LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => PROTAGONISTI (news varie su loro). => Discussione aperta da: Admin - Luglio 24, 2007, 05:59:22 pm



Titolo: Giorgio NAPOLITANO.
Inserito da: Admin - Luglio 24, 2007, 05:59:22 pm
Tutti i no del Quirinale
Vincenzo Vasile


C’è un tono fortemente allarmato, e vi sono contenuti di alto valore politico e istituzionale, nelle parole pronunciate ieri dal Presidente della Repubblica a bilancio di metà anno prima della pausa estiva. Nella continua fibrillazione di questi giorni colpisce come un uomo politico di lungo corso come Giorgio Napolitano, avvezzo a valorizzare i «sì» delle proposte rispetto ai «no» dei manifesti di propaganda, abbia dovuto elencare una lunga serie di dinieghi e contrarietà per rendere efficace e netta l’espressione dei suoi auspici.

Giorgio Napolitano ha incontrato ieri in tre distinte occasioni i giornalisti quirinalisti, i cronisti parlamentari e i componenti del Consiglio superiore della Magistratura. Per sollevare fondamentalmente tre questioni. Una, in primo piano per l’attualità scottante della vicenda, a proposito delle scorrerie del gip milanese Clementina Forleo, riguarda la necessità che negli atti processuali non abbiano ingresso valutazioni non pertinenti e documenti estranei. La seconda è relativa allo stato dei rapporti parlamentari e delle istituzioni: stato che allarma («inquietudine», è esattamente il termine usato), e che induce il presidente a confermare e a rendere ancor più affilato l’appello all’ascolto e al rispetto reciproco tra i poli che caratterizza fin dall’avvio il «programma» del settennato. La terza si riferisce al ruolo di garanzia e di equilibrio che spetta alla istituzione-Quirinale, e con particolare vigore e parole trancianti Napolitano ha ricordato che il Colle non è assolutamente «occupato» da un uomo di parte, come «inopinatamente», a folate ricorrenti, egli stesso viene definito dalla destra.

La parola chiave, il concetto cruciale, è: equilibrio. E Napolitano osserva esplicitamente come «l’equilibrio nel rapporto tra le istituzioni» sia un obiettivo da declinare ovunque e comunque. Nei rapporti politica-istituzioni-magistratura, per l’appunto. E nelle relazioni tra Governo e Parlamento. Qui non deve sfuggire la millimetrica calibratura di un doppio monito, che equivale a due sonori “no”, e - se vogliamo - a una speculare e parallela censura. Se da un lato «nessuna esigenza di governo può giustificare forzature e distorsioni», come per esempio i caotici maxiemendamenti alla Finanziaria (detto alla vigilia della redazione del documento di bilancio), dall’altro lato infatti «nessuna, più che legittima, ragione di opposizione può giustificare la perdita del senso del limite in un’aula parlamentare» (detto con un riferimento esplicito alla canea della destra contro i senatori a vita).

È indicativo che un analogo «senso del limite» sia stato invocato dal presidente qualche ora più tardi al palazzo dei Marescialli, in altro e confinante contesto, per i giudici e per il loro organismo di autogoverno. Anche in relazione alle cosiddette «pratiche di tutela» con cui i magistrati si difendono dagli attacchi politici. E per i «pareri» del Csm sulle leggi che possano interferire sul Parlamento. E per il mancato controllo dei capi degli uffici su certe inchieste «incomprensibili», segnati da troppi spifferi, da mancanza di «serenità» e di «riservatezza». Il presidente si «duole» del fatto di non essere stato sinora ascoltato. Ma avverte: «Non mi lascio dissuadere, e indurre alla rinuncia, dall’ancora inadeguato riscontro che i miei ricorrenti appelli hanno ottenuto». Che, a ben vedere, è un altro “no”, a considerare come un orpello di facciata i poteri costituzionali del Quirinale.

Pubblicato il: 24.07.07
Modificato il: 24.07.07 alle ore 13.51  
© l'Unità.


Titolo: Giorgio NAPOLITANO. - Presidente della repubblica italiana
Inserito da: Admin - Aprile 26, 2008, 02:26:58 pm
2008-04-26 09:50

NAPOLITANO: LA RESISTENZA FU ANCHE GUERRA CIVILE
 (di Marco Dell'Omo)


Il 25 aprile non riesce proprio a diventare un momento di unione tra le forze politiche. Il leader del Pdl Silvio Berlusconi l'aveva detto che non avrebbe partecipato a nessuna celebrazione ma sarebbe restato a Roma a "lavorare, lavorare, lavorare". Il problema è che, durante la giornata, Berlusconi ha incontrato il neosenatore Giuseppe Ciarrapico, ammiratore dichiarato del ventennio mussoliniano. Ciarrapico che varca il portone di Palazzo Grazioli, più o meno negli stessi istanti in cui, a poche decine di metri di distanza, Giorgio Napolitano deponeva una corona di fiori all'altare della Patria per celebrare la lotta di liberazione, ha infastidito non poco Walter Veltroni. E così il leader del Pd ha dati fuoco alle polveri della polemica contro il Cavaliere: l'episodio, ha detto , rappresenta "uno sfregio nei confronti dei democraticì. "E' un segnale politico che segna una distanza molto grave", ha aggiunto Veltroni. Immediata la replica degli azzurri Paolo Bonaiuti e Fabrizio Cicchitto, che hanno bollato le sue affermazioni come : "meschine e volgari".

Berlusconi, impegnato tutto il giorno a dipanare la matassa della formazione del nuovo governo, si è fatto vivo con una lunga dichiarazione in cui chiarisce il suo pensiero riguardo al 25 aprile: la festa della liberazione, ha detto, dovrebbe essere vissuta come "festa della libertà" da "tutto il popolo italiano". Secondo il premier in pectore è giunto il momento per una "definitiva pacificazione nazionale". La "strada giusta" è quella già indicata da alcuni esponenti della sinistra: capire anche "le ragioni dei ragazzi di Salò", e saldare i debiti con gli esuli istriani e gli infoibati. Questo non significa ridimensionare la Resistenza: "Non c'é revisionismo che possa cancellare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti che posero le basi della libertà .

Ma non c'é gratitudine che possa impedire la ricostruzione della storia di quegli anni". Il compito di trovare una sintesi se l'é assunto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: il presidente della Repubblica, a Genova, ha detto che la Resistenza e la sua celebrazione non devono essere appannaggio di una sola parte; ha fatto ricorso all'espressione "guerra civile" per definire lo scontro tra partigiani e nazi-fascisti, un termine tradizionalmente evitato dalla sinistra, e ha invitato a non occultare "le ombre" della guerra di liberazione. Napolitano, però, è stato molto fermo nel fissare un "limite invalicabile" alle analisi e alle interpretazioni: non ci possono essere, ha detto, "forme di denigrazione o svalutazione", e deve invece essere sempre ricordato che i partigiani combatterono per ridare la libertà all'Italia. Le celebrazioni per i 63 anni della liberazione hanno visto molti assenti. A parte Berlusconi, restato tutto il giorno a Palazzo Grazioli, non si sono presentati alle manifestazioni ufficiali né Gianfranco Fini, né Umberto Bossi né Pierferdinando Casini. E anche Fausto Bertinotti, ancora sotto choc per il disastroso risultato elettorale della sinistra, ha preferito disertare l'appuntamento.

Tra gli esponenti del centrodestra, si è distinto il candidato sindaco di Roma Gianni Alemanno, , presente alla cerimonia con Napolitano all'altare della patria e poi al monumento che ricorda il sacrificio di Salvo D'Acquisto alle Fosse Ardeatine. Dal Pd e dalla sinistra si è levato un coro di critiche a Berlusconi per il suo incontro con Ciarrapico: da Anna Finocchiaro (pd), secondo la quale si è trattato di un episodio "avvilente", a Gennaro Migliore (prc) , che ha accusato Berlusconi di non essere un antifascista, a Barbara Pollastrini, che ha definito "discutibile" l'incontro Berlusconi-Ciarrapico in molti si sono scagliati contro il prossimo presidente del consiglio. All'estremo opposto, Giuseppe Romagnoli, segretario del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, ha proposto di celebrare anche i caduti dell'esercito della Repubblica Sociale ricordando "il loro onore e il loro sacrificio". Ma fanno discutere anche i fischi ricevuti a Genova dal cardinale Bagnasco: per Pier Ferdinando Casini di tratta di "una macchia nera" della giornata.  

da ansa.it


Titolo: Veltroni attacca il cavaliere: «Grave ricevere ciarrapico in questa giornata»
Inserito da: Admin - Aprile 26, 2008, 02:27:50 pm
Veltroni attacca il cavaliere: «Grave ricevere ciarrapico in questa giornata»

Berlusconi: «Il 25 aprile sia il giorno della pacificazione nazionale»

Il leader del Pdl: «Grati a chi combatté per la libertà, ma bisogna capire anche le ragioni dei ragazzi di Salò»

 
ROMA - «Il 25 aprile indica simbolicamente il ritorno dell'Italia alla democrazia ed alla libertà». Lo afferma il leader del Pdl, e presidente del Consiglio in pectore, Silvio Berlusconi in un comunicato diffuso in occasione delle celebrazioni per la Festa della Liberazione. «In quel giorno di 63 anni fa - aggiunge - si videro le piazze festanti attorno alle truppe alleate e ai combattenti per la libertà. Purtroppo - sottolinea Berlusconi - seguì la guerra civile, l'occupazione da parte dei tedeschi, che creò un segno di sangue nella memoria italiana. Generò un odio tra vincitori e vinti che segnò la coscienza del Paese». «Ormai - rimarca il leader del Pdl - tutto questo è storia e adesso è tempo di dare al 25 aprile un senso italiano popolare e nazionale, un senso di libertà e di pace. Il giorno della Liberazione è un alto simbolo di libertà, e così deve essere vissuto da tutto il popolo italiano». «Credo fermamente che oggi - afferma il Cavaliere - ci siano le condizioni storiche e politiche perché questo 25 aprile possa rappresentare un salto di qualità verso la definitiva pacificazione nazionale. Quando, quasi dieci anni fa, autorevoli esponenti della sinistra invitavano a capire anche le ragioni dei 'ragazzi di Salò', e quando più recentemente hanno invitato a saldare il debito contratto con gli esuli Istriano-dalmati e con chi, più sfortunato, finì infoibato - scrive ancora Berlusconi -, hanno indicato la strada giusta. Togliere quei veli, capire quelle ragioni non può in qualche modo ledere l'orgoglio di chi combatté per la libertà contro la tirannia. Non c'è revisione storica che possa cambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti - sottolinea - che posero le basi per la libertà delle generazioni successive e per il ritorno dell'Italia nel consesso delle democrazie. Ma non c'è gratitudine che possa impedire la ricostruzione obiettiva di quegli anni. L'anniversario della Liberazione - conclude - è dunque principalmente l'occasione per riflettere sul passato, sul presente e sull'avvenire del Paese. Se oggi riusciremo a farlo insieme, avremo reso un grande servizio non a una parte politica o all'altra, ma al popolo italiano e, soprattutto, ai nostri figli che hanno il diritto di vivere in una democrazia finalmente pacificata».

POLEMICA SU CIARRAPICO - In precedenza, Berlusconi era stato attaccato dal leader del Pd, Walter Veltroni, per aver ricevuto in giornata a Palazzo Grazioli Giuseppe Ciarrapico, neo senatore del Popolo della libertà, che poche settimane fa ha dichiarato di non aver rinnegato il fascismo. «Siccome le cose hanno un valore simbolico - ha affermato Veltroni - il fatto che Berlusconi abbia voluto ricevere un uomo che non ha mai smesso di dichiarare la sua continuità politica con il fascismo è evidentemente un segnale politico che marca una distanza molto profonda e molto grave con tutti gli italiani che festeggiano il giorno in cui in Italia si è ritrovata la libertà». Secondo il leader del Pd quella di oggi «è una grande festa di libertà e Berlusconi ha voluto celebrarla ricevendo coloro i quali stavano dalla parte di chi la libertà l'ha proibita. Un atto di questo genere è un gesto anche di sfregio nei confronti dei democratici e di questa grande pagina che ha riguardato la storia italiana».

REAZIONE PDL - Immediata la replica del Pdl. «Dall'alto di quale pulpito Veltroni si permette di impartire lezioni di democrazia anche al presidente Berlusconi che ha ricevuto almeno 30 persone in una mattinata di lavoro intenso?» affermano Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente Berlusconi, e Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore nazionale di FI. «La polemica di Veltroni, rivolta nei confronti di un senatore democraticamente eletto, la stessa persona ricevuta con tutti gli onori dal coordinatore Goffredo Bettini alla prima assise del Partito democratico, è meschina e volgare. Appare chiaro che Veltroni è un uomo stordito dalla sconfitta, senza argomenti e senza qualità, che tenta soltanto di replicare una polemica elettorale di basso livello già fallita in precedenza».

«CAPIRE LE RAGIONI DEI RAGAZZI DI SALO'»- Poi arriva la nota del Cavaliere sul 25 aprile: «Capire le ragioni dei "ragazzi di Salò", si legge, come hanno sostenuto in passato anche diversi esponenti della sinistra, e saldare il debito contratto con gli esuli Istriano-dalmati» è la strada giusta che non può in qualche modo ledere l'orgoglio di chi combattè per la libertà contro la tirannia». «Non c'è revisione storica - aggiunge Berlusconi nella nota - che possa cambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti che posero le basi per la libertà delle generazioni».


25 aprile 2008



Titolo: Napolitano il 25 aprile fu un riscatto niente denigrazioni e false equiparazioni
Inserito da: Admin - Aprile 26, 2008, 02:29:08 pm
In mattinata la cerimonia all'altare della patria

Napolitano e il 25 aprile: fu un riscatto, niente denigrazioni e false equiparazioni

Liberazione, il 63esimo anniversario.

Il Capo dello Stato a Genova: «Non è festa solo per una parte della nazione»

 
ROMA - La consegna delle medaglie d'oro al merito civile ad alcuni Comuni e alla memoria di diversi italiani, per i loro gesti valorosi compiuti negli anni della Resistenza e della Liberazione, è stato il primo atto delle cerimonie per il 25 aprile, organizzate in tutta Italia: con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, all'Altare della Patria di Roma c'erano le massime autorità dello Stato. Gli interventi sono stati affidati ai ministri della Difesa e dell'Interno. Arturo Parisi ha messo in guardia dal «rilassamento morale» che oggi può divenire, «un virus che ci fa ripiegare su noi stessi riducendo talvolta la politica ad una lotta di parte». Amato ha invece sottolineato come le medaglie concesse «testimoniano una volta di più come la Resistenza al fascismo e all'oppressione nazista abbiano fatto emergere i tratti che uniscono nel profondo gli italiani, che danno contenuto e forza alla Nazione italiana».

NAPOLITANO: PARTI DIVERSE - Sul significato della celebrazione, che ha avuto in varie città d'Italia momenti solenni, c'è stato anche quest'anno, forse in modo più latente, un confronto a distanza, sempre condizionato dalle tesi opposte di chi insite nel farne una festa che ricordi anche chi era dalla parte del fascismo e della Repubblica di Salò e chi invece intende mantenere il distinguo legato alla storia e alla Resistenza. In questo confronto, con Berlusconi che da una parte è intervenuto auspicando che diventi finalmente «una festa di tutti e un simbolo di pacificazione», il Capo dello Stato ha dovuto oggi di nuovo puntualizzare la sua posizione nell'intervento del pomeriggio a Palazzo Ducale, a Genova. « Dopo tanti anni di quegli eventi - ha detto - si può e si deve dare una «analisi ponderata che però non significhi in alcun modo confondere le due parti in lotta, appiattirle sotto un comune giudizio di condanna e di assoluzione». E questo, aggiunge, «vale anche per i fenomeni di violenza che caratterizzarono in tutto il suo corso la guerra antipartigiana e da cui non fu indenne la Resistenza, specie alla vigilia e all'indomani della Liberazione». È un dovere verso i paese, quello della chiarezza. Perchè questa fu «una straordinaria prova di riscatto civile e patriottico», e quindi «non può appartenere solo ad una parte della nazione». Al contrario, «deve porsi al centro di uno sforzo volto a ricomporre in spirito di verità la storia della nostra Repubblica». L’eredità spirituale e morale della Resistenza vive nella Costituzione - ha detto - e in quella Costituzione possono riconoscersi anche quanti vissero diversamente gli anni 1943-1945, quanti ne hanno una diversa memoria per esperienza personale o per giudizi acquisiti. E’ un patrimonio che appartiene a tutti e vincola tutti». E ancora: «Le ombre della Resistenza non vanno occultate, ma guai a indulgere a false equiparazioni e banali generalizzazioni; anche se a nessun caduto, e ai familiari che ne hanno subito la perdita, si può negare sul piano umano un rispetto maturato col tempo».

da corriere.it


Titolo: NAPOLITANO. -
Inserito da: Admin - Maggio 24, 2008, 12:55:06 am
Messaggio da Berlusconi alla sorella di Falcone: «Grata solidarietà da tutto governo»

Napolitano: «Capaci fu un terribile attacco alle istituzioni dello Stato»

Il 23 maggio del 1992 l'attentato della mafia.

Il ricordo di Palermo nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone

 
ROMA - Sedici anni fa, il «barbaro agguato di Capaci», in cui furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della sua scorta, segnò «un terribile attacco alle istituzioni dello Stato» da parte della mafia. Al quale però lo Stato «seppe reagire adeguatamente» nel segno dell'unità. «Le immagini della strage - ha scritto il Presidente della Repubblica in un messaggio inviato a Maria Falcone, presidente della Fondazione «Giovanni e Francesca Falcone nell'anniversario della strage - restano incancellabili nella memoria degli italiani e rinnovano l'angoscia e l'allarme di quel giorno, in cui la mafia colpì un magistrato di eccezionale talento e coraggio».
«L'impegno e la partecipazione di allora non possono subire flessioni», è il richiamo che rilancia Giorgio Napolitano. «Non è consentito ridurre il livello di attenzione rispetto» alla mafia, scrive Napolitano, «un fenomeno pervasivo, pronto ad attuare le strategie più sofisticate per insinuarsi nella società minandone la vita democratica, la coesione e il progresso».

MARIA FALCONE - «Gli ultimi successi della magistratura dimostrano che siamo a buon punto nella lotta a Cosa nostra». A dirlo è Maria Falcone, la sorella del giudice ucciso 16 anni fa dal tritolo di Cosa nostra nella strage di Capaci, insieme alla moglie e agli agenti della scorta. «Da più di sei anni provo sempre una grande emozione nel trovarmi qui a ricordare Giovanni e Paolo -aggiunge Maria Falcone- quest'aula rappresenta per tutti noi italiani la caduta del mito dell'invulnerabilità della mafia e dell'imponibilità dei mafiosi».

NAVE - «Vedervi qui, in tanti, è una grande gioia e dimostra che, contrariamente a quanto si ritiene, i giovani italiani hanno valori forti». Lo ha detto Maria Falcone salutando gli oltre 1200 ragazzi giunti a Palermo con la Nave della Legalità per ricordare il 16/o anniversario Il procuratore Grasso, giunto a Palermo in nave con i ragazzi, ha ringraziato gli studenti con i quali, durante il viaggio, ha parlato e dibattuto sui temi della lotta alla mafia.

GRASSO - «Nel ricordare Giovanni Falcone provo sempre la stessa emozione che si ripete ogni anno, il 23 maggio è un giorno particolare in cui rivivono quei momenti di rabbia e disperazione». Lo ha detto il procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso che partecipa nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo alla commemorazione del giudice Giovanni Falcone. E parlando dell'importanza della presenza dei giovani al bunker ha detto: «Dobbiamo tenere i giovani di oggi ancorati alla nostra terra, saranno loro la classe dirigente di domani».

BERLUSCONI - L’anniversario dela strage di Capaci «è un momento di memore riflessione» sul loro «sacrificio». Lo scrive il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in un messaggio inviato alla signora Maria Falcone, presidente della Fondazione Giovanni e Francesca Falcone.

IL TESTO - «Gentile Signora, - scrive il presidente del Consiglio - la ricorrenza dell’eccidio di Capaci è un momento di memore riflessione sul sacrificio del giudice Giovanni Falcone, della signora Francesca e della scorta. L’importanza della lotta del giudice Falcone contro la mafia e la crimininalità organizzata, per la riaffermazione dei valori fondanti della Costituzione, è testimoniata dal progetto di educazione alla legalità che la Fondazione ha promosso nelle scuole per sensibilizzare i giovani su temi essenziali per la crescita della società civile italiana». «Esprimo, pertanto - conclude Berlusconi - anche a nome del governo, la grata solidarietà».

MINISTRO GELMINI - A Palermo anche il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini: «La scuola ha un ruolo fondamentale nell'insegnare la legalità. Penso che si debba dare più importanza e più spazio all'educazione civica. La partecipazione delle giovani generazioni a questo evento -aggiunge il ministro- significa che la mafia può e deve essere sconfitta. La scuola è un luogo in cui imparare ad essere cittadini migliori e vedere tutti questi volti entusiasti è un'emozione indescrivibile che mi riempie di gioia».

MINISTRO ALFANO - «Il pomeriggio del 23 maggio del 1992 mi trovavo nella mia stanza del collegio a Milano dove studiavo quando seppi della strage di Capaci. Ho vissuto sulla mia pelle, ed è la prima volta che lo dico, l'imbarazzo e la vergogna di essere siciliano». Queste le parole del ministro della Giustizia Angelino Alfano. E poi continua: «Il Consiglio dei ministri ha varato misure di grande impatto nella lotta alla mafia e che ci consentono di completare il disegno di Giovanni Falcone». Il guardasigilli ha spiegato che le misure di prevenzione, «fondamentali perché colpiscono i patrimoni mafiosi», rientreranno tra i poteri della Procura nazionale antimafia, «rendendo più efficace l'incidenza e il peso delle confische dei beni mafiosi perchè prima passava troppo tempo tra la confisca e l'effettivo uso del bene».

MINISTRO MARONI - ««La frontiera più importante nella lotta alla mafia è quella di togliere ai boss i patrimoni; è il modo più efficace per colpirli». Lo ha assicurato il ministro dell'Interno Roberto Maroni, subito dopo avere deposto una corona di fiori davanti alla stele che ricorda la strage di Capaci. Abbiamo approvato - ha concluso Maroni - un provvedimento che contiene norme proposte da Giovanni Falcone e mai entrate nell'ordinamento. È questo il modo più concreto e degno per onorarlo».

VICE MINISTRO GIUSTIZIA USA - «Falcone ha dato la sua vita per la sua terra, per me e per tutti i miei colleghi che si occupano di giustizia negli Stati Uniti è un eroe». Lo ha detto il viceministro della Giustizia americano Mark Filip. «I risultati raggiunti da Giovanni Falcone, ma anche da Paolo Borsellino -ha detto parlando agli oltre mille giovani presenti- sono noti in tutto il mondo. Falcone è stato un uomo brillante, straordinario, visionario, fu precursore dei tempi perché ebbe delle intuizioni investigative formidabili già in quei tempi. Un vero leader in questo. Era un lavoratore infaticabile, si chiudeva nella sua stanza anche per sedici ore al giorno». «Falcone -ha proseguito- amava la Sicilia, la sua terra e aveva un grande desiderio perchè la Sicilia venisse liberata dalla mafia». Ha poi ricordato che nel Vangelo c'è scritto «non c'è dono più grande di dare la propria vita per i propri amici e Falcone ha dato la sua vita per la sua Sicilia». Poi Mark Filip ha ricordato quando Falcone interrogò per la prima volta Tommaso Buscetta, il primo pentito di mafia: «Gli disse «non ti preoccupare, se io non capisco qualcosa ci possiamo rivolgere al dottore Borsellino». I due erano sempre fianco a fianco nella lotta a Cosa nostra, fin dall'infanzia che hanno trascorso a pochi passi uno dall'altro».

23 maggio 2008

da corriere.it


Titolo: E ora Napolitano teme di finire come Scalfaro
Inserito da: Admin - Giugno 22, 2008, 04:32:51 pm
22/6/2008 (7:8) - RETROSCENA - IL COLLE SORPRESO DALLA SVOLTA DI BERLUSCONI

E ora Napolitano teme di finire come Scalfaro
 
«I governi non attacchino l'Europa come capro espiatorio per mascherare i loro problemi»

PAOLO PASSARINI


LIONE
Spiazzato e visibilmente fuori di sé, Giorgio Napolitano ha evitato con cura ogni contatto con i giornalisti per l’intera durata del suo soggiorno nella capitale del Rodano. Anzi, in stridente contrasto con quello che è il suo comportamento abituale, il Presidente ha reagito con manifesto fastidio a ogni tentativo di strappargli un commento perfino su una materia politicamente abbastanza innocua come il futuro dell’Unione europea. Tanto che quando, alla fine dell’intervento pronunciato in francese di fronte agli Stati Generali d’Europa per incitare i paesi più determinati a procedere da soli sulla strada dell’unificazione politica, gli è stato chiesto se poteva ripetere in italiano il suo «appello» per la radio, ha risposto bruscamente: «Quale appello?» e si è infilato in una saletta protetto dal suo servizio d’ordine. Sapendo come vanno in genere queste cose, voleva essere assolutamente sicuro che perfino una battuta anodina contro i governi che usano l’euroburocrazia come «capro espiatorio» non venisse stravolta e presentata come un intervento sui temi caldi della politica nazionale.

Sperimentato navigatore della politica, Napolitano non escludeva che Berlusconi avesse perso, oltre che il pelo, anche il vizio. Ma certamente non si aspettava che, nel giro di pochi giorni, proprio quando la situazione politica sembrava avviarsi verso una cooperativa normalità, il Cavaliere, prima con gli emendamenti al decreto sulla sicurezza poi con la sparata di Bruxelles, riaprisse in grande stile il conflitto con la magistratura e distruggesse quell’abbozzo di concordia nazionale che si stava finalmente delineando.

Pur essendo ovvio, data la sua storia politica, che il Presidente, alle ultime elezioni, non possa aver fatto il tifo per il centrodestra, tuttavia, da un punto di vista generale, il risultato del voto non gli era del tutto dispiaciuto. Anzi, la netta maggioranza raccolta dalla coalizione guidata da Berlusconi avrebbe almeno garantito stabilità, caratteristica che mancava del tutto nella legislatura precedente, come egli stesso aveva sottolineato più volte a partire dal giorno della sua elezione. La stabilità avrebbe facilitato, oltre che la governabilità, anche quel minimo di accordo necessario con l’opposizione per fare le riforme istituzionali. Il clima sarebbe cambiato e per lui sarebbe stato molto più facile svolgere il suo compito. Il Presidente - questo era il suo schema - si sarebbe messo al riparo del suo ruolo istituzionale, limitandosi a qualche suggerimento, o, quando il caso, a qualche correzione in punta di costituzione e tutto sarebbe filato liscio per cinque anni. E le cose sembravano funzionare proprio in questo senso: l’atteggiamento cooperativo del Pd di Walter Veltroni a cui faceva da contrappunto l’evidente intenzione di Berlusconi di assumere l’immagine di un «senior statesman», di un riverito statista, anche in vista di una sua futura ascesa al Colle, confermavano la giustezza del suo schema.

Ma ieri mattina, a Lione, perfino i più stretti collaboratori di Napolitano, di solito molto controllati, non avevano difficoltà ad ammettere che, questa volta, il Presidente era stato colto di sorpresa. «Così non se l’aspettava proprio».

A parte l’infausto disintegrarsi del più volte invocato «clima di concordia nazionale», le uscite del Cavaliere stavano sicuramente provocando il riaccendersi, in forme forse ancora più violente del passato, di quella guerra tra magistratura e politica, che, oltre che bloccare i ruoli e rendere impossibile ogni seria riforma, rischia di schiacciare l’immagine del presidente in una mediazione impossibile.

Saltato lo schema di una presidenza più istituzionale e meno politica dei primi due anni, Napolitano adesso si chiede cosa fare: mettersi «alla cappa» e aspettare che passi la tempesta o scendere in campo, rischiando di diventare un nuovo Scalfaro?

Il Presidente ci sta riflettendo e, intanto, rivendica il suo diritto di mantenere il riserbo. E così, venerdì, all’uscita della cattedrale di Saint Jean, per schivare i giornalisti non ha esitato a imboccare con tutto il seguito uno stretto cunicolo. Uscitone, si è diretto verso una rinomata pasticceria, di fronte alla quale un occhiuto zingaro con la fisarmonica, riconosciutolo, ha intonato la musica del «Padrino». Intuendo che qualcosa non andava, lo zingaro è passato velocemente a «Bella ciao».
 
da lastampa.it
 
 
 
 


Titolo: Napolitano il comunista che fu ex in anticipo
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2008, 08:04:59 am
Il debito verso il maestro Amendola.

I duelli con Berlinguer

La vita politica di un "migliorista" con la passione per la poesia

La lunga marcia di Napolitano il comunista che fu ex in anticipo

di DARIO OLIVERO

 

ROMA - Dal maestro Giorgio Amendola l'allievo Giorgio Napolitano ereditò debiti e crediti. I debiti furono soprattutto politici, i crediti soprattutto umani. I primi, Napolitano, li ha pagati per cinquant'anni e la sua salita al Colle è l'ultima cambiale portata a pagamento con l'orgoglio che avevano i risparmiatori di una volta quando, pur di non fare brutta figura con un creditore, si privavano del pane o di un nuovo paio di scarpe. Sono i debiti della tradizione riformista del Partito comunista italiano, la cultura "migliorista", parola che equivaleva in certi anni a poco meno di un insulto. I crediti sono quelli che Amendola trasmise su un terreno già fertile e che forse si possono racchiudere in un solo termine: umanesimo.

Difficile pensare a due persone così apparentemente diverse come il primo Giorgio (Amendola), l'ex pugile che affascinava i giovani della Fgci sostenendo le sue posizioni eretiche con la forza della passione e del cuore e il secondo Giorgio (Napolitano), lo spilungone dall'aspetto aristocratico che gli valse il nome di "Re Umberto" per la sua somiglianza con l'erede di casa Savoia. Eppure il loro sodalizio poggiava anche su quel terreno fertile del Napolitano sconosciuto.

Perché l'uomo che sta per salire sul Colle più alto della Repubblica non è soltanto il volto istituzionale e rassicurante, l'unico - secondo le valutazioni del suo stesso partito - in grado di portare gli eredi del Pci al Colle senza far gridare (Berlusconi escluso) al colpo di stato dei Soviet. E' anche un uomo che vive una vita privata e interiore insospettabile per chi si è già seduto sulla poltrona della Camera e del ministero dell'Interno.

Fu attore teatrale in gioventù e autore di sonetti in napoletano scritti sotto pseudonimo. Fu ed è sempre stato attratto dalle lettere, dalle arti, dalla regia. E questa vita intellettuale potrebbe spiegare, come in una teoria di vasi comunicanti, come, dove e quando si rifugiava l'uomo politico quando il peso dell'"eresia" della sua corrente diventava troppo gravoso.

Il giovane Napolitano recitò la parte di un cieco in una commedia di Salvatore Di Giacomo, recitò nel Viaggio a Cardiff di William Butler Yeats al Teatro Mercadante di Napoli, si sciolse confrontandosi con Joyce ed Eliot, passò lunghe serate a parlare di teatro e di regia con Francesco Rosi e Giuseppe Patroni Griffi. Scrisse versi in dialetto dedicati a Napoli, alla morte, alla madre, firmandosi Tommaso Pignatelli. Natalia Ginzburg li adorava.

"Troppo facile trovare un applauso", dirà decine di anni dopo riferendosi alla retorica che piove dai palchi della politica e forse lasciando intendere che i veri applausi possono essere soltanto quelli catartici che si sprigionano in un teatro. Mentre sembrano ben poca cosa quelli dei comizi, luoghi da sdrammatizzare con una buona dose di ironia come quando, come testimonia una foto storica, Napolitano si fabbricò sotto un palco a una Festa dell'Unità un cappellino di carta come quello dei muratori per ripararsi dal sole.

Per tutti questi motivi forse la carriera politica di Napolitano non è la cosa più sorprendente della sua vita. Anche se il solo elencarla fa venire il capogiro: nato a Napoli il 29 giugno 1925, nel Pci nel 1945, nel '53 eletto alla Camera, nel 1992 presidente di Montecitorio (in piena bufera Mani pulite), nel 1996 Viminale (ancora oggi il Sap, sindacato di polizia, lo definisce il miglior ministero dell'Interno), nel 1999 Parlamento europeo, nel 2005 senatore a vita per nomina di Ciampi.

