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Autore Discussione: PRODI  (Letto 71330 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Settembre 15, 2007, 10:46:59 pm »

Pietro Ignazi: «Caro Prodi, manifestare fa bene anche a chi governa»

Vladimiro Frulletti


«La piazza fa bene alla politica» e anche a Prodi farebbe «bene» organizzare una manifestazione. Il politologo Piero Ignazi, ordinario di politica comparata a Bologna e autore di numerosi saggi sui partiti italiani e europei, non ha dubbi nel ritenere che questa «peculiarità» italiana (che «in Europa ci invidiano») di portare la gente in piazza sia positiva in sè. Perché testimonia voglia di partecipazione. Anche se, avverte, poi la «bontà della piazza» dipende dal motivo per cui la gente si mobilita.

Professore chiamare la gente in piazza è un aspetto positivo o negativo?

«È positivo. È una gran bella cosa perché si riesce ancora a mobilitare le persone alla politica. È una risorsa della società civile italiana che tutti gli altri paesi europei ci invidiano».

In Europa non c’è questa abitudine alla piazza, alla mobilitazione per strada, come in Italia?

«No, in Europa la partecipazione a questo genere di iniziative, anche se un po’ vecchiotta, oleografica e quasi ottocentesca, è tramontata. Le riunioni pubbliche, all’aperto, di piazza, dove e nel nostro caso italiano confluiscono anche centinaia di migliaia di persone, negli altri paesi europei sono sconosciute. In Francia, a Parigi, accadono qualche volta. Ma si contano sulle dita di una mano in un decennio. Insomma per l’Italia questo è un fattore estremamente positivo».

Il Pci era solito portare in piazza quasi a scadenze fisse milioni di persone.

«Quelle sono cose vecchie. Ma anche guardando al passato più recente, c’è stato il periodo del 2001, 2002, 2003 dove ci sono state imponenti manifestazioni sulla pace...».

Sull’articolo 18...

«Quella fu, per dimensione e partecipazione, un unicum nella storia italiana, Ma anche tante altre, per altro poco sottolineate. Manifestazioni fatte da reti della società civile e da nessun partito che portarono a Roma centinaia di migliaia di persone, tantissimi giovani. Fu un successo incredibile. Di grandissimo impatto. Quindi ben venga la manifestazione. Altro discorso è poi per cosa si va in piazza. Anche i nazisti portavano centinaia di migliaia di persone in piazza».

E il fascismo faceva le sua “adunate oceaniche” per i discorsi del Duce...

«Appunto. Quindi è un bene la gente che scende in piazza quando questo avviene in democrazia».

Insomma la piazza è positiva se è volontaria, non obbligata dal dittatore di turno

«Ovviamente»

Ma poi bisogna vedere per quali obiettivi si va in piazza?

«Certo. Si può andare in piazza per urlare a favore della pena di morte . Lo troverei orrendo. E invece si può andare in piazza per reclamare i diritti negati a qualche componenti della società».

E la piazza di Grillo a Bologna, che piazza è?

«Amorfa e indistinta. Ma anche una cosa nuova. Emersa dalla rete, cioè da un modo di mettersi in contatto inedito. Una specie di movimento sotterraneo, carsico che a un certo punto vede la luce».

Ma quando poi finisce la manifestazione e dalla piazza si torna a casa, la politica è cambiata o no?

«Dipende da come i professionisti politici reagiscono di fronte a queste cose. Possono prodursi influenze o può prodursi nulla. Dipende da chi deve ascoltare».

A suo avviso può esserci un legame fra partecipazione nelle piazze e una rappresentanza politica distante dalla gente. Anche alle politiche, con quella legge elettorale, i parlamentari non sono stati scelti dagli elettori, ma nominati dai partiti.

«No, non vedo nessuna relazione. La disponibilità a partecipare e la partecipazione effettiva dipendono soprattutto dai temi che vengono agitati. Da quanto questi temi incontrano la sensibilità delle persone. Poi ovviamente c’è anche la capacità organizzativa di alcuni soggetti. Però se non c’è un problema sentito la gente rimane a casa»

Lei ritiene che sia una contraddizione che partiti e esponenti della maggioranza al governo organizzino manifestazioni, visto che possono fare scelte in Parlamento o nel Consiglio dei ministri?

«Al contrario. Secondo me ne organizzano poche. Perché iniziative di mobilitazione a sostegno di scelte del governo e in risposta anche a altre iniziative promosse dall’opposizione dovrebbero essere la normalità. È sbagliato pensare che quando si sta al governo si sta seduti su una poltrona e basta. Così si perde contatto con l’elettorato, con l’opinione pubblica».

E quindi un consiglio a Prodi potrebbe essere quello di organizzare anche lui una manifestazione?

«Certo, ovvio. L’intelligenza della politica contemporanea, che adesso non è molto diffusa nel centrosinistra, dovrebbe portare a qualcosa di nuovo rispetto alla stanca ripetizione di determinati comportamenti per cui si protesta quando si è all’opposizione e non si manifesta quando si è al governo».

E le primarie del Pd del 14 ottobre potranno essere un momento di partecipazione, di piazza per chi sta col governo?

«Vedremo, ma penso che non ci sarà una partecipazione nemmeno paragonabile a quella che c’è stata per le primarie di Prodi».

C’è chi ipotizza due milioni di votanti.

«Forse mi sbaglio, ma per me si arriverà a un quarto di quella cifra»

Perché?

«Per Prodi andarono a votare per dimostrare che c’era una opposizione a Berlusconi. E ci andò tutto il centrosinistra. Qui se ci va mezzo milione è un successo clamoroso. Vedo poco entusiamo e anche il meccanismo messo in piedi dai saggi non aiuta».

Possiamo dire che se c’è più piazza la politica sta meglio. Che le manifestazioni sono un indicatore di salute?

«Sì, senza dubbio alcuno».

Pubblicato il: 15.09.07
Modificato il: 15.09.07 alle ore 13.10   
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« Risposta #46 inserito:: Settembre 19, 2007, 12:29:30 am »

POLITICA

Dopo gli attacchi di Grillo, sfogo del Professore durante la registrazione di Porta a Porta

"Concorsi truccati e mestieri passati di padre in figlio: anche tra i cittadini tanti difetti"

E Romano parte in contropiede "Ma la società non è meglio"

di CONCITA DE GREGORIO

 
ROMA - Sarà pure letargico, Romano Prodi. Inseguito dalle risate di Beppe Grillo che lo chiama Valium ma sai che novità, sono quarant'anni che calca la scena pubblica: non è mai stato un drago del cabaret. Non è Berlusconi, no. Ha voglia di dire "sono sveglio come un grillo": si vede che se l'era preparata, le battute non gli vengono bene nemmeno quando sono buone. Però attenzione alle parole. "Gli italiani non sono meglio della classe politica che li rappresenta", ha detto e ci vuole un coraggio da leoni, altro che Valium, a dire agli italiani pensate per voi, guardate a come vi comportate nelle vostre vite.

Dirlo mentre a migliaia scendono in piazza sulla cresta dell'onda dell'antipolitica che avanza: il grillismo di sinistra, gli antipartiti, gli anticasta, gli antiprivilegi, gli scrittori dell'impegno, gli intellettuali della protesta.
Eravamo, ieri sera, a "Porta a Porta": il feudo tv di Vespa che da tredici anni segna le stagioni ormai in sostituzione del meteo, è ricominciato dunque è autunno.

Prodi era lì sotto un cartello rosso con scritto 'Adesso parlo io'. Difatti. "Non trovo che la società sia meglio" dei politici arraffoni e cialtroni, cambiacasacca e avidi, pavidi, mangia pane a ufo, mediocri. Ha detto così e ci vuole coraggio, appunto, a farlo adesso oppure (o anche) niente più da perdere: è l'ultimo mandato, l'ultimo scorcio di legislatura, dopo di lui correrà Veltroni e dunque qualche libertà in più, qualche verità si può anche dire in scioltezza. Bene, sostiene Prodi: la politica è quella che è ma "io mi giro intorno e vedo concorsi truccati, figli che fanno lo stesso mestiere dei genitori", non c'è bisogno di aver letto i giornali nelle ultime settimane per capire di che parla.

Medici figli di medici e avvocati e notai e presentatori tv e giornalisti, certo, cantanti figli di cantanti e via con le corporazioni che si blindano e si proteggono truccando le carte come i bari alla bisca. E poi ancora. "Sì, ho fatto il testimonial dello spot per la donazione di organi: ma vi rendete conto che l'Italia importa il 40 per cento del sangue necessario? E' colpa del governo, questa, o è responsabilità degli educatori, delle scuole?". Che gente è la gente che non dà il suo sangue a chi ne ha bisogno? Chi deve insegnare la generosità, il coraggio, l'onestà a questo popolo? Dove sono gli educatori, chiede il Professore. Lo aveva già fatto parlando di tasse: perché la Chiesa tace, nelle sue omelie, sull'evasione fiscale? E' successa la fine del mondo, lì, perché toccare la Chiesa e toccarla sui soldi non è proprio un'abitudine soprattutto se sei cresciuto in parrocchia.

E poi ancora, torniamo alla serata in tv, nuova pagina nuovo argomento: la sicurezza, il controllo nella microcriminalità e le sanzioni a coloro che commettono reato siano o non siano immigrati. "Gli immigrati servono all'economia. Nella mia terra in Emilia i sik, gli indiani col turbante e la barba, mungono le mucche i marocchini fanno il pane: o ci mandiamo i nostri figli a mungere le mucche o il lavori pesanti notturni e poco pagati o li facciamo fare agli immigrati.

