ANAIS GINORI -
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Di ANAIS GINORI
24 giugno 2015
Nel 2011 era stata aggredita in piazza Tahir. La giornalista egiziana Mona Elthahawy, cresciuta tra il Regno Unito e l'Arabia Saudita, quattro anni fa era tornata al Cairo per seguire la rivoluzione nel suo Paese, di cui ha raccontato gli eventi sul suo popolare profilo Twitter.
Non ha censurato nulla, neppure la sua aggressione da parte di un gruppo di agenti egiziani che le hanno rotto un braccio e molestata sessualmente.
L'INDICE DELLA RUBRICA
Sulla rivoluzione mancata dell'Egitto e sulla sua delusione Elthahawy, 47 anni, ora pubblica un libro appena uscito in Francia, Foulards et Hymens, nel quale denuncia il maschilismo e la misoginia che ancora esiste nelle società arabe. Elthahawy ha portato il velo in gioventù, poi l'ha tolto, passando all'estremo opposto: si è colorata i capelli di rosso e si è fatta tatuare. Non usa la nudità, come fanno le Femen, milita per un femminismo del corpo. La sua idea che è il velo e l'imene sono i due simboli su cui vige il dominio patriarcale.
Il sottotitolo del libro è Perché il Medio Oriente deve fare la sua rivoluzione sessuale. La tesi di Elthahawy è infatti che per un cammino davvero democratico non serve solo spodestare un dittatore, com'è accaduto con Hosni Mubarak. "Bisogna cacciare i Mubarak nelle strade, i Mubarak nelle camere da letto, i Mubarak nelle teste". Secondo la femminista egiziana, che dal 2011 ha ottenuto anche la nazionalità americana, le società arabe soffrono di una "miscela tossica tra cultura e religione". Nel suo libro Elthahawy racconta la sua esperienza e lancia un appello: "Dico a tutte le ragazze del Medio Oriente e dell'Africa del Nord: siate ribelli, non abbiate pudore, disobbedite, e ricordatevi che meritate di essere libere".
Twitter: @anaisginori
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24 giugno 2015
Da - http://www.repubblica.it/rubriche/parla-con-lei/2015/06/24/news/_alle_donne_arabe_dico_disobbedite_-117610521/?ref=HREC1-39
Arlecchino:
"L'Italia non investe sul futuro": la bocciatura di Attali
L'economista: "La classe politica oggi pensa in piccolo, non ha visione e non prende decisioni coraggiose". Nostro Paese in fondo alla classifica dell'indice dell'economia positiva
Di ANAIS GINORI
14 settembre 2016
LE HAVRE - L'Italia finisce in fondo alla classifica per "l'economia positiva" della fondazione Positive Planet. "Quando si tratta di investire sul futuro, il vostro paese non è tra i migliori" osserva Jacques Attali, presidente della fondazione, presentando il nuovo rapporto in occasione del Positive Economy Forum che si svolge a Le Havre fino a sabato, con 150 relatori e più di 10mila partecipanti. "L'economia positiva è un sistema inclusivo e altruista, che pensa alle generazioni future" spiega l'intellettuale francese, seduto in un bar della città normanna.
"In tempi di crisi, è importante capire che le soluzioni non sono a breve ma a medio, lungo termine. Purtroppo - prosegue Attali - la classe politica oggi pensa in piccolo, non ha visione e non riesce a prendere decisioni coraggiose". Con alcune eccezioni, spiega l'intellettuale. Come Angela Merkel che apre le porte agli immigrati: "Anche se paga un prezzo politico, ha salvato il suo paese che ha una pessima natalità e aveva bisogno dell'immigrazione".
L'indice dell'economia positiva non misura la felicità ma quasi, tiene conto di quarantina di dati molto diversi tra di loro, come debito pubblico, investimenti per l'istruzione, occupazione giovanile, inquinamento, parità in politica, sviluppo energie rinnovabili, corruzione, banda larga, libertà di stampa. La classifica della fondazione presieduta da Attali è fatta sui 34 paesi dell'Ocse. Quest'anno, senza sorpresa, sono ancora Norvegia, Svezia e Olanda ad occupare il podio.