Si dice, ed è vero, che anche gli avversari politici lo hanno sempre rispettato. Ma quello che può essere considerato un onore, visto dall'interno del suo partito, non è sempre stato un vantaggio, proprio per il peso del "debito" che Napolitano si portava sulle spalle. Il termine "migliorista" fu coniato espressamente per lui perché termini come "riformista" o "socialdemocratico" non esprimevano abbastanza l'insofferenza di chi, a sinistra, era "fedele alla linea".

Che cosa voleva dire "migliorista"? Voleva dire che gente come Napolitano o Luciano Lama avevano rinunciato alla rivoluzione ma volevano "migliorare" la società. Non cambiarla radicalmente, perché il capitalismo non solo non andava abbattuto, ma bisognava scendere a patti con esso per riformarlo, emendarlo e renderlo più umano. Ecco che cosa si intende per comunista "di destra" rispetto a un comunista "di sinistra". Come era considerato il suo oppositore principale, Pietro Ingrao.

Oggi è più facile. Dopo la svolta della Bolognina dell'89, dopo il congresso di Pesaro del 2001 - quando Piero Fassino tributò a Napolitano un passaggio in cui lo definì "il compagno che comprese prima di altri" - è più facile dire che non c'è, e non c'era, nessuna "eresia". Ma che cosa voleva dire essere miglioristi negli anni Ottanta, quando si era in contrasto con la linea del partito guidato da Enrico Berlinguer? Cosa voleva dire criticare un segretario tanto amato? Quanto doveva essere doloroso per gente cresciuta dentro il partito dividersi tra fedeltà e nuove prospettive politiche? Cosa voleva dire essere già post-comunista quando i comunisti si chiamavano ancora comunisti?

Voleva dire sporcarsi le mani. Voleva dire non lasciare ad altri il merito di cavalcare indisturbati le spinte più innovatrici della società italiana. Voleva dire dialogare con il Psi, anche con quello di Bettino Craxi. Voleva diresentirsi trasmettere la solidarietà da Norberto Bobbio e la distanza dei compagni, che magari ti accusano di fare il gioco di Bettino. Voleva dire - in piena battaglia berlingueriana sulla questione morale - gettare un ponte verso un riformismo socialista trovando pochi appoggi all'interno e ancora meno interlocutori affidabili all'esterno.

Questo era il debito, cresciuto negli anni e dopo la caduta del muro, che Napolitano si portava dietro. E l'unico modo per pagarlo era convincere tutti di aver ragione, cercare una politica di alleanze con le grandi socialdemocrazie europee e rompere l'isolamento del più grande partito della sinistra. Progetto che gli riuscirà quando il Pds di Occhetto nell'89 entrerà nel Partito socialista europeo.

Il resto è storia dell'ultimo scorcio di secolo, storia europea che per Napolitano finisce nel 2004 quando non si ricandida per Strasburgo. Pensava probabilmente di aver finito di pagare il suo debito politico, chiudendo la sua vita politica come senatore a vita. Così diceva tra le righe nella recente autobiografia Dal Pci al socialismo europeo. Invece, la regola degli attori, per i quali the show must go on, vale anche per i politici di razza. Quelli capaci di diventare, da uomini di partito, ministri di governo, presidenti del Parlamento e, all'ultima scena, inquilini del Quirinale.

(10 maggio 2006

da repubblica.it


Titolo: IL MONITO DI NAPOLITANO La giustizia, la privacy e l'equilibrio dei diritti
Inserito da: Admin - Luglio 22, 2008, 02:05:46 pm
IL MONITO DI NAPOLITANO

La giustizia, la privacy e l'equilibrio dei diritti



Nel messaggio di saluto indirizzato ieri al convegno in memoria di Vittorio Chiusano, valoroso avvocato di grande equilibrio e non dimenticato presidente dell'Unione delle Camere penali, il capo dello Stato ha toccato (non soltanto di striscio) uno dei temi più delicati della giustizia penale, sempre più spesso ridotta a «giustizia spettacolo ». E lo ha fatto con grande chiarezza e intensità di accenti.

Si tratta del tema relativo alla garanzia della privacy delle persone coinvolte nel processo, e prima ancora nelle indagini, sotto il particolare profilo del rapporto tra tale garanzia e l'esercizio del diritto di cronaca. Tema delicato e complesso, di cui per certi aspetti già il codice si fa carico, ad esempio in materia di ripresa televisiva delle udienze dibattimentali (attraverso una disciplina volta comunque a tutelare i soggetti che non vi consentano), e di cui sovente si torna a discutere. Specialmente di fronte a certe esorbitanze dei salotti televisivi, nei quali troppo spesso si disputa di giustizia, senza l'osservanza — ovviamente — delle regole e dei limiti propri della legge processuale: con il duplice rischio di ingenerare errati convincimenti nell'opinione pubblica (anche per la mancanza di contraddittorio), e di pregiudicare indebitamente l'immagine delle persone di cui si parla (non di rado anche in loro assenza). E questo senza dire di altre, e ben più gravi, esorbitanze verbali di uomini politici nei confronti di singoli magistrati, o dell'intera magistratura.

È chiaro tuttavia — sebbene il presidente Napolitano non lo dica espressamente — che i rilievi contenuti nel suo messaggio sono riferibili anche, anzi soprattutto, al problema delle intercettazioni telefoniche, o meglio al fenomeno della pubblicazione sui giornali (ma spesso anche nei ben noti salotti televisivi, con l'aggravante della simulazione sonora dei dialoghi captati) dei risultati di tali intercettazioni. È proprio con riferimento a questo fenomeno, ed alle sue più clamorose degenerazioni, infatti, che negli ultimi tempi è apparsa sempre più urgente l'esigenza di realizzare «con responsabilità e senso del limite», il contemperamento di due valori solo in apparenza contrapposti: da un lato la «difesa del diritto alla informazione» (come diritto sia di informare, sia di essere informati), e, dal-l'altro, la «tutela del diritto dei cittadini a vedere salvaguardata la loro riservatezza». E non c'è dubbio, come sottolinea ancora Napolitano — stigmatizzando una innegabile, quanto deplorevole, tendenza alla «spettacolarizzazione dei processi» — che il momento di maggiore criticità riguardi la «divulgazione di notizie attinenti a terzi estranei alle vicende» oggetto di tali processi.

Il discorso, a questo punto, si riallaccia inevitabilmente alle proposte di politica legislativa ancora di recente formulate (attraverso il disegno di legge presentato dal ministro Alfano) in materia di riforma delle intercettazioni telefoniche. Perché, a ben vedere, come ha ricordato da ultimo anche il Garante della privacy Francesco Pizzetti, la vera «anomalia tutta italiana» dell'attuale disciplina risiede non già nella quantità o nella durata (valutazioni quantomai opinabili, da parte di chi non conosca in concreto le esigenze delle indagini) delle intercettazioni ammesse, bensì nella circostanza che (attraverso l'abusiva pubblicazione dei colloqui intercettati) si pervenga a sacrificare «il rispetto della dignità e del decoro delle persone coinvolte», per usare ancora le parole di Napolitano. Sia delle persone estranee al processo, sia anche degli indagati o degli imputati, con riferimento a conversazioni non concernenti la vicenda processuale.

È questo, dunque, il versante su cui dovrà intervenire il legislatore, del resto lungo la strada segnata dal progetto Mastella (approvato dalla Camera, pressoché all'unanimità, nell'aprile 2007), sulla scia delle indicazioni già contenute nel progetto Flick di oltre 10 anni orsono, oggi recepite anche nel progetto della Repubblica di San Marino. Si tratta, in sintesi, di stabilire — predisponendo allo scopo opportuni filtri di controllo, anche da parte dei difensori — che i risultati delle intercettazioni concernenti persone, fatti o circostanze estranei alle indagini non debbano nemmeno venire depositate tra le carte processuali, essendo essi irrilevanti, ma debbano rimanere custodite in un apposito «archivio riservato», con il vincolo del segreto, e sotto la responsabilità di un magistrato della procura. Inutile dire che di queste ultime intercettazioni (in quanto segrete, e come tali destinate ad essere distrutte) dovrà essere rigorosamente vietata la pubblicazione, con la previsione di sanzioni anche gravi in caso di violazione del divieto. Mentre, per quanto riguarda i risultati delle intercettazioni acquisite al processo, in quanto riconosciute rilevanti, non si vede la necessità di vietarne la pubblicazione (almeno nel loro contenuto), una volta caduto il segreto sulle medesime.


Vittorio Grevi
22 luglio 2008

da corriere.it


Titolo: Napolitano e la Costituzione italiana: «Valori e principi, questione aperta»
Inserito da: Admin - Settembre 10, 2008, 10:30:49 pm
Il presidente della Repubblica in Finlandia

Napolitano e la Costituzione italiana: «Valori e principi, questione aperta»

«Questi principi sono rispecchiati anche nella Costituzione europea e nel Trattato di Lisbona»



HELSINKI (Finlandia) - «Credo che in Italia sia ancora una questione aperta la piena identificazione che ci dovrebbe essere da parte di tutti nei principi e nei valori della Costituzione repubblicana, che sono rispecchiati nella Costituzione europea richiamata nel Trattato di Lisbona». Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rispondendo a una domanda dei giornalisti sulla caduta di tensione che c'è in vari Paesi europei rispetto ai motivi originari che furono alla base della costruzione europea quale strumento per mettere fine agli orrori creati dalla guerra e dal nazifascismo.

«RILANCIARE LA CAUSA EUROPEA» - A frenare la piena integrazione politica dell'Europa, a determinare «una insufficiente tensione europeista» in vari paesi europei, ha detto Giorgio Napolitano, sono soprattutto correnti di euroscetticismo. «Mi auguro - ha aggiunto - che tutte le forze politiche, tutti i partiti italiani dedichino tempo, attenzione e impegno a un rilancio della causa europea. Abbiamo bisogno che i governi in Europa ribadiscano l'assoluta priorità di questa scelta, che fu all'inizio comune all'Italia e a altri cinque paesi e poi è stata condivisa da altri 21 paesi. Questo non c'èa ncora abbastanza».

«L'UNITA' HA GARANTITO LA PACE» - «È evidente - ha poi sottolineato il capo dello Stato - che l'unità europea ha garantito pace, stabilità democratica e anche crescita economica e benessere sociale, attraverso la grande impresa del mercato unico e poi dell'euro, conquista forse troppo spesso messa in una luce ambigua, ma che ha rappresentato un forte ancoraggio per i paesi membri che avrebbero potuto ben altrimenti essere colpiti dalla crisi finanziaria tuttora in corso. È vero che finora la Ue non ha saputo dare un contributo sufficiente a determinare una nuova fase di sviluppo. Ma è compito anche dei governi e delle leadership nazionali dare un contributo a queste soluzioni e indicare le strade da percorrere, al di là delle dichiarazioni, per rendere effettiva quella strategia di Lisbona che nelle sue fondamentali affermazioni rimane valida, ma probabilmente richiede istituzioni più efficaci per essere attuata».

POLEMICHE - Il capo dello Stato ha poi aggiunto in merito al suo discorso sulla Resistenza dell'8 settembre a Roma: «Ho solo espresso il mio punto di vista. Non ho fatto polemiche con alcuno, né ho tirato per la giacca nessuno, né ho risposto ad alcuno. Ho svolto il mio intervento per ultimo, come era previsto».


10 settembre 2008

da corriere.it


Titolo: Napolitano: «Il Sud faccia autocritica o finirà fuorigioco»
Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2008, 08:37:21 am
Napolitano: «Il Sud faccia autocritica o finirà fuorigioco»

Il presidente: «Altrimenti non si hanno titoli per resistere alle interpretazioni più perverse del federalismo fiscale»

 

NAPOLI (2 dicembre) - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo alla Fondazione Mezzogiorno-Europa, è tornato questa mattina sul tema del Mezzogiorno, già affrontato ieri.

Autocritica del Mezzogiorno. «Non voglio aggiungere nulla - ha detto Napolitano - a ciò che ho detto pubblicamente. Sono persuaso che se oggi non si dà il senso di una forte capacità di autocritica e di autoriflessione nel Mezzogiorno, poi la partita per fare passare politiche corrispondenti alle esigenze del Mezzogiorno stesso, diventa enormemente difficile. Si possono denunciare rischi, paventare esiti infausti, ma se ci si sottrae a un esercizio di responsabilità per quello che riguarda l'amministrazione della cosa pubblica nel Mezzogiorno, non si hanno titoli per resistere anche a interpretazioni le più perverse del federalismo fiscale».

Rinnovamento dei partiti. Napolitano ha preso le mosse da una considerazione sul ruolo delle fondazioni culturali. Rispetto a un'epoca precedente in cui erano impartiti a sviluppare le riflessioni sulla cultura, ha detto Napolitano, «adesso i contributi non a caso devono venire dall'esterno e devono contribuire al rinnovamento dei partiti non solo in quanto formazioni politiche ma anche per le loro responsabilità di governo e amministrative». 

da ilmessaggero.it


Titolo: NAPOLITANO. INTERVENTO ALLA CONFERENZA DEGLI AMBASCIATORI
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2008, 06:52:28 pm
2008-12-17 11:44

L'intervento di Napolitano, testo integrale


   INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO ALLA VI EDIZIONE DELLA CONFERENZA DEGLI AMBASCIATORI



Farnesina, 17 dicembre 2008


   Ringrazio il ministro Frattini per avermi gentilmente associato all'avvio di questa sesta edizione della Conferenza degli Ambasciatori.
E' un'occasione che ho colto ben volentieri, innanzitutto per rendere omaggio alla tradizione e alla scuola che ciascuno di voi - signori Ambasciatori - rappresenta, e che voi tutti insieme rappresentate. Una tradizione di alta professionalità e di peculiare apertura, intellettuale e umana, nel rapporto con sempre nuove e diverse realtà. Una scuola - da onorare sempre - di assoluta dedizione e lealtà al servizio della Nazione e dello Stato repubblicano. E' questa la cifra di distinzione della diplomazia italiana : e non a caso la scelta della carriera diplomatica continua ad attrarre giovani energie tra le migliori che il nostro sistema educativo riesca a formare.

   Né c'è alcun limite o privilegio, nell'accesso alla carriera, relativo all'estrazione sociale degli aspiranti. Quel che conta è la passione, l'interesse e la curiosità culturale, la preparazione e la predisposizione all'impegno e al rigore necessario.Credo che perciò il corpo diplomatico rappresenti un luminoso esempio, nel più vasto e variegato panorama dell'amministrazione pubblica. Il tratto essenziale è naturalmente rappresentato dal senso dello Stato, che dovrebbe distinguere chiunque svolga una funzione rispondente solo all'interesse collettivo.Operare con autentico senso dello Stato significa anche esprimere la continuità delle nostre istituzioni e il valore supremo dell'unità nazionale, al di là delle mutevoli vicende politiche. E ciò è reso più agevole dal notevole grado di continuità e di condivisione che la politica estera italiana è venuta raggiungendo. Ormai da numerosi decenni è fuori discussione la collocazione internazionale dell'Italia, quale si definì - a cavallo tra gli anni '40 e '50 dello scorso secolo - con l'adesione all'Alleanza Atlantica e alla Comunità europea. Ed è degno di nota il consenso che in questa scia ha da ultimo riscosso e riscuote, anche nell'opinione pubblica e tra i cittadini, la partecipazione italiana a molteplici missioni militari all'estero sotto l'egida delle organizzazioni multilaterali di cui siamo parte.

   In effetti, nell'ancoraggio alle fondamentali scelte euroatlantiche che ho ricordato, è cresciuta nel paese la consapevolezza del ruolo da svolgere sulla scena internazionale, e dunque della cruciale importanza per l'Italia di un'efficace, incisiva, credibile politica estera.

   Non c'è bisogno di sottolineare quanto il mondo attorno a noi sia cambiato negli ultimi decenni o stia ancora cambiando. Ma la nostra politica estera non è mai rimasta chiusa nel perimetro euroatlantico, pur facendone il suo perno e punto di riferimento. Basti citare l'attenzione e l'iniziativa, anch'esse largamente condivise, sempre dedicate al Medio Oriente, al mondo arabo, all'Africa, all'America Latina. E' del tutto evidente che la rete dei nostri rapporti internazionali deve più che mai allargarsi e intensificarsi, ma c'è qualcosa di più da dire e mettere in evidenza.

   C'è da dire che politica estera e politica interna si sono venute intrecciando sempre più strettamente ; che nessuno dei maggiori problemi nazionali può affrontarsi con successo se non in un più ampio quadro internazionale, come si può d'altronde desumere dalla stessa impostazione dei lavori di questa Conferenza : dai problemi della sicurezza, della lotta al terrorismo e al crimine organizzato, del contrasto dell'immigrazione illegale, ai problemi dello sviluppo economico, dell'energia, dell'ambiente. Di qui l'accresciuta responsabilità dell'Amministrazione degli Esteri e di chi la guida in seno al governo : responsabilità, anche, nel rendere sempre meglio consapevoli del ruolo della politica estera l'insieme delle istituzioni repubblicane, a partire dal Parlamento, e la più vasta opinione pubblica.Lo stesso profilo di quanti reggono le nostre ambasciate ne esce allargato e arricchito : il loro impegno ha acquisito e tende ad acquisire una inedita pluralità di dimensioni (tra le quali vorrei citare, con nuova enfasi, quella culturale), per poter meglio servire il paese, per contribuire a soddisfare le sue molteplici esigenze. E in sintonia con questo processo non può che collocarsi lo sforzo, già in corso, di rinnovamento e adeguamento della stessa struttura, e del modus operandi, del Ministero degli Affari Esteri.

   In una fase complessa e difficile come quella attuale, la priorità spetta al superamento di tensioni e di minacce che insidiano la stabilità internazionale, e in particolare alla soluzione di crisi regionali, comprese quelle non lontane dal nostro territorio nazionale. E occorrono una visione globale e un approccio multilaterale, che soli possono condurre all'avanzata della pace e della sicurezza nel mondo.Ma una tale visione e un tale approccio sono ancor più richiesti oggi in presenza di una crisi finanziaria ed economica che non conosce confini, che tocca diversi continenti. Avrete modo di discuterne ampiamente. Anche a questo proposito si può dire che l'Italia abbia maturato ed espresso una sua vocazione al multilateralismo, al metodo del dialogo e del negoziato. Una vocazione che le viene riconosciuta e può permetterle di acquisire ancora maggior spazio e autorevolezza nella fase attuale delle relazioni internazionali.

   Il luogo di elezione per lo sviluppo della nostra iniziativa in tutte le direzioni rimane, come sappiamo, l'Europa unita, la rete istituzionale dell'Unione Europea. E dall'Italia si attende un'azione coraggiosa e coerente per scongiurare tentazioni di chiusura, ripiegamenti protezionistici e micronazionalismi che ci riporterebbero indietro nel tempo e si rivelerebbero inani a risolvere i problemi del nostro tempo. Ci si attende dall'Italia un'azione risoluta per la riforma delle istituzioni europee, bloccata dalla mancata entrata in vigore del Trattato di Lisbona, e per un ulteriore avanzamento - anche per via di differenziazione - del processo di integrazione.

   Pensiamo così ad un'Europa che possa più che mai affermarsi come partner storico e interlocutore privilegiato degli Stati Uniti, contando su una corrispondente propensione della nuova Amministrazione americana. Dovremo insieme affrontare - in risposta alla crisi che ci sta duramente investendo tutti - i problemi di una nuova governance globale e ri-disegnare le istituzioni che possano garantirla. Questa strada già si sta aprendo : e una tappa significativa può essere rappresentata dal prossimo G8, per l'impostazione innovativa e lungimirante che la Presidenza italiana intende darvi contando sul decisivo apporto della Farnesina.

  Lasciate che vi rinnovi, signori Ambasciatori, l'espressione del mio profondo apprezzamento e il più cordiale augurio per l'anno che sta per iniziare.

Buon lavoro a lei, signor Ministro, e alla Conferenza. 

da ansa.it


Titolo: Napolitano: "Basta polemiche, sì a riforma bipartisan della Costituzione"
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2008, 11:58:13 pm
17/12/2008 (18:31) - L'APPELLO

Napolitano: "Basta polemiche, sì a riforma bipartisan della Costituzione"
 
Il presidente della Repubblica: «Servono soluzioni condivise »


ROMA

Una revisione di «specifiche norme della Costituzione del 1948» è oggi «ancora più opportuna dinanzi ad alterazioni di fatto dell’assetto rimasto vigente, in particolare per quel che riguarda la forma di governo». Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo discorso alle alte cariche dello Stato. Secondo il capo dello Stato, la «permanente validità» della prima parte della Costituzione «non impedisce di formulare essenziali e ben determinate proposte di riforma», come quella delineata a larga maggioranza alla fine della passata legislatura. «Non può destare meraviglia - ha sottolineato Napolitano - il mio rinnovato auspicio che quel cammino venga ripreso in un clima di costruttivo confronto».

Il confronto politico per le decisioni sulle leggi e le riforme deve avvenire in Parlamento. È un’indicazione molto stringente quella che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano fornisce alle massime autorità istituzionali e politiche, di governo e di opposizione, presenti nel Salone dei Corazzieri al Quirinale -con la sola eccezione, per motivi di salute, del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi- per la tradizionale cerimonia di scambio d’auguri di Natale e Capodanno. «È il Parlamento il luogo in cui vanno confrontate analisi obiettive delle situazioni su cui intervenire e libere valutazioni delle possibile scelte da compiere.

È il Parlamento il luogo in cui vanno consultate le rappresentanze politiche, di maggioranza e di opposizione, preparate e infine adottare le decisioni -ribadisce con forza il Capo dello Stato- può scaturire da ciò una legislazione meno pletorica e dispersiva e di migliore qualità, del che c’è grande bisogno; e può scaturire una piena affermazione del Parlamento, sia come legislatore sia nelle sue funzioni di indirizzo e di controllo e di valutazione costante delle politiche pubbliche». Napolitano non si nasconde che «da noi, molto si deve ancora fare per accrescere la produttività del Parlamento, per rendere più spedito e sicuro il cammino legislativo, per rispettare il diritto-dovere della maggioranza di governare. Ma ciò -avverte- non comporta e non deve sancire una mortificazione del ruolo del Parlamento».

Il presidente della Repubblica esorta a «rispettare effettivamente il ruolo dell’opposizione, essenziale in ogni sistema democratico; ma, più in generale, il ruolo del Parlamento nel suo insieme». Napolitano stigmatizza il fatto che «i lavori parlamentari appaiono spesso condizionati da un sovraccarico legislativo, in un clima di concitazione e talvolta di vera e propria congestione». Ma, «l’urgenza si deve combinare con un realistico ordine di priorità dei provvedimenti da condurre al voto finale, a garanzia della necessaria ponderazione e del normale diritto di emendare le proposte del governo».

Il presidente interviene poi sul tema economico. La preoccupazione per la crisi e finanziaria che sta investendo l’Italia «non giustifica reazioni di paura, di scoramento e di rassegnazione». Nè, d’altro canto, può giustificare «il ripiegare su logiche di mera difesa nazionale e su tentazioni protezionistiche che non salverebbero l’Europa nè alcuno dei suoi Paesi». È la crisi economica il primo tema che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affronta nel suo incontro alle alte cariche dello Stato, il tradizionale incontro con il mondo della politica. Napolitano spiega che certamente «preoccupano tutti i fenomeni di recessione e i rischi di arretramento» e preoccupa il diffondersi «del malessere sociale per le condizioni difficili delle famiglie a più basso reddito». Realtà «particolarmente pesante per una parte del nostro paese, per le regioni del Mezzogiorno».

da lastampa.it


Titolo: Vittorio Grevi Quel monito del Presidente
Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2008, 10:33:39 am
NAPOLITANO E LA GIUSTIZIA

Quel monito del Presidente

di Vittorio Grevi


Ancora una volta i temi della giustizia irrompono sulle prime pagine dei giornali. Ma, questa volta, non nella prospettiva, ancora ieri sottolineata con vigore dal presidente Napolitano, di una doverosa riforma concernente il rispetto di «essenziali norme di condotta» nell'esercizio della giurisdizione (una riforma condivisa, ha chiesto giustamente il Presidente, anche perché c'è un rischio di arbitrio che va contrastato), bensì con specifico riferimento ad alcune clamorose inchieste in corso. A cominciare da quella della procura napoletana per l'«affare Global Service».

Ampiamente preannunciata da numerosi segnali, la bufera giudiziaria scatenatasi negli ultimi giorni sul comune di Napoli, con il coinvolgimento di diversi assessori ed ex assessori, nonché di un imprenditore finito in carcere, proietta un'ennesima ombra inquietante su certe modalità di gestione del potere negli enti locali, in questo caso da parte di amministratori di centrosinistra. E poiché l'inchiesta di Napoli segue di poche ore la notizia di analoghe indagini avviate a Pescara e a Potenza, e sempre per fatti corruttivi legati ad intrecci di malaffare politico- amministrativo, nel quale risultano indagati diversi esponenti del Partito democratico (sebbene a Napoli, per la verità, fra i parlamentari coinvolti figuri altresì un esponente del Pdl), l'impressione è che anche il principale partito di opposizione non possa ormai più vantare la tradizionale rendita di immagine, rispetto alle ombre di una «questione morale» tuttora irrisolta.

Naturalmente per ora si tratta soltanto di ipotesi di reato formulate dagli organi del pubblico ministero (peraltro già avallate in vario modo dai provvedimenti di un giudice), sicché è buona cosa attendere l'esito delle inchieste prima di formulare un giudizio definitivo. Questa, tuttavia, è una precisazione da farsi, e doverosamente, sul piano tecnico processuale, come riflesso della presunzione di non colpevolezza che assiste qualunque indagato. Sul piano politico, però, il discorso è differente, essendo palese che un partito non può attendere mesi od anni, prima di dare segnali di pulizia e trasparenza al suo interno. E questi segnali devono essere dati sulla base di valutazioni politiche (ponderate, ma tempestive), attraverso provvedimenti che rimuovano anche il minimo sospetto: senza condanne anticipate, ma anche senza atteggiamenti di indulgente lassismo, soprattutto quando determinati fatti o determinate condotte risultino comunque da circostanze obiettive, benché non (ancora) sanzionati da una sentenza.
È fin troppo facile ripeterlo, di fronte a notizie come quelle provenienti dalle inchieste di Napoli, di Potenza, di Pescara ed anche di altre sedi.

Tuttavia bisogna essere consapevoli che oggi, non saremmo qui a parlare ancora una volta di «questione morale», ed a lamentare il riesplodere di episodi di pubblica corrutela dai contorni già ben noti, se dopo la stagione degli scandali di Tangentopoli, all'inizio degli anni '90, il nostro ceto politico avesse trovato in sé la forza di rigenerarsi a fondo nelle proprie radici etiche. Sia nel senso di recuperare da parte di tutti un più profondo senso dello Stato, sia nel senso di predisporre rigorosi congegni diretti comunque a prevenire (anche attraverso adeguate selezioni dei soggetti da candidarsi), certi disdicevoli comportamenti, all'insegna dello scambio tra tangenti ed affari. Così purtroppo non è avvenuto, per cui ancora una volta spetta all'autorità giudiziaria — nell'esercizio della sua funzione istituzionale di controllo della legalità — il compito di accertare fatti e responsabilità di vicende riconducibili, per lo più, allo schema penalistico della corruzione.

Adesso occorre che alla magistratura venga data piena fiducia ai fini dello sviluppo delle indagini in corso (ovviamente nel rispetto di tutte le garanzie difensive previste per gli indagati), così da poterne verificare ogni possibile implicazione, senza privilegi per nessuno. Nemmeno per i parlamentari che sono stati indirettamente coinvolti in intercettazioni telefoniche operate non a loro carico, i quali per primi avranno interesse a dimostrare la propria estraneità ai fatti.

Quanto allo strumento delle intercettazioni, la circostanza che esse siano all'origine di molte delle inchieste per corruzione rese note in questi giorni, costituisce una ulteriore dimostrazione della concreta utilità di questo mezzo investigativo, anche nei procedimenti per i reati contro la pubblica amministrazione. E, nel contempo, costituisce altresì un serio monito per quanti, in sede di politica legislativa, vorrebbero invece escludere la loro ammissibilità proprio nell'ambito di tali procedimenti. Ma questo pericolo sarà evitato se in tema di riforme della giustizia si cercheranno, secondo l'auspicio rinnovato ieri dal presidente Napolitano, soluzioni «condivise».

18 dicembre 2008
da corriere.it




Titolo: Napolitano e i suoi miglioristi, così lontani e così vicini a Craxi
Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2010, 05:41:44 pm
Napolitano e i suoi miglioristi, così lontani e così vicini a Craxi

di Gianni Barbacetto e Peter Gomez,

da "Il Fatto Quotidiano", 20 gennaio 2010


"Non dimentico il rapporto che fin dagli anni Settanta ebbi con lui... Si trattò di un rapporto franco e leale, nel dissenso e nel consenso che segnavano le nostre discussioni e le nostre relazioni”. “Lui” è Bettino Craxi. E chi “non dimentica” è Giorgio Napolitano, oggi Presidente della Repubblica. Nella sua lettera inviata alla vedova di Craxi a dieci anni dalla morte del segretario del Psi, il capo dello Stato sostiene che, nel “vuoto politico” dei primi anni Novanta, avvenne “un conseguente brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia”. A farne le spese fu soprattutto il leader socialista, per il peso delle contestazioni giudiziarie, “caduto con durezza senza eguali sulla sua persona”.

Il rapporto tra Craxi e Napolitano fu lungo, intenso e alterno. Naufragò nel 1994, quando Bettino inserì Napolitano nella serie “Bugiardi ed extraterrestri”, un’opera a metà tra la satira politica e l'arte concettuale. Ma era iniziato, appunto, negli anni Settanta, quando il futuro capo dello Stato si era proposto di fare da ponte tra l’ala “riformista” del Pci e il Psi. Negli Ottanta, Napolitano rappresentò con più forza l’opposizione interna, filo- socialista, al Pci di Enrico Berlinguer: proprio nel momento in cui questi propose la centralità della “questione morale”. Intervenne contro il segretario nella Direzione del 5 febbraio 1981, dedicata ai rapporti con il Psi, e poi ribadì il suo pensiero in un articolo sull’Unità, in cui criticò Berlinguer per il modo in cui aveva posto la “questione morale e l’orgogliosa riaffermazione della nostra diversità”.

È in quel periodo che la vicinanza tra Craxi e Napolitano sembra cominciare a farsi più forte. Tanto che nel 1984, il futuro presidente appoggia, contro il Pci e la sinistra sindacale, la politica del leader socialista sul costo del lavoro. Il mondo, del resto, sta cambiando. E in Italia, a partire dal 1986, cambiano anche le modalità di finanziamento utilizzate dai comunisti. I soldi che arrivano dall’Unione Sovietica sono sempre di meno. E così una parte del partito – come raccontano le sentenze di Mani pulite e numerosi testimoni – accetta di entrare nel sistema di spartizione degli appalti e delle tangenti. La prova generale avviene alla Metropolitana di Milano (MM), dove la divisione scientifica delle mazzette era stata ideata da Antonio Natali, il padre politico e spirituale di Craxi. Da quel momento alla MM un funzionario comunista, Luigi Miyno Carnevale, ritira come tutti gli altri le bustarelle e poi le gira ai superiori. In particolare alla cosiddetta “corrente migliorista”, quella più vicina a Craxi, che “a livello nazionale”, si legge nella sentenza MM, “fa capo a Giorgio Napolitano”. E ha altri due esponenti di spicco in Gianni Cervetti ed Emanuele Macaluso.

Per i “miglioristi” Mani Pulite è quasi un incubo: a Milano molti dei loro dirigenti vengono arrestati e processati per tangenti. Tutto crolla. Anche il loro settimanale, Il Moderno, diretto da Lodovico Festa e finanziato da alcuni sponsor molto generosi: Silvio Berlusconi, Salvatore Ligresti, Marcellino Gavio, Angelo Simontacchi della Torno costruzioni. Imprenditori che sostenevano il giornale – secondo i giudici – non “per una valutazione imprenditoriale”, ma “per ingraziarsi la componente migliorista del Pci, che in sede locale aveva influenza politica e poteva tornare utile per la loro attività economica”. Il processo termina nel 1996 con un’assoluzione. Ma poi la Cassazione annulla la sentenza e stabilisce: “Il finanziamento da parte della grande imprenditoria si traduceva in finanziamento illecito al Pci-Pds milanese, corrente migliorista”. La prescrizione porrà comunque fine alla vicenda.
Più complessa la storia dei “miglioristi” di Napoli, che anche qui hanno problemi con il metrò. L’imprenditore Vincenzo Maria Greco, legato al regista dell’operazione, Paolo Cirino Pomicino, nel dicembre 1993 racconta ai pm che nell’affare è coinvolto anche il Pci napoletano: il primo stanziamento da 500 miliardi di lire, nella legge finanziaria, “vide singolarmente l’appoggio anche del Pci”. E lancia una velenosa stoccata contro il leader dei miglioristi: “Pomicino ebbe a dirmi che aveva preso l’impegno con il capo-gruppo alla Camera del Pci dell’epoca, onorevole Giorgio Napolitano, di permettere un ritorno economico al Pci... Mi spiego: il segretario provinciale del Pci dell’epoca era il dottor Umberto Ranieri, attuale deputato e membro della segreteria nazionale del Pds. Costui era il riferimento a Napoli dell’onorevole Napolitano. Pomicino mi disse che già riceveva somme di denaro dalla società Metronapoli... e che si era impegnato con l’onorevole Napolitano a far pervenire una parte di queste somme da lui ricevute in favore del dottor Ranieri”.