Certo, poi ci sono quelli che delinquono ma per combattere il crimine la prima cosa è la certezza della pena: è il sistema giudiziario che deve garantirla". Sta dicendo che i magistrati sono lassisti?, chiede felpato Bruno Vespa. Prodi allarga le braccia: "Di fatto tutte queste sospensioni, patteggiamenti..." insomma sì, una strozzatura un freno grande è lì. Ce n'è per i giudici e non basta, perché proprio a proposito di pane ce n'è ancora per qualcun altro: "Ai miei tempi si portava al forno un quintale di farina e si riceveva indietro un quintale di pane, il pane pesa parecchio meno della farina perché c'è dentro l'acqua e il resto, il guadagno del fornaio era quella differenza di peso. Oggi la farina costa poco più di 40 centesimi al chilo. E quanto costa il pane?". Rispondono tre famiglie in collegamento video: vicino a Milano costa 4 euro e 50, a Roma 2,50, a Bari 1,50.

Benissimo, anzi malissimo chiosa Prodi: "Come può costare il pane, a Milano, dieci volte più della farina? Come ci possono essere tre euro di differenza al chilo dal Nord al Sud?". Risposte sottintese: qualcuno ci specula parecchio. I fornai? Il governo sta accusando i fornai dell'hinterland lombardo di affamare i pensionati? Controreplica dei direttori di giornali, sindacalisti e industriali seduti in studio: servono controlli, serve la liberalizzazione delle professioni.

"Ma abbiamo appena aperto l'opportunità di lavoro a migliaia di nuovi fornai - risponde Prodi - Certo, i controlli. Certo che bisogna anche mandare le ispezioni nei forni" ma la tesi di fondo, l'accusa è ancora quella: ci vuole il bastone per punire, d'accordo, ma il carattere nazionale è così. Chi può lucrare lucra, chi può evadere evade. Chi è più furbo degli altri la fa franca: e l'etica, la morale di un popolo?

Dal pulpito, per stasera, l'omelia è finita. Fate il vostro esame di coscienza, dice Valium-Prodi. Fatelo tutti, "voglio proprio vedere cosa succederà a Grillo ora che ha deciso di fare un partito, perché questo è successo: farà le sue liste, dunque un partito. Io sono d'accordo con molte delle cose che dice, è giusto - con alcune specifiche - inibire il Parlamento ai condannati e sono stato il primo, non da oggi, a darmi il limite di due mandati. Ma come si sposa la richiesta di non avere tessere di partito per essere candidati con la nascita del partito di Grillo? Lo voglio vedere alla prova della selezione dei candidati, dei piccoli interessi. Lo voglio veder passare dalla protesta alla proposta: riparliamone fra quindici giorni".

Il resto è politica dei prossimi giorni. Non si può tagliare l'Irpef ma ridurremo le imposte, sull'Ici si decide il 30 settembre. La Tav si farà, "c'è un nuovo progetto a Bruxelles: abbiamo sentito le comunità locali abbiamo cambiato il tracciato". Il nucleare no, per ora. Il rimpasto di governo non sembra necessario al momento. Non è detto che dopo un'eventuale riforma elettorale si torni a votare, "non è una regola non è scritto da nessuna parte". Ma durerà, questo governo, o si vota in primavera come tanti dicono? "Può cadere per un incidente ma senza incidenti si arriva alla fine: cinque anni". E, domandone, Veltroni sarà d'accordo o vuole forse insidiarla, con quel suo programma per il partito che sembra un programma per la legislatura? "Veltroni è degno di aspirare alla guida del governo", degno, dice. Perciò il suo programma va bene così, al prossimo giro tocca a lui e tanti cari auguri.

(18 settembre 2007)
da repubblica.it
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« Risposta #47 inserito:: Settembre 19, 2007, 04:38:20 pm »

Il mal comune di Prodi

Bruno Gravagnuolo


Che la società civile non sia meglio della società politica e che la classe politica sia lo speccchio dei cittadini di una nazione, è un vecchio adagio della tradizione storiografica e politica italiana. Nonché della scienza politica in generale.

Proverbiali infatti, da Gobetti a Salvemini, sono le denuncie dei tratti antipolitici, «qualunquisti» e cinici degli italiani. A descriverne un´indole sempre pronta a ribaltarsi in trasformismo politico, su base localistica, familistica e corporativa. Così com´è nota la scoperta negli Usa del «capitale sociale» e del «legame civico», in studiosi come Robert Putnam, al fine di contrapporre alla politica non una generica «società civile», populista e intimamente di destra. Bensì una cittadinanza eticamente attiva, a sostegno di un´altra politica, e non già nemica delle istituzioni. Perciò spiace dirlo, l´affermazione di Romano Prodi a «Porta a Porta» ieri l´altro ci pare un po´ scontata e fuorviante.

Riascoltiamola: «Non credo che la società sia migliore della sua classe politica: penso ai raccomandati, alle difese corporative, alla corruzione». Vero che Prodi aveva premesso che «La politica ha il dovere di dare l´esempio». Ma lo aveva fatto di sfuggita, come un sottinteso, restando assodato nella sua affermazione che gli italiani hanno i politici che si meritano, specularamente. E che i raccomandati, le corporazioni e la corruzione sono lì a dimostrarlo: proprio in quanto espressione (diretta) della viziosità della nostra «società civile». E poco dopo Prodi ha rincarato la dose col citare Aristofane, il comediografo conservatore ateniese che bersagliava Socrate e la sua virtù filosofica, proprio in nome di umori demagogici e retrivi dal basso: «Aristofane usò le stesse parole di Grillo nei confronti di Socrate, mi sono documentato...».

Perché giudizi fuorvianti? Perché sono l´esatto rovesciamento, dalla parte della politica, della demagogia che intendono colpire. Perchè sono unilaterali, e come tali rischiano di alimentare l´antipolitica che intendono contrastare. Con ricadute inevitabili del tipo: «politici e cittadini? Tutti eguali, inutile scaldarsi e volerli riformare!». E perché alla fine, oltre a generare un circolo vizioso fatalista, costituiscono una comoda scappatoia rispetto al problema capitale oggi sul tappeto: la legittimazione della politica in questa Italia. I suoi costi, i suoi privilegi, la sua credibilità sull´impegno di riformare il paese, con gli oneri e le impopolarità che possono derivarne. Insomma, con una metafora calcistica, è come se Prodi avesse spedito il pallone in tribuna, aspettando in difesa a catenaccio che l´ondata offensiva antipolitica (con tutte le sue limacciosità) rifluisca. E che con essa rifluiscano anche le sgradevoli, ma altresì legittime contestazioni, alla politica di oggi, a questa politica.

Non è così che è possibile cavarsela o tener botta. E c´è anzi il rischio che a rispondere in tal modo la nuova antipolitica - intrisa anche di cittadinanza «irriflessiva» di sinistra - si rafforzi. Sia ingigantita, e sospinta a fare il pieno dei consensi da una certa alterigia «sociologica», fino a saldarsi rovinosamente, e magari contro la sua volontà, proprio col populismo stagionato della destra. Che da tempo cavalca il cavallo di battaglia del «popolo italiano così com´è», contro «l´elitismo sapienziale» del centrosinistra. E non è efficace la replica di Prodi, anche per altri motivi. Analitici e di merito. Chiediamoci infatti: com´è fatta la nostra «società civile» e come funziona? Perchè è diventatata così, ammesso che sia tutta da demonizzare? E chi ne ha plasmato certi comportamenti? Qui proprio la storia e la scienza politica ci soccorrono. E non per caso proprio i critici più impietosi dell´italica società civile, i Gobetti e i Salvemini di cui sopra, non hanno mai mancato di aggiungere alle loro «geremiadi» (contro il familismo e il cinismo italico), una chiave di spiegazione essenziale, senza cui si pesta l´acqua nel mortaio dell´«Arcitalia» immodificabile.

E la chiave è: un popolo diviso e frammentato, privo a lungo di stato nazione, istituzioni civiche e classi dirigenti(il «paese a coriandoli» evocato da De Rita che Prodi ben conosce). Detto diversamente: un popolo dominato e governato da classi dirigenti censitarie, localistiche. Economicamente protette, spesso apertamente reazionarie. Che hanno esaltato i ritardi antropologici degli italiani, facendosene addirittura forza nell´arte di governo e nello scambio dei favori col consenso. Ecco, dicevano quei due grandi antifascisti con Gramsci, di qui proviene anche l´antipolitica profonda del nostro popolo. Magari a fasi alterne rinforzata dalla retorica patriottarda stracciona e strapaesana (ve ne è l´eco nelle fanfaronate berlusconiane al tempo del suo interim agli Esteri). E di qui, soggiungevano, anche l´intreccio tra notabilato locale e trasformismo, per garantire al governo una base parlamentare dentro aggregati politici fluidi e trasversali. Come al tempo di De Pretis e di Giolitti. Una stagione che rischia di riprodursi oggi con le alchimie di «nuovo conio», esaltando convergenze e ammucchiate al centro, con perdita definitiva di identità, valori, progetti e appartenenze, e a scapito una trasparente etica bipolare (che «listoni monstre» maggioritari non potrebbero preservare, anzi!).

Ma stiamo ancora al presente. Dice Prodi: «Raccomandati, difese corporative, corruzione...». E si potrebbe aggiungere evasione fiscale, sul che pure qualcosa si sta facendo nel rompere abitudini. Ebbene, davvero quei mali sono automatica espressione della «società civile»? Chi ha consolidato e inaugurato un certo costume? Chi ha dato l´esempio, nei rami alti come in quelli bassi dello stato? Chi, invece di privilegiare interessi in direzione di progetti e valori, ha alimentato legislazioni contorte e intricate, eludibili e interpretabili ad libitum? Chi infine non pon mano ad una vera «riforma delle riforme», come i costi amministrativi della politica e l´efficienza (non la licenziabilità!) nella pubblica amministrazione? Anche su tutto questo - diritti e doveri- si misura l´attendibilità di una classe politica e di una classe dirigente nel paese, inclusi gli imprenditori, corporazione protetta più delle altre nel battere cassa e quant´altro. E ancora su tutto questo si gioca la scommessa del centrosinistra governante, auspicabilmente al riparo da tentazioni di «nuovo conio» al centro, e da cieco rigore tecnocratico che chiuda gli occhi su sprechi e ingiustizie. Quanto a «classe politica» e «società civile»- e a chi è più «cattivo» - forse ormai è un po´ come l´uovo e la gallina. Ma a condizione di sapere che il «circolo vizioso» è sempre la politica a doverlo rompere: con l´esempio, se vuole essere creduta. E a condizione di tenere bene a mente quanto nel 1947 scriveva Gaetano Salvemini: «Un contadino sardo è anche lui responsabile per la sua quarantacinquemilionesima parte di quanto avviene oggi in Italia. Ma un Ministro che sta a Roma è infinitamente più responsabile che un contadino sardo per quel che avviene col suo consenso, o per suo ordine, o colla sua semplice passività». Caro Presidente Prodi, sottoscrive?

