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Autore Discussione: PRODI  (Letto 71105 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Gennaio 28, 2008, 10:56:41 am »

25/1/2008 (7:10) - RETROSCENA, LO SFOGO DOPO IL KO

L’amarezza di Romano "Ma non torni Silvio"

Gelo con il Colle: prima di tutto va rispettata la Costituzione

FABIO MARTINI
ROMA


Quell’appartamento a Palazzo Chigi «che sembra una prefettura» non gli è mai piaciuto. In quel letto antico e grande fatto acquistare a suo tempo da Silvio Berlusconi non si è mai ritrovato. Ma proprio in queste stanze così impersonali, nella lunga, incerta nottata tra mercoledì e giovedì e consigliandosi con «la» Flavia, Romano Prodi ha deciso di tagliare ogni ponte con chi gli consigliava prudenza: «Domani al Senato io ci vado, per una questione di coerenza e di dignità e farò un discorso molto chiaro. Per tutti». A cominciare dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano che in questi giorni non aveva fatto nulla per nascondere la sua irritazione per la procedura alla luce del sole scelta dal presidente del Consiglio. Ma in quella lunga notte e in questi giorni così travagliati Romano Prodi è tornato a confessare alla moglie Flavia, consigliera e confidente come nessun altro («Dopo tanti anni si entra in simbiosi e si somigliano persino le calligrafie...»), quella che è diventata l’ossessione del Professore: «Non posso pensare all’idea che possa tornare Berlusconi: bisogna fare di tutto per evitarlo. Di tutto».

Un’ossessione che ha accompagnato Prodi ogniqualvolta, in questi venti mesi, è stato sfiorato dalla tentazione di gettare la spugna, un’ossessione che è tornata a riaffacciarsi in questi giorni. Soprattutto quando in molti - a cominciare da Massimo D’Alema - gli facevano notare che quella sua ostinazione a voler consumare la crisi in Parlamento, col doppio voto, avrebbe tremendamente complicato la gestione del dopo-Prodi. Certo, l’uomo è vendicativo e i demoni della rivalsa lo hanno sempre indotto nei passaggi più duri ad esprimersi con crudezza. Ma vuole cancellare quell’ immagine del «Prodi Sansone» che muore con tutti i suoi filistei che ha cominciato a circolare. E’ per questo motivo che il Professore, per ora nei «pour parler», ripete che «bisogna evitare di correre verso elezioni anticipate, perché questo Paese non lo merita».

E proprio questa sarà la novità dei prossimi giorni: pur evitando di fare il tifo per il governo d’emergenza, Romano Prodi non si «metterà in mezzo» rispetto a un’ipotesi sulla quale si è tuffato Walter Veltroni. Il quale, come pare, ha un nome in testa per l’esecutivo-ponte: Gianni Letta. Ma a parte questa ipotesi (sicuramente la più ostica all’ambiente prodiano), il Professore non tornerà in campo per combattere quell’ipotesi. E se poi si arriverà comunque ad elezioni anticipate? Difficile sapere cosa pensi per davvero dentro di sé Prodi. Ma in questi mesi il Professore pensa di aver subito tali e tante di quelle ingiustizie che nelle prossime ore non mancherà di esternare la sua amarezza. Come ha dimostrato anche nel discorso di ieri pomeriggio col quale si è presentato ai senatori. All’ostilità, neppure tanto sorda, espressa dal Capo dello Stato per la «parlamentarizzazione della crisi», Prodi ha voluto rispondere rivendicando con orgoglio la sua scelta: «E’ vero che le istituzioni della politica sono tra le cause prime del distacco tra cittadini e classe politica», ma «è prima di tutto necessario rispettare e applicare la nostra Costituzione e rileggerla con lo spirito con cui i padri costituenti la scrissero: non vi troveremmo né la prassi delle crisi extraparlamentari, né l’asservimento dell’informazione pubblica al potere politico». Non è finita: «La nostra prassi costituzionale è rimasta quella della Prima Repubblica: vera sede del potere erano i partiti, i governi non erano scelti dai cittadini, la composizione dei governi era stabilita delle segreterie dei partiti». E dunque «tutte le istituzioni», dunque anche il Quirinale, «debbono impegnarsi a stabilire prassi costituzionali più corrispondenti alla volontà dei padri costituenti». Principii cari all’ideologo del prodismo, Arturo Parisi, ma soprattutto un messaggio molto duro rivolto a tutti coloro che non hanno condiviso la sua scelta: i leader del Pd, ma soprattutto il Capo dello Stato. Al quale Prodi - anche con un certo coraggio - ha addirittura consigliato come interpretare la Costituzione.

Ma nell’ultimo giorno del suo governo Prodi una scena ha deciso di risparmiarsela: la gioia della destra per la sua sconfitta a Palazzo Madama. Non appena è iniziata la conta finale, Prodi non ha aspettato la comunicazione del voto. E’ tornato a Palazzo Chigi. Alle 19,35 il flash Radiocor: fiducia fallita. Poi, la salita al Quirinale, le dimissioni, le telefonate ai presidenti delle due Camere. Di nuovo a Palazzo Chigi. Qui, i venti mesi condotti dal Professore senza vellicare i poteri forti - interni ed internazionali - si sono fatti sentire: al telefonino di Prodi pochi segni di solidarietà.

da lastampa.it
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« Risposta #76 inserito:: Febbraio 02, 2008, 08:50:50 pm »

Dietro le quinte

Il Pd si è arreso: ormai si vota

Democratici rassegnati: alle urne ci porta Prodi.

E Veltroni rilancia il treno di Rutelli

 
ROMA - La telefonata del ministro dell’Interno Giuliano Amato raggiunge Walter Veltroni nella tarda mattinata. Si discute sulla possibile data di scioglimento delle Camere. Potrebbe essere già mercoledì prossimo, dopo le consultazioni di Marini, a meno che le dolorose vicende famigliari di Berlusconi non facciano slittare di qualche giorno l’incontro con il presidente del Senato. Di conseguenza tutto sarebbe rinviato. Di poco, perché la fine della legislatura sembra ormai decretata. Lo stesso ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni, mariniano di ferro ha dovuto prenderne atto: «Stamattina (ieri per chi legge; ndr) sembrava che potesse esserci qualche spiraglio, ma mi pare che non sia più così», ha detto a Veltroni. Il leader del Pd era d’accordo: «Anche io penso che sia chiusa». Già, chiusa, anche se non tutti si sono rassegnati. Ma neanche l’idea di D’Alema di indire i referendum prima delle elezioni per prendere tempo è passata. C’è il niet di Bertinotti e di Casini. E Veltroni ai promotori dei quesiti referendari che sono andati a trovarlo ha spiegato che non c’è più niente da fare: «Del resto, dovreste andare da Fini e non da me perché è lui che ha firmato il referendum ed è lui che adesso preferisce andare alle urne».

L’indisponibilità del centrodestra a fare le riforme sarà una delle carte che il centrosinistra giocherà al tavolo delle elezioni. Anche per questo Marini ha deciso di incontrare non solo i partiti, ma anche le forze sociali, in modo che sia chiaro che deve essere Berlusconi ad assumersi l’onere della rottura del dialogo e del ricorso anticipato alle urne, anche se sindacati e imprenditori (oltre che l’Unione ovviamente) chiedono il contrario. Una mossa tattica che nulla cambia sullo scacchiere politico. Tutti si stanno preparando alle elezioni. Veltroni ha già deciso che in campagna elettorale ripartirà il treno del Pd che, per la verità, non portò fortuna a Rutelli nel 2001. Tra gli organizzatori della campagna elettorale ci sono Bettini e Lusetti. Quest’ultimo fisserà le tappe del treno, mentre spetta a Bettini l’idea di far scendere in campo anche per le elezioni, come avvenne per le primarie, una lista «A sinistra per Veltroni». Un escamotage per togliere voti alla Cosa rossa, che ha già i suoi bei guai. Sì, perché anche da quella parti ormai si lavora alle elezioni e nessuno crede che sia possibile tornare indietro. Non lo pensa neanche Marini, il quale, non a caso ha fatto sapere che dopo il fallimento della sua esplorazione, non accetterà l’ipotesi di guidare un governo elettorale per andare al voto. Anche la soluzione di andare alle urne con Amato è stata scartata dal Pd. Perciò si andrà alle urne con Prodi.

A sinistra, si diceva, l’imminenza dell’appuntamento elettorale ha provocato qualche problema. Mussi, leader della Sd, non vuole che la Cosa rossa venga guidata da Bertinotti («sarebbe un’annessione»). Ma il presidente della Camera su questo punto è intransigente. Poi, potrà anche decidere di rinunciare al seggio alla Camera, ma la nuova formazione politica è una «sua creatura» e non accetta di cederne la leadership neanche a un giovane come Vendola. Perciò tutto è tornato in alto mare nel frastagliato arcipelago della sinistra. Mussi e Bertinotti sono d’accordo su un solo punto: nel nuovo simbolo non devono esserci la falce e il martello. Mentre nella Cosa rossa si litiga e si sgomita, Marini, anche ieri, ha proseguito come se nulla fosse le sue consultazioni. Incontrando anche i senatori che rappresentano solo loro stessi (Rossi e Turigliatto, per fare un esempio).