Napolitano, diventato nel frattempo presidente della Camera, viene iscritto nel registro degli indagati: è un atto dovuto, che i pm di Napoli compiono con grande cautela, secretando il nome e chiudendo tutto in cassaforte. Pomicino, però, smentisce almeno in parte Greco, negando di aver versato soldi di persona a Ranieri e sostenendo di aver saputo delle mazzette ai comunisti dall’ingegner Italo Della Morte, della società Metronapoli, ormai deceduto: “Mi disse che versava contributi anche al Pci. Tutto ciò venne da me messo in rapporto con quanto accaduto durante l’approvazione della legge finanziaria... Il gruppo comunista capitanato da Napolitano ebbe a votare l’approvazione di tale articolo di legge, pur votando contro l’intera legge finanziaria”.
Napolitano reagisce con durezza: “Come ormai è chiaro, da qualche tempo sono bersaglio di ignobili invenzioni e tortuose insinuazioni prive di qualsiasi fondamento. Esse vengono evidentemente da persone interessate a colpirmi per il ruolo istituzionale che ho svolto e che in questo momento sto svolgendo. Valuterò con i miei legali ogni iniziativa a tutela della mia posizione”.

Alla fine, l’inchiesta finirà con un’archiviazione per tutti. Anche Craxi, quasi al termine della sua avventura politica in Italia, aggiungerà una sua personale stoccata a Napolitano. Nel suo interrogatorio al processo Cusani, il 17 dicembre 1993, dirà, sotto forma di domanda retorica: “Come credere che il presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del Pci e aveva rapporti con tutta la nomenklatura comunista dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del Pci e i paesi dell’Est? Non se n’è mai accorto?”. Fu la brusca fine di un dialogo durato due decenni. E riannodato oggi con la lettera inviata da Napolitano alla moglie dell’antico compagno socialista.

(20 gennaio 2010)
da temi.repubblica.it/micromega-online


Titolo: Napolitano: Il diritto di voto va garantito Regionali
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2010, 08:08:38 am
06 marzo 2010, 19:46

Napolitano: Il diritto di voto va garantito Regionali     

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, difende la scelta di aver firmato il decreto legge finalizzato a una rapida e certa definizione delle modalità di svolgimento delle prossimi elezioni regionali. E lo fa rispondendo, attraverso il sito internet del Quirinale, a due cittadini che sulla vicenda avevano esposto al capo dello Stato i propri punti di vista divergenti tra loro


Scrive Napolitano che non era sostenibile che non potessero prendere parte alla competizione elettorale "nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo". Per uscire dall'impasse, ricorda Napolitano, era stata ipotizzata da più parti una "soluzione politica" cioè un'intesa tra gli schieramenti politici. Che era stata però caldeggiata "senza peraltro chiarire in che senso ciò andasse inteso". In ogni caso, al capo dello Stato preme sottolineare che, visti i tempi ristretti, "quel provvedimento non poteva che essere un decreto legge". E, a differenza dalla bozza di decreto presentata a Napolitano dal governo "in un teso incontro giovedì sera", il testo presentato ieri sera al presidente della Repubblica non conteneva "evidenti vizi di incostituzionalità. Né si è indicata da nessuna parte politica - puntualizza il capo dello Stato - quale altra soluzione, comunque inevitabilmente legislativa, potesse essere ancora più esente da vizi e dubbi di quella natura". Napolitano, che ribadisce di essere "deciso a tenere ferma una linea di indipendente e imparziale svolgimento del ruolo e di rigoroso esercizio delle prerogative", conclude: "Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di non rivolgersi al capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne costantemente le funzioni e i poteri".

Questo il testo integrale della risposta di Napolitano: "Egregio signor Magni, gentile signora Varenna, ho letto con attenzione le vostre lettere e desidero, vostro tramite, rispondere con sincera considerazione per tutte le opinioni dei tanti cittadini che in queste ore mi hanno scritto. Il problema da risolvere era, da qualche giorno, quello di garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici. Non era sostenibile che potessero non parteciparvi nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo, per gli errori nella presentazione della lista contestati dall'ufficio competente costituito presso la corte d'appello di Milano.
Erano in gioco due interessi o "beni" entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi. Non si può negare che si tratti di "beni" egualmente preziosi nel nostro Stato di diritto e democratico. Si era nei giorni scorsi espressa preoccupazione anche da parte dei maggiori esponenti dell'opposizione, che avevano dichiarato di non voler vincere - neppure in Lombardia -"per abbandono dell'avversario" o "a tavolino". E si era anche da più parti parlato della necessità di una "soluzione politica": senza peraltro chiarire in che senso ciò andasse inteso. Una soluzione che fosse cioè "frutto di un accordo", concordata tra maggioranza e opposizioni?".

Napolitano prosegue osservando che "sarebbe stato certamente opportuno ricercare un tale accordo, andandosi al di là delle polemiche su errori e responsabilità dei presentatori delle liste non ammesse e sui fondamenti delle decisioni prese dagli uffici elettorali pronunciatisi in materia. In realtà, sappiamo quanto risultino difficili accordi tra governo, maggioranza e opposizioni anche in casi particolarmente delicati come questo e ancor più in clima elettorale: difficili per tendenze all'autosufficienza e scelte unilaterali da una parte, e per diffidenze di fondo e indisponibilità dall'altra parte. Ma in ogni caso - questo è il punto che mi preme sottolineare - la "soluzione politica", ovvero l'intesa tra gli schieramenti politici, avrebbe pur sempre dovuto tradursi in soluzione normativa, in un provvedimento legislativo che intervenisse tempestivamente per consentire lo svolgimento delle elezioni regionali con la piena partecipazione dei principali contendenti. E i tempi si erano a tal punto ristretti - dopo i già intervenuti pronunciamenti delle Corti di appello di Roma e Milano - che quel provvedimento non poteva che essere un decreto legge.

Diversamente dalla bozza di decreto prospettatami dal Governo in un teso incontro giovedì sera, il testo successivamente elaborato dal Ministero dell'interno e dalla Presidenza del consiglio dei ministri non ha presentato a mio avviso evidenti vizi di incostituzionalità.
Né si è indicata da nessuna parte politica quale altra soluzione - comunque inevitabilmente legislativa - potesse essere ancora più esente da vizi e dubbi di quella natura. La vicenda è stata molto spinosa, fonte di gravi contrasti e divisioni, e ha messo in evidenza l'acuirsi non solo di tensioni politiche, ma di serie tensioni istituzionali. E' bene che tutti se ne rendano conto. Io sono deciso a tenere ferma una linea di indipendente e imparziale svolgimento del ruolo, e di rigoroso esercizio delle prerogative, che la Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica, nei limiti segnati dalla stessa Carta e in spirito di leale cooperazione istituzionale. Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di non rivolgersi al Capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne costantemente le funzioni e i poteri. Cordialmente".

da aprileonline.info


Titolo: Napolitano: "Ricorso a popolo non è balsamo per ogni febbre"
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2010, 05:52:12 pm
IL DISCORSO

Napolitano: "Ricorso a popolo non è balsamo per ogni febbre"

Il presidente della Repubblica a Salerno: "Basta con la penosa disputa contabile fra Nord e Sud".

"Contro di me polemiche allusive e non sempre garbate".


SALERNO - "Il ricorso al popolo non è il balsamo per ogni febbre". Parlando a Salerno in un incontro con gli amministratori locali il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano elogia Silvio Berlusconi e la sua decisione di continuare a governare. "La stabilità politica è un valore", chiosa il capo dello Stato che però coglie l'occasione per togliersi qualche sassolino.

Napolitano non ha dimenticato gli attacchi di agosto da parte di esponenti della maggioranza e lo dice. "Contro di me polemiche allusive e non sempre garbate". Poi avverte governo e maggioranza: "Un Paese democratico vive secondo le regole". Quanto al federalismo il presidente è chiaro: fermare quella che chiama "la penosa disputa contabile fra Nord e Sud", ha chiesto di tenere conto di tutti i dati disponibili "che danno un quadro di flussi tra regioni del Nord e del Sud ben più ampio di quelli dei soli trasferimenti pubblici e assai più favorevole al Centro-Nord". "Sul federalismo - ha continuato - bisogna smetterla di giocare con le parole. Si deve attuare il titolo quinto ma quando si parla di federalismo solidale, cooperativo, ogni volta che il parlamento deve varare i provvedimenti, il senso di queste parole deve essere mantenuto".

"Apprezzamento per impegno Berlusconi". "Il fatto che negli ultimi giorni ci sia una crescente fiducia sulla prosecuzione dell'attività governativa e parlamentare è un'evoluzione auspicabile e costruttiva", ha sottolineato Napolitano. Il presidente della Repubblica ha espresso pertanto "apprezzamento per le recenti dichiarazioni fatte da Silvio Berlusconi di voler andare fino alla prosecuzione della legislatura e per il rilancio dell'attività di governo".

"Polemica non garbata nei miei confronti". Però Napolitano ha rimproverato alla maggioranza il fatto che quest'estate si siano "succeduti per settimane, ogni giorno", interventi riconducibili a una "polemica allusiva e non sempre garbata nei miei confronti". "Mi si è così premurosamente spiegato - ha accusato il presidente - come il ricorso al popolo, ovvero alle urne, sia il sale della democrazia e il balsamo per tutte le sue febbri. Si è mostrato stupore per il fatto che il presidente della Repubblica non apparisse pronto, con la penna in mano, a firmare un decreto di scioglimento delle Camere. Il particolare che così veniva trascurato - ha proseguito - è che la vità di un paese democratico e delle sue istituzioni elettive, nelle quali si esprime la volontà popolare, deve essere ordinata secondo regole per potersi svolgere in modo fecondo, per produrre i risultati attesi".

 "Sì al federalismo, ma senza giocare". Bisogna attuare il federalismo, andare avanti, "ma non bisogna giocare con le parole", ha detto ancora il presidente della Repubblica a Salerno. "Si tratta di stabilire come intendere il federalismo, non si tratta di tornare indietro o mettere i bastoni fra le ruote. Si deve attuare il titolo quinto ma - ha aggiunto - quando si parla di federalismo solidale, cooperativo, ogni volta che il parlamento deve varare i provvedimenti, il senso di queste parole deve essere mantenuto".

"Bloccare penose dispute contabili". Attuare il federalismo, tra l'altro, ha ricordato Napolitano, è anche un modo di porre fine "a penose dispute contabili e recriminazioni sul dare e l'avere tra Nord e Sud". Il Capo dello Stato ha chiesto di tenere conto di tutti i dati disponibili "che danno un quadro di flussi tra regioni del Nord e del Sud ben più ampio di quelli dei soli trasferimenti pubblici e assai più favorevole al Centro-Nord". E, sempre in riferimento al Mezzogiorno, Napolitano ha sottolineato come "nel Mezzogiorno ci sono troppi giovani che hanno concluso il loro ciclo formativo e si trovano senza lavoro e senza prospettive. E' nostro dovere storico dare loro risposte. Questa è la questione numero uno del nostro Paese".
 

(14 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/14/news/napolitano_popolo-7064096/?ref=HREA-1


Titolo: Giorgio Napolitano Nilde Iotti, una grande politica ma sempre donna e libera
Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2010, 05:15:22 pm
«Nilde Iotti, una grande politica ma sempre donna e libera»

di Giorgio Napolitano

Con sincera e convinta adesione alla vostra iniziativa desidero contribuire, sia pure in termini essenziali, al ricordo della personalità di Nilde Iotti e della sua opera: ricordo che intendete trasformare in fonte di conoscenza, riflessione e ispirazione soprattutto, credo di intendere, per le nuove generazioni, specialmente di donne, che si avvicinino al mondo della politica e delle istituzioni.

Ho avuto modo di ripercorrere ampiamente in alcune occasioni quel tratto lungo e altamente impegnativo della vita e dell’attività di Nilde Iotti, che fu costituito dalla sua partecipazione più che cinquantennale alle legislature del Parlamento repubblicano. E prima ancora ella partecipò alla esperienza unica e impareggiabile dell’Assemblea Costituente.

Ma oggi, nel momento in cui sta per prendere forma la Fondazione a lei intitolata, vorrei dedicare qualche parola più in particolare alla sua persona e al mio personale rapporto con lei. La incontrai per la prima volta nel 1949, ancora giovanissima, in occasione di una sua vacanza pasquale con l’uomo cui si era legata di intensa passione e autentico affetto, Palmiro Togliatti, allora leader indiscusso di un grande partito, prima di governo e poi di opposizione, e personalità tra le maggiori della nuova politica italiana, dopo la caduta del fascismo e il ristabilimento delle libertà democratiche. In quei giorni di privata vicinanza, e in quelli che più a lungo di nuovo trascorsi con lei e col suo compagno nell’autunno del 1950, ebbi modo di scoprire le sue qualità umane, l’autenticità del suo tratto e del suo modo di atteggiarsi, e, tra l’altro, la straordinaria intensità del calore materno che manifestava verso la piccola Marisa, divenuta appunto, nel 1950, sua figlia adottiva. Ricordo, e posso dire, che era una donna radiosa.

E luminosa restò la sua personalità anche dopo avere attraversato momenti difficili e dolorosi sul piano personale e avere conosciuto - quando aveva appena 44 anni - la perdita del compagno e il destino della solitudine. Naturalmente, l’intensificarsi e il crescere qualitativamente del suo impegno politico e istituzionale la resero più matura e più «grave», ma mai ella smarrì la carica umana che aveva da giovane, quale mi fu possibile cogliere nei primi tempi della nostra amicizia.

Si ricordi dunque, nella ricchezza e complessità delle tante espressioni del suo impegno pubblico la «madre della nostra Repubblica», come voi l’avete definita, la combattente della Resistenza di colpo proiettata nella grande stagione dell’Assemblea Costituente, la parlamentare sempre più qualificata, la deputata europea, la straordinaria Presidente della Camera dei Deputati - prima Presidente donna, e Presidente più longevo, nella storia del Parlamento italiano - ma si ricordi nello stesso tempo Nilde Iotti donna come le altre.

In fondo, per le ragazze che oggi sentano nascere nel proprio animo il senso della politica e la voglia di fare politica – e mi auguro che siano molte e sempre di più, perché l’Italia ne ha drammaticamente bisogno - è bene che l’immagine della politica, e della donna in politica, anche una volta assurta ai più alti livelli di responsabilità e di autorità, non appaia in alcun modo paludata né chiusa in quel ruolo, coprendo i suoi tratti umani più intimi e profondi. La politica, anche per chi vi si dedichi a pieno tempo, anche per chi possa farne - come un tempo si diceva e accadeva - una «scelta di vita»; non può mai diventare un’ossessione totalizzante né imprigionare la persona in una corazza.

Ecco, ho visto così nei decenni - al di là delle affinità politiche e delle comuni battaglie che ci hanno legato, e attraverso i rapporti affettuosi che poi abbracciarono anche mia moglie Clio e il mio più giovane figlio Giulio - Nilde Iotti, grande figura politica dell’Italia repubblicana, grande punto di riferimento per gli ideali e per le conquiste delle donne, sempre persona, sempre donna, umanamente libera e ricca.

06 ottobre 2010
http://www.unita.it/news/il_ricordo/104298/nilde_iotti_una_grande_politica_ma_sempre_donna_e_libera


Titolo: NAPOLITANO e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo"
Inserito da: Admin - Gennaio 04, 2011, 04:15:13 pm
NAPOLI

Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo"

Il presidente auspica il confronto e sottolinea la necessità che venga affrontato il nodo della rappresentanza sindacale.

La Fiom alla Cgil: "Nessuna firma tecnica sull'accordo di MIrafiori". L'Idv aderisce allo sciopero del 28. Fiat spa corre in Borsa


NAPOLI - "C'è un rapporto difficile, un confronto che è diventato molto duro. Mi auguro che nelle relazioni industriali, oggetto di contenzioso alla Fiat, si trovi di nuovo un modulo più costruttivo di discussione". Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha risposto ai giornalisti sul fatto che il piano Marchionne sia stato ben accolto dai mercati ma sia molto discusso dai lavoratori. Secondo Napolitano "ci deve essere confronto", ma "tutte le parti in causa debbono riconoscere l'essenzialità di questo impegno ad aumentare la produttività del lavoro ai fini della competitività internazionale della nostra economia".

Il rapporto tra lavoratori e vertici della Fiat in questo momento, dice Napolitano, "è difficile, un confronto che è diventato molto duro. Credo", aggiunge il capo dello Stato, "che nessuno possa negare che esiste un problema di bassa produttività nel lavoro. Però non è una questione legata esclusivamente al rendimento lavorativo delle maestranze. La produttività dipende in larga misura anche dall'innovazione tecnologica, dalle scelte di organizzazione del lavoro, e quindi ci deve essere un confronto e si deve assumere questo obiettivo. Tutte le parti in causa debbono riconoscere l'essenzialità di questo impegno ad aumentare la produttività del lavoro ai fini di competitività internazionale della nostra economia. Poi, il modo di affrontare questo problema, soprattutto
il punto delle modifiche che ne possono derivare nelle relazioni industriali sono oggetto di contenzioso. Mi auguro che si trovi di nuovo un modulo più costruttivo di discussione".

Il presidente ha anche commentato le dichiarazioni rilasciate dal ministro Sacconi a Repubblica sull'accordo inteconfederale del 1993: "Il ministro del lavoro dice nell'accordo del '93 erano sanciti diritti che bisogna fare salvi. Mi pare che questo sia un aspetto importante - ha detto Napolitano - . Per quanto siano cambiate le cose e si possa vedere quanto dell'accordo del '93 rimanga valido, però vi sono dei punti importanti che riguardano senza dubbio il diritto di rappresentanza, tutta una materia che ormai va affrontata".

Fiom e Cgil divise - Intanto il caso Mirafiori resta una ferita aperta tra la Fiom e la Cgil. Maurizio Landini, segretario generale della federazione dei metalmeccanici, ha escluso nuovamente qualsiasi firma tecnica in caso di vittoria dei sì al referendum sull'accordo, come aveva ipotizzato dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, per salvare la rappresentanza Fiom nello stabilimento torinese: "Gli accordi si firmano o non si firmano - ha detto Landini in una conferenza stampa con Antonio Di Pietro - ; inoltre lo statuto della Cgil vieta di firmare accordi che sottraggono diritti ai lavoratori".

Landini ha spiegato poi che l'incontro in programma domenica con i vertici della Cgil non riguarderà soltanto la questione Fiat, ma servirà a "mettere a punto iniziative complessive perchè gli accordi di Mirafiori e Pomigliano mettono in discussione l'esistenza l'esistenza stessa del sindacato confederale".

Referendum il 13 e il 14 - Quanto al referendum sull'accordo sottoscritto da Fim e Uilm, con ogni probabilità si terrà giovedì 13 e venerdì 14 gennaio. Le date saranno ufficializzate stasera. Dal voto dei circa 5.800 lavoratori di Mirafiori sull'intesa, secondo le parole dell'ad Sergio Marchionne, dipenderà il rilancio dello stabilimento torinese in joint venture con Chrysler. Lunedì prossimo, le sigle firmatarie dell'intesa distribuiranno un volantino davanti ai cancelli della fabbrica per spiegare i contenuti dell'accordo.

L'Idv sciopera - Di Pietro ha annunciato la partecipazione dell'Italia dei valori allo sciopero del 28 gennaio, accanto alla Fiom. "Chiediamo un tavolo unico in cui il governo chieda alla Fiat di mantenere la produzione in Italia anche offrendo incentivi e sgravi  - ha detto Di Pietro - , ma dall'altra parte chieda all'azienda un passo indietro sull'attacco ai diritti costituzionali e fondamentali dei lavoratori". Poco più tardi è arrivata la frenata dal presidente dei deputati Idv, Massimo Donadi: "L'Italia dei valori - ammonisce Donadi - non può sposare acriticamente le posizioni della Fiom. Il prossimo esecutivo sarà l'occasione giusta per aprire un confronto sulla nostra posizione riguardo alla vicenda" Fiat.

Fiat in Borsa - Intanto, in una giornata positiva per tutte le Borse europee, a Piazza Affari sono ancora protagonisti i titoli delo spin off del Lingotto, soprattutto Fiat spa che al giro di boa della giornata è arrivata a guadagnare oltre il 7%, mentre Fiat Industrial ed Exor segnano un leggero calo.

(04 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/economia/2011/01/04/news/napolitano_sulla_fiat_dialogo_pi_costruttivo-10837432/?ref=HRER1-1


Titolo: GIORGIO NAPOLITANO. - Ecco l'intervento integrale al meeting Cl
Inserito da: Admin - Agosto 22, 2011, 04:23:23 pm
22/8/2011

Napolitano al meeting Cl Ecco l'intervento integrale

GIORGIO NAPOLITANO

Colgo in questo incontro, nella sua continuità con l'ispirazione originaria e la peculiare tradizione del Meeting di Rimini, l'occasione per ridare respiro storico e ideale al dibattito nazionale. Perché è un fatto che ormai da settimane, da quando l'Italia e il suo debito pubblico sono stati investiti da una dura crisi di fiducia e da pesanti scosse e rischi sui mercati finanziari, siamo immersi in un angoscioso presente, nell'ansia del giorno dopo, in un'obbligata e concitata ricerca di risposte urgenti. A simili condizionamenti, e al dovere di decisioni immediate, non si può naturalmente sfuggire. Ma non troveremo vie d'uscita soddisfacenti e durevoli senza rivolgere la mente al passato e lo sguardo al futuro. Ringrazio perciò voi che ci sollecitate a farlo.

D'altronde, anche nel celebrare il Centocinquantenario dell'Unità, abbiamo teso a tracciare un filo che congiungesse il passato storico, complesso e ricco di insegnamenti, il problematico presente e il possibile futuro dell'Italia. Ci siamo provati a tessere quel filo muovendo da quale punto di partenza ? Dal sentimento che si doveva e poteva suscitare innanzitutto un moto di riappropriazione diffusa - da parte delle istituzioni e dei cittadini - delle vicende e del significato del processo unitario. Si doveva recuperare quel che da decenni si era venuto smarrendo - negli itinerari dell'educazione, della comunicazione, della discussione pubblica, della partecipazione politica - di memoria storica, di consapevolezza individuale e collettiva del nostro divenire come nazione, del nostro nascere come Stato unitario. E a dispetto di tanti scetticismi e sordità, abbiamo potuto, nel giro di un anno, vedere come ci fosse da far leva su uno straordinario patrimonio di sensibilità, interesse culturale e morale, disponibilità a esprimersi e impegnarsi, soprattutto tra i giovani. Abbiamo visto come fosse possibile suscitare quel "moto di riappropriazione" di cui parlavo : e non solo dall'alto, ma dal basso, attraverso il fiorire, nelle scuole, nelle comunità locali, nelle associazioni, di una miriade di iniziative per il Centocinquantenario. Lo sforzo è dunque riuscito, e rendo merito a tutti coloro che ci hanno creduto e vi hanno contribuito.

Ma "l'esame di coscienza collettivo" che avevamo auspicato in occasione di una così significativa ricorrenza, non poteva rimanere limitato al travaglio vissuto per conseguire l'unificazione, e alle modalità che caratterizzarono il configurarsi del nostro Stato nazionale. Esso doveva abbracciare - e ha in effetti abbracciato - il lungo percorso successivo, dal 1861 al 2011 : in quale chiave farlo, e per trarne quali impulsi, lo abbiamo detto, il 17 marzo scorso, con le parole che l'on. Lupi ha voluto ricordare.

Si, con le celebrazioni del Centocinquantenario ci si è impegnati a trarre, senza ricorrere ad alcuna forzatura o enfasi retorica, ragioni di orgoglio e di fiducia da un'esperienza di storico avanzamento e progresso della società italiana, anche se tra tanti alti e bassi, tragiche deviazioni pagate a carissimo prezzo, e dure, faticose riprese. Ma perché abbiamo insistito tanto sulle prove che l'Italia unita ha superato, sulla capacità che ha dimostrato di non perdersi, di non declinare, né dopo l'emorragia e le conseguenze traumatiche di una guerra pure vinta, né dopo la vergogna di una guerra d'aggressione e l'umiliazione di una sconfitta, e quindi di fronte all'eredità del fascismo e alla sfida del ricostruire il paese nella democrazia ? Perché abbiamo sottolineato come l'Italia abbia poi saputo attraversare le tensioni della guerra fredda restando salda nelle sue fondamenta unitarie e democratiche e infine reggere con successo ad attacchi mortali allo Stato e alla convivenza civile come quello del terrorismo?

Ebbene, abbiamo insistito tanto, e con pieno fondamento, su quel che l'Italia e gli italiani hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato, e sulle grandi riserve di risorse umane e morali, d'intelligenza e di lavoro di cui disponiamo, perché le sfide e le prove che abbiamo davanti sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto.

Questo ci dice la crisi che stiamo attraversando. Crisi mondiale, crisi europea, e dentro questo quadro l'Italia, con i suoi punti di forza e con le sue debolezze, con il suo carico di problemi antichi e recenti, di ordine istituzionale e politico, di ordine strutturale, sociale e civile. Nel messaggio di fine anno 2008, in presenza di una crisi finanziaria che dagli Stati Uniti si propagava all'Europa e minacciava l'intera economia mondiale, dissi - riecheggiando le famose parole del Presidente Roosevelt, appena eletto nel 1932 - "l'unica cosa di cui aver paura è la paura stessa". Ma dinanzi a fatti così inquietanti, dinanzi a crisi gravi, bisogna parlare - e voglio ripeterlo oggi qui, rivolgendomi ai giovani - il linguaggio della verità : perché esso "non induce al pessimismo, ma sollecita a reagire con coraggio e lungimiranza".

Abbiamo, noi qui, in Italia, parlato in questi tre anni il linguaggio della verità ? Lo abbiamo fatto abbastanza, tutti noi che abbiamo responsabilità nelle istituzioni, nella società, nelle famiglie, nei rapporti con le giovani generazioni ? Stiamo attenti, dare fiducia non significa alimentare illusioni ; non si da fiducia e non si suscitano le reazioni necessarie, minimizzando o sdrammatizzando i nodi critici della realtà, ma guardandovi in faccia con intelligenza e con coraggio. Il coraggio della speranza, della volontà e dell'impegno. Dell'impegno operoso e sapiente, fatto di spirito di sacrificio e di massimo slancio creativo e innovativo.

Impegno che non può venire o essere promosso solo dallo Stato, ma che sia espresso dalle persone, dalle comunità locali, dai corpi intermedi, secondo quella concezione e logica di sussidiarietà, che come ha sottolineato il Presidente Vittadini e come documenta la Mostra presentata a questo Meeting, ha fatto, di una straordinaria diffusione di attività imprenditoriali e sociali e di risposte ai bisogni comuni costruite dal basso, un motore decisivo per la ricostruzione e il cambiamento del nostro Paese.

Si può ben invocare oggi una simile mobilitazione, egualmente differenziata e condivisa, se si rende chiaro quale sia la posta in giuoco per l'Italia : in sostanza, ridare vigore e continuità allo sviluppo economico, sociale e civile, far ripartire la crescita in condizioni di stabilità finanziaria, non rischiando di perdere via via terreno in seno all'Europa e nella competizione globale, di vedere frustrate energie e potenzialità ben presenti e visibili nel Paese, di lasciare insoddisfatte esigenze e aspettative popolari e giovanili e di lasciar aggravare contraddizioni, squilibri, tensioni di fondo.

Le difficoltà sono serie, complesse, per molti aspetti non sono recenti, vengono dall'interno della nostra storia unitaria e anche, più specificamente, repubblicana. Ad esse ci riporta la crisi che stiamo vivendo in questa fase, nella quale si intrecciano questioni che a noi spettava affrontare da tempo e questioni legate a profondi mutamenti e sconvolgimenti del quadro mondiale. Ma se a tutto ciò dobbiamo guardare, anche nel momento in cui ci apprestiamo a discutere in Parlamento nuove misure d'urgenza, bisogna allora finalmente liberarsi da approcci angusti e strumentali.

Possibile che si sia esitato a riconoscere la criticità della nostra situazione e la gravità effettiva delle questioni, perché le forze di maggioranza e di governo sono state dominate dalla preoccupazione di sostenere la validità del proprio operato, anche attraverso semplificazioni propagandistiche e comparazioni consolatorie su scala europea ? Possibile che da parte delle forze di opposizione, ogni criticità della condizione attuale del paese sia stata ricondotta a omissioni e colpe del governo, della sua guida e della coalizione su cui si regge ? Lungo questa strada non si poteva andare e non si è andati molto lontano. Occorre più oggettività nelle analisi, più misura nei giudizi, più apertura e meno insofferenza verso le voci critiche e le opinioni altrui. Anche nell'importante esperienza recente delle parti sociali, giunte ad esprimere una voce comune su temi scottanti, ci sono limiti da superare nel senso di proiettarsi pienamente oltre approcci legati a pur legittimi interessi settoriali. Bisogna portarsi tutti all'altezza dei problemi da sciogliere e delle scelte da operare.

Scelte non di breve termine e corto respiro, ma di medio e lungo periodo. E' da vent'anni che è, sempre di più, rallentata la crescita della nostra economia ; è da vent'anni che si è invertita la tendenza al miglioramento di alcuni fondamentali indicatori sociali ; è da vent'anni che al di là di temporanee riduzioni del rapporto tra deficit e prodotto lordo, non siamo riusciti ad avviare un deciso abbattimento del nostro debito pubblico. La crescita è rallentata fino a ristagnare, la competitività della nostra economia, in un mondo globalizzato e radicalmente trasformato nei suoi equilibri, ha particolarmente sofferto del calo o ristagno della produttività.

La recente pubblicazione di una lunga accurata ricerca sull'evoluzione del benessere degli italiani dall'Unità a oggi, ci consente di apprezzare pienamente il consuntivo - superiore a ogni immaginabile previsione iniziale - del prodigioso balzo in avanti compiuto dall'economia e dalla società nazionale dopo l'Unità e in special modo grazie all'accelerazione prodottasi nel trentennio seguito alla seconda guerra mondiale. Ma se i dati reali smentiscono i detrattori dell'unificazione, è innegabile che il divario tra Nord e Sud è rimasto una tara profonda, non è mai apparso avviato a un effettivo superamento ; e venendo a tempi più recenti è un fatto che da due decenni è in aumento la diseguaglianza nella distribuzione del reddito dopo una marcia secolare in senso opposto, e lo stesso può dirsi per il tasso di povertà.

Si impone perciò un'autentica svolta : per rilanciare una crescita di tutto il paese - Nord e Sud insieme ; una crescita meno diseguale, che garantisca una più giusta distribuzione del reddito ; una crescita ispirata a una nuova visione e misurazione del progresso, cui si sta lavorando ormai da anni, su cui si sta riflettendo in qualificate sedi internazionali. Al di là del PIL, come misura della produzione, e senza pretendere di sostituirlo con una problematica "misura della felicità", in quelle sedi si è richiamata l'attenzione su altri fattori : "è certamente vero che, nel determinare il benessere delle persone, gli aspetti quantitativi (a cominciare dal reddito e dalla speranza di vita) contano, ma insieme a essi contano anche gli stati soggettivi e gli aspetti qualitativi della condizione umana". E' a tutto ciò che bisogna pensare quando ci si chiede se le giovani generazioni, quelle già presenti sulla scena della vita e quelle future, potranno - in Italia e in Europa, in un mondo così trasformato - aspirare a progredire rispetto alle generazioni dei padri come è accaduto nel passato. La risposta è che esse possono aspirare e devono tendere a progredire nella loro complessiva condizione umana. Ecco qualcosa per cui avrebbe senso che si riaccendesse il motore del "desiderio".

