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Autore Discussione: Giorgio NAPOLITANO.  (Letto 41523 volte)
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« inserito:: Luglio 24, 2007, 05:59:22 pm »

Tutti i no del Quirinale
Vincenzo Vasile


C’è un tono fortemente allarmato, e vi sono contenuti di alto valore politico e istituzionale, nelle parole pronunciate ieri dal Presidente della Repubblica a bilancio di metà anno prima della pausa estiva. Nella continua fibrillazione di questi giorni colpisce come un uomo politico di lungo corso come Giorgio Napolitano, avvezzo a valorizzare i «sì» delle proposte rispetto ai «no» dei manifesti di propaganda, abbia dovuto elencare una lunga serie di dinieghi e contrarietà per rendere efficace e netta l’espressione dei suoi auspici.

Giorgio Napolitano ha incontrato ieri in tre distinte occasioni i giornalisti quirinalisti, i cronisti parlamentari e i componenti del Consiglio superiore della Magistratura. Per sollevare fondamentalmente tre questioni. Una, in primo piano per l’attualità scottante della vicenda, a proposito delle scorrerie del gip milanese Clementina Forleo, riguarda la necessità che negli atti processuali non abbiano ingresso valutazioni non pertinenti e documenti estranei. La seconda è relativa allo stato dei rapporti parlamentari e delle istituzioni: stato che allarma («inquietudine», è esattamente il termine usato), e che induce il presidente a confermare e a rendere ancor più affilato l’appello all’ascolto e al rispetto reciproco tra i poli che caratterizza fin dall’avvio il «programma» del settennato. La terza si riferisce al ruolo di garanzia e di equilibrio che spetta alla istituzione-Quirinale, e con particolare vigore e parole trancianti Napolitano ha ricordato che il Colle non è assolutamente «occupato» da un uomo di parte, come «inopinatamente», a folate ricorrenti, egli stesso viene definito dalla destra.

La parola chiave, il concetto cruciale, è: equilibrio. E Napolitano osserva esplicitamente come «l’equilibrio nel rapporto tra le istituzioni» sia un obiettivo da declinare ovunque e comunque. Nei rapporti politica-istituzioni-magistratura, per l’appunto. E nelle relazioni tra Governo e Parlamento. Qui non deve sfuggire la millimetrica calibratura di un doppio monito, che equivale a due sonori “no”, e - se vogliamo - a una speculare e parallela censura. Se da un lato «nessuna esigenza di governo può giustificare forzature e distorsioni», come per esempio i caotici maxiemendamenti alla Finanziaria (detto alla vigilia della redazione del documento di bilancio), dall’altro lato infatti «nessuna, più che legittima, ragione di opposizione può giustificare la perdita del senso del limite in un’aula parlamentare» (detto con un riferimento esplicito alla canea della destra contro i senatori a vita).

È indicativo che un analogo «senso del limite» sia stato invocato dal presidente qualche ora più tardi al palazzo dei Marescialli, in altro e confinante contesto, per i giudici e per il loro organismo di autogoverno. Anche in relazione alle cosiddette «pratiche di tutela» con cui i magistrati si difendono dagli attacchi politici. E per i «pareri» del Csm sulle leggi che possano interferire sul Parlamento. E per il mancato controllo dei capi degli uffici su certe inchieste «incomprensibili», segnati da troppi spifferi, da mancanza di «serenità» e di «riservatezza». Il presidente si «duole» del fatto di non essere stato sinora ascoltato. Ma avverte: «Non mi lascio dissuadere, e indurre alla rinuncia, dall’ancora inadeguato riscontro che i miei ricorrenti appelli hanno ottenuto». Che, a ben vedere, è un altro “no”, a considerare come un orpello di facciata i poteri costituzionali del Quirinale.

Pubblicato il: 24.07.07
Modificato il: 24.07.07 alle ore 13.51  
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« Ultima modifica: Gennaio 01, 2015, 04:13:30 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 26, 2008, 02:26:58 pm »

2008-04-26 09:50

NAPOLITANO: LA RESISTENZA FU ANCHE GUERRA CIVILE
 (di Marco Dell'Omo)


Il 25 aprile non riesce proprio a diventare un momento di unione tra le forze politiche. Il leader del Pdl Silvio Berlusconi l'aveva detto che non avrebbe partecipato a nessuna celebrazione ma sarebbe restato a Roma a "lavorare, lavorare, lavorare". Il problema è che, durante la giornata, Berlusconi ha incontrato il neosenatore Giuseppe Ciarrapico, ammiratore dichiarato del ventennio mussoliniano. Ciarrapico che varca il portone di Palazzo Grazioli, più o meno negli stessi istanti in cui, a poche decine di metri di distanza, Giorgio Napolitano deponeva una corona di fiori all'altare della Patria per celebrare la lotta di liberazione, ha infastidito non poco Walter Veltroni. E così il leader del Pd ha dati fuoco alle polveri della polemica contro il Cavaliere: l'episodio, ha detto , rappresenta "uno sfregio nei confronti dei democraticì. "E' un segnale politico che segna una distanza molto grave", ha aggiunto Veltroni. Immediata la replica degli azzurri Paolo Bonaiuti e Fabrizio Cicchitto, che hanno bollato le sue affermazioni come : "meschine e volgari".

Berlusconi, impegnato tutto il giorno a dipanare la matassa della formazione del nuovo governo, si è fatto vivo con una lunga dichiarazione in cui chiarisce il suo pensiero riguardo al 25 aprile: la festa della liberazione, ha detto, dovrebbe essere vissuta come "festa della libertà" da "tutto il popolo italiano". Secondo il premier in pectore è giunto il momento per una "definitiva pacificazione nazionale". La "strada giusta" è quella già indicata da alcuni esponenti della sinistra: capire anche "le ragioni dei ragazzi di Salò", e saldare i debiti con gli esuli istriani e gli infoibati. Questo non significa ridimensionare la Resistenza: "Non c'é revisionismo che possa cancellare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti che posero le basi della libertà .

Ma non c'é gratitudine che possa impedire la ricostruzione della storia di quegli anni". Il compito di trovare una sintesi se l'é assunto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: il presidente della Repubblica, a Genova, ha detto che la Resistenza e la sua celebrazione non devono essere appannaggio di una sola parte; ha fatto ricorso all'espressione "guerra civile" per definire lo scontro tra partigiani e nazi-fascisti, un termine tradizionalmente evitato dalla sinistra, e ha invitato a non occultare "le ombre" della guerra di liberazione. Napolitano, però, è stato molto fermo nel fissare un "limite invalicabile" alle analisi e alle interpretazioni: non ci possono essere, ha detto, "forme di denigrazione o svalutazione", e deve invece essere sempre ricordato che i partigiani combatterono per ridare la libertà all'Italia. Le celebrazioni per i 63 anni della liberazione hanno visto molti assenti. A parte Berlusconi, restato tutto il giorno a Palazzo Grazioli, non si sono presentati alle manifestazioni ufficiali né Gianfranco Fini, né Umberto Bossi né Pierferdinando Casini. E anche Fausto Bertinotti, ancora sotto choc per il disastroso risultato elettorale della sinistra, ha preferito disertare l'appuntamento.

Tra gli esponenti del centrodestra, si è distinto il candidato sindaco di Roma Gianni Alemanno, , presente alla cerimonia con Napolitano all'altare della patria e poi al monumento che ricorda il sacrificio di Salvo D'Acquisto alle Fosse Ardeatine. Dal Pd e dalla sinistra si è levato un coro di critiche a Berlusconi per il suo incontro con Ciarrapico: da Anna Finocchiaro (pd), secondo la quale si è trattato di un episodio "avvilente", a Gennaro Migliore (prc) , che ha accusato Berlusconi di non essere un antifascista, a Barbara Pollastrini, che ha definito "discutibile" l'incontro Berlusconi-Ciarrapico in molti si sono scagliati contro il prossimo presidente del consiglio. All'estremo opposto, Giuseppe Romagnoli, segretario del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, ha proposto di celebrare anche i caduti dell'esercito della Repubblica Sociale ricordando "il loro onore e il loro sacrificio". Ma fanno discutere anche i fischi ricevuti a Genova dal cardinale Bagnasco: per Pier Ferdinando Casini di tratta di "una macchia nera" della giornata.  

da ansa.it
« Ultima modifica: Marzo 16, 2014, 11:29:11 am da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 26, 2008, 02:27:50 pm »

Veltroni attacca il cavaliere: «Grave ricevere ciarrapico in questa giornata»

Berlusconi: «Il 25 aprile sia il giorno della pacificazione nazionale»

Il leader del Pdl: «Grati a chi combatté per la libertà, ma bisogna capire anche le ragioni dei ragazzi di Salò»

