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Autore Discussione: GIOVANNA CASADIO. -  (Letto 19369 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Gennaio 06, 2013, 11:27:44 pm »

Pd, ancora scontri per le liste nelle regioni.

I 'montiani': "Tenuti fuori deliberatamente"

Si moltiplicano gli appelli per non essere estromessi dalla quota nazionale.

Trattative agli sgoccioli: martedì le candidature saranno votate dalla direzione 

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - "Esclusi deliberatamente e definitivamente": i montiani del Pd si sentono discriminati. Sono sul piede di guerra. Del gruppo che nel luglio scorso lanciò l'appello per l'Agenda Monti, Bersani ne ha accolti nelle liste pochissimi. Per l'esattezza, oltre a chi ha partecipato e vinto le primarie per i parlamentari, solo due: Giorgio Tonini e Paolo Gentiloni. Qualcuno potrebbe essere tentato di saltare il fosso e raggiungere Pietro Ichino, che è stato il primo di quel drappello a passare con Monti? Stefano Ceccanti si limita a commentare che l'unica cosa di cui è certo è di non essere in nessuna lista.

IL CASO MILANO "Tagliate i posti garantiti"

Neppure il renziano Andrea Sarubbi sarà ricandidato: "Sono una presenza scomoda". Ha rifiutato un posto in lista in Emilia Romagna, Salvatore Vassallo, altro renziano che alle parlamentarie si era piazzato male e a cui era stato proposto di essere ora al trentesimo posto. Fuori è il braccio destro di Renzi, Roberto Reggi che si dice "amareggiato".

 Ci sono ancora margini di trattativa, nelle ore frenetiche in cui il Pd sta completando le liste. Martedì le candidature saranno votate dalla direzione nazionale. Prima a consegnare è stata l'Emilia Romagna. Il segretario democratico Stefano Bonaccini è riuscito a completare il puzzle, componendo i conflitti: i capilista sono Dario Franceschini alla Camera (dove in posizione sicura ci sono anche Sandra Zampa e Paolo Bolognesi) e la canoista olimpica Josefa Idem (seguita dal sindaco di Crevalcore, il paese più colpito dal terremoto, Claudio Broglia).

Bersani punta soprattutto a mostrare che i Democratici sono un partito plurale, non schiacciato solo a sinistra, e perciò del tutto competitivo con Monti. In funzione anti-montiana in Piemonte il Pd vuole candidare Mariella Enoc, presidente di Confindustria regionale, cattolica, che non ha ancora sciolto la riserva. Potrebbe essere capolista a Camera 2, o passare davanti all'ex ministro Cesare Damiano a Torino.

Ma dalla Sicilia al Friuli all'Umbria e alla Liguria, i Pd regionali sono in rivolta. Troppi paracadutati dal "listino" dei garantiti (cioè la quota nazionale decisa dal segretario, extra primarie), a cui bisogna fare spazio in testa di lista. "Sfoltire il "listino"", è la richiesta via blog di Pippo Civati, il consigliere lombardo, vincitore delle primarie nel collegio di Monza e in pole position per la Camera. In Sicilia c'è poi un'insurrezione, tanto che dopo l'ennesima trattativa romana è saltato il quadro dei capilista (con l'eccezione di Bersani a Palermo). Nonostante il braccio di ferro ingaggiato dal segretario regionale, Giuseppe Lupo la tensione è altissima.

Come in Umbria, dove il Pd locale manda a dire che quattro candidature romane sono troppe. Respinge inoltre le dimissioni del segretario Bottini, sconfitto alle primarie. Aggrovigliata la situazione in Friuli, dove la segretaria democratica Debora Serracchiani è sotto attacco dei Popolari e dove si cerca di recuperare Carlo Pegorer, nonostante il risultato delle primarie. A sorpresa, in Abruzzo l'ex presidente del Senato Franco Marini rinuncia a essere capolista per Palazzo Madama e lascia il passo a una donna, Stefania Pezzopane, l'ex presidente della Provincia dell'Aquila.

Così come Beppe Fioroni, leader dei Popolari, seguirà, nella circoscrizione Lazio 2, la capolista Donatella Ferranti. La Liguria protesta: la direzione regionale democratica chiede "meno esterni" e rinvia la definizione delle liste. In Toscana, il cantiere-candidature è aperto: circola l'ipotesi che il passo indietro di Andrea Manciulli ("Il posto di capolista è a disposizione") sia per lasciare spazio a Riccardo Nencini, il leader del Psi.

Si moltiplicano gli appelli per non essere estromessi dalla quota nazionale. Per Paola Concia si mobilitano personalità dello spettacolo e della cultura, da Mario Pirani, Stefano Rodotà, Lucia Annunziata a Mara Vernier, Michela Murgia. Un appello anche per recuperare Vannino Chiti, ex vice presidente del Senato. Appello dei sindaci vicentini per Stradiotto; sottoscrizione per non lasciare fuori la senatrice Silvia Della Monica.

Sul tavolo del segretario del Pd arriva ieri anche una richiesta da Pantelleria: in Parlamento ci vuole un rappresentante delle isole minori. Il nome segnalato è Salvatore Gino Gabriele. La richiesta è dei sindaci delle isole, a cui si sono aggiunti Vincenzo Visco e altri panteschi d'adozione, Carole Bouquet, Isabella Ferrari, Fabrizio Ferri. Inoltre, Renzi sta completando l'elenco dei suoi 17, tra esclusioni (oltre a Reggi, fuori anche Da Empoli) e new entry.

(06 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/06/news/pd_ancora_scontri_nelle_regioni_per_le_liste_i_montiani_tenuti_fuori_deliberatamente-49977600/?ref=HRER2-1
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« Risposta #16 inserito:: Marzo 10, 2013, 11:18:08 am »

Monti in pole per guidare il Senato.

Dubbi del Colle sul premier ad interim

Se il Professore sarà presidente a Palazzo Madama, ipotesi governo affidato Cancellieri o Grilli.

Saranno forse Moretti e Gotor gli "ambasciatori" inviati a dialogare con i 5Stelle

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - "Andiamo avanti con i fari anabbaglianti nella nebbia...". Bersani e Enrico Letta usano questa metafora. Il segretario del Pd e il vice (d'accordo con Dario Franceschini) sono per la strategia "un passo per volta". E, passo dopo passo, il centrosinistra sta tessendo l'incerta tela che dovrebbe consentirgli di governare. Una "mission" che Bersani stesso sa essere difficilissima. Tuttavia, ragiona, "il paese su cui pesa l'incognita-economia, non può restare senza guida, e quindi qualsiasi tentativo va perseguito fino in fondo". Tira dritto, senza dare peso alle bordate di Renzi.

Resta più che mai convinto, il segretario democratico, della necessità di coinvolgere Grillo in quel "governo del cambiamento" con lo scopo di portare a casa alcune riforme che diano ossigeno all'Italia e ricuciano il rapporto tra cittadini e politica. In questo senso va inquadrata l'offerta della presidenza di una Camera ai 5Stelle. Non uno scambio di poltrone, ma una prova di "corresponsabilità". Domani sera, o martedì al più tardi, potrebbe già esserci l'incontro tra Pd e grillini. Non a caso nell'assemblea dei neo eletti democratici, convocata nel primo pomeriggio di domani al teatro Capranica, potrebbero essere indicati i due "ambasciatori": un deputato e un senatore. Forse Alessandra Moretti e Miguel Gotor, o Maurizio Migliavacca. Migliavacca, il capo della segreteria di Bersani, non vuole si facciano nomi: "Tanto sono tutti sbagliati. Piuttosto quell'assemblea va raccontata: 420 parlamentari, mai così tanti di uno stesso partito dai tempi di De Gasperi".

E se Grillo, come tutto lascia prevedere, risponde picche al Pd? Allora l'intenzione di Bersani è di mantenere ai democratici la presidenza di Montecitorio, che dovrebbe essere affidata a Franceschini, e offrire la presidenza del Senato a Mario Monti. Che il Pd stesse lavorando a un accordo con i montiani era "nelle cose". Vendola non avrebbe obiezioni a un ruolo istituzionale per il premier uscente. Certamente al centrosinistra è preclusa la strada degli approcci con il Pdl. Per ragioni politiche serie. Bersani l'ha ripetuto in tutte le lingue, che non si fanno patti con chi ha pensato di sovvertire il risultato delle urne comprando senatori, durante il governo Prodi. Eleggere alla presidenza di Palazzo Madama un pidiellino poi, significherebbe configurare una maggioranza di governo di quel tipo. Escluso. Dell'esperienza del 2006, resta anche un altro insegnamento, che il leader democratico fa suo, rilanciando: "Non faremo l'asso pigliatutto, non terremo per noi entrambe le presidenze delle Camere, né le presidenze delle commissioni". In gergo politico, si dice "governance plurale", ed è la proposta che illustrerà domani dall'assemblea degli eletti.

