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Autore Discussione: CASINI...  (Letto 31108 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Gennaio 02, 2010, 11:53:08 am »

Casini: «Subito un patto bipartisan per l'occupazione e le famiglie»

«Rovesciare le priorità partendo dall'emergenza economica. Servono nuovi ammortizzatori sociali, sono l'antidoto all'odio»


 di Carlo Fusi

ROMA (1 gennaio) - Mettiamola così: anche Pier Ferdinando Casini ha un suo ”messaggio di fine anno”. Eccolo. «Bisogna rovesciare le priorità del dibattito politico. Le riforme istituzionali vanno bene ma il punto centrale è la politica sociale. Serve un patto tra maggioranza e opposizioni per rivedere, allargandoli, gli ammortizzatori sociali».

Già, ma intanto si chiude un 2009 che passerà alla storia come l’anno dell’odio.
«Succede quando la politica evita i problemi veri, che sono quelli dell’occupazione e delle famiglie, e si avvita su se’ stessa rifugiandosi nell’autoreferenzialità. L’altra faccia della medaglia dell’odio è l’incapacità di risolvere i problemi. In più ci sono settori precisi che speculano sulle campagne di aggressività pensando di andare così all’incasso elettorale. Quando la gente è insoddisfatta, quando il clima sociale è pesante, è chiaro che chi urla e strepita ha maggiore visibilità».

E Antonio Di Pietro è il capofila di questo partito dell’aggressività?
«Guardi, diciamoci la verità: basta leggere alcuni giornali militanti nel campo della destra e sinistra per dire chi è senza peccato scagli la prima pietra. Di Pietro è il prodotto di un’idea patologica della politica che affonda nel giustizialismo, nella demagogia, nel populismo. Tuttavia sostenere che questo tipo atteggiamento è solo di Di Pietro, che ne detenga il monopolio... Beh insomma sento certi esponenti della maggioranza che usano le parole come mazze da baseball. Anche gente con responsabilità istituzionali che dunque dovrebbe avere più senso della misura».

Si riferisce al discorso di Cicchitto alla Camera? O ad altri?
«Non sta a me dare delle pagelle. Però dico una cosa: questo continuo evocare il dialogo dicendo a Bersani che però si deve liberare di Di Pietro, di Franceschini e quant’altro... Non che non ci sia del vero in questo, ma dirlo e ripeterlo così ossessivamente dà l’idea che il dialogo che si vuole perseguire è fatto principalmente per dividere gli altri. Quanto a Cicchitto, ha usato toni sbagliati, ma io lo conosco e so che crede al dialogo».

E lei al dialogo ci crede o no?
«Se ci si crede bisogna cominciare anche a capire le difficoltà degli altri. Capiamo che all’interno della maggioranza ci sono dei falchi che preferirebbero che tutto rimanesse così; e capiamo anche che all’interno del centro-sinistra ci sono due linee. Una di riformismo blairiano e un’altra di resistenza, ostile al cambiamento. E’ chiaro che bisogna aiutare i primi e non i secondi».

Ma quali sono gli antidoti alla stagione dell’odio? Da dove bisogna cominciare; qual è la cosa da fare subito?
«Occuparsi del lavoro e delle famiglie. Ci vuole un patto tra maggioranza e opposizione. E questo significa fare assieme una grande riforma degli ammortizzatori sociali».

”Fare assieme” cosa significa?
«Significa che il tema degli ammortizzatori sociali è fondamentale. Come pure quello di un salario minimo garantito per chi non ha lavoro. Sono tematiche su cui bisogna lasciar da parte gli interessi elettorali e pensare ai bisogni della gente che perde il lavoro. Occupazione e famiglia sono fronti sui quali serve un impegno comune. Poi le ricette possono essere diverse, ma è fondamentale che l’agenda politica li metta al primo punto. Sono convinto che in queste ore dobbiamo recuperare la centralità della questione sociale. Che lo scudo fiscale abbia rimpatriato molti capitali è positivo. Ma l’emergenza economica resta. Una parte di ceto medio sta scivolando nella povertà, sul quoziente familiare non è stato fatto nulla. E la disoccupazione non riguarda solo più i lavoratori dipendenti ma tocca anche il cosiddetto popolo delle partite Iva che non ce la fa più».

Le piace il ”nuovo” Berlusconi, più dialogante? La convince?
«Certamente Berlusconi sarà rimasto toccato dall’aggressione, inqualificabile, di Milano. Mi auguro che assuma una linea diversa da quella praticata nel primo anno e mezzo di legislatura. Dopo un inizio improntato a disponibilità, è via via scivolato negli attacchi al capo dello Stato e alla Corte Costituzionale, mentre la fazione dei militanti si scaglia contro il presidente della Camera. E’ stato un crescendo di accuse che, peraltro, non lo aiutano. Quando ci siamo visti l’ultima volta, un mese e mezzo fa a palazzo Chigi, glielo dissi chiaramente: Silvio, a te questa linea non ti conviene. Chi guida un Paese ha bisogno di infondere serenità».

Berlusconi ”toccato” dunque al punto da mettere definitivamente in gabbia i falchi?
«Mi auguro di sì. Tuttavia i buoni propositi non bastano. Alle parole devono seguire i fatti. Li aspettiamo».

E del Partito dell’amore che dice? Per lei sarebbe più attraente del Pdl?
«Considerato che ho qualche anno, mi fa tornare in mente Cicciolina. Il partito dell’amore è una sciocchezza».

Ci crede al ”doppio binario”: lavoro bipartisan sulle modifiche costituzionali e poi il centro-destra si fa da solo la riforma della giustizia?
«Quel che credo è che è necessario realizzare un clima positivo. Bisogna essere realisti: è molto difficile pensare che i due problemi possano essere separati. Un clima da grande riforma non è un fatto tecnico, è un fatto politico. Non si può chiedere all’opposizione di fare la riforma della giustizia all’unanimità, e anche la maggioranza riconosca che se c’è almeno da un pezzo dell’opposizione la disponibilità a concorrere alla soluzione, ci deve essere un atteggiamento altrettanto positivo».

E in pratica cosa vuol dire?
«Semplice. Che tatticamente il centro-destra tenga in campo il processo breve si può anche capire. A patto, appunto, che sia solo un fatto tattico. In altri termini o cambiano la norma stabilendo che non viene applicata ai processi in corso oppure è chiaro che diventa inaccettabile».

Le piace l’idea di riproporre l’immunità parlamentare sul modello Maccanico?
«C’è già l’immunità europea, non c’è bisogno di ripescare nessuno».

Scusi, ma se davvero il treno delle riforme dovesse partire, non temete di rimanere schiacciati nella tenaglia dell’accordo tra Pdl e Pd e risultare irrilevanti?
«In teoria il rischio c’è. In pratica, stiamo parlando del nulla. Perderemmo in credibilità se diventassimo un ostacolo per le riforme. Il partito della Nazione è una forza di ricostruzione: anche se perdiamo un po’ in termini di potere di interdizione non possiamo che investire su un clima da grandi riforme. Noi giochiamo una partita diversa, noi stiamo facendo un investimento verso il futuro. Se puntassimo all’incasso, sceglieremmo la comodità di un accordo elettorale con il Pdl. Invece scommettiamo sulla disgregazione dei due partiti maggiori che sono nient’altro che accozzaglie elettorali. Finora questa scommessa invece che marginalizzarci ci ha reso centrali. L’Udc è stato uno dei pochi partiti che ha concorso con atti concreti alla serenità istituzionale. Ci siamo presi la briga di presentare una proposta di legge come il legittimo impedimento finalizzata a risolvere un problema di Berlusconi. Da una forza di opposizione cos’altro si pretende?».

La accusano di essere il campione del trasformismo. La fa arrabbiare?
«Mi lascia del tutto indifferente. Il trasformismo è ciò che accade in Sicilia, con i voti presi da una parte e portati dall’altra. E’ talmente sotto gli occhi di tutti il fatto che sono uno dei pochi politici che per difendere le proprie idee ha rinunciato al potere. Sono andato da solo alle elezioni, sono stato l’unico a cantare fuori dal coro. Ho rinunciato a posti sicuri per me per il mio partito. Il problema è che chi ci chiede un’alleanza strutturale punta strumentalmente ad arruolarci sotto le sue bandiere, siano esse del Pdl o del Pd. Che è proprio l’unica cosa che non abbiamo intenzione di fare. Lo dico a uno per tutti: Roberto Formigoni. Appaltare tutto il Nord alla Lega non ci interessa».

Intanto alle regionali fate alleanze a macchia di leopardo. Prendiamo la Puglia. Cosa fate, aspettate Emiliano?
«Quel che sta accadendo in Puglia ha una valenza enorme, è di una gravità incredibile che va bel oltre il braccio di ferro tra due persone. Sembra di essere tornati al post ’68, tentando di bloccare la libera scelta di un partito facendo scendere in campo i propri militanti. E’ una cosa di violenza morale inaudita. Emiliano guida una giunta dove c’è anche l’Udc. Noi abbiamo lavorato con D’Alema per un progetto riformista che facesse emergere la centralità del Mezzogiorno. Quel che oggi in Puglia è contestato non è l’alleanza con l’Udc bensì l’idea di una sinistra moderata e moderna».

Insisto: ora che si fanno le primarie l’Udc parteciperà votando Emiliano?
«Che qualcuno lo possa fare è un conto, ma noi ufficialmente non ci stiamo. Le primarie sono come i gazebo di Berlusconi, è il populismo allo stato puro. Con Vendola non ci andiamo, se il Pd facesse quella scelta si chiuderebbe ogni possibilità di accordo».

E nel Lazio chi appoggerete?
«Prenderemo una decisione dopo la Befana. Ma una cosa è chiara: non stipuleremo alleanze bensì accordi con candidati Presidenti che dimostrino autonomia dalle loro coalizioni e libertà di giudizio».

Scusi: Zingaretti o la Polverini?
«Sono due candidati di altissima qualità. Però mi risulta che uno dei due non sia disponibile».

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« Risposta #31 inserito:: Gennaio 06, 2010, 04:22:12 pm »

Casini: «Gli attacchi del Giornale? C'è libertà di stampa. Viva Feltri»
 
                 
ROMA (5 gennaio) - «Io credo a dei principi e uno di questi, sacrosanti, è la libertà di stampa: Feltri mi attacca? Viva Feltri». Lo ha detto il leader dell'Udc Pierferdinando Casini replicando a chi gli chiedeva, durante una conferenza stampa, del titolo di oggi del Giornale: "Casini, che
banderuola".

