MOVIMENTO 5 STELLE ...

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5Stelle, la rivoluzione politica di Meetup: le sezioni al tempo della Rete e quel 25%

Non esiste una sede fisica e ogni volta può cambiare. Solo nello scorso weekend attraverso questa piattaforma sono state organizzate riunioni in 250 luoghi. Qui dal 2005 è iniziata la discussione dei temi più importanti: acqua, ambiente, trasparenza della vita pubblica

di RICCARDO LUNA


ROMA - Se qualcuno ancora si stesse chiedendo come mai Beppe Grillo ha vinto le elezioni politiche del 2013, potrebbe trovare le risposte che cerca facendosi un giro su Meetup.
È il Facebook della politica, la trasformazione delle vecchie sezioni di partito al tempo delle rete. La differenza più evidente è che non esistono sedi fisiche: tramite Meetup ci si vede ogni volta dove capita, in un bar, in una sala in prestito oppure a casa di qualcuno. A costo zero o quasi. In questo momento ci sono 865 gruppi di "amici di Beppe Grillo" in 711 città di tutto il mondo, comprese Londra, Parigi, Ginevra, San Francisco e Perth, in Australia, dove ci sono "tre cittadini in autoesilio volontario".

Alcuni meetup sono vecchi di otto anni, gli ultimi dieci sono appena nati, fra il 1 e il 2 marzo. Complessivamente si tratta di oltre centoventimila cittadini che si impegnano sul loro territorio per quello che considerano essere il bene comune: acqua, rifiuti, ambiente, trasparenza della politica. La seconda differenza con molte sezioni di partito è che i meetup sono attivi davvero. Solo nello scorso weekend attraverso questa piattaforma sono state organizzate riunioni fisiche in oltre 250 luoghi. L'elenco completo è impressionante: ci sono tutte le grandi città, ma anche decine di comuni minuscoli, aree rurali, zone montane. Una capillarità che ricorda quella che i partiti avevano una vita fa. Se poi uno volesse farsi una idea sulla cultura dominante nei meetup, sulla famosa antipolitica, potrebbe restare stupito di trovare fra le icone anche quella del presidente della Repubblica Sandro Pertini che agita il pugno in un momento d'ira. Sono passati trent'anni da quella foto: probabilmente sferzava i partiti.

Senza i Meetup non ci sarebbe stato il moVimento 5 Stelle e senza l'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001, non ci sarebbe stato Meetup. Il suo fondatore, Scott Heiferman, ai tempi viveva ad un paio di chilometri di distanza da quello che sarebbe diventato Ground Zero. Era uno startupper digitale della prima ora, convinto che con Internet le comunità locali non contavano più nulla. Dopo il crollo delle Torri, rimase stupefatto di scoprire che i newyorchesi sopravvissuti non si ignoravano più: adesso si salutavano e si aiutavano. Volevano incontrare i loro vicini. Lì nacque l'idea di usare Internet per far crescere le comunità locali: per far incontrare le persone con interessi comuni. Nove mesi dopo era nato Meetup che non serve solo alla politica, anzi, ma che in undici anni ha giocato un ruolo imprevedibile nella politica americana che è utile accennare per capire quello che sta capitando in Italia. Secondo Micah Sifry, presidente del New York Tech Meetup, se si fa eccezione per il forte utilizzo che ne fece il candidato democratico Howard Dean nel 2004, con il tempo Meetup ha favorito la formazione di movimenti alternativi quando non apertamente antagonisti al sistema: e quindi Occupy Wall Street e sul fronte opposto il Tea Party. Due numeri a confronto rendono l'idea: ci sono 71 meetup che fanno riferimento al presidente Barack Obama, e più di 700 che si richiamano al Tea Party mentre ben 3007 comunità sono tuttora riunite sotto la bandiera di Occupy Together. Chiosa Sifry: "È improbabile che da Meetup emerga un candidato presidenziale, ma la piattaforma sta giocando un ruolo ancora più importante: portare nuove voci nel dibattito politico. E in un paese dove spesso le differenza fra democratici e repubblicani sono difficili da individuare, questa è una cosa buona per la democrazia".

In Italia i Meetup degli Amici di Beppe Grillo sono nati a partire dal 2005 quando la pressione sul blog beppegrillo.it si è fatta insostenibile: i meetup sono stati un modo per canalizzare e non disperdere le migliaia di commenti che seguivano ogni post del leader e la voglia di partecipazione attiva a livello locale. È da allora che Damien Lanfrey, un giovane ricercatore italiano di stanza alla City University di Londra, si è messo a studiare da vicino la trasformazione di un blog in un movimento civico. Il lavoro è durato sei anni, ha prodotto molte relazioni accademiche approfondite ed oggi, guardandosi indietro, Lanfrey dice che "Meetup, nonostante i difetti della piattaforma, ha permesso ai XXXXXXXX di sviluppare ogni volta una agenda locale diversa che con il tempo è diventata attivismo". La ragione del successo politico sarebbe da rintracciare quindi anche qui in quello che Lanfrey chiama l'ingaggio con la cittadinanza: "Otto anni di reale e costante ingaggio. Dalla assidua e spesso colorita presenza nelle piazze delle città ad un legame costruito fianco a fianco con il mondo dell'associazionismo che, tradizionalmente più vicino ad un ecosistema di sinistra, ha trovato nel Movimento un supporto credibile, duraturo e spesso strategico". No, lo tsunami non è arrivato a sorpresa.