La Germania è al decimo posto e la Francia è stabile nelle diciottesima posizione, mentre l'Italia perde una posizione, da ventinovesima a trentesima, dopo averne già perso tre l'anno scorso. "Vi penalizza il forte debito pubblico, la corruzione, la scarsa demografia, tutti elementi che non permettono di impostare bene il futuro" commenta Attali che pure saluta il "coraggio" di Matteo Renzi, in particolare sull'immigrazione. Il Positive Forum ha anche un'edizione italiana che si svolgerà a marzo a San Patrignano.
Dall'Islam agli scenari macroeconomici, dalla crisi migratoria alle prossime scadenze politiche internazionali, il forum di Le Havre sarà un laboratorio di idee in cui discutere al più alto livello per "cercare soluzioni, uscendo dalla gestione di emergenza" continua Attali. Secondo l'intellettuale - economista, prolifico autore, nonché direttore d'orchestra - nel forum sono riunite persone che "ogni giorno creano un nuovo modello di società, meno individualista e più altruista, anche se non si vedono, nessuno ne parla". "Un po' come avveniva durante il Medio Evo quando tra Italia e Fiandre i mercanti hanno fatto esplodere la società feudale".
In conclusione, Attali presenterà un programma dettagliato di riforme che dovrebbe alimentare il dibattito in vista dell'elezione presidenziale in Francia. A sette mesi dal voto, l'intellettuale ha lanciato un movimento e un sito partecipativo "France 2022", in cui immaginare misure urgenti per garantire un avvenire al paese. Un movimento politico? "Vogliamo proporre un modo di fare politica altrimenti, coinvolgendo davvero la società civile" risponde Attali che vuole sottoporre il programma ai prossimi candidati all'Eliseo. Da François Hollande a Nicolas Sarkozy, fino al giovane Emmanuel Macron (con il quale ha lavorato in passato) nessuno per ora lo convince. "Non dobbiamo scegliere le persone, ma i programmi" ribadisce. E se fosse lui, il prossimo candidato all'Eliseo? "Non lo escludo - risponde - ma per adesso è prematuro parlarne".
© Riproduzione riservata 14 settembre 2016
Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/09/14/news/_l_italia_non_investe_sul_futuro_la_bocciatura_di_attali-147750396/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_14-09-2016
Arlecchino:
Anaïs Ginori
• Roma 29 gennaio 1975. Giornalista. Corrispondente da Parigi di Repubblica.
• Di madre francese, famiglia materna piena di giornalisti (il nonno era corrispondente da Roma per Le Monde) è «stata folgorata presto da questa professione»: arrivò a Repubblica nel 1996 occupandosi di economia, dopo aver fatto stage alla France Press e a Le Monde e collaborato con la Rai ed Euronews. Assunta nel marzo 1999 alla redazione di Firenze, dal giugno 2000 scrive di esteri.
• Ha studiato Science politiche alla Sapienza.
• Nel 2007 pubblicò Non calpestate le farfalle (Sperling & Kupfer), memoriale la cui narrazione le era stata affidata dal cambogiano Aki Ra. «Il racconto è una pedagogia dell’orrore. Aki Ra, orfano, è cresciuto con i khmer rossi, ha visto il suo Paese trasformarsi in un’immensa comune agricola pullulante di campi di rieducazione, è stato indottrinato, ha ricevuto bambino il primo kalashnikov» (Marco Del Corona). Poi Per Fandango, nel 2010, Pensare l’impossibile - Donne che non si arrendono e nel 2012 Falsi amici. Italia-Francia, relazioni pericolose. «La falsa amicizia tra questi due popoli nasconde una relazione amorosa».
• Vive a Parigi.
• Sposata con l’inviato del Corriere della Sera Marco Imarisio. Due figli, Teo e Ruben.
Giorgio Dell’Arti
Catalogo dei viventi 2016 (in preparazione) scheda aggiornata al 11 marzo 2014 da Alice Giordano
Da - http://www.cinquantamila.it/storyTellerThread.php?threadId=GINORI+Ana%C3%AFs
Arlecchino:
UE, la Francia pronta a non rispettare il patto di stabilità Ue.
Il deficit dovrebbe scendere sotto al 3%, ma tutto fa presumere che questa ipotesi non si concretizzerà. A maggior ragione se alle elezioni presidenziali di maggio vincerà - come qualcuno prevede - la destra. Sarkozy: "Priorità sostenere la crescita"
Dalla nostra corrispondente ANAIS GINORI
28 settembre 2016
PARIGI - Anche in Francia occhi puntati sulla Loi des Finances del governo. Il ministro delle Finanze Michel Sapin ha presentato la legge di bilancio per il 2017. La gauche mantiene (almeno a parole) la promessa fatta alla Commissione europea: per la prima volta da quando esiste il Patto di Stabilità, il deficit dovrebbe scendere sotto al 3%, esattamente al 2,7% del Pil, rispetto al 3,3% del 2016.