 
ROMA - «Il 25 aprile indica simbolicamente il ritorno dell'Italia alla democrazia ed alla libertà». Lo afferma il leader del Pdl, e presidente del Consiglio in pectore, Silvio Berlusconi in un comunicato diffuso in occasione delle celebrazioni per la Festa della Liberazione. «In quel giorno di 63 anni fa - aggiunge - si videro le piazze festanti attorno alle truppe alleate e ai combattenti per la libertà. Purtroppo - sottolinea Berlusconi - seguì la guerra civile, l'occupazione da parte dei tedeschi, che creò un segno di sangue nella memoria italiana. Generò un odio tra vincitori e vinti che segnò la coscienza del Paese». «Ormai - rimarca il leader del Pdl - tutto questo è storia e adesso è tempo di dare al 25 aprile un senso italiano popolare e nazionale, un senso di libertà e di pace. Il giorno della Liberazione è un alto simbolo di libertà, e così deve essere vissuto da tutto il popolo italiano». «Credo fermamente che oggi - afferma il Cavaliere - ci siano le condizioni storiche e politiche perché questo 25 aprile possa rappresentare un salto di qualità verso la definitiva pacificazione nazionale. Quando, quasi dieci anni fa, autorevoli esponenti della sinistra invitavano a capire anche le ragioni dei 'ragazzi di Salò', e quando più recentemente hanno invitato a saldare il debito contratto con gli esuli Istriano-dalmati e con chi, più sfortunato, finì infoibato - scrive ancora Berlusconi -, hanno indicato la strada giusta. Togliere quei veli, capire quelle ragioni non può in qualche modo ledere l'orgoglio di chi combatté per la libertà contro la tirannia. Non c'è revisione storica che possa cambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti - sottolinea - che posero le basi per la libertà delle generazioni successive e per il ritorno dell'Italia nel consesso delle democrazie. Ma non c'è gratitudine che possa impedire la ricostruzione obiettiva di quegli anni. L'anniversario della Liberazione - conclude - è dunque principalmente l'occasione per riflettere sul passato, sul presente e sull'avvenire del Paese. Se oggi riusciremo a farlo insieme, avremo reso un grande servizio non a una parte politica o all'altra, ma al popolo italiano e, soprattutto, ai nostri figli che hanno il diritto di vivere in una democrazia finalmente pacificata».

POLEMICA SU CIARRAPICO - In precedenza, Berlusconi era stato attaccato dal leader del Pd, Walter Veltroni, per aver ricevuto in giornata a Palazzo Grazioli Giuseppe Ciarrapico, neo senatore del Popolo della libertà, che poche settimane fa ha dichiarato di non aver rinnegato il fascismo. «Siccome le cose hanno un valore simbolico - ha affermato Veltroni - il fatto che Berlusconi abbia voluto ricevere un uomo che non ha mai smesso di dichiarare la sua continuità politica con il fascismo è evidentemente un segnale politico che marca una distanza molto profonda e molto grave con tutti gli italiani che festeggiano il giorno in cui in Italia si è ritrovata la libertà». Secondo il leader del Pd quella di oggi «è una grande festa di libertà e Berlusconi ha voluto celebrarla ricevendo coloro i quali stavano dalla parte di chi la libertà l'ha proibita. Un atto di questo genere è un gesto anche di sfregio nei confronti dei democratici e di questa grande pagina che ha riguardato la storia italiana».

REAZIONE PDL - Immediata la replica del Pdl. «Dall'alto di quale pulpito Veltroni si permette di impartire lezioni di democrazia anche al presidente Berlusconi che ha ricevuto almeno 30 persone in una mattinata di lavoro intenso?» affermano Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente Berlusconi, e Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore nazionale di FI. «La polemica di Veltroni, rivolta nei confronti di un senatore democraticamente eletto, la stessa persona ricevuta con tutti gli onori dal coordinatore Goffredo Bettini alla prima assise del Partito democratico, è meschina e volgare. Appare chiaro che Veltroni è un uomo stordito dalla sconfitta, senza argomenti e senza qualità, che tenta soltanto di replicare una polemica elettorale di basso livello già fallita in precedenza».

«CAPIRE LE RAGIONI DEI RAGAZZI DI SALO'»- Poi arriva la nota del Cavaliere sul 25 aprile: «Capire le ragioni dei "ragazzi di Salò", si legge, come hanno sostenuto in passato anche diversi esponenti della sinistra, e saldare il debito contratto con gli esuli Istriano-dalmati» è la strada giusta che non può in qualche modo ledere l'orgoglio di chi combattè per la libertà contro la tirannia». «Non c'è revisione storica - aggiunge Berlusconi nella nota - che possa cambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti che posero le basi per la libertà delle generazioni».


25 aprile 2008

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« Risposta #3 inserito:: Aprile 26, 2008, 02:29:08 pm »

In mattinata la cerimonia all'altare della patria

Napolitano e il 25 aprile: fu un riscatto, niente denigrazioni e false equiparazioni

Liberazione, il 63esimo anniversario.

Il Capo dello Stato a Genova: «Non è festa solo per una parte della nazione»

 
ROMA - La consegna delle medaglie d'oro al merito civile ad alcuni Comuni e alla memoria di diversi italiani, per i loro gesti valorosi compiuti negli anni della Resistenza e della Liberazione, è stato il primo atto delle cerimonie per il 25 aprile, organizzate in tutta Italia: con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, all'Altare della Patria di Roma c'erano le massime autorità dello Stato. Gli interventi sono stati affidati ai ministri della Difesa e dell'Interno. Arturo Parisi ha messo in guardia dal «rilassamento morale» che oggi può divenire, «un virus che ci fa ripiegare su noi stessi riducendo talvolta la politica ad una lotta di parte». Amato ha invece sottolineato come le medaglie concesse «testimoniano una volta di più come la Resistenza al fascismo e all'oppressione nazista abbiano fatto emergere i tratti che uniscono nel profondo gli italiani, che danno contenuto e forza alla Nazione italiana».

NAPOLITANO: PARTI DIVERSE - Sul significato della celebrazione, che ha avuto in varie città d'Italia momenti solenni, c'è stato anche quest'anno, forse in modo più latente, un confronto a distanza, sempre condizionato dalle tesi opposte di chi insite nel farne una festa che ricordi anche chi era dalla parte del fascismo e della Repubblica di Salò e chi invece intende mantenere il distinguo legato alla storia e alla Resistenza. In questo confronto, con Berlusconi che da una parte è intervenuto auspicando che diventi finalmente «una festa di tutti e un simbolo di pacificazione», il Capo dello Stato ha dovuto oggi di nuovo puntualizzare la sua posizione nell'intervento del pomeriggio a Palazzo Ducale, a Genova. « Dopo tanti anni di quegli eventi - ha detto - si può e si deve dare una «analisi ponderata che però non significhi in alcun modo confondere le due parti in lotta, appiattirle sotto un comune giudizio di condanna e di assoluzione». E questo, aggiunge, «vale anche per i fenomeni di violenza che caratterizzarono in tutto il suo corso la guerra antipartigiana e da cui non fu indenne la Resistenza, specie alla vigilia e all'indomani della Liberazione». È un dovere verso i paese, quello della chiarezza. Perchè questa fu «una straordinaria prova di riscatto civile e patriottico», e quindi «non può appartenere solo ad una parte della nazione». Al contrario, «deve porsi al centro di uno sforzo volto a ricomporre in spirito di verità la storia della nostra Repubblica». L’eredità spirituale e morale della Resistenza vive nella Costituzione - ha detto - e in quella Costituzione possono riconoscersi anche quanti vissero diversamente gli anni 1943-1945, quanti ne hanno una diversa memoria per esperienza personale o per giudizi acquisiti. E’ un patrimonio che appartiene a tutti e vincola tutti». E ancora: «Le ombre della Resistenza non vanno occultate, ma guai a indulgere a false equiparazioni e banali generalizzazioni; anche se a nessun caduto, e ai familiari che ne hanno subito la perdita, si può negare sul piano umano un rispetto maturato col tempo».

da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Maggio 24, 2008, 12:55:06 am »

Messaggio da Berlusconi alla sorella di Falcone: «Grata solidarietà da tutto governo»

Napolitano: «Capaci fu un terribile attacco alle istituzioni dello Stato»

Il 23 maggio del 1992 l'attentato della mafia.

Il ricordo di Palermo nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone

 
ROMA - Sedici anni fa, il «barbaro agguato di Capaci», in cui furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della sua scorta, segnò «un terribile attacco alle istituzioni dello Stato» da parte della mafia. Al quale però lo Stato «seppe reagire adeguatamente» nel segno dell'unità. «Le immagini della strage - ha scritto il Presidente della Repubblica in un messaggio inviato a Maria Falcone, presidente della Fondazione «Giovanni e Francesca Falcone nell'anniversario della strage - restano incancellabili nella memoria degli italiani e rinnovano l'angoscia e l'allarme di quel giorno, in cui la mafia colpì un magistrato di eccezionale talento e coraggio».
«L'impegno e la partecipazione di allora non possono subire flessioni», è il richiamo che rilancia Giorgio Napolitano. «Non è consentito ridurre il livello di attenzione rispetto» alla mafia, scrive Napolitano, «un fenomeno pervasivo, pronto ad attuare le strategie più sofisticate per insinuarsi nella società minandone la vita democratica, la coesione e il progresso».

MARIA FALCONE - «Gli ultimi successi della magistratura dimostrano che siamo a buon punto nella lotta a Cosa nostra». A dirlo è Maria Falcone, la sorella del giudice ucciso 16 anni fa dal tritolo di Cosa nostra nella strage di Capaci, insieme alla moglie e agli agenti della scorta. «Da più di sei anni provo sempre una grande emozione nel trovarmi qui a ricordare Giovanni e Paolo -aggiunge Maria Falcone- quest'aula rappresenta per tutti noi italiani la caduta del mito dell'invulnerabilità della mafia e dell'imponibilità dei mafiosi».