Su Monti alla presidenza del Senato però ci sono i dubbi del Quirinale. Non è poca cosa. Monti dovrebbe lasciare subito Palazzo Chigi, e allora bisognerebbe nominare un premier ad interim. Mai accaduto. Non è vietato, però. Addirittura circolano già i nomi per l'interim: Anna Maria Cancellieri, il ministro dell'Interno; Corrado Passera, il responsabile dello Sviluppo, o il ministro dell'Economia Vittorio Grilli. In questo scenario, Bersani accetterebbe un incarico esplorativo. Le ipotesi si rincorrono, e descrivono scenari confusi. Una delle voci è che il presidente Napolitano possa dimettersi prima per accelerare una soluzione. A quel punto, Napolitano-senatore a vita potrebbe essere papabile per un governo breve? L'idea è accarezzata dal costituzionalista Michele Ainis, e circola anche in casa democratica tra chi dà per perduto in partenza lo sforzo bersaniano.

Ma è ancora tempo di strategie di Palazzo? La cosa certa è che Bersani vuole andare fino in fondo e evoca i precedenti di governi "di minoranza": uno ebbe la fiducia (Andreotti nel 1976), mentre quello di De Gasperi nel 1953, restò in carica un solo mese e si vide rifiutata la fiducia dal Parlamento. È convinto che i grillini non vogliano tornare al voto e che potrebbero astenersi, così facendo nascere un suo governo. La possibilità invece che i 5Stelle accettino la presidenza della Camera è molto remota. Se così fosse, a guidare l'assemblea del Senato potrebbe essere un democratico che piaccia ai grillini come Piero Grasso. Sono conti senza l'oste: ne è consapevole Bersani. I tassi dei nostri Btp hanno già "mostrato tensioni al rialzo" rispetto a gennaio: e se i tassi esplodessero?

(10 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/10/news/monti_senato-54230400/?ref=HREA-1
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« Risposta #17 inserito:: Marzo 29, 2013, 11:57:09 am »

La fronda del Pd: "Pierluigi troppo ostinato"

I renziani: dovremo assecondare il Colle. Errani: ora tutti uniti sul segretario.

Aria pesante in tutte le aree del partito: "Giochiamo una partita dove non c'è vittoria"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - "Cosa succede nel Pd, adesso? Il partito continuerà ad appoggiare l'impegno di Bersani... voglio vedere chi si alza a dire di no, adesso!". Vasco Errani in questi giorni ha sondato i leghisti, ha tessuto la tela bersaniana e ieri ha parlato a lungo con Matteo Renzi, che era a Roma per l'assemblea dei sindaci. È per il Pd il passaggio più difficile: il partito sotto stress, potrebbe esplodere. "Stiamo giocando una partita dove non c'è vittoria", è la triste riflessione che nelle ore d'attesa prima dell'incontro tra Bersani e Napolitano, circola tra i Democratici. Ma l'ultima mano concessa dal Quirinale al segretario non convince tanti e cresce il numero di chi avrebbe già voluto un "governo del presidente", rassegnandosi all'evidenza: il centrosinistra non ha i numeri al Senato. Senza troppa ostinazione.

I renziani si trattengono a stento. "Non si capisce bene cosa significhi quello che sta accadendo - ragiona Paolo Gentiloni - e mi ripeto: tifo Bersani fino a quando sarà in campo. Però poi, la linea del segretario sarà archiviata dai fatti e il Pd dovrà assecondare in pieno gli sforzi del presidente della Repubblica". L'ennesimo rilancio del leader democratico è un azzardo? Oggi al Colle i Democratici ripeteranno che "altre soluzioni, non a guida Bersani, sono complicate, difficili: non è che un tecnico qualsiasi possa rendere più facile la nascita del governo". La precisazione arriva ieri sera tardi dalla segreteria del Pd. Insieme a quell'altra considerazione che il leader democratico è saldamente in sella al partito.

"Continua la suspense e siamo tutti guardinghi...", ammette Andrea Orlando, uno dei leader della "gauche" del Pd. Nessuno però, neppure tra i "giovani turchi", se la sente di ripetere oggi che l'unica strada - fallendo ormai Bersani - sia il voto. Parte da loro il tam tam sul nome di Fabrizio Barca. Sono molti i nomi che si rincorrono del resto per il "passo B" del Pd. Tra i premier graditi: Saccomanni, Bonino.

Si irrigidisce Davide Zoggia, bersaniano di ferro: "Non si potrebbe del resto avviare una cosa che sia contro la maggioranza assoluta della Camera, rappresentata dal centrosinistra". Marina Sereni, vice presidente della Camera appena eletta, e franceschiniana, esclude ancora che il Pd, il partito di maggioranza relativa, possa imbarcarsi in un'avventura di governo con il Pdl: "Non abbiamo accettato scambi indecenti, grandi coalizioni che sarebbero comunque state guidate dal segretario democratico, e perché ora dovremmo appoggiare un governo con una personalità non nostra?".

Replica Giovanni Legnini: "Ma come possiamo essere irresponsabili, noi?. Abbiamo finora fatto appello al senso di responsabilità di tutti perché conosciamo bene le condizioni del paese". E Gianclaudio Bressa, a cui è toccato ieri il compito di rispondere a Grillo che vorrebbe un Parlamento in funzione senza governo - riconosce: "Come fai a sottrarti a un'ipotesi, qualsiasi questa sia, del presidente? Abbiamo appena detto che il paese è allo stremo e ha bisogno di un governo. Tutto poi, va fatto in fretta, prima che riaprano i mercati".

Renzi intanto scalda i motori. Evidente che nel Pd sta per cominciare la conta, e il sindaco "rottamatore" - come ha già detto - è pronto a candidarsi alla premiership quando si andrà a votare. Non subito: precisa Dario Nardella, l'ex vice sindaco di Firenze, renziano, preoccupato per la strada che il partito ha imboccato, per l'oscillazione tra i 5Stelle e le larghe intese. "Ora siamo davvero al giro di boa - ribadisce Nardella - non c'è da perdere tempo". Anche Francesco Boccia, lettiano, afferma che "occorre affidarsi a Napolitano, che il Pd non può chiudere gli occhi e non decidere, nella malaugurata ipotesi che per Bersani la strada sia impedita davvero".

È Arturo Parisi, l'ex ministro, critico verso il partito, a ricordare: "Forse ci si poteva accorgere subito che andava trovato un baricentro esterno. Il Pd deve elaborare il lutto, prendere atto che la linea tenuta è stata perdente". Cosa succede, quindi? Parisi ironizza: "Qualcosa di molto simile alle vecchie convergenze parallele, in cui forze politiche profondamente diverse convergono parallelamente, come vedersi e dire "Toh, anche tu qui?"". Ricorda che dalle urne i Democratici sono usciti migliori perdenti: probabilmente la via di un "baricentro esterno" sarebbe stata da intraprendere subito.

Laura Puppato riconosce: "Prendiamo atto che i numeri non ci sono, e a questo punto facciamo un passo di lato, però ci auguriamo che ci si renda conto che il paese non può attendere". Puppato, che è tuttora ufficiale di collegamento tra il Pd e i 5Stelle, pensa a un governo "con una figura tecnica o politica", purché ci sia.

(29 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/29/news/fronda_pd-55561889/?ref=HREA-1
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« Risposta #18 inserito:: Aprile 07, 2013, 06:24:40 pm »

Tensione nel Pd, pressing dei big su Bersani: "Non si può insistere solo sul tuo nome

L'assalto delle correnti dai renziani ai Giovani turchi: "Nel partito bisogna aprire una fase 2".

Il segretario accusato di riunirsi nel bunker.

E Veltroni gli rinfaccia: nel 2009 fui costretto a lasciare la segreteria

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Da qualche giorno le riunioni di Bersani con i collaboratori più fidati - Migliavacca, Errani, Zoggia - sono soprannominate "il bunker". Dov'è Bersani? Nel bunker: è la risposta aspra che, con un sorrisetto, i Democratici consegnano ai cronisti. Nel "bunker" si decide la linea, che è quella di andare fino in fondo verso il "governo di cambiamento" guidato dal segretario. Ma fuori dal bunker, si salda un fronte di correnti e di dirigenti del Pd pronti ad archiviare le mosse bersaniane: non c'è solo un governo Bersani, va aperta una fase 2.

Matteo Renzi, il "rottamatore" è in campo, apertamente e le bordate alla linea di Pierluigi Bersani sono quotidiane. Ma pure Dario Franceschini ha tratto il dado. Sostiene, l'ex segretario, che è tempo di prendere atto che Berlusconi ha milioni di voti, un'intesa con il Pdl va trovata, e soprattutto che ci vuole "un governo di transizione". Un modo per dire a Pierluigi e al suo entourage, che intestardirsi non vale e che è tempo di abbandonare il "piano A", cioè il governo del cambiamento, dal momento che i numeri non ci sono e non ci saranno.

Lo smottamento è in atto. Benché i bersaniani neghino, minimizzino, raccontino dei contatti continui tra Dario e Bersani, il Pd è alla svolta forse più drammatica dei suoi 7 anni di vita e della sua scommessa politica, che è stata quella di unire ex Pci ed ex Dc, immaginando un partito popolare progressista.