Pubblicato il: 19.09.07
Modificato il: 19.09.07 alle ore 13.52   
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« Risposta #48 inserito:: Settembre 21, 2007, 10:02:24 am »

POLITICA
IL COMMENTO

Il Vietnam di Prodi
di MASSIMO GIANNINI


Resistere, resistere, resistere. Prodi non ha altro orizzonte all'infuori di questo. I tatticismi parlamentari di una maggioranza sempre più fragile e i velleitarismi inconcludenti di un'opposizione sempre più confusa consentono al governo di sopravvivere all'ennesima roulette russa del Senato sulla Rai. Ma l'Unione esce a pezzi dall'arena di Palazzo Madama. La stessa cosa si può dire della Cdl. Ma la cosa non conforta, perché il centrodestra non governa, il centrosinistra sì.

La novità di questi ultimi giorni è che la "faglia", nel dissestato campo politico unionista, si apre al centro, e non a sinistra. Prima la rottura di Dini, ora lo strappo di Mastella. Sono segnali diversi, ma precisi: c'è un'area moderata che, per quanto piccola, non regge più alle pressioni dell'ala radicale e non crede più alla tenuta di questo quadro politico. E dunque si mette in movimento, si riaffaccia sul mercato elettorale.

C'è chi sospetta i dissidenti centristi di qualche "intelligenza col nemico": fuor di metafora, di aver sottoscritto qualche accordo sottobanco con Berlusconi per dare la spallata definitiva al Professore. Che sia vero o no è persino irrilevante, viste le condizioni altrettanto sconfortanti nelle quali versa l'"armata" non più invincibile del Cavaliere. Quello che conta è che, da questo voto sulla Rai in poi, e a dispetto di tutti i possibili vertici e di tutte le opinabili verifiche che la maggioranza sta già annunciando, comincia per Prodi un Vietnam politico-parlamentare dal quale sarà difficile uscire indenni. La Legge Finanziaria, il Protocollo sul Welfare, la manifestazione del 20 ottobre, le intercettazioni del caso Unipol.

Servirebbero un Sarkozy e un quadro istituzionale di tipo francese, per affrontare a viso aperto le insidie e le imboscate nascoste in questa giungla. Un governo instabile, in questo inconsistente e patologico bipolarismo all'italiana, non ha molte speranze di farcela. È vero che, allo stato attuale, non ci sono alternative. Ma in guerra come in politica, il "cadornismo" purtroppo ha quasi sempre un solo sbocco. Caporetto.

(20 settembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #49 inserito:: Settembre 26, 2007, 12:10:26 pm »

ESTERI

Intervento del presidente del Consiglio all'assemblea delle Nazioni Unite

Il pressing dell'Italia, le resistenze della Cina e degli Usa

New York, l'appello di Prodi all'Onu "E' ora di dire basta alla pena di morte"

 

NEW YORK - Immagina una società che supera "la spirale della vendetta fratricida" compiendo così "un gesto di grande politica". Un segnale che sancisca che l'umanità "non è solamente capace di compiere progressi nella scienza, ma anche in campo etico". Romano Prodi apre così il suo intervento alla 62esima assemblea generale delle Nazioni Unite. Un appuntamento a cui l'Italia si presenta con una battaglia politica da portare avanti: arrivare a una moratoria universale delle esecuzioni.

Cosa non facile, però, su cui la diplomazia italiana sta lavorando senza sosta da mesi. Un lungo lavoro che si spera dia frutti. "Abbiamo condotto questa battaglia dall'inizio nello scetticismo generale e oggi ha raccolto sempre più ampi consensi" dice Prodi. Consensi ma anche fortissime sacche di resistenza, come quelle degli Stati Uniti e della la Cina. Paesi che potrebbero mettere sul piatto tutta la loro influenza al momento del voto. "Ci potrebbero essere sorprese" ammette Prodi. Infatti l'Assemblea, quando andrà al voto sulla risoluzione, dovrà coagulare i due terzi dei Paesi aderenti che sono attualmente 190.

A questo si aggiunge una grande incertezza sia sul testo da presentare al voto che sui tempi e i modi della sua formalizzazione. Inoltre restano ancora delle perplessità in ambito europeo sulla strada da seguire: presentare una richiesta per una moratoria o per una via più decisa, caldeggiata da alcuni Paesi del nord Europa, per chiedere sin da ora l'abolizione? Differenza non da poco, sottolineano fonti diplomatiche italiane, che potrebbe far perdere per strada almeno 20 Paesi e compromettere quindi l'esito del voto. Prodi, però, insiste: "La battaglia per la moratoria generalizzata inizia oggi, non sottovalutiamo i rischi, ma i numeri ci sono". Ed entro novembre dovrebbero essere concluse tutte le schermaglie procedurali affinché si voti al massimo entro Natale.

Oltre alla pena di morte Prodi ha anche affrontato il tema della riforma delle Nazioni Unite. Con Roma che resta contraria alla creazione di nuovi membri permanenti al Consiglio di sicurezza. In questo momento storico, spiega il presidente del Consiglio, le Nazioni Unite devono restare "centrali nella soluzione delle controversie internazionali" ed è importante rilanciare il processo di riforma che ha già prodotto negli ultimi due anni "i primi risultati positivi".

(26 settembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #50 inserito:: Ottobre 10, 2007, 12:56:06 pm »

Verso le primarie del 14 ottobre: «Il Pd respingerà l'antipolitica»

Prodi: «Basta con le piccole polemiche»

I candidati litigano sulla «trasparenza» del voto.

Richiamo del premier: «L'unità prima di tutto»


ROMA - «Basta con le piccole polemiche». I candidati alla guida del Partito democratico si dividono sulla «trasparenza» del voto, «insinuano irregolarità», paventano brogli. E Romano Prodi è costretto a intervenire con un richiamo all'ordine. Dopo le polemiche tra Rosy Bindi, Arturo Parisi e Dario Franceschini, il presidente del Consiglio ha cercato di rimettere tutti in riga con una secca dichiarazione: «Mi sembra che la foga della competizione rischi talvolta di mettere in secondo piano, di offuscare, la grandezza di un grande progetto politico, riducendo il dibattito a piccole polemiche che credo non interessino quanti saranno chiamati al voto di domenica prossima». Il premier, uno degli ispiratori del progetto del Partito democratico si è rivolto così ai «candidati del Partito democratico e ai loro supporter», ai quali ha chiesto di «concentrarsi sul motivo principale della loro partecipazione a questa competizione, cioè la nascita del Pd». Prodi ha ricordato anche che al progetto del Pd credono «milioni di cittadini, gli stessi che nei comizi dell'ultima campagna elettorale ci ammonivano dicendo a gran voce una sola parola: unità. È di questo - conclude Prodi - che il Paese ha bisogno».

TRASPARENZA - A cinque giorni dalle consultazioni era tornato in primo piano il tema della trasparenza sull'esito del voto. Per garantire la quale, Arturo Parisi e Rosy Bindi avevano rivolto un «appello» al Comitato organizzatore. «Il 14 ottobre - ha detto il ministro della Difesa - sarà la festa della partecipazione. Se raggiungessimo un milione di partecipanti - ha aggiunto - sarebbe una esplosione di partecipazione» perché pur essendo una cifra di poco superiore a quella degli iscritti di Ds e Dl, sarebbe altrettanto vero che «in tanti si muoverebbero contemporaneamente per dare il loro contributo». Per questo, secondo Parisi, «il risultato deve essere protetto attraverso il massimo di verifica e di trasparenza». Dura la replica del capogruppo dell'Ulivo alla Camera, Dario Franceschini. «Vorrei dire all'ex ragazza della Valdichiana - ha detto Franceschini riferendosi alla Bindi - che stiamo facendo una cosa inedita e posso anche capire qualche scivolata di tono, qualche confusione per il fatto di essere persone che concorrono allo stesso obiettivo e non avversari politici. Però, francamente - ha aggiunto - insinuare, a cinque giorni dalle primarie, che ci possono essere delle irregolarità nel meccanismo di voto, non è giusto».

ANTIDOTO ALL'ANTIPOLITICA - Romano Prodi aveva provveduto a lanciare, nelle ultime ore, le primarie del Pd, in programma domenica. In un editoriale sul numero zero della rivista del nascente Partito democratico presentata martedì a Santi Apostoli, il premier ricorda il lungo cammino (dodici anni) che ha portato alla costruzione del Pd, apostrofandone la nascita come «evento di portata storica per l'Italia». «Abbiamo voluto - scrive il presidente del Consiglio - il Partito Democratico: oggi è un patrimonio di tutti gli italiani». Ma soprattutto, secondo il presidente del Consiglio, la nascente formazione politica sarà in grado di «respingere l’antipolitica, uno dei più gravi rischi che il sistema democratico può correre». La fase preparatoria del Partito democratico, sottolinea il premier, è stato un periodo «durante il quale - scrive Prodi - abbiamo saputo superare la fatica, le difficoltà, le tensioni e le divisioni anche al nostro interno e sono, lo sapete, le più pericolose oltreché le più dolorose».