NAVE - «Vedervi qui, in tanti, è una grande gioia e dimostra che, contrariamente a quanto si ritiene, i giovani italiani hanno valori forti». Lo ha detto Maria Falcone salutando gli oltre 1200 ragazzi giunti a Palermo con la Nave della Legalità per ricordare il 16/o anniversario Il procuratore Grasso, giunto a Palermo in nave con i ragazzi, ha ringraziato gli studenti con i quali, durante il viaggio, ha parlato e dibattuto sui temi della lotta alla mafia.

GRASSO - «Nel ricordare Giovanni Falcone provo sempre la stessa emozione che si ripete ogni anno, il 23 maggio è un giorno particolare in cui rivivono quei momenti di rabbia e disperazione». Lo ha detto il procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso che partecipa nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo alla commemorazione del giudice Giovanni Falcone. E parlando dell'importanza della presenza dei giovani al bunker ha detto: «Dobbiamo tenere i giovani di oggi ancorati alla nostra terra, saranno loro la classe dirigente di domani».

BERLUSCONI - L’anniversario dela strage di Capaci «è un momento di memore riflessione» sul loro «sacrificio». Lo scrive il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in un messaggio inviato alla signora Maria Falcone, presidente della Fondazione Giovanni e Francesca Falcone.

IL TESTO - «Gentile Signora, - scrive il presidente del Consiglio - la ricorrenza dell’eccidio di Capaci è un momento di memore riflessione sul sacrificio del giudice Giovanni Falcone, della signora Francesca e della scorta. L’importanza della lotta del giudice Falcone contro la mafia e la crimininalità organizzata, per la riaffermazione dei valori fondanti della Costituzione, è testimoniata dal progetto di educazione alla legalità che la Fondazione ha promosso nelle scuole per sensibilizzare i giovani su temi essenziali per la crescita della società civile italiana». «Esprimo, pertanto - conclude Berlusconi - anche a nome del governo, la grata solidarietà».

MINISTRO GELMINI - A Palermo anche il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini: «La scuola ha un ruolo fondamentale nell'insegnare la legalità. Penso che si debba dare più importanza e più spazio all'educazione civica. La partecipazione delle giovani generazioni a questo evento -aggiunge il ministro- significa che la mafia può e deve essere sconfitta. La scuola è un luogo in cui imparare ad essere cittadini migliori e vedere tutti questi volti entusiasti è un'emozione indescrivibile che mi riempie di gioia».

MINISTRO ALFANO - «Il pomeriggio del 23 maggio del 1992 mi trovavo nella mia stanza del collegio a Milano dove studiavo quando seppi della strage di Capaci. Ho vissuto sulla mia pelle, ed è la prima volta che lo dico, l'imbarazzo e la vergogna di essere siciliano». Queste le parole del ministro della Giustizia Angelino Alfano. E poi continua: «Il Consiglio dei ministri ha varato misure di grande impatto nella lotta alla mafia e che ci consentono di completare il disegno di Giovanni Falcone». Il guardasigilli ha spiegato che le misure di prevenzione, «fondamentali perché colpiscono i patrimoni mafiosi», rientreranno tra i poteri della Procura nazionale antimafia, «rendendo più efficace l'incidenza e il peso delle confische dei beni mafiosi perchè prima passava troppo tempo tra la confisca e l'effettivo uso del bene».

MINISTRO MARONI - ««La frontiera più importante nella lotta alla mafia è quella di togliere ai boss i patrimoni; è il modo più efficace per colpirli». Lo ha assicurato il ministro dell'Interno Roberto Maroni, subito dopo avere deposto una corona di fiori davanti alla stele che ricorda la strage di Capaci. Abbiamo approvato - ha concluso Maroni - un provvedimento che contiene norme proposte da Giovanni Falcone e mai entrate nell'ordinamento. È questo il modo più concreto e degno per onorarlo».

VICE MINISTRO GIUSTIZIA USA - «Falcone ha dato la sua vita per la sua terra, per me e per tutti i miei colleghi che si occupano di giustizia negli Stati Uniti è un eroe». Lo ha detto il viceministro della Giustizia americano Mark Filip. «I risultati raggiunti da Giovanni Falcone, ma anche da Paolo Borsellino -ha detto parlando agli oltre mille giovani presenti- sono noti in tutto il mondo. Falcone è stato un uomo brillante, straordinario, visionario, fu precursore dei tempi perché ebbe delle intuizioni investigative formidabili già in quei tempi. Un vero leader in questo. Era un lavoratore infaticabile, si chiudeva nella sua stanza anche per sedici ore al giorno». «Falcone -ha proseguito- amava la Sicilia, la sua terra e aveva un grande desiderio perchè la Sicilia venisse liberata dalla mafia». Ha poi ricordato che nel Vangelo c'è scritto «non c'è dono più grande di dare la propria vita per i propri amici e Falcone ha dato la sua vita per la sua Sicilia». Poi Mark Filip ha ricordato quando Falcone interrogò per la prima volta Tommaso Buscetta, il primo pentito di mafia: «Gli disse «non ti preoccupare, se io non capisco qualcosa ci possiamo rivolgere al dottore Borsellino». I due erano sempre fianco a fianco nella lotta a Cosa nostra, fin dall'infanzia che hanno trascorso a pochi passi uno dall'altro».

23 maggio 2008

da corriere.it
« Ultima modifica: Febbraio 21, 2012, 11:49:59 am da Admin » Registrato
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« Risposta #5 inserito:: Giugno 22, 2008, 04:32:51 pm »

22/6/2008 (7:Fico - RETROSCENA - IL COLLE SORPRESO DALLA SVOLTA DI BERLUSCONI

E ora Napolitano teme di finire come Scalfaro
 
«I governi non attacchino l'Europa come capro espiatorio per mascherare i loro problemi»

PAOLO PASSARINI


LIONE
Spiazzato e visibilmente fuori di sé, Giorgio Napolitano ha evitato con cura ogni contatto con i giornalisti per l’intera durata del suo soggiorno nella capitale del Rodano. Anzi, in stridente contrasto con quello che è il suo comportamento abituale, il Presidente ha reagito con manifesto fastidio a ogni tentativo di strappargli un commento perfino su una materia politicamente abbastanza innocua come il futuro dell’Unione europea. Tanto che quando, alla fine dell’intervento pronunciato in francese di fronte agli Stati Generali d’Europa per incitare i paesi più determinati a procedere da soli sulla strada dell’unificazione politica, gli è stato chiesto se poteva ripetere in italiano il suo «appello» per la radio, ha risposto bruscamente: «Quale appello?» e si è infilato in una saletta protetto dal suo servizio d’ordine. Sapendo come vanno in genere queste cose, voleva essere assolutamente sicuro che perfino una battuta anodina contro i governi che usano l’euroburocrazia come «capro espiatorio» non venisse stravolta e presentata come un intervento sui temi caldi della politica nazionale.

Sperimentato navigatore della politica, Napolitano non escludeva che Berlusconi avesse perso, oltre che il pelo, anche il vizio. Ma certamente non si aspettava che, nel giro di pochi giorni, proprio quando la situazione politica sembrava avviarsi verso una cooperativa normalità, il Cavaliere, prima con gli emendamenti al decreto sulla sicurezza poi con la sparata di Bruxelles, riaprisse in grande stile il conflitto con la magistratura e distruggesse quell’abbozzo di concordia nazionale che si stava finalmente delineando.

Pur essendo ovvio, data la sua storia politica, che il Presidente, alle ultime elezioni, non possa aver fatto il tifo per il centrodestra, tuttavia, da un punto di vista generale, il risultato del voto non gli era del tutto dispiaciuto. Anzi, la netta maggioranza raccolta dalla coalizione guidata da Berlusconi avrebbe almeno garantito stabilità, caratteristica che mancava del tutto nella legislatura precedente, come egli stesso aveva sottolineato più volte a partire dal giorno della sua elezione. La stabilità avrebbe facilitato, oltre che la governabilità, anche quel minimo di accordo necessario con l’opposizione per fare le riforme istituzionali. Il clima sarebbe cambiato e per lui sarebbe stato molto più facile svolgere il suo compito. Il Presidente - questo era il suo schema - si sarebbe messo al riparo del suo ruolo istituzionale, limitandosi a qualche suggerimento, o, quando il caso, a qualche correzione in punta di costituzione e tutto sarebbe filato liscio per cinque anni. E le cose sembravano funzionare proprio in questo senso: l’atteggiamento cooperativo del Pd di Walter Veltroni a cui faceva da contrappunto l’evidente intenzione di Berlusconi di assumere l’immagine di un «senior statesman», di un riverito statista, anche in vista di una sua futura ascesa al Colle, confermavano la giustezza del suo schema.

Ma ieri mattina, a Lione, perfino i più stretti collaboratori di Napolitano, di solito molto controllati, non avevano difficoltà ad ammettere che, questa volta, il Presidente era stato colto di sorpresa. «Così non se l’aspettava proprio».