Sia chiaro, la situazione attuale di carenza di possibilità di lavoro, di disoccupazione e di esclusione per quote così larghe della popolazione giovanile, impone che si parta dal concreto di politiche per il rilancio della crescita produttiva, di più forti investimenti e di più efficaci orientamenti per la formazione e la ricerca, di più valide misure per l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Ma si deve puntare a una visione più complessiva e avanzata degli orizzonti di lungo termine : e chi, se non voi, può farlo ?

Quell'autentica svolta che oggi s'impone passa, naturalmente, attraverso il sentiero stretto di un recupero di affidabilità dell'Italia, in primo luogo del suo debito pubblico. E qui non si tratta di obbedire al ricatto dei mercati finanziari, o alle invadenze e alle improprie pretese delle autorità europee, come dicono alcuni, forse troppi. Si tratta di fare i conti con noi stessi, finalmente e in modo sistematico e risolutivo ; ho detto e ripeto che lasciare quell'abnorme fardello del debito pubblico sulle spalle delle generazioni più giovani e di quelle future significherebbe macchiarci di una vera e propria colpa storica e morale. Faccia dunque ora il Parlamento le scelte migliori, attraverso un confronto davvero aperto e serio, e le faccia con la massima equità come condizione di accettabilità e realizzabilità.

Anche al di là della manovra oggi in discussione, e guardando alla riforma fiscale che si annuncia, occorre un impegno categorico ; basta con assuefazioni e debolezze nella lotta a quell'evasione di cui l'Italia ha ancora il triste primato, nonostante apprezzabili ma troppo graduali e parziali risultati. E' una stortura, dal punto di vista economico, legale e morale, divenuta intollerabile, da colpire senza esitare a ricorrere ad alcuno dei mezzi di accertamento e di intervento possibili.

L'Italia è chiamata a recuperare affidabilità non solo sul piano dei suoi conti pubblici, sul piano della cultura della stabilità finanziaria, ma anche e nello stesso tempo sul piano della sua capacità di tornare a crescere più intensamente. E questo è anche il contributo che come grande paese europeo siamo chiamati a dare dinanzi al rallentamento dello sviluppo mondiale, al rischio o al panico - fosse pure solo panico - di una possibile onda recessiva. In questo quadro, è importante che l'Italia riesca ad avere più voce, in termini propositivi e assertivi, nel concerto europeo. Che da un lato appare troppo condizionato da iniziative unilaterali, di singoli governi, fuori dalle sedi collegiali e dal metodo comunitario ; dall'altro troppo esitante sulla via di un'integrazione responsabile e solidale, lungo la quale concorrere anche alla ridefinizione di una governance globale, le cui regole valgano a temperare le reazioni dei mercati finanziari.

Una svolta capace di rilanciare la crescita e il ruolo dell'Italia implica riforme : dopo l'avvio, in senso federalista, della concreta attuazione del Titolo V della Carta, riforme del quadro istituzionale e dei processi decisionali, delle pubbliche amministrazioni, di assetti e di rapporti economici finora non liberalizzati, di assetti inadeguati anche del mercato del lavoro. Ma non starò certo a riproporre un elenco già noto : mi piace solo notare come in queste settimane, sospinto da alcuni impulsi generosi, si stia prospettando in una luce più positiva il tema della riforma - in funzione solo dell'interesse nazionale - e del concreto funzionamento della giustizia. Anche perché alla visione del diritto e della giustizia sancita in Costituzione repugna la condizione attuale delle carceri e dei detenuti.

Comunque, più che ripetere un elenco di impegni o di obbiettivi, vorrei rispondere alla domanda se sia possibile realizzare, com'è indubbiamente necessario, riforme di quella natura su basi largamente condivise. E', in sostanza, parte della stessa domanda postami in termini più generali da Eleonora Bonizzato e da Enrico Figini. Ai quali dico innanzitutto che ho molto apprezzato il metodo seminariale col quale, insieme con molti altri studenti, hanno esplorato i temi della Mostra dedicata al Centocinquantenario e in modo particolare l'esperienza della straordinaria stagione dell'Assemblea costituente, non abbastanza studiata nelle nostre scuole e Università.

E' possibile, mi si chiede, che si riproduca quella grande tensione, quello stesso impegno verso il bene comune ? La mia risposta è che può la forza delle cose, può la drammaticità delle sfide del nostro tempo, rappresentare la molla che spinga verso un grande sforzo collettivo come quello da cui scaturì la ricostruzione democratica, politica, morale e materiale del nostro Paese dopo la Liberazione dal nazifascismo. I contesti storici sono, certo, completamente diversi ; la storia, nel male e nel bene, non si ripete. Ma la storia che abbiamo vissuto in 150 anni di Unità, nei suoi momenti migliori, come quando sapemmo rialzarci da tremende cadute e poi evitare fatali vicoli ciechi, racchiude il DNA della nazione. E quello non si è disperso, e non può disperdersi. I valori che voi testimoniate ce lo dicono ; ce lo dicono le tante espressioni, che io accolgo in Quirinale, dell'Italia dell'impegno civile e della solidarietà, dell'associazionismo laico e cattolico, di molteplici forme di cooperazione disinteressata e generosa. E, perché si creino le condizioni di un rinnovato slancio che attraversi la società in uno spirito di operosa sussidiarietà, contiamo anche sulle risorse che scaturiscono dalla costante, fruttuosa ricerca di "giuste forme di collaborazione" - secondo le parole di Benedetto XVI - "fra la comunità civile e quella religiosa".

Ma potrà anche l'apporto insostituibile della politica e dello Stato manifestarsi in modo da rendere possibile il superamento delle criticità e delle sfide che oggi stringono l'Italia ? Ci sono momenti in cui - diciamolo pure - si può disperarne. Ma non credo a una impermeabilità della politica che possa durare ancora a lungo, sotto l'incalzare degli eventi, delle sollecitazioni che crescono all'interno e vengono dall'esterno del Paese. Il prezzo che si paga per il prevalere - nella sfera della politica - di calcoli di parte e di logiche di scontro sta diventando insostenibile. Una cosa è credere nella democrazia dell'alternanza ; altra cosa è lasciarla degenerare in modo sterile e dirompente dal punto di vista del comune interesse nazionale. Ci fa riflettere anche quel che accade nel grande paese che è stato, con le sue peculiarità istituzionali, il luogo storico di una democrazia dell'alternanza capace di far fronte alle responsabilità anche di un determinante ruolo mondiale. Negli Stati Uniti vediamo appunto come, nell'attuale critico momento, il radicalizzarsi dello spirito partigiano e della contrapposizione tra schieramenti orientati storicamente a competere ma anche a convergere, stia provocando danni assai gravi per l'America e per il mondo, in una congiuntura difficile pure per quella causa della pace, dei diritti umani, dell'amicizia tra i popoli - si pensi alla tragedia del Corno d'Africa - che è iscritta nella stessa ragion d'essere del vostro Meeting.

Qui in Italia, va perciò valorizzato ogni sforzo di disgelo e di dialogo, come quello espressosi nella nascita e nelle iniziative, cari amici Lupi e Letta, dell'Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. Ma bisogna andare molto oltre, e rapidamente. Spetta anche a voi, giovani, operare, premere in questo senso : e predisporvi a fare la vostra parte impegnandovi nell'attività politica. C'è bisogno di nuove leve e di nuovi apporti. Non fatevi condizionare da quel che si è sedimentato in meno di due decenni : chiusure, arroccamenti, faziosità, obbiettivi di potere, e anche personalismi dilaganti in seno ad ogni parte. Portate nell'impegno politico le vostre motivazioni spirituali, morali, sociali, il vostro senso del bene comune, il vostro attaccamento ai principi e valori della Costituzione e alle istituzioni repubblicane: apritevi così all'incontro con interlocutori rappresentativi di altre, diverse radici culturali. Portate, nel tempo dell'incertezza, il vostro anelito di certezza. E' per tutto questo che rappresentate, come ha detto nel modo più semplice la professoressa Guarnieri, "una risorsa umana per il nostro paese". Ebbene, fatela valere ancora di più : è il mio augurio e il mio incitamento.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9111


Titolo: GIORGIO NAPOLITANO: non ho offerto nessuno scudo
Inserito da: Admin - Marzo 14, 2013, 03:51:17 pm
Napolitano: non ho offerto nessuno scudo

di GIORGIO NAPOLITANO

Gentile Direttore,
nell'articolo "Un premio ai sediziosi", Massimo Giannini ha dato una versione arbitraria e falsa dell'incontro con una delegazione del Pdl da me tenuto in Quirinale martedì mattina. E' falso che mi siano stati chiesti "provvedimenti punitivi contro la magistratura": nessuna richiesta di impropri interventi nei confronti del potere giudiziario mi è stata rivolta, come era stato subito ben chiarito nel comunicato diramato alle ore 13.00 dalla Presidenza della Repubblica. Comunicato che Giannini ha ritenuto di poter di fatto scorrettamente smentire sulla base di non si sa quale ascolto o resoconto surrettizio. Né la delegazione del Pdl mi ha "annunciato" o prospettato alcun "Aventino della destra". L'incontro mi era stato richiesto dall'on. Alfano la domenica sera nell'annunciarmi l'annullamento della manifestazione al Palazzo di Giustizia di Milano (poi svoltasi la mattina seguente senza preavviso, da me valutata "senza precedenti" per la sua gravità).
L'incontro in Quirinale con i rappresentanti della coalizione cui è andato il favore del 29 per cento degli elettori, era stato confermato dopo mie vibrate reazioni - di cui, del resto, il suo giornale aveva ieri dato conto - espresse direttamente ai principali esponenti del Pdl per la loro presa di posizione.

Quel rammarico, ovvero deplorazione, è stato da me rinnovato, insieme con un richiamo severo a principi, regole e interessi generali del paese che, solo con tendenziosità tale da fare il giuoco di quanti egli intende colpire, Giannini ha potuto presentare come "riconoscimento al Cavaliere di un legittimo impedimento automatico, o di un 'lodo Alfanò provvisorio". Nell'incontro di ieri sera (martedì sera-ndr) con il Comitato di Presidenza del Csm - incontro da me promosso, in segno del mio costante rispetto verso la magistratura e il suo organo di autogoverno (e semplicemente omesso nell'articolo di Giannini) - è risultato ben chiaro che nessuno "scudo" è stato offerto a chi è imputato in procedimenti penali da cui non può sentirsi "esonerato in virtù dell'investitura popolare ricevuta".

Mi auguro che da parte di Giannini, anziché deplorare aggressivamente il Capo dello Stato per non avere manifestato lo "sdegno" e la "forza" che il bravo giornalista avrebbe potuto suggerirgli, ci siano in ogni occasione rigore e zelo nei confronti di tutti i sediziosi, dovunque collocati e comunque manifestatisi.
Cordialmente.

(14 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/14/news/lettera_napolitano-54521583/?ref=HRER3-1


Titolo: L'intervento integrale di Napolitano
Inserito da: Admin - Marzo 30, 2013, 11:17:13 pm
L'intervento integrale di Napolitano

«Gli incontri svoltisi in Quirinale nella giornata di ieri con i rappresentanti delle forze politiche presenti in Parlamento mi hanno permesso di accertare la persistenza di posizioni nettamente diverse rispetto alle possibili soluzioni da dare al problema della formazione del nuovo governo. Ciò è d'altronde risultato chiaro pubblicamente attraverso le dichiarazioni rese al termine da ciascun gruppo. Ritengo di dover ancora una volta sottolineare l'esigenza che da parte di tutti i soggetti politici si esprima piena consapevolezza della gravità e urgenza dei problemi del paese e quindi un accentuato senso di responsabilità al fine di rendere possibile la costituzione di un valido governo in tempi che non si prolunghino insostenibilmente, essendo ormai trascorso un mese dalle elezioni del nuovo Parlamento».

«Non può sfuggire agli italiani e all'opinione internazionale che un elemento di concreta certezza nell'attuale situazione del nostro paese è rappresentato dalla operatività del governo tuttora in carica, benchè dimissionario e peraltro non sfiduciato dal Parlamento : esso ha annunciato e sta per adottare provvedimenti urgenti per l'economia, d'intesa con le istituzioni europee e con l'essenziale contributo del nuovo Parlamento attraverso i lavori della Commissione speciale presieduta dall'on. Giorgetti».

«Nella prospettiva ormai ravvicinata dell'elezione del nuovo Capo dello Stato - che mi auguro veda un'ampia intesa tra le forze politiche - sono giunto alla conclusione che, pur essendo ormai assai limitate le mie possibilità di ulteriore iniziativa sul tema della formazione del governo, posso fino all'ultimo giorno concorrere almeno a creare condizioni più favorevoli allo scopo di sbloccare una situazione politica irrigidita tra posizioni inconciliabili. Mi accingo a chiedere a due gruppi ristretti di personalità tra loro diverse per collocazione e per competenze di formulare - su essenziali temi di carattere istituzionale e di carattere economico-sociale ed europeo - precise proposte programmatiche che possano divenire in varie forme oggetto di condivisione da parte delle forze politiche. Ciò potrà costituire comunque materiale utile : voglio dire anche per i compiti che spetteranno al nuovo Presidente della Repubblica nella pienezza dei suoi poteri».

«Continuo dunque a esercitare fino all'ultimo giorno il mio mandato, come il senso dell'interesse nazionale mi suggerisce : non nascondendo al paese le difficoltà che sto ancora incontrando e ribadendo operosamente la mia fiducia nella possibilità di responsabile superamento del momento cruciale che l'Italia attraversa»

30 marzo 2013 | 14:30

da - http://www.corriere.it/politica/13_marzo_30/napolitano-esperti-testo-integrale_f75ff94e-993d-11e2-be8a-88dcfd04ece6.shtml


Titolo: Napolitano dixit, le parole di un settennato: tutti i moniti di Re Giorgio
Inserito da: Admin - Aprile 18, 2013, 06:11:36 pm
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Napolitano dixit, le parole di un settennato: tutti i moniti di Re Giorgio

Da Botteghe oscure al Colle, dal comunismo alla Nato. Berlusconi, la giustizia, i diritti civili, la magistratura, le missioni di pace, le grazie.

Ecco tutti i temi dell'ultimo presidente della Repubblica attraverso le sue esternazioni

di Thomas Mackinson | 18 aprile 2013


Per tutti è stato un presidente politico. Anzi, il più politico. Per molti resterà l’uomo della Provvidenza, il Capo dello Stato che, con imparzialità e coraggio, ha retto le sorti della Repubblica nel generale discredito delle istituzioni e della politica. Per i critici, invece, è andato oltre i limiti e le prerogative del suo ruolo. E lo ha fatto per garantire gli interessi della partitocrazia. Nella confusione delle celebrazioni e delle (poche) polemiche, una voce più autorevole di altre può raccontare la biografia politica di Giorgio Napolitano senza inzupparla nella retorica: la sua. Seguendola, fatalmente, si finisce per trovare anche le macerie che lascia sul Colle: le leggi ad personam firmate sebbene fossero palesemente incostituzionali e poi bocciate dalla Consulta, le missioni internazionali di pace armata, figuracce planetarie alla Marò, il rapporto ad alta tensione con la magistratura, le ceneri della tecnocrazia fallita del rigore che ha appeso l’Italia al chiodo del direttorio europeo, i moniti rimasti sempre inascoltati. Sul finire, il mezzo incarico a Bersani e l’alchimia istituzionale dei “saggi a termine”: 10 personalità tra cui spiccano quattro garanti dei partiti e dinosauri dell’italica burocrazia nominati perché in quota. Non un outsider della politica, non un under 40 e neppure una donna. Sono stati loro l’ultima scialuppa per traghettare Pd e Pdl verso un accordo e il suo stesso artefice alla scadenza naturale dell’incarico. Non prima, però, d’aver dato chiare indicazioni ai sudditi sul suo successore, un’altra figura di garanzia che possa traghettare il Paese verso la Terza Repubblica con un nuovo, storico, compromesso tra partiti. Re Giorgio, titolò il New York Times. Ecco moniti e proclami che hanno scandito il suo regale settennato, dall’esordio all’ultimo giorno.

2006-2008 – Da Botteghe Oscure al Colle. Napolitano e le convergenze a destra
Lo aveva chiarito subito, “sarò super partes”. Che per Giorgio Napolitano, primo capo dello Stato ex Pci eletto coi voti della sola Unione, significa “operare all’insegna delle più ampie convergenze” (discorso d’insediamento del 10/5/2006). Dieci giorni dopo, nella sua Napoli, è ancora più esplicito con un invito al futuro governo a “non distruggere gli atti di quello precedente” e “avviare un dialogo col centro destra sulla giustizia”. Si spinge oltre: il mondo politico si scontra da settimane sulle intercettazioni della Procura di Potenza, Napolitano è sul Colle da due settimane e si dichiara “non contrario a un decreto” (20/6/2006) auspicando un “Intervento equilibrato del governo per tutelare diritto all’informazione e tutela della privacy”. La polemica corre sul filo anche per la vicenda delle intercettazioni illegali Telecom. Napolitano firma senza batter ciglio (“Non ho nulla da dire”, 15/9/2006) il decreto Mastella che ne dispone la distruzione. La Consulta, tre anni più tardi, dichiara parzialmente illegittima la formulazione che era stata approvata con voto bipartisan e firma del Capo dello Stato. La vicenda intercettazioni, come si sa, lo avrebbe investito personalmente qualche anno dopo.

Nei due anni di coabitazione con il governo di centro sinistra Napolitano è impegnato a dimostrare in tutti i modi la sua imparzialità, assumendo prese di posizione che finiscono per lacerare la risicata maggioranza di Romano Prodi. Uno dei temi spinosi è l’immigrazione. Napolitano assume posizioni incompatibili con l’ala radicale della sinistra. Una distanza che era già stata suggellata dalla legge Turco-Napolitano che ha istituito i Cpt, strutture bocciate anche in sede europea per violazione dei diritti umani, che Napolitano continuerà a difendere (“Non sono dei lager”). Così non è difficile scovare esternazioni che provocano il maldipancia a sinistra e incassano il plauso a destra: “Chi viene in Italia riconosca le nostre regole” (5 sett. 2006). Anche su temi etici e diritti civili Napolitano darà del filo da torcere alla maggioranza che lo ha eletto. Nei dibattiti più delicati il capo dello Stato si erge a garante delle posizioni della Chiesa e del centro destra. Sul testamento biologico, ad esempio, richiama la maggioranza a “scelte non partigiane su etica e famiglia” (20/11/2006), “Trovare regole condivise con la Chiesa” (24/11/2006).

Quando la maggioranza cambia e Berlusconi diventa premier esplode forse uno dei casi di coscienza più drammatici e dibattuti anche in sede politica, quello di Eluana Englaro. C’è un’Italia mossa a pietà umana che sta con il padre e chiede che i riflettori e le macchine per l’alimentazione forzata si spengano e un’altra che si accanisce per tenerli accesi. Napolitano in quella occasione farà muro alla smania del centro destra di cavalcare il caso facendo sapere però per tempo, con una lettera al governo, che non firmerà un decreto ai suoi occhi palesemente incostituzionale. Ma darà così tempo all’esecutivo di riorganizzarsi presentando notte-tempo un disegno di legge identico al decreto. Napolitano la sera stessa ne autorizza la presentazione alle Camere.

Tra i momenti qualificanti di questa stagione anche l’indulto di Mastella. Napolitano non si stancherà mai di denunciare il sovraffollamento delle carceri e le deprivazioni che comporta. Il ministro di Ceppaloni, sensibile al tema, predispone un provvedimento generoso. Votato da tutti (tranne che da Idv, Lega e Pdci), il provvedimento liberò 30mila carcerati ed evitò che altrettanti finissero dentro, costringendo i magistrati a fare indagini e processi costosissimi per erogare pene meramente virtuali. Salvo poi scoprire sei mesi dopo che le carceri erano più piene di prima. Ma c’è un altro fronte su cui Giorgio Napolitano scarica il peso della propria biografia politica e personale sulla coalizione che lo ha eletto. Il fronte di guerra.

L’elmetto presidenziale porta l’Italia in guerra
Venticinque missioni, 6.500 militari schierati nelle aree del conflitto e della tensione internazionale. C’è anche questa eredità per il nuovo inquilino del Colle. Durante il suo mandato Napolitano esercita un’influenza enorme sulla politica estera dell’Italia, spingendola – suo malgrado – in prima fila fra le missioni di “pace armata”, compresi Iraq, Afghanistan, Libia e Libano. Un interventismo che deriva anche da una biografia politica e personale che vede Napolitano evolvere dalla stretta osservanza del blocco comunista (che lo portò ad applaudire all’intervento sovietico in Ungheria) fino al socialismo europeo. In anni recenti sono emersi i tentativi di Napolitano di accreditarsi presso gli Usa. Più volte i suoi visti saranno rifiutati, in occasione della visita di Ted Kennedy a Roma (1976) l’incontro venne accuratamente evitato. Finalmente nel 1978, complice un aiuto di Giulio Andreotti, Napolitano corona il sogno di essere il primo dirigente del Pci a mettere piede negli Usa. Da questa evoluzione politica e personale discendono le posizioni assunte dal capo dello Stato nel contesto internazionale che vede l’Italia, spesso suo malgrado, impegnata nelle zone di conflitto sotto le insegne dell’Onu e della Nato. Con non pochi contraccolpi interni. Già dieci anni fa, da alto dirigente dei Ds, zittì la sinistra che protestava contro la guerra in Iraq (“No alla guerra è pura propaganda, reagire all’antiamericanismo”, 2003).

Una volta eletto esercita la sua influenza, quasi un uomo d’ordine degli Usa nel blocco occidentale (lo confermerà anni dopo un cablo di Wikileaks alla vigilia del G8 dell’Aquila tra l’ambasciata a Roma e l’amministrazione Obama “Ambasciatore, Napolitano punto di riferimento per Usa”). Non si contano i moniti ad approvare e finanziare le missioni nei teatri del conflitto (“Chi sfida l’Onu desista”, “No a ritiri unilaterali”). Anche i tributi di sangue non gli fanno cambiare idea. Quando sei militari muoiono a Kabul (17/9/2009) dichiara il lutto nazionale, ma il giorno dopo chiude la porta ad ogni ipotesi di ritiro che si leva a sinistra (“Nulla da rivedere in missione”, 18/9/2009). E quando l’ala pacifista della sinistra decide di manifestare contro la missione, Napolitano congeda l’iniziativa in modo sprezzante: “Una becera e indegna manifestazione che non conta” (28/9/2009). Sulla Libia è Bossi a rivelare “Berlusconi non voleva la guerra, Napolitano sì” (Monza, 29/7/2011). Deve aver cambiato idea il capo dello Stato. Nei due anni prima aveva accolto più volte il leader libico col picchetto d’onore (“Gheddafi, utile conoscere la sua visione”, 6/10/2009). Qualcuno, poi, lo convince che non si possa starne fuori (“Libia, non possiamo sottrarci”, 21/3/2011). E si dichiara stupito, poi, quando la Germania si sottrae (“Non capisco scelta della Merkel”, 30/3/2011). Altra patata bollente il caso dei due Marò, accusati dell’omicidio di due pescatori, ricevuti in pompa magna al Quirinale come eroi nazionali (“Ingiustamente trattenuti”, 8/6/2012) e rispediti in India dopo una pazza gestione, culminata con le dimissioni del titolare della Farnesina. Il settennato a stelle e strisce si chiude con l’inchino della grazia al colonnello Joseph Romano, condannato a 7 anni per il rapimento di Abu Omar.

2008-2011 – Re Giorgio alla corte del Cavaliere
“Bisogna garantire al Cavaliere la partecipazione politica”, così l’Ansa sintetizza nel titolo il senso del Quirinale per Silvio Berlusconi. L’ultimo favore, forse, è stato fare spallucce sulla questione dell’ineleggibilità, in barba alla legge (Sturzo, 1957) e alle 200mila firme raccolte da Micromega. Col centrodestra al governo Napolitano si impegna al massimo per dimostrare di aver rotto i ponti col passato comunista e concede a Silvio Berlusconi quanto neppure un cattolico di centrodestra come Scalfaro gli aveva mai dato. Restano le leggi vergogna, il legittimo impedimento e i tanti interventi per tenere in sella un Cavaliere ormai disarcionato che la parte più intransigente dell’opinione pubblica antiberlusconiana non gli perdona. Emblematiche alcune risposte date fuori dall’etichetta, a bordo strada, a chi non capiva tanta accondiscendenza. “Non firmare? Non significa nulla, me lo ripresentano” (3/10/2009) risponde a chi lo supplica di non promulgare lo scudo fiscale di Tremonti che garantisce anonimato e di conseguenza impunibilità a mafiosi ed evasori. “Stop a processo breve? Faccio quello che posso”, risponde a una madre di una delle 32 vittime della strage di Viareggio del 2009. Si ricordano anche la finanziaria che raddoppia l’Iva a Sky, i pacchetti sicurezza Maroni con norme xenofobe, il decreto salve-liste del Pdl con tanto di viatico per Berlusconi: “Non era sostenibile l’esclusione del Pdl” (6/3/2010). Un mese dopo promulga il legittimo impedimento (legge 51 del 7/4/2010) che consente al solo presidente del Consiglio e ai suoi ministri di non comparire in aula per 18 mesi e far slittare i processi a carico verso la prescrizione. Napolitano firma nonostante fosse palesemente incostituzionale, come aveva già sancito la Consulta con due sentenze (nel 2001 sugli impedimenti accampati da Cesare Previti, nel 2008 bocciando il lodo Alfano). E sostiene davanti alle persone per bene che “non poteva fare altrimenti”.

Eppure per altri provvedimenti, non incostituzionali ma che semplicemente non condivide, Napolitano si rifiuta di firmare: è successo con il ddl sul welfare che estende l’arbitrato ai rapporti di lavoro. L’impedimento non solo è legittimato da Napolitano ma è anche accompagnato da un monito a distanza di 20 giorni che toglie ogni dubbio sulla propensione a mettere sullo stesso piano politici aggressori e pm aggrediti: l’invito per i magistrati è a “non cedere a esposizioni dei media” e “fare autocritica” (27/4/2010). Ma saranno proprio dei giudici, quelli della Corte Costituzionale, a decretare la breve vita del provvedimento dichiarandone illegittima una parte (l’altra sarà cancellata dai cittadini con il referendum del giugno successivo).

Le concessioni a Berlusconi vanno oltre gli atti formali. Poco o per nulla incline a stigmatizzare concentrazione di potere e pretese di impunità del re del conflitto di interessi, Napolitano si cimenta al contrario in inaspettati salvataggi del Cavaliere proprio mentre sta finendo disarcionato. Clamoroso quello del novembre 2010, quando la pattuglia di Fini sfoltisce le file della maggioranza. Il capo dello Stato si adopera direttamente per evitare la chiusura anticipata della legislatura (“Cercherò di evitare lo scioglimento della camere”, 23/12/2010) e consente a Berlusconi di reclutare i deputati che gli servono (“Da Berlusconi ipotesi di rafforzamento governo”,  16/3/2011). Due anni il rafforzamento del Cavaliere è materia per i magistrati. Anche quando il governo viene bocciato sul rendiconto generale dello Stato Napolitano si precipita a chiarire che “Non c’è obbligo giuridico di dimissioni” (14/10/2011). Quando poi è lo spread a chiedere di staccare la spina, Napolitano dal Colle si mobilita (“Mio dovere intervenire per evitare ora le urne”,  31/12/2011). E evita a Berlusconi un voto che lo avrebbe seppellito definitivamente, rendendo possibile quello che solo un anno prima non lo era, lo scivolo dei tecnici. Nel 2010 Napolitano lo aveva escluso tassativamente (“Non esistono governi tecnici”, 14/12/2010). Un anno dopo cambia idea e dal cilindro presidenziale tira fuori Monti, previa nomina a senatore a vita.

2011-2013 – Il montismo e l’ipoteca sul successore
I partiti affondano negli scandali, inizia la dittatura dello spread che accredita l’emergenza dei conti e il rischio Grecia (“Non possiamo giocare con fallimento”, 15/11/2011). Il governo è ormai murato sullo sfondo, Berlusconi è screditato anche aldilà delle Alpi. Napolitano allora prende in mano il pallino e si accredita personalmente presso il direttorio europeo come garante della stabilità e dei conti. La ricreazione è finita, l’Italia rischia di mandare in tilt la zona Euro. L’ex dirigente comunista è al centro della scena politica mondiale, l’uomo della Provvidenza (Re Giorgio, titola il New York Times). Forte dell’acquiescenza dei partiti, del pressing dei mercati e delle direttive dell’Europa decide di lanciarsi nell’alchimia istituzionale di un governo tecnico. L’unica che consente di non staccare la spina a Berlusconi (che intanto si ricarica per successive imprese) ed evitare il voto a Bersani. Lo spiegherà lo stesso Napolitano di lì a poco (“Non c’era spazio per crisi parlamentare”,   22/12/2012). Dal cilindro presidenziale – con il consenso della parte prevalente della stampa – esce dunque il governo Monti che in 15 mesi porta il Paese dove è oggi, dopo averlo appeso al chiodo della Bce e del Fondo Monetario. Le parole d’ordine sono tagli e rigore, pareggio in bilancio nella Costituzione, fiscal compact e programmi decennali di contenimento del debito sovrano. Ma la cura non sembra funzionare: il debito pubblico aumenta, il contenimento della spesa alimenta la crisi e la disoccupazione, gli stessi impegni assunti con l’Europa si rivelano condizione per l’impoverimento degli italiani. Il tutto per effetto di decisioni di un governo che non è espressione della volontà popolare. Napolitano capisce come cambia il vento e lancia precisi (e inascoltati) moniti: “No tagli alla cieca, impatto su crescita”(31/1/2012), “Spending review ma no tagli indiscriminati” (1/5/2012).

Dietro al duo Monti-Fornero si accumulano però macerie del rigore cui Napolitano – dalla sua posizione di demiurgo e tutore del governo – poco può concedere (“Esodati, tema da chiarire”, 1/5/2012). Mentre i tecnici si fanno sempre più impopolari anche lo spread (il differenziale tra i tassi, termometro della febbre italiana) smentisce la bontà della scelta tecnica. Napolitano lo registra, malcelando un imbarazzo crescente (“Spread inspiegabile, con Monti fiducia cresce”, 5/9/2012). Impossibile per lui fare retromarcia (“Crisi, Italia farà sua parte”, 8/9/2012) e ammettere il fallimento (“Nessuna contraddizione tra austerità e crescita”). Alla fine è Berlusconi a staccare la spina mentre il capo del governo in provetta è folgorato da proprie ambizioni che al Colle causano più di un imbarazzo.

Le urne sanciscono lo stallo e l’irruzione sulla scena politica nazionale del M5S che Napolitano ha ignorato (“Boom? Ricordo solo quello degli anni Settanta”, 8/5/2012) e poi relegato tra le forze eversive e demagogiche (ancora pochi giorni fa, nel riferimento – senza nomi e cognomi ma univocamente interpretato – ai “Moralizzatori fanatici e distruttivi”). Del resto Napolitano non ha mai amato le battaglie dell’antipolitica contro la casta. E infatti i suoi moniti saranno per chi la denuncia, non contro chi la alimenta (“attenti a imprecare contro la casta, dietro c’è il buio di regimi totalitari”, Palermo 8/9/2011). E lo stesso metro ha usato in casa. Il Quirinale, al di là di pochi tagli che sono stati poi riduzioni di personale comandato da altre amministrazioni, è continuato a costare 624mila euro al giorno, 23mila l’ora (in un anno 240 milioni di euro, la Casa Bianca ne costa 136,5, l’Eliseo 112,5 e Buckingham Palace 57). Impossibile fare di più, così Napolitano decide di dare un segnale di persona: il 7 luglio dell’anno scorso una nota del Colle informa della sua rinuncia all’aumento di stipendio su base Istat. Si scoprirà poi che il risparmio era di 68 euro al mese, una rinuncia dal forte valore simbolico.

Sono gli ultimi flash di una presidenza della Repubblica che sembra una monarchia e si chiude invece nel segno dell’impotenza, con un incarico a Bersani fallito (ma non revocato), e l’espediente dei “saggi” a termine, scialuppa per traghettare Pd e Pdl verso un accordo e il suo stesso artefice alla scandenza naturale dell’incarico. Una polemica, tra le altre, ha investito le figure scelte da Napolitano per prender tempo: il numero di donne pari a zero. Quando è stato fatto notare il presidente non ha battuto ciglio, polemica stucchevole. E chi la persegue è in malafede. Proprio un anno fa, del resto, lo stesso Napolitano aveva lamentato davanti ai ragazzi delle scuole di Firenze che “a vedere le percentuali di donne elette in Parlamento in Italia cadono le braccia” (12/5/2011). Quelle tra i saggi sono ancora meno, zero. Il settennato si chiude e Napolitano esce di scena. Non prima d’aver dato ai partiti chiare indicazioni sul suo successore, un presidente che continui il lavoro di tutore dei partiti all’insegna del compromesso, in attesa che il vento dell’ “antipolitica” smetta di soffiare così forte. Re Giorgio, fino alla fine.