(05 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/05/news/meetup_rivoluzione-53890946/

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Morozov e la "retorica web" del M5S "Sono scatole oscure, non democrazia"

Il politologo bielorusso, autore del best-seller "L'ingenuità della Rete", analizza l'ascesa del movimento di Grillo.

"Il problema della politica non sono i costi della comunicazione, c'è ancora bisogno di leader e di messaggi universali".

Internet? "Un trucco per legittimare un movimento di dilettanti"

di RAFFAELLA MENICHINI

Con il suo The Net Delusion (L'ingenuità della Rete, Codice Edizioni) due anni fa Evgeny Morozov scuoteva l'establishment intellettual-tecnofilo americano e internazionale con tesi provocatorie e appassionate contro la retorica che ci voleva all'alba di una nuova democrazia globale scaturita grazie alla Rete. Una sorta di batteria di fuoco di controinformazione sparata sulla tesi di una Rete salvifica, potenziale sostituto delle pratiche politiche, associative, comunitarie "tradizionali" e piramidali in favore di una distribuzione egualitaria dei mezzi di partecipazione grazie agli strumenti offerti da Internet. Tesi smontata pezzo a pezzo, con un'approfondita analisi degli interessi economici e di potere che giocano (soprattutto in Europa dell'Est, da cui proviene il bielorusso Morozov, ma non solo) dietro questa retorica, ma che cela anche una grande passione: la Rete è uno strumento eccezionale, ma bisogna scoprirla e saperla usare per non esserne strumentalizzati. Lo stesso filone che il giovane (nato nel 1984) politologo, blogger e ricercatore all'Università di Stanford, svilupperà nel suo prossimo libro ("To save everything, click here"). Il suo è dunque un punto di vista radicale sulla "retorica digitale" che - sostiene - è stato il principale ingrediente dello straordinario successo del Movimento 5 Stelle: "Rischiate che il vuoto politico si riempia di totalitarismo o managerialismo". Ma che non è un fenomeno isolato, mentre negli Usa sta prendendo piede la politica-marketing: messaggi su misura per gli elettori, a scapito del messaggio calibrato sull'interesse collettivo.

Esistono precedenti nel mondo di un movimento nato e cresciuto sul web che raggiunga un successo elettorale di questo livello?
"Ci sono molti esempi di cittadini consultati su come governare o coinvolti in processi decisionali minori ma non mi risultano esempi simili in caso di elezioni politiche. Credo che i partiti Pirata in Svezia e Germania abbiano sperimentato metodi simili, anche se non su questa scala".

Perché è successo in Italia, perché ora?
"Sarei cauto nell'attribuire un ruolo eccessivo alla cultura di Internet in tutto questo. Se parliamo di partiti nuovi nati dal nulla e che in tre anni diventano così popolari - allora sì, ce ne sono altri, e alcuni di questi esempi sono piuttosto orribili. Ora, non per aderire a strani determinismi - non sto dicendo che Internet non ha contato nulla - ma la risposta al perché in Italia, perché adesso ha a che fare con i problemi strutturali della politica e dell'economia italiane più che con le trasformazioni rivoluzionarie suscitate da Internet. Ovviamente, Grillo e i suoi luogotenenti non vogliono essere visti come un partito marginale con programmi ambigui: i paragoni storici, purtroppo, non giocano in loro favore e incuterebbero paura. Così preferiscono giocare la carta di Internet e pretendere di essere solo la naturale e inevitabile conseguenza dell'"era di Internet". Ma io penso che tutto questo parlare di 'era' - lo Zeitgeist e lo spirito di Internet - sia in gran parte privo di senso".

Il motto di funzionamento del movimento è "uno vale uno": niente leader, consultazione diretta su ogni questione, nessuna identificazione destra/sinistra, capacità professionali opposte a professionismo della politica. E' un modello che può funzionare - considerando anche lo stato di deterioramento della credibilità della politica italiana?
"Non vivo in Italia e quel che so della vostra politica mi viene dalla lettura di giornali americani, britannici e a volte tedeschi e da qualche amico italiano. Ma anche con queste mie limitate conoscenze, l'ultima volta che me ne sono occupato il M5S aveva un leader - anche piuttosto buffo - e anche un ufficio in una zona piuttosto costosa di Milano. Non è questa una sorta di gerarchia? Ci sono due modi di pensare al M5S: uno è che il loro tentativo di sfuggire alla politica - con i suoi leader e le sue gerarchie - non possa funzionare perché il motivo per cui abbiamo bisogno di leader e gerarchie non sempre ha a che fare con i costi della comunicazione. Qual è il contributo di Internet? Che riduce i costi della comunicazione. Ma i leader e le gerarchie servono a creare carisma e dare un'idea di coesione e credibilità in fase di negoziazione con gli altri partiti. Questo Internet non può cambiarlo: carisma e disciplina non si fanno con i byte. Qualcuno deve pur rispondere ai commenti al blog, non è che se ne vadano da soli.

"Il secondo punto di vista è che questo deliberato tentativo di sfuggire alle caratteristiche della politica - ideologia, negoziazione, prevaricazione occasionale e ipocrisia - può solo peggiorare le cose. Di fronte a una qualsiasi fluttuazione del sistema politico attuale (e il cielo sa quante ce ne possano essere in Italia), l'imperfezione è meglio di un'alternativa che in questo caso potrebbe essere l'eliminazione di ogni spazio di manovra e la sostituzione della politica con una qualche forma di managerialismo o di totalitarismo populista. L'eccellente libro del 1962 di Bernard Crick "In Defence of Politics" ("In difesa della politica", ed. Il Mulino, 1969, ndr) dovrebbe essere distribuito ampiamente in Italia: è il miglior argomento del perché i sogni populisti e tecnocratici di abbandono della politica siano sbagliati".

