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Autore Discussione: Renata Polverini  (Letto 3011 volte)
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« inserito:: Ottobre 21, 2009, 10:04:42 pm »

La crisi ci insegni a tutelare famiglie e lavoro.

E al centro, ci sia la comunità

Tremonti e dintorni, la nuova anima del Pdl

di Renata Polverini*


La dichiarazione del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, a favore del lavoro a tempo indeterminato come “valore” e presupposto  per costruire la vita propria e la stabilità della propria famiglia, ma anche altre iniziative dal profilo non soltanto simbolico, come la Banca del Mezzogiorno, e le prese di posizione molto determinate in favore della sanità pubblica e della tenuta dei conti della previdenza, hanno probabilmente spiazzato soltanto quanti seguono con superficialità, o pregiudizio, il percorso politico che sta maturando all’interno del centrodestra italiano.

Riordinando i tasselli di questo puzzle, esce un quadro complessivo nel quale si discute e si dibatte dei nuovi diritti, di immigrazione, di allargamento delle tutele, di exit strategy dalla crisi economica e finanziaria che ha la sua ragione d’essere nel mercatismo selvaggio più volte posto sotto accusa dallo stesso Tremonti, delle radici dell’Italia di oggi e di domani.

Al di là di contrasti e di frizioni contingenti, legati alla dialettica del quotidiano, ben più significativo appare il tentativo di dare un’anima e un corpo al progetto del Popolo della libertà. Per dirla con Alberoni, alla fase della scintilla e dell’innamoramento deve seguire quella del consolidamento nei valori e nelle idee per il presente e per il futuro.

L’oggi è caratterizzato dai segnali discordanti che provengono dal mondo dell’economia e dalle ricadute sull’occupazione e, di riflesso, sulla tenuta della società. Chi segue con attenzione l’evoluzione di questa straordinaria e difficile fase economica sa bene che rischiamo di tornare allo stesso punto da cui siamo partiti nell’estate del 2007, con in più l’aggravante di centinaia di migliaia di posti di lavoro in meno ed una miriade di piccole imprese fallite.

Nei mesi scorsi, in molti hanno sostenuto che la crisi poteva rappresentare persino un’opportunità purché si riscrivessero le regole della finanza; si riuscisse ad indirizzare l’economia verso il benessere della Comunità; si restituisce centralità al lavoro. Fra tanti economisti che hanno perorato ciò, ci piace però ricordare una persona, Benedetto XVI con la sua enciclica Caritas in veritate, che economista non è, ma che ha saputo dal proprio particolare osservatorio formulare con estrema lucidità il percorso da seguire per una exit strategy.

Incapaci di definire regole più severe, gli Stati assistono però a un ripresa dell’attività finanziaria che vede le banche d’affari, magari con uno status diverso, tornare a macinare incredibili utili grazie alla speculazione sui mercati, mentre alle imprese viene negato il credito necessario per sopravvivere e cogliere il vento dell’auspicata ripresa. I derivati, che tanta parte hanno avuto nello scatenarsi della crisi economica, rappresentano ancora oggi un ammontare pari a nove volte il prodotto interno lordo; la decisione di un fondo sovrano – legittima sotto il profilo strettamente finanziario, decisamente meno per quanto attiene ai risvolti sociali – di vendere il proprio pacchetto azionario può provocare il crollo di una banca e con esso la perdita di migliaia di posti di lavoro; l’Unione europea discute una bozza di direttiva sui mutui immobiliari che avrà il solo effetto di aumentare i costi e le difficoltà per il cittadino di comprarsi casa, senza peraltro ridurre i rischi per il sistema bancario.

Occorre quindi chiedersi, come fa con ironia Susanna Tamaro, se c’è un fuoco che brucia là dentro o, se piuttosto, è soltanto una lampada abbronzante, metafora dell’effimero. In altre parole, la sfida che si ha davanti è quella di riuscire a colmare la distanza tra le intenzioni e la realtà. Ciò vale, ad esempio, per la questione della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa e alla divisione degli utili, altro tema sollevato dallo stesso Tremonti, dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, da parlamentari di centrodestra, Maurizio Castro, Barbara Saltamartini e molti altri, e di centrosinistra, in particolare Tiziano Treu e Pietro Ichino.