«E — racconta Oliviero Diliberto — ogni volta che entri in quella stanza trovi Enzo Bianco vicino al presidente del Senato. Con la prima bozza o la seconda della sua proposta di riforma a seconda del partito che deve essere consultato. Una presenza inquietante...». Una presenza che in realtà serve solo a certificare al puntiglioso Napolitano che non c’è più niente da fare. Come racconta Mastella «Franco mi ha dato ragione: mi ha detto che era finita». E che questa sia la piega che probabilmente prenderanno gli eventi lo dimostra anche il fatto che Gasbarra abbia annunciato ai vertici del Pd che non intende ricandidarsi alla Provincia di Roma perché vuole andare in Parlamento. Toccherà a Nicola Zingaretti scendere in campo per una battaglia certamente più semplice di quella che centrodestra e centrosinistra combatteranno a livello nazionale.

Maria Teresa Meli
01 febbraio 2008(ultima modifica: 02 febbraio 2008)

da corriere.it
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« Risposta #77 inserito:: Febbraio 02, 2008, 08:55:29 pm »

2/2/2008
 
I rischi per la destra
 
LUCA RICOLFI

 
I politici di centro-sinistra hanno il morale a terra. Fiutano aria di sconfitta, e cominciano a rendersi conto che venti mesi di governo Prodi sono stati il più grande spot elettorale - per di più gratuito - di cui il Cavaliere abbia mai beneficiato. Per questo sono pessimisti, e si preparano mestamente al peggio.

La credenza del centro-sinistra di andare verso una Caporetto elettorale è sostanzialmente giustificata, se non altro perché largamente supportata dai sondaggi. Berlusconi ha di nuovo il coltello dalla parte del manico, e non c’è mossa degli astuti D’Alema e Veltroni che sia in grado di ribaltare la situazione. Il fatto che i dirigenti del centro-sinistra siano nell’angolo, però, non implica che il centro-destra abbia la vittoria in tasca. Chi fin da oggi è sicuro della vittoria di Berlusconi probabilmente sottovaluta alcune incognite.

La prima è che, di norma, il consenso per il governo in carica tocca il minimo lontano dalle elezioni, ma poi risale nei mesi immediatamente precedenti il voto. È già successo con la rincorsa di Rutelli nel 2001, si è ripetuto con quella di Berlusconi nel 2006, risuccederà nei mesi prossimi con quella di Veltroni. Dieci punti di distacco sono tanti, ma potrebbero tranquillamente diventare cinque già solo grazie a questo meccanismo.

La seconda incognita sono i possibili errori di Berlusconi. Qui si entra ovviamente nel regno dell’opinabile, ma a me pare che un errore il Cavaliere lo stia già facendo: l’errore «minestra riscaldata». Berlusconi ha passato gli ultimi mesi a ripetere che la legge elettorale va cambiata, che non si può governare con pochi voti di scarto, e che in passato lui stesso fu molto frenato nella sua azione riformatrice dal particolarismo degli alleati. A dispetto di questa ragionevole diagnosi, ora si oppone a qualsiasi cambiamento della legge elettorale e sembra fermamente intenzionato a riproporre la solita alleanza con Bossi-Fini-Casini, magari rinforzata da uomini come Mastella e Storace (grandi esperti di sanità, come tutti sanno...). Mi sbaglierò, ma questo a me pare un formidabile assist a Veltroni, che potrà dire (e certamente dirà): cari elettori, volete saltare dalla padella nella brace? Benissimo, votate l’allegra compagnia del centro-destra, così potrete rivedere per cinque anni il film del governo Prodi, con attori diversi ma uguali parti in commedia. È paradossale, ma in campagna elettorale potrà succedere che il fresco ricordo della litigiosità della coalizione di centro-sinistra venga usato da Veltroni non solo per giustificare la corsa solitaria del Pd, ma anche per profetizzare un analogo destino di discordia per il futuro governo di centro-destra.

La terza incognita è l’offerta politica. I sondaggi sono fatti a bocce ferme, ossia con gli attuali partiti. Ma che cosa succederebbe se, nei prossimi mesi, dovessero scendere in campo altri attori? Quanti voti perderebbero i partiti più grandi di fronte a una sfida antipolitica, tipo Beppe Grillo o Girotondi? E di fronte a una sfida neocentrista, tipo «Rosa bianca» o Family day? E di fronte a una sfida liberaldemocratica, tipo Montezemolo o «volonterosi»?

Le analisi e gli esercizi di simulazione condotti dagli esperti suggeriscono che il mercato potenziale di eventuali nuove liste sia molto ampio (fra il 10 e il 30 per cento), e che solo la scarsa credibilità e determinazione degli «imprenditori politici» che dovrebbero crearle renda remota l’eventualità di uno sconvolgimento degli equilibri partitici esistenti. Con la legge elettorale attuale, una formazione politica nuova che raccogliesse il 10 per cento dei voti e fosse sganciata da entrambi i poli sarebbe ininfluente alla Camera (a causa del premio di maggioranza) ma potrebbe diventare decisiva al Senato, dove non è detto che uno dei due poli disponga di una maggioranza autosufficiente.

Ma l’incognita più grande di tutte è il comportamento del partito invisibile degli indecisi, incerti, delusi, stufi, amareggiati, disgustati, arrabbiati, furibondi. I cittadini di questo tipo non sempre vanno a votare, e quando ci vanno spesso preferiscono annullare il voto o depositare nell’urna una scheda bianca. È possibile che alle prossime elezioni sia proprio questo segmento, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, a diventare il primo partito italiano. Un partito che non elegge direttamente alcun rappresentante, ma i cui comportamenti potrebbero anche diventare decisivi. Oggi siamo propensi a pensare che l’esercito degli indecisi potrebbe infliggere al centro-sinistra la più severa lezione dalla catastrofe del ’48. Ma il vento può cambiare in fretta, e il porcellum (la legge elettorale imposta due anni fa dalla Casa delle libertà) potrebbe rivelarsi pericoloso anche per il centro-destra, specie se Berlusconi, oltre a ripresentare se stesso, riproponesse per l’ennesima volta la solita squadra.

Il fatto di votare con una legge che non consente ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti costituisce un grande e ingiustificato privilegio del ceto politico. Permette a chi ci governa da vent’anni di non fare mai un passo indietro, e alle segreterie di partito di determinare al 90 per cento chi entrerà e chi starà fuori dal Parlamento. Ma a tutto c’è un limite, e non è detto che - per molti di noi - quel limite non sia già stato superato.
 
da lastampa.it
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« Risposta #78 inserito:: Febbraio 04, 2008, 11:40:54 pm »

Il centro si disfa.

Nel Pd si accendono i motori per le elezioni


Finito il tentativo Marini, i partiti si preparano ormai alla campagna elettorale. Sul fronte destro è ormai scontato che si andrà alle elezioni con una coalizione ampissima: dall'Udc (ma Mastella e Dini sono vicini a dire sì) fino alla Destra di Storace.

Il centro in questo quadro risulta sempre più marginale, come conferma l'addio di Carlo Giovanardi all'Udc per andare con Forza Italia sotto l'ala di Silvio Berlusconi. Se qualche mese fa l'idea che il centro (autonomo) potesse essere l'ago della bilancia, ora le cose vanno diversamente. Berlusconi ha ripreso il controllo e il "centro" da Mastella a Dini, da Casini a Manzione, non sembra più avere voce in capitolo. Così anche Pierferdinando Casini cerca ora di ricordare a Berlusconi che pur essendo «rispettoso dell'alleanza», deve rispettare «la nostra identità, la nostra tradizione, il nostro Dna». 

Il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa conferma l'appiattirsi sulla leadership di Berlusconi: «Penso che andremo tutti uniti», e anche sulla partecipazione della Destra di Storace si limita ad un timido «vedremo».

Intanto anche la macchina organizzativa del Partito democratico si è già messa in moto: a Renzo Lusetti l'incarico di studiare e organizzare le tappe che Veltroni toccherà nel suo giro per l'Italia. Si tratterà, a quanto si apprende, di iniziative pubbliche su grandi temi, sulla falsariga delle convention americane, con pochi slogan ma chiari e riconoscibili. Ancora da definire il mezzo di trasporto: in un primo momento si era pensato di utilizzare il treno, ma le ultime quotazioni danno in pole position il pullman. Del resto, spiega una fonte, il metodo del pullman è già rodato e, soprattutto, racchiude in sè un valore simbolico: nel '96 si rivelò una scelta fortunata.

La campagna elettorale del Pd sarà comunque tutta incentrata sul programma e sulla novità che il Pd rappresenta sulla scena politica. Ed è proprio sull'elemento novità che punta Veltroni, sicuro della capacità del partito di sparigliare i giochi e rappresentare un catalizzatore di nuovi consensi.