«L'importante - ha concluso Casini - è che continuiamo ad avere una stampa che possa attaccare chiunque. Feltri pensa che io sia un pericolo per la democrazia, un trasformista, quello che pensa, mi vuole attaccare? Fa bene ad attaccarmi».

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« Risposta #32 inserito:: Gennaio 06, 2010, 04:23:36 pm »

Regionali, Casini: «In Puglia pronti a sostenere Boccia»

«Il Pd scelga tra riformismo e veti dell'ultrasinistra»

Ma Vendola non molla e insiste sulle primarie

 
ROMA (5 gennaio) - L'Udc è pronto a sostenere la candidatura del Pd Francesco Boccia. Lo stato maggiore del partito si è riunito oggi per affrontare il nodo delle alleanze in Puglia, in vista del voto delle regionali.

«Siamo pronti a sostenere Boccia ma vogliamo capire se il Pd vuole fare la stessa cosa. Basta con i balletti - ha spiegato il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini al termine della riunione del vertice del partito -. Noi in coerenza con la nostra impostazione politica diciamo che appoggeremo Boccia e che siamo pronti anche a perdere le regionali, ma nella chiarezza. Non perdiamo altro tempo - continua Casini - basta inutili esplorazioni ed evocazioni di primarie e altri diversivi: Boccia presenti subito la sua coalizione. Vendola faccia quello che vuole ma usciamo da questo gioco che ci sta impantanando e sta delegittimando la politica pugliese. Il Pd deve scegliere tra la strada dei riformismo e quella che la tiene paralizzata dai veti dell'ultrasinistra».

Casini aveva chiarito da tempo che non intende appoggiare il governatore uscente Vendola, che tuttavia per ora resta in campo e continua a chidere le primarie. Il Pd ha dato ieri mandato a Boccia di costruire un'alleanza larga sulla sua candidatura alla presidenza della regione e sulla quale ora potrebbe convergere l'Udc.

«Boccia è un moderato, che per noi può presentare immediatamente una coalizione che non rimanga imprigionata nei veti dell'ultrasinistra radicale. Le 48 ore servono ma a dare una risposta chiara e definitiva da parte del Pd», afferma l'Udc, nel comunicato finale diffuso al termine della riunione dei vertici convocata proprio per sciogliere il nodo delle regionali in Puglia. «L'Unione di centro pugliese - si legge nella nota - riunita con i vertici nazionali, ha preso atto dell'incarico esplorativo affidato dal Pd all'onorevole Boccia. Ritiene che siano finiti i tempi dell'indugio e dei tatticismi, e che il popolo pugliese meriti da parte dei partiti l'assunzione piena e precisa delle proprie responsabilità. In Puglia le elezioni provinciali hanno creato alleanze riformiste per il Mezzogiorno: l'Udc ritiene che il Pd sia chiamato a mettere alla prova la propria volontà di creare un cammino nuovo sulla strada della politica italiana. Per questo - si prosegue - basta inutili esplorazioni. Basta evocazioni di primarie. Basta con altri diversivi. Boccia è un moderato che per noi può immediatamente presentare una coalizione».

L'Idv: «In Puglia il Partito democratico dica qual è il suo candidato e lo appoggeremo. Non cerchi nell'Italia dei valori la scusante per le proprie indecisioni e incomprensioni interne». Lo ha detto il leader di Idv, Antonio Di Pietro. «L'Idv - ha aggiunto Di Pietro - appoggia Vendola se lo ricandidano, sarebbe felice di appoggiare Emiliano, appoggia Boccia: appoggia quel candidato che, in maniera democratica atttraverso le primarie oppure come scelta di responsabilità attraverso la decisione del partito, essi intendano proporre».

Marche: Pd e Udc vicini sul programma. Tra il Pd e l'Udc delle Marche ci sono «larghissime convergenze sul piano programmatico».
Lo ha detto il segretario del Pd Palmiro Ucchielli, a margine dell'incontro con il «collega» dell'Udc Antonio Pettinari, il primo tra i due vertici di partito per esplorare la possibilità dell'ingresso dei centristi nell'allenza di centrosinistra che sostiene il governatore Gian Mario Spacca.
 
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« Risposta #33 inserito:: Gennaio 08, 2010, 10:51:01 am »

Il leader Udc: "Non vogliamo essere arruolati Io lavoro per modificare l'assetto della politica"

Casini: "In Puglia il primo laboratorio ma non guiderò un'armata Brancaleone"

di FRANCESCO BEI


ROMA - "La Puglia è la cartina di tornasole". Pier Ferdinando Casini ne è convinto, quella regione "può essere davvero un laboratorio nazionale" per capire come evolve l'assetto politico. Lì l'Udc sostiene il candidato del Pd Francesco Boccia, mentre nel Lazio la scelta è caduta Renata Polverini.
Casini, si dice che abbiate fatto la vostra scelta a favore della finiana Polverini per dare una mano al presidente della Camera nel suo confronto con Berlusconi. C'è del vero?
"Dietrologie. Ci sono in campo due candidate serie, la Bonino, che ha fatto benissimo come commissario europeo, e la Polverini. Abbiamo privilegiato la Polverini per la maggiore sintonia che c'è sulle questioni sociali e perché abbiamo apprezzato l'atteggiamento anche severo che ha avuto con il governo come leader sindacale".
Il Pdl immagina che sia un primo passo per il vostro rientro nel centrodestra.
"Noi abbiamo scelto il candidato Polverini, non la coalizione. Questo non implica alcuna conseguenza né sugli schieramenti nazionali né alcun impegno su livelli amministrativi diversi, come le province o il comune di Roma".
La Bonino vi chiede: perché appoggiate la Bresso in Piemonte e non me?
"La differenza per me è chiarissima e si chiama Roberto Cota. Il Piemonte è un tassello della svendita del Nord alla Lega".
Ma lei ci si vede in futuro in uno stesso partito insieme a Gianfranco Fini?
"Mettevi d'accordo! Un giorno mi indicano come futuro leader del centrosinistra, adesso dovrei fare un partito con Fini. La verità è che io sto lavorando a modificare l'assetto della politica italiana perché questo bipolarismo non ci piace. Tutti vorrebbero intrupparci, ma finora non ci sono riusciti".

Non ha risposto alla domanda su Fini...
"Tra me e Fini c'è sempre stata sintonia, tranne quando decise di aderire al Pdl. Ma lui adesso sta conducendo la sua battaglia dentro il Pdl e, come si dice, tra moglie e marito non mettere dito: nelle diatribe tra Fini e Berlusconi io non voglio entrare".
E invece è possibile immaginarla come futuro candidato premier del centrosinistra?
"Se il centrosinistra è un'armata Brancaleone come quella messa in piedi da Prodi, per me questa possibilità non esiste né ora né mai".
Claudio Scajola vi accusa di praticare la politica dei due forni, Feltri vi definisce "banderuole".
"Dal loro punto di vista fanno benissimo ad attaccarci su questo. Noi pratichiamo la politica dei due forni perché non vogliamo essere arruolati né con gli uni né con gli altri. Scajola fa finta di non capirlo, quanto a Feltri... il direttore del Giornale interpreta la pancia del centrodestra, ma io non cambio certo idea perché Feltri mi insulta".
In Puglia sostenete il pd Francesco Boccia. State lanciando, come dice Vendola, un'Opa sui democratici?
"Evidentemente Vendola finora è stato sulla Luna, oppure era troppo impegnato a occuparsi della sua regione per non accorgersi che a scaricare la sinistra comunista è stato Veltroni nel 2008, non Bersani né tanto meno Casini. La verità è che è in atto un tentativo di bloccare la svolta riformista del Pd: c'è chi vuole far perdere a tavolino la linea sancita dalla segreteria Bersani".

Un boicottaggio di Bersani dall'interno del Pd?
"Vedo un revanscismo postumo rispetto alla linea uscita vincente dal Congresso. Che non è la linea D'Alema ma è la strategia costitutiva del Pd, visto che fu proprio Veltroni a scaricare Rifondazione".
Perché date così tanta importanza alla Puglia?
"Perché è una cartina di tornasole, potrebbe essere veramente un laboratorio nazionale. Sia perché si vedrà se il Pd è capace di rendersi autonomo dalla spinte massimaliste, sia perché proprio in Puglia stanno scoppiando anche le contraddizioni interne al centrodestra".
Berlusconi annuncia che il 2010 sarà l'anno delle riforme. Solo propaganda?
"Che sia propaganda o meno, abbiamo il dovere di sederci e andare a vedere le sue carte. Le riforme servono al Paese, il problema semmai è il contenuto".
Bersani apre al confronto ma dice di no a uno "tsunami" di leggi ad personam.
"Bersani fa bene a mettere i suoi paletti e noi metteremo i nostri. L'importante è chiudere una stagione in cui ciascuna maggioranza si faceva le sue riforme: una tentazione perniciosa che vedo riaffacciarsi nel Pdl e che porterà a fare soltanto riforme instabili".
 