Cinque anni fa François Hollande aveva promesso di ridurre drasticamente il deficit, allora al 4,8% e che finora non è mai stato allineato con i parametri di Bruxelles. Ma ci sono molti dubbi sulla possibilità reale che avvenga. L'organo di controllo sui conti pubblici - Haut Conseil des Finances publiques - ha già bocciato la credibilità della legge di bilancio, giudicando “improbabile" la previsione del 2,7% di deficit sul Pil, anche perché la sinistra, con la campagna elettorale per le presidenziali di maggio che si avvicina, ha varato sgravi fiscali per circa 5 milioni di contribuenti (pari a 1 miliardo di euro di mancato gettito) e nuove spese (pari a 7,4 miliardi di euro). A suscitare perplessità è anche la previsione di crescita (1,5%) inserita nella Loi des Finances, giudicata troppo ottimista da molti esperti. Il Fondo monetario ha già abbassato a 1,2% l'aumento del Pil francese per l'anno prossimo.
"Abbiamo presentato un bilancio serio e coerente" si è difeso il ministro Sapin. La spesa pubblica francese rimane tra le più alte d'Europa, pari al 54,6%, ma Hollande può rivendicare di aver tagliato due punti rispetto all'inizio del suo mandato, con risparmi in particolare sul sistema sanitario e gli enti locali. "In tutto abbiamo realizzato 46 miliardi di risparmi tra il 2012 e il 2017" ha precisato Sapin.
D'altro canto si sa che se la destra vincerà le prossime elezioni a maggio, come sembra probabile almeno stando agli attuali sondaggi, la Francia non cambierà la Loi des Finances e non rispetterà il famoso parametro del 3%. Lo ha detto chiaramente Nicolas Sarkozy ("Ora la priorità è sostenere la crescita") e lo dicono tutti gli altri candidati alle primarie a destra, compreso Alain Juppé (che ipotizza però di sforare solo nel 2017 per tornare sotto al 3% l'anno dopo). Mentre il governo italiano è costretto in questi giorni a trattare la flessibilità e combattere per uno zero virgola in più sul deficit, in Francia è è quasi certo che nel 2017 non saranno rispettati i parametri di Bruxelles.
© Riproduzione riservata 28 settembre 2016
Da - www.repubblica.it/economia/2016/09/28/news/francia_nel_2017_probabile_il_non_rispetto_del_patto_di_stabilita_-148685509/?ref=HREC1-7
Arlecchino:
Enrico Letta: "Il nazionalismo di Kaczynski è una trappola. L'Europa rafforza gli Stati"
L’ex premier, ora guida dell’Institute Delors, dopo l’intervista a Repubblica del leader polacco
Dal nostro corrispondente ANAIS GINORI
10 ottobre 2016
PARIGI. "Le parole di Kaczynski rappresentano una trappola mortale alla quale l'Europa deve sottrarsi". Enrico Letta ha guidato pochi giorni fa i festeggiamenti per il ventesimo anniversario dell'Institute Jacques Delors, il think tank di cui è diventato presidente. Da europeista convinto, Letta commenta con preoccupazione l'intervista a Repubblica del leader polacco che sogna una "contro-rivoluzione" nell'Ue. "Il suo discorso può avere una grande forza attrattiva su opinioni pubbliche spaventate e disorientate", osserva l'ex premier che si è dimesso dal parlamento e vive ormai da più di un anno a Parigi, chiamato a guidare l'Ecole d'affaires Internationales della prestigiosa Sciences Po.
La Polonia vuole cambiare i Trattati, varare riforme che diminuiscano i poteri di Bruxelles. Come dovrebbe rispondere l'Europa?
"Quello di Kaczynski è un tentativo disonesto di trasformare l'europeismo in una presunta volontà di Bruxelles di imporre il Super-Stato europeo. È una mistificazione, una leggenda. L'Europa non è gli Stati Uniti d'America, che avevano identità statuali e nazionali deboli quando si sono federati. La nostra riposta è nella definizione lanciata da Delors: la Federazione degli Stati Nazione".