Enrico Letta, il vice, difende Franceschini. Ritiene che Dario non abbia affatto preso posizione contro Bersani, ma stia tentando di spostare un po' in avanti la timidezza del mondo bersaniano. L'"arroccamento", dicono i renziani. "La mia lealtà a Pierluigi è piena", ha ripetuto Letta. Che però, se il governo del cambiamento non si potesse fare, allora pensa a un governo del presidente. Si racconta di un D'Alema, che di Bersani è stato il "grande elettore" alla segreteria, in dissenso totale con la ridotta in cui si trova oggi il Pd. Comunque, D'Alema è negli Usa, già alla scorsa Direzione del partito aveva dato forfait per impegni all'estero.

Veltroni è stato subito per un'altra rotta: il governo del presidente. E ha ricordato pubblicamente, con perfida bonomia, che a costringerlo a lasciare la segreteria del Pd nel 2009, dopo la sconfitta del centrosinistra alle regionali in Sardegna (e il Pd era al 33%), fu proprio Pierluigi... Insomma, la ruota gira: con il partito al 25% e lo stallo politico, Bersani veda un po'. Fioroni, leader dei Popolari, è fan delle larghe intese. A fare cerchio attorno al segretario sono ora i "giovani turchi". "Un'area elastica", la definisce Stefano Fassina, che ne fa parte ma non ha condiviso alcune fughe in avanti, come il documento dell'altroieri che chiede la costituzione subito delle commissioni parlamentari. "Troppi posizionamenti... non siamo mica un'armata Brancaleone, stiamo andando un po' oltre, uno si sveglia e fa una cosa. Sono un bersaniano "senza se e senza ma", però comprendo che se Pierluigi non va a Palazzo Chigi, una fase sarà finita. È fisiologico".

Rincara Francesco Verducci: "L'ipotesi di larghe intese non risolve lo stallo, lo aggrava. Si lavora per Bersani pancia a terra". Un altro dei leader della "gauche" del Pd, Matteo Orfini è sarcastico: "Quello che ha detto Dario? Irrilevante. Finirà in minoranza in Direzione. Certo ne discuteremo, laicamente, sia di quanto afferma Franceschini che di quanto sostiene Renzi. Con il Pdl non si fa nessun accordo". La "gauche" e i liberal renziani si trovano a sorpresa sulla stessa lunghezza d'onda: "Nel partito troppi hanno paura delle urne", ripetono. Loro, no. A temere un collasso del Pd è il sindaco di Bologna, Virginio Merola, per il quale gli strattoni dei renziani e quelli dei "giovani turchi" rischiano di provocare un crollo, una falla insanabile. Lo spettro della scissione, evocato spesso a sproposito, non è mai stato così concreto. 

(07 aprile 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/04/07/news/tensione_nel_pd_pressing_dei_big_su_bersani_non_si_pu_insistere_solo_sul_tuo_nome-56106057/?ref=HREA-1
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« Risposta #19 inserito:: Settembre 03, 2013, 10:02:50 am »

   
Pd, un terremoto scuote le correnti: gli ex pci non controllano più la "ditta"

Bersani verso il sostegno a Cuperlo. Marini rompe con Areadem. Bindi per ora non sceglie con chi stare.

L'ironia di Civati: contro l'intesa Dc-Renzi

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Per capire lo choc in casa democratica, bisogna andare indietro di quattro anni, quando Dario Franceschini tifava per Lapo Pistelli a Palazzo Vecchio e invece il "rottamatore" Renzi - allora senza ambizioni di leader nazionale - vinse a man bassa e diventò sindaco di Firenze. E chi l'avrebbe detto che il cattolicodemocratico Franceschini avrebbe proprio lui aperto la breccia renziana alla scalata del Pd? È uno scossone, qualcuno parla di terremoto. Non solo perché scompagina le correnti del partito e rompe una maggioranza interna bersanian-franceschiniana-lettiana consolidata, ma soprattutto perché, per la prima volta, gli ex comunisti rischiano di perdere il controllo della "ditta". Renzi, il cattolico ex Margherita, è super favorito. A contendergli la segreteria per ora sono in tre - il dalemiano Gianni Cuperlo, l'outsider Pippo Civati, Gianni Pitella - che messi insieme, dice Beppe Fioroni, non fanno il 20% di consensi.

A restarci male, anzi malissimo, è Pierluigi Bersani. Ancora davanti ai primi lanci di agenzia, il bersaniano Nico Stumpo nicchiava: "Vediamo, non dice proprio che appoggia...". Il punto è che dopo la sfida delle primarie del 2009 (in cui Bersani batté Franceschini e diventò segretario), i due, entrambi emiliani, si erano presi bene. In nome della mescolanza delle culture di provenienza - comunista l'uno, democristiano l'altro - hanno costruito un buon tratto di Pd. Insieme con Enrico Letta. Il premier è stato informato dell'endorsement che l'amico ministro stava per compiere. Pare abbia dato il placet e i lettiani, pur restando per ora alla finestra come il loro presidente del Consiglio, si adegueranno. Ovvio che poi nulla è pacifico come lo si racconta.

Basta zoomare sulla stessa corrente di Franceschini, Areadem, per trovare uno sfarinamento. Franco Marini, storico leader dei Popolari, che in Franceschini ha avuto il suo pupillo, è poco convinto. Renzi ha offeso Marini (e non l'ha votato per il Quirinale) e Marini ha picchiato duro contro Renzi. Avvisaglie di avvicinamento comunque c'erano. Antonello Giacomelli, franceschiniano, una settimana fa aveva annunciato di appoggiare il renziano Dario Parrini per la segreteria toscana del partito. Ma nel rimescolamento delle carte a perdere pezzi sono i bersaniani. Bersani ha cercato un candidato anti Renzi che raccogliesse un'ampia maggioranza interna. Non lo ha trovato e ora, se non vuole rimanere isolato, darà i suoi voti a Cuperlo. Fino a qualche settimana fa, i bersaniani avevano tentato di convincere Cuperlo a fare un passo indietro; avevano anche saggiato l'ipotesi di gettare nella corsa Stefano Fassina; avevano ipotizzato la candidatura di Letta prevedendo una fine imminente della legislatura. Una costola bersaniana, guidata dal segretario emiliano Bonaccini, è diventata renziana. Cuperlo, che ha in D'Alema e nei "giovani turchi" i suoi sponsor, corteggia da tempo Bersani. La sinistra ex Pds-Ds si ricostituirebbe in una minoranza.

Ma quanto è contento Renzi dell'abbraccio dei big? Molto poco: "Non mi imprigioneranno...", ha ripetuto. Il "rottamatore" sa che la sua forza sta nella lontananza dalla nomenklatura, e tuttavia se vuole guidare il partito ha bisogno di alleanze. Da tempo i renziani denunciano il pericolo che "tanti nel Pd per opportunismo vogliano salire sul carro di Matteo". Dario Nardella avverte: "Non è che oltre la rottamazione c'è il riciclaggio, Matteo non farà mai accordi, patti alla vecchia maniera". E' a un Pd federale che Renzi pensa.

Infine c'è Rosy Bindi, che oggi scioglierà la riserva e indicherà il suo candidato alla segreteria. Fioroni parla di "candidato unico, se Renzi ha l'80% non ce ne sono altri...". Però un abbraccio tra Fioroni e Renzi è assai complicato, e Fioroni sarebbe sul punto di passare dall'altra parte, con i profughi del Pdl e i centristi, quando lo scacchiere politico si sarà del tutto scompaginato. Cautela di Alessandra Moretti e del gruppo dei "non allineati". Ironie del "turco" Orfini ("Rivoluzione Renzi con Franceschini, Fassino, Fioroni, Veltroni, Bettini... bel congresso"); impegno di Civati: "Contrasterò le larghe intese dc-Renzi".

(03 settembre 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/09/03/news/pd_terremoto_correnti-65779890/?ref=HREC1-2
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« Risposta #20 inserito:: Marzo 16, 2014, 06:03:05 pm »

Assist, dialogo e complimenti
E' disgelo tra D'Alema e Renzi

Per l'ex premier l'ipotesi di fare il commissario Ue. Partito in fermento per le candidature alle Europee. Prodi: "E' lì che si gioca il governo"

di GIOVANNA CASADIO

ROMA — Di un patto tra i due si parla da tempo. Ma il “rottamatore” e il “rottamato”, Matteo Renzi e Massimo D’Alema hanno un certo pudore ad ammettere il feeeling. Più che di feeling in verità si tratta di una reciproca convenienza. Per questo entrambi si sono tolti l’elmetto. Il premier deve convincere l’Europa che l’Italia ha davvero “cambiato verso” e ha bisogno che la squadra socialista sia sulla palla nella partita anti austerity. Chi meglio del lìder Massimo — presidente della Fondazione europea degli studi progressisti (Feps), nel board del Pse, ex premier, ex ministro degli Esteri, amico di vecchia data di Martin Schulz, in buoni rapporti con Francois Hollande, con i socialdemocratici tedeschi — può svolgere questa missione. Per questo Renzi si sta convincendo che indicare D’Alema come commissario Ue è la strada migliore, più che puntare su Enzo Moavero, l’altro nome in pole position. Mentre Enrico Letta potrebbe rientrare in gioco, solo se si ricucisse il rapporto con Renzi.

