabilmente forma compiuta. «Romano temeva che finisse così, non poteva dirlo e ha sperato fino all'ultimo di sbagliarsi, ma i segnali non erano affatto buoni e quando ha visto che calava l'affluenza al voto in Emilia e che la Lega era in crescita, ha capito che era finita...» racconta chi gli è stato vicino in queste ore. Un pessimismo, quello del premier dimissionario, tenuto nascosto fino all'ultimo. Che nemmeno i cori e le ovazioni ricevute l'altra sera dai 40 mila di piazza Maggiore, durante l'ultimo (e unico) comizio di questa sua defilatissima campagna elettorale, erano riusciti a scalfire.

Nel Prodi che assiste dal tavolo di lavoro al ritorno del Berlusconi Ter, sforzandosi di concentrarsi sugli incontri che tra domani e giovedì avrà al Consiglio di sicurezza dell'Onu, a New York, convive un coacervo di sensazioni. «Profonda delusione» per come si è conclusa la stagione dell'Unione e per come è andato in pezzi il suo governo. «Preoccupazione» per il futuro dell'Italia, incalzata da venti di crisi che imporrebbero «politiche rigorose e coerenti ». La consapevolezza che, nonostante la netta sconfitta elettorale, il Pd «è diventato un punto di riferimento per la democrazia italiana». Poi c'è anche, ma difficilmente il Professore su questo si lascerà scappare una parola, la conferma di vedere ancora una volta confermato dalle urne il suo ruolo di indiscusso «anti-Berlusconi»: l'unico capace di batterlo due volte ('96 e 2006), facendo da argine a quello che altrimenti sarebbe stato un quindicennio nel segno del Cavaliere.

Magra consolazione, in una serata che riporta all'anno zero quella sinistra radicale che tanto ha fatto penare Prodi nei suoi 20 mesi a Palazzo Chigi. Difficile dire cosi provi il Professore nel vedere Bertinotti costretto ad alzare bandiera bianca. Qualcuno, raccontano, pare l'abbia sentito sussurrare: «Ognuno dorme nel letto che si fa». Come dire: se la sono cercata, segando l'albero di governo sul quale erano seduti. Acqua passata, ormai. L'unica cosa certa è che il Professore, a parte il ruolo di presidente del Pd, con la politica attiva ha chiuso. Il suo rapporto con Veltroni, con il quale si è ripetutamente sentito al telefono e del quale dice di «aver condiviso la campagna elettorale», non sembra riservare scintille. Il resto è proiettato sulla scena internazionale. Si è profilata la possibilità di un incarico direttivo all'Unesco, poi tramontata. «Ma le occasioni non mancano, vedremo, valuterò...» confessa il Professore. Nonno sì, ma non troppo.


Francesco Alberti
15 aprile 2008

da corriere.it


Titolo: ROMANO PRODI. L'ULTIMA MISSIONE DI PRODI, A ONU PER PARLARE DI AFRICA
Inserito da: Admin - Aprile 15, 2008, 10:56:46 pm
2008-04-15 13:30

L'ULTIMA MISSIONE DI PRODI, A ONU PER PARLARE DI AFRICA


 ROMA - L'ultima missione. A New York, Palazzo di Vetro, per partecipare alla riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu allargato ad un'ampia rappresentanza di capi di Stato africani (16 e 17 aprile) per discutere dei conflitti che dal Darfur alla Somalia insanguinano il Continente nero. Sarà questo il congedo definitivo di Romano Prodi dalla politica internazionale. Almeno da presidente del Consiglio.

Il Professore arriverà tra poche ore a New York: il suo intervento alle Nazioni Unite è previsto per la mattina di domani, ma già stasera il premier uscente si incontrerà a cena con l'ambasciatore italiano a Palazzo di Vetro Marcello Spatafora. L'impegno di Prodi verso l'Africa è stato una costante del suo biennio a Palazzo Chigi.

 Non a caso, assieme al premier turco Recep Tayyip Erdogan, fu l'unico capo di governo straniero ad essere invitato a partecipare al vertice dell'Unione Africana lo scorso gennaio ad Addis Abeba. Proprio in quell'occasione, Prodi ribadì il forte sostegno dell'Italia all'Unione africana, primo e unico strumento continentale per la prevenzione dei conflitti sul territorio. Ma al di là delle emergenze belliche che scuotono il Continente, domattina a Palazzo di Vetro il presidente del Consiglio concentrerà il suo intervento sulla crisi dei prezzi che sta mettendo in ginocchio l'Africa.

 La volata delle quotazioni petrolifere, l'aumento dei carburanti e dei fertilizzanti e la conseguente impennata dei prezzi dei prodotti alimentari hanno raggiunto ormai livelli di guardia. E lo stesso Prodi, in una lettera a 'Repubblica' domenica scorsa, ha lanciato un appello agli altri leader mondiali per "non lasciare il mondo senza cibo". Scagliandosi tra l'altro contro "la progressiva sottrazione di suolo alla produzione di cibo per utilizzarlo nella produzione di biocarburanti". Scelta suicida, se gli studi più recenti raccontano come l'energia impiegata per produrre biocarburanti sia negli Stati Uniti del 30 per cento superiore all'energia prodotta.

 "Un bel disastro - commenta Prodi -, anche se il disastro ancora più grande è quello di mettere in conflitto il cibo con il carburante in un periodo già di scarsità ". Dopo l'intervento al Consiglio di Sicurezza, il Professore rivedrà il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e avrà alcuni bilaterali (con il presidente della Somalia Yusuf e forse con il sudafricano Thabo Mbeki) per poi ripartire in serata verso l'Italia. Gli scatoloni a Palazzo Chigi sono ancora tutti da preparare.
 
da ansa.it


Titolo: Prodi lascia la presidenza Pd "Serve un forte rinnovamento".
Inserito da: Admin - Aprile 16, 2008, 06:08:12 pm
POLITICA

Una lettera a Veltroni scritta il giorno di Pasqua con l'impegno reciproco a renderla pubblica dopo le elezioni

Prodi lascia la presidenza Pd "Serve un forte rinnovamento"

Il premier replica sul Commissario Ue: "Se Frattini opta per il Parlamento la nomina spetta me.

Ho fatto 5 nomi a Berlusconi, nessuna risposta"

dall'inviato MARCO MAROZZI


ROMA - Romano Prodi si è dimesso dalla presidenza dell'assemblea costituente del Partito Democratico. La notizia, smentita questa mattina dal suo portavoce Silvio Sircana, è stata confermata dallo stesso premier che si trova a New York per la riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Prodi ha messo per iscritto la sua decisione in una lettera inviata a Veltroni il giorno di Pasqua: "Il giorno di Pasqua ho ribadito con una lettera a Walter Veltroni che il mio impegno per il Partito democratico stava per terminare e sarebbe terminato il giorno delle elezioni. L'ho fatto perchè fosse chiaro che non dipendesse dal risultato elettorale". A un'ulteriore domanda, ha risposto: "E' chiaro che il Pd dovrà cercare un altro presidente".

Lo stesso premier, dunque, ha concordato con il segretario del Pd di rendere nota la decisione dopo le elezioni. Nella missiva, Prodi spiega di voler continuare a dedicare le sue energie al partito e alla politica ma di avver maturato la scelta di dimettersi per dare una risposta alla necessità di rinnovamento della politica. "Ho preso una decisione molto chiara, molto semplice, molto ferma e molto coerente: non mi sono presentato alle elezioni - ha sottolineato - perchè ritenevo e ritengo sia necessaria una nuova leva, un nuovo gruppo dirigente per portare avanti la crescita ed il rafforzamento del Pd".

Nella lettera, in cui ringrazia Veltroni per la conduzione della canmpagna elettorale, Prodi ha aggiunto che intende restare "supporter forte e leale del partito, cercando di lavorare su riflessioni e proposte".

Commissario Ue. Il premier ha anche parlato della delicata questione della nomina del commissario Ue, carica che diventa vacante con l'elezione di Franco Frattini a deputato nelle fila del Pdl. Prodi, rispondendo a una domanda sull'eventualità che potesse essere l'eurodeputato di Fi, Antonio Tajani, ha spiegato di aver cercato in tutti i modi di parlarne con Berlusconi e Gianni Letta senza ricevere indicazioni: "Nei giorni scorsi ho ripetutamente cercato di trovare un commissario bipartisan" ma questo non è stato possibile: "Ho chiesto a Berlusconi - ha detto Prodi - il quale mi ha rinviato a Letta, il quale Letta mi ha risposto che la decisione doveva essere di Berlusconi. Ho fatto una rosa di cinque nomi, ma non mi è giunta nessuna risposta".

Su Tajani, il premier è stato netto: "La nomina del nuovo commissario spetta a me, a meno che Frattini non rinunci al suo ruolo di parlamentare italiano". Il premier ha ribadito la sua disponibilità a fare "una
nomina condivisa" ma anche il suo "diritto ad avere una risposta alle proposte fatte".

Insomma, ha concluso Prodi, "non voglio sapere dai giornali che idea ha il nuovo governo" per il prossimo commissario europeo. "Ho il diritto ed il dovere di discuterlo assieme".

(16 aprile 2008)

da repubblica.it


Titolo: «Tiro da vent'anni, ora vadano avanti altri»
Inserito da: Admin - Aprile 16, 2008, 06:32:34 pm
A breve previsto un incontro con Veltroni.

E Bonaiuti: «A lui l'onore delle armi»

Prodi abbandona la presidenza del Pd

Il premier da New York: lo avevo anticipato a Pasqua.

«Tiro da vent'anni, ora vadano avanti altri»


NEW YORK - Ne è stato di fatto l'ispiratore, dando vita al progetto dell'Ulivo che del Pd è stato il primo embrione. E non a caso fino ad oggi del nuovo partito è stato anche il presidente. Ma ora Romano Prodi sceglie di farsi da parte. E conferma così le voci di un suo completo abbandono della vita politica attiva, almeno sul fronte italiano.