I tempi sono stretti: la scelta delle candidature non potrà quindi essere affidata al popolo delle primarie, ma a livello nazionale se ne occuperà un ristretto gruppo di lavoro, guidato dallo stesso Veltroni, mentre a livello locale saranno i segretari regionali, ampiamente legittimati dal voto dei cittadini che li hanno eletti con le primarie, a selezionare i nomi.

L'appuntamento dell'Assemblea costituente, che dovrà ratificare il nuovo statuto, il manifesto dei valori e il codice etico del partito, sarà anticipato: inizialmente previsto per i primi di marzo, ora i vertici del Pd sarebbero intenzionati a convocare l'assise tra circa due settimane, comunque non oltre la fine di febbraio.

Per guidare il Pd nella campagna eelettorale, Walter Veltroni con molta probabilità si dimetterà da sindaco di Roma la prossima settimana e presumibilmente la data sarà mercoledì 13 febbraio. Fonti vicine al sindaco di Roma fanno sapere che «conoscendo Veltroni, userà tutti e sette i giorni a sua disposizione» per dimettersi, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione del decreto di scioglimento delle Camere sulla Gazzetta ufficiale, e partecipare così alla tornata elettorale. In Campidoglio ci sono ancora molti provvedimenti importanti da approvare, il piano regolatore su tutti, ed è molto probabile che Veltroni ne assista l'iter nella sua carica e con pieni poteri fino all'ultimo momento disponibile, ovvero mercoledì 13.

La stessa data ultima per tutti i sindaci dei comuni con più di 20 mila abitanti che si candideranno alla elezioni per evitare poi contumelie sull'eleggibilità. Sarebbero circa 150 gli amministratori locali che vorrebbero candidarsi, compresi alcuni presidenti di Provincia e di Regione. Tra cui potrebbero esserci  il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, di centrodestra e il presidente della Provincia di Milano Filippo Penati, di centrosinistra.

Tra i sindaci che hanno già reso note le loro intenzioni, quello di Vicenza - Enrico Hullweck - che ha più volte dimostrato di gradire una candidatura in Forza Italia. Il più sicuro della scelta da fare è invece il primo cittadino di Venezia Massimo Cacciari. «Ciò che voglio fare lo ho già dimostrato - spiega il sindaco - quando mi sono candidato per le regionali del 2000 e mi sono dimesso da sindaco. È scontato che lo rifarei».

Il Pd, ha detto e ripetuto Veltroni, correrà da solo. Ma la Sinistra Democratica insiste in un ripensamento. Anzi, per Sd tutta la "Cosa rossa" dovrebbe proporre al Pd la nascita di una coalizione di centrosinistra «su basi programmatiche rinnovate». «L'intesa tra Pd e sinistra - sostiene in un comunicato - è la strategia che può consentire, sul piano numerico, di contendere la vittoria al centrodestra e dare all'Italia la speranza di un governo innovativo».
Al contrario «sarebbe grave se il Pd confermasse la scelta della solitudine elettorale che contiene l'annuncio della rinuncia a competere per il governo dell'Italia. Non si possono spalancare, senza combattere, le porte a Berlusconi e ai suoi». Sd avanza questa proposta alle altre forze della sinistra ma anche «ai compagni socialisti , le cui importanti battaglie per l'eredità socialista e per la laicità dello stato rischiano di dissolversi nel contenitore neutro del Partito democratico».

Di parere diverso Oliviero Diliberto dei Comunisti Italiani che chiede a Bertinotti di fare il candidato premier della "Cosa rossa".
«Noi glielo chiediamo ufficialmente: Bertinotti è l'uomo giusto per unire tutte le sensibilità della sinistra». Domenica, alla trasmissione su Rai3 condotta da Lucia Annunziata, l'attuale presidente della Camera aveva chiarito che accetterebbe di guidare la sinistra arcobaleno come candidato premier di bandiera solo di fronte ad un invito unanime da tutti i partiti che compongono la federazione.


Pubblicato il: 04.02.08
Modificato il: 04.02.08 alle ore 23.12   
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« Risposta #79 inserito:: Febbraio 04, 2008, 11:43:00 pm »

POLITICA

In caso di scioglimento delle Camere, Prodi in carica fino al voto (6 o 13 aprile)

Lunga la lista dei provvedimenti a rischio. Al governo dimissionario solo affari correnti

A maggio il nuovo governo

A rischio 12 miliardi di tesoretto

Prodi e Padoa Schioppa hanno deciso di anticipare i risultati della trimestrale

Mancano deleghe chiave per welfare, stipendi e lavori usuranti

di CLAUDIA FUSANI

 
ROMA - Elezioni in aprile e Prodi padrone di casa a Palazzo Chigi fino al voto. E' lo scenario prossimo venturo più probabile. "Prodi premier in carica fino alle elezioni", dice anche Anna Finocchiaro al termine del faccia a faccia del Pd a Palazzo Giustiniani. Una condizione che da una parte "arma" la mano di Berlusconi perché è più "facile" fare campagna elettorale avendo alla guida del governo il leader della coalizione sconfitta. Ma che può anche "armare" il Pd e il centrosinistra se è vero che nei prossimi due-tre mesi dovrebbero andare a buon fine una serie di iniziative economiche a favore dei salari e del lavoro dipendente, quell'operazione di risarcimento sociale tanto attesa dopo un anno e mezzo di "no" e sacrifici.

Come che sia, vantaggio e svantaggio per l'uno o per l'altro dei competitor, la non soluzione della crisi e la gestione ordinaria a cui l'esecutivo dimissionario è obbligato nei mesi precedenti il voto, rischia di congelare un sacco di soldi che dovevano andare proprio a salari e pensioni. I tecnici contano che sono almeno una trentina i decreti legislativi che se non approvati rischiano di far saltare importanti misure previdenziali e sui salari. E che sono "circa 12 i miliardi" pronti per essere distribuiti. A tanto dovrebbe infatti ammontare "il tesoretto". Ora non si sa. Perché, ci si chiede, fino a che punto i provvedimenti economici finanziari rientrano nelle emergenze e/o nell'ordinaria amministrazione su cui il governo dimissionario è tenuto a legiferare?

Agenda elettorale. Il presidente Marini ha rimesso stasera il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica. A Napolitano ha detto che non c'è stato nulla da fare, che al termine delle 27 consultazioni - oltre a gruppi e partiti anche le associazioni della società civile, dai sindacati ai Comitati per il referendum e Per le riforme - non è stato possibile trovare una sintesi e tentare di mettere su un governo di pochi mesi in grado di fare le attese riforme. A questo punto il boccino torna nelle mani del Presidente della Repubblica che però era già stato chiaro: un governo di larghe intese per le riforme altrimenti nulla. Esiste in teoria un'altra strada per il Presidente: quella cioè di dare ascolto a chi, tra i costituzionalisti, ha avvertito sia il Colle che Marini che il voto con questa legge elettorale potrebbe essere invalidato dai ricorsi dei cittadini per la dubbia costituzionalità della legge così come ha evidenziato la Consulta. Ipotesi possibile ma molto remota.

Lo scioglimento delle Camere. Quello che succederà quasi certamente nelle prossime ore è che Napolitano convocherà i presidenti delle Camere per comunicare la decisione di sciogliere Camera e Senato. I due rami del Parlamento resteranno in carica solo per i cosiddetti affari correnti. Poi sarà il Consiglio dei ministri a indire le elezioni anticipate e fissare la data di convocazione del nuovo Parlamento. La date del voto, invece, saranno indicate dal ministero dell'Interno. E' molto probabile il 6 o il 13 aprile. Il nuovo governo dovrebbe giurare e diventare operativo ai primi di maggio.

Il tesoretto per i salari - Lo dirà la trimestrale di cassa ("a questo punto sarà anticipata il più possibile" dicono fonti del ministero. A fine febbraio?) quanti saranno realmente i soldi a disposizione. I tecnici dei dicasteri economici hanno calcolato che tra tagli alle spese correnti e recupero da evasione fiscale l'esecutivo potrebbe gestire un tesoretto pari a 10-12 miliardi che dovrebbe essere ridistribuito (così come dispone la Finanziaria) secondo un piano in tre capitoli: salari; lavori usuranti; rinnovo contratto statali. Sette-otto miliardi di extragettito erano stati destinati al recupero di potere di acquisto dei salari: nel vertice di maggioranza del 10 gennaio Prodi e il governo si erano impegnati a destinare le risorse del tesoretto per ridare potere d'acquisto ai salari grazie a un piano di interventi fiscali in favore dei lavoratori dipendenti e delle famiglie e la detassazione degli straordinari.

Il confronto con sindacati e parti sociali: che fine fa lo sciopero del 15 febbraio? La maggioranza bisticciava al suo interno sui tempi della ridistribuzione: Padoa Schioppa diceva giugno; i sindacati dicevano "adesso", cioè tra un mese. Su questo punto era stato proclamato lo sciopero. Che adesso resta senza interlocutori. Ma i tavoli erano avviati e gli accordi incardinati. Il governo voleva mettere mano a pressione fiscali, redditi e pensioni, prezzi e tariffe, sicurezza sul lavoro, tagli alla prima aliquota Irpef (dal 38 al 37 per cento per gli stipendi medi tra i 28 e i 55 mila euro), detrazioni agli stipendi più bassi e per le famiglie meno abbienti con una dote fiscale per i figli (una superdetrazione per chi ha figli fino a tre anni). E al tempo stesso alzare al 20 per cento la ritenuta fiscale sui redditi finanziari.