Vale pure per la questione dalla quale siamo partiti, la valorizzazione del posto di lavoro stabile. Da Tremonti, ci attendiamo, nei prossimi mesi, una risposta convincente e, soprattutto, coerente, ma, fin da ora, è certo che l’importanza di questa esternazione non è sfuggita a osservatori attenti e qualificati come Luciano Gallino o Giuseppe Berta, i quali si sono discostati da una lettura semplicistica che da sinistra e da destra è stata fatta delle affermazioni del ministro.

Sarebbe infatti troppo facile e riduttivo fissare il punto di coerenza nella cancellazione del lavoro a tempo determinato che preesisteva al famigerato “pacchetto Treu” del 1997 e si è consolidato nel 2003 con i tentativi di allargare – regolarizzandolo, però, e questo aspetto della legge Biagi non va dimenticato – i confini del lavoro a progetto. In realtà, se comprendiamo bene il senso delle parole – ma anche il percorso compiuto in questi anni – di Giulio Tremonti, si tratta di riscrivere il ruolo stesso dell’impresa.

L’impresa crea valore in quanto diventa motore del progresso – non solo della “crescita” – dell’economia di un territorio o di un settore; l’esempio potrebbe essere quello della Banca Nazionale del Lavoro che, sino alla fine degli anni Ottanta, poneva bene in evidenza nel suo “logo” il numero dei lavoratori (a posto fisso) occupati, piuttosto che i dati della trimestrale di cassa. Si spiegano così anche le note critiche che lo stesso Tremonti formula nei confronti non del sistema bancario nella sua interezza, ma verso quegli Istituti di credito che hanno perso il contatto con il territorio e con la realtà imprenditoriale e che, invece di finanziare e sostenere la crescita economica, che è poi anche sociale, creano profitti per una ristretta cerchia di azionisti.

Dobbiamo cogliere la terribile lezione di questa crisi per rimettere al centro dell’economia e delle scelte politiche le categorie più deboli, l’interesse della comunità: la famiglia e il lavoro innanzitutto.*Segretario generale Ugl

21 ottobre 2009
da farefuturofondazione.it  (www.ffwebmagazine.it)
« Ultima modifica: Gennaio 15, 2011, 04:51:59 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 31, 2009, 05:05:51 pm »

Polverini: «Io di sinistra? Direi proprio di no...»

di Susanna Turco

«Ammazza che bella faccia si sono trovati, ma chi è?». La candidata (per ora) unica alla Regione Lazio, si auto-annuncia così, passando davanti al proprio manifesto. Renata Polverini, 47 anni, romana di San Saba, prima donna alla guida di un sindacato (l’Ugl) che ha fatto uscire dall’invisibilità, appena calata in politica col Pdl, è la gran sacerdotessa delle buone relazioni.

È finiana, ma le piace D’Alema, è amica di Veltroni, ma ha buoni rapporti con Berlusconi, sta nei salotti ma parla dei pendolari. È per il “socialismo buono”, ma anche per la sicurezza e la famiglia come tradizione comanda. È nata a destra, è candidata dal centrodestra, ma è impossibile che si avventuri in affermazioni divisive. Quando intuisce il pericolo sorride, risponde generica e chiude con una battuta. L’abilità sta nel fatto che quel che resta in mente è il sorriso, e la battuta.

È, se possibile, una insospettabile neoincarnazione del Forlani che ai giornalisti spiegava di mettersi l’anima in pace: «Sia chiaro: domande incisive, risposte elusive». Elusiva, ma senza parerlo. Una sapiente democristiana in giacca rossa. Come quella che, per la disperazione del Pd che ancora non le ha trovato un avversario, ha indossato nel suo primo sei per tre.

Giura che l’indumento è antico («ha anche i pelucchi in rilievo») e però precisa: «Il rosso mi piace». Post ideologica, e furbissima. Polverini, lei è una donna di destra che piace a sinistra. Non è che alla fine piacerà più a sinistra che a destra e resterà col cerino in mano? «Non credo proprio, altrimenti il Pdl non mi avrebbe chiesto di candidarmi». Risulta, in realtà, che l’abbiano scelta perché il suo nome era l’unico vincente nei sondaggi.