«AVANTI GLI ALTRI» - Dopo le indiscrezioni circolate nelle ore successive al voto, arriva da New York, dove il premier ha in agenda un intervento alle Nazioni Unite, la precisazione del Professore: «Ruoli di responsabilità all'interno del Pd - dice - adesso spettano ad altri». Prodi spiega di aver preso la decisione e di averla già comunicata a Walter Veltroni con una lettera inviata già il giorno di Pasqua, lo scorso 23 aprile, nella quale aveva assicurato che rimarrà comunque «supporter forte e leale del partito, cercando di lavorare su riflessioni e proposte». La decisione di comunicare con largo anticipo la decisione di lasciare la presidenza del partito, spiega ancora Prodi, è stata presa per evitare che questa potesse essere messa in relazione con l'andamento della campagna elettorale o con il risultato delle elezioni.

«E ORA UNA VACANZA» - E' stata invece una scelta «molto chiara, molto semplice, molto ferma e molto coerente - precisa il presidente del Consiglio -: non mi sono presentato alle elezioni perchè ritenevo e ritengo sia necessaria una nuova leva, un nuovo gruppo dirigente per portare avanti la crescita ed il rafforzamento del Pd». «Una scelta coerente - osserva ancora Prodi - esige scelte coerenti successive». Una scelta con qualche rimpianto? Prodi risponde con un sorriso e poi, indicando il Palazzo di vetro, sede dell'Onu, spiega che «la vita è fatta di futuro, la vita non è fatta di passato». E quanto al suo, di futuro, il Professore sottolinea: «Per ora penso a qualche mese di vacanza sono 20 anni che tiro».

«PD E DEMOCRAZIA» - Quanto poi all'esito del voto, Prodi sottolinea che «senza un Pd forte avrei timori per la democrazia». E definisce «estremamente coraggiosa e forte» la campagna elettorale condotta da Walter Veltroni. Prodi evidenzia che il Pd «ha avuto una buona performance alle elezioni, ed ora deve rafforzarsi, lavorando sui programmi e consolidando il suo ruolo di unica alternativa riformista in Italia». Perché di questo, conclude «ci sarà estremamente bisogno».

INCONTRO CON VELTRONI - In ogni caso la questione sarà discussa a tu per tu tra Prodi e Veltroni, che si incontraranno al rientro a Roma del premier. Lo spiega l'ufficio stampa del Pd che in una nota precisa che i due leader «avevano concordemente deciso di riparlare insieme dopo il voto. L'incontro - si legge ancora nel comunicato -, previsto a breve, avverrà nello spirito di coesione e di grande unità che si è visto in questi mesi e che è confermato dalle parole di oggi di Prodi».

GLI AUGURI DI BONAIUTI - La notizia delle dimissioni è stata commentata in diretta da Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, durante una trasmissione di Skytg24: «Onore delle armi a Romano Prodi e auguri al suo successore quando si saprà chi è».


16 aprile 2008

da corriere.it


Titolo: Romano Prodi, per due volte presidente del Consiglio
Inserito da: Admin - Aprile 16, 2008, 06:34:53 pm
16/4/2008 (15:23) - L'ADDIO DEL PREMIER

Prodi lascia la presidenza del Pd
 
Romano Prodi, per due volte presidente del Consiglio

Il Professore ha già scritto a Veltroni: «Non dipende dal risultato elettorale»


ROMA
Romano Prodi ha lasciato la presidenza del Pd.

Dopo una giornata di indiscrezioni e la smentita di Silvio Sircana, la conferma arriva direttamente dal premier, impegnato a New York. «La vita è fatta di futuro» ha detto il Professore. «Per ora penso a qualche mese di vacanza sono 20 anni che tiro», ha aggiunto.

Le dimissioni di Prodi sono state recapitate a Veltroni in una lettera datata 23 marzo, «a prescindere dal risultato delle elezioni», sottolinea il premier.

Per Prodi alle elezioni«c’è stata una buona performance» del Partito democratico che adesso però «deve rafforzarsi e continuare ad essere l’unica seria alternativa riformista per l’Italia, perchè in futuro ce ne sarà estremamente bisogno». Il presidente del Consiglio ha definito la sua scelta delle dimissioni dalla presidenza del Pd coerente con quella di non ripresentarsi alle elezioni per un seggio in Parlamento. «Rimarrò un supporter forte e leale del Partito democratico - ha assicurato Prodi conversando con i giornalisti a New York - anche se non in un ruolo di responsabilità in quanto questo spetta ad altri affinchè il Pd possa nascere forte e guardare al futuro, perchè questo è il suo problema».

Il premier è intervenuto anche sulla nomina del successore di Frattini, prossimo ministro degli Esteri nel governo Berlusconi, nel ruolo di commissario Ue. «Nei giorni scorsi - ha detto - ho ripetutamente cercato di trovare un commissario bipartisan. Ho chiesto a Berlusconiil quale mi ha rinviato a Letta, il quale Letta mi ha risposto che la decisione doveva essere di Berlusconi. Ho fatto una rosa di cinque nomi, ma non mi è giunta nessuna risposta».Intanto, scatta la corsa alla successione di Prodi. Per il Tg de La7 il nuovo presidente del Pd potrebbe essere Rosy Bindi, ma il dalemiano Latorre nicchia: «Si valuterà».

da lastampa.it


Titolo: ROMANO PRODI. Contro il Pd del Nord: siamo già partito federale
Inserito da: Admin - Aprile 20, 2008, 11:54:43 am
Prodi contro il Pd del Nord: siamo già partito federale


Annunciando le dimissioni dalla presidenza del partito, lo aveva messo in chiaro: non rinuncio a dire la mia. Detto, fatto. Romano Prodi boccia senza appello la proposta di dar vita ad un Partito Democratico del Nord: «Il Pd è nato come partito su base federale e regionale - sottolinea- allora non si possono cambiare le basi ogni due mesi. Seguiamo le regole del Pd, e andiamo avanti».

Una presa di posizione netta. Il leader democratico Walter Veltroni, che lunedì riunirà a Milano i segretari regionali, ha invece preferito tenersi fuori dalla querelle. Il Pd, si limita a rispondere «è una grande forza che si è insediata. Ci sono elezioni che segnano la fine di un percorso e altre in cui inizia, e queste sono state elezioni da cui si inizia».

A sostenere, pur con accenti e ipotesi organizzative diverse, la proposta del Pd del Nord sindaci e amministratori delle regioni padane. Non senza contrasti, come quelli che dividono da una parte il sindaco di Bologna Sergio Cofferati, sostenitore di un partito del settentrione federale basato su “macroregioni” ma senza leader, e dall’altra il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, che chiede di tenere l’Emilia fuori dal progetto e rivendica una leadership autonoma.

Intervistata dal quotidiano la Stampa, la presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso, afferma che un Pd del Nord si può e si deve fare «senza chiedere il permesso a Roma», e sottolinea come già da prima delle elezioni alcuni esponenti («io, Chiamaparino, Cacciari, Penati») avevano iniziato un «percorso in questa direzione».

Pubblicato il: 19.04.08
Modificato il: 19.04.08 alle ore 14.36   
© l'Unità.


Titolo: Il sindaco replica: «Lo rispetto ma non cambio idea»
Inserito da: Admin - Aprile 20, 2008, 12:01:34 pm
Il sindaco replica: «Lo rispetto ma non cambio idea»

Prodi boccia il Pd del nord

Il Professore contro il modello proposto da Cofferati: «Non si possono cambiare le basi ogni due mesi»

 
 
ROMA - «Il Pd è nato come partito su base federale regionale. Allora non si può cambiare le basi ogni due mesi, seguiamo le regole del Pd e andiamo avanti».

IL NO DEL PROFESSORE - Così il presidente del Consiglio dimissionario Romano Prodi, interviene da Bologna nel dibattito innescato da alcuni sindaci, primo fra tutti Sergio Cofferati, circa l'ipotesi di strutturare il partito guidato da Walter Veltroni secondo una impostazione federale, ma che segua delle macro regioni. Secondo Prodi, dunque, la struttura del Pd deve restare sulla misura regionale e federale, e non secondo l'idea di Cofferati che riguarda zone geografiche più ampie, divise fra Nord, Centro e Sud. «Il Partito democratico è nato regionalista e federale. La sua base sono le regioni», ripete il premier ai cronisti «il Pd deve semplicemente tenere fede al suo statuto, che è la sua legge e la sua regola». «È così, non deve diventare niente, deve far fede alle sue radici, e adempiere - specifica - i compiti del suo statuto».

CONTI - Prodi torna a ribadire che il proprio governo lascia alla nuova compagine governativa «i conti in ordine». «Noi abbiamo lasciato i conti in ordine. Il nuovo governo dovrà fare quello che abbiamo fatto noi per il paese. Non potrà certamente scialacquare», sottolinea il premier ai cronisti che gli chiedono se Berlusconi troverà l'extragettito di cui si è parlato, «e quindi - conclude - mi auguro che la buona amministrazione continui».

COFFERATI - In serata arriva la replica di Cofferati. «Ho il massimo rispetto e considerazione per l'opinione del presidente, ma non cambio idea» dice il sindaco. «La proposta che ho fatto di futuro assetto del Partito democratico non credo abbia bisogno di modifiche statutarie - ha spiegato Cofferati - ma, se anche così fosse, se il cambiamento è utile, non vedo perché non ipotizzare anche un adeguamento dello statuto. Un solo partito, un solo segretario: E il nuovo assetto federale, insieme al radicamento in ogni territorio, è utile che aggiunga un coordinamento politico delle macroaree che hanno forti identità e relazioni sociali ed economiche tra di loro, a cominciare dal nord».