Il pacchetto per i lavori usuranti. La legge sul welfare, approvata a fine dicembre, contiene almeno sei deleghe che vanno in scadenza nei primi tre mesi dell'anno. Tra queste la più importante è quella relativa ai lavori usuranti. Il welfare, infatti, riformando il sistema delle pensioni, aveva individuato un settore di lavoratori - quelli usuranti appunto - che potevano andare in pensione tre anni prima degli anni. Per rendere operativa questa norma era necessario un decreto delegato. Secondo le stime di palazzo Chigi sono circa un milione e mezzo i lavoratori coinvolti. Il decreto legislativo che doveva fissare le modalità con cui applicare lo sconto di tre anni sull'età minima della pensione deve essere approvato entro i primi tre mesi dell'anno.

Missioni militari. Il Parlamento dimissionario dovrà convertire in legge il decreto sulle missioni militari all'estero. Pena il ritiro immediato delle truppe. Anche questa rischia di diventare, come si può intuire, una partita puramente elettorale. Il Parlamento dovrà convertire il decreto in legge entro il 25-26 marzo. Il decreto del governo infatti porta la data del 25 gennaio, all'indomani dell'apertura della crisi. Già quel giorno, nonostante l'Unione finita in pezzi la sera prima nell'aula di palazzo Madama, il ministro Paolo Ferrero (Rc) votò contro. Si può immaginare cosa potrà succedere a fine marzo, in piena campagna elettorale, con ognuno nel centro-sinistra che dovrà piantare la propria bandiera di identità più o meno pacifista e antimilitarista.

L'emergenza rifiuti. In piena campagna elettorale, a fine marzo, scade anche il mandato del prefetto Gianni De Gennaro, commissario straordinario per i rifiuti in Campania. Il mandato del premier Prodi era di tre mesi per chiudere l'emergenza e avviare un sistema coordinato di smaltimento dei rifiuti. Non sembra possibile, ad oggi, che De Gennaro possa riuscire a concludere il suo mandato entro fine marzo. A quel punto cosa farà il governo in carica ma dimissionario?

(4 febbraio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #80 inserito:: Febbraio 04, 2008, 11:44:04 pm »

POLITICA IL PUNTO

Il primo duello Veltroni-Berlusconi la parola chiave è: governabilità

di MARCO BRACCONI


ROMA - "Mercoledì Napolitano scioglie le Camere", dice il centrista Tabacci dopo aver incontrato Prodi.
Ma la campagna elettorale è già iniziata. Prima silenziosamente, tra le righe delle prime giornate di consultazioni a Palazzo Giustiniani. Oggi, con Berlusconi e Veltroni davanti alle telecamere, prima uno e poi l'altro.

Di fatto è andato in onda il primo faccia a faccia tra i due duellanti dell'aprile 2008. Veltroni-Berlusconi.
L'un contro l'altro armati. Di qua il candidato di sempre, che prova a conquistare Palazzo Chigi per la terza volta. Di là il sindaco di Roma, che lancia la sfida nel nome della novità. Il primo in vantaggio nei sondaggi. Ma il secondo ha un'arma non più segreta - il Pd che si presenta da solo - da non sottovalutare.

Basta ascoltare quanto hanno detto in Senato dal palchetto allestito per la stampa nella sala degli Specchi per capire che le rispettive strategie sono in parte già decise.

Il capo di Fi sfrutterà, ossessivamente, il fallimento del governo Prodi. Dal carovita alla munnezza, non a caso citata anche oggi a Palazzo Giustiniani. Per il centrodestra sarà un refrain continuo, al quale però si affiancheranno poche parole d'ordine: meno tasse, più soldi per le famiglie e pugno duro su immigrazione e criminalità.

Su questi temi il leader del Pd, dalla "discesa in campo di Torino" in poi, ha già fatto capire di voler puntare.
E la sua esigenza, specularmente opposta a quella del suo avversario, è quella di lasciare sullo sfondo l'esperienza del precedente esecutivo. Ma la parola su cui più di tutto conta Veltroni per rimontare i cinque o sei punti che potrebbero fargli cogliere almeno un pareggio è una sola: "governabilità".

Ad oggi, infatti, l'anello debole della larghissima coalizione di centrodestra è la mancata risposta al vento dell'antipolitica che soffia - e soffia bipartisan - nel Paese. Una tramontana gelata contro la politica dei "venticinque partiti", la politica "che litiga", che "non decide" e che "si chiude nelle sue beghe autoreferenziali". Nella Cdl, una alleanza da Storace a Casini - e Fini ha già fatto capire di avere ben presente il problema - non c'è una risposta. Dall'altra parte, se il Pd si presenta da solo con il suo programma, sì.

Il Cavaliere è ormai uomo politico esperto, e sa che contro un Pd non coalizzato con la Cosa rossa l'armamentario della propaganda anticomunista è una pistola quasi scarica. Per questo, c'è da aspettarsi, non faticherà a metterlo in soffitta. Più difficile trovare risposte efficaci alla questione che ogni giorno Veltroni solleverà davanti al Paese: "Meno tasse, più crescita, più sicurezza, ma come si fa se si va al governo in dieci partiti, e come al solito non si riuscirà a governare?"

Se il Pd andrà da solo, o si limiterà ad accordi tecnici per il Senato, sarà insomma una campagna elettorale nuova. Nella quale i singoli temi potrebbero essere preceduti da una questione preliminare e di fondo: che risposta la politica può dare alla politica in crisi?

Basti un solo esempio.
Senza coalizioni "coatte" Veltroni potrebbe essere in grado, un mese prima del voto, di dare la sua lista di ministri. Il Cavaliere, alla guida di una gioiosa macchina da guerra di nove o più partiti, potrà fare altrettanto?

(4 febbraio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #81 inserito:: Febbraio 06, 2008, 03:02:53 pm »

Cena «politica»

Prodi: resto fuori, avanti le nuove generazioni

Il Professore riunisce i suoi: dobbiamo aiutare Walter e vincere, così il mio lavoro proseguirà


ROMA — Febbre elettorale. Romano Prodi l'ha già alta e, mentre il Quirinale si prepara ad annunciare lo scioglimento delle Camere e il voto in aprile, a Palazzo Chigi il premier dimissionario, nonché presidente e fondatore del Pd, carica e sprona i prodiani in vista di una battaglia politica che i sondaggi danno tutta in salita. Brindisi, qualche piccolo regalo e tante analisi a sfondo elettorale ieri sera nella sede del governo. Attorno al tavolo, Prodi e i fedelissimi. O perlomeno alcuni di loro (i ministri Bindi e Santagata, i parlamentari Magistrelli, Monaco, Barbi, Gozi, Soliani, oltre alla moglie Flavia). Cena di piacere, che inizialmente doveva riunire solo le donne prodiane. Cena resa inevitabilmente piccante dall'imminente sfida elettorale.

«Dobbiamo e possiamo vincere — ha esordito il Professore, che nel pomeriggio aveva incontrato Veltroni e Franceschini — e le nostre armi saranno la novità rappresentata dal Pd e l'unità che riusciremo a produrre attorno alla candidatura di Walter a premier: su questo, pretendo il massimo impegno da parte di tutti».

Avrà anche un futuro da nonno, Prodi, e probabilmente qualche sassolino da togliersi nei confronti di più di un alleato, ma chi spera in sfoghi o in regolamenti di conti dovrà aspettare a lungo: «Il momento è difficile, è una campagna elettorale che coglie il Paese in un passaggio molto delicato: solo vincendo potremo continuare il lavoro impostato dal mio governo, che stava dando frutti importanti ». Un Prodi tonico, pronto ad affrontare per l'ennesima volta le trincee elettorali: «Darò il mio contributo in prima persona», ha assicurato. Ma subito dopo, quando le urne saranno chiuse e le percentuali avranno disegnato la nuova geografia della politica italiana, lui si tirerà da parte. Non ci saranno prolungamenti alla sua avventura da parlamentare.

L'aveva detto giorni fa, l'ha ripetuto ieri sera ai suoi fedelissimi, dopo averlo ufficialmente comunicato nel pomeriggio anche a Veltroni e a Franceschini: «Non intendo ricandidarmi né alla Camera né al Senato. Ritengo sia giunto il momento che una nuova generazione politica si faccia avanti. Ed è mio dovere dare l'esempio. Ho avuto la fortuna di avere tanto dalla vita. Ora penso sia il momento che altri abbiano la possibilità di mettersi alla prova».