D’Alema dal canto suo ha espresso negli ultimi giorni alcuni misurati apprezzamenti nei confronti del premier: «Abbiamo opinioni diverse ma si può lavorare insieme per obiettivi condivisi». E, ciliegina sul feeling, martedì sarà Renzi a presentare il libro di D’Alema “Non solo euro”.

«Ci sentiamo spesso — aveva spiegato il presidente di Feps e di “Italianieuropei” — e il mio libro Matteo lo ha letto in bozze». Apprezza, D’Alema, l’adesione al Pse del Pd, dopo polemiche durate anni, che il segretario ha spazzato via e condotto in porto velocemente. Poi c’è una questione di buonsenso — ha fatto sapere — e cioè che «questo governo va sostenuto». Quasi un mantra. Di certo una presa di distanza dal “correntino”, la minoranza del partito oggi scompaginata dal ciclone-Renzi. Un altro indizio del patto tra i due è nella mano che l’ex premier avrebbe dato a Renzi sull’Italicum, la nuova legge elettorale. Sarebbe stato D’Alema a convincere i più riottosi della minoranza dem a bocciare quell’emendamento sulla doppia preferenza presentato da Gregorio Gitti e affossato per una manciata di voti. Se fosse passato, l’intesa sulla riforma elettorale con Berlusconi sarebbe saltata immediatamente.

Il clima nel Pd è cambiato. Persino Roberto Gualtieri, amico di D’Alema, europarlamentare, autore di quell’emendamento al fiscal compact a Strasburgo che ha reso possibile un margine di flssibilità, apprezza la strategia del neo premier: «Ci sono degli spazi effettivi di flessibilità in Europa che Renzi ha colto bene e resi possibili se si avvia un programma di riforme e di crescita». Enrico Letta, è il giudizio, su questo si è mosso con troppa acquiescenza. Comunque a sostenere la candidatura di D’Alema alla commissione sono già alcuni renziani. Lorenzo Guerini, l’uomo a cui il segretario-premier ha affidato il partito, si limita a dire che «avrebbe tutte le carte in regola». Ettore Rosato, renziano, lo sponsorizza: «Per un commissario Ue ci vuole autorevolezza, è il fattore indispensabile e di certo Massimo l’autorevolezza ce l’ha». E poi c’è il bersaniano Stefano Fassina, ex ministro dell’Economia del governo Letta che afferma: «D’Alema sarebbe la persona giusta, ha un grande riconoscimento in Europa, non solo tra i socialisti ma anche nelle altre famiglie politiche». Entro luglio il governo deve sciogliere il nodo sul candidato commissario. Ma in queste ore sono già approntate le liste. La voce di un candidatura di Renzi come capolista per Strasburgo è seccamente smentita da Guerini.

Non sarà facile tuttavia dare un po’ d’appeal al voto per le europee. Romano Prodi le considera decisive: «È lì che si gioca il governo». Per ora candidata dovrebbe essere l’ex ministra Kyenge, Paolo De Castro nel nord est; nel Sud è capolista Emiliano; al Nord Stefano Boeri, e nelle Isole tra gli altri si pensa a Renato Soru, Giuseppe Lupo; Giusi Nicolini. Entro la fine del mese le liste saranno completate, mentre la settimana prossima sarà convocata la direzione per il nuovo organigramma del Pd, allargato alla minoranza. Disponibilità di “giovani turchi” e dalemiani a co-gestire il partito.

© Riproduzione riservata 15 marzo 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/03/15/news/assist_dialogo_e_complimenti_e_disgelo_tra_d_alema_e_renzi-81045585/?ref=HREC1-7
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« Risposta #21 inserito:: Agosto 29, 2015, 10:27:55 am »

Prodi: "Su Italia e Berlusconi Renzi si è sbagliato. Riforme? No a interventi sguaiati"
Prodi, a Capalbio per un premio, rivendica il ruolo dei suoi governi: quel ventennio non fu tutto "in pausa".
Sulla Costituzione: "La seconda parte non ha funzionato bene, però non mettiamoci mano in modo scoordinato".
Stoccata sulle tasse: "Se ne discute solo su Twitter e si promette tutto a tutti"


Dal nostro inviato GIOVANNA CASADIO
29 agosto 2015
 
 CAPALBIO - "Renzi parla di vent'anni di stallo tra berlusconismo e anti berlusconismo? Allora 'l s'è sbaiè ... ". Romano Prodi lo dice in dialetto emiliano. Il Professore evita accuratamente polemiche con il governo ("Chi deve governare credo che vada lasciato in pace"), però quando ci vuole, ci vuole. Difende i suoi due governi e quello che hanno fatto.

E anche sulla riforma costituzionale, su cui il premier tiene premuto l'acceleratore, avrebbe più di qualcosa da dire. "Mi pare però che non sia il momento delle riflessioni serene - premette - da rivedere e da ripensare c'è tanto. Ma oggi ci si muove per contrapposizioni e così non riusciremo a fare una riforma seria. Occorre vedere cosa fare e cosa no. La prima parte della Costituzione ha validità totale, la seconda non ha funzionato bene. Però non mettiamoci mano in modo sguaiato e scoordinato, perché non si arriverebbe a capo di nulla. Ritengo che per questa modifica ci vorrebbe del tempo" (...)

Punto sul vivo sull'attività dei suoi governi, i vent'anni alle nostre spalle e quel giudizio errato di Renzi, precisa: "Il debito pubblico si è formato prima degli anni '90 e tutti e due i miei governi l'hanno abbattuto. Le disfunzioni quindi sono cominciate prima ". Un "affondo" lo riserva sulla questione delle tasse. "Un tempo si facevano analisi politiche serie per valutare tra l'altro dove destinare le imposte, se sulla sanità o sul welfare". Ora? "Se c'è chi ti impedisce l'analisi è Twitter".

L'ARTICOLO INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA O SU REPUBBLICA+

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29 agosto 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/08/29/news/prodi_su_italia_e_berlusconi_renzi_si_e_sbagliato_riforme_no_a_interventi_sguaiati_-121815774/?ref=HREC1-1
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« Risposta #22 inserito:: Marzo 10, 2016, 06:04:16 pm »

Spaccatura nella maggioranza: i senatori del Pd contro la riforma delle Bcc
Missiva al governo sottoscritta da Massimo Mucchetti e altri parlamentari dem.
Riprese le critiche di Federcasse e Bankitalia sul progetto di holding unica e sulla possibilità di sfilarsi per le casse che raggiungano 200 milioni di patrimonio.
"Errore trasformare le Bcc in Spa, si darebbe ai soci pieno possesso delle riserve"


Di GIOVANNA CASADIO e RAFFAELE RICCIARDI
10 marzo 2016

Anche i senatori del Pd chiedono correttivi alla riforma delle Bcc, mettendosi in scia a quanto rilevato da Bankitalia e dalle stesse casse cooperative nei giorni scorsi. Una lettera sottolinea i punti deboli dell'intervento del governo, che prevede in buona sostanza la creazione di una holding unica per le Bcc, che vi dovranno aderire versando un capitale complessivo di 1 miliardo di euro. E' però prevista la nota way-out, ovvero la possibilità di sfilarsi da questo schema per le Bcc che abbiano almeno 200 milioni di patrimonio. La lettera è indirizzata al premier Renzi, a Maria Elena Boschi nella sua veste di ministro per i Rapporti con il Parlamento e al capogruppo dem Luigi Zanda. E' l'altolà di venti senatori del Pd capitanati da Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria di Palazzo Madama, al disegno di legge sulle banche così come è stato scritto dal governo, soprattutto per quanto riguarda le banche di credito cooperativo, finite nel mirino negli ultimi mesi. "Inaccettabile" è la parola chiave per dire che il governo non pensi di mettere la fiducia al testo che uscirà da Montecitorio, soprattutto se la Camera non apporterà le modifiche indispensabili. A sottoscrivere il dissenso sono senatori bersaniani come Doris Lo Moro, Maurizio Migliavacca, Miguel Gotor e della sinistra dem tra cui Cecilia Guerra, Lucrezia Ricchiuti. Ma anche battitori liberi come Walter Tocci, Felice Casson, Sergio Lo Giudice. È un altro fronte aperto nelle file del Pd e rischia di scoperchiare un calderone di polemiche e di interessi contrapposti.