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da repubblica.it
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« Risposta #34 inserito:: Marzo 14, 2010, 03:20:30 pm »

Casini: «Basta con le piazze populiste Berlusconi fa spot, i problemi restano»
               
di Claudio Rizza


ROMA (13 marzo) - Dica la verità, presidente Casini, l’unica piazza che le piace è S.Pietro.
«No, siamo sempre in piazza. Non c’è niente di più democratico delle piazze gioiose, rispettose, che affermano le proprie idee. Il problema è un altro».
Quale?
«Che le piazze hanno sostituito la politica. Il populismo ha preso il sopravvento sia su chi dovrebbe risolvere i problemi degli italiani, cioè Berlusconi; e su chi, invece di delineare una proposta alternativa, si riunisce ancora contro qualcuno, cioè Bersani e Di Pietro».
Quanto pesa la piazza?
«Credo che la maggioranza degli italiani sia stanca di piazze. Si trova alle prese con questioni sempre più incandescenti e invece di soluzioni è subissata di spot».
Faccia un esempio.
«Il calo del Prodotto interno lordo non è mai stato così pronunciato dagli anni ’70. Il premier dice che il peggio è passato: non so se sia una prova di fede o di avventatezza. Da mesi dicono che la crisi non c’è, ma tanti perdono lavoro, non sono coperti dagli ammortizzatori sociali, artigiani e commercianti non ce la fanno a pagare gli studi di settore, agricoltori in ginocchio...».
E dunque la piazza a che serve?
«A fare appello ai sentimenti più retrivi per cercare di mobilitare gli elettori non “per” qualcosa ma “contro” gli altri».
Un vantaggio per voi moderati, no?
«Almeno rende chiare le ragioni per cui pensiamo che il bipolarismo vada messo in soffitta. Nella metafora delle due piazze c’è un Paese che non sa guardare avanti ma continua a guardare sempre indietro. Da un lato c’è uno schieramento come il governo Prodi, in versione rinnovata; dall’altro c’è Berlusconi che dà il meglio di sé in piazza perché non riesce a risolvere i problemi e a mantenere le promesse fatte agli elettori».
Allude agli “spot”?
«Secondo la realtà virtuale abbiamo due sole aliquote Irpef, l’abolizione dell’Irap, un piano casa straordinario per l’edilizia... ma non è successo nulla. Per non parlare della mitologia sulle ronde».
In compenso c’è adesso un allarme brogli.
«Se questa è un’altra precostituzione di un alibi, la situazione per questo Paese è mortificante».
E poi c’è il premier che parla di complotto.
«Se avessi raccolto le interviste di uomini del Pdl che hanno parlato della “banda di incapaci” che non è riuscita a presentare le liste giuste... siamo al ridicolo. E’ l’unico Paese dove c’è la manifestazione contro se stessi da parte di chi governa».
I sondaggi danno il Pdl in calo, Berlusconi tenta di recuperare il suo elettorato, no?
«La manifestazione sarà un problema suo. Noi siamo impegnati a sostenere la Polverini, convinti che sarebbe il miglior governatore. Umilmente noto due cose. La prima: la Bonino sostiene che la battaglia è tra lei e Berlusconi? Non cadiamo in questa trappola, la battaglia è tra i programmi e i valori della Polverini e della Bonino. Niente altro. Anche chi contesta Berlusconi cade nella trappola di politicizzare le elezioni: queste sono le regionali, non le politiche».
E la seconda?
«E’ un suggerimento: mi sembra che far sventolare le bandiere della Lega non sia il miglior viatico per aiutare la Polverini. Se quelli di “Roma ladrona” non vengono, forse ci fanno una cortesia».
Dei sondaggi che vedono 4 regioni in bilico e un 6 a 3 per il centrosinistra che dice?
«I sondaggi sono solo sondaggi, comunque dimostrano che c’è una certa parità nel Paese e che noi siamo determinanti. Non è vero che l’Udc è andata con chi vince, ma vince chi è alleato con noi».
Il Tar ha appena bocciato la delibera sulla par condicio togliendo il bavaglio alle tv commerciali che potranno trasmettere trasmissioni politiche sulle elezioni. Giusto?
«Certe cosE capitano solo da noi. Si tratta di una limitazione seria della democrazia. Che non si possano fare in Italia trasmissioni tv nell’unico periodo in cui servono, per permettere ai cittadini di farsi un’opinione, è allucinante. Lo si fa perché si ritiene di controllare i tg che danno un’informazione addomesticata come quella che vuole il governo».
Non è un autogol?
«Penso che il troppo stroppia, che alla lunga la gente queste cose le capisce. Ho una certa fiducia, e forse questi sondaggi in discesa del Pdl dipendono anche da quello che stiamo dicendo».
Nell’ultimissimo scandalo intercettazioni, tra il premier e l’Agcom, il direttore del Tg1 sostiene che anche lei lo chiama spesso, non solo Berlusconi.
«Spero pubblichino tutte le telefonate che gli faccio».
Torniamo alle Regionali. Prevedono che la Lega si rafforzi al Nord.
«Questa formula politica le ha consentito di essere arbitra della politica italiana. Lo sosteniamo da sempre».
E di Bersani che pensa?
«Persona perbene e politico serio. Ma non è un mago, subisce le contraddizioni di guidare un partito diviso in tre: alcuni vanno in piazza con la testa e col cuore, altri solo con la testa e altri non ci vanno proprio. Naviga tra il tentativo generoso di convergenze nuove di governo anche con noi, e la convivenza con Di Pietro e la sinistra estrema».
Cosa gli contesta?
«Rimprovero al Pd di non prendere le misure a Di Pietro. Non pretendo che non ci parlino, ma se gli consentono di menare la danza e fanno capire che c’è una subalternità psicologica, perché si preoccupano che Di Pietro eroda il loro elettorato, allora non va. Il problema è di capire se i comportamenti politici di Di Pietro aiutano l’alternativa o no. Chi chiede l’impeachment per Napolitano o chiede di non firmare il legittimo impedimento, aiuta oggettivamente Berlusconi».
Anche voi, alla fine, non avete votato il legittimo impedimento.
«Ci saremmo astenuti, ma il voto di fiducia ci ha costretti a dire no. Non è una pagina esaltante, è il male minore. Quando eravamo alleati di Berlusconi abbiamo ritenuto che ci fosse un certo accanimento giudiziario. Siamo persone perbene e non abbiamo cambiato idea solo perché ora siamo all’opposizione. Però è un errore gravissimo concorrere a delegittimare la magistratura, fare di tutta un’erba un fascio, è un aiuto ai corrotti e ai ladri. E’ inutile fare leggi anti corruzione se poi si fornisce l’alibi a chiunque venga trovato col “sorcio in bocca” di potersi dichiarare perseguitato dai giudici».
Per finire, vi avvantaggia a Roma la mancanza della lista pdl per la Polverini?
«Dico di no, serve a pochissimo. Ci sono tante liste di supporto alla Polverini. Noi siamo convinti che lei possa avere una chance di governare il Lazio e siamo fortemente impegnati per lei. L’alleanza che la sostiene va oltre il Pdl. E grazie a Dio non contiene la Lega».
 
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« Risposta #35 inserito:: Agosto 05, 2010, 06:49:14 pm »

5/8/2010 (12:41)  - GOVERNO - NUOVI EQUILIBRI

Casini si schiera al fianco di Fini: "C'è stato squadrismo intimidatorio"

Il leader centrista: «Non è nato un nuovo polo, stiamo dando voce a un'esigenza crescente»

ROMA

C’è uno «squadrismo intimidatorio» nei confronti di Gianfranco Fini. A denunciarlo, in trasparente riferimento alle notizie di stampa sul patrimonio del leader di Futuro e libertà per l’Italia, è Pier Ferdinando Casini.

«Non mi piace lo squadrismo intimidatorio che sta emergendo su una vicenda relativa al Presidente del Consiglio», ha detto il leader dell’Udc durante una conferenza stampa alla Camera dei deputati. «Un conto è la questione morale e un altro che essa venga agitata come strumento di lotta politica. È degradante». Casini ha anche stigmatizzato l’abitudine ad accusare i politici quando sono avversari e scusarli quando sono alleati. «È un preoccupante doppiopesismo che non fa onore a chi lo alimenta», ha detto.

«L’evocazione così superficiale di elezioni anticipate sarebbe una fuga dalla responsabilità del tutto incongrua» aggiunge Casini. «Berlusconi oggi ha due strade davanti. Se vede l’impossibilità di governare fa bene ad andare al Quirinale a dimettersi», ha detto Casini incontrando i giornalisti alla sede dell’Udc alla Camera dei deputati. «L’altra strada, che secondo noi è più seria, è confrontarsi con le novità emerse ieri» con il voto della Camera sul sottosegretario Caliendo. «Farebbe molto male il Presidente del Consiglio a non vedere quello che è successo ieri in aula. Non è nato un nuovo polo o il grande centro, ma si è data voce ad un’esigenza che nel paese sta montando giorno dopo giorno. Un’area di responsabilità nazionale che nasce non per sfasciare ma per ricucire il paese». Casini ha precisato: «Non abbiamo affatto paura di elezioni anticipate, ma dopo due legislature durate due anni riproporne una terza sarebbe una prova di totale irresponsabilità».

Casini ha ribadito: «Un governo di responsabilità nazionale sarebbe indispensabile per risolvere le difficoltà degli italiani».
Il leader dell’Udc ha poi sottolineato: «Invito il Pd e il Pdl a prendere atto della novità politica emersa. Devo dire che è stato più rapido il Pd a capire, perché dalla maggioranza siamo ancora agli anatemi e alle scomuniche».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57366girata.asp
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« Risposta #36 inserito:: Agosto 29, 2010, 10:59:52 am »

INTERVISTA

Casini: non voteremo quel testo

Al Paese non serve un'amnistia

Il leader udc: non entriamo in un governo dove l'unico che conta è Tremonti


«Dove eravamo rimasti? Al predellino, quando ci venne spiegato che i moderati fuori dal Pdl non avrebbero avuto diritto di cittadinanza? Al bipartitismo, quando Veltroni e Berlusconi ci additarono come sbocco della transizione italiana la terra promessa di due partiti unici? Invece tutto è andato nella direzione da noi denunciata. Il goffo tentativo di ridurre la politica italiana al bipartitismo ha posto sul piedistallo due grandi vincitori: non il Pd e il Pdl, ma Di Pietro e la Lega».

Presidente Casini, è la sua estate. Tutti la cercano. Berlusconi la voleva al governo. Bersani la vuole nell'Alleanza democratica.
«È l'estate in cui si tocca con mano quel che diciamo da tempo: la Lega è diventata l'arbitro della politica italiana. Per fortuna Berlusconi ha impedito le elezioni anticipate, e ha fatto bene. Il voto in autunno sarebbe stato non solo un'ammissione di responsabilità da parte del Pdl, costretto a interrompere la legislatura dopo due anni come Prodi, nonostante i cento deputati di maggioranza. Berlusconi ha capito che sarebbe stato la vittima designata. Avrebbe trainato la coalizione alla vittoria alla Camera, impallando il Senato. A quel punto la Lega e una parte della sinistra avrebbero fatto nascere il governo Tremonti».

Tutto questo non toglie che prima o poi lei dovrà scegliere in quale alleanza entrare.
«Tutto questo dimostra che la gente comincia a riflettere sulle nostre idee, a lungo considerate minoritarie. È sempre brutto far la parte di chi l'aveva detto. Eppure è proprio così: noi l'avevamo detto. Due anni fa, abbiamo preso i nostri stracci e abbiamo condotto una corsa disperata, fuori dal Pdl. Ora ci chiedono di entrare al governo? Ma in questo governo l'unico che conta è Tremonti. C'è un problema di squilibrio istituzionale, con il ministero dell'Economia che ha inglobato cinque o sei ministeri della Prima Repubblica, da ultimo le Attività produttive, ormai ridotte a un simulacro. E c'è un problema di squilibrio politico: Tremonti è il garante della Lega al governo».