Magistratura-Colle. Le entrate a gamba tesa
Un fulmine a ciel sereno, di più, uno schiaffo. Il capo dello Stato, che presiede anche l’organo di autogoverno della magistratura, che interferisce con le indagini sulla trattativa Stato-Mafia, il nodo cruciale di tutta la storia repubblicana. Quando la vicenda investe direttamente il Colle, Napolitano, almeno a parole, si tiene alla larga (per poi sollevare il conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo). In realtà già quattro anni prima, nel dicembre 2008, ci fu un suo intervento a gamba tesa con la richiesta alla Procura di Salerno di acquisire gli atti delle indagini che Luigi De Magistris conduceva sul numero due del Csm, Nicola Mancino. Due settimane dopo, quando la polemica esplode sui giornali, Napolitano sceglie la cerimonia di scambio d’auguri con le più alte cariche dello Stato per invocare un guinzaglio ai pm scomodi: “Si pongono con urgenza problemi di equilibrio istituzionale nei rapporti tra politica e magistratura ed esigenze di misure di riforma volte a scongiurare eccessi di discrezionalità, rischi di arbitrio e conflitti interni alla magistratura nell’esercizio della funzione giudiziaria, a cominciare dalla funzione inquirente e requirente” (17/12/2008).

Ma a ben vedere sono innumerevoli i richiami, i moniti, le ruvide prese di posizione verso i magistrati impegnati nelle inchieste su potenti e politici, Berlusconi in primis. Ai tirocinanti ricevuti al Quirinale nel 2008 – presenti il ministro Alfano e il vice del Csm Mancino – Napolitano raccomanda di “non cedere al protagonismo dei media” (12/5/2008). Due mesi dopo nel pacchetto sicurezza di Pdl-Lega spunta un emendamento salva-processi cui manca solo il nome del beneficiario. Il Csm esprime forti perplessità ma ci penserà una lettera di Napolitano a rimettere in riga i consiglieri (“Giustizia, Csm non è giudice costituzionale”,  1/7/2008). E Alfano ringrazia Napolitano perché “riporta il Csm nell’alveo”. Venti giorni dopo un altro monito (“No a spettacolarizzazione dei processi”, 21/7/2008). Ancora due giorni e Napolitano promulga il cosiddetto Lodo Alfano, poi dichiarato incostituzionale. Cinque giorni dopo la firma rincara la dose, offrendo stavolta una sponda al centrodestra sulle intercettazioni (“No all’uso voyeristico”, 28/7/2008). E via con “l’altamente dannoso protagonismo dei pm” e successivi richiami perché “la Magistratura si attenga alle sue funzioni” (27/8/2009).

Quando si tratta però di difendere i magistrati dalla accuse di Berlusconi, Napolitano non inverte il canone, ma continua a richiamare loro. Sul tavolo del Csm a un certo punto si materializzano quattro pratiche che riguardano gli attacchi del premier ad altrettanti magistrati impegnati nei suoi processi.  Napolitano manda una lettera, non per esprimere loro solidarietà ma per invitare l’assemblea a “discutere in modo equilibrato (…) e di fare un uso responsabile e prudente dell’istituto delle pratiche a tutela dei magistrati (…) il cui uso si giustifica solo quando è indispensabile garantire la credibilità dell’istituzione giudiziaria nel suo complesso da attacchi cosi denigratori da mettere in dubbio l’imparziale esercizio della funzione giudiziaria e da far ritenere la sua soggezione a gravi condizionamenti” (Lettera Csm, 9/10/2009). A fronte di tanti moniti pesano infine tanti atti mancati, silenzi ingombranti. Uno per tutti, la condanna a metà dell’irruzione del Pdl al Tribunale di Milano. Restano invece quelle grazie concesse al di là delle prerogative del Capo dello Stato.

Quella grazia che sfida senso comune e costituzione
Signori si grazia. Per 21 volte Giorgio Napolitano ha fatto ricorso ai propri poteri per concedere altrettanti provvedimenti di clemenza individuale. Non tanti, a dire il vero, i predecessori furono più “generosi” (Scalfaro 339, Ciampi 114). Ma più che i numeri a far discutere sono stati i soggetti beneficiari di una indulgenza che segue esattamente i binari sui quali Napolitano fa scorrere buona parte del suo settennato: quello a destra e quello che corre verso l’Atlantico. Il primo caso che ha fatto discutere ruota intorno al direttore de Il Giornale, quotidiano della famiglia Berlusconi, Alessandro Sallusti. Non di grazia si tratta ma di commutazione della pena, si è subito precisato. Ma il risultato è lo stesso: il capo dello Stato di fatto annulla la sentenza di condanna, definitiva, emessa da un giudice a 14 mesi di reclusione per il reato di diffamazione. Solo un disturbo il fatto che nel giorno della grazia la procura di Milano avesse dato parere contrario alla medesima richiesta avanzata da Ignazio La Russa insieme a 328 parlamentari (primo firmatario il segretario del Pdl Angelino Alfano). Sallusti potrà tornare in libertà versando una penale di 15.532 euro. Altrettanto clamorosa la grazia concessa da Napolitano al colonnello Usa Joseph Romano (condannato nel settembre scorso dalla Cassazione a 7 anni per il sequestro Abu Omar).

In occasione di quest’ultimo provvedimento è emersa una questione rimasta a lungo defilata, ovvero se gli atti di clemenza del Capo dello Stato siano conformi alla Costituzione oppure no e quali limiti e prerogative debbano seguire. Risalendo nelle cronache politiche il tema era divenuto oggetto di scontro proprio qualche settimana prima che Napolitano ereditasse il Quirinale da Ciampi. Un anno prima del passaggio di testimone, l’ex capo dello Stato aveva inoltrato al guardasigilli Roberto Castelli la pratica per la grazia a Ovidio Bompressi, ex di Lotta continua condannato a 22 anni con Adriano Sofri per l’omicidio Calabresi. Di fronte al rifiuto di Castelli Ciampi sollevò il conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale per dirimere un punto controverso: a chi spetta il potere di grazia? Quando e come deve essere esercitato? A rispondere fu una sentenza del 3 maggio 2006 che chiarisce come la grazia presidenziale sia attribuibile per motivi “umanitari” ed “eccezionali” essendo una deroga di fatto al principio di uguaglianza. Chiarisce anche che la scelta non può in nessun modo essere “politica” e precisa infine che debba avvenire a debita distanza di tempo dalla sentenza perché non suoni come una sconfessione del lavoro dei giudici. Ecco, nei casi di Sallusti e di Joseph Romano, la clemenza di Napolitano sembra discostarsi da quei paletti e infrangerli. Ma nella grazia, a volte, quello che conta è chi ringrazia.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/18/napolitano-parole-di-settennato-tutti-moniti-di-re-giorgio/565725/


Titolo: Napolitano: "Basta bandiere ora serve fare le riforme"
Inserito da: Admin - Giugno 11, 2013, 11:34:31 am
Napolitano: "Basta bandiere ora serve fare le riforme"

A Repubblica delle Idee il colloquio del Capo dello Stato con Eugenio Scalfari. "Volevo lasciare, rielezione accettata per senso delle istituzioni".
"Perché aderii al Pci nel dopoguerra, perché Togliatti non si staccò mai dall'Urss".

"Sull'Ungheria ho avuto torto". "Ora non possiamo non dirci liberali"  

a cura di LUCA FRAIOLI


FIRENZE - Standing ovation nel Salone dei Cinquecento, al momento dell'ingresso di Eugenio Scalfari sul palco della Repubblica delle Idee. Il fondatore, e per vent'anni direttore del quotidiano, ha mostrato per la prima volta a Firenze una videointervista a Giorgio Napolitano, realizzata al Quirinale pochi giorni dopo la rielezione. "I vecchi si applaudono", scherza Scalfari. "Non tutti, però", gli fa osservare Claudio Tito, capo del settore politico di Repubblica. "Questi sono applausi meritati".

Parte con una rivelazione il racconto della genesi di questa intervista. "Andai a proporre a Napolitano di essere nostro ospite a Firenze", spiega Scalfari. "Nessuno dei due allora immaginava che lui sarebbe stato di nuovo eletto presidente della Repubblica, poi lo scenario è cambiato ma l'impegno preso è stato mantenuto, seppure a condizione che nell'intervista non si affrontassero temi di stretta attualità. In quella occasione ero anche latore di un messaggio che mi era stato affidato da due alte personalità del Pd, convinte che nessuno potesse prendere il posto di Napolitano e decise a chiedergli di accettare un secondo mandato". I due nomi adesso Scalfari li svela: "Erano Enrico Letta e Walter Veltroni".

...

Come reagì Napolitano alla richiesta? "Mi spiegò le ragioni per cui non riteneva assolutamente di ripresentarsi, anche se la Costituzione non lo vieta. Mi disse che la prassi era favorevole al cambiamento e che sette anni sono un periodo molto lungo, quasi quanto il doppio mandato dei presidenti americani".

Su questo punto Napolitano torna nella parte finale della videointervista, quando racconta perché ha accettato la rielezione. "Abbiamo avuto un momento terribile d' incertezza sulla possibilità di dare un governo all'Italia", dcie il presidente. "E abbiamo assistito a qualcosa a cui non avevamo mai assistito. Io ho vissuto tante elezioni, ricordo i 16 scrutini per Pertini e i 23 per Leone ma mai si era avuto il senso dell'impotenza parlamentare e istituzionale. E allora ho detto di sì, per senso delle istituzioni e perché effettivamente ho ritenuto che si trattasse di salvaguardare la continuità istituzionale. Il che non significa conservare l'esistente", mette in chiaro, "ma trovare un'intesa sul terreno delle regole e delle riforme. A 40 giorni dalla nascita del governo", aggiunge Napolitano, "sento balenare la preoccupazione che questa alleanza possa durare troppo o addirittura per l'eternità e resto stupefatto. E' chiaro che a un certo punto ciascuno riprenderà la sua strada ma le riforme vanno fatte, a cominciare da quella elettorale.

...

"Se ognuno adesso sventola la sua bandiera - continua il presidente - io non sono intenzionato a rivivere l'incubo di quei mesi durante i quali nella commissione Affari costituzionali del Senato si è pestata l'acqua nel mortaio e non si è stati capaci di partorire nessuna riforma elettorale avendo tutti i partiti giurato che bisognava farla".

Scalfari ha fatto partire l'intervista a Napolitano dalla riflessione di una frase da lui pronunciata nel 1995, ad un convegno del Gabinetto Vieusseux, "Perché non possiamo non dirci liberali", in cui parafrasava Benedetto Croce. Da lì parte un lungo racconto in cui il presidente della Repubblica ripercorre la sua intera attività politica, dai tempi delle frequentazioni del Guf all'università di Napoli fino alla sua attività di dirigente del Pci, parlamentare, presidente della Camera e Capo dello Stato. Due volte si commuove Napolitano durante il racconto, la prima ricordando la delusione di Di Vittorio dopo i fatti di Ungheria, la seconda pensando all'amico Enrico Berlinguer. E proprio sull'Ungheria il Capo dello Stato sottolinea: "Ho avuto torto".

Nel dialogo con Tito, Scalfari affronta le questioni della politica di oggi e della durata del consenso che Berlusconi riscuote ancora in una parte dell'elettorato. "In Europa non esiste un venditore del calibro e della capacità di Berlusconi", dice Scalfari. "Aveva detto agli italiani nella tv di Vespa che se non avesse realizzato in pieno i suoi cinque impegni non si sarebbe più ripresentato. Ha preso in giro milioni di persone eppure continuano a votarlo. Questo è un paese singolare, che per una buona parte non ha mai creduto nello Stato, c'è chi non vuole regole e preferisce fare da sé imbrogliando".

Ribadisce anche quale sia l'atteggiamento di Repubblica nei confronti della politica: "Siamo un giornale autoreferente, quando appoggiamo una forza politica è perché quella forza si sta accostando a noi e non viceversa". Scalfari difende la necessità del governo Letta: "Nella strana maggioranza di governo abbiamo un Pd accucciato, frustrato, diviso in correnti e un Pdl che obbedisce al suo proprietario, che talvolta si avvicina ad Alfano ma più spesso alla Santanché. Il tentativo di Letta è far sì che il governo si comporti indipendentemente dalla strana maggioranza, anche se a volte per farlo lascia qualche livido sull'uno o sull'altro dei suoi componenti. Le sentenze dei tribunali non riguardano Letta ma il privato cittadino Berlusconi", aggiunge. "Se poi lo sospendono dai pubblici uffici... mi dispiace", dice tra le risate del pubblico. "Dicono che la politica senza l'etica non può andare ma da Aristotele a Leopardi passando per Machiavelli e Guicciardini la politica è autonoma e ha una sua etica che non è quella delle dieci tavole di Mosè ma è un servizio da rendere al bene comune".

L'ultima domanda è sull'ipotesi del presidenzialismo. "Sono contrario", dice Scalfari senza esitazioni, "e questa è anche la linea del giornale.
Anche Napolitano l'anno scorso disse di non voler imboccare questa strada. Del resto è difficile che uno sopra le parti possa fare propaganda elettorale per se stesso. E poi col sistema attuale abbiamo eletto dei presidenti di primissimo ordine come Pertini, Scalfaro, Ciampi e lo stesso Napolitano. Perché cambiarlo?".

(09 giugno 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/06/09/news/napolitano_basta_bandiere_ora_serve_fare_le_riforme-60734456/


Titolo: Napolitano sondò Monti già nell’estate del 2011 - (E FECE MOLTO BENE!)
Inserito da: Admin - Febbraio 10, 2014, 05:03:30 pm
Rivelazioni

Già nell’estate del 2011 Napolitano sondò Monti come premier
Berlusconi lasciò a novembre

La torrida estate del 2011 è un momento molto importante e storico per l’Italia.
Il capo dello Stato è preoccupato per le sorti del Paese. La crisi della zona euro è in pieno svolgimento. Le conseguenze del salvataggio della Grecia portano la speculazione a puntare sui debiti sovrani dei Paesi in difficoltà: inizia a essere minacciata anche l’Italia. In agosto arriverà la famosa lettera della Banca centrale europea che chiede - ma assomiglia più a un’imposizione – misure drastiche di finanza pubblica. La Germania della Merkel non ama il primo ministro in carica, Silvio Berlusconi. Lo spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi punta pericolosamente verso l’alto. Sui mercati finanziari le operazioni spregiudicate si moltiplicano.

Ma tra giugno e settembre di quella drammatica estate accadono molte cose che finora non sono state rivelate. E questo riguarda soprattutto le conversazioni tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e Mario Monti, che precedono di quattro o cinque mesi la nomina dell’allora presidente della Bocconi a Palazzo Chigi il 13 novembre 2011. Per il grande pubblico Monti è quasi uno sconosciuto all’epoca. L’élite politico-economica lo stima, è un economista, un editorialista del Corriere della Sera, un ex-commissario europeo, e in quel momento guida una delle più prestigiose università italiane.

Per gli annali della storia il presidente Napolitano accetta le dimissioni di Berlusconi il 12 novembre e avvia, come si conviene, le consultazioni con i gruppi parlamentari e politici. Poi, ventiquattro ore dopo, Monti viene indicato come premier al posto di Berlusconi.

Proprio mercoledì scorso, Napolitano, durante un incontro con gli eurodeputati italiani al Parlamento europeo di Strasburgo, e riferendosi ai governi Monti e Letta, ha detto che «sono stati presentati quasi come inventati per capriccio dalla persona del presidente della Repubblica». Questo, ha tenuto a precisare il presidente della Repubblica, non è vero perché non si tratta di nomi diversi da quelli indicati nel corso delle «consultazioni con tutti i gruppi politici e parlamentari, come si conviene». Stando alle parole di Carlo De Benedetti e Romano Prodi, entrambi amici di Monti, e per ammissione dello stesso ex premier, in una serie di video interviste rilasciate per il libro «Ammazziamo il Gattopardo» (in uscita per Rizzoli il 12 febbraio) le cose sono andate diversamente.

De Benedetti dice che in quell’estate del 2011 Monti, in vacanza vicino casa sua a St. Moritz, è andato a chiedergli un consiglio, se accettare o meno la proposta di Napolitano sulla sua disponibilità a sostituire Berlusconi a Palazzo Chigi, in caso fosse stato necessario. Romano Prodi ricorda una lunga conversazione con Monti sullo stesso tema, ben due mesi prima, a giugno 2011. «Il succo della mia posizione è stato molto semplice: “Mario, non puoi fare nulla per diventare presidente del Consiglio, ma se te lo offrono non puoi dire di no. Quindi non ci può essere al mondo una persona più felice di te”».

Durante oltre un’ora di domande e risposte sotto il calore insistente delle luci allestite nel suo ufficio alla Bocconi per la registrazione video dell’intervista, Monti conferma di aver parlato con Prodi (nel suo ufficio alla Bocconi a fine giugno 2011) e con De Benedetti (nella sua casa di St. Moritz nell’agosto 2011) della sua possibile nomina. Ammette anche di aver discusso con Napolitano un documento programmatico per il rilancio dell’economia, preparato per il capo dello Stato dall’allora banchiere Corrado Passera tra l’estate e l’autunno del 2011. E quando chiedo e insisto: <Con rispetto, e per la cronaca, lei non smentisce che, nel giugno-luglio 2011, il presidente della Repubblica le ha fatto capire o le ha chiesto esplicitamente di essere disponibile se fosse stato necessario?», Monti ascolta con la faccia dei momenti solenni, e, con un’espressione contrita, e con la rassegnazione di uno che capisce che è davanti a una domanda che non lascia scampo al non detto, risponde: «Sì, mi ha, mi ha dato segnali in quel senso». Parole che cambiano il segno di quell’estate che per l’Italia si stava facendo sempre più drammatica. E che probabilmente porteranno a riscrivere la storia recente del nostro Paese.

10 febbraio 2014
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Alan Friedman

Da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2014/ammazziamo-il-gattopardo/notizie/gia-nell-estate-2011-napolitano-sondo-monti-come-premier-aef23796-91b0-11e3-a092-3731e90fe7ac.shtml


Titolo: LA LETTERA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA «Monti era una risorsa. Complotto?...
Inserito da: Admin - Febbraio 11, 2014, 05:29:43 pm
LA LETTERA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

«Monti era una risorsa. Complotto? Solo fumo»
L’intervento del presidente Napolitano dopo le rivelazioni di Friedman sui contatti tra il Colle e Monti nell’estate del 2011


Gentile Direttore,
posso comprendere che l’idea di «riscrivere», o di contribuire a riscrivere, «la storia recente del nostro Paese» possa sedurre grandemente un brillante pubblicista come Alan Friedman. Ma mi sembra sia davvero troppo poco per potervi riuscire l’aver raccolto le confidenze di alcune personalità (Carlo De Benedetti, Romano Prodi) sui colloqui avuti dall’uno e dall’altro - nell’estate 2011 - con Mario Monti, ed egualmente l’avere intervistato, chiedendo conferma, lo stesso Monti.

Naturalmente non poteva abbandonarsi ad analoghe confidenze (anche se sollecitate dal signor Friedman), il Presidente della Repubblica, che «deve poter contare sulla riservatezza assoluta» delle sue attività formali ed egualmente di quelle informali, «contatti», «colloqui con le forze politiche» e «con altri soggetti, esponenti della società civile e delle istituzioni» (vedi la sentenza n.1 del 2013 della Corte Costituzionale).

Nessuna difficoltà, certo, a ricordare di aver ricevuto nel mio studio il professor Monti più volte nel corso del 2011, e non solo in estate: conoscendo da molti anni (già prima che nell’autunno 1994 egli fosse nominato Commissario europeo su designazione del governo Berlusconi), e apprezzando in particolare il suo impegno europeistico che seguii da vicino quando fui deputato al Parlamento di Strasburgo. Nel corso del così difficile - per l’Italia e per l’Europa - anno 2011, Monti era inoltre un prezioso punto di riferimento per le sue analisi e i suoi commenti di politica economico-finanziaria sulle colonne del Corriere della Sera. Egli appariva allora - e di certo non solo a me - una risorsa da tener presente e, se necessario, da acquisire al governo del paese.

Ma i veri fatti, i soli della storia reale del paese nel 2011, sono noti e incontrovertibili. Ed essi si riassumono in un sempre più evidente logoramento della maggioranza di governo uscita vincente dalle elezioni del 2008. Basti ricordare innanzitutto la rottura intervenuta tra il Pdl e il suo cofondatore, già leader di Alleanza Nazionale, il successivo distacco dal partito di maggioranza di numerosi parlamentari, il manifestarsi di dissensi e tensioni nel governo (tra il Presidente del Consiglio, il ministro dell’economia ed altri ministri), le dure sollecitazioni critiche delle autorità europee verso il governo Berlusconi che culminarono nell’agosto 2011 nella lettera inviata al governo dal Presidente della Banca Centrale Europea Trichet e dal governatore di Bankitalia Draghi.

L’8 novembre la Camera respinse il rendiconto generale dell’Amministrazione dello Stato, e la sera stessa il Presidente del Consiglio da me ricevuto al Quirinale convenne sulla necessità di rassegnare il suo mandato una volta approvata in Parlamento la legge di stabilità. Fu nelle consultazioni successive a quelle dimissioni annunciate che potei riscontrare una larga convergenza sul conferimento a Mario Monti - da me già nominato, senza alcuna obiezione, senatore a vita - dell’incarico di formare il nuovo governo. Mi scuso per aver assorbito spazio prezioso sul giornale da lei diretto per richiamare quel che tutti dovrebbero ricordare circa i fatti reali che costituiscono la sostanza della sotria di un anno tormentato, mentre le confidenze personali e l’interpretazione che si pretende di darne in termini di «complotto» sono fumo, soltanto fumo.

Con un cordiale saluto.
Giorgio Napolitano
10 febbraio 2014

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_10/monti-era-risorsa-complotto-solo-fumo-ae384d6a-9271-11e3-b1fa-414d85bd308d.shtml


Titolo: Monti sondato da Colle nel 2011, Fi tentata da impeachment.
Inserito da: Admin - Febbraio 11, 2014, 05:51:06 pm
Monti sondato da Colle nel 2011, Fi tentata da impeachment.
Napolitano: "Solo fumo"

Dure reazioni alle anticipazioni di un libro di Alan Friedman, confermate dall'ex premier: "Sì, segnali da capo dello Stato già a giugno, ma dov'è l'anomalia?". Romani e Brunetta: "Siamo sgomenti". E Minzolini rincara: "Potremmo aderire all'iniziativa del M5S". Che oggi ha presentato al Comitato nuovi documenti e denuncia: "Vogliono insabbiare tutto". La difesa del Pd: "Sconcertante gazzarra"


ROMA - Forza Italia contro Napolitano dopo le anticipazioni del Corriere della sera sul libro scritto da Alan Friedman. Nel volume il giornalista americano ricostruisce le modalità con cui si arrivò all'avvicendamento a Palazzo Chigi, nel novembre del 2011, tra Silvio Berlusconi e Mario Monti: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avrebbe contattato il Professore già nel corso dell'estate. Circostanza confermata dallo stesso ex Commissario europeo in un'intervista al Tg1. "In quell'estate ho avuto dal presidente della Repubblica dei segnali: mi aveva fatto capire che che in caso di necessità dovevo essere disponibile. Ma è assurdo che venga considerato anomalo che un presidente della Repubblica si assicuri di capire se ci sia un'alternativa se si dovesse porre un problema", osserva Monti.

Ma il presidente della Repubblica replica: "Fumo, solo fumo", scrive in una lettera inviata al Corriere sulle rivelazioni riguardo all'estate 2011, negando che sia stato un "complotto" come accusa Forza Italia.

Le novità sulla crisi che portò alla fine del governo Berlusconi hanno spinto il senatore Augusto Minzolini a ventilare la possibilità di sostenere la richiesta di messa in stato d'accusa del capo dello Stato presentata nei giorni scorsi dal M5S. "Di fronte a queste nuove rivelazioni andrà valutata sempre con maggiore attenzione - non fosse altro come occasione per ricostruire quei mesi e gettare una luce di verità sulla Storia del nostro Paese -  la procedura di impeachment nei confronti del presidente Napolitano promossa da altri gruppi politici in Parlamento".

Letta difende Quirinale. A difesa del presidente interviene il premier Enrico Letta: "Nei confronti delle funzioni di garanzia che il Quirinale ha svolto nel nostro Paese in questi anni, in particolare nel 2011, è in atto un vergognoso tentativo di mistificazione della realtà", si legge in una nota del presidente del Consiglio. "Il Quirinale, di fronte a una situazione fuori controllo, si attivò con efficacia e tempestività per salvare il paese ed evitare - sottolinea Letta - quel baratro verso il quale lo stavano conducendo le scelte di coloro che in queste ore si scagliano contro il presidente Napolitano". Poi ha aggiunto: "Stupisce la contemporaneità di queste insinuazioni con il tentativo in corso da tempo da parte del M5s di delegittimare il ruolo di garanzia della presidenza della Repubblica. A questi attacchi si deve reagire con fermezza. E si devono semmai ricordare agli smemorati le vere responsabilità della crisi del 2011, i cui danni economici, finanziari e sociali sono ancora una zavorra che mette a repentaglio la possibilità di aggancio della auspicata ripresa economica", ha aggiunto.

M5s all'attacco. Rivelazioni, quelle pubblicate oggi, che il Movimento 5 Stelle interpreta come una conferma della validità della sua campagna contro il Quirinale. "Cosa altro dobbiamo scoprire perché si apra un'indagine? Dobbiamo forse aspettare ulteriori rivelazioni? Non bastano tutti questi dubbi per avallare la nostra richiesta di aprire un indagine?", afferma Vito Crimi, senatore M5S membro del Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa che proprio questa mattina ha ricevuto nuove memorie esplicative e integrative rispetto alla denuncia iniziale.

"Tra ieri e oggi - spiega Luigi Di Maio, deputato 5 Stelle e vicepresidente della Camera - due rivelazioni a mezzo stampa sottolineano le ingerenze di Napolitano negli equilibri di governo (il tentativo di insediare monti a Palazzo Chigi gia a metà 2011) e nelle fasi processuali della trattativa stato-mafia (la richiesta di un provvedimento disciplinare nei confronti di Nino Di Matteo)". "I fatti - aggiunge Di Maio - sono gravissmi, ma il Comitato ha una fretta maledetta di insabbiare tutto entro domani. È Inaccettabile. Dalle notizie apprese oggi può dipendere il futuro del governo e di questa legislatura (se accertate). Il comitato avvii le indagini e lavori senza pregiudizi".

Forza Italia tentata da impeachment. Posizioni solo in parte condivise all'interno del Comitato da Forza Italia. Secondo il senatore Andrea Mandelli, le argomentazioni mosse dai 5 Stelle, quelle che hanno portato alla convocazione del Comitato parlamentare per la messa in stato d'accusa del Capo dello Stato, possono, tutto sommato, lasciare il tempo che trovano. Meglio, invece, sostiene "approfondire" le rivelazioni nelle anticipazioni del libro di Friedman.
 
Tra gli indignati anche i presidenti dei gruppi parlamentari di Fi, Renato Brunetta e Paolo Romani. "Apprendiamo con sgomento - denunciano - che il capo dello Stato, già nel giugno del 2011, si attivò per far cadere il governo Berlusconi e sostituirlo con Mario Monti. Lo conferma lo stesso Monti. Le testimonianze fornite da Alan Friedman non lasciano margine a interpretazioni diverse o minimaliste. Tutto questo non può non destare in noi e in ogni sincero democratico forti dubbi sul modo d'intendere l'altissima funzione di presidente della Repubblica da parte di Giorgio Napolitano".

"Ci domandiamo - proseguono - se sia rispettoso della Costituzione e del voto degli italiani preordinare un governo che stravolgeva il responso delle urne, quando la bufera dello spread doveva ancora abbattersi sul nostro Paese. Chiediamo al capo dello Stato - concludono - di condurre innanzitutto verso i propri comportamenti un'operazione verità. Non nascondiamo amarezza e sconcerto, mentre attendiamo urgenti chiarimenti e convincenti spiegazioni".

Il consueto "Mattinale", la nota politica redatta dallo staff del gruppo Forza Italia della Camera, conclude infine con una domanda: "Presidente Napolitano, osa ripetere ancora che sarebbe stata la consultazione di partiti ad aver fatto uscire il nome Monti? Chiediamo un'operazione verità dalla cattedra più alta". E il senatore e componente del comitato 'impeachment' Lucio Malan fa sapere che "se domani si dovesse arrivare al voto sulla manifesta infondatezza" della richiesta di messa in stato d'accusa del capo dello Stato "noi voteremo no. Questa - aggiunge - sarebbe una grave forzatura. Noi abbiamo chiesto più tempo perché sarebbe oltremodo sospetto chiudere tutto domani".

Pd con Napolitano. A prendere le difese del Quirinale è invece il Pd.  "Sconcertante l'ennesima gazzarra sollevata contro il Presidente Napolitano. Il 2011 è stato uno degli anni più difficili e la situazione economica e politica preoccupava giustamente la massima istituzione dello Stato", ricorda in una nota il capogruppo del Pd alla Camera, Roberto Speranza. "La verità che Forza Italia deve ricordare - sottolinea - è che Berlusconi e Tremonti hanno nascosto per anni la crisi portando il paese sull'orlo del baratro e ancora oggi gli italiani sono costretti a pagare gli errori di quel disastroso governo".

© Riproduzione riservata 10 febbraio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/10/news/reazioni_napolitano_monti-78180198/?ref=HREA-1


Titolo: NAPOLITANO intervistato da Fazio | TESTO INTEGRALE
Inserito da: Admin - Aprile 13, 2014, 11:46:14 pm
Napolitano intervistato da Fazio | TESTO INTEGRALE
13 aprile 2014

Fazio: Buonasera Presidente e grazie per l'onore di questo incontro. Dovrei porgere la prima domanda in modo diretto: a che cosa serve l'Europa?

Presidente: Mi permetta di ringraziarla innanzitutto per l'attenzione e per la trasferta : uno spazio in una trasmissione che ho sempre continuato a seguire è un piacere per me. A che cosa serve l'Europa? È importante dire innanzitutto a che cosa è servita perché talvolta si ha l'impressione che l'Europa per molti rappresenti soltanto la politica di austerità degli ultimi cinque anni. Ma l'Europa è nata sessant'anni fa ed è servita in primo luogo a garantire la pace nel cuore dell'Europa, una pace che era stata brutalmente strappata due volte nel corso del Novecento, e al centro del conflitto, dei due conflitti, c'era stata soprattutto la terribile contrapposizione tra Francia e Germania. Riconciliare Francia e Germania fu il primo capolavoro di coloro che progettarono l'Europa unita.

Fazio: ...e che è stato sintetizzato in qualche modo dall'abbraccio fra Lei e il Presidente Gauck a Sant'Anna di Stazzema.

Presidente: Quella è stata una cosa molto importante. C'era stato già qualche precedente, cioè quello del Presidente tedesco quando gli si è raccontato ciò che è accaduto a Sant'Anna di Stazzema e io gli feci avere la lettera di un superstite. Una cosa molto bella : un superstite della strage, un ragazzino di cinque anni che per miracolo si salvò - tutti i suoi rimasero vittime - e poi per ragioni di lavoro, per necessità, emigrò in Germania. E quando ebbe figli che dovevano scegliere la lingua lui gli fece scegliere il tedesco e scrisse questa lettera al Presidente Gauck - io gliela consegnai - che spiegava: perché a partire da quegli anni mi sono sentito europeo. E il Presidente tedesco è venuto a dire che, dal canto suo, non dimentica quali sono state le responsabilità terribili della Germania nella seconda guerra mondiale.

Fazio : Lei diceva giustamente : "Oggi diamo per scontate delle conquiste che invece sono state lunghe, faticose e dolorose". Se dovesse spiegare che cosa significa sentirsi europei, essere europei, che cosa ci direbbe?