A parte l’infausto disintegrarsi del più volte invocato «clima di concordia nazionale», le uscite del Cavaliere stavano sicuramente provocando il riaccendersi, in forme forse ancora più violente del passato, di quella guerra tra magistratura e politica, che, oltre che bloccare i ruoli e rendere impossibile ogni seria riforma, rischia di schiacciare l’immagine del presidente in una mediazione impossibile.

Saltato lo schema di una presidenza più istituzionale e meno politica dei primi due anni, Napolitano adesso si chiede cosa fare: mettersi «alla cappa» e aspettare che passi la tempesta o scendere in campo, rischiando di diventare un nuovo Scalfaro?

Il Presidente ci sta riflettendo e, intanto, rivendica il suo diritto di mantenere il riserbo. E così, venerdì, all’uscita della cattedrale di Saint Jean, per schivare i giornalisti non ha esitato a imboccare con tutto il seguito uno stretto cunicolo. Uscitone, si è diretto verso una rinomata pasticceria, di fronte alla quale un occhiuto zingaro con la fisarmonica, riconosciutolo, ha intonato la musica del «Padrino». Intuendo che qualcosa non andava, lo zingaro è passato velocemente a «Bella ciao».
 
da lastampa.it
 
 
 
 
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« Risposta #6 inserito:: Luglio 11, 2008, 08:04:59 am »

Il debito verso il maestro Amendola.

I duelli con Berlinguer

La vita politica di un "migliorista" con la passione per la poesia

La lunga marcia di Napolitano il comunista che fu ex in anticipo

di DARIO OLIVERO

 

ROMA - Dal maestro Giorgio Amendola l'allievo Giorgio Napolitano ereditò debiti e crediti. I debiti furono soprattutto politici, i crediti soprattutto umani. I primi, Napolitano, li ha pagati per cinquant'anni e la sua salita al Colle è l'ultima cambiale portata a pagamento con l'orgoglio che avevano i risparmiatori di una volta quando, pur di non fare brutta figura con un creditore, si privavano del pane o di un nuovo paio di scarpe. Sono i debiti della tradizione riformista del Partito comunista italiano, la cultura "migliorista", parola che equivaleva in certi anni a poco meno di un insulto. I crediti sono quelli che Amendola trasmise su un terreno già fertile e che forse si possono racchiudere in un solo termine: umanesimo.

Difficile pensare a due persone così apparentemente diverse come il primo Giorgio (Amendola), l'ex pugile che affascinava i giovani della Fgci sostenendo le sue posizioni eretiche con la forza della passione e del cuore e il secondo Giorgio (Napolitano), lo spilungone dall'aspetto aristocratico che gli valse il nome di "Re Umberto" per la sua somiglianza con l'erede di casa Savoia. Eppure il loro sodalizio poggiava anche su quel terreno fertile del Napolitano sconosciuto.

Perché l'uomo che sta per salire sul Colle più alto della Repubblica non è soltanto il volto istituzionale e rassicurante, l'unico - secondo le valutazioni del suo stesso partito - in grado di portare gli eredi del Pci al Colle senza far gridare (Berlusconi escluso) al colpo di stato dei Soviet. E' anche un uomo che vive una vita privata e interiore insospettabile per chi si è già seduto sulla poltrona della Camera e del ministero dell'Interno.

Fu attore teatrale in gioventù e autore di sonetti in napoletano scritti sotto pseudonimo. Fu ed è sempre stato attratto dalle lettere, dalle arti, dalla regia. E questa vita intellettuale potrebbe spiegare, come in una teoria di vasi comunicanti, come, dove e quando si rifugiava l'uomo politico quando il peso dell'"eresia" della sua corrente diventava troppo gravoso.

Il giovane Napolitano recitò la parte di un cieco in una commedia di Salvatore Di Giacomo, recitò nel Viaggio a Cardiff di William Butler Yeats al Teatro Mercadante di Napoli, si sciolse confrontandosi con Joyce ed Eliot, passò lunghe serate a parlare di teatro e di regia con Francesco Rosi e Giuseppe Patroni Griffi. Scrisse versi in dialetto dedicati a Napoli, alla morte, alla madre, firmandosi Tommaso Pignatelli. Natalia Ginzburg li adorava.

"Troppo facile trovare un applauso", dirà decine di anni dopo riferendosi alla retorica che piove dai palchi della politica e forse lasciando intendere che i veri applausi possono essere soltanto quelli catartici che si sprigionano in un teatro. Mentre sembrano ben poca cosa quelli dei comizi, luoghi da sdrammatizzare con una buona dose di ironia come quando, come testimonia una foto storica, Napolitano si fabbricò sotto un palco a una Festa dell'Unità un cappellino di carta come quello dei muratori per ripararsi dal sole.

Per tutti questi motivi forse la carriera politica di Napolitano non è la cosa più sorprendente della sua vita. Anche se il solo elencarla fa venire il capogiro: nato a Napoli il 29 giugno 1925, nel Pci nel 1945, nel '53 eletto alla Camera, nel 1992 presidente di Montecitorio (in piena bufera Mani pulite), nel 1996 Viminale (ancora oggi il Sap, sindacato di polizia, lo definisce il miglior ministero dell'Interno), nel 1999 Parlamento europeo, nel 2005 senatore a vita per nomina di Ciampi.

Si dice, ed è vero, che anche gli avversari politici lo hanno sempre rispettato. Ma quello che può essere considerato un onore, visto dall'interno del suo partito, non è sempre stato un vantaggio, proprio per il peso del "debito" che Napolitano si portava sulle spalle. Il termine "migliorista" fu coniato espressamente per lui perché termini come "riformista" o "socialdemocratico" non esprimevano abbastanza l'insofferenza di chi, a sinistra, era "fedele alla linea".

Che cosa voleva dire "migliorista"? Voleva dire che gente come Napolitano o Luciano Lama avevano rinunciato alla rivoluzione ma volevano "migliorare" la società. Non cambiarla radicalmente, perché il capitalismo non solo non andava abbattuto, ma bisognava scendere a patti con esso per riformarlo, emendarlo e renderlo più umano. Ecco che cosa si intende per comunista "di destra" rispetto a un comunista "di sinistra". Come era considerato il suo oppositore principale, Pietro Ingrao.

Oggi è più facile. Dopo la svolta della Bolognina dell'89, dopo il congresso di Pesaro del 2001 - quando Piero Fassino tributò a Napolitano un passaggio in cui lo definì "il compagno che comprese prima di altri" - è più facile dire che non c'è, e non c'era, nessuna "eresia". Ma che cosa voleva dire essere miglioristi negli anni Ottanta, quando si era in contrasto con la linea del partito guidato da Enrico Berlinguer? Cosa voleva dire criticare un segretario tanto amato? Quanto doveva essere doloroso per gente cresciuta dentro il partito dividersi tra fedeltà e nuove prospettive politiche? Cosa voleva dire essere già post-comunista quando i comunisti si chiamavano ancora comunisti?

Voleva dire sporcarsi le mani. Voleva dire non lasciare ad altri il merito di cavalcare indisturbati le spinte più innovatrici della società italiana. Voleva dire dialogare con il Psi, anche con quello di Bettino Craxi. Voleva diresentirsi trasmettere la solidarietà da Norberto Bobbio e la distanza dei compagni, che magari ti accusano di fare il gioco di Bettino. Voleva dire - in piena battaglia berlingueriana sulla questione morale - gettare un ponte verso un riformismo socialista trovando pochi appoggi all'interno e ancora meno interlocutori affidabili all'esterno.

Questo era il debito, cresciuto negli anni e dopo la caduta del muro, che Napolitano si portava dietro. E l'unico modo per pagarlo era convincere tutti di aver ragione, cercare una politica di alleanze con le grandi socialdemocrazie europee e rompere l'isolamento del più grande partito della sinistra. Progetto che gli riuscirà quando il Pds di Occhetto nell'89 entrerà nel Partito socialista europeo.

Il resto è storia dell'ultimo scorcio di secolo, storia europea che per Napolitano finisce nel 2004 quando non si ricandida per Strasburgo. Pensava probabilmente di aver finito di pagare il suo debito politico, chiudendo la sua vita politica come senatore a vita. Così diceva tra le righe nella recente autobiografia Dal Pci al socialismo europeo. Invece, la regola degli attori, per i quali the show must go on, vale anche per i politici di razza. Quelli capaci di diventare, da uomini di partito, ministri di governo, presidenti del Parlamento e, all'ultima scena, inquilini del Quirinale.

(10 maggio 2006

da repubblica.it
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« Risposta #7 inserito:: Luglio 22, 2008, 02:05:46 pm »

IL MONITO DI NAPOLITANO

La giustizia, la privacy e l'equilibrio dei diritti



Nel messaggio di saluto indirizzato ieri al convegno in memoria di Vittorio Chiusano, valoroso avvocato di grande equilibrio e non dimenticato presidente dell'Unione delle Camere penali, il capo dello Stato ha toccato (non soltanto di striscio) uno dei temi più delicati della giustizia penale, sempre più spesso ridotta a «giustizia spettacolo ». E lo ha fatto con grande chiarezza e intensità di accenti.