È proprio quel «simulacro di ministero» che vi ha offerto Berlusconi.
«Al governo non si va per soddisfare vanità. Grazie a Dio, le mie vanità me le sono tolte tutte, e continuo a soddisfarle. Al governo si va per incidere politicamente. E oggi ci sarebbe consentita solo la parte del parente povero. Aggiungere un posto a tavola non servirebbe né a chi lo mette, né a chi lo riceve».

Ma è Bossi che non vi vuole. Dice che state in mezzo per intercettare le poltrone.
«Bossi ha passato l'estate a insultarmi. Io preferisco replicare con i ragionamenti. È vero il contrario. Noi, alla faccia della "logica democristiana", siamo l'unico partito all'opposizione da due legislature. Prima con Prodi, ora con Berlusconi. Il partito della nazione non nasce per aggiungersi agli uni o agli altri. Nasce ponendo una domanda: è possibile essere protagonisti in politica nel nome della dignità e della responsabilità? Perché Fioroni e Pisanu devono stare in due partiti diversi? Quale linea, quali valori, quale programma li divide, se non l'idea che alimentano gli uni e gli altri alternativamente per cui da una parte c'è il regno del bene e dall'altra il regno del male? Il partito della nazione nasce perché l'Italia si sta disgregando. E in un Paese disgregato le grandi scelte di modernizzazione non si fanno, perché costano. Prendiamo il nucleare. Noi siamo favorevoli. Ma com'è possibile pensare di poterlo fare senza un accordo bipartisan? Che succede se tra qualche anno c'è una nuova maggioranza a cui il nucleare non sta bene? Si torna indietro? Questi sono temi su cui non si può scherzare».

Per un accordo vasto ci vorrebbe un nuovo governo.
«Il governo di responsabilità nazionale che noi abbiamo evocato non è il governo di tutti contro Berlusconi e Lega. Non è la vendetta contro chi ha vinto le elezioni. Ma non è nemmeno il governo di prima, con Casini al posto di Fini. Sarebbe umiliante. Vedo che provano a blandirci sbandierando i valori, l'identità cristiana. Ma a noi non interessa questo esibizionismo valoriale, usato o per compiacere le gerarchie ecclesiastiche o per innestarvi sopra operazioni politiche. Noi difendiamo i valori, e proprio per questo non ci piace il mercimonio».

A cosa si riferisce?
«Vedo che i temi della bioetica vengono affrontati a volte con una logica emergenziale, come nel caso di Eluana, in cui si voleva fare una legge in 24 ore, e poi vengono trascurati per mesi, per poi essere rispolverati strumentalmente al fine di costruire un'alleanza politica. Ma sui temi etici non si costruiscono né alleanze, né steccati».

Ma lei con chi lo vuol fare il partito della nazione?
«Il partito della nazione è un processo. Non ho la bacchetta magica, non fondo partiti a tavolino come Berlusconi. È chiaro che ci sono interlocutori naturali, come Rutelli. Spero poi che dalla società civile qualcosa si muova. Ma non entro nel gossip dei nomi. Anche perché molti esponenti della società civile vorrebbero entrare in campo a partita finita, quando si gusta la vittoria. Se si votasse domani mattina, questo partito avrebbe la necessità di candidarsi autonomamente; e allora tanti entusiasmi si appannerebbero. Cesa ha detto: noi azzeriamo l'Udc. Io dico: leviamo il mio nome dal simbolo, facciamo un grande concorso di idee per un simbolo nuovo. Più di così, cosa dobbiamo fare? Saranno i fatti a far maturare il resto».

Per Fini ci sarebbe spazio?
«Come presidente della Camera, Fini si sta comportando bene. Sul suo futuro politico, deve decidere lui. Non è in stato di minorità. Per ora, non si capisce se i finiani rientrano nel Pdl o fanno un partito. Senza sapere queste cose, come faccio a fare una proposta a Fini? Deve dire lui quel che vuol fare, agli italiani prima che a me. Certo, oggi vengono a galla le contraddizioni iniziali di un progetto politico in cui molti si sono fatti imbarcare senza crederci fino in fondo. Però sapevamo tutti com'è Berlusconi...».

Com'è Berlusconi?
«Io ho un rapporto di simpatia con lui. Tutto si può dire salvo che sia uno che non è scoperto nelle sue modalità politiche. E il modo in cui ha fatto il Pdl era indicativo di come l'avrebbe guidato. Paradossalmente, è più facile trattare con Berlusconi dall'esterno, come fa Bossi, che non nello stesso partito. Infatti non c'è giorno che non manifestino il loro disagio Rotondi e altri ex dc, che per mesi mi hanno svillaneggiato spiegandomi che fuori dal Pdl sarei stato irrilevante».

Ma lei potrebbe mai tornare con Berlusconi?
«C'è un doppio Berlusconi. C'è quello che a inizio legislatura pronuncia un discorso che valorizza il ruolo dell'opposizione, e concorre con il centrosinistra e con i togati a eleggere Vietti al Csm. E c'è il Berlusconi vittima del delirio di autosufficienza. Per fortuna ora ha capito la manovra di aggiramento che era in corso contro di lui. Maroni ha parlato di un'operazione per far fuori Berlusconi. Ha ragione, ma non erano certo Di Pietro e Bersani i manovratori; e Maroni dovrebbe saperne qualcosa di più di quel che fa finta di non sapere. Se a Berlusconi è servito brandire lo spauracchio dell'Udc per evitare la congiura, mi fa piacere per lui. Ma non basta dire che siamo insieme nel Ppe per fare un'alleanza. Il giorno in cui Berlusconi andasse alle urne, finita la legislatura, su percorso di decoro politico-istituzionale, si può discutere con lui. Ma se Berlusconi andasse al voto anticipato lanciando un appello al superamento della Costituzione, guidando una coalizione in cui conta solo la Lega e gli altri fanno tappezzeria, gridando contro i poteri forti, il capo dello Stato, la magistratura e la Corte costituzionale, è ovvio che noi non potremmo mai starci».

E il processo breve, glielo votate?
«Com'è uscito dal Senato, no. Noi siamo stati il partito che più di ogni altro si è fatto carico della specificità del ruolo di Berlusconi come presidente del Consiglio. Il legittimo impedimento l'abbiamo costruito noi, perché ci pareva importante far finire la stagione in cui Berlusconi e la magistratura erano avvolti in una contesa ormai patologica. Se vogliamo pensare a una tutela per le alte cariche, siamo disponibili. Ma cancellare centinaia di processi per farne finire uno o due sarebbe una follia. Di tutto il Paese sente il bisogno, tranne che di un'amnistia».

Aldo Cazzullo

29 agosto 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_agosto_29/casini-intervista-cazzullo_cac6e8fc-b335-11df-ac3b-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #37 inserito:: Settembre 14, 2010, 05:41:16 pm »

UDC

Casini e l'esodo dei siciliani "Così mi libererò di un peso"

Nell'isola l'Udc ha il serbatoio più ricco di voti ma anche molti esponenti sotto processo.

Il capogruppo D'Alia: "I nostri elettori non vogliono impunità e tantomeno vendersi a Berlusconi"

di EMANUELE LAURIA


ROMA - "Se ne vanno? Mi libero di un peso". Lo sfogo di Pierferdinando Casini, in serata, culmina in una frase sofferta, che pone in secondo piano il disappunto per la perdita di un cospicuo serbatoio di voti e privilegia infine la questione d'immagine: via i Cuffaro, i Drago, i Mannino. Via il partito siciliano che maggiori guai ha avuto con la giustizia. Mafia o "semplice" peculato, condanne o clamorose assoluzioni dopo processi lunghi 16 anni come quello di Calogero Mannino.

"Tremavo all'idea di dovere ricandidare alcuni impresentabili", confida agli uomini più vicini il leader dell'Udc. Fine di una parabola: quella di Pier e della robusta stampella isolana. Casini liquida così la fronda ormai venuta allo scoperto. In uscita almeno cinque deputati e un senatore, tutti convinti che sia sbagliato chiedere le dimissioni di Berlusconi. Dietro c'è quasi per intero il potente gruppo all'Assemblea siciliana. Ma l'area del dissenso supera lo Stretto: uno dei "ribelli", alla Camera, è il campano Michele Pisacane.

Lo stato maggiore dell'Udc minimizza, anche perché per ridurre il danno sono stati contattati due parlamentari, uno dei quali è Ricardo Merlo, eletto all'estero. L'acquisizione si dà per fatta. Il capogruppo al Senato Giampiero D'Alia, messinese ma fedelissimo di Casini, sottolinea che "la stragrande maggioranza degli elettori siciliani non la pensa come Cuffaro e Mannino". E rilancia, in modo neanche tanto velato, la questione giudiziaria: "I nostri elettori sono stati felici della presenza di Piero Grasso alla festa di Chianciano - dice D'Alia - perché distinguono il garantismo dall'impunità e vogliono restare al centro senza vendersi a Berlusconi e Alfano per un piatto di lenticchie". Accuse durissime: Grasso, per inciso, è stato procuratore a Palermo durante il processo all'ex governatore Cuffaro.

E il finiano Fabio Granata affonda il coltello. Parlando di "fastidio" di alcuni esponenti dell'Udc siciliana per le parole del procuratore Grasso.

Cuffaro si chiama fuori: "Non prendo posizione. Oggi mi dedico solo alla mia vicenda giudiziaria".
Ma Saverio Romano, segretario siciliano dell'Udc e leader della fronda, proprio non ci sta: "Si sta strumentalizzando la presenza a Chianciano di Grasso: nessuno di noi ha provato fastidio. Casini - dice - ha perso la testa. Abbiamo solo espresso una posizione di dissenso che dovrebbe essere legittima all'interno di un partito. Ora ci vogliono buttare fuori". Romano assicura che i "dissidenti" siciliani non passeranno nel gruppo di transizione a sostegno di Berlusconi: "Io Nucara neanche lo conosco". Ma a fine mese ci sarà il discorso del premier in aula, un probabile appello ai deputati "responsabili", quindi la richiesta di un voto per andare avanti. E Romano non chiude la porta: "Ascoltiamo il presidente del Consiglio. Abbiamo il dovere di farlo".