Pensione in vista? «No — assicurano i suoi —: Prodi continuerà ad occuparsi di politica e del Pd, ma in modo diverso da quanto fatto finora».
Piuttosto, azzarda qualcuno, nel passo indietro del Professore si potrebbe anche leggere un indiretto messaggio a Silvio Berlusconi, l'avversario di sempre. Come a dire: anche per il Cavaliere, arrivato alla sua quinta candidatura a premier dal 1994 ad oggi, è forse giunto il momento di tirarsi fuori dalla mischia.

Invitati
All'incontro hanno partecipato la Bindi, Barbi, Monaco, Gozi e la Magistrelli

Sintonia
Il premier dimissionario Romano Prodi e Rosy Bindi

Francesco Alberti
06 febbraio 2008

da corriere.it
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« Risposta #82 inserito:: Febbraio 16, 2008, 11:21:20 pm »

Alla nuova fiera di roma

Prodi: «Dopo il voto guideremo il Paese»

Il premier ha aperto i lavori dell'assemblea del Pd. Finocchiaro: mi candido alla presidenza della Sicilia

 
ROMA - «Credo che la pazienza sarà una virtù necessaria, quando dopo le elezioni torneremo alla guida del Paese». Romano Prodi apre con queste parole l’assemblea costituente del Partito Democratico alla nuova Fiera di Roma accolto da un'ovazione della platea e dalle note di «What a wonderfoul word» nella versione di Joey Ramones. E ancora: «Il Pd raggiungerà la maggioranza dei consensi perché è una forza che affronta con serietà e idee nuove i problemi dell’Italia». Il premier ha quindi ribadito che non si presenterà alle elezioni di aprile: «Non mi ricandido, serve rinnovamento e coerenza». Oltre a Prodi, sul palco ci sono il segretario del Pd Walter Veltroni e il suo vice Dario Franceschini, Anna Finocchiaro e Antonello Soro. La Finocchiaro ha approfittato di quella che ha definito «una giornata importante per il Pd» per annunciare la sua candidatura alla presidenza della Regione Sicilia. «In Sicilia è possibile rompere il dominio del centrodestra, il cui governo ha mostrato incapacità di cogliere le possibilità dell'isola» ha detto. È seguito un fortissimo applauso da parte dell'assemblea dei delegati.

RIPRESA - Il Paese ha davanti grandi «sfide economiche che si vincono solo con il cambiamento che deve rompere incrostazioni e privilegi», spiega Prodi nel suo intervento, dicendosi convinto della necessità di «un riformismo nuovo e di un cambiamento per garantire la ripresa economica». E difende l'operato della sua seppur breve prermanenza a Palazzo Chigi: «Nelle condizioni date, siamo stati molto bravi».

REDISTRIBUZIONE - «È motivo di profondo orgoglio essere riusciti, nel momento stesso in cui risanavamo i conti dello Stato, a redistribuire un punto di Pil ovvero 15 miliardi di euro alle fasce più deboli della società - ha detto Prodi -. Una redistribuzione resa possibile da quei successi nella lotta all'evasione fiscale e nella diminuzione della spesa pubblica che oggi ci vengono riconosciuti da tutti, a partire dalla Ue».

IRAQ - E sulla politica estera: «Nel 2006 abbiamo combattuto e sconfitto una politica di isolamento in Europa, una linea di politica estera che era ed è lontana dal nostro concetto di pace. Per questo motivo siamo tornati a casa dall'Iraq».

VELTRONI - «Sono al fianco di Walter per rispondere alle domande che arrivano dalle realtà internazionali e alla crisi del sistema - ha concluso il premier dimissionario -. Stiamo lavorando per una grande forza di centrosinistra che raggiungerà la maggioranza nel Paese. Il Partito Democratico è l'insieme di culture politiche che affondano le loro radici in storie diverse il cui terreno però è comune ed è quello del riformismo».

D'ALEMA - Una candidatura, quella di Veltroni, elogiata anche da D'Alema, presente all'assemblea. «Quello che mi auguro è che i leader del mondo trovino a riceverli in Italia un leader contemporaneo e non si trovino nell'imbarazzante situazione di venire a visitare un sito archeologico restaurato e tirato a lucido per l'occasione. Il senso della sfida è tra passato e futuro del Paese - ha detto, senza risparmiare Berlusconi da una battuta pungente -. Abbiamo già vinto una sfida di importanza storica: la nascita del Pd segna la fine di una lunga transizione della politica italiana e l'inizio di una nuova stagione. Comincia una nuova epoca. Ora è importante vincere anche la sfida del 13 aprile».

 DELEGATI - L'assemblea costituente del Pd dà ufficialmente il via alla campagna elettorale. I 2.800 delegati eletti alle primarie sono chiamati ad approvare lo statuto e il manifesto del partito, ma soprattutto a incoronare Veltroni candidato premier. Il logo «Partito Democratico, Veltroni presidente» è l'unica novità della scenografia rispetto alla prima assemblea di Milano. Il colore verde domina gli sfondi e sul palco. Tra i presenti, il presidente dei giovani imprenditori di Confindustria, Matteo Colaninno e il senatore Nuccio Cusumano.


16 febbraio 2008

da corriere.it
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« Risposta #83 inserito:: Febbraio 21, 2008, 10:46:01 am »

19/2/2008

BILANCIO DEL PREMIER - La mia eredità

di ROMANO PRODI

Caro direttore,
l’editoriale di Luca Ricolfi, apparso ieri sul suo giornale, mi impone di
intervenire in quanto - pur di sostenere le proprie tesi in vista della
competizione elettorale - l’editorialista non si fa scrupolo di usare in
modo strumentale e scorretto molte cifre che si riferiscono all’azione del
mio governo. Per evitare ulteriori «incomprensioni», mi permetterà di far
seguire a ogni considerazione «virgolettata» di Ricolfi, la valutazione
ufficiale mia e del governo, confidando di evitare un successivo rimpallo di
dichiarazioni.

«Lotta all’evasione. La cifra di (almeno) 20 miliardi recuperati è altamente
controversa, ed è stata messa in dubbio da vari analisti e centri di studio
indipendenti. Per il 2006, unico anno per il quale si dispone già di dati
completi, non è nemmeno certo che esista un effetto-Visco (la mia migliore
stima fornisce un recupero di evasione di appena 1,7 miliardi)».

La stima del recupero di evasione per oltre 20 miliardi di euro è robusta ed
ampiamente documentata dai documenti ufficiali presentati dal governo al
Parlamento. A sostegno della credibilità della stima è l’andamento
dell’elasticità delle entrate tributarie al Pil.

Dal 2001 al 2005 è stata pari allo 0,75 per cento. Nel 2006 è stata pari al
2,6 per cento; nel 2007 è stimata all’1,6 per cento. È vero che nel corso
del 2006 anche altre economie sviluppate hanno avuto un aumento
dell’elasticità, tuttavia laddove essa è aumentata di più (Spagna),
l’incremento è stato inferiore alla metà di quello raggiunto in Italia.

Più in dettaglio, l’imposta maggiormente sensibile alla lotta all’evasione è
l’Iva da scambi interni, la quale ha un termine di confronto molto chiaro
per misurare l’emersione di base imponibile: i consumi interni. A partire da
maggio 2006, il gettito Iva da scambi interni è aumentato a tassi più che
doppi rispetto alla crescita dei consumi interni. Anche nel 2007, il gettito
Iva da scambi interni ha superato nettamente l’incremento dei consumi
interni. In sintesi, è emersa senza alcun dubbio nuova base imponibile.

In ogni caso, la discussione sulla quantità di risorse recuperate non può
offuscare un punto politico incontrovertibile, sottolineato innanzitutto
nella letteratura economica: i condoni favoriscono l’evasione. I 20 condoni
realizzati dal governo che ci ha preceduti hanno sicuramente determinato
l’ampliamento dell’irregolarità fiscale. E non a caso, l’Italia ha ancora un
procedimento in corso presso la Corte di Giustizia Europea per il condono
Iva del 2003, proprio per l’effetto di tale condono sull’evasione e quindi
sul gettito Iva per il Bilancio della Commissione Europea (alimentato
dall’imposta raccolta nei Paesi membri). La discontinuità nella politica
fiscale con il governo da me presieduto ha certamente innalzato la
correttezza nel comportamento dei contribuenti.

«Quel che in compenso è certo è che il governo Prodi ha sempre tenuto basse
le previsioni sulle entrate fiscali, e proprio grazie a questo artificio
contabile ha fatto emergere i vari “tesoretti”». Innanzitutto, oltre che
nell’extragettito non previsto, i risultati della lotta all’evasione sono
presenti nel gettito previsto in conseguenza di precise misure di intervento
contenute nel decreto di luglio 2006 e nella legge finanziaria per il 2007.
La quantificazione di tali misure ha avuto il vaglio della Ragioneria
Generale dello Stato e dei Servizi competenti di Camera e Senato. In
particolare, il decreto del luglio 2006 conteneva misure antievasione
quantificate in quasi 3 miliardi euro, mentre la legge finanziaria per il
2007 associava agli interventi antievasione quasi 6 miliardi di euro. In
sintesi, quasi la metà degli oltre 20 miliardi di recupero di evasione sono
frutto di un ventaglio di interventi dall’impatto finanziario ufficialmente
previsto e «bollinato».