Il testo della missiva
La prima "lacuna" tecnica sottolineata dai senatori dem sta a monte: "Riguarda le modalità con cui le Bcc possono costituire il capitale della holding. Il ddl non precisa se la holding debba essere capitalizzata per contanti o attraverso il conferimento di asset. Non funziona. Bisogna scegliere, e scegliere bene", si legge nella missiva. "Con il versamento in contanti, la holding sarà forte, basata su valori non discutibili. Un miliardo liquido, d'altra parte, rappresenta una somma rilevante per le Bcc. Avremo perciò una holding sola e un gruppo unico di credito cooperativo, aperto al capitale finanziario nella holding, che è una Spa, ma non scalabile. Ridurre a 5-600 milioni il capitale della holding e ammettere la sua sottoscrizione attraverso il conferimento di asset (immobili soprattutto, ma anche partecipazioni) favorirebbe la moltiplicazione di holding per lo più illiquide e di gruppi di credito cooperativo per lo più deboli. Alla prima difficoltà, le Bcc dovrebbero aprire le holding anche oltre il 49% per ricapitalizzarsi, non potendo più contare sulla solidarietà del sistema del credito cooperativo. E non ci sarebbe obbligo di legge a conservare il 51% della holding che possa tenere ove i requisiti patrimoniali si indebolissero sotto le soglie stabilite dalla Vigilanza".

Il dito si punta anche sulla way-out sopra richiamata: "L'errore consiste nel prevedere il diritto di uscire dal credito cooperativo per le Bcc con patrimonio netto superiore ai 200 milioni previo pagamento di un'imposta sostituiva del 20% sulle riserve indivisibili", scrivono Mucchetti e colleghi. "La fuoriuscita potrà avvenire o attraverso la semplice trasformazione della cooperativa di credito in spa ovvero con la scissione dell'azienda bancaria e il suo conferimento a una spa in prima battuta controllata dalla cooperativa e poi chissà. Anche in questo caso si prevede l'imposta sostituiva del 20%. E' un errore consentire la trasformazione della Bcc in spa. In tal modo si darebbe ai soci attuali il pieno possesso di riserve, che costituiscono in media il 90% del patrimonio delle Bcc e che sono state accumulate dalle precedenti generazioni in esenzione d'imposta per la precisa finalità di esercitare lo scambio mutualistico nell'attività creditizia. L'imposta sostituiva, d'altra parte, non ripagherebbe le imposte evitate in tanti decenni e il loro costo finanziario cumulato per lo Stato. Ove l'errore fosse confermato, il minimo che ci si possa aspettare è una procedura d'infrazione da parte della Ue per aiuti di Stato".

Come ha fatto Bankitalia, anche i senatori si soffermano sulla "data alla quale si calcola se una Bcc raggiunge o meno la soglia dei 200 milioni che darebbe diritto alla way out. Logica vorrebbe che ci si riferisse all'ultimo bilancio approvato prima dell'entrata in vigore della legge. Ma il ddl tace e con questo silenzio accredita il sospetto che si voglia procrastinare nel tempo la verifica della soglia così da consentire anche a Bcc di minor taglia di approfittare della way out attraverso fusioni dell'ultima ora. Una tale combinazione di errori e di lacune può risultare fatale al progetto del gruppo bancario cooperativo con gravi ricadute sull'intero sistema del credito. E sarebbe un peccato. Vi chiediamo dunque di operare in modo tale da scongiurare esiti inaccettabili".

© Riproduzione riservata
10 marzo 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/finanza/2016/03/10/news/lettera_pd_senatori_bcc-135186745/?ref=HRER2-1
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« Risposta #23 inserito:: Giugno 03, 2016, 12:11:52 pm »

Antimafia: ecco i 15 impresentabili candidati nei comuni
Oggi Bindi illustra i risultati della Commissione. "Meno che in passato, c'è l'effetto deterrenza"

Di GIOVANNA CASADIO
31 maggio 2016

ROMA - Non ci sarà un "caso" De Luca, come l'anno passato. E gli incandidabili sono una quindicina, che le verifiche dell'ultima ora potrebbero fare salire a venti. Il numero è ancora oscillante perché la commissione parlamentare Antimafia solo stamane darà il verdetto definitivo, dopo avere esaminato gli oltre 3.000 candidati nei 13 Comuni a rischio cosche.

Alla vigilia delle amministrative di domenica la presidente Rosy Bindi ha convocato per oggi la commissione che vidimerà il resoconto, lungo un mese, sulle liste. Sotto osservazione è finita anche la Capitale insieme con i comuni di Badolato, San Luca, Platì, Scalea, Ricadi, San Sostene in Calabria, con Sant'Oreste e Morlupo nel Lazio, con Battipaglia, Trentola Ducenta e Villa di Briano in Campania. In Antimafia sono soddisfatti e parlano di "effetto deterrente" che il loro lavoro - travolto dalle polemiche solo un anno fa - ha prodotto. Nel 2015 in corsa per le regionali, c'era Vincenzo De Luca, poi eletto governatore della Campania, che Bindi inserì tra gli impresentabili e fu accusata di avere usato la commissione per regolare i conti nel Pd. Acqua passata.

Per ora i risultati della commissione hanno indicato ad alto rischio di impresentabili Battipaglia e Roma. Ma un po' dappertutto si sono mossi i prefetti. Due esempi in particolare sono indicati dall'Antimafia come virtuosi e tempestivi: quello del prefetto di Caserta, Arturo De Felice e la prefettura di Roma dove si è appena insediata Paola Basilone dopo Franco Gabrielli. Il prefetto De Felice ha tolto dalle liste 19 persone nel casertano che avevano fatto dichiarazioni mendaci sia sulla loro compatibilità con la legge Severino che sui carichi pendenti. Nella Capitale ci sarebbero due nomi in due liste di rinviati a giudizio da altre Procure che rischiano peraltro una condanna per falsa auto certificazione.

Dall'Antimafia oggi arriverà comunque un allarme: non bastano gli strumenti che ci sono per mettere al riparo il voto locale dalle infiltrazioni mafiose e spezzare la corruzione. Una postilla della relazione che stamani sarà illustrata e approvata a San Macuto, è dedicata alla vicenda Platì.

Il piccolo comune della Locride, 4mila abitanti, 3 scioglimenti delle giunte in dodici anni, capillarmente infiltrato dalla 'ndrangheta, si ritrova con due liste civiche - una guidata da Ilaria Mittiga (figlia del sindaco a capo di due amministrazioni sciolte per mafia), l'altra da Rosario Sergi - dopo la rinuncia della dem Anna Rita Leonardi a correre come sindaco. La Leonardi aveva chiesto al procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho di supervisionare i candidati in lista. Poi ha gettato la spugna.

La commissione Antimafia e la presidente Bindi segnano con la matita rossa le anomalie di Platì, a partire dall'impossibilità di definire impresentabili coloro che pure sono imparentati con boss e 'ndranghetisti ma non risultano coinvolti in inchieste. "Ci vogliono banche dati e la possibilità di verifiche, codici etici stringenti", rimarcano tanto Franco Mirabelli del Pd che Luigi Gaetti dei 5Stelle, entrambi nell'ufficio di presidenza dell'Antimafia in Parlamento. L'allarme di Bindi risuonerà di nuovo oggi in commissione: "Gli enti locali sono la principale porta d'ingresso per i clan nella gestione delle risorse pubbliche, mettendo le mani sugli appalti".

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31 maggio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/05/31/news/antimafia_ecco_i_15_impresentabili_candidati_nei_comuni-140974685/?ref=HREC1-3
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« Risposta #24 inserito:: Luglio 01, 2016, 05:36:35 pm »

Orfini: "C'è chi rimpiange il Pd di Mafia Capitale"
Parla il presidente Dem: "Rimango commissario a Roma"

Di GIOVANNA CASADIO
27 giugno 2016

ROMA. "Il Pd in molte parti sembra non essere all'altezza della sfida: sono rimaste le correnti senza il partito". Detto dal presidente dem, Matteo Orfini, è una sferzata. Orfini va al contrattacco, dopo che nella Direzione del Pd, slittata per Brexit, già alcuni compagni si preparavano a chiederne le dimissioni da commissario romano del partito, addossandogli la responsabilità della sconfitta che ha portato la grillina Virginia Raggi in Campidoglio. "Chi ci critica preferiva il Pd di Mafia Capitale. Io lascio a ottobre quando scade il mio mandato", risponde.

Orfini, nell'onda montante dei populismi - Brexit, Spagna spaccata, Grillo vittorioso alle amministrative in Italia - al Pd sta arrivando l'avviso di sfratto dai 5Stelle?
"Credo proprio di no. Ma non dobbiamo sottovalutare il clima che si respira in tutta Europa. Non si può non tenere conto della rabbia che cresce e che oggi viene intercettata solo dal populismo. Con la conseguenza che i costi del populismo li scopri il giorno dopo, come sta succedendo con Brexit, e li paghi per anni".