19 aprile 2008

da corriere.it


Titolo: Prodi "scarica" il Dal Molin su Berlusconi (ideatore della svendita di Vicenza)
Inserito da: Admin - Aprile 25, 2008, 12:22:16 am
Colpo di scena nell’udienza al Tar sul ricorso del Codacons: il Governo uscente ha tentato di rimettere l’ultima decisione sulla base Usa a quello nuovo 

Prodi "scarica" il Dal Molin su Berlusconi 

Ma i giudici amministrativi avrebbero respinto la richiesta di dilazione ordinando la consegna degli atti
 

Vicenza
Punto a favore dei No Dal Molin davanti al Tar del Veneto. La prima sezione dell'organo di giustizia amministrativa ha accolto la richiesta di accesso ai documenti sul raddoppio della base Usa presentata, insieme al ricorso contro l'ampliamento della caserma Ederle, dal Codacons, dai comitati "No Dal Molin" e dall'Ecostudio Alexander Langer. Mentre secondo indiscrezioni avrebbe respinto una richiesta, giuntale in mattinata, con la quale il ministero della Difesa proponeva di sospendere il procedimento giudiziario rinviando tutto al prossimo governo. La richiesta è contenuta in una concisa lettera firmata dal capo di gabinetto del ministero, generale di corpo d'armata Biagio Abrate, che scrive: "si chiede il rinvio dell'udienza, al fine di consentire alla nuova compagine governativa di prossimo insediamento un'ulteriore valutazione". Uguale decisione di rimettere la questione al prossimo esecutivo, secondo fonti romane, sarebbe stata formalizzata qualche settimana fa dal ministro Parisi.

La lettera è stata consegnata al collegio giudicante dai legali dell'Avvocatura di Stato che difendono, oltre che il governo, anche il Comune e la Provincia di Vicenza. Ma secondo il presidente del Codacons, l'avvocato Carlo Rienzi che rappresenta l'associazione di fronte al Tar, "il collegio presieduto dal giudice Bruno Amoroso ha respinto la richiesta di rinvio". Ciò confermerebbe però che il governo Prodi abbia giocato, tra gli ultimi atti della sua amministrazione, la carta di affidare all'esecutivo che verrà formato da Berlusconi una non meglio precisata "valutazione ultima" sull'ampliamento della base americana.

Potrebbe arrivare già nella serata di oggi, invece, l'ordinanza del Tar sull'argomento principale del ricorso, cioè la richiesta di sospendere il nulla osta governativo all'ampliamento e gli altri atti connessi emanati dalla Regione Veneto e dal Comune di Vicenza. Atti in parte ancora non divulgati, tanto che ieri, alla fine di un'udienza durata poco meno di venti minuti, il Tar ha deciso di imporre all'Avvocatura di Stato il loro invio. In questo modo gli atti dovrebbero essere portati a conoscenza, entro venti giorni, dei legali che ricorrono contro l'ampliamento della Ederle.

L'esistenza di un nulla osta rilasciato dal governo Prodi era stata al centro di altre udienze di fronte al Tar del Veneto. "In una prima occasione l'Avvocatura di Stato l'aveva smentita - dice Rienzi - mentre nell'udienza del 4 settembre scorso, pur ammettendo l'esistenza del documento, non lo aveva presentato, tanto che nel nostro stesso ricorso non ne abbiamo potuto citare gli estremi".

Pierluigi Tamburrini
 
da gazzettino.quinordest.it


Titolo: Prodi alla guida del gasdotto «South Stream». «Per ora no grazie»
Inserito da: Admin - Aprile 29, 2008, 05:17:39 pm
LO SCRIVE IL giornale russo KOMMERSANT considerato molto vicino a Gazprom

Prodi alla guida del gasdotto «South Stream».

Il Professore: «Per ora no grazie»

L'offerta avanzata dal numero uno di Gazprom

 
 
ROMA - «No grazie». Romano Prodi sembra insistere nella scelta di voler fare il nonno e rifiuta l'offerta del numero uno di Gazprom, Alexei Miller, di diventare presidente di South Stream Ag, la società di diritto svizzero costituita dall'Eni e dalla stessa Gazprom per la realizzazione del gasdotto dal Mar Nero all'Europa». Dell'offerta a Prodi ne parla «Quotidiano energia», testata online di settore (www.quotidianoenergia.it), citando il russo «Kommersant», secondo cui il colosso del gas russo «intenderebbe seguire per il South Stream lo stesso schema utilizzato per il gasdotto Nord Stream attraverso il Baltico», presieduto dall'ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder.

LA VISITA - «Secondo «Kommersant» (giornale considerato molto vicino a Gazprom)- scrive Qe- l'obiettivo della visita di Miller a Roma è essenzialmente quello di convincere Prodi ad accettare l'incarico». Inoltre, ricorda «Quotidiano Energia», il mese scorso «la stampa ungherese aveva ventilato l'ipotesi che la presidenza del South Stream potesse andare al primo ministro magiaro Ferenc Gyurcsany, il cui Governo era in bilico a seguito di un referendum che ha bocciato il nuovo piano sanitario dell'esecutivo». La crisi «è stata tuttavia scongiurata in questi giorni con il defenestramento del ministro della Sanità, Agnes Horvath».

SIRCANA - Quella di presiedere la società che si occuperà della realizzazione del gasdotto South Stream è «un'offerta già fatta nei recenti incontri con Putin, ma Prodi gli ha detto che al momento» la soluzione «non è praticabile». Silvio Sircana, portavoce del presidente del Consiglio uscente Romano Prodi, commenta così quanto scrive il quotidiano russo «Kommersant» sul fatto che il numero uno di Gazprom, Alexei Miller, sia lunedì a Roma per offrire la presidenza di South Stream AG a Prodi. «Sappiamo solo che Miller ha chiesto un appuntamento- dice Sircana - ma il contenuto non è detto sia quello».


28 aprile 2008

da corriere.it


Titolo: ROMANO PRODI. In eredità i conti in regola
Inserito da: Admin - Maggio 02, 2008, 05:59:30 pm
In eredità i conti in regola

L'Europa cancella la procedura d'infrazione per deficit eccessivo

Mercoledì 30 Aprile 2008

"Il miglioramento strutturale dei conti pubblici cumulato nel 2006 e nel 2007 dal governo Prodi è prossimo al 3% del Pil, cioè ben oltre il minimo di 1,6% raccomandato dal Consiglio", si legge nel documento che sarà presentato alla riunione dell'esecutivo europeo. Grazie a questi risultati ottenuti del governo Prodi verrà archiviata, per l'Italia, la procedura d'infrazione per eccesso di deficit ereditata dal governo di centrodestra.
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Lettera del Presidente del Consiglio ai dipendenti della Presidenza del Consiglio in occasione dell'imminente commiato

Venerdì 2 Maggio 2008

Carissime e carissimi tutti,

In questi due anni ho avuto modo di inviare tante lettere di ufficio e di lavoro. Quella di oggi è forse meno "istituzionale", ma per molte ragioni ancora più importante. Desidero infatti che giunga a tutti i dipendenti della Presidenza del Consiglio il mio saluto e il mio ringraziamento.

Non si tratta del "solito" messaggio di fine governo. Non lo è perché nello scrivere queste righe salgono forti alla mente i ricordi e le emozioni di tante giornate trascorse insieme a dirigenti, funzionari, tecnici e addetti. Mai, in nessuno di voi, ho trovato disattenzione o scarso attaccamento all'istituzione che servite con continuato orgoglio.

E questo orgoglio è quello che provo oggi, nel salutarvi e ringraziarvi, perché questo è il vero volto della Pubblica Amministrazione, spesso alla ribalta per esecrabili casi di malfunzionamento ma che nel suo complesso è all'altezza delle sfide più difficili e moderne.

Per la seconda volta nella mia vita ho avuto il privilegio di "abitare" Palazzo Chigi. E per la seconda volta mi sono davvero sentito a casa. La dedizione e la serietà di tutto il personale non sono cose che si dimenticano. Dai piccoli gesti del mattino alla pazienza per le lunghe attese serali ho capito quanto importante sia il ruolo che rivestite. Dalla accurata preparazione dei dossier e degli atti normativi ho verificato la qualità di chi svolge l'oscuro ruolo di servitore dello Stato.

A tutti va davvero il mio abbraccio più forte e sincero. Sono stati altri due anni di grande lavoro, portati avanti anche grazie a voi. Siete davvero all'altezza della migliore Italia!

Con affetto e amicizia

Romano Prodi


Titolo: Prodi: "Il Paese era zimbello in Ue"
Inserito da: Admin - Maggio 02, 2008, 06:16:26 pm
Il Retroscena

E Prodi spinse per il rinvio: «Niente dati prima del voto»

La pubblicazione doveva essere l’ultima sfida sulle tasse

L’uscita sulla Rete, prevista per gennaio, fu sospesa per la crisi


ROMA — La svista tecnica si è trasformata alla fine in errore politico. La decisione di pubblicare sul web le dichiarazioni dei redditi degli italiani doveva essere una sorta di sfida al nuovo governo in tema di tasse. L’ultimo atto del viceministro Vincenzo Visco, che ha sempre legato il suo impegno pubblico alla battaglia contro l’evasione fiscale. In questo modo si voleva dimostrare che «la trasparenza è anche un deterrente per chi sceglie di non pagare oppure di denunciare meno di quanto guadagna», come lo stesso Visco aveva chiarito ai suoi collaboratori più stretti. Il fine era chiaro: noi stabiliamo la procedura, vediamo se sarà revocata da chi arriverà dopo. E invece è stato lui a essere costretto alla marcia indietro con quel comunicato che in serata conferma «la sospensione della pubblicazione». La scelta di rendere accessibili i dati era stata presa nel gennaio scorso.