Molti osservatori in Italia hanno messo in luce il problema dello stretto controllo esercitato da Grillo e da Gianroberto Casaleggio e la mancanza di trasparenza nelle scelte del Movimento, specialmente nel processo di selezione dei candidati e di votazione. Solo gli aderenti di lunga data possono accedere alle piattaforme di voto, mentre il blog di Grillo è lo spazio pubblico in cui il dibattito si svolge in maniera aperta. Qual è la sua opinione su questo modello?
"Non mi sorprende. Ci sono tutta una serie di miti su come funzionano le piattaforme online. Progetti come Wikipedia, Google e Facebook ci hanno insegnato - e anche condizionato - a pensare che funzionano in modo oggettivo, neutrale e del tutto evidente. Ovviamente non è vero: nel caso di un progetto come Wikipedia, sono molte poche le persone - tra loro c'è il suo fondatore Jimmy Wales - che capiscono come funziona davvero. Nessuno conosce tutte le regole che innescano il meccanismo Wikipedia: ce ne sono troppe. Lo stesso per Google: non sappiamo come funzionano i suoi algoritmi e loro hanno resistito a ogni sforzo di renderli esaminabili. Ed ecco cosa accade: abbiamo una serie di caratteristiche di progetti che pensiamo rappresentino "la Rete" e poi trasferiamo queste caratteristiche dentro la Rete stessa in modo che qualsiasi progetto scaturisca dalla Rete ci sembra avere le stesse caratteristiche. Non mi sorprende che il 5Stelle affermi di essere totalmente orizzontale, trasparente e basato sulla Rete nel momento in cui applica alcune di queste caratteristiche. E' così che funziona la cultura di Internet: conoscono il suo linguaggio e i suoi trucchi retorici. Un altro esempio? Twitter. Tutti pensano che sia una piattaforma che permette a chiunque, dalla sua camera da letto, di essere altrettanto influente di un commentatore di grido a proposito del futuro della Rete. Ma anche questo è un mito: la maggior parte dei commentatori della Rete che si dicono ottimisti sul suo futuro compaiono nelle liste di "chi va seguito" - compilate dalla stessa azienda Twitter e che gli permettono di acquisire molti più follower di tutti noi. Per esempio, le persone con cui io ho i miei scontri intellettuali - come Clay Shirky o Jeff Jarvis - hanno molti più follower di me ma non perché sono più divertenti (non lo sono!), ma perché l'azienda Twitter amplifica deliberatamente il loro messaggio. Dunque cosa c'è di così democratico e orizzontale nell'ecosistema dei nuovi media?

"Secondo me molte delle piattaforme online usate per l'impegno politico funzionano più o meno come scatole nere che nessuno può aprire e scrutare. La gente ha l'illusione di partecipare al processo politico senza avere mai la piena certezza che le proprie azioni contano. Non è esattamente un buon modello per la ridefinizione della politica".


 L'Italia ha un grosso problema di infrastrutture digitali. Siamo agli ultimi posti in Europa per l'accesso alla banda larga. Questo è compatibile con l'aspirazione a una "democrazia digitale"?
"Non si può dare la colpa a un partito politico se non riesce a raggiungere tutti. Perciò va benissimo che si cerchi di utilizzare questi nuovi metodi adesso piuttosto che tra 15 anni, quando tutti saranno connessi. Il pericolo vero è che i processi amministrativi ed elettorali siano rivisti in modo da rendere impossibile la partecipazione alla politica senza tecnologie digitali. Non penso che possa accadere presto, ma è una possibilità. Ci sono tanti progetti digitali in questo spazio civico e politico e specialmente in questa prima fase esiste una specie di pericoloso discrimine di autoselezione: si organizzano importanti riunioni per decidere le regole con cui procedere e solo chi ci capisce di tecnologia (i geek) partecipano. E naturalmente se sono solo i geek a decidere le prime regole mi preoccupa l'esito di queste piattaforme e progetti".

Come giudica i software open-source per i processi decisionali come Liquid Feedback - o i sistemi di voto elettronico come il metodo Schulze? Sono strumenti utili anche per partiti politici diciamo così, convenzionali?
"Nel mio nuovo libro (che negli Usa esce il 5 marzo) ho un lungo capitolo su Liquid Feedback. E' un tema complesso. Come strumento per condurre focus group all'interno di un partito è uno strumento piuttosto efficace. Il rischio nasce quando piattaforme di questo tipo vengono lanciate come strumenti nuovi per far politica - tipo cittadini che delegano i loro voto ad altri cittadini su questioni di cui sanno poco. Non credo molto nella delega a questo livello. Nel libro in realtà ricordo che alcune di queste aspirazioni esistevano già negli anni Sessanta - almeno negli Usa, con la Rand Corporation - quando molti consiglieri politici tecnlogici pensavano che - attraverso il telefono e le tv via cavo - i cittadini sarebbero stati capaci di delegare i proprio voti a persone più competenti. Come ho già detto, questa visione nasce dall'idea che il problema da risolvere siano i costi della comunicazione e si cerca nelle tecnologie il salvatore. Se invece non pensassimo che il motivo per cui la politica opera nel modo in cui opera è legato ai limiti della comunicazione, allora avremmo una visione più sensata di quel che la tecnologia può darci. Ora negli Usa abbiamo un grande problema di uso massiccio di big data e micro-targetting, specialmente sulla Rete, perché i politici e i partiti presto saranno in grado di fare promesse ritagliate su misura dell'individuo a tutti noi - facendo leva sulle nostre paure e i nostri desideri più profondi - e ovviamente li voteremo più volentieri grazie a questa strategia. Non sono sicuro che valga la pena costruire una società in cui gli elettori ricevono promesse personalizzate - che nessuno potrà mai soddisfare. Eppure questa è la direzione. Una delle attrattive del vecchio e inefficiente sistema dei media - in cui un partito doveva formulare un messaggio universale mirato a tutti coloro che lo ascoltassero - era che costringeva i politici a prendere sul serio le proprie ideologie. Dovevano suonare coerenti, assicurarsi che le proprie posizioni non si sfaldassero. In un mondo in cui nessuno può controllare i messaggi personalizzati che i politici inviano ai singoli elettori non c'è bisogno di essere coerenti o di sforzarsi di formulare un'idea. E' pericoloso".