Dicevamo, il Pd renziano è alle corde?
"Dobbiamo fare tesoro del messaggio che ci hanno mandato gli elettori. Ho visto le analisi più disparate: Bersani invoca il profumo di Ulivo, chi chiede più cambiamento, chi parla di legge elettorale, come se la risposta alle periferie rabbiose possa essere un emendamento sul premio di coalizione. Ma la questione è un po' più profonda. Ovvero che l'enorme crescita delle diseguaglianze rende necessario per la sinistra, ancora prima di assumere le misure necessarie, radicarsi in quel disagio".

Invece Renzi, segretario-premier, racconta un'altra storia, quella dell'Italia felice che riparte.
"Non c'è dubbio che l'Italia stia ripartendo ma la ripresa non si percepisce nei grandi quartieri delle periferie metropolitane, perché non è ancora arrivata. O noi capiamo che c'è un disagio con cui parlare e una grande forza i quei luoghi da coinvolgere nel nostro progetto di cambiamento del paese, oppure lì ci starà solo il populismo".


Ma per paura dell'onda populista, farete slittare il referendum costituzionale?
"No, dirigenti che avessero paura degli elettori sarebbero inadeguati".

Quindi, come correte ai ripari, dopo avere perso anche Roma e Torino? Ci vuole una svolta?
"Premesso che a Tor Bella Monaca a Roma, per fare un esempio, i voti non li abbiamo presi ora e nemmeno alle politiche. Abbiamo recuperato tra i ceti più deboli solo alle europee, quelle del 40%. Lì il nostro messaggio non era di neutro cambiamento, che non vuole dire niente, ma aveva una grande forza sociale, figlia degli 80 euro e della promessa di inclusione nel cambiamento di intere generazioni che vivevano ai margini. Quel messaggio si è perso. Più che discutere di quanto ci dobbiamo spostare al centro o a sinistra, dovremmo essere più popolari... nel senso non televisivo del termine".

Presenta le dimissioni da commissario del Pd romano dopo la sconfitta?
"No, il mio lavoro di commissario scade a ottobre, a me resta da fare il referendum e di avviare il congresso romano, è quello che farò".

Non si rimprovera nulla?
"Ho preso in mano un partito sotto processo, con suoi esponenti in manette e l'ho riportato a testa alta nelle strade della città. Mi pare semplicistico che si attribuisca al lavoro di bonifica la responsabilità del risultato su Roma, perché vorrebbe dire che si stava meglio quando c'era il Pd di Mafia Capitale".

Amareggiato per la richiesta di sue dimissioni fatta dalla ministra Marianna Madia? E per D'Alema, di cui lei è stato allievo, e che ora dice: l'ho allevato male?
"Tutte le opinioni sono legittime, anche quella di Madia
... a me fa riflettere vedere Massimo D'Alema annunciare girotondi per il No al referendum costituzionale".

Lei è sempre renziano?
"Non lo sono mai stato, sono presidente del Pd. E vorrei che discutessimo senza lacerazioni quotidiane".

© Riproduzione riservata
27 giugno 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/06/27/news/matteo_orfini_dobbiamo_fare_tesoro_del_messaggio_del_voto_parliamo_con_chi_vive_nel_disagio_o_restera_solo_il_populi-142888133/?ref=HRER2-2
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« Risposta #25 inserito:: Novembre 08, 2016, 11:24:01 am »

Pd, Cuperlo: "Abbiamo ottenuto quel che volevamo, ora voterò sì"
Il colloquio.
L’esponente della sinistra dem: "Incoerente è chi parla di tradimento. Però non chiamatemi renziano"

Di GIOVANNA CASADIO
06 novembre 2016

Pd, Cuperlo: "Abbiamo ottenuto quel che volevamo, ora voterò sì “ROMA. "Ho riscritto io la bozza perché la prima, quella di giovedì dopo la riunione al Nazareno, non andava bene...". Poi sono stati dilemmi e contatti: "Ho sentito Roberto Speranza, mentre Bersani l'ho cercato ma non l'ho trovato". La reazione di Cuperlo pochi minuti dopo la firma al documento di accordo sull'Italicum bis, è di "sollievo", come di chi ha superato il guado.

Gianni, il triestino, il leader del Pd che ha imparato a fare politica nella Fgci, seguace della realpolitik di D'Alema per alcuni anni - ma con un certo distacco fino all'allontanamento definitivo - lo sfidante di Renzi alle primarie, quindi ha deciso: "Sono un uomo di dubbi, però poi mi assumo la responsabilità". Sa bene che la frattura e il rischio scissione nel Pd restano, che Bersani e i bersaniani accusano ora lui di incoerenza, di avere semplicemente spaccato la sinistra, e già fanno campagna per il No al referendum. Gianni si difende e contrattacca: "Non sono io l'incoerente. Evidente che non si può essere completamente soddisfatti, ma abbiamo ottenuto quello che come minoranza abbiamo chiesto per mesi. Quindi da parte mia firmare un documento su queste modifiche all'Italicum - i collegi per eleggere i deputati, il no al ballottaggio, il premio di governabilità, oltre all'elezione diretta dei nuovi senatori - è stato un atto di coerenza". Coerentemente come voterà al referendum costituzionale? "Voterò Sì".

Bersani ha detto che non si risolvono le cose con un foglietto di carta che vale un impegno generico. Anzi, peggio: equivale a quell'"Enrico stai sereno", diventato ormai il promemoria dell'inaffidabilità di Renzi. Enrico era Letta e, dopo le rassicurazioni il segretario Renzi lo sfiduciò sostituendolo a Palazzo Chigi. Non può funzionare allo stesso modo anche per il documento Italicum? Cuperlo non ci sta: "Il documento è firmato dai capigruppo Rosato e Zanda, dal presidente del partito Orfini e vidimato dallo stesso Renzi. Se decidiamo che questo non vale nulla, per carità... ma allora diventa difficile pensarsi nella comunità del Pd".

Il convitato di pietra della scissione è sempre più presente. Anche se Cuperlo parla di "unità", di "lealtà, la cui prova spetta a Renzi", e di "dispiacere" per la frattura a sinistra. Questi i sentimenti che lo accompagnano in queste ore. Fedele al ruolo di mediatore, non vorrebbe polemizzare con i bersaniani. Ma alla fine lancia l'affondo: "Se stiamo sul piano della coerenza, allora potrei ricordare le battaglie che abbiamo fatto in commissione e in aula per migliorare la riforma...".
La riforma costituzionale è stata votata da tutto il Pd, minoranza inclusa. L'Italicum invece ha provocato la vera grande rottura: Speranza si dimise da capogruppo, la minoranza dem non votò la fiducia messa dal governo sulla legge elettorale. Cuperlo non teme ora di essere accusato di renzismo: "La mia storia parla per me...". Ritiene di avere condotto in porto la mission e di avere gettato le basi perché il centrosinistra rinasca, che è la scommessa politica. Da presidente del Pd si dimise per coerenza in conflitto con Renzi. Ma che non avrebbe accettato lo strappo del No al referendum si era capito sabato scorso quando, a sorpresa, si presentò alla manifestazione del Sì a piazza del Popolo. E si fece un selfie con la Boschi.

© Riproduzione riservata 06 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/11/06/news/_abbiamo_ottenuto_quel_che_volevamo_incoerente_e_chi_parla_di_tradimento_-151420376/?ref=nrct-13

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« Risposta #26 inserito:: Gennaio 28, 2017, 12:49:30 pm »

Pd, la corsa al voto rianima la scissione: D'Alema all'attacco.
Renzi mira a blindare le liste, la minoranza: "Ci caccia".
L'ex leader Ds trasforma in movimento i comitati per il No

Di GIOVANNA CASADIO
28 gennaio 2017

ROMA. Bastano gli appuntamenti del fine settimana a fotografare il Pd com'è. Il segretario Matteo Renzi sarà a Rimini oggi, all'assemblea dei mille amministratori dem. Dice che non parlerà di legge elettorale e data del voto, ma di ambiente, sicurezza, delle liste d'attesa nella sanità: per sentirsi sindaco tra i sindaci. Nelle stesse ore a Roma i comitati "Scelgo No" al referendum costituzionale di dicembre, capitanati da Massimo D'Alema, tutt'altro che disposti a sciogliersi, si riuniscono in un Movimento, che avrà un nuovo nome: per la Ricostruzione del centrosinistra. Qui il parterre sarà affollato di leader della minoranza del partito, ci saranno Roberto Speranza, candidato bersaniano alla segreteria, e Michele Emiliano, il governatore della Puglia anche lui in corsa nella sfida a Renzi, il bersaniano Stefano Di Traglia e sindacalisti della Cgil.

In un clima sempre più surriscaldato dalla volontà di Renzi di andare a elezioni a breve, in primavera, e con una blindatura delle liste, il Pd fa i conti con una fibrillazione continua. E la parola scissione non è più un tabù. Se il segretario si irrigidisse nella sua strategia di corsa al voto, di liste bloccate e volesse davvero portare il Pd verso un listone da Alfano alla sinistra di Pisapia, allora la strada "obbligata " non può che essere quella della separazione.