Visco l’aveva concordata con Massimo Romano, il direttore dell’Agenzia dell’entrate che nel 2006 aveva richiamato dopo la «pausa» imposta durante il governo Berlusconi. Poi c’è stata la crisi di governo e, seguendo anche le indicazioni arrivate da Palazzo Chigi, si era deciso di soprassedere. Del resto proprio in quel periodo lo stesso Visco, agendo in tandem con Romano, aveva fatto sapere di aver ricevuto dalle autorità tedesche la lista degli italiani che fino al 2002 avevano trasferito soldi in Liechtenstein provocando infuocate polemiche con l’opposizione. Ieri mattina, quando la notizia della pubblicazione on line è diventata pubblica, Visco si è stupito di fronte alle accuse dei parlamentari della nuova maggioranza che lo hanno addirittura accusato di «essersi vendicato degli italiani che lo hanno mandato a casa ». «È un fatto di trasparenza— ha spiegato—una questione di democrazia e non vedo problemi.

Basta guardare qualsiasi telefilm americano per scoprire che anche negli Stati Uniti e nel resto del mondo si fa così». Una posizione che ha cercato di tenere anche dopo l’intervento del garante della privacy. Mentre i collaboratori di Tommaso Padoa-Schioppa spiegavano che «il ministro non è stato informato, ma non c’è nulla di strano perché si tratta di materia delegata al suo vice», Visco è andato a Palazzo Chigi da Romano Prodi. Ha tentato di difendere la propria scelta. Quando è apparso chiaro che la pubblicazione non era stata concordata con chi si occupa di tutelare la privacy degli italiani, ha cercato di sostenere che ormai non c’era alcun bisogno di prendere ufficialmente posizione perché tanto il sito dell’Agenzia delle entrate era ormai inaccessibile.

L’obiettivo era palese: non smentire il provvedimento che in calce porta la firma del direttore Romano. Prodi è stato però categorico: «Non possiamo far finta di niente. Stiamo per andar via e dobbiamo assumerci le nostre responsabilità ». Pochi minuti dopo la nota che «prende atto delle osservazioni del garante» è stata resa pubblica.

Fiorenza Sarzanini
01 maggio 2008


da corriere.it


Titolo: Prodi: "Il Paese era zimbello in Ue"
Inserito da: Admin - Maggio 03, 2008, 10:40:30 am
POLITICA

Il premier dimissionario sceglie il palco radicale per il suo ultimo intervento

Il segretario del Pd parla all'assemblea delle Acli: "Servono nuove allenze"

Prodi: "Il Paese era zimbello in Ue"

Veltroni: "Vicepresidenza a Udc"

Per la Camera si sussurrano i nomi di Rosy Bindi e Rocco Buttiglione

"I due vicepresidenti del Senato dovranno essere indicati da Pd e Italia dei Valori"

 
ROMA - "La politica economica severa del governo è stata moralmente necessaria. Senza di essa avremmo sfasciato il bilancio e messo a rischio il Paese". Romano Prodi, davanti all' "Assemblea dei mille" convocata dai radicali, difende caparbio e convinto l'operato del suo esecutivo: "Abbiamo salvato il Paese che era lo zimbello della Ue. Con noi sono diminuite le controversie con l'Europa" E avverte: "Con il centrodestra il contributo attivo alla Ue si affievolirà sicuramente".

Il premier dimissionario sceglie il podio offerto dai Radicali a Chianciano terme per quella che assomiglia alla sua ultima uscita pubblica e che comunque è senz'altro la sua prima uscita pubblica dopo la doppia sconfitta del Pd. Sono le prime ore del pomeriggio. Pochi minuti dopo il segretario del Pd Walter Veltroni sceglie invece il podio offerto a Roma dalle Acli, la più grande associazione dei lavoratori cattolici, per riprendere le file del discorso politico. Un filo che passa anche - come dimostra la scelta del luogo, degli interlocutori e dell'altro speaker il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini - "da un nuovo sistema di alleanze e dalla costruzione di nuove convergenze con le diverse opposizioni". Così, Veltroni annuncia che per le vicepresidenze di Camera e Senato il Pd proporrà un nome del Pd e uno dell'Udc per Montecitorio e uno del Pd e un altro dell'Italia dei Valori per palazzo Madama.
Nel primo caso sono forti le indiscrezioni sui nomi di Rosy Bindi e Rocco Buttiglione

Prodi difende il suo governo. Il professore rendendo omaggio ai radicali ("Grazie per la lealtà, siete gli ultimi giapponesi") difende con forza le scelte dell'esecutivo in questi venti mesi: "Abbiamo ridotto la disoccupazione al minimo storico, abbiamo lottato contro l'evasione fiscale non con i proclami ma con un impegno serio. Questo ha aumentato l'impopolarità del governo ma il nostro è stato un atto di coraggio per la democrazia". Prodi ha quindi rilevato che l'azione del governo è stata "condizionata dalle tensioni di una maggioranza composita". In definitiva per Prodi anche le liberalizzazioni sono un punto forte dell'azione di Palazzo Chigi, "anche se l'ultima parte di questo capitolo è rimasto dinanzi alle Camere".

"Il Pd deve avere più coraggio". Prodi difende anche quella che considera "la sua creatura". "Nel Partito democratico ho sempre creduto come pure nella sua capacità di dare una nuova forma al riformismo. Ho fatto quello che dovevo fare ma ora spetta ad un'altra leva". Quella che lascia è un'"eredità morale impegnativa. Il Pd può essere il punto di riferimento per l'azione riformista, ma deve avere coraggio, non deve avere paura". Tra i nodi futuri che il Pd dovrà affrontare Romano Prodi indica la "necessaria redistribuzione del reddito perchè le differenze sociali si allargano sempre di più. Il Pd dovrà affrontare anche questo tema".

(2 maggio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Prodi: «Il centrodestra ha moltiplicato le paure del Paese»
Inserito da: Admin - Maggio 03, 2008, 10:43:56 am
Dal palco dell'assemblea dei Mille promossa dai radicali italiani

A Chianciano Prodi: «Il centrodestra ha moltiplicato le paure del Paese»

«Ma il Paese ne è pieno non solo per la sfida globale, ma anche per quello che avviene nel nostro cortile»

 

CHIANCIANO (SIENA) - Il centrodestra di Silvio Berlusconi ha moltiplicato le paure del nostro Paese. È questa l'accusa che Romano Prodi rivolge al premier in pectore dal palco dell'assemblea dei Mille promossa dai radicali italiani. Prodi ha premesso che l'export italiano è il punto forte della nostra economia. «Ma il Paese ciononostante è pieno di paura, non solo per la sfida globale, ma anche per quello che avviene nel nostro cortile. Dobbiamo vincere queste paure, che sono state moltiplicate a scopo di campagna elettorale. Non possiamo andare avanti con terapie dettate dalla paura. Dobbiamo invece vincerla puntando anche all'Unione Europea».

NON HO RIMPIANTI - «Non ho nessun rimpianto». Così Romano Prodi ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano quale sia il suo stato d'animo mentre il governo di centrosinistra sta per chiudere anche formalmente l'esperienza iniziata nel 2006. Il premier uscente ha parlato per 40 minuti dal palco della «Assemblea dei Mille» promossa dai Radicali a Chianciano. In alcuni passaggi, Prodi ha criticato la scarsa compattezza degli alleati. È accaduto, per esempio, quando ha elogiato Emma Bonino «per la sua lealtà, coscienza e consapevolezza anche quando non eravamo d'accordo. Questa coscienza e consapevolezza - ha aggiunto Prodi - avrebbero dovuto essere comuni anche a tutti gli altri alleati della coalizione».

HO VINTO DUE L'ELEZIONI - «E’ raro, in un paese di 60 milioni di abitanti - ha spiegato - vincere due elezioni di fronte ad una struttura fornita di un’organizzazione massmediale poderosa che non ha confronti in nessun paese occidentale. Ho vinto due elezioni, e in entrambi i casi non ho potuto terminare la legislatura: è necessario che un politico democratico prenda atto di questo - ha concluso - e lasci il compito di continuare alle nuove leve».

ZIMBELLO - Il governo uscente ha salvato un paese che era «lo zimbello della Ue» da una grave crisi economica«. È questa, in sintesi, l'opinione di Romano Prodi sul suo operato. «In 20 mesi di governo ci siamo assunti il compito di governare l'Italia in una situazione d'emergenza. Con il nostro esecutivo sono diminuite le controversie con l'Europa e abbiamo sempre portato avanti l'orgoglio italiano». Diverso invece il giudizio di Prodi sul governo di centrodestra, «il cui contributo attivo all'Unione Europea andrà sicuramente affievolendosi»

IL SALUTO - «Grazie, vi saluto tutti ultimi giapponesi». Così si è congedato il presidente del Consiglio in carica Romano Prodi dall'assemblea dei Mille promossa da Marco Pannella, Emma Bonino e Mauro Del Bue. Il saluto il presidente del Consiglio lo ha fatto in giapponese per ringraziare la pattuglia dei radicali e in particolare Emma Bonino, «la sua convinta cultura di governo», la sua fedeltà al programma dell'Unione. «Sapevo bene dell'impopolarità di certe scelte - ha detto Prodi - però oggi possiamo vantare di avere risanato i conti pubblici e di aver fatto alcune importanti riforme (sicurezza sul lavoro, welfare, liberalizzazioni) che lasciamo in eredità al nuovo governo».


02 maggio 2008

da corriere.it


Titolo: PRODI: "NON MI SONO PENTITO DI NULLA, HO SEMPRE VINTO"
Inserito da: Admin - Maggio 07, 2008, 01:08:09 am
INTERVISTA A BALLARO'

PRODI: "NON MI SONO PENTITO DI NULLA, HO SEMPRE VINTO"

 
Romano Prodi non e' pentito di nulla.