«IL CAMMINO È COMPIUTO» - Ma «ora il lungo cammino è compiuto - spiega il presidente del Consiglio - il Partito democratico è ormai una realtà» e sarà un partito «democratico davvero, cioè restituito ai cittadini che oggi ne festeggiano la nascita...noi abbiamo voluto un partito vero, disciplinato da regole e che si configuri come organismo collettivo. Tutto il contrario i partiti oligarchici o personali». «Abbiamo voluto - scrive ancora il Professore - un partito grande a vocazione generale... Un partito che faccia l’Italia più forte, più giusta e dunque più coesa. Noi abbiamo voluto il Pd: oggi è un patrimonio di tutti gli italiani».

«NIENTE SEGGI NELLE SCUOLE» - E con le primarie ormai alle porte arriva, dal ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, l'altolà sull'uso delle scuole come seggi per le consultazioni del 14 ottobre. Per Fioroni, che replica così alle polemiche alimentate della maggioranza sull'organizzazione delle primarie, è «prioritario non creare disagio al regolare svolgimento delle lezioni». Il ministro ha comunicato ai direttori scolastici regionali, provinciali e ai dirigenti scolastici che, «pur nel rispetto delle autonome determinazioni delle singole istituzioni scolastiche e della concorrente competenza in materia degli enti locali», non ritiene che le consultazioni per le elezioni primarie del Pd rientrino tra quelle previste dalle norme che regolano l'uso dei locali per attività diverse da quelle scolastiche. All'altolà di Fioroni torna a replicare Maurizio Gasparri. «Vigileremo - dichiara l'esponente di Alleanza nazionale - affinchè non si verifichi in alcun caso un uso improprio di luoghi che servono per l'attività didattica e, semmai, per le elezioni vere, non per le manifestazioni di parte. L'eventuale decisione del Partito democratico è anche istruttiva per qualche sindaco che potrà meditare su un più rigoroso rispetto delle regole».


09 ottobre 2007

da corriere.it

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« Risposta #51 inserito:: Ottobre 15, 2007, 10:15:16 am »

ECONOMIA

LA LETTERA. Non ci tiriamo indietro di fronte alle richieste di dialogo

Ma la drammatizzazione di questa vicenda non fa bene al Paese

Vi spiego i ritocchi al patto del Welfare

di ROMANO PRODI


CARO direttore, oggi avrei voluto occuparmi solo del Partito democratico, del significato che questo 14 ottobre ha e avrà per la storia politica del Paese e avrei voluto, come si dice, "godermi la festa" perché dopo dodici anni, si porta a compimento un progetto nel quale ho fermamente creduto, per il quale ho lottato, nel quale ho tanto investito.

Essere a capo di un governo, tuttavia, implica onori ed oneri e, tra questi ultimi, anche l'onere di spiegare e motivare, anche in giorni di festa, le decisioni dell'esecutivo.

Prendendo spunto dall'analisi, come sempre approfondita e sostanzialmente condivisibile, di Eugenio Scalfari in primis, ma anche dalle interviste dei leader sindacali e da alcuni commenti, sono pronto a spiegare cosa ha deciso il governo sul tema Welfare
con le deliberazioni prese - con una votazione positiva, che è andata ben al di là delle funeste previsioni di tanti - nella riunione del Consiglio dei ministri del 12 ottobre.

Prima di tutto intendo sgomberare il campo da tutte quelle critiche pretestuose che vogliono far intendere che ci sarebbero stati "cedimenti" a una delle componenti della maggioranza.

Leggo, appunto, di cedimenti, prezzi pagati, pedaggi. Queste sono analisi che non esito a definire faziose e che sono oggettivamente aprioristiche. Sono analisi che leggiamo da mesi e che non potendo accusare il governo di gravi errori (perché finora l'economia risponde bene alle decisioni prese) ripetono da oltre un anno, come in un ritornello, l'accusa al governo di essere vittima degli estremisti radicali.

Essi non salgono in cattedra per spiegare, ma solo per accusare senza mai mettere in rilievo la differenza tra i risultati delle decisioni prese nei 17 mesi di questo governo rispetto ai cinque anni del governo precedente.

Il nostro è un governo che sta affrontando una sfida straordinaria al servizio del Paese e che ha imparato a lavorare in modo coeso e unito.

E' un governo che ha sempre visto confermata la propria maggioranza in Parlamento, pur avendo preso decisioni coraggiose, e spesso scomode, in campo economico, politico e sociale.

Nessun "cedimento" quindi e tanto meno in questa occasione.

Quanto alle critiche "bipartisan" delle parti sociali, sarebbe semplicistico limitarsi a dire che qualche scontento sia da parte degli imprenditori sia da parte dei lavoratori testimonia dell'equilibrio e della saggezza del testo messo a punto dal governo. Le critiche non tengono semplicemente conto del fatto che il governo ha dovuto compiere un lavoro complesso per tradurre un "accordo politico" (quello del protocollo del 23 luglio) in un "disegno di legge", formulato nel rispetto delle esigenze della formula legislativa e sempre tenendo presenti le doverose coperture finanziarie.

La traduzione dal linguaggio evocativo e forzatamente, in alcuni aspetti, non dettagliato dell'accordo nel linguaggio asciutto e compiuto delle norme e dei numeri può creare qualche perplessità, ma il governo non poteva esimersi dal fare questo lavoro di traduzione per inviare il disegno di legge alle Camere.
Così come non poteva, nel corso della riedizione del testo, non tenere conto di adattamenti richiesti dagli uffici legislativi. Si tratta, e non mi stancherò mai di ripeterlo, di variazioni marginali rispetto a un impianto corposo di un disegno di legge che, una volta approvato dalle Camere, migliorerà decisamente le politiche del lavoro di questo Paese.

Esso infatti, contrariamente a quanto sostenuto da qualcuno in questi giorni, affronta, ad esempio, per la prima volta la questione giovanile sia sul versante della tutela previdenziale sia su quello del mercato del lavoro e delle relative tutele.

Per quanto riguarda inoltre le tanto drammatizzate "variazioni" al protocollo approvate dal Consiglio dei Ministri, queste erano a preventiva conoscenza delle parti e riguardano, tanto per fare anche qui esempi concreti, la eliminazione del tetto dei lavoratori usuranti previsto fino ad oggi in 5mila l'anno (scelta obbligata al fine di rispettare i diritti individuali).

Contemporaneamente è stato però riconfermato il tetto di spesa a sostegno di questa particolare categoria a 2,5 miliardi di euro nei dieci anni, e si sono introdotte regole più certe per la definizione e la determinazione di quanti hanno diritto a rientrare in tale categoria.

Altre "specificazioni" riguardano i contratti a termine per i quali abbiamo introdotto la proroga di una sola volta dopo i 36 mesi, proroga che avviene alla presenza dei sindacati maggiormente rappresentativi. Essa costituisce a nostro avviso una garanzia contro l'abuso dell'utilizzo dei contratti a termine. Anche questo strumento è condiviso da Confindustria e Sindacati.

In ogni caso non ci siamo mai tirati indietro rispetto alle richieste di dialogo delle parti sociali e questo lo sanno molto bene tanto Montezemolo e Bombassei, quanto Epifani, Bonanni e Angeletti e non intendiamo certamente cambiare atteggiamento in questa occasione. Per questo essi e i loro uffici sono stati informati dal Ministro del Lavoro sul processo di stesura del disegno di legge e per questo li incontreremo al più presto, spero domani stesso, per esaminare uno per uno i punti controversi e fornire nel dettaglio le spiegazioni del caso.

Credo che la drammatizzazione di questa vicenda a cui stiamo assistendo in queste ore non faccia bene al governo, ma, soprattutto, non faccia bene al Paese che ci chiede iniziative forti e responsabili non dibattiti e scontri alimentati ingigantendo piccoli particolari per trarne sempre conclusioni affrettate e negative. Il Paese chiede scelte coerenti e stabilità, avendo ereditato assieme a tutti noi (camere, governo, parti sociali) un quadro di squilibrio e instabilità preoccupante, anche grazie alle sciagurate decisioni della passata legislatura, a cominciare dalla legge elettorale. Non è alzando tutti i giorni il tono della polemica che si lavora per il bene dell'Italia.

(15 ottobre 2007)
da repubblica.it
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« Risposta #52 inserito:: Ottobre 16, 2007, 11:58:51 pm »

LETTERA A VELTRONI


di Romano Prodi


Caro Walter,

dodici anni fa eri con me fra quei pochi che all’Ulivo dedicarono fin dall’inizio energie e speranze. E così come è stato bello lavorare insieme a quel progetto, so che da oggi sarà addirittura ancora più bello ed importante.

Scriverti per salutarti come il nuovo segretario del Partito Democratico è un grande motivo di contentezza e di speranza. Oltre tre milioni di italiane e italiani hanno voluto testimoniarci la loro fiducia affidando alle tue mani il nuovo partito.
So che il Partito Democratico potrà crescere solo con una dedizione totale da parte di tutti noi. So che ci saranno passaggi non facili, tensioni e tentazioni. Ma so anche che non cederemo a nessuna di esse, perché siamo ben coscienti dei nostri compiti e delle nostre responsabilità.

Ci sono tantissime cose da fare. Ma ci sono tre milioni e mezzo di motivi per farle con il sorriso. Da parte mia essere presidente del Partito Democratico è una  sfida che mi appassiona. Avremo segretarie e segretari regionali nuovi e motivati, una classe dirigente piena di entusiasmo e la voglia di presentarci nelle regioni, nelle province e nei comuni con programmi riformisti e persone riformatrici.

Guardiamo già ai prossimi impegni e alle prossime scadenze. All’orizzonte vediamo le elezioni europee del 2009, una occasione in cui il nostro partito sarà chiamato a misurarsi con traguardi e prospettive più ampi. Un appuntamento da non fallire.
Costruire un nuovo partito non è certo facile. Ci conforta il contributo fondamentale di chi con grande visione e anche con tanto sacrificio ha saputo e voluto guardare avanti e non indietro. Ci assicura che sarà cosa nuova il grande arrivo di nuove energie, nuovi nomi, nuovi contributi. Ci rassicura sapere che potremo contare sul determinante contributo di nuove energie e di nuovi nomi.