L'Italia si trova anche al centro della grande crisi dell'eurozona, con potenziali forti impatti internazionali. Per la prima volta c'è un "movimento digitale" non assimilabile a un partito tradizionale che ha una grande forza in Parlamento. Questo pone una sfida anche alle controparti internazionali, in termini di approccio diplomatico, relazioni, linguaggio?
"Di nuovo, io non vivo in Italia. Non so esattamente cosa significhi 'movimento digitale'. Possiamo chiamarlo 'movimento di dilettanti'? Posso capire perché per esempio il partito Pirata in Germania venga chiamato 'movimento digitale' - non si occupano di altro che non sia la libertà della Rete, la riforma del copyright ecc. Sono tutte questioni tecnologiche, da geek, che la maggior parte della gente chiamerebbe 'digitali'. Se parliamo del M5S non è questo il caso: non so se abbiano posizioni su questioni digitali ma non è questo il motivo per cui  la gente ne è attirata. La Rete, nella loro retorica, gioca solo un ruolo di grande legittimatore del loro dilettantismo e della loro attitudine profondamente anti-politica. Dicono di manifestare ciò che un partito politico dovrebbe essere nell'"era della Rete" e ciò mi insospettisce molto perché - di nuovo - non penso che il funzionamento dei partiti si possa spiegare solo in termini di costi della comunicazione.

"Ci sono buoni motivi per cui abbiamo bisogno di gerarchie e di leader che parlino il linguaggio della politica e giochino il gioco fino in fondo: le inefficenze della politica, per usare un linguaggio da computer, non sono un bug (un difetto) ma una feature (una funzione). Per me il test è semplice: dimentichiamoci per un momento che stiamo vivendo una "rivoluzione digitale" e cerchiamo di cimentarci sugli argomenti dei movimenti come il 5 Stelle, basandoci su quel che sappiamo di filosofia e teoria politica. Queste argomentazioni, secondo me, non reggerebbero un'ora di seria discussione in un rigoroso seminario di Scienze Politiche di base. L'unico motivo per cui passano per seri è perché sono ammantati della retorica emancipatoria del sublime digitale. Quanto ai leader internazionali, beh ci sono moltissimi partitini in crescita in Europa: in Olanda, in Gran Bretagna, forse in Grecia. Non sono stati altrettanti bravi nell'utilizzo della retorica di Internet - forse non sono guidati da blogger - ma presto capiranno come fare. Basta guardare a Nigel Farage, tra i leader dell'Uk Independence Party e tra i maggiori euroscettici britannici nel Parlamento europeo. Un uomo che ha usato bene YouTube per le sue operazioni mediatiche e ora ha un seguito pan-europeo. Gli manca qualche ingrediente retorico - "democrazia della Rete" e "consultazioni online" - poi prenderà il volo. Nelle recenti elezioni amministrative britanniche, l'Ukip ha preso rapidamente terreno, il che indica che stanno imparando questo gioco".

In un paese a lungo dominato da un mogul della Tv, l'avvento di un movimento di cittadini informati che rifiutano ogni interazione con i media tradizionali può anche essere visto come un segno di cambiamento sano, l'indicazione di una nuova generazione pronta ad impegnarsi....
"Bè, l'Italia è un caso particolare, ne convengo. Non ho interesse particolare a difendere la Tv e certo non quella italiana - la maggior parte è orribile e renderla un attore meno rilevante nella sfera pubblica è di certo un bel cambiamento. Detto ciò, voi avete ancora buoni giornali, una buona industria editoriale (con un pubblico di lettori tra i più acuti d'Europa, l'accesso a forse il  maggior numero di lavori tradotti di tutti i paesi d'Europa) e una delle migliori culture di festival d'Europa. Per cui certo, la televisione non è il meglio ma avete un sacco di altre cose di cui essere orgogliosi. E Internet può mettere a repentaglio queste altre attività e il loro patrimonio culturale e intellettuale? Temo di sì. Odio generalizzare su termini come 'Internet' - ci sono un sacco di risorse buone e utili online, e tante stupidaggini. Ma non voglio assumere per principio che solo perché i giovani tendono a leggere i blog più che a guardare la tv sia necessariamente una cosa positiva. Ci sono tante altre cose buone da leggere!".

(05 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/05/news/intervista_morozov-53835572/?ref=HREC1-12

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La democrazia liquida di Grillo

di M.Loy e G. Rizzo.