(14 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/14/news/casini_e_l_esodo_dei_siciliani_cos_mi_liberer_di_un_peso-7050079/
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« Risposta #38 inserito:: Ottobre 18, 2010, 10:08:28 am »

L'intervista Il leader udc: i manifesti contro Bonanni e Marchionne non sono l'alternativa a questo esecutivo

«Appello ai moderati dei due fronti Portiamo al governo le persone serie»

Casini: niente alleanze con questo Pd. Enrico Letta, Pisanu, Fitto e Follini venite da me


ROMA - Gli hanno «fatto male» le critiche arrivate dal Pd per i suoi giudizi, decisamente critici, sulla manifestazione della Fiom di sabato scorso: «Una deputata che non conosco, la signora Codurelli, dice che le mie dichiarazioni umiliano le persone oneste che hanno sfilato. Beh, siccome questo deve essere il momento della chiarezza, voglio essere chiaro».
Chiarisca, onorevole Pier Ferdinando Casini.
«Io rispetto profondamente le persone oneste, mi inchino davanti ai lavoratori che hanno sfilato pacificamente, che hanno manifestato in nome dei diritti dei lavoratori».
Ma...
«...ma se non si dicono le cose come stanno, si fa solo un immenso regalo a Berlusconi».
È un messaggio al Pd?
«Insomma, va detto che proprio nel momento in cui l'esperienza dell'alleanza Lega-Pdl sta arrivando al capolinea, e la gente si sta accorgendo che Berlusconi è bravo a vincere le campagne elettorali ma non a governare, se l'idea dell'opposizione è quella di creare un'alternativa partendo da piazza San Giovanni, allora siamo fritti».
Dunque lei non vuole avere niente a che fare con il mondo della sinistra, parlamentare e no, che ha sfilato assieme alla Fiom o comunque ha sostenuto quella battaglia?
«Lo ripeto, rispetto tutti, ma gli slogan e le idee di quella manifestazione ci riportano indietro agli Anni 70, i manifesti che indicavano come bersagli Bonanni e Marchionne non possono simboleggiare l'alternativa a questo governo, e anche se rispetto Vendola e gli sono amico, invito l'onorevole Codurelli a leggere i riferimenti programmatici e ideali di Sinistra e Libertà, in cui si accusa il capitalismo di aver depredato la gente...».
Ma lei crede sia diventata questa la posizione del Pd?
«Spero di no, visto che ricordo bene Bersani dire che imprenditori e lavoratori sono sulla stessa barca. Parole da sottoscrivere, quelle che mi aspettavo dal Pd per l'evoluzione che ha avuto negli ultimi 3-4 anni, come mi aspetterei oggi che si sia tutti d'accordo nel sostenere che se Pomigliano non può essere la bandiera dei moderati, nemmeno può diventare il bersaglio polemico dell'alternativa».
I suoi dubbi stanno a significare che lei è rimasto deluso da Bersani?
«Premesso che non invidio Bersani, e che apprezzo il fatto che anziché andare in piazza sia rimasto a casa sua e non per altri impegni, mi sembra che il Pd stia cercando di dare un colpo al cerchio e una alla botte, posizione che non ha grande respiro. Perché se si vuole davvero creare l'alternativa a Berlusconi cogliendo il fortissimo disagio che sta maturando in interi settori del Pdl e se si vuole una piattaforma programmatica in cui la sinistra moderata sia parte costitutiva seria, non basta non partecipare al corteo della Fiom, bisogna essere molto più decisi».
Crede che la cautela di Bersani sia dovuta al riavvicinamento con Vendola?
«Vendola è un interlocutore importante sulle regole, fa bene a tentare di riportare la sinistra estrema in Parlamento. Ma sul piano programmatico è ben lontano dalle stesse posizioni della sinistra europea come la conosciamo in Germania, Francia, Inghilterra. Sempre che i documenti approvati nei congressi abbiano un senso e un valore: io ad essi faccio riferimento».
Cosa chiede in sostanza a Bersani?
«Io non chiedo niente, è un problema loro, non mio. Perché io posso dire che, se queste sono le loro posizioni, l'Udc non si allea con il Partito democratico, non ci sono dubbi in proposito. Ma mi chiedo, è un problema solo dell'Udc o anche dei moderati del Pd se il loro partito non si dissocia da questi contenuti? Perché - vorrei ricordarlo - proprio su questi temi si è impantanato il governo Prodi, sulla dissociazione di Bertinotti. Su questo terreno si è sfaldato il centrosinistra che vinse nel '96. E allora la piazza può anche essere ascoltata, ma non può essere seguita».
La sua è una chiamata ai moderati del Pd?
«Ai moderati dell'uno e dell'altro polo che credono in ricette nuove, e nel fatto che il Paese si rilancia mettendo assieme a governare le persone serie che nel Pd sanno che seguendo le piazze non si va da nessuna parte, e persone serie del Pdl che non ne possono più di dover sottostare a un patto in cui è la Lega che dà le carte. Noi ci poniamo l'obiettivo di mettere assieme queste persone e di fare riflessioni profonde anche sull'evoluzione del movimento sindacale: in poche parole, neanche Bonanni ha il dono dell'infallibilità, ma il nostro Paese dovrebbe ringraziare Cisl e Uil che davanti a una drammatica crisi non ripetono le parole d'ordine del passato come "sciopero generale"».
Quando parla di persone serie, ha dei nomi in mente?
«Beh, non si capisce perché Enrico Letta e Pisanu, Fitto e Follini debbano stare su versanti opposti. Davvero dobbiamo ancora rendere omaggio ad un bipolarismo che si è dimostrato fallimentare?».
Ma lei si sta augurando una rottura nel Pd, dopo quella avvenuta nel Pdl? Non è un bel modo per convincere Bersani a cambiare rotta...
«Io mi auguro che il Pd scelga, come mi auguravo che il Pdl scegliesse, non che si spaccasse. Mi sarei accontentato di molto meno di quello che è accaduto...».

Paola Di Caro

18 ottobre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_ottobre_18/di-caro-intervista-casini_464e5b8a-da79-11df-b6f8-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #39 inserito:: Gennaio 10, 2011, 03:41:07 pm »

«Offerte di D'Alema? Scelga tra me e Vendola. tutti insieme e' un Regalo a Berlusconi»

«Offro un patto di pacificazione Sosterremo le iniziative serie»

Casini: pronti a valutare un sì al federalismo anche senza quoziente familiare


Presidente Casini, a che punto è la discussione con Berlusconi?
«Siamo fermi al 14 dicembre, alla ricerca di qualche deputato in più. Intanto il Paese perde competitività, non dà un futuro alle nuove generazioni, vede la disoccupazione giovanile superare in molte regioni il 50%. Una fascia sempre più ampia del ceto medio scivola verso la povertà. I tempi della giustizia sono quelli di prima. E il premier enumera una quantità esorbitante di riforme che ha visto solo lui. Credo ci vorrebbe un po' più di riflessività».

Voi cosa offrite a Berlusconi?
«Non a lui, ma all'Italia, proponiamo una scelta di responsabilità. E di pacificazione. Al presidente del Consiglio suggerisco: non gingillarti su un parlamentare in più o in meno. La legislatura è partita con 70 deputati di maggioranza, e oggi siamo alla contabilità della stagione di Prodi. Vogliamo prendere atto che qualcosa è cambiato? Vogliamo evitare al Paese di avvitarsi in 4 mesi di percorso elettorale che alla fine riproporrebbe lo stallo attuale, dopo aver esposto l'Italia alla speculazione internazionale? Non è meglio mettere le carte in tavola alla luce del sole? Tutto il resto sono scorciatoie anche un po' degradanti. È una scorciatoia pensare che un partito che sta all'opposizione e oggi ha preso l'iniziativa di un nuovo polo possa sedersi su qualche poltrona ministeriale, di cui non ci importa assolutamente nulla. Ed è degradante la presunzione di autosufficienza che si scontra con realtà».

Eppure Berlusconi si dice convinto di allargare la maggioranza. Lei è sicuro della lealtà dei suoi deputati?
«Il 14 dicembre tutti e 35 i deputati Udc hanno votato la sfiducia. Dubbi non ne ho. Se poi Berlusconi avrà attinto da qualche parte qualche parlamentare in più, cosa cambierebbe? Stiamo parlando del nulla».

Ma lei potrebbe mai tornare ad allearsi con Berlusconi?
«Se per alleanza con Berlusconi si intende rimettere le lancette dell'orologio indietro di dieci anni, mi pare molto difficile. È passata una stagione. Non la rinnego. Ne sono orgoglioso, perché mi ha consentito di servire il Paese da presidente della Camera, con un certo riconoscimento da parte di tutti della mia serietà. Certo, ho creduto a cose che non si sono realizzate. Probabilmente ho anche sbagliato alcuni passaggi».

Quali errori ha commesso?
«Pensare che certe anomalie del percorso di Berlusconi si sarebbero riassorbite col tempo. Invece per certi versi si sono addirittura accentuate. Ma l'analisi non l'ha certo sbagliata Berlusconi; ero io che dovevo capire. Diciamo scherzosamente che lui ha dato un bel contributo per farmelo capire meglio... Oggi il gruppo dirigente del Pdl appare ansioso di allearsi con noi. Ma due anni fa, quando ci misero alla porta, tutti zitti. Non una sola voce, non un colpo di telefono per dirmi che forse stavano sbagliando».

Neppure Gianni Letta?
«Letta è di un altro pianeta. Questa però è la politica. Pensi a quel che è successo tra me e Fini. In termini personali ero certamente più risentito con lui che con Berlusconi. Infatti siamo stati un anno senza parlarci. Poi mi sono chiesto se in politica una persona può concedersi il lusso di recriminare sul passato. Ho risposto di no, e ho messo da parte tutto. E' giusto guardare al futuro. Peraltro sono rimasto sconcertato da questa campagna di aggressione nei confronti di Fini, incompatibile con quel garantismo che dovrebbe ispirare il Pdl. Vedo troppa violenza verso Berlusconi, ma anche troppa violenza degli ambienti berlusconiani verso gli altri. L'Italia non ha bisogno di faziosità, ma di pacificazione».