Intervistato da Ballaro', il presidente del Consiglio uscente fa un bilancio della sua attivita' politica e della sua attivita' di governo e infine indica la sua ricetta per il futuro del Paese.

Lei corre ma il Paese corre? "C'e' qualcun altro adesso che lo deve far correre...". Ce la fara'? "Io mi auguro di si'". E la guida del paese com'era? "Ho avuto molte soddisfazioni, ed ero disposto a guidarlo per qualche altro anno. Io ho fatto la mia politica in modo d'avere dei risultati lungo tutta la legislatura, questa e' stata interrotta.. pazienza... non e' certo la mia responsabilita'". Si e' pentito di qualcosa? "No, di nulla - afferma Prodi - Ho fatto nuove proposte politiche, veramente nuove, una grande coalizione riformista, e ho vinto due volte le elezioni.

Nessuno lo ha fatto in Italia, vincere tutte le elezioni che ha fatto, in un Paese di 60 milioni di abitanti. L'esperienza e' stata interrotta, e ne ho tratto le conseguenze, mi sembra in modo serio e doveroso, proprio perche' il Paese possa andare avanti. Proprio perche' io non sia piu' di intralcio a quelle che emergono come le novita'". Novita'? "Novita'...".

(AGI) - Roma, 6 maggio -



Titolo: Prodi: clima di autoflagellazione non aiuta Paese
Inserito da: Admin - Maggio 07, 2008, 03:59:25 pm
2008-05-07 11:31

Prodi: clima di autoflagellazione non aiuta Paese

Romano Prodi punta il dito sul "clima di autoflagellazione" che si registra in Italia.

"Questo clima di autoflagellazione - dice a Sky Tg 24 il presidente del Consiglio - io non lo vedo in nessun altro Paese.

E' anni che dico questo, il primo discorso deve essere il discorso della propria forza e della propria debolezza, noi invece abbiamo solo consapevolezza della debolezza e un Paese che non ha fiducia in se stesso è un Paese perduto". 

da ansa.it


Titolo: Prodi saluta i " mille"
Inserito da: Admin - Maggio 21, 2008, 05:49:03 pm
Chianciano

Prodi saluta i " mille"



Grazie, grazie, è più lungo il vostro applauso del mio discorso.