Si tratta del tema relativo alla garanzia della privacy delle persone coinvolte nel processo, e prima ancora nelle indagini, sotto il particolare profilo del rapporto tra tale garanzia e l'esercizio del diritto di cronaca. Tema delicato e complesso, di cui per certi aspetti già il codice si fa carico, ad esempio in materia di ripresa televisiva delle udienze dibattimentali (attraverso una disciplina volta comunque a tutelare i soggetti che non vi consentano), e di cui sovente si torna a discutere. Specialmente di fronte a certe esorbitanze dei salotti televisivi, nei quali troppo spesso si disputa di giustizia, senza l'osservanza — ovviamente — delle regole e dei limiti propri della legge processuale: con il duplice rischio di ingenerare errati convincimenti nell'opinione pubblica (anche per la mancanza di contraddittorio), e di pregiudicare indebitamente l'immagine delle persone di cui si parla (non di rado anche in loro assenza). E questo senza dire di altre, e ben più gravi, esorbitanze verbali di uomini politici nei confronti di singoli magistrati, o dell'intera magistratura.

È chiaro tuttavia — sebbene il presidente Napolitano non lo dica espressamente — che i rilievi contenuti nel suo messaggio sono riferibili anche, anzi soprattutto, al problema delle intercettazioni telefoniche, o meglio al fenomeno della pubblicazione sui giornali (ma spesso anche nei ben noti salotti televisivi, con l'aggravante della simulazione sonora dei dialoghi captati) dei risultati di tali intercettazioni. È proprio con riferimento a questo fenomeno, ed alle sue più clamorose degenerazioni, infatti, che negli ultimi tempi è apparsa sempre più urgente l'esigenza di realizzare «con responsabilità e senso del limite», il contemperamento di due valori solo in apparenza contrapposti: da un lato la «difesa del diritto alla informazione» (come diritto sia di informare, sia di essere informati), e, dal-l'altro, la «tutela del diritto dei cittadini a vedere salvaguardata la loro riservatezza». E non c'è dubbio, come sottolinea ancora Napolitano — stigmatizzando una innegabile, quanto deplorevole, tendenza alla «spettacolarizzazione dei processi» — che il momento di maggiore criticità riguardi la «divulgazione di notizie attinenti a terzi estranei alle vicende» oggetto di tali processi.

Il discorso, a questo punto, si riallaccia inevitabilmente alle proposte di politica legislativa ancora di recente formulate (attraverso il disegno di legge presentato dal ministro Alfano) in materia di riforma delle intercettazioni telefoniche. Perché, a ben vedere, come ha ricordato da ultimo anche il Garante della privacy Francesco Pizzetti, la vera «anomalia tutta italiana» dell'attuale disciplina risiede non già nella quantità o nella durata (valutazioni quantomai opinabili, da parte di chi non conosca in concreto le esigenze delle indagini) delle intercettazioni ammesse, bensì nella circostanza che (attraverso l'abusiva pubblicazione dei colloqui intercettati) si pervenga a sacrificare «il rispetto della dignità e del decoro delle persone coinvolte», per usare ancora le parole di Napolitano. Sia delle persone estranee al processo, sia anche degli indagati o degli imputati, con riferimento a conversazioni non concernenti la vicenda processuale.

È questo, dunque, il versante su cui dovrà intervenire il legislatore, del resto lungo la strada segnata dal progetto Mastella (approvato dalla Camera, pressoché all'unanimità, nell'aprile 2007), sulla scia delle indicazioni già contenute nel progetto Flick di oltre 10 anni orsono, oggi recepite anche nel progetto della Repubblica di San Marino. Si tratta, in sintesi, di stabilire — predisponendo allo scopo opportuni filtri di controllo, anche da parte dei difensori — che i risultati delle intercettazioni concernenti persone, fatti o circostanze estranei alle indagini non debbano nemmeno venire depositate tra le carte processuali, essendo essi irrilevanti, ma debbano rimanere custodite in un apposito «archivio riservato», con il vincolo del segreto, e sotto la responsabilità di un magistrato della procura. Inutile dire che di queste ultime intercettazioni (in quanto segrete, e come tali destinate ad essere distrutte) dovrà essere rigorosamente vietata la pubblicazione, con la previsione di sanzioni anche gravi in caso di violazione del divieto. Mentre, per quanto riguarda i risultati delle intercettazioni acquisite al processo, in quanto riconosciute rilevanti, non si vede la necessità di vietarne la pubblicazione (almeno nel loro contenuto), una volta caduto il segreto sulle medesime.


Vittorio Grevi
22 luglio 2008

da corriere.it
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« Risposta #8 inserito:: Settembre 10, 2008, 10:30:49 pm »

Il presidente della Repubblica in Finlandia

Napolitano e la Costituzione italiana: «Valori e principi, questione aperta»

«Questi principi sono rispecchiati anche nella Costituzione europea e nel Trattato di Lisbona»



HELSINKI (Finlandia) - «Credo che in Italia sia ancora una questione aperta la piena identificazione che ci dovrebbe essere da parte di tutti nei principi e nei valori della Costituzione repubblicana, che sono rispecchiati nella Costituzione europea richiamata nel Trattato di Lisbona». Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rispondendo a una domanda dei giornalisti sulla caduta di tensione che c'è in vari Paesi europei rispetto ai motivi originari che furono alla base della costruzione europea quale strumento per mettere fine agli orrori creati dalla guerra e dal nazifascismo.

«RILANCIARE LA CAUSA EUROPEA» - A frenare la piena integrazione politica dell'Europa, a determinare «una insufficiente tensione europeista» in vari paesi europei, ha detto Giorgio Napolitano, sono soprattutto correnti di euroscetticismo. «Mi auguro - ha aggiunto - che tutte le forze politiche, tutti i partiti italiani dedichino tempo, attenzione e impegno a un rilancio della causa europea. Abbiamo bisogno che i governi in Europa ribadiscano l'assoluta priorità di questa scelta, che fu all'inizio comune all'Italia e a altri cinque paesi e poi è stata condivisa da altri 21 paesi. Questo non c'èa ncora abbastanza».

«L'UNITA' HA GARANTITO LA PACE» - «È evidente - ha poi sottolineato il capo dello Stato - che l'unità europea ha garantito pace, stabilità democratica e anche crescita economica e benessere sociale, attraverso la grande impresa del mercato unico e poi dell'euro, conquista forse troppo spesso messa in una luce ambigua, ma che ha rappresentato un forte ancoraggio per i paesi membri che avrebbero potuto ben altrimenti essere colpiti dalla crisi finanziaria tuttora in corso. È vero che finora la Ue non ha saputo dare un contributo sufficiente a determinare una nuova fase di sviluppo. Ma è compito anche dei governi e delle leadership nazionali dare un contributo a queste soluzioni e indicare le strade da percorrere, al di là delle dichiarazioni, per rendere effettiva quella strategia di Lisbona che nelle sue fondamentali affermazioni rimane valida, ma probabilmente richiede istituzioni più efficaci per essere attuata».

POLEMICHE - Il capo dello Stato ha poi aggiunto in merito al suo discorso sulla Resistenza dell'8 settembre a Roma: «Ho solo espresso il mio punto di vista. Non ho fatto polemiche con alcuno, né ho tirato per la giacca nessuno, né ho risposto ad alcuno. Ho svolto il mio intervento per ultimo, come era previsto».


10 settembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #9 inserito:: Dicembre 03, 2008, 08:37:21 am »

Napolitano: «Il Sud faccia autocritica o finirà fuorigioco»

Il presidente: «Altrimenti non si hanno titoli per resistere alle interpretazioni più perverse del federalismo fiscale»

 

NAPOLI (2 dicembre) - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo alla Fondazione Mezzogiorno-Europa, è tornato questa mattina sul tema del Mezzogiorno, già affrontato ieri.

Autocritica del Mezzogiorno. «Non voglio aggiungere nulla - ha detto Napolitano - a ciò che ho detto pubblicamente. Sono persuaso che se oggi non si dà il senso di una forte capacità di autocritica e di autoriflessione nel Mezzogiorno, poi la partita per fare passare politiche corrispondenti alle esigenze del Mezzogiorno stesso, diventa enormemente difficile. Si possono denunciare rischi, paventare esiti infausti, ma se ci si sottrae a un esercizio di responsabilità per quello che riguarda l'amministrazione della cosa pubblica nel Mezzogiorno, non si hanno titoli per resistere anche a interpretazioni le più perverse del federalismo fiscale».