Per questo è necessario mettersi al lavoro da subito. Nelle prossime ore convocherò formalmente l’assemblea costituente del 27 ottobre. Sarà un’altra grande giornata di democrazia e di festa. Sarà il primo giorno del Pd!

Allo stesso tempo continuerò insieme a te nella attività riformatrice del governo, con pazienza, dedizione e tenacia. Discutendo con i nostri alleati con lealtà e apertura, come abbiamo sempre fatto.

L’abbraccio che ti rivolgo vorrei lo dividessimo insieme agli altri candidati, ma anche ai volontari, al Comitato dei 45, ai tre coordinatori. Volti noti e non. Tutte persone alle quali dire grazie.

Più volte in queste ore sono andato con la mente al lungo lavoro che abbiamo fatto insieme. Come assieme abbiamo portato l’Italia nell’Euro così la porteremo tra i Paesi più innovativi e più giusti di questo ventunesimo secolo. L’emozione è la stessa. La certezza nel futuro ancora più forte. Un futuro che si chiama Partito Democratico. Per un’Italia migliore.

Buon lavoro.A te, a noi, al PD.


da www.ulivo.it
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« Risposta #53 inserito:: Ottobre 18, 2007, 06:24:49 pm »

Con il Pd già mi sento meglio
di Giampaolo Pansa

Veltroni? Un rapporto a prova di bomba.

Il nuovo partito? Conquisterà più di un terzo degli elettori. Ridurre i ministri? Io ne volevo 15, ma Fassino e Rutelli...

A Palazzo Chigi? Fino al termine del mandato.


Colloquio con Romano Prodi. In edicola da venerdì  Romano Prodi e Walter VeltroniAccerchiato, tormentato, sgambettato da tante, troppe parti. Eppure scopro Romano Prodi tonico, asciutto, di umore buono e molto determinato. Dalla sera di domenica 14 ottobre si trova al fianco un leader di nuovo conio, Walter Veltroni, il numero uno del Partito democratico prossimo venturo. Ma è una presenza che non sembra cambiare la vita e il lavoro del presidente del Consiglio. Sentiamo che cosa ci dice lui.

La vedo accerchiata, presidente.
"Non è un'impressione sbagliata. Però non c'è nulla di nuovo. Era così anche il primo giorno a Palazzo Chigi, dopo il voto dell'aprile 2006. Le cause? Coalizione complessa e ricerca di visibilità. Tuttavia oggi c'è una differenza. La caccia alla visibilità è rimasta molto forte nei partiti della coalizione, ma è diminuita moltissimo nei ministri. Nel governo si è affermata una solidarietà interna molto alta. E il lavoro del Consiglio dei ministri è assai più omogeneo e più semplice".

Resta la babele tra i partiti di centrosinistra.
"Può darsi. Ma la funzione e la forza dei governi democratici è di attrarre nuove energie alla democrazia, cioè di assorbire quella che i politologi anglosassoni chiamano 'le frange lunatiche'. È quel che cerco di fare, suonando sia il violino che il violoncello: due strumenti molto umani".

Dovrà darci dentro con entrambi, presidente. Dopo il trionfo bulgaro di Veltroni, molti dicono che adesso il suo governo è più debole. Anzi, che la nascita del Pd è un salto nel buio per il suo ministero.
"L'aggettivo bulgaro non mi piace. E poi i tanti elettori delle primarie hanno espresso una richiesta di stabilità. Se c'è una logica, io sono più forte, non più debole. È la frammentazione dei partiti che rende più difficile fare una politica lineare e coerente".

Veltroni ha detto che il rapporto con lei è "a prova di bomba". E che sosterrà il suo governo sino al 2011. Lei gli crede?

"Sì. Tanto per la prova di bomba che per il sostegno. È interesse di entrambi raggiungere il 2011 con il governo in piedi e ben saldo. Ma è molto più importante ricordare che Veltroni ed io abbiamo costruito insieme l'Ulivo, che Walter è stato un pilastro del primo governo dell'Ulivo e che la nostra collaborazione e la nostra amicizia sono troppo collaudate per andare in crisi".

Ma il 2011 è lontano.
"Certo, sembra lontano. Ma ho scelto una strategia di governo che se mi ha portato un gradimento molto basso oggi, darà frutti importanti nel futuro. Però ci vuole tempo. E so bene che, lungo il cammino, possono esserci delle sorprese".

Una sorpresa negativa potrebbe venire dai sei senatori centristi che non hanno aderito al Pd: Dini, due suoi colleghi, Bordon, Manzione e Fisichella. Enrico Letta ha detto a 'Omnibus' de La7 che bisogna parlarci, con questi sei.
"Con loro parlo da sempre. E ne ho ricavato un'assoluta coincidenza di posizioni. Loro si fidano di me e io mi fido di loro. Ma è vero che bisogna continuare a parlare con loro. Lo farà anche Veltroni".

Un Veltroni trionfante può essere tentato di sfruttare la vittoria andando a elezioni anticipate?
"L'anticipo del voto lo decide il presidente della Repubblica. E poi si cercano nuove elezioni quando i sondaggi sono favorevoli. Non mi pare che siamo in questo caso".

Se si dovesse votare all'inizio del 2008, quale risultato prevede per il centrosinistra?
"Un risultato cattivo. E aggiungo: 'ovviamente' cattivo. Un paese malato si guarisce con le medicine amare. La terapia l'ho studiata con cura e nel 2011 farà vincere il centrosinistra. Comunque, l'anno prossimo non si andrà a votare. Ne sono sicuro".

Con chi starà Veltroni? Con la sinistra radicale o con i centristi dell'Unione? Pier Ferdinando Casini gli ha chiesto di scegliere, per cominciare a chiarire l'identità del nuovo Pd.
"Veltroni l'ha già detto: non ha altra alternativa che questa coalizione di governo".

Insomma, Veltroni non sceglierà.
"Non è così: Veltroni ha già scelto questa alleanza. Non confondiamo le decisioni con le discussioni. Walter non ha altra via che questa. Altrimenti gli scoppia il sistema in mano. Come scoppierebbe a me se cambiassi coalizione".

D'accordo. Però il 14 ottobre è nato un leader davvero maximo, un imperatore. Veltroni sarà di certo esigente e poco malleabile. La preoccupa questa prospettiva?
"Per niente. Veltroni sarà esigente soprattutto con il suo nuovo partito. Deve costruirlo per intero. E avrà il suo daffare. Un conto è il ruolo di leader. Un altro conto è dare soddisfazione a tutte le voci del Pd".

Spesso si dice che Prodi è un politico della Prima Repubblica. Ma non lo è anche Veltroni? Non mi sembra un politico del tutto nuovo.
"Rispondo per me, non per lui. Certo, Prodi è nato nella Prima Repubblica. Ma è entrato in politica soltanto con la Seconda Repubblica. Vuole la data esatta? Il 2 febbraio 1995. Quel giorno alcuni amici troppo affettuosi e quindi sciagurati, tra i quali Nino Andreatta, fecero il mio nome come possibile candidato premier nella battaglia elettorale dell'anno successivo. Il mio nome ruzzolò, andò in giro. Fu così che mi chiesero se ero disposto a guidare il confronto con Silvio Berlusconi. Risposi di sì. E nel 1996 il centrosinistra vinse".

Veltroni dovrebbe dimettersi subito da sindaco di Roma?
"No. A Roma lui ha costruito una macchina grande e forte che può camminare quasi da sola. Certo, lo aspetta una fatica terribile, perché la gestione del Pd diventerà sempre più assorbente".

Lo penso anch'io. La lotta all'ultimo sangue per le candidature alle primarie ci fa prevedere un Pd diviso in correnti che si combatteranno.
"Ma non esiste un partito senza sfumature o espressioni diverse. Guardi che cosa succede nel Partito Laburista inglese. Nel Pd troveremo una sintesi per non farle diventare correnti organizzate. Veltroni si è già dato questo compito. Gli offrirò il mio aiuto: sono il presidente del Pd, garante di tutti".

Dunque, dal 14 ottobre il Pd ha due capi: Veltroni e lei. Le diarchie, i doppi comandi, non sono fonte di guai?
"I nostri ruoli sono diversi. Bisogna sempre distinguere fra governo e partito. Io guido il governo. E sono il capo di una coalizione che va ben oltre il Pd. E rispondo in modo intero all'alleanza che mi ha eletto".

Oggi i sondaggi parlano di un Pd che ha meno voti di quelli raccolti da Ds e Margherita alle elezioni dell'aprile 2006.
"Ha detto bene: oggi. Quando il Pd è allo stato nascente. La stabilità e la coesione faranno cambiare i sondaggi. Certo, ci vogliono i risultati buoni del governo. Insomma, occorre l'impasto di due farine. Ma sono convinto che il Pd conquisterà almeno un terzo degli elettori. E forse di più".

Per tentare di farcela, Veltroni dovrà agitarsi molto. Ha timore dell'inevitabile movimentismo del suo amico Walter?
"Assolutamente no. Ma non userei la parola movimentismo. Direi piuttosto movimento. Spero che Veltroni ne faccia molto. Abbiamo bisogno di mobilitare molta società, molti cittadini".

Il Pd si propone di riconquistare i ceti medi che hanno abbandonato il centrosinistra, soprattutto nell'Italia del nord. In che modo può riuscirci?
"Il modo è uno solo: fare. Il Nord ha bisogno di cose elementari: sicurezza, infrastrutture e fisco più equo. Per i più raffinati anche un po' di scuole, di ricerca, che per me, nel lungo periodo, sono l'aspetto primario anche al Nord".