D'Alema l'ha spiegato a più di uno tra gli invitati alla sua kermesse: "Se Renzi pensa di scoraggiare la possibilità di una scissione con soglie di sbarramento alte, come l'8%previsto per il Senato, si sbaglia. Perché noi supereremmo quell'8%. E al Sud prenderemmo più voti di lui". Insomma con liste senza sinistra, la separazione sta nelle cose.

Bersani e i bersaniani si muovono con più cautela. Ripetono sempre più spesso che il Pd deve cambiare, altrimenti è difficile sentirsi a casa propria. Non vogliono neppure sentire nominare l'ipotesi di un listone. Smentita del resto dallo stesso vice segretario dem, Lorenzo Guerini: "Sono scenari fantasiosi, mai pensato a un listone con dentro tutto e il suo contrario". Ma molti sono giornate in cui si tastano tutte le possibilità. La battaglia per le candidature dentro il Pd sembra già cominciata. Ai bersaniani che contestano la "riserva" di candidature del segretario, i renziani rispondono: "Ma con la segreteria di Bersani ci furono i pre-assegnati e a noi toccò l'8%".

Renzi invita a restare sul concreto: "La gente vuole le nostre proposte, non le nostre polemiche ". A Rimini Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, ha preparato una scaletta di interventi che va da gli amministratori in prima linea nel terremoto a quelli che hanno saputo investire. Il segretario del Pd dirà che da qui si riparte da "una nuova classe dirigente di giovani preparati e con un forte radicamento sul territorio". Dall'altra parte - è l'affondo di Renzi - ci sono i soliti con le "solite vecchie discussioni ". Alla convention con D'Alema andrà oggi anche il bersaniano Miguel Gotor, che assicura: "Non andiamo via dal Pd, ma sfideremo Renzi e possiamo batterlo. La corsa alle elezioni è un errore, il Pd non può fare cadere il terzo governo guidato da un suo esponente".

Però tutto è in movimento. Francesco Boccia pensa a una raccolta

di firme per chiedere il congresso anticipato del Pd: "Metteremo un banchetto anche a Pontassieve, sotto casa di Renzi". A Firenze l'11 e il 12 febbraio riunione dem organizzata da Cecilia Carmassi: "Complicato reggere liste blindate e la strategia annunciata da Renzi ".

© Riproduzione riservata 28 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/28/news/pd_la_corsa_al_voto_rianima_la_scissione_d_alema_all_attacco-157042035/?ref=HREC1-3
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« Risposta #27 inserito:: Febbraio 01, 2017, 08:31:42 pm »


Vendola apre a D'Alema e al listone unico della sinistra
Da D'Alema a De Magistris, spunta il listone anti Renzi.
Pisapia: "Niente alleanze col Nazareno"

Di GIOVANNA CASADIO
01 febbraio 2017

ROMA - "Nella vita pubblica ci sono troppi risentimenti e pochi grandi sentimenti, io mi iscrivo alla categoria dei sentimenti". È la premessa di Nichi Vendola, che apre a D'Alema e a un listone della sinistra. Sei anni fa, nel 2010 D'Alema faceva la guerra a Vendola, ricandidato governatore della Puglia e Nichi gli rendeva pan per focaccia.

Ora Vendola a sorpresa scommette su D'Alema: "Guardo con molto interesse a quello che si sta muovendo, all'impegno di D'Alema, che mi auguro faccia qualche autocritica. Perché Renzi non l'ha portato la cicogna, ma è frutto di una storia e dell'idea che il compito della sinistra sia fare la destra, questo è il blairismo. Nessuna alleanza con il Pd renziano, ma osservo che il giocattolo si sta rompendo nelle mani di Renzi".

Tutto si muove nel centrosinistra. Di scissione si parla apertamente nel Pd, dopo la nascita del movimento di D'Alema che viene stimato intorno al 10%. E ieri Pierluigi Bersani, l'ex segretario dem che ha sempre ripetuto non avrebbe lasciato il Pd neppure con le cannonate, non si mostra più tanto fermo: "Scissione? Non minaccio nulla né garantisco nulla. Porrò a Renzi delle questioni e sentirò la risposta. C'è un piccolo oggetto che si chiama Italia e io chiederò delle risposte su questo e poi mi regolerò".

Nel caotico passaggio di queste ore, Vendola - leader dell'ex Sel e in vista della nascita ufficiale di Sinistra Italiana nel congresso del 17-19 febbraio prossimo a Rimini indica la possibile "reunion", soprattutto se si vota a giugno: "Interessante è il lavoro di Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli; la discussione aperta nel Pd; quello che si muove sotto la cenere nei 5Stelle". E Giuliano Pisapia, l'ex sindaco di Milano, che sta sondando e organizzando in tutta Italia il Campo progressista? Vendola risponde: "Pisapia è stato un amministratore eccellente, è una personalità della sinistra. Penso abbia sbagliato l'analisi della società italiana non comprendendo cosa stava accadendo con il referendum sulla riforma costituzionale e che il fronte del No con Cgil, Arci e Movimenti era la base sociale della sinistra. Lui ha fatto fatica a vederlo e ha immaginato ci potesse essere un restyling del centrosinistra con Renzi. Ma la sinistra non può allearsi con i voucher, con la "buona scuola". Però nella ricostruzione della sinistra Pisapia ci deve essere, sarebbe infelice se non ci fosse, sono convinto ci sia".

E nel movimento di Pisapia, tentato dal listone di sinistra, colloqui e contatti sono in corso. Con Michele Emiliano, ad esempio. Il governatore della Puglia si prepara a sfidare Renzi. Per questo chiede il congresso anticipato del Pd, convinto, come del resto i bersaniani, che sia l'unica opportunità per evitare la scissione.

Ieri Emiliano e Francesco Boccia hanno fatto partire la piattaforma "primailcongresso", raccolta di firme online tra gli iscritti. E il governatore pugliese minaccia il ricorso alle carte bollate se Renzi non ascolta. Nel listone della sinistra c'è Emiliano, se si precipita verso le elezioni e nel Pd si arriva alla scissione. Bersani rincara: "In tutti i partiti del mondo prima di andare al voto si fa il punto su programma e leadership. Qui c'è una questione democratica, non solo per l'Italia ma per il Pd. Sennò la cosa diventa veramente seria, saremmo all'inedito ". Allarme di 19 segretari regionali (non ci sono quelli di Basilicata e Puglia) del Pd: "Evocare la scissione e parlare di carte bollate è da irresponsabili".

Tra i molti nodi da sbrogliare c'è anche la spaccatura di Sinistra Italiana. Arturo Scotto, capogruppo alla Camera, ha chiesto di congelare il congresso di febbraio trasformandolo in una kermesse della sinistra. Scotto si è candidato alla segreteria contro il coordinatore Nicola Fratoianni. È disposto a un passo indietro e ha chiesto a Fratoianni di farlo a sua volta. "Perché tutto il paesaggio politico sta cambiando": motiva Scotto. Fratoianni replica: "Se c'è una svolta nel Pd ne discutiamo sul serio, ma per ora c'è solo l'attesa di una svolta. Preferisco guardare a De Magistris e ai movimenti".
Clima teso, al punto che il gruppo di Scotto e del vice presidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio hanno anche pensato di non partecipare al congresso di Rimini. Problemi anche di equilibrio nel tesseramento: dai 4 mila tesserati della fine del 2016 si è passati a 22 mila.

© Riproduzione riservata
01 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/01/news/vendola_apre_a_d_alema_e_al_listone_unico_della_sinitra-157346291/?ref=nrct-14
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« Risposta #28 inserito:: Giugno 17, 2017, 11:38:49 pm »

Sinistra, da Pisapia alla Cgil inizia l'estate delle grandi manovre.

Alla ricerca dell'unità perduta. Sabato la manifestazione contro i voucher del sindacato guidato da Susanna Camusso: è il primo di una serie di appuntamenti in cui la sinistra italiana fa il punto su programmi e ambizioni politiche

GIOVANNA CASADIO
14 giugno 2017

Roma - La Cgil si riprende piazza San Giovanni a Roma, da dove mancava dal 25 ottobre del 2014. Allora la manifestazione era contro il Jobs Act, sabato prossimo sarà contro i voucher, cassati in modo da evitare il referendum, e ora riapparsi in parte nella “manovrina”. Mobilitazione di 200 pullman, di treni e di traghetti dalla Sardegna, oltre alla partecipazione dei leader della sinistra. Ci saranno Pierluigi Bersani, Roberto Speranza, Arturo Scotto, Massimo Paolucci, Massimo D’Alema, Nicola Fratoianni, Nichi Vendola. Non ci sarà Giuliano Pisapia, il leader di Campo progressista. E’ il primo appuntamento della “estate calda” della sinistra. Sinistra alle grandi manovre per organizzarsi in vista delle elezioni politiche, benché non sembrino più dietro l’angolo. Ma la sinistra non può e non vuole farsi trovare impreparata.