Rinnovamento dei partiti. Napolitano ha preso le mosse da una considerazione sul ruolo delle fondazioni culturali. Rispetto a un'epoca precedente in cui erano impartiti a sviluppare le riflessioni sulla cultura, ha detto Napolitano, «adesso i contributi non a caso devono venire dall'esterno e devono contribuire al rinnovamento dei partiti non solo in quanto formazioni politiche ma anche per le loro responsabilità di governo e amministrative». 

da ilmessaggero.it
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« Risposta #10 inserito:: Dicembre 17, 2008, 06:52:28 pm »

2008-12-17 11:44

L'intervento di Napolitano, testo integrale


   INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO ALLA VI EDIZIONE DELLA CONFERENZA DEGLI AMBASCIATORI



Farnesina, 17 dicembre 2008


   Ringrazio il ministro Frattini per avermi gentilmente associato all'avvio di questa sesta edizione della Conferenza degli Ambasciatori.
E' un'occasione che ho colto ben volentieri, innanzitutto per rendere omaggio alla tradizione e alla scuola che ciascuno di voi - signori Ambasciatori - rappresenta, e che voi tutti insieme rappresentate. Una tradizione di alta professionalità e di peculiare apertura, intellettuale e umana, nel rapporto con sempre nuove e diverse realtà. Una scuola - da onorare sempre - di assoluta dedizione e lealtà al servizio della Nazione e dello Stato repubblicano. E' questa la cifra di distinzione della diplomazia italiana : e non a caso la scelta della carriera diplomatica continua ad attrarre giovani energie tra le migliori che il nostro sistema educativo riesca a formare.

   Né c'è alcun limite o privilegio, nell'accesso alla carriera, relativo all'estrazione sociale degli aspiranti. Quel che conta è la passione, l'interesse e la curiosità culturale, la preparazione e la predisposizione all'impegno e al rigore necessario.Credo che perciò il corpo diplomatico rappresenti un luminoso esempio, nel più vasto e variegato panorama dell'amministrazione pubblica. Il tratto essenziale è naturalmente rappresentato dal senso dello Stato, che dovrebbe distinguere chiunque svolga una funzione rispondente solo all'interesse collettivo.Operare con autentico senso dello Stato significa anche esprimere la continuità delle nostre istituzioni e il valore supremo dell'unità nazionale, al di là delle mutevoli vicende politiche. E ciò è reso più agevole dal notevole grado di continuità e di condivisione che la politica estera italiana è venuta raggiungendo. Ormai da numerosi decenni è fuori discussione la collocazione internazionale dell'Italia, quale si definì - a cavallo tra gli anni '40 e '50 dello scorso secolo - con l'adesione all'Alleanza Atlantica e alla Comunità europea. Ed è degno di nota il consenso che in questa scia ha da ultimo riscosso e riscuote, anche nell'opinione pubblica e tra i cittadini, la partecipazione italiana a molteplici missioni militari all'estero sotto l'egida delle organizzazioni multilaterali di cui siamo parte.

   In effetti, nell'ancoraggio alle fondamentali scelte euroatlantiche che ho ricordato, è cresciuta nel paese la consapevolezza del ruolo da svolgere sulla scena internazionale, e dunque della cruciale importanza per l'Italia di un'efficace, incisiva, credibile politica estera.

   Non c'è bisogno di sottolineare quanto il mondo attorno a noi sia cambiato negli ultimi decenni o stia ancora cambiando. Ma la nostra politica estera non è mai rimasta chiusa nel perimetro euroatlantico, pur facendone il suo perno e punto di riferimento. Basti citare l'attenzione e l'iniziativa, anch'esse largamente condivise, sempre dedicate al Medio Oriente, al mondo arabo, all'Africa, all'America Latina. E' del tutto evidente che la rete dei nostri rapporti internazionali deve più che mai allargarsi e intensificarsi, ma c'è qualcosa di più da dire e mettere in evidenza.

   C'è da dire che politica estera e politica interna si sono venute intrecciando sempre più strettamente ; che nessuno dei maggiori problemi nazionali può affrontarsi con successo se non in un più ampio quadro internazionale, come si può d'altronde desumere dalla stessa impostazione dei lavori di questa Conferenza : dai problemi della sicurezza, della lotta al terrorismo e al crimine organizzato, del contrasto dell'immigrazione illegale, ai problemi dello sviluppo economico, dell'energia, dell'ambiente. Di qui l'accresciuta responsabilità dell'Amministrazione degli Esteri e di chi la guida in seno al governo : responsabilità, anche, nel rendere sempre meglio consapevoli del ruolo della politica estera l'insieme delle istituzioni repubblicane, a partire dal Parlamento, e la più vasta opinione pubblica.Lo stesso profilo di quanti reggono le nostre ambasciate ne esce allargato e arricchito : il loro impegno ha acquisito e tende ad acquisire una inedita pluralità di dimensioni (tra le quali vorrei citare, con nuova enfasi, quella culturale), per poter meglio servire il paese, per contribuire a soddisfare le sue molteplici esigenze. E in sintonia con questo processo non può che collocarsi lo sforzo, già in corso, di rinnovamento e adeguamento della stessa struttura, e del modus operandi, del Ministero degli Affari Esteri.

   In una fase complessa e difficile come quella attuale, la priorità spetta al superamento di tensioni e di minacce che insidiano la stabilità internazionale, e in particolare alla soluzione di crisi regionali, comprese quelle non lontane dal nostro territorio nazionale. E occorrono una visione globale e un approccio multilaterale, che soli possono condurre all'avanzata della pace e della sicurezza nel mondo.Ma una tale visione e un tale approccio sono ancor più richiesti oggi in presenza di una crisi finanziaria ed economica che non conosce confini, che tocca diversi continenti. Avrete modo di discuterne ampiamente. Anche a questo proposito si può dire che l'Italia abbia maturato ed espresso una sua vocazione al multilateralismo, al metodo del dialogo e del negoziato. Una vocazione che le viene riconosciuta e può permetterle di acquisire ancora maggior spazio e autorevolezza nella fase attuale delle relazioni internazionali.

   Il luogo di elezione per lo sviluppo della nostra iniziativa in tutte le direzioni rimane, come sappiamo, l'Europa unita, la rete istituzionale dell'Unione Europea. E dall'Italia si attende un'azione coraggiosa e coerente per scongiurare tentazioni di chiusura, ripiegamenti protezionistici e micronazionalismi che ci riporterebbero indietro nel tempo e si rivelerebbero inani a risolvere i problemi del nostro tempo. Ci si attende dall'Italia un'azione risoluta per la riforma delle istituzioni europee, bloccata dalla mancata entrata in vigore del Trattato di Lisbona, e per un ulteriore avanzamento - anche per via di differenziazione - del processo di integrazione.

   Pensiamo così ad un'Europa che possa più che mai affermarsi come partner storico e interlocutore privilegiato degli Stati Uniti, contando su una corrispondente propensione della nuova Amministrazione americana. Dovremo insieme affrontare - in risposta alla crisi che ci sta duramente investendo tutti - i problemi di una nuova governance globale e ri-disegnare le istituzioni che possano garantirla. Questa strada già si sta aprendo : e una tappa significativa può essere rappresentata dal prossimo G8, per l'impostazione innovativa e lungimirante che la Presidenza italiana intende darvi contando sul decisivo apporto della Farnesina.

  Lasciate che vi rinnovi, signori Ambasciatori, l'espressione del mio profondo apprezzamento e il più cordiale augurio per l'anno che sta per iniziare.

Buon lavoro a lei, signor Ministro, e alla Conferenza. 

da ansa.it
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« Risposta #11 inserito:: Dicembre 17, 2008, 11:58:13 pm »

17/12/2008 (18:31) - L'APPELLO

Napolitano: "Basta polemiche, sì a riforma bipartisan della Costituzione"
 
Il presidente della Repubblica: «Servono soluzioni condivise »


ROMA

Una revisione di «specifiche norme della Costituzione del 1948» è oggi «ancora più opportuna dinanzi ad alterazioni di fatto dell’assetto rimasto vigente, in particolare per quel che riguarda la forma di governo». Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo discorso alle alte cariche dello Stato. Secondo il capo dello Stato, la «permanente validità» della prima parte della Costituzione «non impedisce di formulare essenziali e ben determinate proposte di riforma», come quella delineata a larga maggioranza alla fine della passata legislatura. «Non può destare meraviglia - ha sottolineato Napolitano - il mio rinnovato auspicio che quel cammino venga ripreso in un clima di costruttivo confronto».

Il confronto politico per le decisioni sulle leggi e le riforme deve avvenire in Parlamento. È un’indicazione molto stringente quella che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano fornisce alle massime autorità istituzionali e politiche, di governo e di opposizione, presenti nel Salone dei Corazzieri al Quirinale -con la sola eccezione, per motivi di salute, del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi- per la tradizionale cerimonia di scambio d’auguri di Natale e Capodanno. «È il Parlamento il luogo in cui vanno confrontate analisi obiettive delle situazioni su cui intervenire e libere valutazioni delle possibile scelte da compiere.

È il Parlamento il luogo in cui vanno consultate le rappresentanze politiche, di maggioranza e di opposizione, preparate e infine adottare le decisioni -ribadisce con forza il Capo dello Stato- può scaturire da ciò una legislazione meno pletorica e dispersiva e di migliore qualità, del che c’è grande bisogno; e può scaturire una piena affermazione del Parlamento, sia come legislatore sia nelle sue funzioni di indirizzo e di controllo e di valutazione costante delle politiche pubbliche». Napolitano non si nasconde che «da noi, molto si deve ancora fare per accrescere la produttività del Parlamento, per rendere più spedito e sicuro il cammino legislativo, per rispettare il diritto-dovere della maggioranza di governare. Ma ciò -avverte- non comporta e non deve sancire una mortificazione del ruolo del Parlamento».