Ecco come funziona il software che il Movimento CinqueStelle utilizzerà per consultare la base e prendere decisioni: ma le criticità sono tante...


Auspicata, pretesa, annunciata. Rivoluzionaria e liquida. Studiata, progettata, testata. Rivoluzionaria e liquida. Migliorabile, necessaria, indispensabile. Rivoluzionaria e liquida. Negli ultimi giorni si è tornato a parlare della magnifica piattaforma che Beppe Grillo insegue da mesi e con cui finalmente (finalmente per lui e per Gianroberto Casaleggio) riuscirebbe a dar vita alla promessa di una democrazia "rivoluzionaria e liquida": un sistema per prendere decisioni collettive in maniera “scientifica” e “algoritmicamente democratica”.


RIVOLUZIONE LIQUIDA
Tra i tanti aggettivi usati dal comico genovese per descrivere questa macchina dei sogni – un software che, applicato al blog, consentirebbe una “conta” precisa e orizzontale senza che questa sia alterata da gerarchie sociali e disparità di conoscenze – ne manca però ancora uno, che definisce bene la situazione attuale: è una piattaforma, per ora, fantasma. Il che complica molto le cose, specie ora che i grillini sono in Parlamento e devono prendere decisioni evitando la non-trasparenza e la chiusura. Nonché l'immagine di essere web-guidati dal loro leader. Spaccature come quelle sull'elezione di Piero Grasso al Senato vanno evitate, continua a dire Grillo. Perciò, a parole, è tornato ad accelerare sul progetto rivoluzionario e liquido chiamato, appunto liquid feedback.

TANTA ATTESA E POI...
Di liquid feedback nel movimento si parla da molto tempo: le discussioni si erano intensificate dopo la scorsa estate, e fatte stringenti in vista delle elezioni politiche e dell'approvazione del programma da presentare ai propri elettori e al ministero dell'Interno. Non se ne fece niente, con grande rammarico di moltissimi attivisti. Ma fu lo stesso Grillo a dire che era solo un rinvio, vista l'imminenza della campagna elettorale e la complessità del sistema ipotizzato.

I PIRATI RACCONTANO...
Il software è stato mutuato da quello del partito tedesco dei Pirati, con piccoli aggiustamenti fatti dagli attivisti di Bergamo per integrarvi la piattaforma grillina di discussione. Test si sono svolti in diversi meet-up, e anche il programma del movimento per le elezioni regionali siciliane è stato elaborato in questo modo.

Secondo la testimonianza diretta di un attivista tedesco del Partito Pirata, che ha collaborato all'applicazione del sistema, “è tutto pronto da mesi, il gruppo M5S alla Regione Lazio lo usa già, Grillo e Casaleggio continuano a rimandare...”.

MODELLO WIKI
Il meccanismo, in linea di principio, è semplice e funziona così (dal sito movimento5stellestabia): "liquid feedback offre ai cittadini un ambiente per discutere e votare le proprie proposte secondo i principi della democrazia liquida". E fin qui, chi ha un minimo di familiarità col web, sa bene che non c'è molto di diverso da un qualsiasi forum in cui discutere temi e problemi e proposte.

L'aspetto su cui puntano i grillini è però un altro, non la mera discussione, ma il raggiungimento di una decisione: "La piattaforma è utilizzata per proposte interne al MoVimento e partecipano alle votazioni gli iscritti certificati al M5S. I portavoce che coprono cariche amministrative, applicano la decisione presa a maggioranza nella votazione". Questa votazione si basa sull'espressione di una preferenza su una determinata proposta. Preferenze tra cui si forma una graduatoria stabilita da un algoritmo che alla fine sceglierà la soluzione più votata.

Spiegato semplice: bisogna decidere se piantare o no un albero in una piazza di una qualsiasi città, ciascuno farà le sue proposte, chi partecipa alla discussione si farà convincere da una (aumentiamo il verde pubblico eccetera) piuttosto che da un'altra (non crescerà bene, ci sono altre priorità eccetera), e valuterà la bontà delle argomentazioni pro e contro. Esprimerà un giudizio e poi sarà il software a metterli in ordine in base a parametri e "regole" precedentemente stabilite (quella capitale è, ovviamente, che "uno vale uno"). Chi la frequenta, noterà che è un meccanismo simile a quello usato anche da Wikipedia. Chi partecipa a quella discussione, se ritiene di non essere in grado di esprimere giudizi ("non so se facciamo più bene al verde pubblico ma allo stesso tempo danneggiamo l'albero"), può delegare la decisione a qualcuno che ritiene più esperto.

PRIMA CRITICITA': IL TEMPO
Ora, immaginate il funzionamento di un sistema del genere nelle ore convulse delle elezioni dei presidenti di Camera e Senato. Vito Crimi, capogruppo in pectore al Senato del M5S, le racconta così: "Alle 14.00 è finita la prima noiosa ma estenuante seduta mattutina che ci ha portati ad un ennesimo nulla di fatto e l’individuazione dei due candidati che sarebbero andati al ballottaggio Grasso e Schifani. Ci siamo subito riuniti, ci siamo fatti portare panini e acqua nella stanza, e confrontati a lungo fino alle 16.30 orario di ripresa dei lavori… senza il tempo per poter approntare uno streaming ne poter interpellare in modo attendibile la rete…". Ecco la prima criticità della di liquid feedback.