Vi ringrazio dell'accoglienza ma sono io a ringraziare dell'invito che ho
accettato immediatamente proprio per un segno di gratitudine a Emma, Emma
che è stata nel governo un sostegno forte. E quando Pannella dice "sono
stato l'ultimo dei giapponesi" è vero e di questo lo ringrazio. Lo è stato
anche  su punti, su temi su cui non eravamo d'accordo; lo è stato per un
senso di coscienza e consapevolezza di cosa è il governo. Coscienza e
consapevolezza che avrebbero dovuto essere comuni a tutti coloro che
partecipavano alla coalizione di governo. Ed è per questo motivo che qui
faccio certamente un ultimo intervento della  fine di questa ordinaria
amministrazione, come è stata chiamata.
In settimana ci sarà  il nuovo governo, ci sarà il giuramento del nuovo
governo, ci sarà il passaggio delle consegne e quindi io chiudo, come ho
detto, questa non lunga ma intensissima mia esperienza politica. Non lunga
perché iniziata il 2 febbraio del '94, parecchio tempo fa ma non  secoli fa;
e intensa perché passata attraverso due presidenze del consiglio, la
presidenza della commissione europea, un profondo lungo lavoro di
riorganizzazione, tentativo di riorganizzazione della politica italiana
perché è nato con l'Ulivo, con l'idea precisa dell'Ulivo come premessa della
fondazione del partito democratico. Non è nata da un discorso vago,
generale. Cioè l'idea che se il riformismo italiano, in un paese così
complicato, così conservatore sotto tanti aspetti, doveva e poteva imporsi,
questo esigeva una struttura di cooperazione che prima si è chiamato Ulivo,
poi si è chiamata Unione e nell'ambito di questa il partito democratico come
momento di riferimento anche quantitativo, oltre che  l'importante punto di
convergenza di un riformismo socialista, cattolico, laico e liberale che si
mettevano assieme.  Sono stati anni intensi come una direzione politica,
come un quadro di riferimento molto preciso, molto rigoroso al quale io ho
cercato di tenere sempre coerenza. Anche nelle sconfitte. Perché è raro
nella democrazia occidentale, con tutta onestà, vincere in un paese di
sessanta milioni di abitanti, vincere due elezioni. E ripeto ho vinto due
elezioni, di fronte ad una  struttura fornita di una organizzazione di  mass
media poderosa, formidabile, anch'essa che non ha confronti come
percentuale, come capacità di penetrazione in nessun paese del mondo
occidentale.  Ho vinto due elezioni e in entrambi casi non ho potuto finire
la legislatura. E allora è chiaro, è giusto, doveroso che un politico
democratico prenda atto di questo e lasci ad una nuova leva la
responsabilità di portare avanti questo cammino che io ho iniziato e al
quale io sarò fedele, che è la linea di azione, che è il mio riferimento
anche etico della mia vita politica ma che non si è potuto verificare in
entrambe le situazioni.
E' chiaro che, per questo motivo, quanto prima dicevo è un obbligo di
riconoscimento del lavoro fatto da Emma Bonino e dai radicali di aver
interpretato in modo corretto il tema della governabilità e di aver
rinunciato in molti momenti,  Emma lo sa benissimo perché ci siamo anche
quasi azzuffati, nel senso buono del termine, di aver saputo rinunciare alla
visibilità di bandiera in nome del progetto condiviso, senza con questo
abdicare alle proprie convinzione e ai propri valori. Questa è democrazia
governante. Questa è la democrazia governante.
Democrazia governante non è andare d'accordo in tutte le virgole delle 281
pagine del programma, che però è stato - interessante questo aspetto - molto
deriso questo aspetto delle 281 pagine. Però, Emma lo ricorda benissimo, è
stato il momento della discussione in cui tante cose sono venute a
convergere, in cui siamo rimasti con pochi punti di dissenso. E soprattutto,
attenzione:  io capisco che dal punto di vista mediatico può non essere
utile avere 281 pagine di programma ma da queste a fare la campagna
elettorale in cui i programmi sono stati assolutamente trascurati e
calpestati perché la gente diceva che non contano nulla ed aver convinto il
popolo italiano che i programmi non contano nulla, guardate è un passaggio
indietro grosso  quello che è avvenuto non è un passaggio in avanti. Io
vorrei che riflettessimo su questi fatti proprio perché, ripeto, in un paese
complicato, un paese così articolato come l'Italia, il problema di trovare
la convergenza sul programma  di forze diverse, mantenendo anche le proprie
radici, le proprie differenze, è un fatto fondamentale perché vi sia una
democrazia vera e perché non si vada alla ricerca di quanto ha detto prima
Marco, di una democrazia così semplificatrice da togliere di mezzo tanti
significati, tante voci, tanti aspetti della vita politica italiana.  Ecco
questo è il motivo per cui io conservo questa gratitudine e ho ascoltato con
grande interesse le riflessioni di Del Bue prima su un cammino di politica
che si allontana dalla democrazia effettiva che è stato un po' al centro
della sua analisi; e di Marco che ha fatto il discorso sulla distinzione tra
innovazione reale e nuovismo ad ogni costo che è l'altro rischio che noi
abbiamo; e poi prendo anche un altro concetto che ho sentito nei discorsi
precedenti, soprattutto da Amato quando ha parlato al governo ha parlato di
un coraggio dell'impopolarità.
Guardate, sia chiaro, quando io ho preso le decisioni durante questi due
anni di governo le ho prese sapendo benissimo che cosa comportavano ma
sapendo anche che un leader prende le decisioni impopolari perché governa
cinque anni e poi si hanno i risultati delle decisioni prese. E noi abbiamo
risanato l'economia, l'abbiamo risanata davvero, lasciamo un bilancio in
ordine. E' stata un'azione forte, vigorosa, rapida. L'abbiamo fatto con
quello che deve essere la democrazia pulita, quella che sfida
l'impopolarità, quella che non corre dietro al messaggio quotidiano, quella
che ha un contenuto etico nella sua azione. Sa benissimo, perché la
legislatura dura cinque anni, che poi i frutti anche in termini di sviluppo
di redistribuzione del reddito verranno ma non può non toccare le
incrostazioni del presente se vuole migliorare la situazione. Non possiamo
fare la campagna elettorale in cui critichiamo l'evasione fiscale, la
distribuzione iniqua dei redditi, il peggioramento e la divaricazione di un
paese e poi non ci mettiamo nella nostra azione politica quotidiana a
toccare questi temi sapendo benissimo che sono impopolari, sapendo benissimo
che le ferite e le difficoltà arrivano prima dei risultati. E' così che
agisce la politica.
Io credo che si debba agire sempre con lealtà verso il paese. E noi abbiamo
portato avanti questo impegno difficile. Emma ci ha aiutato enormemente in
questo. Ci ha aiutato come un ministro politico che ha dato un contributo al
governo e anche come un ministro donna che non ha mai ragionato per quote ma
ha sempre ragionato per progetti. Un ministro che ha portato nel mondo
l'orgoglio italiano ma ricordava sempre al consiglio dei ministri che siamo
dentro l'Europa e che questo comporta doveri.  Questo è il motivo per cui
sono qui, un motivo di gratitudine, un motivo di parlare di quella che è
l'etica di un governo, perché se no il paese se non tiene questa etica  è un
paese finito e le nuove leve che dovranno portare avanti il partito
democratico e che dovranno reggere questo paese dovranno ricordare questi
punti elementari, questi punti semplici della vita democratica di un paese.
Guardando sempre a quello che si è fatto insieme: se l'export è oggi la
parte più dinamica dell'economia italiana, tutti lo scrivono, ma non
scrivono mai perché.
Se l'export va avanti  soprattutto nei paesi nuovi, in cui l'opera del
governo è più importante perché ancora il mercato non si è affinato da poter
portare avanti lui le sue regole, è perché questo il governo lo ha fatto,
perché Emma lo ha fatto. I viaggi in Cina i viaggi in India, l'ultimo
viaggio in Egitto non sono mai stati viaggi burocratici. Avevamo con noi
centinaia di imprenditori. Certo eravamo diversi dagli altri paesi: se
confronto come erano i viaggi di Chirac, o la Merkel, con i nostri erano
completamente diversi; loro avevano dieci grandi imprese, una piccola
rappresentanza che comprendeva il paese. Noi avevamo cinquecento
imprenditori in Cina, quattrocento in India, centocinquanta nell'ultimo
viaggio in Egitto ma abbiamo sempre voluto portare con noi il paese, aiutare
il paese, rappresentare il paese.  I risultati sono che se oggi non c'è un
crollo della nostra economia lo si deve alla fortissima tenuta dell'export.
Su questo non c'è alcun dubbio e nonostante tutti i dati macro economici
proverebbero il contrario, una produttività bassa, un cambio durissimo.
Andate a vedere paese per paese: dove il governo contava, lì abbiamo avuto
gli incrementi maggiori. Ecco per venti mesi ci siamo assunti il compito di
governare l'Italia partendo dalle emergenze dell'Italia, dall'enorme
difficoltà da affrontare. E dallo zimbello dell'Europa noi  ci siamo messi
al centro dell'Europa e, non secondario su questo, è la grande diminuzione
del contenzioso nei confronti dell'Europa. Ogni consiglio dei ministri Emma
ci portava i passi in avanti verso la diminuzione delle nostre controversie
e del nostro essere in stato di accusa di fronte alla comunità
internazionale di cui noi facevamo parte.
E poi è iniziato un'opera di effettive liberalizzazioni anche se la terza
parte, forse la più cospicua, è rimasta davanti al Parlamento ancora
incompiuta, la politica della casa, l'aiuto alle famiglie, la riforma del
walfare, gli aumenti alle pensioni più basse che vanno in distribuzione nel
momento in cui il governo è entrato in crisi. Ma l'abbiamo deciso perché
avevamo fatto una politica economica severa e abbiamo potuto mettere in
ordine il bilancio. Se noi avessimo preso queste misure senza la famosa fase
di serietà e di severità, noi avremmo sfasciato la struttura del bilancio,
avremmo messo a rischio il nostro paese. Abbiamo lavorato sulle energie
alternative, abbiamo lavorato sulla riforma del welfare, abbiamo ridotto la
disoccupazione al minimo storico e aumentato fortemente, nonostante che sia
ancora una tragedia, l'attenzione sulla sicurezza del lavoro. I lavoratori
in nero emersi sono stati regolarizzati. Potrei continuare. Regolarizzati
duecentomila lavoratori edili irregolari come una media  grande  città
italiana, duecentomila. Questa è opera seria, come l'opera seria della
evasione fiscale. La lotta contro evasione fiscale è stata fatta non con i
proclami ma con la severità e la serietà con cui si fanno queste cose.
Questi sono problemi che, credo, hanno aumentato la impopolarità. Non ho
alcun dubbio perché affrontare queste cose vuol dire essere impopolari ma il
coraggio della democrazia è questo. E il risultato è stato che senza
aumentare le imposte, ripeto, senza aumentare le aliquote, sono aumentati
gli introiti e quindi la premessa per potere diminuire le aliquote e fare in
modo di avere un fisco diseguale e ingiusto che pesa innanzitutto sugli
onesti e passare ad un fisco invece distribuito a seconda della forza delle
spalle. Questo è l'operato che il governo ha fatto nei suoi venti mesi.
Certamente questa azione del governo, lo ha ricordato Marco giustamente, è
stata condizionata dalle tensioni di una maggioranza composita ma non
bisogna mai dimenticare quello che è stato fatto nella direzione che ho
indicato prima e soprattutto nel risanamento della economia e nella lotta
alla evasione fiscale.
Ecco questa è l'opera del governo. E un'altra opera paziente, ancora più
complicata, cioè il lavoro che ho compiuto con difficoltà -  e qui parlo ad
un ambiente che capisce le difficoltà -  per un dialogo tra laici e
cattolici che fosse rispettoso di entrambe le origini, di entrambe le
radici, di entrambe le  profonde convinzioni ma laici e cattolici che devono
vivere insieme in un paese comune, in un paese che si sta trasformando in un
modo enorme. Il nostro futuro, lo ricordavo al congresso dei democratici e
voglio leggere le stesse parole che dicevo a loro per non creare né
equivoci, né cambiamenti. Dicevo: "Il nostro futuro non è evocare i fantasmi
del passato dello scontro tra laici e cattolici quanto quello di essere
necessariamente e positivamente assieme" . Dicevo allo stesso convegno del
partito democratico, che non ho risposte perché questo non avvenga con
grande volontà impegno. Non ho risposte, dicevo. So che ormai "da alcuni
anni si procede nella direzione sbagliata. Assisto infatti con tanta
preoccupazione al moltiplicarsi di atteggiamenti negativi che occupano
entrambe gli schieramenti politici. Da una parte, si fa strada l'elogio
acritico e l'ossequio formale alle autorità religiose e, dall'altra, vedo la
volontà di non affrontare i problemi che dividono la nostra società solo per
non pagarne il costo politico. Né con l'una, né con l'altra scelta si
consente una convivenza matura tra laici e cattolici. Anzi sia l'una che
l'altra contengono di fatto la volontà di rendere irrilevante il contributo
di una ispirazione religiosa, del quale contributo anche lo sviluppo della
laicità ha bisogno" Ed io sono profondamente convinto di questo ed era parte
tutto questo contributo del messaggio dell'Ulivo, del messaggio voi del
partito democratico. Questo è la ragione, la motivazione forte del nostro
lavoro che abbiamo compiuto assieme.
E adesso oggi noi vediamo che il paese è pieno di paure. Le paure non solo
delle sfide globali che poi non si vincono con la paura, ma anche e
soprattutto di quello che avviene nel proprio cortile. Noi dobbiamo vincere
queste paure. Emma nel suo intervento darà dei dati da cui si dimostra
quanto queste paure siano state moltiplicate, esagerate, costruite a scopi
di campagna elettorale. Io non vi sto a dire questo però vorrei dirvi che
sia che ci occupiamo di problemi interni sia che ci occupiamo di strategie
internazionali, noi non possiamo andare avanti con una terapia dettata dalla
paura. La paura non è mai un buon consigliere, è una terapia di chiusura che
non accetta le sfide e quindi è destinata a perderle. E' chiaro che questo
porterebbe ad un discorso più ampio, perché l'Italia da sola non può
vincerle. Quando parlo di vincere le paure voglio dire che dobbiamo
vincerle insieme all'Europa, questa grande realtà politica che può diventare
l'Europa nel mondo attuale. Questa forza economica è anche forza culturale,
forza ideologica, forza che costituisce il nostro continente, al quale
dobbiamo continuare a dare un contributo attivo, alla quale dobbiamo credere
mentre invece vedo affievolirsi soprattutto nella nuova maggioranza questo
sentimento dell'Europa. Questo sentire l'Europa come un peso. L'Europa come
qualcosa che ti obbliga a scelte che tu non avresti fatto e invece è la
forza che ci aiuta a fare in modo che possiamo avere una parola nel modo
globalizzato. Questo è un rovesciamento che questo paese deve portare
avanti.
Tra queste battaglie ce ne sono tante che vanno nella direzione che voi
avete scelto che noi abbiamo scelto assieme. Pensiamo al problema della
battaglia per la moratoria della pena di morte. E' stato qualcosa di
straordinario ma io vedo un'altra battaglia da portare avanti con il peso
della responsabilità politica. Oggi nel mondo ci sono miliardi di persone,
quando parlo di miliardi, parlo di miliardi, che soffrono la fame per
sciagurate scelte di sviluppo macro economico e noi non possiamo far finta
che la cosa non ci riguardi. Quando faccio i conti, e c'era un paio di
giorni fa sul "Financial Time" una analisi di questo tipo che parte
prevalente dell'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari che sta
sconvolgendo l'Asia e l'Africa, la parte prevalente è data dai sussidi per
passare alla produzione di energia qui ci troviamo di fronte ad un problema
che ha una dimensione etica impressionante e combattere questo è il modo di
vincere le paure, far capire che possiamo spostare in avanti una frontiera
di civiltà, una frontiere di comunità mondiale. Ecco per questi motivi, e
potremmo indicarne tanti, c'è bisogno al mondo di una grande forza
riformista. Ho fatto esempi internazionali, ma al nostro interno  c'è
bisogno di un discorso che riporti la redistribuzione del reddito. Io non ho
mai parlato di uguaglianza, io non ho mai parlato di queste cose. Ma quando
vediamo delle separazioni come abbiamo oggi, delle differenze tra il primo
decile e l'ultimo decile che si allargano sempre di più in termini
percentuali, qualcosa che non va nella nostra base, qualcosa che non va
nella nostra concezione politica c'è. Dobbiamo pure fare in modo che ci sia
un riformismo che nella politica estera raggiunga gli obbiettivi che abbiamo
detto prima e che nella politica interna stia attento a queste eccessive
divaricazioni.
Ecco, questo è il motivo per cui la politica è un grande impegno civile;
sopratutto deve essere un grande impegno civile. E credo che il partito
democratico ha l'ambizione di questa forza riformista. Ed io sono convinto
che perché possa far fronte a questa ambizione si debba alimentare delle
tante culture, di tanti valori che hanno costruito il campo del
centrosinistra italiano. Io credo che questo sia estremamente importante
proprio perché c'è bisogno di una grande convergenza di forze riformiste.
Credo che le ultime elezioni lo abbiamo dimostrato. Ecco, questo era il
progetto dell'Ulivo. Io ho fatto quello che dovevo fare, quello che mi
sentivo di fare. Credo che adesso spetti ad un'altra leva. E' una eredità
morale seria forte che lasciamo, una eredità politica impegnativa. Ma credo
che il paese abbia bisogno di portare avanti questa linea e di costruire una
forza riformista davvero in grado di cambiare il paese. Sono convinto che il
partito democratico può essere il riferimento di questa forza riformista.
Deve aver coraggio, non deve aver paura, Non deve guardare al passato ma
deve guardare al futuro Ecco perché sono venuto qui, e proprio perché mi
trovo di fronte agli ultimi giapponesi vi lascio dicendo sayonara e arigatò.