Lo scrittore-ombra di Veltroni, il senatore diessino Giorgio Tonini, ha messo nero su bianco la seguente previsione: nel gennaio 2008, dopo l'approvazione della Finanziaria, il Pd chiederà a Prodi "un chiarimento politico e programmatico, che indichi le cose essenziali da fare in modo convinto e disciplinato nei prossimi tre anni. Altrimenti, meglio staccare la spina e tornare a votare". Che ne pensa?
"Che 'staccare la spina' è un'immagine truculenta. Mi stupisce che la usi Tonini, un mite cristiano sociale. Deve averla chiesta in prestito alla destra. Cosa posso rispondere? Che ha perfettamente ragione, purché lui abbia un generatore di riserva, una volta staccata la spina. Se lo ha, ci dica quale è".

Veltroni ha già annunciato che vorrà uno snellimento del governo.
"Questo è un problema mio. E lo specifico così. A) Il governo adesso funziona. B) Ho già ridotto molte spese. C) Io stesso, come tutti sanno, avevo proposto un governo di soli quindici ministri. Oggi sono venticinque. E sa perché? Me lo ricordo bene il giorno che Fassino e Rutelli entrarono nella mia stanza e mi dissero: devi dare nove ministri ai Ds e sei alla Margherita. E il resto è venuto da sé. Quando sarà il momento, provvederò io a ripensare la struttura del governo".

Ma è vero che Fassino diventerà vice-premier, posto che sarà lasciato da D'Alema?
"Fassino si meriterebbe ben di più per le sue doti e per il suo spirito di sacrificio. Ma in questo momento non cambio niente".

Andrebbe fatta subito anche la legge elettorale. Ritiene che sia possibile?
"So benissimo che è un compito molto difficile, nel quale Walter e io dovremo buttarci a capofitto. Ma se non lo affrontiamo, trovando la soluzione giusta, non risolveremo i problemi dell'Italia. Con la stabilità del governo, saremmo il primo paese in Europa".

Ma ha discusso con Veltroni su quale sistema elettorale puntare?
"Walter e io ci siamo già confrontati su questo problema. E sappiamo bene che per varare una nuova legge occorre una maggioranza parlamentare molto ampia. Entrambi non vogliamo abbandonare il bipolarismo. Ovvero l'idea di due coalizioni che si alternano nel governo del paese. Speriamo di farcela. Ma le ribadisco che non sarà un'impresa semplice".

Che cosa può accadere al governo dopo la manifestazione della sinistra radicale a Roma, il sabato 20 ottobre?
"Non accadrà assolutamente niente. In questi ultimi sette giorni abbiamo avuto tre grandi manifestazioni di società civile: il referendum sindacale sul Protocollo del Welfare, la marcia di An per la sicurezza e le primarie per il leader del Pd. Quella della Cosa Rossa sarà la quarta. E non potrà che concludere un ciclo tutto a sostegno del governo".

Anche il corteo di An era a sostegno del governo?
"Sì. E per una ragione molto semplice: che ha saputo offrirci soltanto degli insulti. Dunque, ha giocato a nostro favore, sia pure contro l'intenzione degli organizzatori, perché credo che abbia riscaldato molti simpatizzanti del Pd alla vigilia del voto".

Che cosa farà Berlusconi dopo le primarie del 14 ottobre?
"La domanda giusta dovrebbe essere: che cosa dirà. Bene, continuerà a dire quel che ha sempre detto. Che quindici parlamentari della Margherita passeranno con lui. Che la maggioranza di centrosinistra sta per implodere. Che si andrà subito a nuove elezioni. Che il 98 per cento degli italiani spasima di tornare alle urne per votare compatto Forza Italia. Insomma, seguiterà a dire quello che dice da sedici mesi. E come vede la faccenda non mi preoccupa minimamente".

Posso dirle quello che mi domando sempre più spesso nel vederla alle prese con le difficoltà del governare? Mi domando: ma perché Prodi mostra tanta tenacia nel restare a Palazzo Chigi? Ne vale davvero la pena?
"Le offro due risposte. La prima è che le cose si fanno con tenacia oppure non si fanno. La seconda è che a Palazzo Chigi io ci sto volentieri".

È vero che lei se ne andrà soltanto quando sarà chiaro a tutto il paese che il governo Prodi è stato distrutto dai suoi alleati riottosi?
"Sì, se questa distruzione si manifesterà con un voto parlamentare. Altrimenti no: io rimango qui".

Che cosa succederebbe se il suo governo dovesse cadere, per esempio a causa di un incidente al Senato? Dopo di lei, verrà un governo istituzionale o si andrà subito a votare?
"Quello che potrebbe succedere lo deciderà il presidente della Repubblica".

Accerchiato, però tenace. Da vera testa quadra reggiana. Ma è felice di fare questa vita?
"Purtroppo sì".

(18 ottobre 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #54 inserito:: Ottobre 20, 2007, 04:28:12 pm »

il presidente del consiglio scherza con i cronisti

Prodi: «Non mi sento a rischio»

«La vita di un casaro è anche più breve di quella del premier se sbaglia produzione, ma io non l'ho fatto»

 
 
REGGIO EMILIA - Romano Prodi non si sente a rischio nel suo ruolo di presidente del Consiglio nonostante le profezie di Berlusconi sulla caduta del governo a metà novembre. Lo ha ribadito parlando con i giornalisti nel corso di una visita alla latteria sociale di San Giovanni della Fossa, nel Reggiano.

I RISCHI PER IL GOVERNO - «La vita di un casaro è anche più breve di quella del presidente del Consiglio, se sbaglia produzione», ha scherzato il premier assaggiando una forma di Parmigiano-Reggiano. Ma lei si sente a rischio?, hanno chiesto i cronisti. «No, perché non ho sbagliato produzione», è stata la risposta. «Per governare ci vuole tanta pazienza. Occorre stare insieme, lavorare con la testa e con il cuore».
Poi il premier ha commentato con i cronisti le indiscrezioni su un presunto colloquio che sarebbe avvenuto tra il presidente del Consiglio stesso e il comitato organizzatore della manifestazione sul welfare, nel quale Prodi avrebbe dato il governo per spacciato, dicendo di essere pronto a gettare la spugna. «È proprio tutto inventato» spiega il presidente del Consiglio.

MASTELLA - «Su Mastella non ho assolutamente niente da dire», ha affermato Prodi. «Ci siamo telefonati con molta cordialità venerdì sera. E non c'è proprio nulla di nuovo».


20 ottobre 2007

da corriere.it
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« Risposta #55 inserito:: Ottobre 26, 2007, 04:18:54 pm »

26/10/2007
 
Ultimatum disperato
 
FEDERICO GEREMICCA
 

Il penultimo rovescio nell’aula di Palazzo Madama è arrivato quando erano appena passate le nove della sera, cioè giusto un paio d’ore dopo che Romano Prodi - il volto teso, il tono grave - si era mostrato ai cronisti di Palazzo Chigi per scandire il suo ultimatum: «È giunto il momento che tutte le forze politiche della maggioranza dicano chiaramente se vogliono continuare a sostenere il governo». A differenza delle precedenti quattro sconfitte, pare che il quinto capitombolo dell’esecutivo - il penultimo, appunto - non sia stato determinato né da espliciti dissensi nella maggioranza né dal colpo a tradimento di un qualche «franco tiratore»: semplicemente, Rita Levi Montalcini (contestata e sbeffeggiata dal centrodestra per tutta la giornata) provatissima da un’ininterrotta serie di votazioni, s’era assentata un attimo dall’aula per andare alla toilette. L’episodio, ovviamente, non cambia il senso della pesante giornata. Anzi, in fondo lo rafforza.

Infatti, affinché la maggioranza di centrosinistra si riveli tale anche al Senato, è necessario il concorso contemporaneo di una serie di eventi divenuti - però - ormai quasi eccezionali: che non vi siano capricci da parte di uno dei troppi gruppi dell’Unione, che siano presenti tutti o quasi i senatori a vita, che Di Pietro e Mastella non abbiano appena litigato, che qualche senatore della sinistra radicale non avverta problemi di coscienza, che altri non abbiano conti da regolare e si potrebbe, naturalmente, continuare. «Oggi non pongo la fiducia - aveva avvertito da Palazzo Chigi il premier - ma esigo che tutte le forze politiche della maggioranza rispettino gli impegni».

Dopo l’avviso, il governo è stato battuto al Senato altre due volte: prima per l’assenza della Montalcini, come detto, e poi di nuovo su un emendamento alla procedura di commissariamento dell’Ordine Mauriziano. Si fa un gran parlare, nei corridoi dei palazzi romani, di accanimento terapeutico, eutanasia e di un governo tenuto in vita artificialmente, ma è una discussione in fondo finta, pura propaganda, un modo come un altro per prender tempo: si parla, cioè, di quel che tutti vedono - che l’esecutivo è ormai alla fine del suo binario morto - perché nessuno può, fondatamente, parlare di quel che accadrà dopo. Il governo, insomma, è tenuto in vita dagli stessi che lo vorrebbero già sepolto perché non c’è accordo su cosa fare dopo. Andare al voto subito? Andare al voto dopo aver tentato una riforma elettorale? Aspettare la mannaia del referendum? Provare la carta di un governo istituzionale? Maggioranza e opposizione sono divise - divise anche al loro interno - sull’epilogo da dare a una crisi che tutti però assicurano essere ormai scontata. E mentre si cincischia, il Paese perde colpi, il governo continua la sua via crucis e Romano Prodi, intanto, si trasfigura lentamente in una sorta di moderno San Sebastiano.