SECONDA CRITICITA': IL DIGITAL DIVIDE
Se ne aggiunge un'altra che ha bisogno di una piccola premessa, questa: il 4,4% degli italiani non ha accesso a una rete veloce né fissa né mobile. Con punte del 20% in Molise e situazioni non troppo dissimili nel Sud Italia – dove Grillo ha raccolto moltissimi voti – dicono i dati del ministero dello Sviluppo. Il che, brutalmente, significa questo: milioni di persone tagliate fuori dalla piattaforma con cui Grillo auspica che vengano prese le decisioni a nome di tutti.

TERZA CRITICITA': CHI PARTECIPA?
A tutto questo si aggiunge il problema dei controlli e della verifica di chi partecipa alla discussione e al voto sui più diversi temi.
In Sicilia è stato chiesto a chi volesse partecipare alla discussione del programma regionale del movimento di inviare una copia della carta d'identità e l’URL del profilo MeetUp di appartenenza. Ma chi ha un minimo di praticità con il web sa benissimo che queste precauzioni sono flebili, e facilmente aggirabili.

QUARTA CRITICITA': IL DOMINIO DEI MODERATI
L'ultimo e forse più insormontabile dei problemi è quello connaturato ad un sistema che, nonostante gli sforzi algoritmici, rimane poco dialettico. L'idea del confronto tra posizioni diverse che sta alla base della democrazia, l'alta considerazione della voce delle minoranze che è connaturata al sistema di una democrazia parlamentare sono meccanismi che prevedono che di fronte a posizioni inconciliabili ci possa essere un compromesso evoluto che faccia fare a entrambe le posizioni un passo avanti verso un bene più alto.

Il sistema “liquido”, basato sui parametri statici come quello auspicato dal M5S, tende invece a schiacciare le diversità e ad appiattirle verso il basso verso un compromesso al ribasso. A raccontare di questo limite sono proprio i Pirati che usano già da tempo questo sistema: “Se si confrontano posizioni molto diversificate, liquid feedback tenderà a premiare sempre la visione di mezzo, quella più moderata”.

PEGGIO DELLA DEMOCRAZIA...
Sta scritto, sulle pagine di diversi gruppi locali di grillini: "La democrazia liquida permette il rapporto diretto tra elettore ed eletto, a differenza della democrazia rappresentativa". Ma la democrazia così per come la conosciamo ancora oggi, sarà davvero la peggior forma di governo, bisogna però ricordarsi, come faceva Churchill, quali sono e che cosa hanno prodotto gli altri sistemi di governo sperimentati finora.
E a occhio e croce, anche quelle basate sugli algoritmi, per ora lasciano molto a desiderare...

da - http://www.unita.it/italia/democrazia-liquida-liquid-feedback-grillo-m5s-casaleggio-maggioranza-dittatura-software-pirati-1.489717?page=3

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La decrescita secondo i 5 Stelle

di Lavoce.info | 30 aprile 2013


Oggi la crescita è il collante della società e la precondizione per una pur minima forma di equità distributiva. La decrescita auspicata dal M5S richiederebbe una rivoluzione civile e morale, che non può essere di un solo paese. Ma l’idea è nobile e qualcosa si può fare verso una maggiore sobrietà.

di Mario Sebastiani* (Fonte: lavoce.info)

Apocalittici e ottimisti

La “decrescita” come programma (o almeno come valore) lanciato dal Movimento 5 Stelle non è questione banale, da relegare fra le sirene di un movimento in cerca (con ragguardevole successo) di consenso. Anche perché l’idea è accattivante, ma la sua realizzazione sarebbe tutt’altro che popolare.

È una dibattuta questione che ha alle spalle una lunga e nobile storia, avviata da grandi economisti, sociologi e filosofi fin dalla prima metà dell’Ottocento. Un dibattito nel quale hanno convissuto catastrofiche previsioni con altre di segno opposto. Fra le prime, Thomas Malthus, convinto che il futuro della crescita era fatalmente segnato dalla scarsità delle risorse naturali, decretando un destino di miseria che, a dirla tutta, l’umanità coltivava nei suoi propri cromosomi (perlomeno in quelli che la spingevano a moltiplicarsi senza senso della misura); e Karl Marx, che per la verità si spellava le mani nell’attesa che il capitalismo crollasse, complice la sua avidità e la stagnazione prodotta dalle sue interne contraddizioni. Fra le seconde, John Stuart Mill e John M. Keynes, che invece profetizzavano che si sarebbe finalmente raggiunta un’età dell’oro e dell’abbondanza dove, una volta soddisfatti i bisogni “reali” della popolazione, tre o quattro ore di lavoro al giorno sarebbero state sufficienti a “soddisfare il vecchio Adamo che è in noi”; il bello di questo stato del mondo era che avremmo potuto dedicare il nostro tempo a coltivare il lato estetico, culturale, sociale della vita. Vale la pena citare anche, fra i grandi filosofi, Bertrand Russell, per il quale nella nostra società l’essenza del progresso è nella capacità di produrre un numero doppio di spille nello stesso tempo di lavoro anziché lo stesso numero di spille in metà tempo di lavoro. E come dimenticare Thorstein Veblen, che fustigava la logica del consumo “vistoso”, status symbol fonte di una continua e sterile rincorsa nei consumi e di frustrazione e disagio sociale per chi non ce la fa a tenere il ritmo.
In tempi più recenti (intendo dagli inizi degli anni Settanta del secolo scorso) si sono aggiunte altre sporadiche voci, da Nicholas Georgescu-Roegen al Club di Roma, focalizzate in primis sui limiti fisici e ambientali di una crescita continua. Ora è la volta di Serge Latouche, più incline a coltivare un’impostazione socio-antropologica (e un tantino commerciale). Soprattutto da quest’ultimo sembra ispirata la “decrescita secondo 5 Stelle”.