Presidente : Significa innanzitutto avere consapevolezza di una storia e di una cultura comune. La storia dell'Europa ha attraversato anche periodi oscuri, ha presentato lati molto negativi, però c'è un filo, che è quello della grande cultura europea, ed è il filo che in Italia si è richiamato Rinascimento, e non solo. C'è un insieme dunque di valori che hanno rappresentato il tessuto connettivo venuto poi in primo piano anche nella consapevolezza di molti quando si è trasformato in progetto politico : stare insieme all'inizio solo sei paesi europei, quelli dell'Europa occidentale, e poi siamo arrivati a ventotto, poi si è unificato l'intero continente.

Fazio : Nel suo libro non evita nessun argomento anche spinoso, compreso quello che potremmo riassumere nella sensazione di una delusione diffusa nei confronti dell'Europa oggi. Si parla in vari modi addirittura di euroscetticismo. Ci aiuta a trovare le ragioni di questa delusione?

Presidente : Ho cercato in questo libro e in molti interventi che ho fatto da Presidente della Repubblica in questi anni di insistere su due aspetti : primo, la delusione motivata da fatti recenti o relativamente recenti, cioè l'incapacità dell'Unione Europea di dare una risposta soddisfacente alla crisi mondiale che è scoppiata nel 2008, quindi delusione in questo senso anche perché ci si era abituati all'idea che l'Europa significasse star meglio ogni volta rispetto all'anno precedente. Se si pensa ai primi trent'anni della Comunità europea, fino a quando è stata battezzata Unione ed è cambiata col Trattato di Maastricht, è stata una specie di marcia trionfale : ogni anno si cresceva di più, c'era più occupazione e c'erano più diritti. Qualche Paese come la Spagna si trasformò radicalmente, fece uno straordinario balzo in avanti grazie a questa capacità dell'Unione Europea di imprimere nuovo impulso, di esprimere un dinamismo, di trasmettere anche una solidarietà. Quindi per questo c'è delusione, perché invece, di fronte a una crisi di cui non c'erano precedenti nel mondo da molti decenni, l'Unione Europea ha reagito tardi, ha reagito tra molte difficoltà e in modo anche discutibile. L'altro motivo alla base di questa delusione è che l'Unione Europea non è riuscita, le Istituzioni dell'Unione non sono riuscite, a stabilire un rapporto più diretto con i cittadini innanzitutto in termini di informazione, di comunicazione come base di un coinvolgimento, del sentirsi in qualche modo partecipi delle decisioni e delle scelte che venivano fatte. Questo è un grosso tema che è oggi all'ordine

Fazio : Lei pensa che un'elezione a suffragio universale del Presidente o di un Presidente europeo, del Presidente del Consiglio europeo, potrebbe essere significativa per riavvicinare i cittadini europei all'Europa?

Presidente : Penso che questa sia una prospettiva da tenere aperta. Per il momento si fa, proprio ora in queste elezioni, un grosso passo in avanti con la designazione da parte dei partiti europei dei propri candidati al ruolo di Presidente della Commissione europea che sarebbe organo di governo dell'Unione Europea. Tanti anni fa Kissinger diceva : "voglio un numero di telefono per parlare con l'Europa", e si aveva l'impressione che non ce ne fosse nessuno, o meglio che ce ne fossero troppi. Poi si è arrivati, già da alcuni anni, ad avere un Presidente del Consiglio Europeo stabile per due anni e mezzo e che può arrivare fino a cinque anni. Quindi se si vuole un numero c'è, naturalmente sarebbe un numero più capace di rispondere a certe telefonate se fosse quello di un Presidente eletto dai cittadini o anche un Presidente il cui nome scaturisca dai risultati delle elezioni europee.

Fazio: Proprio in questo senso lei ha recentemente incontrato qui il Presidente Obama che riconosce un ruolo unitario all'Europa...

Presidente : Questa è una questione antica. Gli Stati Uniti debbono avere rapporti bilaterali con i Paesi europei e innanzitutto con i maggiori Paesi europei, l'Europa quindi deve apparire loro come - in un'espressione che hanno usato gli americani - una collection of national States, un insieme, una collezione di Stati nazionali e quindi scatta la logica dei rapporti bilaterali, oppure debbono avere un rapporto forte con l'Unione nel suo insieme, con l'Europa unitaria rappresentata dalle istituzioni comuni. Questa è la cosa cui io credo anche gli Stati Uniti tengono molto, sono molto interessati e non dimentichiamo che alle origini ci fu un sostanziale appoggio - parlo di Eisenhower - all'idea dell'Unità Europea. Parlo di Eisenhower che lasciava proprio allora l'Europa dopo essere stato Comandante generale delle Forze alleate in Europa.

Fazio: Visti i suoi rapporti eccellenti con il Presidente Obama mi era venuto in mente che lei in realtà nel 1975 non ottenne il visto per entrare negli Stati Uniti. Kissinger in qualche modo ebbe un ruolo in quella vicenda?

Presidente : Kissinger era Segretario di Stato. Essendo stato invitato da quattro o cinque delle maggiori università americane, presentai la domanda per avere il visto. Occorreva un nulla osta waiver del Segretario di Stato americano se il richiedente era un comunista o un fascista. Io ero il primo caso, ovviamente, e Kissinger non volle prendere in considerazione la concessione del visto. Lui era stato direttore del Centro di Studi europei di Harvard e c'era in quel momento il suo successore professor Stanley Hoffman che era uno dei firmatari dell'invito rivolto a me, e in effetti Kissinger gli fece sapere che era meglio che ritirasse l'invito. Hoffman non lo fece ma il visto non arrivò. I tempi sono molto cambiati. Con Kissinger poi abbiamo avuto uno straordinario recupero di rapporti amichevoli.

Fazio : Che cosa provoca in lei la frase : "ce lo chiede l'Europa" ?

Presidente : "Ce lo chiede l'Europa" non è una cattiva parola però suscita molti equivoci nel senso del significato più nobile o nell'uso più nobile che ne è stato fatto. Fu adoperata anche da uomini di governo italiani europeisti i quali ritenevano che per sbloccare certe situazioni in Italia, per determinare cambiamenti che erano necessari ma che tardavano a venire, occorresse una sollecitazione, una richiesta, una frusta dell'Europa.

Fazio : Tornando all'euroscetticismo, lei nel libro evoca la necessità di una controffensiva europeista. Nel caso di elezioni che vedessero protagonisti in percentuali sensibili i partiti euroscettici che cosa comporterebbe per l'Europa? Lei pensa che sarebbe messa in crisi l'idea d'Europa così com'è? In seconda battuta vorrei chiederle: questa controffensiva europeista da che cosa deve partire?

Presidente : La controffensiva europeista deve partire dalla forte valorizzazione di quello che si è costruito in Europa in questi sessant'anni. Non solo c'è stata la Comunità europea intesa come comunità economica, non solo c'è stato il Mercato Comune, non solo ci sono state tante relazioni di carattere economico-sociale, ma si è costruito un diritto comune ed è una cosa straordinaria perché avere un diritto comune e ventotto Paesi oggi membri dell'Unione Europea è qualcosa, nella sua latitudine, che ricorda il diritto romano. Siamo una comunità che può avere un ruolo internazionale molto serio e quindi si cerca di darci una politica estera comune, se andasse avanti il processo sarebbe un progresso straordinario. Il timore è che se si avessero forti rappresentanze euroscettiche nel Parlamento diventerebbe più faticoso il cammino. Io non credo ad un'Europa che torni indietro, anche con tutti coloro che arrivassero da euroscettici al Parlamento europeo ; forse qualcuno sarebbe anche conquistato da una conoscenza diretta, da una partecipazione diretta, poi ormai quello che si è costruito nei rapporti tra le società, tra le economie, tra le culture e anche tra i sistemi giuridici non può essere distrutto nemmeno da parte di chi lo voglia accanitamente.

Fazio : Lei diceva che uno dei valori fondamentali dell'Europa è il diritto e forse anche la democrazia, l'idea di democrazia così come la conosciamo oggi. Al tempo stesso, nel mondo di oggi la democrazia richiede tempi lenti, per l'appunto, per la sua attuazione, per modo di procedere. In un mondo invece così veloce e interconnesso la democrazia a volte rischia di apparire come un rallentamento, come un ostacolo e quindi c'è il pericolo che i diritti acquisiti, per esempio quello dello Stato sociale, siano a rischio?

Presidente : Senza dubbio sono esposti a un rischio, ma non tanto per la questione della velocità che si impone nei processi decisionali oggi, quanto per il costo che alcuni sostengono non essere più sostenibile da quando l'Europa si trova alle prese con delle altre formidabili grandi presenze economiche nel mondo molto competitive e alle quali deve riuscire a reagire positivamente. Ma quello che è stato scritto nei nostri trattati, il modello vero e proprio che è stato siglato, quello di una economia sociale di mercato, che significa precisamente combinare dinamismo economico, produttività, competitività dell'economia con diritti sociali, è qualcosa di irrinunciabile per l'Europa.

Fazio : Quando diciamo "valori identitari europei", anche secondo i suoi gusti personali, quali sono le cose con le quali lei si identifica con l'Europa? Lei per esempio è un grande intenditore e un grande appassionato di musica...

Presidente : La musica ha avuto più che mai negli anni dell'Unione Europea dei suoi luoghi in cui ci si è riconosciuti tutti europei : pensiamo che cosa è stato ad esempio Abbado direttore della famosa Orchestra Filarmonica di Berlino per tanti anni, oppure pensiamo all'attuale direttore dell'Orchestra di Santa Cecilia a Roma che è stato direttore del Covent Garden a Londra. È un linguaggio che particolarmente si presta alla universalità, ma alla base c'è una lunga evoluzione anche dei vari generi musicali che ha avuto i suoi punti di riferimento essenziali in Europa. E poi ho constatato in questi anni molto fortemente che cosa sia diventato il mondo europeizzato della ricerca scientifica : ho trovato centinaia di ricercatori italiani al Cern a Ginevra e altrettanti ne ho trovati a L'Aia, al Centro di tecnologie e ricerche spaziali. E non sono italiani più francesi, ecc., sono europei, sono ricercatori europei. Abbiamo d'altronde dei programmi quadro europei per la ricerca, abbiamo un Consiglio europeo della ricerca, c'è un approccio comune, c'è un'interconnessione straordinaria.

Fazio: Oggi in Europa ci sono quasi 20 milioni di disoccupati e lei nel libro dice una cosa molto intensa e molto forte, cioè a differenza della grande depressione, la crisi di oggi la pagano soprattutto i giovani con conseguenze imprevedibili anche rispetto alla percezione proprio dell'Europa...

Presidente : E' assolutamente così, è un problema che non può non essere posto in primissimo piano e dovrebbe essere posto in primissimo piano non soltanto a parole. Abbiamo avuto di recente iniziative interessanti, non risolutive ma interessanti, da parte delle istituzioni europee come la cosiddetta "garanzia per i giovani", cioè un programma per offrire lavoro, per offrire opportunità di lavoro ai giovani quando siano al termine del loro ciclo formativo. Vorrei però anche dire, per esempio, che quando si parla di necessità assoluta di ridurre il debito nostro, il debito pubblico in Italia, non si dice abbastanza che lo si deve fare non perché ce l'ha chiesto l'Europa ma perché è un dovere verso i giovani. Quando diciamo che dobbiamo sbarazzarci di questo fardello pensiamo soprattutto a loro, perché in Italia si è stati bravissimi nel gestire questa montagna di debito pubblico, bravissimi nel regolare le emissioni di titoli pubblici, nel controllare i tassi di interesse, ma ce lo portiamo sempre sulle spalle. Se lei pensa che oggi 80 miliardi di euro in un anno vanno pagati per gli interessi sui titoli del debito possiamo lasciare questo fardello sulle spalle dei giovani? Quindi, non solo ai giovani bisogna aprire delle prospettive di realizzazione e di lavoro, ma bisogna anche garantire che non debbano continuare a pagare per il debito che hanno contratto le generazioni più anziane.

Fazio : Vorrei proporle due ricordi personali : il primo risale al 9 novembre del 1989, quando lei incontrò a Bonn lo storico Cancelliere tedesco Willy Brandt a poche ore dalla caduta del muro di Berlino, che mi sembra un altro atto fondativo dell'Europa così come la conosciamo oggi...

Presidente: Io lo incontrai in quanto Presidente dell'Internazionale Socialista, ci eravamo visti in altre occasioni e in quel momento il Partito Comunista Italiano di cui era stato Segretario fino alla morte, nel 1984, Enrico Berlinguer, lavorava per il massimo di collaborazione con i principali partiti socialisti e socialdemocratici europei, anche con grandi partiti di governo come quello tedesco. Quindi ragionammo per due ore esatte, dalle 14:00 alle 16:00, su come realizzare questo avvicinamento col massimo rispetto reciproco tra Partito Comunista Italiano e Internazionale Socialista, e in quelle due ore non arrivò la minima onda di quello che stava per succedere, non si ebbe nessuna percezione. Naturalmente si parlava dei movimenti che si stavano sviluppando nella Germania dell'Est. Appena però terminai di parlare con Willy Brandt volli salutare il Presidente del Partito Socialdemocratico che si chiamava Vogel, e venne a salutarmi uscendo dall'emiciclo, dall'Aula del Bundestag, del Parlamento. Arrivò eccitatissimo ma non per dirmi : "sta per cadere il muro", ma per dire : "abbiamo notizie di straordinarie manifestazioni nella Germania orientale e di manifestazioni per la libertà", non disse "per l'unità", ma "per la libertà". Io partii poco dopo e forse, mentre ero in treno da Bonn a Colonia per prendere l'aereo, accadde quello che sappiamo. Quindi a me è capitato di dire che in quel colloquio fummo sfiorati dal vento della storia senza rendercene conto.

Fazio : Invece poi nella quotidianità, soprattutto in vista delle elezioni, sembra che gli interessi nazionali siano prevalenti nell'indirizzare le politiche complessive dell'Europa, cioè c'è una sorta di egoismo e una contrapposizione quasi rispetto all'Europa. È superabile o è giocoforza che sia così?

Presidente: Gli interessi elettorali o politico-elettorali dei singoli Paesi hanno sempre pesato molto, troppo, nelle elezioni per il Parlamento europeo. Si è finito per parlare molto più di Italia, di Francia, di Germania che di Europa, sono state quasi delle campagne nazionali. Questa volta no, questa volta non si può sfuggire al tema europeo che sarà al centro, magari sarà al centro perché ci sono più avversari del progetto europeo che cercheranno di guadagnare consensi su quella base e bisognerà che i partiti che credono nel progetto europeo e vogliono rilanciarlo, rimotivarlo, anche cambiarlo, non eludano questi temi dando la priorità alle faccende di casa. Poi il discorso degli interessi più sostanziali dei singoli Stati nazionali è sempre il problema centrale. Si è cercato di fare una comunità che potesse addirittura sfociare in una Federazione europea, si è fatta molta strada, però rimangono i particolarismi, anche la preoccupazione che il proprio Paese tragga meno benefici di un altro dalla politica europea. Vale quello che diceva tantissimi anni fa un principale ispiratore del progetto europeo, Jean Monnet : è chiaro che ci sono interessi che ciascun Paese tende a difendere, ma non si può scivolare sul terreno del mercanteggiamento, bisogna individuare l'interesse comune europeo e poi cercare di far convergere il più possibile, in uno spirito di solidarietà, gli interessi nazionali.

Fazio ...anche perché oggi la popolazione europea è rimasta invariata mentre la popolazione mondiale è enormemente cresciuta, rappresentiamo una piccola parte del mondo, quindi l'unione è necessaria...

Presidente : Ma questo cambiamento è la principale necessità di cambiamento che ci si pone e, nello stesso tempo, è la forte nuova motivazione per un balzo in avanti dell'integrazione europea. Se ci intendiamo meglio e di più avremo un ruolo per quello che abbiamo rappresentato storicamente come Europa e per quello che ancora possiamo dare al mondo nel processo di globalizzazione, altrimenti scivoleremo ai margini, declineremo.

Fazio: Un'ultima considerazione personale : qual è stata la prima volta in cui lei ha visto l'Europa, il suo primo viaggio fuori dall'Italia?

Presidente: Il mio primissimo viaggio fu quando da studente ero impegnato all'Università di Napoli - e lo stesso accadeva in altre università - in un movimento per dar vita all'elezione dei Consigli studenteschi. Si fece poi un Congresso nazionale universitario a Roma nel maggio del '46 che elesse una delegazione italiana al primo Congresso studentesco mondiale, nell'agosto 1946, a Praga. Praga non era oltre la cortina di ferro perché non c'era ancora la guerra fredda e infatti parteciparono tutti, anche gli americani, a quel congresso. Quella fu la mia prima uscita dai confini d'Italia. Poi ce ne fu una seconda qualche anno dopo, perché non è che si viaggiasse tanto spesso : andai nel '49 a Parigi al Congresso mondiale della pace, un grande evento a cui parteciparono molti italiani, uno dei relatori fu Pietro Nenni, e grandi personalità della scienza e della cultura. La scoperta di Parigi fu per me sensazionale, ma anche Praga era una bellissima città.

Fazio: Di quel viaggio a Parigi qual è la prima immagine che si ricorda, la primissima?

Presidente: Forse la prima immagine che mi ricordo fu quando, essendo stato invitato - perché era un po' un happening - un gigante nero, Paul Robeson, cantò "Old man river" di fronte a questa massa di delegati di tutti i paesi del mondo, e fu anche quello un momento di fraternizzazione straordinaria.

Da - Fazio ...anche perché oggi la popolazione europea è rimasta invariata mentre la popolazione mondiale è enormemente cresciuta, rappresentiamo una piccola parte del mondo, quindi l'unione è necessaria...

Presidente : Ma questo cambiamento è la principale necessità di cambiamento che ci si pone e, nello stesso tempo, è la forte nuova motivazione per un balzo in avanti dell'integrazione europea. Se ci intendiamo meglio e di più avremo un ruolo per quello che abbiamo rappresentato storicamente come Europa e per quello che ancora possiamo dare al mondo nel processo di globalizzazione, altrimenti scivoleremo ai margini, declineremo.

Fazio: Un'ultima considerazione personale : qual è stata la prima volta in cui lei ha visto l'Europa, il suo primo viaggio fuori dall'Italia?

Presidente: Il mio primissimo viaggio fu quando da studente ero impegnato all'Università di Napoli - e lo stesso accadeva in altre università - in un movimento per dar vita all'elezione dei Consigli studenteschi. Si fece poi un Congresso nazionale universitario a Roma nel maggio del '46 che elesse una delegazione italiana al primo Congresso studentesco mondiale, nell'agosto 1946, a Praga. Praga non era oltre la cortina di ferro perché non c'era ancora la guerra fredda e infatti parteciparono tutti, anche gli americani, a quel congresso. Quella fu la mia prima uscita dai confini d'Italia. Poi ce ne fu una seconda qualche anno dopo, perché non è che si viaggiasse tanto spesso : andai nel '49 a Parigi al Congresso mondiale della pace, un grande evento a cui parteciparono molti italiani, uno dei relatori fu Pietro Nenni, e grandi personalità della scienza e della cultura. La scoperta di Parigi fu per me sensazionale, ma anche Praga era una bellissima città.

Fazio: Di quel viaggio a Parigi qual è la prima immagine che si ricorda, la primissima?

Presidente: Forse la prima immagine che mi ricordo fu quando, essendo stato invitato - perché era un po' un happening - un gigante nero, Paul Robeson, cantò "Old man river" di fronte a questa massa di delegati di tutti i paesi del mondo, e fu anche quello un momento di fraternizzazione straordinaria.

Da - http://www.unita.it/politica/napolitano-intervistato-da-fazio-testo-integrale-1.563396?page=5


Titolo: Italia-Germania, Napolitano: «Il dissenso non sia mai meschinità»
Inserito da: Admin - Dicembre 13, 2014, 04:34:17 pm
Il confronto

Italia-Germania, Napolitano: «Il dissenso non sia mai meschinità»
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, interviene all’inaugurazione dell’Italian-German High Level Dialogue, a Torino

Di Redazione Online

Italiani e tedeschi devono «reagire senza ulteriore indugio a un pericolo che chiamerei di immeschinimento del clima nel rapporto tra i nostri Paesi». Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo all’inaugurazione dell’Italian-German High Level Dialogue, a Torino. «Le difficoltà ci sono - ha ammesso Napolitano - i dissensi anche, ma occorre superarli attraverso una pubblica discussione che non smarrisca mai il senso del limite e soprattutto il valore dei tanti momenti alti della nostra collaborazione», ha aggiunto. Secondo il capo dello Stato, i buoni rapporti tra Italia e Germania sono fondamentali per la tenuta dell’Europa unita: «Non ci può essere un’Europa senza l’amicizia in pieno rispetto e un dialogo costante tra i nostri due Paesi. Non può esserci un futuro per un’Europa unita nel mondo di oggi e di domani”. Un concetto che commuove Napolitano, a cui la platea riserva un lungo applauso.

Anche le «tensioni nella ricerca di soluzioni condivise» non devono mai scivolare «in definizioni sommarie se non sprezzanti». «Liberiamoci da queste fuorvianti tendenze» e abbandoniamo «la diffidenza reciproca». Questo è il messaggio che il presidente Napolitano ha voluto trasmettere alla Germania, oggi a Torino rappresentata dal presidente federale Joachim Gauck. Il complesso dibattito tra crescita e riequilibrio dei conti «non dovrebbe conoscere polemiche unilaterali e produrre contrapposizioni paralizzanti». Gli obiettivi sono comuni, ricorda il presidente della Repubblica: perché c’è un impegno condiviso in Europa «a sconfiggere la recessione, scongiurare la deflazione, adottare misure idonee a rilanciare la crescita»: ma tutto ciò «senza trascurare la prospettiva del riequilibrio e risanamento delle nostre finanze pubbliche, dei nostri bilanci». E senza dimenticare l’importanza della moneta unica: «È paradossale che allo slancio che ci ha permesso di giungere alla moneta unica - cioè al traguardo finora più avanzato del nostro percorso di integrazione - siano seguiti momenti di massima divaricazione nella Ue», sottolinea il capo dello Stato.

Le cause e le soluzioni
Ma cosa ha deteriorato i rapporti e irrigidito le posizioni, snaturando nel tempo il senso dell’unione? Secondo Napolitano, «la perdita di contatto con il nostro passato che si è venuta da anni via via verificando nelle nostre società va considerata una delle più gravi malattia della nostra epoca. Un morbo contagioso anche per le classi dirigenti, come ci hanno dimostrato questi anni difficili, di crisi economica profonda». Inoltre c’è stata «una complessiva inadeguatezza a padroneggiare le implicazioni della creazione dell’euro e di una politica monetaria sovranazionale, a darvi tutte le proiezioni e gli sviluppi necessari sul piano delle politiche fiscali ed economiche e ad avanzare sul terreno di un’Unione politica». La soluzione? «Uscire da quei limiti fatali - sostiene Napolitano - e sciogliere in questa ottica i nodi di una crisi nata fuori d’Europa, ma degenerata in Europa nella più profonda e ostinata recessione, questa è la nostra responsabilità. Di Italia e Germania in particolare, per il peso che abbiamo avuto nei decenni più fecondi della costruzione europea”. Una posizione criticata fortemente da Renato Brunetta, il presidente dei deputati di Forza Italia.

Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_11/italia-germania-napolitano-il-dissenso-non-sia-mai-meschinita-9c297b8a-8168-11e4-98b8-fc3cd6b38980.shtml


Titolo: Napolitano: «Colpire infiltrazioni criminali e corruzione in politica»
Inserito da: Admin - Dicembre 14, 2014, 11:25:57 pm
Napolitano: «Colpire infiltrazioni criminali e corruzione in politica»
10 dicembre 2014

«È ormai urgente la necessità di reagire» a una certa anti-politica, «denunciandone le faziosità, i luoghi comuni, le distorsioni impegnandoci su scala ben più ampia non solo nelle riforme necessarie», ma anche a «riavvicinare i giovani alla politica». Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenuto a una iniziativa dell'Accademia dei Lincei su “Crisi di valori da superare e speranze da coltivare per l'Italia e l'Europa di domani”.

Colpire infiltrazioni criminali e corruzione in politica
«Non deve mai apparire dubbia la volontà di prevenire e colpire infiltrazioni criminali e pratiche corruttive nella vita politica e amministrativa che si riproducono attraverso i più diversi canali come in questo momento è emerso dai clamorosi accertamenti della magistratura nella stessa capitale», ha detto il presidente della Repubblica.

Grave decadimento della politica
Il capo dello Stat ha osservato come in Italia sia in atto una crisi «che ha segnato un grave decadimento della politica, contribuendo in modo decisivo a un più generale degrado dei comportamenti sociali, a una più diffusa perdita dei valori che nell'Italia repubblicana erano stati condivisi e operanti per decenni».

Alle Camere atti che stracciano valori vitali
«Pur essendosi registrati già in periodi precedenti casi gravi di strappi alle regole e al clima abituale nelle aule parlamentari, mai era accaduto quel che si è verificato nel biennio ormai alle nostre spalle, quando hanno fatto la loro comparsa in Parlamento metodi e atti concreti di intimidazione fisica, minaccia, di rifiuto di ogni regola ed autorità, e in sostanza tentativi sistematici ed esercizi continui di stravolgimento ed impedimento della vita politica e legislativa di ambedue le Camere», ha sottolineato il presidente della Repubblica.

Esistono focolai eversivi
In Italia «esistono, magari al di fuori di ogni etichettatura di sinistra - ha detto Giorgio Napolitano - o di destra, gruppi politici o movimenti poco propensi a comportamenti pienamente pacifici. Esiste un rischio nel nostro Paese di focolai di violenza destabilizzante, eversiva, che non possiamo sottovalutare, evitando allo stesso tempo l'errore di assimilare a quel rischio tutte le pulsioni di malessere sociale, di senso dell'ingiustizia, di rivolta morale, di ansia di cambiamento con cui le forze politiche e di governo in Italia debbono fare i conti».

No al carrierismo personale
«La moralità di chi fa politica poggia sull'adesione profonda, non superficiale, a valori e fini alla cui affermazione concorre col pensiero e con l'azione. Altrimenti l'esercizio di funzioni politiche può franare nella routine burocratica, nel carrierismo personale, nella ricerca di soluzioni spicciole per i problemi della comunità, se non nella più miserevole compravendita di favori, nella scia di veri e propri circoli di torbido affarismo e sistematica corruzione», ha detto il presidente della Repubblica.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-10/napolitano-colpire-infiltrazioni-criminali-e-corruzione-politica-173121.shtml?uuid=ABvS8mOC


Titolo: Napolitano: «L’anti-politica è ormai quasi una patologia eversiva»
Inserito da: Admin - Dicembre 14, 2014, 11:36:36 pm
Napolitano: «L’anti-politica è ormai quasi una patologia eversiva»
Il capo dello Stato nel discorso all’Accademia dei Lincei: «Urgente riavvicinare i giovani».
E sull’inchiesta nella Capitale: «Fermare infiltrazioni criminali»

Di Redazione Online

«La critica della politica e dei partiti, preziosa e feconda nel suo rigore, purché non priva di obiettività, senso della misura e capacità di distinguere è degenerata in anti-politica, cioè in patologia eversiva». Arriva decisa la condanna del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ad un sistema politico che «da due anni è afflitto dalla patologia dell’antipolitica».Un messaggio che in qualche modo deve far fischiare le orecchie a Beppe Grillo. Che cosi regisce: «Napolitano deve stare molto attento rischia che lo denunciamo per vilipendio del Movimento».

«Necessario reagire all’antipolitica»
«È ormai urgente la necessità di reagire» ad una certa anti-politica, aveva detto il capo dello Stato, «denunciandone le faziosità, i luoghi comuni, le distorsioni impegnandoci su scala ben più ampia non solo nelle riforme necessarie, ma anche a riavvicinare i giovani alla politica» sottolinea ancora il presidente della Repubblica. Il capo dello Stato spiega come negli ultimi tempi, nei confronti della politica e delle istituzioni siano «dilagate analisi unilaterali, tendenziose, chiuse ad ogni riconoscimento di correzioni e di scelte apprezzabili, per quanto parziali o non pienamente soddisfacenti». Un’azione, sottolinea il capo dello Stato, cui non si sono sottratti «infiniti canali di comunicazione, a cominciare da giornali tradizionalmente paludati, opinion makers lanciati senza scrupoli a cavalcare l’onda, per impetuosa e fangosa che si stesse facendo, e anche, per demagogia e opportunismo, soggetti politici pur provenienti della tradizioni del primo cinquantennio della vita repubblicana».

Minacce
«Nel biennio appena trascorso - prosegue il capo dello Stato - c’è stata la comparsa di metodi e di atti concreti di minacce con il rifiuto del riconoscimento delle istituzioni e con l’impedimento» dell’attività parlamentare in entrambe le Camere», sostiene Napolitano, «E dubito che questo sia finito», aggiunge il capo dello Stato. Ultimamente vediamo «svalutazioni sommarie e posizioni liquidatorie» rispetto all’Unione Europea: «gli ingredienti dell’anti-politica si sono confusi con gli ingredienti dell’anti-europeismo» evidenzia ancora il presidente della Repubblica.

Infiltrazioni criminali
Intervenendo ad una conferenza all’Accademia dei Lincei il capo dello Stato ha lanciato anche un monito al sistema dei partiti, spiegando che «Non deve mai apparire dubbia la volontà di prevenire e colpire infiltrazioni criminali e pratiche corruttive nella vita politica e amministrativa che si riproducono attraverso i più diversi canali come in questo momento è emerso dai clamorosi accertamenti della magistratura nella stessa capitale».

10 dicembre 2014 | 17:36
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_10/napolitano-anti-politica-ormai-quasi-patologia-eversiva-29c54b94-8089-11e4-bf7c-95a1b87351f5.shtml


Titolo: Giorgio NAPOLITANO: «Lessi in Aula la tragica lettera che mai potrò dimenticare»
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2014, 06:56:45 am
«Lessi in Aula la tragica lettera che mai potrò dimenticare»

Di Giorgio Napolitano

Gentile direttore,
Ernesto Galli della Loggia ieri nel suo editoriale «All’origine dell’antipolitica» ha rievocato la tragica vicenda del suicidio del deputato socialista Sergio Moroni e della lettera con cui egli mi comunicò e motivò - il 3 settembre 1992 - il suo terribile gesto. In quella lettera egli denunciò «un clima da pogrom nei confronti della classe politica». Quel momento non si è mai cancellato dalla mia memoria: ne scrissi nel breve libro sui miei due anni di presidenza della Camera («Dove va la Repubblica», ripubblicato da Rcs Libri nel 2006), in cui riprodussi integralmente il testo della lettera di Moroni, e vi diedi ampio spazio nella mia «autobiografia politica» del 2005. Lì scrissi: «fu il momento umanamente e moralmente più angoscioso che vissi da Presidente della Camera». Galli della Loggia sostiene che le parole di Moroni «caddero nel vuoto (...) non furono ritenute degne della benché minima discussione parlamentare». Ma non dice, forse perché non ricorda, che io «resi pubblica quella lettera, indirizzata personalmente a me e nella prima seduta che dopo quel giorno si tenne, la lessi in Aula commentandola con brevi, difficili parole». Non avrei potuto aprire una discussione in Assemblea, ho anche dopo continuato a chiedermi se avrei potuto dire o fare qualcosa di più, ma onestà vuole che non si ignori - con memoria incompleta o non obbiettiva - il modo in cui comunque io personalmente non lasciai «cadere nel vuoto» quella tragica lettera.
Giorgio Napolitano



Non ho ricordato nel mio editoriale che il presidente Napolitano diede lettura all’Aula della missiva inviatagli dall’onorevole Moroni in punto di morte perché mi sembrava che davvero nessuno potesse pensare che non l’avesse fatto.
Ernesto Galli della Loggia

L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera, 14 dicembre 2014).
15 dicembre 2014 | 11:10
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_15/lessi-aula-tragica-lettera-che-mai-potro-dimenticare-dd2600b4-8441-11e4-b9cc-80d61e8956c5.shtml


Titolo: Napolitano: "Voci di scissioni e voto anticipato fanno perdere tempo al Paese"
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2014, 05:50:53 pm
Quirinale, il saluto di Napolitano: "Voci di scissioni e voto anticipato fanno perdere tempo al Paese"
Il Presidente della Repubblica incontra nel Salone dei Corazzieri le alte cariche dello Stato, per lo scambio degli auguri in occasione del Natale. Lodi al governo su lavoro e riforme. "Dialogo, ma sindacati rispettino scelte". "Mio impegno per la durata semestre Ue". Renzi: "Discorso di alto livello"

16 dicembre 2014
   
ROMA - E' con ogni probabilità l'ultima volta che da presidente rivolge i suoi auguri alle alte cariche dello Stato. Il discorso di saluto di Giorgio Napolitano non è scevro da quello che a tratti appare un vero e proprio endorsement per l'attività di governo, pure se non risparmia critiche al clima di scarso dialogo in una situazione del Paese definita "critica".