E comunque, a proposito di previsioni «tenute basse», va sottolineato che le
previsioni devono soddisfare precisi criteri di contabilità pubblica. Il
ministero dell’Economia e delle Finanze poteva incorporare nelle previsioni
soltanto l’effetto di misure direttamente quantificabili. Il miglioramento
della regolarità dei comportamenti è per definizione non quantificabile ex
ante, in quanto dovuto al clima fiscale promosso dal governo: dalla
credibile eliminazione dei condoni, al riavvio dell’attività dell’Agenzia
delle Entrate, anche con iniziative esemplari su grandi evasori. I risultati
del clima fiscale si misurano ex post, in particolare attraverso
l’elasticità di specifiche imposte rispetto a specifiche basi imponibili.

Si aggiunga poi un’altra circostanza: per un Paese ancora fortemente
indebitato come l’Italia mancare di prudenza con le previsioni finanziarie -
come ad esempio capitò al governo Berlusconi nei Dpef 2003-2006 - può essere
molto dannoso. Costruire quadri finanziari poco realistici significa esporsi
al rischio di entrate più basse rispetto a quanto stimato e di spese
pubbliche destinate a crescere, proprio a causa di una programmazione
«lassista», ben più di quanto sia consentito dall’andamento dell’economia.
Atteggiamenti prudenziali non solo sono giustificati, ma costituiscono la
base onesta per una buona e corretta programmazione finanziaria.

«Uso dell’extragettito. Quale che sia l’origine del cosiddetto extragettito
(gettito non previsto dal governo), è incontrovertibile che i contribuenti
non hanno visto sgravi fiscali per 20 miliardi di euro (la lotta
all’evasione fiscale non doveva servire a ridurre le tasse ai contribuenti
onesti?). Essi hanno invece assistito, nel corso del 2007 a una sistematica
opera di dissipazione del gettito non previsto. Visco metteva i soldini nel
salvadanaio, i “ministri di spesa” lo rompevano tutte le volte che si
accorgevano che era pieno (Dl 81, Dl 159, Finanziaria 2008)».

Se quello che scrive il professor Ricolfi fosse vero, nel 2007 avremmo
dovuto assistere a un aumento delle spese di pari entità rispetto ai
guadagni ottenuti in termini di gettito con la migliore crescita economica e
con la lotta all’evasione. Ma così non è stato. Non abbiamo ancora i dati
definitivi, ma le informazioni ufficiali a disposizione ci consentono di
affermare che:
il disavanzo pubblico sarà con grande probabilità sotto il 2% del Pil, ben
al di sotto del 2006 e degli anni precedenti;
il fabbisogno di cassa delle Amministrazioni Pubbliche potrebbe essere
risultato nel 2007 «prossimo per l’intero anno a 38 miliardi, circa il 2,5%
del Pil (il valore più basso degli ultimi quattro decenni)» (p. 28,
Bollettino Economico Bankitalia, gennaio 2008);
Sulla base di elaborazioni dei dati Bankitalia resi noti l’11 febbraio 2008,
l’andamento delle spese di cassa del bilancio statale riferito all’intero
2007 mostra rispetto al 2006 che le spese correnti al netto degli interessi
passivi (questi ultimi aumentati tra il 2006 e il 2007 di circa 7 miliardi
di euro) sono praticamente rimaste invariate in termini nominali (e quindi
calate in termini reali di circa il 2%);
mentre le spese in conto capitale, così come tutti ci chiedevano, sono
aumentate di poco più di 8 miliardi di euro; e, di conseguenza, che le spese
totali al netto degli interessi sono aumentate del 2,1%, restando
sostanzialmente invariate in termini reali. Ricordo solo che il tasso di
crescita delle spese negli anni precedenti era ben superiore, quasi il
doppio, di quanto realizzato dal mio governo.

Aggiungo anche che nei miei 20 mesi di governo l’aumento delle entrate e il
controllo delle spese - a cominciare da quelle rientranti nei «costi della
politica» - hanno consentito di ridurre il cuneo fiscale di cinque punti
percentuali sulle imprese e sui lavoratori; di riformare l’imposta sulle
imprese con un abbassamento dell’aliquota di cinque punti e mezzo; di
introdurre semplificazioni e facilitazioni («forfettone») per le piccole
imprese; di ridurre l’aliquota Irap, di abbassare la pressione fiscale sui
redditi medio-bassi. Certo - ma ne sono orgoglioso - abbiamo aumentato le
risorse destinate ai più poveri (pensionati e incapienti), ai precari
(introduzione dell’indennità di maternità, dell’indennità malattie, migliori
condizioni per le pensioni future, facilitazioni per il riscatto ai fini
pensionistici della laurea), alle giovani coppie in affitto e l’elenco
potrebbe continuare.

«Morale. Il governo Prodi consegna all’Italia una situazione nella quale non
c’è più alcun extragettito da spendere e, se anche qualche risorsa dovesse
mai spuntare fuori, verrebbe immediatamente bruciata per coprire i 7-8
miliardi di spese non messe in bilancio dalla Finanziaria 2008».

In sintesi, quando il governo che ho avuto l’onore di guidare si è
insediato, l’Italia era ancora sotto la procedura per disavanzo eccessivo da
parte dell’Unione Europea. Proprio in questi giorni il Commissario Almunia
ha annunciato che dal prossimo aprile la procedura sarà cancellata. Al tempo
stesso, spese pubbliche, evasione fiscale e disavanzo pubblico erano in
forte crescita, il debito pubblico rispetto al Pil aveva ripreso a salire.
Oggi siamo in una situazione nella quale le spese sono tornate nell’alveo
delle necessità del risanamento, l’area dell’evasione fiscale è stata
visibilmente ridotta, il disavanzo pubblico è solidamente sotto il 3% del
Pil, il debito rispetto al Pil è nuovamente e significativamente in discesa.
I grandi obiettivi del pareggio di bilancio e di un debito pubblico sotto il
100% del Pil non sono più dei miraggi, ma delle mete realistiche che è
diventato possibile raggiungere negli anni a noi più prossimi. E si tratta
di mete che la nuova situazione del bilancio consente di accompagnare alle
misure, altrettanto necessarie, di riduzione del carico fiscale.

Come detto più volte, saranno i prossimi dati di consuntivo 2007 e la
prossima Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica a
certificare il buon andamento delle finanze pubbliche e a aggiornare le
previsioni sul 2008. Mi limito solo a ricordare quanto da altri già scritto
è cioè che il governo che verrà farà bene a preservare la buona eredità che
noi lasciamo sia sul fronte dell’aumento del gettito da evasione sia della
gestione delle spese pubbliche.

Mi scuso per la lunghezza della risposta e per l’elencazione di cifre,
percentuali e dati economici. Ma credo si tratti di una precisazione
doverosa al fine di evitare che tali e tante imprecisioni possano diventare
strumento di mistificazione elettoralistica.

****
da lastampa.it
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« Risposta #84 inserito:: Marzo 09, 2008, 11:53:46 pm »

Prodi annuncia l'addio: «Lascio la politica italiana»


«Il futuro è sempre sereno perchè ci sono cose da costruire. Io ho chiuso con la politica italiana e forse con la politica in generale, ma il mondo è pieno di occasioni dove c'è gente che aspetta aiuto e pace. C'è più spazio ora che prima». Lo afferma il presidente del Consiglio Romano Prodi, nel corso di un'intervista a Sky tg24, rispondendo ad una domanda sul suo futuro.

«Intristisce molto una campagna elettorale in cui si stracciano i programmi», ha poi detto Prodi, riferendosi al gesto compiuto sabato a Milano da Silvio Berlusconi. Per Prodi «i programmi sono il cuore di una campagna elettorale».

Poi sull'inflazione. «Sarebbe ora che si finisse con le previsioni perchè sommando gli aumenti si crea un'angoscia terribile, e non serve». L'aumento dei prezzi «va controllato» sottolinea il premier che ribadisce poi l'importanza di aver fatto le liberalizzazioni: «Sono servite - dice Prodi - ma se il prezzo del grano aumenta del 70% e se il petrolio arriva a 105 dollari c'è un problema».

«Un'ordinaria amministrazione così lunga crea problemi al Paese, tante cose che si dovevano fare ed erano pronte non si possono portare in porto. Cerco di fare un'ordinaria amministrazione piena, sempre rispettando i limiti».

«Cerco di aiutare le imprese, aiutando i nostri lavoratori, aiutando l'export - aggiunge - ma non è facile ed è singolare che si chiami ordinaria amministrazione un processo che dura così a lungo, ma queste sono le regole e vanno rispettate».

Massimo D'Alema telefonerà a Romano Prodi, dopo che il premier uscente ha detto che non farà più politica. «D'altronde - ha detto D'Alema - sono anche vice Presidente del Consiglio e con Prodi ci sentiamo anche più volte al giorno». D'Alema, a Venezia per un convegno, parlando delle affermazioni di Prodi ha detto: «Prodi ha deciso di non candidarsi alle elezioni, non è una novità è una scelta sua di chi vuole lasciare spazio ad una nuova generazione». «Sentirò Prodi - ha aggiunto - come faccio più volte al giorno». D'Alema ha anche aggiunto che per lui si tratta di dichiarazioni di seconda mano che vanno approfondite prima di esprimersi.