Pil e sviluppo

La maggior parte dei personaggi che ho citato erano tutt’altro che nemici del mercato e del progresso, ma avevano ben distinti due concetti che oggi tendiamo invece a identificare: la crescita materiale, misurata dal tasso di incremento del Pil, e lo sviluppo, inteso come progresso di valori civili, sociali e culturali: identificando in quest’ultimo, una volta soddisfatti i bisogni materiali “reali” della popolazione (ossia un decoroso ed equamente diffuso livello di vita), la fonte del benessere.
Oggi la crescita del Pil è universalmente considerata termometro dello stato di salute dell’economia e della società, indice del successo della politica e metro di posizionamento di ciascun paese nella comunità internazionale. E non importa che sia di comune osservazione che – superata una determinata soglia di sviluppo – il Pil non possa essere considerato come unico driver del benessere di una società e che la crescita sia una gerla che contiene balocchi e carbone. Secondo il pensiero mainstream, infatti, si tratta di esternalità, disallineamenti da un modello che va qua e là emendato, ma guai a metterlo in discussione alle radici.

Resta comunque che la tesi grillina della decrescita come stato felice è sì una deviazione dal comune credo, ma non la si può bollare di giacobinismo. Come utopia sì, almeno se non ci spingiamo oltre “dopodomani”.
Lo scenario prefigurato non lo si può realizzare semplicemente “frenando la crescita” (ammesso che oggi e in prospettiva di medio termine siano necessari interventi attivi in questa direzione). Ci vorrebbe una rivoluzione, civile, morale, di sensibilità, di valori. Ovviamente una “rivoluzione universale”. Proprio in nome di questa universalità prescindo dalle consuete e non infondate obiezioni circa l’insostenibilità del (nostro) debito pubblico o la “tenuta dell’euro” in uno scenario stazionario solo nostro. Lasciamo da parte i provincialismi e il breve periodo; voliamo alto e guardiamo lungo.
È di comune constatazione che la molla della crescita senza limiti è che il mercato soddisfa bisogni (o desideri) che ha previamente creato, in una spirale senza fine che appaga temporaneamente quelli che possono permetterselo e lascia frustrazione e risentimento in quelli che restano fuori dalla corsa. Non si può per decreto mettere fine a questa corsa, modificare i modelli di consumo (più libri e meno ipad), perché non si può cambiare per decreto il sistema dei valori, distorto quanto si vuole, che ne sono la molla. Bisognerebbe cominciare dal basso, dall’istruzione primaria, dall’educazionefamiliare; riusciamo realisticamente a immaginare padri e madri che impartiscono ai figli austeri insegnamenti, opposti a quelli che loro stessi sentono propri? E se anche una parte di loro riuscisse nell’operazione, non prevarrebbe la sirena dell’altra parte? Non vedo, né auspico, un Pol Pot che possa farsene carico.
E poi il cambiamento dovrebbe essere, appunto, universale, posto che la malapianta sopprime quella buona. Non è concepibile rivoluzionare radicalmente i modelli di consumo in un solo paese, salvo uscire dalla democrazia; e nemmeno questo funzionerebbe, visto come sono andati a finire i regimi comunisti.
Anni fa, Giorgio Ruffolo rappresentava una società economicamente in crescita come una colonna in marcia, dove quelli che stanno in coda si aspettano che prima o poi potranno raggiungere la posizione che oggi occupano quelli che sono in testa, i quali nel frattempo saranno andati a loro volta avanti. Un’economia stazionaria è invece come una colonna ferma dove tocca pestare i piedi sul posto o per andare avanti spintonare altri indietro. In questo contesto operazioni di redistribuzione delle risorse avrebbero effetti dirompenti, non sostenibili da regimi democratici. In definitiva, oggi la crescita è collante della società e precondizione per una qualche equità distributiva.

Questo vale tanto più se da una singola collettività si passa a considerare l’universo, dove i divari di benessere – nei paesi e fra i paesi – sono un multiplo di quelli che lamentiamo da noi. Come gestire (non militarmente) la “decrescita globale”? Mettendo un tappo a chi sta indietro o livellando il benessere di tutti (dove il rapporto fra i benestanti e quelli che se la passano male è all’incirca 1 a 5)? Davvero siamo pronti, noi privilegiati, ad abbracciare fino in fondo il messaggio messianico?
Suggestiva, dunque, l’idea dei grillini, e nobile. Ma utopica, almeno nella forma che viene comunicata. Questo non significa che dobbiamo restare dove siamo e lo stesso movimento fornisce utili “dritte”, almeno per iniziare a lavorare in casa nostra. Di fondo, una maggiore sobrietà, a cominciare da quella personale. In definitiva la veemente e sacrosanta battaglia contro i costi della politica va, credo, declinata anche nei termini più generali di condanna di ogni forma di ostentazione, da qualunque parte venga, inclusa dunque l’ostentazione (la volgarità) e la vacuità degli eccessi del consumismo. Sotto questo profilo, non si può non coglierne il contenuto educativo e augurarsi che sia efficace. Non so se e quanti elettori 5 Stelle siano consapevoli che tutto ciò vale anche per loro – speriamo di sì. Nella stessa direzione va l’attenzione per l’ambiente, la green economy e il risparmio energetico, i consumi pubblici verso quelli privati. Non so in che misura e in che tempi, ma questo frastuono può servire a sensibilizzare tutti noi. Non a convertirci alla logica della “decrescita”.