Dal semestre europeo a guida italiana al Jobs Act, dalle riforme costituzionali ai provvedimenti anticorruzione, il Capo dello Stato nei 26 minuti del suo intervento ha voluto dare un segnale chiaro: la via per riformare il Paese è quella giusta, bisogna continuare senza stop. "Un discorso di grande respiro, di alto profilo" ha commentato il presidente del Consiglio Matteo Renzi.

"Gli auguri che quest'anno ci scambiamo si intrecciano strettamente con gli impegni che tutti condividiamo per il superamento degli aspetti più critici per la situazione economica e sociale", ha detto Napolitano. "Dobbiamo procedere con coerenza e senza battute d'arresto sulla via delle riforme", ha continuato il Capo dello Stato.

Sul semestre italiano di presidenza dell'Ue, Napolitano ha aggiunto: "Il governo italiano, partendo dall'accurato lavoro preparatorio del governo precedente, ha potuto operare validamente e con maggior sicurezza per un nuovo corso delle politiche finanziarie e di bilancio dei 28, oltre i limiti divenuti soffocanti e controproducenti dell'austerità".

"Tutto richiede continuità istituzionale", quella che "mi sono personalmente impegnato a garantire ancora una volta per tutto lo speciale periodo del semestre di presidenza europea", ha proseguito il Capo dello Stato, alludendo alla fine del suo mandato, ormai prossima.
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Quanto alle questioni del lavoro, il presidente della Repubblica ha bollato come "improvvidi" i contrasti sull'articolo 18. E ha invitato i sindacati a "rispettare le prerogative del governo". Al tempo stesso, però, ha avvertito: "Serve più dialogo". Frase che il leader della Cgil Susanna Camusso ha commentato: "Penso che questo invito vada colto".

Sulle riforme costituzionali, Napolitano ha chiarito che "superare il bicameralismo non è un tic da irrefrenabili rottamatori o da vecchi cultori di controversie costituzionali. Non si dica che c'è precipitazione, che si procede troppo in fretta, si è indugiato per mesi, con audizioni e approfondimenti, su questioni di cui si è dibattuto per decenni". Il presidente ha invitato il Pd a restare unito: "Parlare di voto e scissioni porta all'instabilità". E, rivolto ai dissidenti dem, ha aggiunto: "Chi dissente dalle riforme non deve farlo con spregiudicate tattiche emendative".

"Tornare indietro alla ormai sancita trasformazione del Senato - ha continuato Napolitano - significherebbe solo vulnerare fatalmente la riforma. Rispettare la coerenza delle riforme in gestazione, anche quella elettorale, è un dovere di onestà politica e di serietà". Poi a tutte le forze politiche ha raccomandato: "Il governo ha annunciato una non breve serie di azioni di cambiamento, un tasso di volontà riformatrice che ha riscosso riconoscimenti e aperture di credito sul piano internazionale. Si è messo in atto un processo di cambiamento. Non si attenti alla continuità del nuovo corso".

Il Capo dello Stato si è poi soffermato sugli scandali di corruzione: "E' essenziale - ha detto - colpire i soggetti politici coinvolti. Bisogna colpire i bersagli giusti negli intrecci con la criminalità. Solo le generalizzazioni improvvide verso politica vanno evitate perchè fuorvianti".

E al Quirinale si è tenuto anche un insolito siparietto natalizio fra i duellanti Renzi e Camusso. Nell'affollato salone che ha ospitato il rinfresco offerto dalla presidenza della Repubblica alle alte cariche dello Stato i due si sono incrociati prima di salutare il presidente Giorgio Napolitano.

E' stato Renzi a cercare il segretario della Cgil: "Dov'è Susanna? Le voglio fare i saluti", ha chiesto il premier ai giornalisti che lo circondavano. E proprio in quel momento è arrivata la Camusso: "Guarda che anche io stavo chiedendo dove fossi per farti gli auguri". Sorrisi e abbracci tra i due con i giornalisti a chiosare: "Presidente è proprio Natale...". E il premier: "Sì però il 24 facciamo comunque i decreti attuativi del Jobs act...".

© Riproduzione riservata 16 dicembre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/12/16/news/quirinale_napolitano_saluta_le_alte_cariche_dello_stato-103051065/?ref=HRER1-1


Titolo: Napolitano mette la cintura di sicurezza al governo Renzi.
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2014, 05:51:55 pm
Giorgio Napolitano mette la cintura di sicurezza al governo Renzi.
Al Quirinale la foto di chi sale e chi scende in politica

Angela Mauro - L'Huffington Post  |  Di Angela Mauro
Pubblicato: 16/12/2014 20:57 CET Aggiornato: 1 ora fa

Quando Giorgio Napolitano ha finito di parlare al Salone delle Feste del Quirinale, l’argomento che domina nei commenti tra i politici presenti è uno solo: è stato un discorso di totale copertura al governo Renzi. Se lo dicono tra di loro i renziani, scherzando: “Sembra l’abbia scritto Matteo…”. E c’è chi dà di gomito a Pierluigi Bersani: “Tra le righe si intuiva una certa simpatia…”. Il presidente della Repubblica ha appena pronunciato il suo ultimo discorso di auguri alle alte cariche dello Stato. È il primo dei discorsi dell’addio per un capo dello Stato che a metà gennaio terminerà il suo secondo mandato al Colle, subito dopo il 13 gennaio, data in cui si concluderà ufficialmente il semestre italiano di presidenza europea “con il discorso a Strasburgo del nostro presidente del Consiglio”, dice Napolitano. In 11 pagine fitte di discorso, il presidente costruisce una cintura di sicurezza intorno al governo Renzi, redarguisce chi volesse attentare alla “continuità istituzionale”, dai partiti ai sindacati, esclude il voto anticipato (e questo vale anche per il premier, ma è l’unica stilettata, sottile). Di fronte a lui, nelle prime file, i giovani ministri del governo e i giovani emergenti della politica. Relegati in fondo i vecchi big: da Bersani, a D’Alema a Veltroni ed Enrico Letta (alla cui esperienza di governo Napolitano rende omaggio più volte). E’ la fotografia perfetta del chi è salito e chi è sceso in politica nell’ultimo anno.

Il momento è solenne. Allude all’addio ma non lo esibisce. Come i parenti al capezzale di un caro che se ne sta andando. Il paragone è macabro ma regge se lo si vede in chiave solo politica e istituzionale. La successione a Napolitano è già lì, presente nel clima, oltre che nelle persone di diversi aspiranti successori o personalità comunque chiacchierate per il post-Napolitano. In seconda fila, per dire, c’è Giuliano Amato. E al Salone delle Feste non sfugge il riferimento che Napolitano fa a Piercarlo Padoan, ministro di cui “si riconoscono valore e affidabilità”, dice Napolitano. Non manca chi vi legge un’indicazione implicita sul possibile successore al Quirinale. Di certo, tracciando un bilancio dell’ultimo anno, Napolitano ha voluto anche stendere una griglia di lavoro per l’anno che verrà, anche se lui non sarà più presidente.

E allora da qui la “fiducia sulle potenzialità dell’Italia”, il plauso al governo per gli “interventi accorti e tenaci” per “risolvere le crisi di almeno 40 aziende tra febbraio e novembre” e per “il dinamismo” sulle riforme e anche per la linea scelta da Renzi di abolire il “bicameralismo paritario”. Anzi, sull’argomento, tra i più contestati in Parlamento, Napolitano dedica un intero passaggio: “Padri costituenti tra i maggiori, da Meuccio Ruini a Costantino Mortati e studiosi di generazioni successive ma legatissimi alla Carta del 1948, come Leopoldo Elia, parlarono di un punto debole della Costituzione repubblicana, di fallimento di ogni tentativo di razionale differenziazione tra le due Camere, e quindi di un ingombrante ‘doppione’”.

È questo l’argomento che gli fornisce il la per redarguire chi vuole “mantenere dissensi” sulla riforma costituzionale. Napolitano invita caldamente a “non farlo con spregiudicate tattiche emendative che portino a colpire la coerenza sistematica della riforma”. Perché, dice, “si sono in sostanza messi in moto processi di cambiamento all’interno, e un fenomeno di attenzione fiduciosa all’esterno, che mi hanno registrare con un segno positivo la conclusione del 2014”. Quindi insiste: “Non si attenti in qualsiasi modo alla continuità di questo nuovo corso”.

Lo dice ai sindacati, riconoscendo un “clima sociale” fatto di “malessere diffuso tra milioni di famiglie impoverite…”, ma invitando al “dialogo”. Lo dice ai partiti politici, facendo accenni precisi al dibattito degli ultimi giorni, dalle voci sul voto anticipato a quelle sulla scissione del Pd. “Non possiamo essere ancora il paese attraversato da discussioni che chiamerei ipotetiche: se, quando e come si possa o si voglia puntare su elezioni anticipate, da parte di chi e con quali intenti; o se soffino venti di scissione in questa o quella formazione politica, magari nello stesso partito di maggioranza relativa. E’ solo tempo e inchiostro che si sottrae all’esame dei problemi reali, anche politici, che sono sul tappeto; è solo un confuso, nervoso agitarsi che torna ad evocare, in quanti seguono le vicende dell’Italia, lo spettro dell’instabilità. E il danno può essere grave”.

Forse l’accenno al voto anticipato è l’unica, velata, critica al governo in carica. Ufficialmente Renzi ha sempre escluso ipotesi di ritorno al voto in primavera, ma i suoi spesso giocano su questa prospettiva sugli organi di informazione. Per il resto, Napolitano si avvia a chiudere il mandato confezionando un pacchetto che copre e tutela l’attività dell’esecutivo. Torna a scagliarsi contro l’antipolitica, contestando la “tendenza a scivolare da una critica, anche la più rigorosa, della politica verso una distruttiva anti-politica, che si risolve in patologia destabilizzante ed eversiva”.

Al Salone delle Feste, il procuratore Giuseppe Pignatone, che con l’inchiesta su ‘mafia capitale’ ha scoperchiato Roma, siede in ultima fila. Tanto che il sindaco Ignazio Marino è costretto a raggiungerlo lì, in fondo, per salutarlo, prima dell’ingresso di Napolitano in sala. Magari sarà anche un caso. Ma certo non è casuale la disposizione tra le prime e le seconde file. Ne esce fuori un quadretto molto eloquente sui cambiamenti dell’ultimo anno, su chi è salito e chi è sceso nella classifica dei palazzi che contano.

Nelle prime due file, al cospetto di Napolitano, ci sono i ministri del governo, dalla Boschi alla Madia e gli altri, ci sono i vicepresidenti delle Camere, da Giachetti a Gasparri, gli emergenti del nuovo corso, come Matteo Orfini, in terza fila. I vecchi big – chiamateli ‘rottamati’ o vecchia guardia - finiscono relegati in fondo. Pier Luigi Bersani è in quinta fila. Racconta di aver preso un doppio Voltaren per curare il mal di schiena che domenica scorsa lo ha tenuto lontano dall’assemblea del Pd. Ad una gentile hostess che gli chiede se vuole andare nelle prime file, risponde con un garbato: “No grazie, va bene così”. Enrico Letta è seduto in settima fila, davanti a Walter Veltroni. Massimo D’Alema sta in nona, esattamente quella dove l’anno scorso era seduto Renzi, che allora si presentò da outsider al Quirinale, in appariscente abito grigio chiaro e che ora, premier in impeccabile abito blu, siede di fianco a Napolitano. D’Alema invece siede tra Gianfranco Fini e il leghista Giacomo Stucchi. E subito dopo la cerimonia, se ne va senza partecipare al ricevimento finale nel Salone degli Specchi, quello dove di solito si stringono mani e si scambiano gli auguri di fine anno. Se ne va, proprio come fece Renzi l’anno scorso.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/12/16/giorgio-napolitano-governo_n_6335708.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: Giorgio NAPOLITANO: «Parlare di voto o scissione evoca l’instabilità».
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2014, 05:57:36 pm
Napolitano: «Parlare di voto o scissione evoca l’instabilità»
Il saluto del presidente alle alte cariche dello Stato promuove in toto l'operato del governo Renzi: «Procedere senza stop sulla via delle riforme»

Di Redazione Online

Scambio di auguri di fine anno per il presidente Napolitano, alla presenza delle alte cariche dello Stato e militari. Un discorso lungo, ben 26 minuti, e complesso, che soprattutto difende l'opera riformatrice del governo Renzi, compreso il superamento del bicameralismo perfetto. C'è anche un esplicito appoggio alla riforma del lavoro e un ammonimento ai sindacati perché ritorni il dialogo, in un clima di unità e coesione sociale dove non si evochi più lo spettro delle elezioni anticipate. «Un discorso di grande respiro, di grande livello», ha commentato il premier dopo il lungo applauso che ha concluso l'intervento del presidente.

Italia ed Ue
Come primo atto, Napolitano ringrazia i presidenti di Senato e Camera, Grasso e Boldrini, per «l'intensità» dei lavori dei due rami del parlamento che in queste ore stanno procedendo a votazioni su temi che incidono sulla vita del Paese». Napolitano ricorda che «sta per concludersi il 2014, anno non di ordinaria amministrazione, in cui il governo ha operato bene contro l'austerità, mentre «il consenso» ottenuto dal Pd alle elezioni europee del 25 maggio « ha garantito ascolto all'Italia nel concerto europeo, dove abbiamo lavorato per un cambiamento delle politiche dell'Unione e per una sua guida che favorisse la svolta per la crescita». Tuttavia, «le prove che il sistema Italia e la democrazia italiana devono sostenere sono ancora pesanti sul fronte dell'andamento dell'economia, del pil e delle oscillazioni della disoccupazione; segni di inversione della tendenza nel 2015-2016 ci potranno essere se non si affievolisce la linea concordata da governo e Parlamento».

Bicameralismo non è tic da rottamatori
Anche per questo, dice Napolitano, il programma delle riforme del governo Renzi non è più rinviabile: «In Ue ci siamo presentati con le carte in regola per il rispetto dei vincoli. A ciò deve corrispondere, in primo luogo in Parlamento, la massima serietà e saper passare sempre più da parole a fatti per procedere con coerenza e senza battute di arresto sulle riforme». Per questo, ammonisce Napolitano, sulle riforme «non si dica che c'è precipitazione, che si procede troppo in fretta: si è tornato indugiando per mesi su questioni di riforma in qualche caso individuate da decenni». Occorre soprattutto ricordare che «il superamento bicameralismo non è tic da rottamatori». Napolitano infatti è tornato indietro nel tempo ricordando personalità come Meuccio Ruini e Leopoldo Elia, che anni fa posero il problema della differenziazione del funzionamento delle due Camere. Tema che, anni dopo, hanno ripreso sia Enrico Letta che Matteo Renzi affrontando una riforma che riflette «qualcosa di attuale e concreto in merito all'agibilità del processo legislativo» degradatosi qualitativamente nel corso degli anni anche con voti di fiducia su emendamenti abnormi piuttosto. Riforma che quindi, secondo il presidente, riflette «un bisogno concreto sull'agibilità del processo legislativo». E poi ammonisce: «Chi dissente dalle riforme istituzionali non deve farlo con spregiudicate tattiche emendative».

Sindacati e dialogo
I sindacati rispettino le scelte, ma serve dialogo, dice ancora Napolitano. «Ci deve preoccupare un clima sociale troppo impregnato di negatività, troppo lontano da forme di dialogo e sforzi di avvicinamento parziale che hanno nel passato spesso contrassegnato le relazioni sociali e politico sociali». Per questo, «ai sindacati per i quali sempre auspico che siano costruttivamente uniti chiedo il rispetto delle prerogative delle decisioni del governo e del Parlamento e uno sforzo convergente di dialogo anche su questioni vitali di interesse generale». E se per Napolitano la riforma del lavoro è una buona cosa, improvvidi sono quindi i contrasti nati sull'articolo 18.

Continuità
Per Napolitano è importante non fermare la continuità istituzionale e politica, almeno fino alla fine del semestre europeo, il 13 gennaio 2015. «Si sono messi in moto processi di cambiamento all'interno del paese e di attenzione e fiducia dall'esterno che mi fanno registrare con un segno positivo. Ma tutto richiede continuità istituzionale. E a rappresentarla e garantirla mi ero personalmente impegnato ancora una volta per tutto lo speciale periodo del semestre italiano di presidenza europea».

Elezioni anticipate solo inchiostro
Sul voto anticipato, Napolitano è tranchant: «Il Paese è attraversato da discussioni ipotetiche su elezioni anticipate: solo tempo e inchiostro che si sottrae all'esame dei problemi reali anche politici sul tappeto. È solo un confuso agitarsi che torna ad evocare lo spettro della instabilità».

Corruzione: non generalizzare
È «essenziale colpire i soggetti politici» coinvolti negli scandali di corruzione, ha detto Napolitano a proposito dei recenti fatti emersi con l'inchiesta di Mafia Capitale. «Bisogna colpire i bersagli giusti negli intrecci con la criminalità. Solo le generalizzazioni improvvide verso politica vanno evitate perché fuorvianti. C'è una forte priorità per misure serene e scelte operative contro il mostro della corruzione e la piaga del malaffare. E l'impegno su altri fronti importanti per una azione sistemica di risanamento morale e risanamento dello Stato: un'opera di lunga lena sulla quale ci stiamo inoltrando» anche con i «capitoli che si stanno aprendo sulla scuola e la giustizia».

16 dicembre 2014 | 17:57
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_16/napolitano-nel-2015-prove-pesanti-il-sistema-italia-b6f7aa72-8541-11e4-bef0-810da32228c1.shtml


Titolo: Giorgio NAPOLITANO. I sindacati rispettino le prerogative del Governo
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2014, 05:59:19 pm
Napolitano: «Riforme ineludibili. I sindacati rispettino le prerogative del Governo»
16 dicembre 2014

Quello messo in campo sulle riforme è «un programma vasto, ma che ha dato il senso di quale cambiamento fosse divenuto indispensabile e non più eludibile». Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella cerimonia di saluto alle alte cariche dello Stato al Quirinale. Il superamento del bicameralismo paritario, ha detto Napolitano, «non è un tic da irrefrenabili rottamatori o da vecchi cultori di controversie costituzionali». Se è tornato di attualità, ha ribadito il capo dello Stato, è perché «riflette qualcosa di drammaticamente necessitato, di lì passa il recupero dell'agibilità e linearità perduta del processo legislativo, da anni degradatosi qualitativamente e degenerato fuori di ogni correttezza costituzionale». Poi ha sottolineato che «chi dissente dalle riforme istituzionali non deve farlo con spregiudicate tattiche emendative». Per il capo dello Stato «tornare indietro alla ormai sancita trasformazione del Senato significherebbe solo vulnerare fatalmente la riforma. Rispettare la coerenza delle riforme in gestazione, anche quella elettorale, è un dovere di onestà politica e di serietà».

Clima troppo impregnato di negatività
«Gli auguri che quest'anno ci scambiamo si intrecciano strettamente con gli impegni che tutti condividiamo per il superamento degli aspetti più critici per la situazione economica e sociale». Il capo dello Stato si è detto preoccupato per un clima sociale «troppo impregnato di negatività, troppo lontano da forme di dialogo e sforzi di avvicinamento parziale che hanno nel passato spesso contrassegnato le relazioni sociali e politico sociali». E ha sottolineato che «sta per concludersi il 2014, anno non di ordinaria amministrazione».
 
I sindacati rispettino le prerogative del Governo
Ai sindacati il capo dello Stato ha chiesto «il rispetto delle prerogative delle decisioni del governo e del Parlamento e uno sforzo convergente di dialogo anche su questioni vitali di interesse generale».

Ancora prove pesanti per sistema Italia e democrazia
«Le prove che noi, sistema Italia e democrazia italiana, abbiamo davanti sono ancora pesanti: il 2014 non si chiude bene dal punto di vista dell'andamento generale dell'economia - mancata ripresa del Pil, andamento ancora negativo dei consumi; oscillazioni con qualche instabile miglioramento, ma a un livello insopportabilmente alto, della disoccupazione e soprattutto di quella giovanile; recessione più duramente radicatasi nel Mezzogiorno», ha detto il presidente della Repubblica, sottolineando che questo «è un quadro che potrà dare dei segni di inversione di tendenza nel 2015 e nel 2016, solo se non verrà dall'Italia - in un processo positivo di cambiamenti in sede europea - nessun affievolimento della linea di condotta complessiva su cui Governo e Parlamento hanno in quest'anno mostrato di voler convergere e impegnarsi».

Le discussioni ipotetiche sul voto anticipato sottraggono tempo ai problemi reali
«Il Paese è attraversato da discussioni ipotetiche su elezioni anticipate, solo tempo e inchiostro che si sottrae all'esame dei problemi reali anche politici sul tappeto», ha detto il Presidente della Repubblica.

Sulla vicenda marò Napolitano fortemente contrariato
Questa mattina una nota del Quirinale ha reso noto che il capo dello Stato è «fortemente contrariato dalle notizie giunte da Nuova Delhi circa gli ultimi negativi sviluppi della vicenda dei marò, resterà in stretto contatto con il Governo e seguirà con attenzione gli orientamenti che si determineranno in Parlamento».

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-16/napolitano-situazione-economica-e-sociale-critica-174951.shtml?uuid=ABnryaRC


Titolo: Giorgio Napolitano non lascia sereno, raccomandazione al successore ...
Inserito da: Admin - Gennaio 01, 2015, 04:13:14 pm
Giorgio Napolitano non lascia sereno, raccomandazione al successore: "Serve senso della Costituzione..."

Pubblicato: 31/12/2014 22:09 CET Aggiornato: 31/12/2014 22:09 CET

Giorgio Napolitano se ne va. Lascia il Quirinale, dopo quasi nove anni. Se ne va e, come era noto, torna ad annunciarlo nel messaggio di fine anno per gli italiani. Ma non se ne va ‘canticchiando’. Costretto a lasciare per via dell’età, Napolitano non è sereno. E non per via degli acciacchi da ultra 90enne. Non è sereno, ma anzi molto preoccupato, perché “nemmeno nell’anno che si chiude ci siamo risollevati dalla crisi mondiale del 2009”, perché “il contesto internazionale è critico come mai negli ultimi due decenni” e perché l’antipolitica galoppa. E’ per questo che il messaggio quirinalizio di fine 2014 assume quel “tratto speciale e diverso” annunciato dallo stesso presidente nelle prime battute del suo discorso. E’ infatti un messaggio intriso di note personali, un messaggio che parla agli italiani ma va ad infilarsi in una metaforica bottiglia destinata a chi siederà sullo scranno più alto delle istituzioni dopo Napolitano: il successore.

Seduto al tavolo da lavoro del suo studio alla Palazzina, arazzo di Lille sullo sfondo, bicchiere d’acqua di fianco, Napolitano chiarisce subito che sta parlando “a chi presto mi succederà nelle funzioni” da presidente della Repubblica. Funzioni “che sto per lasciare, rassegnando le dimissioni”. La data non viene indicata, ma con tutta probabilità cadrà alla metà di gennaio, dopo il discorso con cui Matteo Renzi chiuderà il semestre italiano di presidenza europea a Strasburgo. Di fatto, quello di questa sera è un discorso in cui Napolitano accetta di mettere in pubblica piazza quelle “crescenti limitazioni e difficoltà nell’esercizio delle funzioni di capo dello Stato” che negli ultimi ha incontrato per “l’età raggiunta”. “Ho il dovere di non sottovalutare i segni di affaticamento e le incognite che essi racchiudono e non esitare a trarne le conseguenze – spiega agli italiani - Ritengo di non poter ricoprire oltre la carica cui fui chiamato nel 2006”.

“Re Giorgio”, come lo ha chiamato il New York Times quando dal Quirinale forgiò il governo Monti, è nudo. Il presidente lascia e accetta di parlare senza pudori dei suoi affanni di anziano davanti alla sua nazione. “Ho fatto del mio meglio per preservare l’unità nazionale…”, spiega Napolitano, lasciando ad altri la facoltà di “giudicare”. Della serie: ho dato tutto, ora vado ma non senza raccomandazioni. Che sono imprescindibili. Necessarie, dati i tempi cupi e anche se il 2014 ha avviato il processo di riforme istituzionali: questo è “innegabile”, rimarca Napolitano, ancora una volta a sostegno del governo che lascia in eredità, il governo Renzi. Tra “alti e bassi, abbiamo evitato di confermare quell’immagine di Italia instabile che tanto ci penalizza – dice – e abbiamo messo in moto, nonostante la rottura di febbraio scorso (il passaggio dal governo Letta al governo Renzi, ndr.), il cambiamento”. Il presidente del Consiglio ringrazia a modo suo, su twitter:

Ma non è del governo Renzi che Napolitano vuole parlare questa sera di fine d’anno. Del resto, lo ha già fatto ampiamente nel discorso di auguri alle alte cariche dello Stato prima di Natale. Il capo dello Stato parla alle forze politiche tutte, si raccomanda per l’elezione del suo successore: “una prova di maturità e responsabilità nell’interesse del paese” che “chiude la parentesi di eccezionalità costituzionale” rappresentata dai 9 anni di mandato. E poi, tutto il resto, è per gli italiani e per il suo successore.

Non è un caso che per ben due volte Napolitano citi Papa Francesco, autorità morale tra le più rispettate e seguite in Italia, a giudicare dagli ultimi studi sul clima di sfiducia verso le istituzioni e i partiti politici. Cita il Pontefice quando parla di “rischio di cadere nell’indifferenza globale” e quando lancia un appello alla “pace e alla fraternità”. E’ come se, parlando mentre sul sito a cinquestelle Beppe Grillo gli fa il controcanto, Napolitano voglia sottolineare con estremo allarme il clima di sfiducia che rischia di travolgere tutti e tutto, presidenza della Repubblica inclusa. Il presidente lo avverte su di sé, non si fa da parte, si prende anche il calo dei consensi e le critiche. A testa alta da lord inglese come è sempre stato nel suo stile, altezzoso a costo di sembrare scostante, inflessibile sulle sue convinzioni che definirebbe ‘costituzionali’, assolutamente non ideologiche. Lui, post-comunista e critico della dottrina dei soviet ai tempi in cui i suoi compagni del Pci si dicevano comunisti e lo guardavano con lo sdegno riservato ai ‘miscredenti’.

Quello di stasera è un presidente che si rende conto che anche questi suoi tratti più moderni non sono stati sufficienti per risolvere i problemi del paese. “Tutte le misure pubbliche degli ultimi anni stentano a produrre risultati” su “povertà e “disoccupazione giovanile”, dice Napolitano, per via di “debolezze e distorsioni antiche della nostra struttura sociale e del nostro senso dello Stato…”. Da qui l’allarme contro la “criminalità organizzata, l’economia criminale, la corruzione”, scoperchiati dall’inchiesta giudiziaria su “mafia capitale” cui Napolitano dedica un ampio passaggio del suo intervento. Il lascito di cui va più fiero è il governo Renzi, ma per il resto l’antipolitica avanza, la politica viene “bollata in modo indiscriminato come inadeguata e inetta”, sul sito a cinquestelle Grillo gli fa il controcanto in contemporanea, l’appello: “Non lasciamo occupare lo spazio pubblico a italiani indegni…”. E qui arriva la citazione degli “italiani degni” dall’astronauta Samanta Cristoforetti, a Serena Petricciuolo, ufficiale della guardia costiera che sulla nave Etna, la notte di Natale, ha aiutato una profuga nigeriana a partorire. E ancora Fabrizio, citato solo per nome forse per motivi di privacy, il medico di Emergency che si è ammalato di ebola durante il suo servizio in Sierra Leone.

E’ con loro che Napolitano lancia il suo messaggio, la sua raccomandazione finale agli italiani. La “politica” deve riacquisire “i valori morali di cultura e solidarietà”, ma “da ciascuno di voi deve arrivare un impulso importante per il rilancio e il futuro dell’Italia”. Perché dal modo in cui reagiamo alla crisi e alle difficoltà nasceranno nuove prospettive di sviluppo su cui dobbiamo puntare, dall’alto e dal basso”. Quindi il lascito per il suo successore: “Più si più si diffonderanno senso di responsabilità, senso del dovere, senso della Costituzione e della nazione, più si potrà creare quel clima di consapevolezza che animò l’Italia post bellica e rese possibile la grande trasformazione del paese”. L’addio: “Mettiamocela tutta con passione, creatività e spirito di sacrificio: ciascuno faccia la sua parte al meglio, io stesso ci proverò, resterò vicino al cimento e agli sforzi dell’Italia e degli italiani…”.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/12/31/giorgio-napolitano-_n_6400742.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: Il congedo di Napolitano: «Ho fatto del mio meglio. Reagiamo alla crisi,...
Inserito da: Admin - Gennaio 01, 2015, 04:15:23 pm
Il congedo di Napolitano: «Ho fatto del mio meglio. Reagiamo alla crisi, nascerà una nuova Italia»

di Vittorio Nuti
31 dicembre 2014


Sto «per lasciare le mie funzioni, rassegnando le dimissioni: ipotesi che la Costituzione prevede espressamente». In apertura del suo discorso di fine anno al paese il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferma l’intenzione di lasciare il Colle. «I partiti - aggiunge - si preparino serenamente all'elezione di un nuovo capo dello Stato, «destinato a chiudere una parentesi» (la sua elezione per due mandati, eccezione nella storia repubblicana). «L'età da me raggiunta, sottolinea, porta con se difficoltà nell'espletamento dei compiti istituzionali particolarmente complessi», e «ho il dovere di non ignorare i segni dell'affaticamento». L'appuntamento è, come sempre, alle 20.30.

Intervenire contro corruzione «in modo unitario»
Il presidente quasi novantenne si è rivolto al paese in diretta a reti unificate (e sul web) dal suo studio, alla Palazzina del Quirinale. In chiusura, parole accorate agli ascoltatori: «Mettiamocela tutta con passione, combattività e spirito di sacrificio. Ciascuno faccia la sua parte al meglio». Tra i problemi più urgenti e attuali, Napolitano cita la corruzione e la criminalità organizzata, da «affrontare su larghe basi unitarie» perchè si tratta di piaghe capaci di «infilarsi in ogni piega della realtà trovando sodali e complici in alto».

No al ritorno alle monete nazionali
Dal presidente, anche parole di elogio per come l'Italia «ha colto l'opportunità del semestre (europeo, ndr) per sollecitare un cambiamento delle politiche dell'Unione europea che accordino priorità al rilancio solidale delle nostre economie» Poi la messa in guardia dall’ipotesi di abbandonare la moneta unica, ventilata ultimanente da Lega e Forza Italia: « Niente di più velleitario e pericoloso, invece, di certi appelli al ritorno alle monete uniche e della disintegrazione dell'euro». Un ampio passaggio del discorso è dedicato agli italiani che si sono messi in luce e si sono distinti in vari campi. In tempi difficili come questi, non si può lasciare il campo sui media «solo agli italiani indegni», occorre «rendere omaggio agli italiani esemplari».

La soddisfazione per gli italiani in evidenza
A titolo di esempio, Napolitanbo ricorda Fabiola Gianotti, chiamata a guidare il Cern, l’astronauta Samantha Cristoforetti o Fabrizio, il medico italiano di Emergency contagiato dal virus Ebola. E Serena Petriucciolo, ufficiale medico della Marina che ha aiutato una profuga nigeriana a dare alla luce la sua bimba, oltre a tutti quegli italiani che hanno prestato occorso ai passeggeri del traghetto in fiamme sulla rotta tra la Grecia e l'Italia. «Siamo orgogliosi di questi italiani campioni di cultura e solidarietà» afferma il capo dello Stato.

«Non cedere alla sfiducia in tutta la politica»
Le parole d'ordine, per quello che dopo nove anni sul Colle è dunque l'ultimo discorso di fine anno di Giorgio Napolitano, sono fiducia e coraggio, parole di incoraggiamento rivolte soprattutto ai cittadini italiani, con toni che si preannunciano sobriamente ottimistiche per la stagione di riforme avviata dal premier Renzi: alla politica, il capo dello Stato ha già espresso le sue priorità e raccomandazioni nelle ultime settimane. «Non bisogna cedere alla sfiducia in tutta la politica», raccomanda Napolitano agli italiani, anche se, ammette, «tutti gli interventi pubblici messi in atto in Italia negli ultimi anni stentano a produrre effetti decisivi, che allevino il peso delle ristrettezze e delle nuove povertà per un così gran numero di famiglie e si traducano in prospettive di occupazione per masse di giovani tenuti fuori o ai margini del mercato del lavoro».