Roma, 2 maggio 2008
(trascrizione dalla registrazione della "Assemblea dei Mille" effettuata da
Radio Radicale www.radioradicale.it)


Titolo: PD: PRODI, RAGIONI MIE DIMISSIONI ANCORA VALIDE
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2008, 05:12:43 pm
Roma, 16:31

PD: PRODI, RAGIONI MIE DIMISSIONI ANCORA VALIDE

Le ragioni delle mie dimissioni dal Pd sono ancora valide. Romano Prodi
scrive a Walter Veltroni una lettera, pubblicata sul suo sito internet, per
confermare le dimissioni da presidente Pd e invitare a trovare un
successore. "Caro Walter - scrive il Professore - ho avuto notizia di una
iniziativa perche' l'Assemblea del prossimo 20 e 21 giugno respinga le mie
dimissioni dalla carica di Presidente del Partito Democratico. Sono
riconoscente e grato per questa manifestazione di stima e di amicizia, ma
ritengo che le ragioni che mi hanno spinto il giorno di Pasqua ad inviarti
la lettera di dimissioni siano ancora valide e che convenga a tutti nominare
al piu' presto un'altra persona a ricoprire tale carica". "Il Partito
Democratico, che e' il punto di riferimento dell'area riformista italiana -
sottolinea Prodi -, porta infatti la responsabilita' ed il dovere di
completare rapidamente le proprie strutture per preparare una concreta
alternativa all'attuale Governo del Paese. Tutto questo e' necessario per
dare una risposta adeguata ai milioni di elettori e ai tanti italiani che si
sono in questi anni generosamente impegnati per la costruzione del Partito
Democratico e per il rinnovamento della politica del nostro Paese. Augurando
all'Assemblea un buon lavoro, ringrazio ancora una volta te e tutti gli
amici per la generosa collaborazione che ho ricevuto in questi anni di vita
politica e ti saluto con molta amicizia".

testo anche su
http://www.romanoprodi.it/cgi-bin/adon.cgi?act=doc&sid=70&doc=2195


Titolo: Prodi: non lascio la politica
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2008, 05:13:28 pm
20/6/2008
 
Prodi: non lascio la politica
 
 
 
 
 
ROMANO PRODI
 
Caro direttore,
senza voler entrare in alcun modo nel merito né dei sostantivi né degli aggettivi contenuti nello scritto di Marcello Sorgi a me dedicato sotto il titolo «L’esilio di Romano. Un macigno sull'assemblea del Pd» (La Stampa del 18 giugno), dei quali lascio ogni responsabilità all'autore, vorrei limitarmi a una sola precisazione. Non è vero che «Romano Prodi, l'unico leader che ha battuto due volte Berlusconi, ha atteso una decina di giorni dal fatidico 13 aprile prima di separare il suo destino dal suo (ex) partito».

A dieci giorni dal 13 aprile, infatti, io ho solo reso note le mie dimissioni da presidente della Assemblea del Partito. Esse erano state tuttavia da me trasmesse al segretario del Partito ben prima di quella data, ma comunicate dopo le elezioni per evitare che il gesto potesse in qualsiasi modo danneggiare la campagna del Pd e nuocere al suo risultato elettorale. E questo appunto perché, a differenza di quel che scrive Sorgi, esse non intendevano e non intendono in alcun modo esprimere l'intenzione di separare il mio destino da quello che non è il mio ex partito bensì quello che considero ancora il mio partito di appartenenza, ma solo segnalare una ridefinizione delle mie responsabilità in una fase diversa della mia vita.

Prendiamo atto con piacere che Prodi non intende abbandonare la vita politica. Ma ricordiamo che nei giorni scorsi erano stati diversi esponenti del Pd, anche a lui vicini, a parlare di una sua «diversa scelta esistenziale». Resta poi aperto il problema: l’Assemblea costituente del Pd discuterà la linea prodiana di accordo tra il centrosinistra riformista e la sinistra radicale, grazie alla quale l’Ulivo nel 1996 e l’Unione del 2006 vinsero le elezioni, e senza la quale il Pd nel 2008 le ha perse, o continuerà a considerare quello di Prodi un caso personale e non politico? [M. SO.]

 
da lastampa.it


Titolo: PRODI: L'ITALIA PUO' CONTARE MA SERVE INTEGRAZIONE
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2008, 08:11:31 am
2008-07-18 21:12

PRODI: L'ITALIA PUO' CONTARE MA SERVE INTEGRAZIONE

dell'inviata Alessandra Massi


PESARO - "L'Italia può contare in Europa, perché l'Europa non può fare a meno dell'Italia", a patto che il nostro Paese prosegua nel cammino dell'integrazione. E' l'opinione dell'ex premier Romano Prodi, presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004, intervenuto oggi ad un dibattito durante la manifestazione "Pesaro Europa", in cui ha partecipato alla presentazione del suo libro "La mia visione dei fatti" dedicato ai suoi cinque anni di governo europeo. "Da soli non esistiamo - ha spiegato, rispondendo alle domande di Pier Virgilio Dastoli, della rappresentanza della Commissione europea in Italia, di Giampiero Gramaglia, direttore dell'ANSA, e dai giovani redattori di un giornale del liceo scientifico di Pesaro -, sui grandi temi bisogna avere una politica comune, altrimenti le voci dei singoli Paesi non vengono ascoltate".

Il cammino dell'Europa è inevitabile - secondo Prodi -, "fatale, ma noi arriveremo all'Unione europea solo dopo una lunga crisi. Io speravo che si potesse cogliere questo traguardo in modo illuministico, ragionato. Ma - ha aggiunto - vedo che ci arriveremo solo dopo aver toccato il fondo", cioé dopo aver provato "quello che vuol dire stare senza Europa". In questo senso, la crisi economica che ci sta colpendo, nonostante lo scudo protettivo dell'euro, "é un segnale di come siamo a rischio, di come dipendiamo dagli altri". Ad esempio per l'aumento del prezzo del grano "perché Cina e India si sono messe a mangiare". L'ex presidente della Commissione europea crede che il Mondo "debba essere gestito in modo multilaterale, ma anche noi dobbiamo poter dire la nostra".

Prodi è altrettanto sicuro "che non abbiamo toccato il fondo, quel punto che ci obbliga a dire 'cambiamo' ". In conclusione, per l'Italia "non c'é altra via che l'integrazione", superando una serie di problemi (rifiuti, immigrazione, sicurezza) che sembrano allontanare il nostro Paese dall'orbita europea. Questi fattori "sono di ostacolo, a giudizio di Prodi, ma non debbono frenare tale processo. Bisogna risolverli per essere più vicini all'Europa. Ma poi - ha concluso - anche gli altri Paesi hanno i loro problemi...".   


da ansa.it


Titolo: Prodi: «Sto benissimo, ma sarei rimasto»
Inserito da: Admin - Agosto 23, 2008, 11:32:53 pm
A RICCIONE


Prodi: «Sto benissimo, ma sarei rimasto»

L'ex presidente del Consiglio risponde così a una domanda sulla sua lontanza dalla politica



RICCIONE - Attualmente «sto benissimo, sto meglio di un anno fa, anche se non sono andato via per stare meglio. Io sarei anche rimasto». Così, con ironia, l'ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha replicato al direttore di Radio Dj, Linus, che gli chiedeva come si trovasse in questo momento, lontano dalla politica. «Mi è dispiaciuto molto» ha aggiunto, nel corso della presentazione del suo libro 'La mia visione dei fatti', sui suoi anni alla guida della Commissione Europea, ma «le cose hanno un termine e ora inizia una nuova vita».

I PROBLEMI DEL GOVERNO - Rispondendo poi a chi gli chiedeva un commento sulla gestione dell'attuale esecutivo, Prodi ha risposto: «Quando si governa non si può scontentare troppa gente, ma non scontentando i problemi peggiorano». Il discorso è poi scivoltao sulla moneta unica. Qualora non fosse stata adottata in Italia la moneta unica, di fronte agli attuali corsi dell'economia, il Paese avrebbe rischiato una inflazione estremamente elevata e di trovarsi «in disfacimento». Prodi ha chiarito così il suo pensiero: «Tutti sapevano che l'Italia non poteva stare fuori dall'euro. Senza euro avremmo livelli di inflazione impressionanti e un Paese in disfacimento».

CAMBIAMENTO - Gli anni passati alla guida dell'Italia «sono stati anni belli in cui ho tentato un cambiamento forte della politica italiana attraverso il bipolarismo e la creazione di una grande alleanza di centrosinistra. Due volte ho vinto le elezioni, e due volte il disegno è stato interrotto dalla stessa coalizione» che appoggiava l'esecutivo. Così Romano Prodi a chi gli chiedeva un commento sulla sua esperienza politica italiana. «Spero che qualcun altro possa portare avanti questa esperienza, che reputo l'unica soluzione valida», ha proseguito replicando a chi gli chiedeva cosa vedesse nel futuro del centrosinistra. A giudizio di Prodi, in politica quello che «è importante è il realismo, la serietà e l'onestà con cui la si fa». Questa è l'eredità che si lascia. «Penso - ha proseguito riferendosi ai politici - che il nostro dovere sia mostrare coerenza e obiettivi precisi, anche se il prezzo può essere molto alto».