Pubblicato il: 09.03.08
Modificato il: 09.03.08 alle ore 20.43   
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« Risposta #85 inserito:: Marzo 10, 2008, 03:15:29 pm »

Prodi: «Lascio la politica italiana»

di Nicoletta Cottone

«Lascio la politica, ma il mondo è pieno di occasioni». Intervistato da SkyTg24, il presidente del Consiglio Romano Prodi parla del suo futuro, che vede lontano dalla politica. «Il futuro è sempre sereno perchè ci sono cose da costruire. Io ho chiuso con la politica italiana e forse con la politica in generale. Ma il mondo è pieno di occasioni, ma anche di doveri. C'è tanta gente che aspetta una parola di pace e di aiuto, e quindi c'è più spazio adesso di prima». Prodi ha ricordato che negli ultimi mesi si è molto parlato del fatto che i politici dovessero avere la capacità e il senso del bene comune anche nel momento in cui lasciavano, «io lo sto facendo con profondità e serietà». Commenta poi il gesto del leader dell'opposizione Silvio Berlusconi che ieri a Milano ha strappato il programma elettorale del Pd, bollandolo come carta straccia. «Vedere una campagna elettorale dove si strappano i programmi mi intristisce molto», dice Prodi, perché i programmi sono il cuore della campagna elettorale.

Prodi ha anche affrontato il tema dell'ordinaria amministrazione. «Un'ordinaria amministrazione così lunga crea problemi al Paese, tante cose che si dovevano fare ed erano pronte non si possono portare in porto. Cerco di fare un'ordinaria amministrazione piena, sempre rispettando i limiti».Cerco di aiutare le imprese, aggiunge Prodi, «ma è singolare che si chiami ordinaria amministrazione un processo che duri così a lungo». Sui prezzi Prodi ha chiesto più controlli, ma senza che si crei angoscia. «Benzina e petrolio sono cresciuti come mai dal Dopoguerra. Cerchiamo di controllare i prezzi, il comportamento degli intermediari e più concorrenza nel sistema, ma non spargiamo ogni giorno dell'angoscia perché è troppo comodo farlo». Le liberalizzazioni sono comunque servite, «ma se il prezzo del grano aumenta di oltre il 70% e se il petrolio arriva fino a 105 dollari, allora c'è un problema».

Il presidente del Consiglio ha parlato anche del rilascio da parte delle autorità libiche dell'equipaggio del perschereccio di Mazara del Vallo sequestrato. «Mi ha telefonato l'ambasciatore libico - spiega Prodi - dicendomi che il colonnello Gheddafi ha deciso di rilasciare tutti i nostri pescatori e anche il natante, e quindi potranno tornare a Mazara del Vallo.

Questo mi ha reso molto contento anche perchè avevo incontrato i familiari, angosciati e tristi». Una nota di Palazzo Chigi sottolinea come la liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo sia avvenuta per intervento diretto del leader libico, in segno di amicizia nei confronti del Presidente del Consiglio italiano. Gheddafi ha ribadito la richiesta che non si effettuino in futuro altre violazioni delle acque territoriali libiche da parte di pescherecci italiani. 


 9 marzo 2008
da ilsole24ore.com
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« Risposta #86 inserito:: Marzo 10, 2008, 03:20:49 pm »

10/3/2008 (7:6) - PERSONAGGIO: "NON CI SARO' NE' ALLE POLITICHE NE' ALLE EUROPEE"

Il Professore: politica addio
 
Romano Prodi lascia la politica

«Ho chiuso con le questioni italiane», e pensa a una Fondazione alla Clinton

FABIO MARTINI


ROMA
In casa lo sanno bene. La faccia paciosa e la parlata lenta di Romano Prodi celano una inquietudine psico-motoria che tiene il Professore in continuo movimento (bici, convegni, dossier) anche nei momenti di riposo. Tanto è vero che un mese fa, quando Prodi disse «lascio la politica e faccio il nonno», in casa nessuno gli credette fino in fondo. Certo la moglie Flavia, i due figli, i fratelli sapevano che il loro Romano era sincero quando annunciava che non si sarebbe ricandidato in Parlamento e che non avrebbe messo su fantomatiche liste, concetto che ieri il Professore ha riconfermato per l’ennesima volta in un’intervista a Sky e che per le bizzarre regole dell’informazione è stata rilanciata, con enfasi e come fosse nuova, dai principali Tg.

Ma chi conosce bene Prodi non ha mai creduto per lui ad un futuro da consumare ai Giardini Margherita a dondolare il passeggino dei nipotini e lo stesso Prodi lo ha fatto capire dai microfoni di Sky: «Io ho chiuso con la politica italiana e forse con la politica in generale, ma il mondo è pieno di occasioni dove c’è gente che aspetta aiuto e pace».

Quel «forse» e quelle «occasioni» parlano chiaro: Prodi si sta già guardando intorno. Assottigliati gli impegni istituzionali, da qualche giorno il Professore sta accarezzando un progetto: metter su una Fondazione internazionale, un po’ sul modello di quella di Bill Clinton. Certo, quella dell’ex presidente americano - la William J. Clinton Foundation - è una Fondazione opulenta e ambiziosa che gode di finanziamenti corposi e adesioni prestigiose, ma in Europa sono pochissimi i personaggi che godono della rete di conoscenze di Prodi. Gli otto anni da presidente dell’Iri, i cinque da presidente della Commissione europea, i quattro da presidente del Consiglio, esperienze spalmate su un arco di 26 anni hanno consentito al Professore di stringere relazioni con i principali leader politici, finanziari e anche imprenditoriali. Una rete che gli tornerà utile nel progetto della “Fondazione Prodi" e anche nell’ipotesi che il Professore gradirebbe, di una "chiamata" per un incarico ad hoc da parte di un grande organismo internazionale, in primo luogo l’Onu. Una cosa è certa: quando Prodi ribadisce che con la politica lui ha chiuso, intende dire che nel suo futuro non ci saranno più elezioni popolari. «Anche su questo - ha spiegato Prodi ai suoi - voglio che non ci siano equivoci: non mi ripresento per il Parlamento italiano ma il prossimo anno non ci sarò neppure alle Europee». Un "non possumus" che esclude l’ipotesi che era stata ventilata, di un futuro incarico da Presidente del Parlamento europeo. In compenso, ieri dai microfoni di Sky, Prodi ha confessato di sentirsi «molto intristito» dal gesto di Berlusconi che ha strappato il programma del Pd. Ma la battuta del Professore si preannuncia episodica, perché Prodi non ha intenzione di rubare la scena a Veltroni, né di aiutare Berlusconi nella speranza di centrare la sua campagna contro il governo uscente.

Dietro le quinte si è consumata una separazione consensuale tra Prodi e Veltroni che potrebbe portare ad una estrema conseguenza sorprendente: quindici giorni fa il leader del Pd aveva chiesto al Professore di partecipare a «due, tre iniziative della campagna», ma a questo punto a Palazzo Chigi si sta meditando se rinunciare del tutto a farsi vedere in campagna elettorale, con l’unica eccezione della manifestazione di chiusura l’11 aprile a piazza del Popolo a Roma. Certo, la quasi totale rimozione di Prodi dalla campagna elettorale del Pd non fa piacere al Professore, quasi che il premier uscente sia qualcuno di cui vergognarsi, ma il tenersi nell’ombra (evitando il tormentone della Cdl) non dispiace a Prodi.

Che però nei suoi ripetuti addii alla politica attiva, non ha mai annunciato di voler lasciare l’unica "poltrona" che gli resterà a partire dai primi di maggio: quello di presidente del Partito democratico. Un incarico che Prodi intende "onorare".

da lastampa.it
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« Risposta #87 inserito:: Marzo 17, 2008, 11:10:50 pm »

Prodi. "Grazie amici, per la Fondazione c'è tempo"

DIRE - 12 Marzo 2008   


(DIRE) Bologna, 12 mar. - "Grazie amici, per la Fondazione c'e' tempo". Romano Prodi si rivolge cosi' ai suoi fidi collaboratori bolognesi ("io li chiamo con il loro nome, per la stampa sono i cosiddetti 'prodiani'") dalla prima pagina del "Corriere di Bologna", l'inserto locale del Corsera. In poco piu' di 20 righe, scritte in forma di lettera al direttore, il presidente del Consiglio dimissionario vuole dunque frenare gli entusiasmi di chi ipotizza "vari progetti di Romano Prodi" per il prossimo futuro.

"In questi giorni- scrive il Professore- si sono fatte le ipotesi piu' disparate su di me e sul mio futuro. Si e' parlato e scritto anche di una Fondazione o un think tank che si occuperebbe di politica internazionale e che avrebbe sede a Bologna. Lasciatemi pero' cogliere l'occasione per fugare ogni dubbio: cio' che sento e che leggo- e' la conclusione- lo considero solo un segno d'affetto nei miei confronti".