D’altra parte, non c’è via d’uscita. Sono mesi che il premier insiste nel ripetere di voler rispettare il mandato elettorale e altrettanti mesi che l’opposizione - con ogni giorno una ragione in più - replica che l’esecutivo è morto nel giorno della sua nascita, diviso com’è, paralizzato da spinte contrapposte e senza una vera maggioranza in Senato. Mesi forse gettati al vento. Pericolosamente gettati al vento, visto che durante il lungo stallo il discredito della politica (di tutta la politica) è cresciuto come prima mai. Onestamente, non occorreva giungere fino a questo punto per rendersi conto che il declino della maggioranza di governo non era arrestabile: e che Prodi giochi ora, nel suo momento di massima debolezza, la carta del «chiarimento a muso duro», fa apparire la sua mossa ancor più vana e disperata di quanto lo sarebbe forse stata cinque, sei o addirittura dieci mesi fa.

Paradossale, infine - e immaginiamo malinconica per i protagonisti - è la circostanza che la crisi politica sembri precipitare proprio nel momento in cui muove i primi passi il tanto inseguito Partito democratico. Voluto per concludere un lungo processo e per rafforzare «l’asse riformista» della coalizione di governo, rischia di trasformarsi da subito nel maggior partito di opposizione. Andasse così, sarebbe un epilogo grottesco. Con buona pace di chi ha sostenuto che la sua nascita avrebbe indebolito il governo, si può vedere bene - ora - come sia il governo che rischia di portare a fondo il partito appena nato.
 
da lastampa.it
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« Risposta #56 inserito:: Ottobre 27, 2007, 11:08:28 pm »

27/10/2007 (7:10) - IL RETROSCENA

"Se arrivo a gennaio Berlusconi è nei guai"
 
Prodi: «Solo il voto di sfiducia può fare cadere il mio governo»

FABIO MARTINI
ROMA


Nella cripta del «Cristo Re» il saluto al professor Pietro Scoppola si sta dipanando con tratti da rito protestante - lettura dei salmi dall’Antico Testamento, canti post-conciliari, il «Magnificat anima mea Dominum» -, Romano Prodi arriva da solo e si siede su una panca defilata. Si toglie gli occhiali e nella penombra due lacrime gli solcano il viso.

Era un giovane professore, Romano Prodi, quando nel 1975 Pietro Scoppola, Nicolò Lipari, Achille Ardigò, Ermanno Gorrieri diedero vita alla «Lega democratica», l’ultimo tentativo di rinnovare la Democrazia cristiana. E mentre Prodi è assorto nel ricordo, al «Cristo Re» arriva anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Dopo qualche minuto i due presidenti - che non hanno avvertito i giornalisti e per una volta non sono seguiti dal solito codazzo - risalgono assieme le scale della cripta. Sottovoce ricordano Pietro Scoppola, mentre alle vicende politiche dedicano due parole di circostanza e subito dopo si salutano. Non c’è bisogno di parlare. La crisi di governo, una volta ancora, si è allontanata. E se non fosse per quel velo di tristezza, davvero inusuale per uno come Prodi così poco incline alle tenerezze, per lui venerdì 26 ottobre sarebbe una giornata da incorniciare.

Due giorni fa il Professore se l’era vista brutta. Gli aveva fatto impressione quel «fuggi fuggi a piccole dosi», quel fronte che al Senato si sfaldava attraverso pericolosissime fessure. E’ stato a quel punto che ha deciso per l’appello alla comune responsabilità che alla fine si è rivelato vincente. Naturalmente nelle chiacchierate in privato Prodi non si lascia andare al trionfalismo. Non è nelle sue corde, non lo ha fatto in momenti più gratificanti, non può farlo ora che ha soltanto ripreso fiato. Ma in lui ha cominciato a prendere forma un pensiero che ha ripetuto agli amici veri: «Ragazzi, ma vi rendete conto che se teniamo sulla Finanziaria e il governo supera il traguardo di gennaio, i problemi non li abbiamo più noi? A quel punto chi entra in difficoltà è Berlusconi...», con gli alleati che potrebbero rialzare la testa dopo l’ennesima spallata fallita. Tra sé e sé Romano Prodi accarezza - come direbbe la canzone - questo «pensiero stupendo», uno di quei pensieri che non scandirebbe mai in pubblico, anche perché lui stesso sa quanto sia difficile arrivare sani e salvi non solo al traguardo di Natale, ma anche a quello più modesto del 16 novembre.

Ma il rovesciamento logico e psicologico che potrebbe determinarsi da un governo che portasse a casa la Finanziaria, che a gennaio riducesse da 26 a 15 il numero dei ministri e aprisse sulla legge elettorale è una delle molle che hanno tenuto su il Professore in questi ultimi giorni davvero snervanti anche per lui. Con un’altra idea fissa, questa confessata qualche sera fa, durante una cena tra amici: «Io non mollerò, soltanto un voto parlamentare di sfiducia può far cadere il governo. Sia chiaro: io resisterò fino all’ultimo e se proprio dovesse finire male, temo che una fine anticipata sarebbe una catastrofe. Per il Paese, non certo per me o per il governo».

E sebbene il Professore non cambi - o non abbia l’umilità di cambiare - lo stile delle sue quotidiani esternazioni ai Tg con quelle lunghe pause durante le quali si smarrisce il messaggio, in compenso Prodi sa che in giro per l’Italia sta spuntando un fenomeno nuovo. «In periferia - racconta uno dei “vecchi saggi” dell’Ulivo come Pierluigi Castagnetti - nella nostra opinione pubblica sta crescendo una fortissima insofferenza per i mercanteggiamenti e ora, a differenza di qualche settimana fa, il Prodi-Penelope, il Prodi tenace viene visto come il personaggio che resiste non soltanto al ritorno di Berlusconi, ma anche all’immoralità dei “saltafossi”. Un sentimento nuovo, al quale devono stare attenti in tanti». Certo, Prodi resta un personaggio davvero originale e la sua capacità di tenuta si alimenta anche di piccoli aneddoti. L’altra notte, dopo una giornata di colpi di scena, al Senato le votazioni proseguivano incerte ma non appena il premier ha saputo che presumibilmente non ci sarebbero stati più imprevisti, ha preferito andarsi a coricare, anziché lasciarsi prendere dall’ansia e attendere l’approvazione finale del decreto. Con l’ovvio avvertimento di svegliarlo se ci fossero stati «problemi». All’1,15, quando il decreto è stato approvato, il Presidente del Consiglio riposava.

da lastampa.it
 
 
 
 
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« Risposta #57 inserito:: Ottobre 27, 2007, 11:10:30 pm »

Profferte

Antonio Padellaro


Tra le molte cose interessanti della nostra intervista a Romano Prodi ce n’è una che ci aiuta a comprendere meglio qual è la vera, grave debolezza di cui soffre l’attuale governo. Certo, i numeri risicatissimi del Senato. Certo, il dover tenere insieme una coalizione con dentro tutto e il contrario di tutto. Certo, i colpi di testa di alcuni ministri ossessionati dalla visibilità. In fondo però, ci ha confidato il premier, gli stessi, identici problemi esistevano fin dal primo giorno a Palazzo Chigi e non mi hanno mai spaventato. Sostiene insomma Prodi che l’isolamento di cui soffre il presidente del Consiglio non è affatto politico, ma di ben altra natura. Ovvero: «Una certa sordità a rispondere a certi richiami, a certe profferte».

Si parla naturalmente di lobby. Di interessi particolari. Di poteri forti e di grandi giornali che ne sono i portatori. Di quegli stessi grandi giornali che, guarda caso, un giorno sì e l’altro pure chiedono le dimissioni di questo governo e l’avvento di un nuovo governo (o governissimo) dell’armonia e della prosperità. Con legittimo orgoglio il premier afferma che non si è mai sentito nessuno dire che il governo ha favorito questo o quello. Ma questo o quello difficilmente se ne faranno una ragione e prima o poi te la faranno pagare. Sugli autori delle «profferte» Prodi si è naturalmente cucito la bocca anche se noi abbiamo capito che non si tratta né della lobby dei venditori di violette né della multinazionale del castagnaccio. C’è da sorridere pensando all’infinta attenzione che ogni giorno viene dedicata, anche da noi, alle vicende minime della più piccola politica. E come non si riesca a vedere, e a sapere, quasi nulla del potere che davvero pesa, che davvero conta e che davvero pretende. Quel potere capace, come ci spiega Prodi, di troncare a metà la vita di un governo. Facendo stampare la notizia che si è suicidato.

Pubblicato il: 27.10.07
Modificato il: 27.10.07 alle ore 9.46   
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« Risposta #58 inserito:: Novembre 01, 2007, 11:36:40 am »

1/11/2007 (7:12) - IL RETROSCENA - LA STRATEGIA DI PRODI

Anche Romano nel suk del Senato

Il Professore tratta con Dini: «Io ho un vaso rotto e devo incollare i cocci»

AUGUSTO MINZOLINI


ROMA
L’operazione è complessa: riprendere quello che si è perso non è mai semplice.

Ma Romano Prodi è un personaggio ostinato e in trent’anni di frequentazione del Palazzo ha maturato una rara abilità nella gestione del potere. Per cui si è tuffato a capofitto nella grande battaglia al Senato sulla Finanziaria. Quella da cui dipende la sopravvivenza del governo. E per spuntarla è disposto a giocare su tanti tavoli ed a promettere tutto a tutti. «E’ come Berlusconi - racconta Stefano Pedica, capo della segreteria dei dipietristi -. Sta incontrando i più insoddisfatti e gli chiede se hanno da proporre emendamenti, aumenti di spesa, se vogliono un sottosegretario o altro nel futuro rimpasto. Lo incontreremo anche noi e se a noi toccherà un sottosegretario, vado io. All’Interno o alle Comunicazioni».