23 agosto 2008

da corriere.it


Titolo: Prodi: "L'Ulivo tornerà ma senza di me"
Inserito da: Admin - Agosto 24, 2008, 06:26:32 pm
POLITICA

L'ex premier parla del suo governo e del Pd: "Sarei rimasto volentieri"

Una ragazza dice di sentirsi "un poco orfana" e il Professore risponde: "Anch'io"

Prodi: "L'Ulivo tornerà ma senza di me"

di MARCO MAROZZI

 

RICCIONE - L'Ulivo tornerà. "Anche se non sarò io a portarlo fuori". Romano Prodi, dopo mesi e mesi di silenzio, parla del futuro suo e dell'Italia. E, dopo mesi di amarezza, si illumina di sorrisi davanti a una gran folla. E, senza nominarlo, fa "lezione" al Partito democratico. Indicandogli un futuro che guarda all'Europa, al mondo e ai suoi grandi problemi. "Di fronte alle nuove sfide mondiali, noi non li risolviamo rifugiandoci in dottrina astratte". Parla di governi, ma anche di opposizioni. In Europa e in Italia. Riproponendo una politica di bipolarismo forte.

Succede a Riccione, nel parco strapieno della Villa Mussolini, dove il Professore è stato chiamato dalla libreria Bloc 60 a presentare il suo volume "La mia visione dei fatti", racconto di "cinque anni di governo in Europa", uscito proprio nel giorno della caduta come premier e che adesso diviene uno strumento di ragionamento su un metodo politico. Mille persone, con a fianco dell'ex premier Linus, direttore di Radio Capital, Dee Jay, MO2, che lo intervista dando molte volte il microfono al pubblico. E ad una ragazza che gli dice di essere triste per la fine dell'Ulivo e si senta "un poco orfana", lui risponde "anch'io", poi lancia: "L'idea che stava alla base della proposta con cui sono entrato in politica ritornerà fuori, assolutamente".

"Non la porterò fuori io - ha aggiunto - ma qualcun altro la porterà fuori". "Attualmente sto benissimo, sto meglio di un anno fa, anche se non sono andato via per stare meglio. Io sarei anche rimasto. Mi è dispiaciuto molto". "Sono stati anni belli in cui ho tentato un cambiamento forte della politica italiana attraverso il bipolarismo e la creazione di una grande alleanza di centrosinistra. Due volte ho vinto le elezioni, e due volte il disegno è stato interrotto dalla stessa coalizione che appoggiava l'esecutivo", ha ricordato l'ex premier. A giudizio di Prodi, in politica quello che "è importante è il realismo, la serietà e l'onestà con cui la si fa". Questa è l'eredità che si lascia. "Penso - ha proseguito riferendosi ai politici - che il nostro dovere sia mostrare coerenza e obiettivi precisi, anche se il prezzo può essere molto alto". E del governo Berlusconi dice: "Non si può scontentare troppa gente, ma non scontentando i problemi peggiorano".

Ritenendo di "non tornare alla politica italiana" e che girerà il mondo "con primo interesse" e un'attenzione a un possibile ruolo internazionale, Prodi ha ricordato il suo "disegno di alternanza chiara". Al Pd che non ha ancora deciso come andare alle elezioni europee e il suo ruolo rispetto al Pse e al Partito democratico europeo, l'ex premier ha lanciato: "È indispensabile creare grandi partiti a livello europeo. Ma non vedo grandi cambiamenti nel futuro che verrà. E alle ultime elezioni la parola Europa non è mai stata pronunciata e nessun politico ha mai avuto alle spalle la bandiera europea".


(24 agosto 2008)

da repubblica.it


Titolo: Intercettazioni, Prodi: "Pubblicatele pure"
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2008, 06:54:22 pm
29/8/2008 (11:18) - IL CASO

Intercettazioni, Prodi: "Pubblicatele pure"
 
Il Professore: «Hanno creato un caso politico artificiale»

ROMA


No a una legge sulle intercettazioni che limiti i poteri di indagine attribuiti ai magistrati, «nessuna contrarietà» a che «tutte le mie telefonate siano rese pubbliche». Romano Prodi reagisce così alla pubblicazione di alcune sue intercettazioni relative all’inchiesta Siemens e alla solidarietà del premier Silvio Berlusconi.

«Vista la grande enfasi e, nello stesso tempo, l’inconsistenza dei fatti a me attribuiti da Panorama - dice l’ex presidente del Consiglio, che parla subito dopo l’intervento in proposito del premier Silvio Berlusconi - non vorrei che l’artificiale creazione di questo caso politico alimentasse il tentativo o la tentazione di dare vita, nel tempo più breve possibile ad una legge sulle intercettazioni telefoniche che possa sottrarre alla magistratura uno strumento che in molti casi si è dimostrato indispensabile per portare in luce azioni o accadimenti utili allo svolgimento delle funzioni che le sono proprie». «Da parte mia - conclude Prodi - non ho alcuna contrarietà al fatto che tutte le mie telefonate siano rese pubbliche».

In mattinata il premier aveva diffuso una nota in cui offriva la sua solidarietà al Professore e invocava un intervento del Parlamento sul tema delle intercettazioni: «La pubblicazione di intercettazioni telefoniche riguardanti Romano Prodi, a cui va la mia assoluta solidarietà, non è che l’ennesima ripetizione di un copione già visto. È grave che ciò accada e il Parlamento deve sollecitamente intervenire per evitare il perpetuarsi di tali abusi che tanto profondamente incidono sulla vita dei cittadini e sulle libertà fondamentali».

Anche il ministro per l’Attuazione del programma Gianfranco Rotondi aveva solidarietà a Romano Prodi per le intercettazioni che lo riguardano e dice basta con le «gogne mediatiche». «Al presidente Prodi - scrive in una nota - va la mia solidarietà perchè è inaccettabile che le intercettazioni continuino ad essere motivo di gogna pubblica senza che ci sia un minimo di garanzia a tutela dei cittadini e, ovviamente, anche di chi riveste cariche pubbliche».

da lastampa.it


Titolo: Romano Prodi ha consegnato all’ONU un piano di peacekeeping in Africa
Inserito da: Admin - Dicembre 13, 2008, 04:54:43 pm
Romano Prodi


Il Presidente Romano Prodi, ha consegnato ieri a New York ai vertici
dell’ONU il rapporto relativo ad un piano di peacekeeping in Africa.

Il rapporto e' stato curato da un gruppo di esperti di alto livello,
guidato dallo stesso Presidente Prodi, ed istitituito sulla base di
una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Aprile 2008.

Il rapporto valuta in profondita', sulla base delle esperienze
precedenti un coinvolgimento piu' ampio della Unione Africana nelle
attivita' di 'peace keeping' in Africa. Propone anche nuove modaita'
di supporto delle operazioni relative agli apetti finanziari, alla
logistica e agli equipaggiamenti. In sostanza affida maggiori
responsabilita' all'Unione Africana ma anche strumenti e mezzi.

La consegna del rapporto, che e' avvenuta nei tempi previsti, segna
dunque la conclusione della prima fase dell'incarico assunto dal
Presidente Prodi nello scorso mese di settembre presso l'Onu.

Il rapporto verra' ora trasmesso al Consiglio di sicurezza in vista
della presentazione da parte del prof Prodi, e della sua discussione,
previste per l'inizio dell'anno prossimo. Il Rapporto restera'
riservato fino alla sua distribuzione ai membri del Consiglio di
sicurezza.



_______________________________________________
RomanoProdi mailing list
RomanoProdi@liste.fondazionepopoli.org
http://liste.fondazionepopoli.org/mailman/listinfo/romanoprodi


Titolo: Sono vari i segnali che dichiarano finito l'annus horribilis di Romano Prodi
Inserito da: Admin - Dicembre 25, 2008, 10:08:36 am
Caro Amico ti scrivo


Sono vari i segnali che dichiarano finito l'annus horribilis di Romano Prodi 

Cara amica, caro amico,

ti scrivo perché mi hai contattato durante il mio ultimo mandato come presidente del Consiglio...". Comincia così la mail in arrivo a un vasto indirizzario, firmata Romano Prodi. Segue la presentazione del nuovo think-tank dell'ex premier, la Fondazione per la collaborazione tra i popoli, e la richiesta di adesione: "Anche se con una struttura organizzativa estremamente leggera, vorrei stabilire un rapporto diretto con tutti quelli che desiderano partecipare".

Per ora sono solo forum on line, poi si vedrà. Di certo, è finito l'annus horribilis di Prodi. È reduce da un viaggio in Cina, dove ha pranzato con il premier Wen Jiabao ed è apparso al tg della sera ("in media 155 milioni di telespettatori", ha raccontato, forse pensando al Tg1di Gianni Riotta che lo ignora).

Il 16 dicembre ha presentato a Roma i diari di papa Giovanni XXIII insieme a due cardinali, Francesco Marchisano e Roberto Tucci. Alla fine, a un amico che lo invitava a un seminario su Chiesa e politica nella stagione di Camillo Ruini, ha risposto: "Non posso, io in quella storia sono stato la cavia...". Una cavia uscita viva dal laboratorio, però, gli hanno fatto notare. "E chi vi dice che io sia ancora in vita?", ha replicato il Professore. Ma si vedeva che scherzava. M. D.

(23 dicembre 2008)

da espresso.repubblica.it