Nella piazza dell’Ulivo il 1°luglio. Quindi i leader di Mdp-Articolo 1, ovvero gli ex dem ed ex vendoliani, hanno fatto pressing perché fosse già pronto l’appello del primo luglio a cui Pisapia ha chiamato tutte le forze di sinistra. Il logo per ora è un manifesto su sfondo arancione con il mese – luglio -, il numero 1 e il nome “Insieme” con l’aggiunta “Nessuno escluso”. Ha scritto Pisapia su Facebook: “L’appuntamento a Roma per un grande incontro nazionale aperto a tutte le forze politiche e sociali che vogliono costruire la casa di un nuovo centrosinistra che si candidi a governare il Paese”. Potrebbe essere il nome della futura lista della sinistra unita, magari declinato con alcuni principi di programma, ad esempio “Insieme per il lavoro”. Intanto tutti alle 16,30 il primo luglio in piazza Santi Apostoli, la storica piazza delle vittorie dell’Ulivo, una scelta tutt’altro che casuale.  Non mancano le polemiche. Sinistra italiana con ha gradito che tutto sia stato deciso senza consultarli.

Sinistra, da Pisapia alla Cgil inizia l'estate delle grandi manovre
Assemblea per la sinistra e l’uguaglianza domenica 18 giugno. Nel mezzo, tra la piazza della Cgil e quella della Sinistra di Pisapia e Mdp, ci sono altri due prove generali di unità a sinistra. Domenica 18 sempre Roma al Teatro Brancaccio Anna Falcone e Tomaso Montanari insieme alla sinistra che disse No al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, hanno lanciato l’Assemblea nazionale per la sinistra e l’uguaglianza. Su Facebook modalità di adesione e partecipazione. Con l’avvertenza che si riparte dal “civismo” per una sinistra unita e di popolo.  Di sicuro ci sarà Mdp con Massimo D’Alema che ha detto di vedere bene Anna Falcone come leader della sinistra, la Fiom di Maurizio Landini, molte associazioni.

A Napoli Pisapia e Bersani il 24 giugno. E alla vigilia dei ballottaggi ma soprattutto come prova generale della convention del primo di luglio, Bruno Tabacci il leader del Centro democratico che aderisce al Campo progressista di Pisapia ha organizzato una manifestazione politica a Napoli alla Stazione Marittima. Interverranno sia Pisapia che Bersani. Non mancheranno i “Marxisti per Tabacci”, i supporter nati alle ultime elezioni sui social.

Sabato 17 “manifestazione straordinaria”. Tornando al primo appuntamento, ieri la segretaria della Cgil, Susanna Camusso ha inviato una lettera aperta agli iscritti per chiamarli alla mobilitazione. Due cortei - da piazzale Ostiense e da piazza della Repubblica – confluiranno in piazza San Giovanni dove alla 12 interverrà la Camusso. Prima la scaletta prevede la testimonianza di giovani lavoratori. “Straordinaria è la manifestazione - spiega Camusso - perché urgente, straordinaria perché parla soprattutto di democrazia, straordinaria perché contesta comportamenti antidemocratici che non hanno precedenti nella storia repubblicana”. E ricorda le firme per i referendum con cui si abrogavano alcuni punti del Jobs Act tra cui i voucher, ora reintrodotti nella “manovrina”. Mdp minaccia di non votare la fiducia alla “manovrina”, se non saranno cancellati. E al Senato i 16 voti dei demoprogressisti sono ago della bilancia.

© Riproduzione riservata 14 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/14/news/estate_sinistra-168058333/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P1-S1.6-T2
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« Risposta #29 inserito:: Settembre 01, 2017, 12:04:42 pm »

Bonino a Repubblica: "Siamo diventati intolleranti. Salvini e Di Maio imprenditori della paura"

Intervista all'ex ministro e leader radicale. "La colpa non è dell'Unione Europea ma dei singoli Stati"

Di GIOVANNA CASADIO
27 agosto 2017

"Nella guerriglia per gli sgomberi a Roma abbiamo perso tutti: la politica, il paese, i migranti stessi".
Emma Bonino, ex ministro degli Esteri e leader radicale, soprattutto denuncia "gli imprenditori della paura, da Salvini a Di Maio e non solo".
 
Bonino, la guerriglia a Roma per lo sgombero del palazzo occupato dai profughi si poteva evitare?
"Mi pare di avere capito dalle dichiarazioni del ministro Minniti che si eviteranno d'ora in poi. E questo è di per sé un giudizio chiaro".
 
Le sembra una autocritica?
"Una ammissione netta che non è questa la strada. Penso che in quell'episodio dello sgombero a Roma, come in molti altri, anche se di diverso genere, stiamo perdendo tutti. La politica, il paese, i migranti stessi. Il senso dei diritti e dei doveri per tutti. Una politica rigorosa di integrazione può aiutare anche la sicurezza".
 
Il parroco pistoiese minacciato da Forza Nuova per avere regalato una giornata di piscina a un gruppo di profughi. Barricate per non ospitare un gruppetto di minori non accompagnati. Gli italiani sono diventati razzisti?
"In parte. Ma certamente sono intolleranti verso chiunque sia altro e diverso. In particolare se povero. Si veda il cartello contro l'handicappato nel centro commerciale di Carugate nel milanese, che nulla ha a che vedere con i colori della pelle, eppure coperto di insulti comunque".
 
L'emergenza migranti provoca paura, amplificata dal timore che i terroristi islamici arrivino sui barconi?
"Veramente abbiamo visto all'opera dei veri imprenditori della paura, da Salvini a Di Maio e non solo. Eppure se apriamo le pagine di cronaca abbiamo liste lunghissime di atti criminali e violenti, specie contro le donne, compiuti da italiani "bianchi". Per non aggiungere che la stragrande maggioranza di terroristi abitano e vivono da noi".
 
Sono diminuiti gli sbarchi. La strategia di Minniti funziona?
"È evidente che meno ne scappano più ne rimangono nei lager libici. L'avevo detto già alla convention di Renzi al Lingotto: attenti, più ne tappiamo in Libia più aumenterà il numero delle persone sottoposte a torture, ricatti, stupri, cosa che sta avvenendo, testimoniata da reportage non solo italiani, ma internazionali e dalle Nazioni Unite. Senza dimenticare che a parte i centri visitabili e gestiti dal Dipartimento del governo libico, ce ne sono decine, in particolare a sud della Libia, affidati alle milizie. Terribili e senza testimoni. Il ministro Minniti nella conferenza stampa di Ferragosto ha detto che questo è il suo "assillo", usando un eufemismo, perché tutti sono a conoscenza della situazione e bisogna ammetterlo per onestà intellettuale".
 
La tregua dei flussi ha un prezzo?
"Il prezzo è drammatico e lo pagano "loro", quelli tappati in Libia. Ma lontani dagli occhi, lontani dal cuore. Noi continuiamo a fare finta di non sapere, magari nella speranza che arrivi l'Unhcr o le Ong umanitarie a tentare di alleviare questi drammi indicibili".

Ong finite sotto inchiesta. C'è stato un eccesso di disinvoltura da parte di alcune?
"Non so, c'è una sola inchiesta aperta dalla Procura di Trapani. Comunque in quelle stesse Ong così vituperate recentemente, si spera. Ma succede sempre così, quando la politica annaspa, si chiamano gli umanitari. Lo so bene per esperienza da commissaria europea. Ricordo che nella crisi dei Grandi Laghi a metà degli anni Novanta, con due milioni di profughi ruandesi, la comunità internazionale pretendeva che fossero gli umanitari, medici, infermieri a disarmare a mani nude i rifugiati armati. Ma lo stesso è successo in Afghanistan, Iraq, attualmente nello Yemen, per non dimenticare Srebrenica".

L'Europa è sempre la grande assente?
"Sono gli stati membri ad essere non solo assenti ma decisamente contrari a una politica estera comune, oltre che a una politica di integrazione comune. Ognuno per sé. Quindi inutile e falso prendersela con Bruxelles. Che pure quando fa proposte - come la ricollocazione di 160 mila rifugiati in due anni - non le attua nessun paese".
 
Cosa andrebbe fatto?
"Nella campagna "Ero straniero" di Radicali, Arci, Acli, Centro Astalli e molti altri, abbiamo una serie di proposte nella legge di iniziativa popolare. Perché dipende solo da noi. Tanto più che il nostro declino demografico ha bisogno di nuovi arrivi ovviamente legali, impossibili con l'attuale legge Bossi-Fini. So perfettamente che non è facile, non ci sono soluzioni miracolose. Però osservo che centinaia di sindaci (pochi sugli 8 mila) e operatori del settore stanno attuando politiche di inserimento e integrazione. Ma serve ripartire dalla testa e non farsi governare solo dalla pancia".
 
Roma, polizia carica a Termini e disperde i rifugiati. Il funzionario: "Se tirano qualcosa, spaccategli un braccio''
© Riproduzione riservata 27 agosto 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/08/27/news/bonino_a_repubblica_gli_italiani_sono_diventati_intolleranti_salvini_e_di_maio_imprenditori_della_paura_-173950175/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S3.4-T1
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