Nei giorni scorsi il Corriere di Bologna ha ospitato "interventi di carissimi amici", come li definisce lo stesso Prodi, che ipotizzavano, appunto, l'imminente nascita di una Fondazione dedicata a temi di politica estera in particolare, con base a Bologna, anche con l'obiettivo di preparare il rilancio del Professore sulla scena internazionale.

"Programmi- commenta oggi Prodi- che io interpreto come attestati di stima e di affetto. Di questo, e per questo, ringrazio tutti".
Infatti "la volonta' di immaginarmi un percorso futuro, dopo aver camminato insieme nel passato, e' certo appagante dal punto di vista umano non meno che dal punto di vista professionale".

Ma al momento, lascia intendere il Professore, e' prematuro parlare di progetti concreti.

Quindi "grazie amici- come sintetizza il titolo dell'intervento- ma per la Fondazione c'e' tempo".

da www.ulivisti.it
 
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« Risposta #88 inserito:: Marzo 29, 2008, 06:55:29 pm »

All'Università di Friburgo per la laurea ad honorem

Prodi: niente conferenza stampa finale

"Mi occuperò delle tensioni nel mondo"

Lettera a Petruccioli: il capo del governo non dovrebbe dare un «indebito vantaggio» alla sua parte politica



ROMA - Non c'è proprio più spazio per la politica nella vita del premier «in scadenza» Romano Prodi. Con una lettera al presidente della Rai Claudio Petruccioli ha espresso l'intenzione di rinunciare alla conferenza stampa al termine della campagna elettorale. Il motivo: tener fede al principio che il capo del governo non dovrebbe dare un «indebito vantaggio» alla sua parte politica. Cosa che peraltro il professore contestò all'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel 2006.

TENSIONI NEL MONDO - Il Presidente del Consiglio dimissionario ha detto in tutte le lingue che non intende più entrare nell'agone politico. Farò il nonno, aveva annunciato tempo fa. E ora, alla platea dell'Università di Friburgo che gli ha assegnato la laurea ad honorem in Scienze politiche, ha detto che nel suo futuro c'è spazio per "le tensioni del mondo". «Vacanze, riposarmi e dare, se possibile, un contributo anche informale alle tensioni che abbiamo nel mondo. Io sono sempre stato interessato alle relazioni con l'Asia, la Cina, l'India, il Medio Oriente e l'Africa, quindi questo è chiaramente qualcosa che merita di essere approfondito e di essere coltivato in futuro». La laurea a Prodi è stata motivata col fatto che lui «è un grande europeo» e c'è »la speranza che assuma un qualche ruolo internazionale».


28 marzo 2008

da corriere.it
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« Risposta #89 inserito:: Aprile 08, 2008, 06:02:48 pm »

Cena di addio a palazzo Chigi raccontata su «la stampa»

Prodi: ecco chi ha fatto cadere il governo

La sinistra si arrabbia: inaccettabile

La colpa è di chi «ha minato continuamente l'azione dell'esecutivo».

E Mastella: «Non ti ho tradito io»

 
 
ROMA - A due mesi e mezzo dalla caduta del governo Prodi si consuma la rottura tra il Professore e quelli che lui considera i responsabili della fine di una stagione di estenuanti compromessi, sempre alla ricerca della mossa giusta da fare in una specie di Risiko in cui era in gioco la credibilità del Paese. La Sinistra Arcobaleno e i Verdi fanno muro contro le dichiarazioni di Prodi riportate in un articolo della Stampa, in cui Fabio Martini ricostruisce la cena di addio a Palazzo Chigi tra il Professore e i suoi fedelissimi.

ATTACCO ALLA SINISTRA - Questa volta non si parla del futuro ma del passato, quello che finora è stato minimizzato, reso accettabile e non traumatico grazie all'aplomb del Professore. Ma adesso basta. Chi ha fatto cadere il governo? I giornali sempre pronti ad attaccare, i poteri forti, Mastella, la Chiesa? Clemente «ha tradito, non c'è dubbio. E il modo in cui l'ha fatto dimostra mancanza di senso dello Stato» spiega Prodi, ma la colpa vera è di chi «ha minato continuamente l’azione del governo, di chi ha fatto certe dichiarazioni istituzionalmente opinabili». Non una parola su Bertinotti, ma un elogio a Veltroni, che «ha fatto la scelta giusta: correre da soli». Eccola, la dolorosa verità. Parole appuntite come spade, che non passano lisce - questa volta no - sulla schiena di chi è chiamato direttamente o indirettamente in causa.

BERTINOTTI: «NON HA CAPITO» - Lo stesso Bertinotti risponde da una videochat sul sito della Stampa: «Per Prodi è più grave dimostrare di non aver capito la ragione della crisi del suo governo, più ancora che averla subita». Il candidato premier della Sinistra Arcobaleno sottolinea: «Il governo è caduto perché gli sono venute a mancare la basi del consenso di massa e questo perché era caduto nella trappola della politica dei due tempi: prima il risanamento, poi la giustizia sociale, che non viene mai. Prodi ha subito il condizionamento di quelle forze moderate che poi lo hanno fatto cadere».

«INACCETTABILE» - La Sinistra giudica inaccettabili le parole del Professore e rifiuta la responsabilità di aver fatto cadere il governo. Di «colossale balla» parla Fabio Mussi, ospite di una videochat su Corriere.it. E Pino Sgobio del Pdci: «È francamente inaccettabile e ingeneroso l'attacco di Prodi alla Sinistra Arcobaleno. La verità inoppugnabile è che il governo Prodi non ha tenuto fede a tutte le promesse fatte agli elettori. La Sinistra Arcobaleno ha sempre chiesto l'applicazione integrale del programma di governo, in particolare per quanto riguarda l'aumento di salari e pensioni». Giovanni Russo Spena: «Le accuse di Prodi a Bertinotti sono completamente prive di fondamento. Affermare che il governo è caduto per colpa della Sinistra Arcobaleno mentre le responsabilità del Pd sono evidenti, così come l’inciucio tra la destra della coalizione e Berlusconi, significa pensare che gli elettori sono stupidi o non hanno memoria».

«PAROLE INGRATE» - «Sono sgradevoli e fuorvianti le dichiarazioni del presidente del consiglio Romano Prodi che alludono a una responsabilità della sinistra nelle difficoltà incontrate dal governo - dice Franco Giordano, segretario di Rifondazione comunista -. Prodi sa perfettamente che i problemi sono stati creati sempre e soltanto dalle aree moderate della coalizione, in particolare, dal Pd. Ricordiamo che i punti di sofferenza del governo sono stati sulle pensioni, sulla redistribuzione sociale, sui diritti civili. Non è un caso se si tratta proprio di quei punti sui quali oggi si è aperta una sfida tra la Sinistra Arcobaleno e il Pd sulla vera alternativa alla destra di Berlusconi e Fini». I Verdi: «Le parole di Prodi sono da ingrato e una vera e propria menzogna: noi l'abbiamo sempre sostenuto nei momenti più difficili quando una parte consistente del Pd non lo gradiva» afferma il capogruppo alla Camera Angelo Bonelli, che parla di «una una pugnalata al popolo della sinistra che aveva creduto in lui come garante dell'applicazione del programma dell'Unione».

«MANDATO A CASA DA VELTRONI» - Loredana De Petris, capolista della Sinistra l'Arcobaleno nel Lazio per il Senato: «La prova che Prodi sia stato mandato a casa dal suo stesso partito è data dal fatto che Veltroni ha cominciato la sua campagna elettorale già un mese prima della caduta dell'esecutivo. La sua campagna elettorale era già pronta da tempo, con pullman annessi e spazi elettorali prenotati con grande anticipo». «Evidentemente Prodi non ha ancora capito per colpa di chi è caduto. Ha assecondato per due anni i capricci di Mastella e Dini, finito poi a destra. Le forze politiche della sinistra lo hanno sostenuto lealmente anche nei momenti in cui suoi ministri del Pd compivano scelte impopolari» rincara Titti di Salvo, capogruppo di Sd alla Camera.

MASTELLA: «NON HO TRADITO IO» - E Mastella, l'unico (con i diniani) chiamato in causa con nome e cognome. «Caro Romano, non sono io ad averti tradito, ma chi ha lavorato per mandarti a casa logorando la tua e la nostra azione di governo» risponde il segretario nazionale dei Popolari-Udeur -. Condivido in larga parte le considerazioni di Prodi, soprattutto quando individua in alcune forze politiche la responsabilità di aver minato l'azione dell'esecutivo con dichiarazioni e atteggiamenti istituzionalmente opinabili. Quanto a me, ricordo di essere stato oggetto, sin dal mio insediamento, di una campagna di delegittimazione portata sistematicamente avanti da una parte della coalizione e assecondata da quegli stessi organi padronali dell'informazione, acerrimi nemici del professore bolognese, che strumentalizzando inchieste giudiziarie, rilevatesi poi prive di ogni fondamento, hanno decretato la mia panchina politica».


08 aprile 2008

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