*Mario Sebastiani: E’ professore ordinario di Economia politica nella Facoltà di economia dell’Università di Roma ‘Tor Vergata’, dove è direttore del master di II livello in Antitrust e regolazione dei mercati.

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/30/la-decrescita-secondo-i-5-stelle/579077/

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L’intervista
Di Maio e la deriva complottista: non posso tappare la bocca agli altri
L’esponente 5 Stelle vicepresidente della Camera: tanti parlano, ma la linea è una
«Isis terroristi che fanno paura. Certe uscite? Noi veri fino in fondo»
Di Emanuele Buzzi

MILANO - «I gossip sui giornali rischiano di allontanare dai problemi reali».
Luigi Di Maio affronta la questione con un pizzico di polemica. Il polverone creato dalla frase di Alessandro Di Battista sul «dialogo» con i terroristi è il cardine dei contrasti politici di questi giorni. E il vicepresidente della Camera vuole chiarire: «Su Isis l’unico documento ufficiale del Movimento è la risoluzione che abbiamo presentato. Penso che sia una organizzazione terroristica che preoccupa, ma che non si può combattere con le bombe».

Cosa va fatto?
«Quello che suggeriamo è creare dei corridoi umanitari per portare via da quei luoghi le persone che sono in pericolo e togliere le armi a chi le ha, non darle a chi non le ha».

Ma Di Battista non ha esagerato?
«Io mi attengo alle posizioni ufficiali e non ho intenzione di entrare nella discussione. Quello di Di Battista era un intervento molto lungo e articolato: lo si può condividere o meno, ma non voglio alimentare ulteriori speculazioni».

Alcuni nel M5S hanno rispolverato posizioni «complottistiche».
«Si tratta - e non mi riferisco a Di Battista - di posizioni personali. Io commentando il video di Foley ho espresso le mie condoglianze. Credo che non sia il caso di discutere sulla autenticità del video, non cambia la situazione attuale: sono atti atroci e vanno condannati».

Ma certe uscite...
«Dimostrano che siamo veri fino in fondo, che non usiamo strategie di comunicazione politica per fregare i cittadini. Mi ricordo quando siamo entrati in Parlamento e qualcuno di noi ha parlato di scie chimiche: un vespaio. Poi abbiamo scoperto che alcuni nel Pd avevano presentato delle interrogazioni sullo stesso tema: in ogni forza politica c’è chi ha delle posizioni particolari, ma non si devono certo fermare i colleghi tappando loro la bocca. Bisogna solo ricordare la linea ufficiale del Movimento».

L’estate era iniziata con la strategia del dialogo: quella fase è definitivamente abbandonata?
«La strategia del dialogo esiste se c’è qualcuno che parla e qualcuno che ascolta. Sulla riforma della legge elettorale sono rimasto molto deluso dal Pd. Al tavolo Renzi delle nostre proposte ha detto: “ne possiamo parlare”. In tutta risposta sono stati bocciati i nostri emendamenti sulla riforma costituzionale, è stata votata l’immunità e non è stato dimezzato il numero dei parlamentari».

Ma sedersi al tavolo è servito? Ha portato a qualcosa?
«Sì, credo sia servito. Abbiamo dimostrato la nostra buona fede e che chi non voleva dialogare erano quelli del Pd».

Beppe Grillo ha detto che non parlerebbe più con il premier: lei si risiederebbe a discutere?
«Su questo tema non sono più disposto a sedermi. Comunque il M5S non vuole alimentare argomenti di distrazione di massa: se vogliono fare la riforma della legge elettorale la possiamo fare in poco tempo».

È uno spiraglio?
«No, non credo. Se hanno delle intenzioni serie lo dimostrino con i fatti in Parlamento. Ora le priorità sono altre».

Quali?
«Dal primo settembre in poi si dovrà discutere di temi economici».

Ci saranno possibili aperture al governo?
«Se il governo vuole tagliare i costi della politica, le spese militari e colpire il gioco d’azzardo, noi ci siamo. Puntiamo sulla detassazione per le piccole e medie imprese e sul reddito di cittadinanza. Se l’esecutivo li vota, avrà nel Movimento il suo miglior alleato in Aula».

Volete andare al voto o lo temete?
«Io dopo sei mesi di promesse mancate da parte del governo andrei al voto. Il M5s non si sottrae mai davanti alle elezioni: per noi sono una presa d’atto per verificare il gradimento del nostro operato tra i cittadini».

Alcuni analisti hanno notato una maggiore sintonia tra voi e la Lega.
«Quando ci troviamo a combattere battaglie insieme ad altre forze politiche capita spesso. Era già successo sulle tasse con Forza Italia e in altre occasioni con Sel. Se parliamo di immigrazione dobbiamo prendere atto che il problema esiste».

Perché ce l’avete con i giornalisti?
«È un rapporto incancrenito. Forse si potrà ricucire dopo una nuova legge sul conflitto di interessi e una riforma del sistema Rai». 

24 agosto 2014 | 10:15
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/14_agosto_24/di-maio-deriva-complottista-non-posso-tappare-bocca-altri-b5d33382-2b64-11e4-9f19-fba1b3d7cb6f.shtml

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