Il presidente della Repubblica esorta a «rispettare effettivamente il ruolo dell’opposizione, essenziale in ogni sistema democratico; ma, più in generale, il ruolo del Parlamento nel suo insieme». Napolitano stigmatizza il fatto che «i lavori parlamentari appaiono spesso condizionati da un sovraccarico legislativo, in un clima di concitazione e talvolta di vera e propria congestione». Ma, «l’urgenza si deve combinare con un realistico ordine di priorità dei provvedimenti da condurre al voto finale, a garanzia della necessaria ponderazione e del normale diritto di emendare le proposte del governo».

Il presidente interviene poi sul tema economico. La preoccupazione per la crisi e finanziaria che sta investendo l’Italia «non giustifica reazioni di paura, di scoramento e di rassegnazione». Nè, d’altro canto, può giustificare «il ripiegare su logiche di mera difesa nazionale e su tentazioni protezionistiche che non salverebbero l’Europa nè alcuno dei suoi Paesi». È la crisi economica il primo tema che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affronta nel suo incontro alle alte cariche dello Stato, il tradizionale incontro con il mondo della politica. Napolitano spiega che certamente «preoccupano tutti i fenomeni di recessione e i rischi di arretramento» e preoccupa il diffondersi «del malessere sociale per le condizioni difficili delle famiglie a più basso reddito». Realtà «particolarmente pesante per una parte del nostro paese, per le regioni del Mezzogiorno».

da lastampa.it
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« Risposta #12 inserito:: Dicembre 18, 2008, 10:33:39 am »

NAPOLITANO E LA GIUSTIZIA

Quel monito del Presidente

di Vittorio Grevi


Ancora una volta i temi della giustizia irrompono sulle prime pagine dei giornali. Ma, questa volta, non nella prospettiva, ancora ieri sottolineata con vigore dal presidente Napolitano, di una doverosa riforma concernente il rispetto di «essenziali norme di condotta» nell'esercizio della giurisdizione (una riforma condivisa, ha chiesto giustamente il Presidente, anche perché c'è un rischio di arbitrio che va contrastato), bensì con specifico riferimento ad alcune clamorose inchieste in corso. A cominciare da quella della procura napoletana per l'«affare Global Service».

Ampiamente preannunciata da numerosi segnali, la bufera giudiziaria scatenatasi negli ultimi giorni sul comune di Napoli, con il coinvolgimento di diversi assessori ed ex assessori, nonché di un imprenditore finito in carcere, proietta un'ennesima ombra inquietante su certe modalità di gestione del potere negli enti locali, in questo caso da parte di amministratori di centrosinistra. E poiché l'inchiesta di Napoli segue di poche ore la notizia di analoghe indagini avviate a Pescara e a Potenza, e sempre per fatti corruttivi legati ad intrecci di malaffare politico- amministrativo, nel quale risultano indagati diversi esponenti del Partito democratico (sebbene a Napoli, per la verità, fra i parlamentari coinvolti figuri altresì un esponente del Pdl), l'impressione è che anche il principale partito di opposizione non possa ormai più vantare la tradizionale rendita di immagine, rispetto alle ombre di una «questione morale» tuttora irrisolta.

Naturalmente per ora si tratta soltanto di ipotesi di reato formulate dagli organi del pubblico ministero (peraltro già avallate in vario modo dai provvedimenti di un giudice), sicché è buona cosa attendere l'esito delle inchieste prima di formulare un giudizio definitivo. Questa, tuttavia, è una precisazione da farsi, e doverosamente, sul piano tecnico processuale, come riflesso della presunzione di non colpevolezza che assiste qualunque indagato. Sul piano politico, però, il discorso è differente, essendo palese che un partito non può attendere mesi od anni, prima di dare segnali di pulizia e trasparenza al suo interno. E questi segnali devono essere dati sulla base di valutazioni politiche (ponderate, ma tempestive), attraverso provvedimenti che rimuovano anche il minimo sospetto: senza condanne anticipate, ma anche senza atteggiamenti di indulgente lassismo, soprattutto quando determinati fatti o determinate condotte risultino comunque da circostanze obiettive, benché non (ancora) sanzionati da una sentenza.
È fin troppo facile ripeterlo, di fronte a notizie come quelle provenienti dalle inchieste di Napoli, di Potenza, di Pescara ed anche di altre sedi.

Tuttavia bisogna essere consapevoli che oggi, non saremmo qui a parlare ancora una volta di «questione morale», ed a lamentare il riesplodere di episodi di pubblica corrutela dai contorni già ben noti, se dopo la stagione degli scandali di Tangentopoli, all'inizio degli anni '90, il nostro ceto politico avesse trovato in sé la forza di rigenerarsi a fondo nelle proprie radici etiche. Sia nel senso di recuperare da parte di tutti un più profondo senso dello Stato, sia nel senso di predisporre rigorosi congegni diretti comunque a prevenire (anche attraverso adeguate selezioni dei soggetti da candidarsi), certi disdicevoli comportamenti, all'insegna dello scambio tra tangenti ed affari. Così purtroppo non è avvenuto, per cui ancora una volta spetta all'autorità giudiziaria — nell'esercizio della sua funzione istituzionale di controllo della legalità — il compito di accertare fatti e responsabilità di vicende riconducibili, per lo più, allo schema penalistico della corruzione.

Adesso occorre che alla magistratura venga data piena fiducia ai fini dello sviluppo delle indagini in corso (ovviamente nel rispetto di tutte le garanzie difensive previste per gli indagati), così da poterne verificare ogni possibile implicazione, senza privilegi per nessuno. Nemmeno per i parlamentari che sono stati indirettamente coinvolti in intercettazioni telefoniche operate non a loro carico, i quali per primi avranno interesse a dimostrare la propria estraneità ai fatti.

Quanto allo strumento delle intercettazioni, la circostanza che esse siano all'origine di molte delle inchieste per corruzione rese note in questi giorni, costituisce una ulteriore dimostrazione della concreta utilità di questo mezzo investigativo, anche nei procedimenti per i reati contro la pubblica amministrazione. E, nel contempo, costituisce altresì un serio monito per quanti, in sede di politica legislativa, vorrebbero invece escludere la loro ammissibilità proprio nell'ambito di tali procedimenti. Ma questo pericolo sarà evitato se in tema di riforme della giustizia si cercheranno, secondo l'auspicio rinnovato ieri dal presidente Napolitano, soluzioni «condivise».

18 dicembre 2008
da corriere.it


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« Risposta #13 inserito:: Gennaio 21, 2010, 05:41:44 pm »

Napolitano e i suoi miglioristi, così lontani e così vicini a Craxi

di Gianni Barbacetto e Peter Gomez,

da "Il Fatto Quotidiano", 20 gennaio 2010


"Non dimentico il rapporto che fin dagli anni Settanta ebbi con lui... Si trattò di un rapporto franco e leale, nel dissenso e nel consenso che segnavano le nostre discussioni e le nostre relazioni”. “Lui” è Bettino Craxi. E chi “non dimentica” è Giorgio Napolitano, oggi Presidente della Repubblica. Nella sua lettera inviata alla vedova di Craxi a dieci anni dalla morte del segretario del Psi, il capo dello Stato sostiene che, nel “vuoto politico” dei primi anni Novanta, avvenne “un conseguente brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia”. A farne le spese fu soprattutto il leader socialista, per il peso delle contestazioni giudiziarie, “caduto con durezza senza eguali sulla sua persona”.

Il rapporto tra Craxi e Napolitano fu lungo, intenso e alterno. Naufragò nel 1994, quando Bettino inserì Napolitano nella serie “Bugiardi ed extraterrestri”, un’opera a metà tra la satira politica e l'arte concettuale. Ma era iniziato, appunto, negli anni Settanta, quando il futuro capo dello Stato si era proposto di fare da ponte tra l’ala “riformista” del Pci e il Psi. Negli Ottanta, Napolitano rappresentò con più forza l’opposizione interna, filo- socialista, al Pci di Enrico Berlinguer: proprio nel momento in cui questi propose la centralità della “questione morale”. Intervenne contro il segretario nella Direzione del 5 febbraio 1981, dedicata ai rapporti con il Psi, e poi ribadì il suo pensiero in un articolo sull’Unità, in cui criticò Berlinguer per il modo in cui aveva posto la “questione morale e l’orgogliosa riaffermazione della nostra diversità”.

È in quel periodo che la vicinanza tra Craxi e Napolitano sembra cominciare a farsi più forte. Tanto che nel 1984, il futuro presidente appoggia, contro il Pci e la sinistra sindacale, la politica del leader socialista sul costo del lavoro. Il mondo, del resto, sta cambiando. E in Italia, a partire dal 1986, cambiano anche le modalità di finanziamento utilizzate dai comunisti. I soldi che arrivano dall’Unione Sovietica sono sempre di meno. E così una parte del partito – come raccontano le sentenze di Mani pulite e numerosi testimoni – accetta di entrare nel sistema di spartizione degli appalti e delle tangenti. La prova generale avviene alla Metropolitana di Milano (MM), dove la divisione scientifica delle mazzette era stata ideata da Antonio Natali, il padre politico e spirituale di Craxi. Da quel momento alla MM un funzionario comunista, Luigi Miyno Carnevale, ritira come tutti gli altri le bustarelle e poi le gira ai superiori. In particolare alla cosiddetta “corrente migliorista”, quella più vicina a Craxi, che “a livello nazionale”, si legge nella sentenza MM, “fa capo a Giorgio Napolitano”. E ha altri due esponenti di spicco in Gianni Cervetti ed Emanuele Macaluso.