Questo come si traduce in concreto?
«La nostra opposizione è responsabile e repubblicana. Accasarci in qualche ministero sarebbe da opportunisti. Ma noi sentiamo che è necessario suonare uno spartito diverso. Non offriamo la pacificazione a Berlusconi, ma al Paese; e riteniamo che gli italiani la vogliano. Non possiamo sederci sulla sponda del fiume e compiacerci delle cose che non vanno, perché tanto stiamo all'opposizione».

Quindi cosa farete?
«Se il governo porterà in Parlamento iniziative serie, noi le sosterremo. Alla luce del sole. Se il governo proporrà cose che riteniamo sbagliate, ci opporremo. Non possiamo essere una forza di complemento della maggioranza, ma sfidare il premier a elevare la qualità del suo stesso governo. Obama ha fatto la riforma del fisco con l'opposizione. Berlusconi è disponibile a fare ciò che gli chiediamo a sostegno delle famiglie?».

Conferma che, in cambio del quoziente familiare, sareste disponibili a votare il federalismo?
«Il federalismo è già stato votato, e noi siamo stati gli unici a votare contro. Oggi siamo ai decreti attuativi. Siccome si discute di imposte locali, abbiamo proposto che anche in questo contesto si tenga presente la necessità di salvaguardare le famiglie. Il quoziente familiare era nel programma del Pdl. Sappiamo benissimo che oggi sarebbe difficilmente compatibile con i conti pubblici. Però tra il quoziente famigliare e il nulla c'è una prateria. Qualcosa va fatto».
Per cui basterebbe qualche misura di fiscalità di vantaggio per il vostro sì?
«Il nostro giudizio politico sul federalismo non è cambiato. Il voto dei prossimi giorni ha un suo forte contenuto di tecnicalità. Noi vogliamo che i nostri tecnici lo migliorino, e ci riserviamo una valutazione con gli amici delle altre forze politiche che con noi compongono questo nuovo polo».

Quindi non si va al voto anticipato?
«Non sta a noi la scelta. Nella maggioranza sento opinioni molto diverse. Si chiariscano le idee e ci facciano sapere».

Ma è Tremonti, oltre a Bossi, che non vi vuole nella maggioranza?
«Si favoleggia su contrapposizioni tra l'Udc e Tremonti. Da parte nostra, non esistono. Se esistono da parte sua, non è un problema nostro. Ho letto sui giornali una disamina molto preoccupata di Tremonti. Credo vada presa sul serio. Tremonti mostra responsabilità nel dire che la crisi è tutt'altro che passata. Ne deduco logicamente che sarebbe pura irresponsabilità avvitarci ora nella campagna elettorale. Se questa consapevolezza è comune all'intera maggioranza, bene. Se invece si pensa di farci una concessione a non andare ad elezioni anticipate, per carità: andiamoci pure. I ritardi italiani sono ormai così profondi che il distacco tra la gente e la politica è simile a quello della stagione di Tangentopoli. Oggi siamo a un bivio drammatico: porsi il problema di vincere le elezioni, o quello di fare le scelte radicali necessarie a governare. Prima o poi l'Italia arriverà a un punto in cui il tema di una grande coalizione non potrà essere eluso».

Ma un governo di grande coalizione, magari a guida Tremonti, si può fare già in questa legislatura?
«Si può fare quando chi vince le elezioni ne ha la consapevolezza. Io questo discorso l'ho sempre fatto a Berlusconi, in pubblico e in privato, le rare volte in cui l'ho visto. E sarà giusto riproporre questo discorso all'indomani di eventuali nuove elezioni, chiunque vinca».

D'Alema le offre un'alleanza e dice: "Casini deve scegliere". Il Pdl parla di intimidazione. Lei cosa risponde?
«Non mi sento per nulla intimidito da D'Alema, un amico con cui ho da tempo un dialogo proficuo. Ma D'Alema finge di non capire che io ho già scelto. L'unica cosa che mi può far cambiare opinione è che scelga il Pd; cosa che si ostina a non fare. Il Pd cerca semmai di assemblare; ma io non sono assemblabile. Noi non possiamo fare alleanze di governo con chi sbandiera il giustizialismo come Di Pietro, o con chi come Vendola sceglie la Fiom anziché la Cisl e la Uil, Landini e non Bonanni. Come si fa a pensare di poter proporre a un paese come l'Italia una coalizione da Casini a Vendola? Non solo io umilierei la mia storia, accettandola. Sarebbe una coalizione incapace di governare. E quindi un regalo enorme a Berlusconi».

Se invece il Pd scegliesse lei e non Vendola?
«Penso che il Pd sia a questo bivio. Non so se farà una scelta precisa. Ma se non la farà, non sarà credibile. Galleggerà, riprenderà i voti di una sinistra storica che ancora c'è, ma non potrà governare con l'area moderata, con il nuovo polo».

A che punto è il polo della nazione? E' un cartello elettorale, o diventerà un partito?
«Oggi è un cartello elettorale, in cui ciascuno sta secondo la sua individualità e la sua sensibilità. E' chiaro che al momento giusto faremo una proposta chiara, lineare, definita per il governo del Paese. Un'idea diversa dalle suggestioni che ci hanno abbagliato in questi anni».


E le divergenze sui temi etici?
«Sono più montate che reali. La grande maggioranza dei parlamentari di Fli la pensa esattamente come noi».

Avvenire ha criticato il terzo polo. Ruini si è espresso a favore di un impegno dei cattolici per la stabilità.
«La Chiesa va ascoltata. Sempre. Anche quando dice cose sgradite o non condivise. Sono devoto estimatore e amico del cardinal Ruini. Francamente, mi convince di più quando parla dei valori eticamente non disponibili, che quando difende il maggioritario e il bipolarismo, che in Italia hanno dato pessima prova. Non credo che su questo la Chiesa abbia il dogma dell'infallibilità. Diverso è il discorso sui valori non disponibili. Quando il Parlamento calendarizzerà il voto sul testamento biologico - e ricordo che l'Udc è l'unico gruppo ad averlo richiesto formalmente -, si potrà realizzare quell'unità di tutti i cattolici richiesta a Reggio Calabria dal cardinal Bagnasco. Non solo parti della maggioranza, ma amplissime parti del nuovo Polo e molti esponenti del Pd voteranno insieme. Ma le questioni etiche non diventeranno certo il laboratorio di alleanze politiche. Guardiamoci dal neoclericalismo di chi utilizza la Chiesa per motivazioni ben poco nobili».

Aldo Cazzullo

10 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/11_gennaio_10/casinii-patto-pacificazione-cazzullo_a66355ce-1c83-11e0-a4b5-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #40 inserito:: Gennaio 26, 2011, 11:59:13 pm »

Il leader Udc: «il decreto rischia di dare il colpo finale all'autonomia dei comuni»

Tremonti difende il federalismo fiscale Casini: «Il Terzo Polo voterà contro»

Il ministro dell'Economia: «Il cittadino potrà dire all'ente locale di non abusare con le imposte»


MILANO - Il governo vuole rassicurare i cittadini. Il federalismo non comporterà obbligatoriamente l'introduzione di nuove tasse o di aliquote più elevate delle vecchie imposte. Ma la tesi del ministro dell'Economia Giulio Tremonti non convince il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini, che ha spiegato che tutto il Terzo Polo «voterà contro» il decreto del federalismo fiscale sul fisco municipale.
Un decreto, ha aggiunto, che «così com'è rischia di dare il colpo finale all'autonomia dei Comuni».

TREMONTI - «Le addizionali non sono un obbligo ma una facoltà e la scelta dipenderà dai cittadini. Il cittadino potrà dire all'ente locale: non mettere le addizionali, non abusare con le imposte, perchè puoi dare servizi migliori a costi minori. Per gli amministratori quello delle addizionali non è più un meccanismo obbligatorio» aveva detto in precedenza Tremonti intervenendo alla ventesima edizione del Convegno del «Sole 24 Ore Telefisco», riferendosi allo sblocco delle addizionali locali. «Sarà la prima riforma fiscale del nuovo secolo e sarà l'Italia a farla» ha sottolineato Tremonti.

FINANZA LOCALE - La riforma del federalismo fiscale è stata frenata da logiche politiche ha detto ancora Tremonti. «Il federalismo municipale è in Parlamento dal 5 agosto, com'è che oggi - ha osservato Tremonti - viene chiesta un'ulteriore riflessione?». «L'Italia è in Europa l'unico Paese che non ha finanza locale: molte imposte sono chiamate locali ma in realtà sono statali. L'Italia - ha aggiunto Tremonti - era più federalista ai tempi del fascismo che oggi. Allora c'erano tanti tributi locali e funzionavano da criterio di controllo democratico sugli amministratori da parte dei cittadini. Certo c'erano anche sugli abusi».

PROCESSO RIFORMATORE - Il federalismo fiscale ha spiegato ancora Tremonti, «non inizia e finisce oggi, è iniziato da un po' di tempo, ha avuto una legge delega votata da quasi di tutti e sta andando avanti ma non è un processo che si chiude domani, continuerà: è un modo per modernizzare e moralizzare questo Paese. Non è un passaggio che si chiude adesso e che inizia adesso - ha aggiunto - è un grande processo riformatore che inizia e si svilupperà nei prossimi anni».

Redazione online
26 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/economia/11_gennaio_26/fisco-tremonti_9fb46034-292a-11e0-b732-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #41 inserito:: Marzo 13, 2011, 06:22:40 pm »

Politica

13/03/2011 - INTERVISTA

Casini: "Bersani lasci l'Aventino e giochi la partita"

«Sulla giustizia il premier ha l’onere della prova. Allearci col Pd? Il no è programmatico»

CARLO BERTINI
ROMA

Capisco che Bersani sospetti che quella di Berlusconi sia tutta una finta, ma sulla giustizia lo invito a lasciare l’Aventino agli sfascisti di professione, per trattare a viso aperto, come è compito di una vera sinistra riformista». Proprio mentre da piazza del Popolo Nichi Vendola sostiene che la prima riforma da fare «è liberarci di Berlusconi», Pierferdinando Casini sfida invece il leader Pd «a giocare insieme questa partita della verità e a riprendere la sfida della Bicamerale per lasciare al Cavaliere l’onere della prova che fa sul serio».