Eppure, dal Brexit alla Polonia e all'Ungheria, c'è un movimento verso il ritorno alle piccole patrie.
"È evidente che non si può prescindere dagli Stati. Ma un'altra cosa dev'essere chiara: l'Europa rende più forti gli Stati. Oggi vediamo che l'Ue è divisa tra piccoli paesi e grandi paesi che non hanno ancora capito di essere condannati a diventare piccoli senza l'Ue. Questo vale anche per la Germania, la Francia e l'Italia. Avremo un futuro solo se rimarremo uniti".
La crisi dei rifugiati ha invece dimostrato una nuova spaccatura con l'Est?
"Spiace notare che c'è stata una debolezza nella risposta dell'Europa nei confronti di questi paesi contrari al piano di redistribuzione dei rifugiati. È bene ricordare che nella solidarietà tutto si tiene. Se alcuni paesi prendono fondi strutturali o vengono aiutati in settori come quello industriale e agricolo, non possono poi dire che non danno la loro solidarietà quando l'Europa affronta una grave crisi migratoria. È un messaggio anche ad alcuni sostenitori italiani di Orbàn e Kaczynski".
Ovvero?
"Se salta l'idea di redistribuire i rifugiati tra tutti i 27 paesi europei, come chiedono Kaczynski e Orbàn, saremo i primi a subirne le conseguenze. È come inneggiare ai leghisti ticinesi che poi fanno un referendum per vietare i lavoratori italiani transfrontalieri. Il nazionalismo è un'arma a doppio taglio anche per chi la usa".
E dunque Bruxelles dovrebbe minacciare sanzioni?
"Certo. Ad esempio se il referendum ungherese fosse stato approvato, o se il governo di Budapest vorrà continuare su quella linea, è legittimo per l'Ue utilizzare tutti gli strumenti possibili per far rispettare le regole. Dev'essere chiaro che non esiste l'Europa à la carte, in cui si prende senza dare niente".
Cos'hanno in comune Kaczynski e Orbàn?
"Sono il simbolo di un nazionalismo classico anche se rivisitato sotto certi aspetti. Tra i due leader c'è però una differenza sostanziale. L'Ungheria è un paese piccolo in cui una parte della popolazione sogna di tornare alla grandeur del passato, quando il paese era uno dei più grandi imperi e non solo una nazione di nove milioni di abitanti. Orbàn cavalca una depressione collettiva per un ruolo ormai perduto. Abbiamo visto comunque che il voto di Budapest nel referendum è stato fortemente contrario al governo, segnale che esiste un'opposizione interna".
E il leader polacco rappresenta lo stesso tipo di nazionalismo?
"La Polonia è un grande paese e sotto la leadership di Donald Tusk è stata anche politicamente centrale in Europa. Mi pare che il discorso di Kaczynski abbia risvolti sostanzialmente domestici. Alla fine sono parole d'ordine prive di qualsiasi concreta attuazione. Non dico che non siano pericolose, perché attizzano i nazionalismi. L'Europa viene usata come una clava a fini politici interni. Anche nell'intervista a Repubblica il leader polacco critica Bruxelles per colpire due obiettivi: Tusk e Lech Walesa. Su Tusk, Kaczynski vuole contestare il rinnovo del mandato alla guida del Consiglio europeo. E proprio per questo gli altri leader europei dovrebbero dire subito che lo appoggeranno".
Dov'è stato l'errore? L'allargamento dell'Ue non è stato sufficientemente preparato?
"L'allargamento era necessario. Il vero errore semmai è non aver fatto le riforme di governance prima dell'ingresso dei nuovi paesi, come previsto dal Trattato di Lisbona. Una Commissione con 27 commissari, uno per ogni paese, sarà sempre debole. Oggi alcuni paesi hanno un potere frenante superiore a quello che gli spetterebbe. Però attenzione: Kaczynski e Orbàn fanno la voce grossa perché gli altri leader non riescono a trovare un minimo comune denominatore per avanzare su riforme concrete. Io non sono per dire che l'Europa va bene così. Ci sono molte cose da migliorare e da cambiare. Quel che temo sono invece le divisioni e lo stallo. È così che indirettamente rafforziamo i nazionalisti".
© Riproduzione riservata
10 ottobre 2016
Da - http://www.repubblica.it/esteri/2016/10/10/news/_il_nazionalismo_e_una_trappola_l_europa_rafforza_anche_gli_stati_-149440488/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_10-10-2016
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