Per i “miglioristi” Mani Pulite è quasi un incubo: a Milano molti dei loro dirigenti vengono arrestati e processati per tangenti. Tutto crolla. Anche il loro settimanale, Il Moderno, diretto da Lodovico Festa e finanziato da alcuni sponsor molto generosi: Silvio Berlusconi, Salvatore Ligresti, Marcellino Gavio, Angelo Simontacchi della Torno costruzioni. Imprenditori che sostenevano il giornale – secondo i giudici – non “per una valutazione imprenditoriale”, ma “per ingraziarsi la componente migliorista del Pci, che in sede locale aveva influenza politica e poteva tornare utile per la loro attività economica”. Il processo termina nel 1996 con un’assoluzione. Ma poi la Cassazione annulla la sentenza e stabilisce: “Il finanziamento da parte della grande imprenditoria si traduceva in finanziamento illecito al Pci-Pds milanese, corrente migliorista”. La prescrizione porrà comunque fine alla vicenda.
Più complessa la storia dei “miglioristi” di Napoli, che anche qui hanno problemi con il metrò. L’imprenditore Vincenzo Maria Greco, legato al regista dell’operazione, Paolo Cirino Pomicino, nel dicembre 1993 racconta ai pm che nell’affare è coinvolto anche il Pci napoletano: il primo stanziamento da 500 miliardi di lire, nella legge finanziaria, “vide singolarmente l’appoggio anche del Pci”. E lancia una velenosa stoccata contro il leader dei miglioristi: “Pomicino ebbe a dirmi che aveva preso l’impegno con il capo-gruppo alla Camera del Pci dell’epoca, onorevole Giorgio Napolitano, di permettere un ritorno economico al Pci... Mi spiego: il segretario provinciale del Pci dell’epoca era il dottor Umberto Ranieri, attuale deputato e membro della segreteria nazionale del Pds. Costui era il riferimento a Napoli dell’onorevole Napolitano. Pomicino mi disse che già riceveva somme di denaro dalla società Metronapoli... e che si era impegnato con l’onorevole Napolitano a far pervenire una parte di queste somme da lui ricevute in favore del dottor Ranieri”.

Napolitano, diventato nel frattempo presidente della Camera, viene iscritto nel registro degli indagati: è un atto dovuto, che i pm di Napoli compiono con grande cautela, secretando il nome e chiudendo tutto in cassaforte. Pomicino, però, smentisce almeno in parte Greco, negando di aver versato soldi di persona a Ranieri e sostenendo di aver saputo delle mazzette ai comunisti dall’ingegner Italo Della Morte, della società Metronapoli, ormai deceduto: “Mi disse che versava contributi anche al Pci. Tutto ciò venne da me messo in rapporto con quanto accaduto durante l’approvazione della legge finanziaria... Il gruppo comunista capitanato da Napolitano ebbe a votare l’approvazione di tale articolo di legge, pur votando contro l’intera legge finanziaria”.
Napolitano reagisce con durezza: “Come ormai è chiaro, da qualche tempo sono bersaglio di ignobili invenzioni e tortuose insinuazioni prive di qualsiasi fondamento. Esse vengono evidentemente da persone interessate a colpirmi per il ruolo istituzionale che ho svolto e che in questo momento sto svolgendo. Valuterò con i miei legali ogni iniziativa a tutela della mia posizione”.

Alla fine, l’inchiesta finirà con un’archiviazione per tutti. Anche Craxi, quasi al termine della sua avventura politica in Italia, aggiungerà una sua personale stoccata a Napolitano. Nel suo interrogatorio al processo Cusani, il 17 dicembre 1993, dirà, sotto forma di domanda retorica: “Come credere che il presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del Pci e aveva rapporti con tutta la nomenklatura comunista dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del Pci e i paesi dell’Est? Non se n’è mai accorto?”. Fu la brusca fine di un dialogo durato due decenni. E riannodato oggi con la lettera inviata da Napolitano alla moglie dell’antico compagno socialista.

(20 gennaio 2010)
da temi.repubblica.it/micromega-online
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« Risposta #14 inserito:: Marzo 07, 2010, 08:08:38 am »

06 marzo 2010, 19:46

Napolitano: Il diritto di voto va garantito Regionali     

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, difende la scelta di aver firmato il decreto legge finalizzato a una rapida e certa definizione delle modalità di svolgimento delle prossimi elezioni regionali. E lo fa rispondendo, attraverso il sito internet del Quirinale, a due cittadini che sulla vicenda avevano esposto al capo dello Stato i propri punti di vista divergenti tra loro


Scrive Napolitano che non era sostenibile che non potessero prendere parte alla competizione elettorale "nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo". Per uscire dall'impasse, ricorda Napolitano, era stata ipotizzata da più parti una "soluzione politica" cioè un'intesa tra gli schieramenti politici. Che era stata però caldeggiata "senza peraltro chiarire in che senso ciò andasse inteso". In ogni caso, al capo dello Stato preme sottolineare che, visti i tempi ristretti, "quel provvedimento non poteva che essere un decreto legge". E, a differenza dalla bozza di decreto presentata a Napolitano dal governo "in un teso incontro giovedì sera", il testo presentato ieri sera al presidente della Repubblica non conteneva "evidenti vizi di incostituzionalità. Né si è indicata da nessuna parte politica - puntualizza il capo dello Stato - quale altra soluzione, comunque inevitabilmente legislativa, potesse essere ancora più esente da vizi e dubbi di quella natura". Napolitano, che ribadisce di essere "deciso a tenere ferma una linea di indipendente e imparziale svolgimento del ruolo e di rigoroso esercizio delle prerogative", conclude: "Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di non rivolgersi al capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne costantemente le funzioni e i poteri".

Questo il testo integrale della risposta di Napolitano: "Egregio signor Magni, gentile signora Varenna, ho letto con attenzione le vostre lettere e desidero, vostro tramite, rispondere con sincera considerazione per tutte le opinioni dei tanti cittadini che in queste ore mi hanno scritto. Il problema da risolvere era, da qualche giorno, quello di garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici. Non era sostenibile che potessero non parteciparvi nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo, per gli errori nella presentazione della lista contestati dall'ufficio competente costituito presso la corte d'appello di Milano.
Erano in gioco due interessi o "beni" entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi. Non si può negare che si tratti di "beni" egualmente preziosi nel nostro Stato di diritto e democratico. Si era nei giorni scorsi espressa preoccupazione anche da parte dei maggiori esponenti dell'opposizione, che avevano dichiarato di non voler vincere - neppure in Lombardia -"per abbandono dell'avversario" o "a tavolino". E si era anche da più parti parlato della necessità di una "soluzione politica": senza peraltro chiarire in che senso ciò andasse inteso. Una soluzione che fosse cioè "frutto di un accordo", concordata tra maggioranza e opposizioni?".

Napolitano prosegue osservando che "sarebbe stato certamente opportuno ricercare un tale accordo, andandosi al di là delle polemiche su errori e responsabilità dei presentatori delle liste non ammesse e sui fondamenti delle decisioni prese dagli uffici elettorali pronunciatisi in materia. In realtà, sappiamo quanto risultino difficili accordi tra governo, maggioranza e opposizioni anche in casi particolarmente delicati come questo e ancor più in clima elettorale: difficili per tendenze all'autosufficienza e scelte unilaterali da una parte, e per diffidenze di fondo e indisponibilità dall'altra parte. Ma in ogni caso - questo è il punto che mi preme sottolineare - la "soluzione politica", ovvero l'intesa tra gli schieramenti politici, avrebbe pur sempre dovuto tradursi in soluzione normativa, in un provvedimento legislativo che intervenisse tempestivamente per consentire lo svolgimento delle elezioni regionali con la piena partecipazione dei principali contendenti. E i tempi si erano a tal punto ristretti - dopo i già intervenuti pronunciamenti delle Corti di appello di Roma e Milano - che quel provvedimento non poteva che essere un decreto legge.

Diversamente dalla bozza di decreto prospettatami dal Governo in un teso incontro giovedì sera, il testo successivamente elaborato dal Ministero dell'interno e dalla Presidenza del consiglio dei ministri non ha presentato a mio avviso evidenti vizi di incostituzionalità.
Né si è indicata da nessuna parte politica quale altra soluzione - comunque inevitabilmente legislativa - potesse essere ancora più esente da vizi e dubbi di quella natura. La vicenda è stata molto spinosa, fonte di gravi contrasti e divisioni, e ha messo in evidenza l'acuirsi non solo di tensioni politiche, ma di serie tensioni istituzionali. E' bene che tutti se ne rendano conto. Io sono deciso a tenere ferma una linea di indipendente e imparziale svolgimento del ruolo, e di rigoroso esercizio delle prerogative, che la Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica, nei limiti segnati dalla stessa Carta e in spirito di leale cooperazione istituzionale. Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di non rivolgersi al Capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne costantemente le funzioni e i poteri. Cordialmente".

da aprileonline.info
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