Certo con il no al dialogo e il ricorso alla piazza si allarga il solco tra Pd e Nuovo Polo. Lo farete mai un vero accordo elettorale?
«Come tutti i leader politici, Bersani è sensibile alle esigenze della propaganda e con la reiterazione della Santa Alleanza spera di prendere più voti nell’elettorato moderato. Ma noi sappiamo bene che un Terzo polo che nascesse con un’alleanza col Pd finirebbe per essere immediatamente subalterno. E nella migliore delle ipotesi subiremmo la sorte che toccò alla Margherita negli anni passati».

Ma in quel caso potrebbe esserle offerta la premiership.
«Non è quello che ci interessa. Se - quando si voterà - presentandoci alle urne bloccassimo la possibilità di vincere al Senato ad uno dei due poli, certo il giorno dopo non accetteremmo di dare la vittoria a tavolino al vincitore alla Camera. Ma avanzeremmo la proposta vera: un governo di responsabilità nazionale ampio, aperto a chi, dal Pd al Pdl, si sente di ricostruire questo paese. Anche sui referendum chiediamo al Pd chiarezza. Ritengo una follia che il governo spenda 300 milioni in più per scongiurare il quorum, ma su acqua e nucleare io sono per un no netto e chiaro. All’alleanza col Pd dunque non rispondiamo con un no ideologico, bensì programmatico: non basta l’antiberlusconismo per unirci, può essere un presupposto, però non sufficiente per governare assieme. Ad esempio, per me la responsabilità dei giudici o la separazione delle carriere non sono un tabù».

Voi avete posto come condizione che si sgombri il campo dalle leggi ad personam. Vuol dire che se andasse avanti il processo breve, vi alzereste dal tavolo?
«Questo è ovvio e non voglio neanche pensare che si verifichi. O Berlusconi ha il coraggio di lasciare per strada le leggi a suo uso e consumo, oppure questa riforma sarà solo una finta. Per questo dico a Bersani: riprenda la sfida della Bicamerale e lasci a Berlusconi l’onere della prova».

Ma lei crede che questa riforma possa vedere mai la luce?
«Diffido di una riforma costituzionale che rinvia a leggi ordinarie la sua attuazione. Si rischia che ogni maggioranza si cambi le leggi che regolano il dettato costituzionale, una cosa aberrante che finirebbe per esporre i principi costituzionali al variare delle maggioranze politiche. Detto questo, certo oggi non si può dire che il Parlamento sia intasato ed è meglio discutere di giustizia che di nulla. Ma per me l’ordine delle priorità è il rilancio dell’economia e i giovani. E l’occupazione, che certo non possiamo risolvere allargando il numero di ministri e sottosegretari!».

Comunque sia, il primo banco di prova per tutti saranno le amministrative. Anche lì puntate a portare tutti ai ballottaggi per fare poi l’ago della bilancia?
«Intanto siamo andati con Fini e Rutelli a presentare il nostro candidato proprio a Torino, perché è una sede simbolica: il Nuovo Polo nasce proprio per unire gli italiani davanti a fenomeni di disgregazione preoccupanti. E quindi abbiamo voluto dare un segnale, così come lo darà Musy che farà una campagna non contro Fassino o Coppola, ma per Torino e per l’Italia, mettendosi alle spalle una visione ideologica della politica. Poi anche a Milano, Bologna e Napoli abbiamo scelto personalità fuori dai partiti, perché siamo consci che quando si andrà alle urne e busseremo alla porta della società civile bisogna che ci sia qualcuno che risponda. Insomma, deve essere chiaro che noi facciamo le amministrative guardando alle politiche: non ci faremo arruolare da chi ci vorrebbe come ufficiali di complemento di una stagione berlusconiana al declino, nè da chi ci vorrebbe funzionali ad una fantomatica Santa Alleanza. Ovviamente ai ballottaggi ci riserviamo di dare indicazioni di sorta. Resteremo fuori dalle giunte? Chi se ne importa: Fli è nata lasciando i posti di governo, noi siamo cresciuti rinunciando alle poltrone, figuriamoci se oggi il problema è qualche assessorato nelle città. Bisogna capire che noi stiamo facendo un grande investimento nel futuro».

da - lastampa.it/politica
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« Risposta #42 inserito:: Gennaio 16, 2012, 11:38:32 am »

Politica

16/01/2012 - intervista

Casini: sulla legge elettorale l’accordo in aula è possibile

"Questo governo non è una parentesi, chi lo pensa sbaglia. Deve lavorare in pace"

Marcello Sorgi
Roma

Presidente Casini, tutti i veli sono caduti: oggi Monti incontra voi segretari della maggioranza alla luce del sole, senza più doversi nascondere.

Com’è nata la svolta?
«Vede, in politica c’è sempre un po’ di ipocrisia: da quando è nato il governo, ci siamo visti con Monti, come tra noi della maggioranza, altre volte. Domani è la prima volta che accade ufficialmente, ma non direi che è un fatto sconvolgente».

Sarà soddisfatto, lei che ha tanto premuto per far uscire questa maggioranza dalla clandestinità.
«A me sembra normale che con tutto quel che sta accadendo e nel vivo di un cambiamento positivo di rapporti tra Italia e Europa, chi appoggia il governo discuta delle prospettive. Se vuole la mia valutazione, ritengo che noi abbiamo fatto il primo passo per uscire dall’isolamento in cui eravamo con il governo Berlusconi, abbiamo dimostrato di poter essere credibili con la manovra di dicembre, con gli impegni presi per il pareggio di bilancio nel 2013 e con il programma di liberalizzazioni che sta per essere varato. Adesso però dobbiamo trovare il modo di ottenere dall’Europa risposte concrete sul rafforzamento del fondo salva-Stati, sul ruolo della Bce e sull’effettiva difesa dell’euro dagli attacchi speculativi che continuano».

Non crede che l’Italia paghi ancora il prezzo dell’appoggio incerto dei partiti al governo? Non passa giorno che non si alzi qualcuno a dire che Monti deve avere più rispetto per i politici, altrimenti…
«Da parte mia come del Terzo polo non c’è nessuna intermittenza nell’appoggio al governo, che sosteniamo a testa alta. E per quanto riguarda la maggioranza, per noi è politica come sono tutte quelle che votano i governi in Parlamento, ci mancherebbe altro».

E allora perché tutte queste precisazioni? Non è il nostro governo, non è la nostra manovra: certi momenti sembra ci sia una gara a prendere le distanze da Monti.
«Se guarda la sostanza converrà che il governo finora ha potuto realizzare il suo programma. Che poi i partiti intervengano per chiedere qualche aggiustamento, anche questo rientra nella normalità dei rapporti politici. E che dopo vent’anni di bipolarismo imperniato sulla reciproca demonizzazione di Berlusconi e dei comunisti, Alfano e Bersani si muovano con cautela è comprensibile. Noi per questo avevamo proposto un armistizio politico con l’ingresso nel governo anche dei rappresentanti dei partiti. Sarebbe stata una soluzione più forte».

Per questo gira voce di un rimpasto per rafforzare il governo inserendo ministri politici?
«Lo escludo. Non ha più senso riaprire quel discorso. Ormai il governo così com'è deve poter lavorare in pace e arrivare alla sua scadenza».

La scadenza naturale del 2013, o le elezioni anticipate, di cui malgrado tutto si continua a parlare?
«Io quando sento ancora discutere di elezioni anticipate mi domando se chi ci pensa ha capito veramente in che situazione ci troviamo. L’idea che questo governo debba essere considerato una parentesi, da chiudere al più presto, per tornare alla normalità, circola purtroppo, ma è fuori dalla realtà. Occorre rendersi conto che se abbiamo dovuto chiamare Monti a fare quel che sta facendo è dipeso dall’incapacità della politica di affrontare i problemi che essa stessa aveva creato. Era tutto chiaro da tempo: ma né Prodi, né Berlusconi, con i loro due ultimi governi, sono stati in grado di trovare e mettere in pratica le soluzioni. Con questo non voglio dire che la colpa sia solo loro, anzi Alfano ha ragione quando dice che è ingiusto scaricare le responsabilità solo sul governo appena caduto».

Però c’è anche chi obietta che, dopo tutti gli sforzi imposti da Monti, la crisi è allo stesso punto.
«Chi pensa questo sbaglia. Abbiamo molti anni da recuperare. Per decenni la politica ha consentito al Paese di vivere al di sopra delle proprie possibilità, scaricando il debito sulle future generazioni. Magari fosse questione di settimane, o di mesi. La strada è molto lunga e sulla nostra capacità di resistenza ci giochiamo tutto, a cominciare dalla nostra credibilità in Europa. L’idea che non siamo capaci di darci regole severe per sempre in fondo è quel che giustifica le resistenze tedesche della Merkel e dell’opinione pubblica del suo Paese - a venirci incontro».

Tra i peones del Parlamento si teme che la permanenza del governo tecnico, specie se produrrà risultati, possa far apparire la politica come origine dei guai.
«Se la politica sa approfittare di questa fase per riformare se stessa, un timore del genere è ingiustificato. Abbiamo molto da fare: non si tratta solo di agire sui costi della politica, ma di riformare il bicameralismo, i regolamenti, la legge elettorale».

E lei crede davvero che si possa far questo nei pochi mesi di qui alla scadenza del 2013?
«Io penso che un'intesa su questi punti sia possibile e a portata di mano. Sulla distinzione di ruoli tra Senato e Camera c’è larga condivisione. La riduzione del numero dei parlamentari di almeno cento dalla prossima legislatura e di un terzo a partire dalla successiva è assolutamente necessaria. E sui regolamenti Luciano Violante ha messo a punto un progetto assai puntuale. Certo, si tratta di lavorare seriamente. Se invece continuiamo a vivacchiare, allora sì, il rischio che la sfiducia nella politica prevalga è reale».

Non le chiedo dell’antipolitica: se la sono presa con lei e con due suoi colleghi perché a Natale siete andati alle Maldive. Ma sia sincero: si è pentito di avere scelto quella vacanza in un clima come questo?
«Le dico la verità: se dopo tanti anni di vita politica messi continuamente al vaglio degli elettori, il rilievo è di essere andato in vacanza dieci giorni con la mia famiglia, me lo prendo e accetto le critiche. Ma attenti a spingere il qualunquismo, perché per questa strada si arriva a contestare il cotechino di Monti e a scoprire che se lo è pagato di tasca sua».