«Non è stato solo questo. Il Lazio, dopo le ultime gestioni, aveva bisogno di una speranza di novità». Quando la situazione si fa tragica, chiamano le donne. «Penso che questa sia una convinzione soprattutto delle donne». Chi vorrebbe come avversario? «Mi auguro solo una campagna elettorale diversa, nei modi e nei toni. Non guardo ai nomi». Lei, del resto, è amica di chiunque. Avrà qualche nemico, si spera. «Io no. Ho buoni rapporti con tutti. Mi baso su un comportamento educato». Si dice che nel centrodestra temano il suo trasversalismo.

«Chiacchiere. Non mi teme nessuno. Il Pdl mi sosterrà». Lo farà anche Luisa Todini, che pure a correre al suo posto teneva molto? «Certo, già lo fa. Questa vicenda poteva mettere a rischio la nostra amicizia, ma non è successo». Mancherebbe. Qualcuno, almeno, che non le piace? «Io non sono mai alla ricerca di qualcosa che non va. Mi concentro sulla parte positiva. Quando ero in collegio dalle suore, eravamo così tante che conveniva trovare i punti di contatto». Parliamo di governatori. Punti di contatto con Nichi Vendola? «È un politico dalle idee precise, vere. Rappresenta una parte, ma lo fa fino in fondo».

Roberto Formigoni? «Quel che ha fatto per la Lombardia è sotto gli occhi di tutti. E infatti non hanno rinunciato a lui». A Galan, invece, hanno rinunciato. «Già, ma non lo conosco». Scommetto, per par condicio, che nemmeno sulla Bresso saprà dare giudizi. «Infatti». Lei è finiana, ma si dice abbia un feeling anche con Berlusconi. È vero? «Abbiamo buoni rapporti. Prima della mia conferenza stampa di presentazione mi ha telefonato. È stato molto affettuoso». Esamino di ortodossia finiana su temi etici.

Cosa pensa del biotestamento? «Penso che la vita non sia nella nostra disponibilità. E quando è toccato a me decidere, ho fatto tutto il possibile perché una persona a me molto cara, il marito di mia madre, restasse in vita». Quindi? La legge ora in discussione in Parlamento? «Beh, bisogna cercare una convergenza. Se non riusciamo a trovarla nemmeno sulla vita e la morte... ». Le segnalo che l’impresa si sta rivelando ardua.

Procreazione assistita: pensa ancora che la legge 40 non abbia dei limiti? «All’epoca del referendum per modificare quella legge votai no. Lo confermo». Ru 486. È giusto commercializzare la pillola del giorno dopo? «Va somministrata in ospedale. Non è un farmaco qualsiasi, provoca un aborto, è giusto che la donna sia assistita». La Carfagna dice “basta col potere ai maschi il dialogo può ripartire dalle donne”. È d’accordo? «Speriamo che si faccia». Le piace la Carfagna? «Ha portato a casa un sacco di provvedimenti». A me viene in mente solo lo stalking.

E la Bindi? «È stata un ottimo ministro per la famiglia». Passiamo agli uomini. Maurizio Gasparri? «Sta svolgendo il ruolo difficile che gli è stato assegnato... Mi pare che al Senato il Pdl sia molto coeso». Fabrizio Cicchitto? «Ha qualche difficoltà in più alla Camera ma non dipende da lui». Dipende dai finiani. La Russa? «La Russa... è La Russa». Innegabile. Bondi? «Un ministero difficile il suo... ». Non dia risposte alla Bondi prego. «Ma i Beni Culturali, in Italia, sono forse il ministero più importante che c’è». Mi arrendo. Parliamo di alleanze. Lei è solita dire che il pane si fa con la farina che si ha. Sta cercando più farina possibile? «Esatto». L’alleanza con l’Udc pare ormai fatta. Quanto sono importanti quei voti? «Non tanto i voti, quanto le idee e i valori». Anche quelli di Cuffaro? «Non credo di conoscerlo». Polverini, almeno dica qualcosa di destra. «Credo nel rispetto per le istituzioni». Vada a spiegarlo a Berlusconi. «Mi pare che col capo dello Stato abbia chiarito immediatamente». Come no. C’è voluto appena qualche mese.

31 dicembre 2009
da unita.it
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