Il premier tratta con la destra come con la sinistra della sua coalizione. Non rifiuta niente. Sta tentando di riprendersi anche il comunista Fernando Rossi. Ha in testa di tenergli in piedi l’emendamento al decreto fiscale che il dissidente dell’Unione è riuscito a far passare al Senato, quello che ha raddoppiato il bonus per gli incapienti da 150 a 300 euro. «Troveremo il modo - spiega il presidente della commissione Bilancio della Camera del Pd, Lino Duilio - ho un’ideuzza in testa che non farà aumentare la spesa». Un proposito che sta all’aritmetica come la parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Con buona pace degli estimatori del «riformismo impopolare» dell’attuale governo. Ma si sa, il Professore è l’uomo delle missioni impossibili. «Io - ha fatto presente il Professore chiedendo indulgenza ad uno dei tanti “dissidenti” - sono alle prese con un vaso rotto. Sono l’unico che può tenerlo insieme. Se muovo qualcosa si rompe. Per questo debbo essere prudente ma ri-incollare coccio dopo coccio».

Ieri, appunto, è stata la volta del «coccio» più delicato: Prodi ha incontrato Lamberto Dini. Il presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama, dopo il colloquio, è rimasto in bilico: ha detto che voterà contro emendamenti che tendono «ad aumentare la spesa pubblica»; e ha auspicato «un cambiamento, un rimpasto, una cosa nuova per sfoltire la compagine governativa». In sostanza, al di là delle liturgie della politica, Dini ha assicurato al premier che non voterà contro le pregiudiziali di costituzionalità sulla Finanziaria, cioè nelle votazioni del 5-6 novembre. Poi si vedrà. Una notizia che è bastata ad accrescere l’ottimismo del Professore: «In un modo o nell’altro - ha confidato - sto facendo rientrare tutti i capricci. Se ho ben capito, Dini tirerà la corda ma non vuole rompere. Credo che alla fine ce la faremo».

In realtà la partita è ancora da tutta da giocare. Anche perché il comandante dell’esercito nemico, Silvio Berlusconi, non dà segni di scoramento. Anzi. Ieri se ne è stato tutto il giorno a Roma e ha fatto iniezioni di ottimismo a tutte le persone che ha incontrato. «Sono certo - ha assicurato nel ruolo del condottiero - che butteremo giù questo governo. Dobbiamo, però, calibrare bene la strategia. Dobbiamo evitare che i nostri avversari conoscano in anticipo la data del “D-day”. Dobbiamo anche tenere conto che al Senato le astensioni sono considerate voto contrario, per cui abbiamo più probabilità di raggiungere l’obiettivo se votiamo contro su una proposta del centrosinistra anziché a favore di una nostra. Ecco perché il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità non è il terreno più favorevole per portare l’attacco. La Finanziaria è piena di passaggi letali per il governo...».

Insomma, lo scontro è in atto e i due contendenti si sono trasformati in vere e proprie sirene. Prodi promette a Dini una vice-presidenza del Consiglio nel rimpasto (Palazzo Chigi però smentisce). Berlusconi, per rispondere, fa balenare a Lambertow la presidenza del Senato per la prossima legislatura (Palazzo Grazioli fa altrettanto). Non potrebbe essere altrimenti, nelle condizioni date, l’unico tasto su cui può far leva il premier è il potere. L’attuale governo non ha altro appeal. Non ne combina una buona. L’ultima addirittura è surreale: a 24 ore dal Consiglio dei ministri sul pacchetto sicurezza, il premier, su richiesta di Walter Veltroni, ha dovuto convocare una riunione straordinaria sull’onda di un drammatico fatto di cronaca per approvare un decreto d’urgenza.

L’unico motore che muove tutti i protagonisti della coalizione di governo è l’istinto di sopravvivenza. Prodi deve accontentare tutti per durare. Veltroni deve comportarsi come un premier ombra per imporsi, per recuperare consensi, ma i sondaggi, purtroppo per lui, restano quelli che sono (ci sono quelli di Berlusconi che danno il Pd al 27,5% un punto sotto Forza Italia, uno riservato di Swg, che non è certo di destra, al 24,5). Marini, D’Alema, Rutelli stanno ancora peggio: hanno bisogno di una nuova legge elettorale perché il combinato disposto della lista bloccata, prevista da quella in vigore, con un Pd organizzato sul modello del partito senza tessere, li mette alla mercé di Veltroni.

Quindi nell’Unione sono disposti a tutto. Hanno perso i freni inibitori nell’intento di tenere in piedi il governo al Senato. «E’ il metodo “a Fra’, che te serve...” - stigmatizza l’ex-direttore dell’Unità, Giuseppe Caldarola -. Il solito errore». «Io che vengo dal mondo arabo - rimarca il deputato algerino dell’Ulivo, Khaled Fouad Allam - una cosa del genere non l’ho mai vista». Mentre Giulio Tremonti è preoccupato per l’impennata di spesa che un «metodo» del genere può provocare nella Finanziaria: «Alla fine, bocciarla - è la sua previsione - diventerà una priorità per salvaguardare il paese».

Già, a questo punto tutti si sentono autorizzati a chiedere. «Debbo vedere Prodi - spiega il capo dei senatori socialisti, Gavino Angius - ma gli emendamenti che ho presentato non li ritirerò mai. Scherziamo. Il problema di Prodi non è la “cucina” di Palazzo Madama, la corsa al senatore in più, ma è squisitamente politico: è incompatibile con ogni logica politica l’immagine di un premier, Prodi, che spala merda e di un premier ombra, Veltroni, che gira l’Italia per dire l’esatto contrario».

 da lastampa.it
 
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« Risposta #59 inserito:: Novembre 22, 2007, 03:26:30 pm »

21/11/2007 (11:14) - L'ANNUNCIO DI PRODI

"Sì a riforme, no a grande coalizione"

Prodi: «La Cdl è implosa».

Lunedì incontro Veltroni-Fini


ROMA
È durato quasi un’ora il colloquio tra il presidente del Consiglio, Romano Prodi e il segretario del Pd, Walter Veltroni a palazzo Chigi, presente anche il vice Dario Franceschini.In mattinata Prodi aveva dichiarato che «il Paese ha bisogno di riforme e non di un voto anticipato o una grande coalizione».

Il vertice con Veltroni
Veltroni è arrivato intorno alle 8 e ha lasciato la sede del governo prima delle 9. Al centro dell’incontro le riforme, la legge elettorale e i contatti con l’opposizione che il leader del Pd sta tenendo. Una riunione «rapida» nella quale il segretario del Pd ha presentato il nuovo simbolo del partito. Prodi racconta così l’incontro di stamani con Walter Veltroni. «È venuto a presentarmi il simbolo del partito, è stata una riunione rapida. Un simbolo molto bello, dove c’è la scritta Pd sotto quella dell’Ulivo. Oggi lo presenterà in pubblico».

Lunedì prossimo incontro tra Fini e Veltroni
Intanto Gianfranco Fini tenta di bruciare sui tempi Silvio Berlusconi, e lunedì incontra Walter Veltroni per discutere di riforme e legge elettorale. Nel frattempo lo scontro nel centrodestra non si placa, e il duello tra Fini e Berlusconi si fa sempre più aspro. La frattura tra i due sembra ormai insanabile. Fini non arretra di un millimetro, e ieri ha attaccato l’ex premier definendo le sue idee «campate in aria». Sulle riforme e sulla legge elettorale «siamo pronti a dialogare con il nuovo partito di Berlusconi - dice Ignazio La Russa - così come abbiamo dialogato con Forza Italia», ma «sia chiaro: An non è disponibile a fare inciuci con Veltroni e con Prodi».

Lo stop di Bonaiuti: «Dialogo sulla legge elettorale, ma non sulle riforme»
E intanto Paolo Bonaiuti, portavoce di Berlusconi, ribadisce che «il Partito del Popolo della Libertà accetta il dialogo sulla legge elettorale, ma non sulle riforme». Bonaiuti riconosce a Veltroni l’idea di discuterne, perchè, «il Pdl ritiene giusto partecipare al dibattito sulla riforma elettorale». Però,dice, al di là della riforma della legge elettorale, «ogni dialogo su riforme non è possibile, perchè non è pensabile che governo che ha fallito tutto dica: discutiamo di riforme e portiamo avanti la legislatura».

La frecciata di Cesa (Udc): «Un partito non si fa in una notte»
Casini, che parla della mossa di Berlusconi come «un colpo di teatro a una strategia da sconfitta annunciata», ritiene che i margini per un accordo tra i due schieramenti sulla legge elettorale «ci sono», e il segretario Lorenzo Cesa osserva: «Un partito non si fa in una notte, ma sulla base della condivisione di progetti, di programmi e di valori», per questo «partiti come Udc, An, o come il Partito democratico non avrebbero mai potuto fare una cosa del genere, non avrebbero mai potuto fare un partito nuovo in 24 ore perchè hanno gli organi democratici che decidono».

I piccoli dell’Unione temono asse Pd-Ppl
L’apertura di Silvio Berlusconi al dialogo sulle riforme mette però in fibrillazione i piccoli dell’Unione, che temono un asse privilegiato Pd-Ppl: «Insistere sul sistema tedesco è una pazzia, come dimostrano le ultime svolte di Berlusconi, serve solo a favorire un inguardabile inciucio tra il Pd e la destra. È vero che alla sinistra piace farsi del male ma smettiamola con il tafazzismo», afferma Pecoraro Scanio. Per il ministro del Prc, Paolo Ferrero, «sul sistema elettorale bisogna cercare l’accordo dentro la coalizione e sulla base di questo allargare» il confronto. Tranquillizza il presidente della commissione Affari costituzionali dlela Camera, Luciano Violante: «Il Partito democratico non ha un interlocutore privilegiato a cui si riferisce. La legge elettorale e le riforme costituzionali vanno discusse tutti insieme». Il Pdci, Con Pino Sgobio, arrivare a parlare di «operazioni che hanno l’antipatico odore di inciucio». Ma i timori di "inciuci" non riguardano solo il centrosinistra. Anche An mette le mani avanti: «Noi non siamo disposti a fare una sola cosa: a fare inciuci con Veltroni e con Prodi», dice Ignazio La Russa. Infine, l’ex premier Lamberto Dini chiosa: «I due più grandi partiti devono dare la linea, e questo sta avvenendo».
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