Secondo lei il voto della Camera che ha negato l’autorizzazione all’arresto di Cosentino incoraggia o no l’antipolitica?
«Duole dirlo: incoraggia. Quando un ex ministro dell’Interno appena uscito dal Viminale come Maroni sostiene che le accuse contro il deputato erano fondate e non c’era fumus persecutionis, il Parlamento avrebbe avuto il dovere di accontentare le richieste dei magistrati».

E come mai l’Udc ha dato libertà di voto ai suoi parlamentari?
«Sulle questioni personali noi garantiamo la libertà di coscienza. Ma la posizione del partito, per come è stata esposta in aula, era chiarissima».

Lei era contrario ai referendum elettorali. Adesso che la Corte costituzionale li ha bocciati, non crede sarà più difficile trovare un’intesa per cambiare il Porcellum?

«Non sono pessimista sulla legge elettorale. Credo che un accordo sia possibile se tutti mettiamo sul tavolo le nostre proposte e ci prepariamo a discuterne in modo costruttivo. Noi per esempio siamo favorevoli a un sistema proporzionale con sbarramento alla tedesca e siamo pronti a mantenere l’indicazione del candidato premier prima del voto, in modo che i cittadini possano scegliersi il governo, e non solo il partito. L’importante è uscire dai sistemi rigidi, dalle coalizioni forzose, che in tutti questi anni ci hanno dato governi che non riuscivano a governare. In Germania, quando si va a votare, gli elettori sanno che l’alternativa è tra democristiani e socialisti. Ma sanno anche che in caso di necessità può accadere che si faccia la grande coalizione».

Com’è accaduto in Italia?
«Zitto! Non lo sa che in Italia certe cose non si possono ancora dire?».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438398/
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« Risposta #43 inserito:: Aprile 19, 2012, 11:50:33 pm »

di SILVIO BUZZANCA

I progetti di Casini e l'altolà del Pdl sui tecnici in politica


Maggioranza senza pace. L'ultima scossa arriva, paradossalmente, da Casini, il più deciso sostenitore di Monti nel trio ABC (Alfano Bersani Casini, appunto). Il leader dell'Udc ha evocato l'adesione di ministri tecnici al Partito della Nazione che si accinge a lanciare. E dal Pdl è scattato l'avvertimento a fermarsi per non mettere in pericolo la natura appunto "neutrale" dell'esecutivo in carica da novembre.
   
La crescita tornerà solo nel 2013. Mario Monti, presentando il Documento di economia e finanza, parla in maniera molto cruda della situazione economica. Un'analisi impietosa confermata dai documenti di diversi centri studi. La politica però sembra più impegnata a litigare sull'assegnazione delle frequenze televisive. Mediaset, infatti, è partita all'attacco della decisione del governo di abolire il beauty contest e di mettere all'asta le frequenze.  L'immediata ricaduta politica è la cancellazione della colazione fra Monti e Berlusconi prevista per oggi.
Palazzo Chigi ha fatto sapere che a chiedere il rinvio è stato proprio il Cavaliere, preoccupato di dare l'immagine di salire a Palazzo Chigi per discutere degli affari personali. Non voglio, spiega l'ex presidente del Consiglio, "alimentare polemiche ed evitare o prevenire insinuazioni malevole su questioni inerenti le frequenze televisive". Monti però fa sapere che la questione è chiusa e che "il governo ha preso una decisione che come premier appoggio e difendo". E quindi l'asta si farà alle condizioni dettate dal ministro Passera.

Intanto continua a tenere banco lo scandalo-Lega. L'ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito ha restituito undici lingotti d'oro e un tesoretto di diamanti che sarebbero stati acquistati da Rosy Mauro e dal senatore Piergiorgio Stiffoni. La vicepresidente del Senato replica che ha acquistato tutto con i suoi risparmi. Spuntano dossier contro Roberto Maroni e i suoi fedelissimi. Li ha ordinati Belsito e, denuncia l'ex ministro dell'Interno, sono stati pagati con i soli della Lega. Lo stesso Belsito - ed è un'ammissione potenzialmente devastante per i rapporti interni allo stato maggiore del Carroccio - ammette che l'operazione di dossieraggio era a conoscenza di Bossi.

da - http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRBP-3
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« Risposta #44 inserito:: Agosto 12, 2013, 09:10:16 am »

L'intervista

Casini: «Serve un nuovo bipolarismo Ora convergenze in nome del Ppe»

Il leader centrista: «Berlusconi darà le dimissioni. Conosco la sua intelligenza, eviterà l'umiliazione di un voto»


Onorevole Casini, Ernesto Galli Della Loggia, sul Corriere, chiede a voi moderati non di sinistra di avere il coraggio di unirvi al Pdl e di rappresentare la «destra», ora che Berlusconi è destinato ad uscire di scena. Raccoglie l'appello?

«Che la democrazia dell'alternanza sia un fatto positivo in ogni Paese è innegabile. Ma se in Italia, dopo 20 anni, non ha funzionato un bipolarismo temperato, con un minimo comune denominatore tra i due poli, è stato proprio per la duplice criminalizzazione, di Berlusconi e dei comunisti.
Si è preferito "non fare prigionieri" e così si è persa una grande occasione».

Non è responsabile anche il centro che ha deciso, nelle ultime elezioni di non schierarsi?
«Chi è senza peccato scagli la prima pietra, e forse è il caso che tutti ci asteniamo dalla tentazione. Ma un cattivo risultato non significa negare le nostre buone ragioni. La scorsa legislatura la sconfitta della destra è stata dovuta al fallimento del loro governo. E a sinistra hanno pervicacemente voluto l'alleanza con Sel, che si è infranta addirittura sul voto del capo dello Stato...».

Insomma, non è verso di voi che si deve puntare il dito...
«Ho cercato di moderare il centrodestra dall'interno, fino alla svolta del Predellino. Poi ho ritenuto più coerente una testimonianza solitaria.
Ma va detto che se abbiamo vissuto un bipolarismo sbracato è anche per responsabilità di un Pd che, esclusa la parentesi veltroniana, non ha mai voluto avere "nemici" a sinistra. E anche oggi il fatto che Renzi sia diventato l'icona di Sel e di chi vuole sfasciare il governo Letta, deve far pensare».

Ma oggi appunto il quadro è cambiato: la condanna di Berlusconi lascia oggettivamente un vuoto a destra. Siete pronti a muovervi in quella direzione?
«Siamo pronti ad assumerci la responsabilità di scegliere. Ma oggi il Pdl non può sprecare l'occasione scegliendo una deriva avventurista».

Lei si è detto convinto che Berlusconi alla fine darà le dimissioni da senatore, lo pensa ancora?
«Sì, perché conosco la sua intelligenza e so che il presidente più longevo del Dopoguerra eviterà l'umiliazione di un voto che, al Senato, lo vedrebbe pesantemente sconfitto. Mi rendo conto che per lui è una prova dura, ma solitamente nelle circostanze difficili dà il meglio di sé. D'altronde è lui che ha chiesto di separare le sue vicende giudiziarie da quelle del governo, e che continua a sostenere Letta. Se dobbiamo andare verso il bipolarismo del futuro, e creare nuove convergenze in nome delle comuni appartenenze europee del Ppe, l'atteggiamento politico del Pdl in questo momento non può avere equivoci».

Insomma, se il Pdl sceglie la via del sostegno al governo potreste ritrovarvi presto insieme? Siete già in contatto con i vertici del partito?
«In questo momento è giusto e doveroso che il Pdl si stringa accanto a Berlusconi, gli dia la massima solidarietà. Poi è chiaro che dovrà aprirsi una riflessione in tutto il partito: so che alcuni stanno già pensando a come rimettersi in marcia, vedremo i fatti e le scelte».

Intanto però il Pdl chiede «agibilità politica» per il suo leader. Voi siete disponibili a qualche passo, qualche soluzione per venirgli incontro?
«Ci sono temi che sicuramente andranno affrontati, a partire dalla riforma della giustizia. Non parlo della sentenza della Cassazione, ma ho sempre detto e lo ribadisco che un certo accanimento giudiziario nei confronti di Berlusconi è difficile da negare. Ma se non si è fatta la grande riforma della giustizia, pur in presenza di una maggioranza enorme del centrodestra, è stato perché si è preferito inseguire, in modo disarmonico e spezzettato, i singoli procedimenti giudiziari in cui è stato coinvolto Berlusconi ».

Ma cosa fare nell'immediato per garantire, appunto l'«agibilità politica» per Berlusconi?
«Io sinceramente non capisco bene di cosa si stia parlando. Il tema della sentenza di Berlusconi non è eludibile. Bisogna prendere atto, con rispetto e senza giudizi sprezzanti, che la sentenza c'è stata e che avrà i suoi effetti. A parte che pretendere in questo momento la grazia o provvedimenti speciali serve solo a non ottenere nulla, ma concretamente, non vedo cosa ci si potrebbe inventare. Oltretutto, qualsiasi provvedimento parlamentare dovrebbe passare là dove il Pd ha una larga maggioranza: un Pd che è impensabile possa agire sfidando sentimenti, convinzioni e umori della propria base».

E se la soluzione fosse la discesa in campo di Marina Berlusconi?
«Il problema non sono le persone. Per mesi abbiamo chiesto a personalità influenti della società civile di partecipare, abbiamo esortato, pregato, figurarsi se mi scandalizza l'idea che una brava imprenditrice possa impegnarsi. Ma il punto è su quale linea politica si scende in campo».

Non teme che troppi nodi non sciolti per il Pdl, compreso quello sull'Imu, possano davvero portare a elezioni anticipate?
«Le elezioni anticipate non le indice il Pdl, ma Napolitano. Il quale ha detto e ripetuto che con questa legge non si va a votare. Quindi - in caso di crisi - si cercherebbe di formare un nuovo governo che, dovrebbero capirlo gli amici del Pdl, non sarebbe certo un ricostituente... Detto questo, è vero che il governo è nato anche sull'accordo per superare l'Imu nell'attuale forma, su questo nel Pdl hanno ragione. E sono possibili anche soluzioni intelligenti, come quella di una service tax che piace anche a un loro sindaco come Cattaneo. Un accordo andrà necessariamente trovato».

12 agosto 2013 | 7:53
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Paola Di Caro

da - http://www.corriere.it/politica/13_agosto_12/intervista-casini-serve-nuovo-bipolarismo-convergenze-in-nome-del-ppe-dicaro_01ba7f16-0312-11e3-a0a3-a0e457635e2f.shtml
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