«Ritrovare le fonti della coesione nazionale»
«Guardando ai tratti più negativi di questo quadro, e vedendo come esso si leghi a debolezze e distorsioni antiche della nostra struttura economico-sociale e del nostro Stato, si può essere presi da un senso di sgomento al pensiero dei cambiamenti che sarebbero necessari per aprirci un futuro migliore, e si può cedere al tempo stesso alla sfiducia nella politica, bollandola in modo indiscriminato come inadeguata, inetta, degenerata in particolarismi di potere e di privilegio», ha aggiunto Napolitano. Ma «non puo', non deve essere questo l'atteggiamento diffuso nella nostra comunità nazionale. Occorre ritrovare le fonti della coesione, della forza, della volontà collettiva che ci hanno permesso di superare le prove piu' dure in vista della formazione del nostro Stato nazionale unitario e poi del superamento delle sue crisi piu' acute e drammatiche».

«Fatto del mio meglio per rafforzare l’unità nazionale»
L’appello del capo dello Stato, nel corso del suo discorso, è a «bonificare il sottosuolo marcio e corrosivo della nostra società. E bisogna farlo insieme, società civile, Stato, forze politiche senza eccezione alcuna. Solo riacquisendo intangibili valori morali la politica potrà riguadagnare e vedere riconosciuta la sua funzione decisiva». Da parte sua, Napolitano ribadisce con forza di aver «fatto del mio meglio» per rafforzare «l'unità nazionale», chiedendo a tutti gli italiani ad «essere in sintonia con l'imperativo dell'unità nazionale». Poi ricorda che solo «diffonderanno il senso di responsabilità, il senso della legge, della Costituzione, in una parola il senso della Nazione» si potrà «creare quel clima che animò la ricostruzione postbellica», la stagione d’oro dell’Italia moderna.

Strada riforme intrapresa, ora «portarle a conclusione»
La richiesta di Napolitano agli italiani di trovare in se stessi la forza per ripartire, il «fare del proprio meglio» (caro al premier Renzi e fondamento del metodo scout) può contare, per il capo dello Stato, su un fattore positivo e incoraggiante: «La strada delle riforme è stata intrapresa», ricorda, e «l'auspicio espresso nel messaggio di fine anno 2013 si è realizzato. Ribadite anche «le ragioni dell'importanza della riforma del Parlamento e innanzitutto del superamento del bicameralismo paritari, nonché della revisione del rapporto tra Stato e Regioni», capisaldi del riformismo del premier Matteo Renzi.

Dimissioni (anticipate) ormai imminenti
La cornice è quella di sempre, ma per la notte di S. Silvestro 2015 il messaggio di fine anno del capo dello Stato agli italiani è quanto mai carico di significati. Le dimissioni (anticipate) dalla carica, più volte annunciate da Giorgio Napolitano, sono alle porte. E questa volta, a meno di due anni dalla rielezione da parte del Parlamento in seduta comune, il 20 aprile 2013, l'abbandono del Colle è definitivo. Quindi le parole di Napolitano sono in pratica il commiato definitivo dagli italiani. Il messaggio, circa 22 minuti, è leggermente più breve del passato ma particolarmente incisivo. Con l'obiettivo di scuotere un Paese in difficoltà, spaventato e sulla difensiva. E’ il nono e ultimo discorso agli italiani per Giorgio Napolitano.

Possibile giro di boa il 13 gennaio
Nel chiudere la lettura del suo intervento, Napolitano promette di restare «vicino al cimento e agli sforzi degli italiani con infinita gratitudine»: «Non lo dimenticherò, grazie ancora». Quello di questa stasera è il nono ed ultimo discorso di fine anno di Napolitano, dopo un primo mandato al Quirinale di sette anni, dal 2006 al 2012, ed un secondo di circa 620 giorni, dall'aprile 2013 a oggi, 21 mesi in tutto. Le su dimissioni ufficiali dall'incarico presidenziale sono attese a partire dal 13 gennaio, termine ufficiale del semestre di presidenza italiana della Ue in concomitanza di un discorso del premier Matteo Renzi a Strasburgo.

Nove anni di discorsi di Capodanno
Nel suo primo discorso, nove anni fa, la priorità indicata agli ascoltatori fu il recupero di un clima di fiducia nelle istituzioni e nella politica, seguito, l'anno successivo, da un incalzante appello a non considerare l'Italia in declino, e soprattutto a dare spazio ad innovazione e merito. Nel 2008 il Colle mostrò preoccupazione per i numeri dell'occupazione, ma pronosticò anche un'Italia migliorata dalla crisi. Nel 2009 Napolitano auspicò invece riforme come unica strada per battere la crisi e far funzionare lo Stato. Dodici mesi dopo nelle sue parole si affacciò un certo pessimismo per il futuro del paese, se non si fossero create nuova occupazione e condizioni di vita dignitose per tutti i cittadini. Nel 2011 e 2012 le parole chiave furono l'appoggio al governo della “strana maggioranza” guidato da Monti e lotta alla corruzione, oltre alla crisi economica perdurante. Infine, un anno fa, ancora le riforme non fatte e da fare.

Tradizione partita nel 1949 con Einaudi
Il primo “Messaggio del Presidente della Repubblica agli Italiani per il Nuovo Anno” risale all'immediato dopoguerra (1949, presidente Luigi Einaudi), e da allora costituisce un appuntamento fisso del 31 dicembre. Nella prassi, è una sorta di bilancio consuntivo ai cittadini italiani dell'anno appena trascorso - soprattutto riguardo i principali temi dell'agenda politica e le emergenze del Paese - ma è anche l'occasione per indicare le priorità e i traguardi cui dovrebbe tendere l'Italia. Il discorso viene pronunciato dal capo dello Stato davanti alle telecamere posizionate nel suo studio alla Palazzina del Quirinale. Viene diffuso in TV e in radio, a reti unificate, e sul web, in diretta dal Palazzo del Quirinale e dura tra i 15 e i 20 minuti.

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da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-31/napolitano-discorso-congedo-il-presidente-repubblica-194126.shtml?uuid=ABlkmOXC


Titolo: Giorgio NAPOLITANO ha colmato i vuoti della politica. GRAZIE PRESIDENTE ...
Inserito da: Admin - Gennaio 15, 2015, 12:12:09 pm
Arrigo Levi: «Quando Napolitano nel 2013 mi disse che stava male»
Il secondo mandato del Presidente: «Insistevano, lui buttò sul tavolo un plico di referti. Poi si sentì obbligato a cedere e non ho più sentito un cenno alle sue paure»

Di Marzio Breda

Giorgio Napolitano ha chiuso il secondo mandato in una condizione paradossale e amara. Dopo aver accettato una rielezione che gli era stata chiesta da un largo fronte di partiti e che fu consacrata dagli applausi dell’intero Parlamento, è stato quasi di continuo sotto attacco. Politicamente e mediaticamente. Considerando a posteriori quella sua scelta, ne è valsa la pena?
«Certo che ne è valsa la pena, perché c’era in gioco l’interesse nazionale. Cioè qualcosa che per lui contava più di qualsiasi prezzo ci fosse da pagare». Così dice Arrigo Levi, inviato e corrispondente nelle capitali di mezzo mondo, saggista e infine consigliere del Quirinale nelle stagioni di Ciampi e Napolitano, essendo amico di entrambi. Abituato a cogliere anche da piccoli dettagli la verità di un uomo, racconta un episodio illuminante per capire in quale chiave il senso dello Stato sia da applicare all’azione di questo presidente ormai vicinissimo al congedo.

«Era un giorno di metà aprile del 2013 e mi presentai nel suo studio per sentire che cosa pensava delle tante pressioni, dei partiti ma non solo, affinché restasse al suo posto. Se insistono, come fai a dire di no?, gli domandai. E lui, di solito molto misurato, quel giorno ebbe uno sfogo. Buttò sul tavolo un plico di referti medici, e mi disse: ma allora non hai capito? Non sai che non sto bene? Che ho altro cui pensare? Ecco perché sono indisponibile».

Poi però cambiò opinione.
«Sì, passate ventiquattr’ore si sentì obbligato a cedere. Sciolse la riserva e fu rieletto. Da allora sembrò dimenticare tutto. Si rimise al lavoro e non ho mai più udito dalla sua bocca neppure un cenno alla stanchezza o alle preoccupazioni personali. Né tantomeno alle polemiche venute dopo. Sono persone, lui come Ciampi, di una stoffa particolare. Appartengono alla generazione che viene dall’antifascismo e che si identifica in una concezione del dovere molto forte. Se si fosse sottratto a quella chiamata nel nome della Patria - e so di usare un’espressione fuorimoda e spesso carica di valenze retoriche - Napolitano avrebbe vissuto il proprio ritiro come una diserzione. Insomma, era indispensabile che rimanesse al suo posto per la salute della Repubblica. Per fortuna, con grande sacrificio, ha onorato l’impegno».

Resta curioso che, nel Paese in cui trionfa l’epos giovanilistico e il premier Renzi cita di continuo il mito di Telemaco, ci si sia affidati a una persona che viaggiava già verso i novant’anni. Quale significato simbolico si può ricavarne?
«Mi mette un po’ a disagio una questione del genere, dato che sono quasi coetaneo di Napolitano», dice Levi, con una punta di civetteria. «Credo che nei momenti di svolta si riconosca il valore dell’esperienza e della continuità. Non dimentichiamolo: un anno e mezzo fa l’Italia era paralizzata da una crisi politica senza precedenti, una crisi di sistema. Era logico, dato che stavamo attraversando tempi eccezionali, ricorrere a qualcuno che avesse vissuto una lunga parabola dentro le istituzioni, anche se il suo vecchio percorso politico era lontano da quello di molti».

Inutile ricordarle che le radici di Napolitano nel Pci sono state il pretesto di intermittenti recriminazioni del centrodestra. Mentre dalla sinistra più estrema gli si imputava un’eccessiva arrendevolezza verso Berlusconi, con l’accusa di averlo salvato quando i suoi governi vacillavano.
«È trascorso molto tempo da quando il Pci era un problema in Italia e non lo è più da almeno vent’anni. In ogni caso Napolitano non è mai stato condizionato da quel passato, a lui interessava la stabilità del Paese. Perciò, evocare Berlusconi in un bilancio della sua doppia presidenza, significa parlare di cose completamente irrilevanti. Berlusconi ha rappresentato un fenomeno politico interessante e originale, da studiare perché ha coinvolto molti italiani, magari ossessionandoli per un verso o per l’altro. Ma credo di poter dire che, per gente come Napolitano e Ciampi, l’ex Cavaliere non sia mai stato un’ossessione. Semmai, verrebbe da dire, un incidente nella storia della Repubblica».

E lo stesso vale per Grillo e per altri protagonisti dell’antipolitica?
«Mi sembra che valgano gli stessi dubbi, che pongo senza arroganza. Quanto sono significative queste figure, che hanno magari una presa sull’opinione pubblica, nella vicenda nazionale? Sono dei patrioti? Quale impronta possono lasciare nell’identità di un Paese e nelle sue istituzioni? Davvero si può ritenere che la Storia si esprima attraverso di loro? Non siamo forse troppo schiacciati sul presente e troppo pronti a inventarci un mito, o un incubo, al giorno?».

Ragionamenti che Arrigo Levi estende alle critiche rivolte a Napolitano per la sfida con certi settori della magistratura. Le liquida con un’alzata di spalle: «Non credo, assolutamente, che un uomo come lui abbia fatto nulla che deragliasse dai principi repubblicani, che si sia mosso fuori da una piena consapevolezza dei suoi doveri. Lo dimostra la tranquillità - in quel caso ben più che un dono di carattere - con cui ha affrontato quella prova di forza». Che è stata «dura», e il consigliere Levi lo ammette, «ma che non va sovrastimata».

Per lui bisognerebbe dunque relativizzare e contestualizzare criticamente quegli snodi sui quali la politica si è dilaniata. Quando Napolitano inventò il governo «tecnico» di Mario Monti e poi tenne a battesimo le «larghe intese» di Enrico Letta e, per ultimo, l’esecutivo «di scopo» (e lo scopo erano le riforme) di Matteo Renzi. Tre esempi in cui si è contestato al presidente di essere andato oltre i suoi poteri costituzionali. Polemiche malposte pure queste, per Levi. Che le respinge perché maturate «nella mente di chi ha una memoria breve». Basta riandare indietro nel tempo, spiega, per trovare «molti precedenti» di capi dello Stato che, nei periodi di crisi, «hanno colmato i vuoti della politica con scelte penetranti e incisive».

In definitiva: «Era, ed è, loro compito prendere certe decisioni, senza curarsi di ciò che vorrebbero le maggioranze o le opposizioni, ma avendo come unica bussola un’idea di patriottismo repubblicano».

15 gennaio 2015 | 09:25
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_gennaio_15/arrigo-levi-giorgio-napolitano-rielezione-malato-a57dac44-9c8c-11e4-8bf6-694fc7ea2d25.shtml


Titolo: Il miracolo di Napolitano e le colpe di quanti (a destra) non ci hanno capito...
Inserito da: Admin - Gennaio 18, 2015, 06:49:18 am
Il miracolo di Napolitano e le colpe di quanti (a destra) non ci hanno capito niente

Pubblicato: 14/01/2015 20:59 CET Aggiornato: 1 ora fa

Gaetano Quagliariello

Diceva Francois de La Rochefoucauld che l'ipocrisia è l'omaggio che il vizio rende alla virtù. Ora, non sta certo a me assegnare patenti di virtù e di vizio, ma che nell'atteggiamento ondivago di una parte dello schieramento politico nei confronti di Giorgio Napolitano vi sia stata e vi sia una buona dose di ipocrisia mi pare fuori di dubbio.

Assumendo il biennio del Napolitano bis quale paradigma di un novennato che ha incrociato una delle fasi più difficili nella storia del nostro Paese, non si può infatti non ricordare come tutto sia iniziato: con una sfilata di capi di partito al Quirinale, Silvio Berlusconi in testa, a chiedere con il cappello in mano un sacrificio a un anziano servitore dello Stato desideroso di godersi la sua bellissima età. Con un Parlamento annichilito dalla sua stessa impotenza ad applaudire un discorso d'insediamento che inchiodava la politica alle sue responsabilità, e ce la inchioda tuttora. Con lo sblocco di un governo di larghe intese che il Cavaliere e l'allora PdL avevano fortemente invocato e il Pd aveva sostanzialmente subìto.

Allo stesso modo non possiamo non ricordare come è andata a finire. Con un traumatico cambio di governo. Con il centrodestra e il centrosinistra attraversati da profondi sconvolgimenti. Con alcuni dei plauditores della prima ora impegnati a fare di tutto perché i risultati ai quali Giorgio Napolitano aveva vincolato l'accettazione del secondo mandato non fossero raggiunti, salvo poi ri-convertirsi sulla via del Nazareno.

Al Capo dello Stato che l'Italia ha salutato con smarrimento e commozione nel giorno delle sue dimissioni dobbiamo il fatto che il filo della riforma del sistema non si sia spezzato nonostante sollecitazioni così numerose e così violente. In un'Italia indebolita dalla crisi economica e ancor più dalla crisi politica, Giorgio Napolitano ha incarnato il senso più genuino e autentico del patto costituzionale sul quale la nostra Repubblica si fonda. E' stato un presidente in grado di assumersi le sue responsabilità di fronte al ritrarsi degli altri poteri, e di assecondarne il moto spontaneo a ogni sussulto di vitalità dell'elettroencefalogramma della politica.

In una legislatura nella quale il campo moderato avrebbe potuto essere spazzato via, il sacrificio di Giorgio Napolitano ha impedito l'implosione del sistema e offerto alle forze politiche dell'arco costituzionale una seconda e poi una terza possibilità. A giudicare dalle reazioni di scomposto giubilo che hanno accompagnato la sua uscita dal Quirinale, è evidente che parte di quelli che più avrebbero potuto avvantaggiarsi di questa fase costituente non ci hanno capito niente. Fino all'ultimo giorno.

Da - http://www.huffingtonpost.it/http://www.huffingtonpost.it/gaetano-quagliariello/il-miracolo-di-napolitano-e-le-colpe-di-quanti-a-destra-non-ci-hanno-capito-niente_b_6472336.html?1421265597&utm_hp_ref=italy/il-miracolo-di-napolitano-e-le-colpe-di-quanti-a-destra-non-ci-hanno-capito-niente_b_6472336.html?1421265597&utm_hp_ref=italy


Titolo: Giorgio NAPOLITANO. Quirinale, l'ingombrante ruolo di Napolitano da emerito:...
Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2015, 07:02:18 am
Quirinale, l'ingombrante ruolo di Giorgio Napolitano da emerito: interverrà, voterà per il successore, sarà presente in Aula

Pubblicato: 13/01/2015 16:37 CET Aggiornato: 37 minuti fa

Dal suo appartamento, al primo piano del monastero Mater Ecclesiae, dietro la basilica di San Pietro, il papa emerito Benedetto XVI guarda le meraviglie del Vaticano. E ogni giorno, accompagnato da monsignor Georg Gänswein, suo segretario e prefetto della Casa Pontificia, fa una passeggiata tra gli alberi e le fontane dell’orto, prima di dedicarsi alla meditazione e alla lettura. Dai suoi studi di palazzo Giustiniani Giorgio Napolitano osserverà e seguirà i lavori del Senato. E poi dal suo scranno di senatore a vita, a palazzo Madama, potrà intervenire, se lo riterrà opportuno, sui temi delle riforme e, soprattutto, voterà, e non solo per il successore. Meditazione ma anche voto.

Nelle parole che Matteo Renzi affida ai cronisti, a margine del suo discorso di chiusura del semestre europeo a Bruxelles, c’è tutta la consapevolezza del peso che continuerà ad avere l’attuale capo dello Stato nel dibattito politico italiano e tutta l’influenza che continueranno ad avere le sue parole, anche quando ci sarà il nuovo presidente: “Giorgio Napolitano – dice Renzi - è un grande presidente, un grande parlamentare europeo, continuerà a fare sentire la sua voce. Sarà un grande servitore del paese anche come senatore a vita”. È la consapevolezza che i due Presidenti, il successore di Napolitano e Napolitano, non saranno come i due Papi, Bergoglio e Ratzinger. Certo, anche Napolitano sgravato dalla fatica degli impegni di un compito gravoso e faticoso, troverà il tempo di recuperare quella normalità di vita limitata dal ruolo e dai protocolli. Non è un caso, che proprio a questo recupero della libertà e della normalità sono dedicate le poche frasi che il presidente ha consegnato a un bambino che lo ha interrogato in piazza del Quirinale durante la manifestazione della Polizia di Stato Una vita da social: “Qui si sta bene, è tutto molto bello - ha aggiunto Napolitano - ma è un po’ una prigione. A casa starò bene e passeggerò”.

Ecco, in quella parola prigione c’è tutto il sollievo per il volgere a termine di un secondo mandato, nel corso del quale la fatica fisica e il “peso dell’età” non hanno trovato corrispondenza nel raggiungimento di quegli obiettivi in nome dei quali il sacrificio era stato accettato. Ma Napolitano non occuperà le giornate alla Ratzinger. Chi ha raccolto le confidenze del capo dello Stato assicura che avrà un ruolo molto attivo, tenendo fede a quel proposito annunciato nel discorso di fine anno. Quando scandì: “Resterò vicino - assicura Napolitano - al cimento e agli sforzi dell’Italia e degli italiani”. Il cimento e gli sforzi degli italiani incrociano la figura del nuovo dello capo dello Stato che prenderà il posto di colui che, nei nove anni che abbiamo alle spalle, ha rappresentato il fulcro della politica italiana. E incrociano anche quel tema delle riforme, strettamente connesso alla definizione del nuovo inquilino del Colle. Stefano Ceccanti, costituzionalista molto stimato sia al Quirinale sia a palazzo Chigi, spiega: “Il ruolo di Napolitano rientra in quella che è la sua natura. Sia pur nella discontinuità delle funzioni ci sarà una continuità nel ruolo, in chiave di sollecitazione delle riforme”.

Una sollecitazione che va oltre le riforme. In parecchi, nel Palazzo, ragionano su come un eventuale “Avatar” del premier al Quirinale, scelto per non fare ombra a palazzo Chigi, non la farebbe nemmeno al suo ingombrante predecessore. Anzi un nuovo presidente Avatar sarebbe inevitabilmente oscurato dal suo predecessore. Come la pensi Napolitano sull’identikit del nuovo capo dello Stato non è un mistero: una figura autorevole, competente, credibile dal punto di vista internazionale. E in parecchi, in questi giorni, dentro il Pd si interrogano su quanta possa essere la capacità di suggestione, di influenza e di indirizzo di Napolitano senatore a vita, visto che - quando si apriranno le urne presidenziali – sarà lì a votare. Già, con un dettaglio di un certo valore simbolico, scritto oggi da Fabrizio D’Esposito sul Fatto: “Napolitano sarà l’unico leader parlamentare durante gli scrutini per l’elezione del dodicesimo capo dello Stato. Sia Renzi sia Berlusconi non saranno presenti (uno perché non è parlamentare, uno perché decaduto, ndr). Così come non voteranno per il Quirinale Bebbe Grillo e Matteo Salvini”. Il presidente emerito quel giorno sarà a palazzo Madama, probabilmente tra i banchi del gruppo misto – così trapela al momento – così come fece il suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi. Ciampi però non è mai stato parlamentare dal 1953 di un solo partito, come Napolitano. Per questo in parecchi, tra i parlamentari dem, immaginano l’ex presidente tra i loro banchi. E già circola la battuta: “Così oltre a due Presidenti avremmo due Segretari...”.

DA - http://www.huffingtonpost.it/2015/01/13/quirinale-giorgio-napolitano_n_6462436.html?1421163442&utm_hp_ref=italy


Titolo: Giorgio NAPOLITANO: «Non possiamo isolare la Russia».
Inserito da: Admin - Giugno 14, 2015, 03:48:16 pm
LA RUSSIA DI PUTIN
L’ex presidente Napolitano: «Non possiamo isolare la Russia»
Dopo l’intervista a Putin sul «Corriere della Sera», l’ex presidente parla dei rapporti con la Russia. E sull’Ucraina cita Kissinger: «Il suo ruolo è farsi ponte fra Europa e Mosca»

Di Paolo Valentino

ROMA «L’evoluzione delle dediche dei suoi libri segna quella dei nostri rapporti», spiega Giorgio Napolitano parlando di Henry Kissinger. Il senatore a vita tira fuori un volume dallo scaffale dietro la scrivania del suo ufficio a Palazzo Giustiniani. «Questo ( Crisis ) me lo mandò molti anni fa. E’ un’edizione speciale, fuori commercio. Come vede siamo ancora a «every good wish» (con i migliori auguri, ndr ). Qualche anno dopo, sull’edizione americana di On China, la dedica fu: «To President Giorgio Napolitano with admiration and a long friendship (con ammirazione e lunga amicizia, ndr )». L’ultima è di tre mesi fa, quando Napolitano ha ricevuto una copia di World Order, magistrale affresco dell’ex segretario di Stato sullo stato del mondo. «Ha scritto: “to Giorgio Napolitano, friend of a life time”, amico di una vita. Ho pensato che sarebbe stato più corretto dire amico di metà vita, dal momento che nella sua prima parte non ci conoscevamo neppure e potevano naturalmente esserci tra di noi reciproche diffidenze. Ma ormai ci unisce una vera amicizia».

L’occasione per dirglielo, Giorgio Napolitano l’avrà all’American Academy di Berlino mercoledì prossimo, quando riceverà proprio dalle mani di Kissinger il premio che porta il suo nome. L’ex presidente della Repubblica è la prima personalità non tedesca e non americana a ottenere il prestigioso riconoscimento, che onora i campioni dei rapporti transatlantici e che nell’albo d’oro vede anche George Bush padre, Helmut Schmidt, Helmut Kohl e Richard von Weizsaecker. Sarà l’approdo comune di due percorsi iniziati da posizioni contrapposte sulla faglia ideologica che divise il secolo breve, ma entrambi caratterizzati da continua evoluzione, dettata da una lettura attenta della realtà internazionale e dei rapporti sottostanti.
«Kissinger non smette di sviluppare la sua visione e il suo pensiero. Mi ha colpito come lui, considerato in modo banale assertore della legge del potere nei rapporti fra gli Stati, definisca nel suo ultimo libro le due condizioni dell’ordine: potere e legittimità. E come affermi nettamente che “calcoli di potere senza una dimensione morale trasformeranno ogni disaccordo in una prova di forza e che d’altra parte prescrizioni morali senza una preoccupazione per l’equilibrio tendono a portare o alle crociate o a una politica impotente”. Ecco, riguardo al premio, che per me è motivo di sincera gratificazione, penso che lui abbia voluto considerare l’arco della mia esperienza, fatta di riflessioni critiche, revisioni e nuovi sviluppi, scoprendo questa strana persona che era stato un dirigente comunista italiano, da anni personalmente interessato all’America».

La leggenda vuole che in occasione del viaggio negli Stati Uniti di un capo di Stato italiano, questi durante un pranzo spezzasse una lancia in favore del Pci, parlandone in modo non completamente negativo. E che fosse proprio Kissinger a gelarlo: «Comunisti? Sono tutti uguali». Qualche anno dopo, nel 1975, Giorgio Napolitano fu invitato ad Harvard, dal direttore dell’Istituto di Studi europei, Stanley Hoffman, che in quell’incarico era succeduto proprio a Kissinger. Occorsero però tre anni e l’arrivo dell’Amministrazione Carter perché il ministro degli Esteri di Botteghe Oscure potesse metter piede negli Usa.
Kissinger e Napolitano si sarebbero conosciuti soltanto alla metà degli Anni Ottanta. «Quando ci presentarono mi disse: era molto tempo che dovevamo incontrarci. Io risposi: non è colpa mia. Lì scattò questa scintilla reciproca di simpatia. Da allora ci siamo visti numerose volte e non rivelo nulla di nuovo quando ricordo che il nostro rapporto fu mediato dall’avvocato Agnelli».
Proprio da una riflessione di Henry Kissinger, Giorgio Napolitano parte quando gli chiedo di ragionare sui rapporti tra l’Occidente e il Cremlino, intorbiditi dalla crisi ucraina. «Apparve nel marzo 2014 un suo articolo sul Washington Post , dove diceva chiaramente che se Occidente e Russia giocano a chi la tira dalla propria parte, non ci sarà avvenire per l’Ucraina, il cui ruolo può essere solo nel farsi ponte tra Russia ed Europa. Posizione illuminata, che però non è stata fatta propria da nessuna delle due parti. Di più, in quell’articolo Kissinger ricordava che sette anni prima lui si era pronunciato contro ogni velleità di portare l’Ucraina nella Nato».
Oggi, secondo Napolitano, «non ci può essere una pura strategia punitiva o di isolamento nei confronti della Russia, ammesso che questa si faccia isolare e non si giri da qualche altra parte». E si dice «sorpreso dalla frase di Barack Obama, del quale pure resto ammiratore e col quale ho un serio rapporto di amicizia, quando ha detto che Putin vuole ricostituire un impero. Dove sono le condizioni perché questo accada? Gli scambi di accuse tra Washington e Mosca sono scoraggianti: si polemizza da una parte su nuovi missili russi, dall’altra su sottomarini americani al largo della Norvegia pronti al lancio di testate nucleari. C’è tutta la retorica della Guerra Fredda, ma null’altro di simile al contesto di allora».
L’errore commesso verso Mosca dagli occidentali in questa fase, così l’ex presidente, consiste «nel sovrapporre alla necessità di una soluzione politica corretta del caso Ucraina, che può essere basata solo sulla piena applicazione degli accordi di Minsk, una specie di tabula rasa di tutta la strategia di cooperazione che avevamo costruito con la Russia e che ha dimostrato di essere valida e produttiva. D’altronde il segretario di Stato americano John Kerry, in visita a Sochi da Putin, ha detto che abbiamo cinque terreni sui quali cooperare, dalla lotta all’Isis al nucleare dell’Iran. E ho anche apprezzato la risposta data da Putin nell’intervista a lei e al direttore del Corriere Fontana: «Siamo alleati contro il terrorismo, le armi di distruzioni di massa e nella soluzione delle crisi regionali».

Dall’Ucraina all’Unione Europea, squassata dalla crisi, divisa dai suoi conflitti interni, contestata da pezzi crescenti delle sue opinioni pubbliche. «Oggi - dice Napolitano - dobbiamo evitare l’illusione deviante della non Europa, il miraggio che esistano soluzioni ai problemi dei nostri Paesi al di fuori di un’integrazione sempre più stretta, dell’obiettivo di una “unione sempre più vicina” rimasto nel Trattato di Lisbona. Chi prospetta altro e chi passa da una giusta critica delle insufficienze della Ue a una posizione distruttiva, propone solo il ritorno a follie nazionalistiche». Ma l’ex presidente è cauto sulla necessità di un Paese guida: «Le leadership si possono affermare, ma contribuendo alla linea comune. Non possiamo idoleggiare l’ipotesi di un Paese guida ovvero reagire invocando alternative alla Germania. Le istituzioni europee devono essere fortemente riviste, perché hanno un doppio problema di funzionalità e comprensibilità agli occhi dei cittadini, ma possono garantire una direzione collegiale. Poi, chi ha più filo tesserà. Certo oggi l’impulso che viene da Berlino è trascinante, tuttavia contrastato e per certi versi discutibile nelle indicazioni di politica comune che esprime».
Tornando a Kissinger e alla necessità di costruire un nuovo ordine mondiale, Giorgio Napolitano nota la «pretenziosità» del G7, ormai non più in grado di dettare l’agenda dello sviluppo mondiale. E indica nel G20, nonostante alcune carenze della sua composizione come la scarsa presenza dell’Africa, il «luogo privilegiato di una nuova governance mondiale multilaterale».

14 giugno 2015 | 11:35
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_giugno_14/ex-presidente-napolitano-non-possiamo-isolare-russia-e52870ee-1276-11e5-85f1-7dd30a4921d8.shtml


Titolo: Napolitano: "Perché la riforma del Senato non minaccia la democrazia"
Inserito da: Admin - Agosto 13, 2015, 11:47:47 am
Napolitano: "Perché la riforma del Senato non minaccia la democrazia"
L’ex presidente della Repubblica replica a Scalfari: “Superare il bicameralismo paritario è essenziale per il funzionamento delle nostre istituzioni”

Di GIORGIO NAPOLITANO
11 agosto 2015
   
Caro Eugenio,

l'ampio spazio che mi hai dedicato nel tuo editoriale di domenica ancora in uno sforzo di dialogo sulla materia che oggi ci vede divergere, è un nuovo segno della nostra amicizia. Amicizia antica, nutritasi di molte radici, esperienze e sentimenti comuni, che, pur nella diversità dei rispettivi percorsi personali, non rinuncia a ogni possibile chiarimento e avvicinamento che possa riuscire utile non solo a noi ma ben più in generale.

E vengo al dunque nello stesso tono, aperto a comprendere e rispettare le ragioni dell'altro, che ha caratterizzato il tuo editoriale. Scusandomi peraltro se dovrò ritornare brevemente su qualche argomento da me sviluppato nell'intervento del 15 luglio in sede di discussione generale della 1^ Commissione del Senato, e forse anche da te non abbastanza considerato.

1. Innanzitutto, non ho, nemmeno nella mia lettera al Corriere della Sera , sostenuto che il testo della riforma debba essere approvato così come è attualmente. Ho anzi messo in evidenza in quel mio articolo l'importanza del richiamo da parte della presidente Finocchiaro sia ai consensi espressi da molti senatori e molti studiosi "auditi" in Commissione, sia dei consigli da essi ricevuti per "modifiche e puntualizzazioni" del testo in discussione al Senato, purché non risultino "dirompenti" rispetto all'impianto già definito della riforma.

2. Tu hai scritto che a me "preme più che mai vedere la riforma portata a buon fine da Renzi": ma a me sarebbe egualmente premuto che una tale riforma venisse varata da qualsiasi precedente Presidente del Consiglio. Si sta finendo per parlare dell'approvazione di questa riforma essenzialmente in funzione di come si giudica, di che cosa ci si aspetta o si teme dall'attuale Presidente del Consiglio. Ma questi era anni luce lontano dall'entrare nel firmamento politico nazionale quando la necessità e l'idea di una revisione costituzionale, relativa in particolare al superamento del bicameralismo paritario venivano affermate da tutt'altre personalità politiche e di governo: a cominciare da subito dopo l'Assemblea Costituente, fino ai mesi del governo Letta (dalle conclusioni del gruppo di lavoro da me istituito nel marzo 2013 alla relazione della Commissione di cui fu presidente il ministro Quagliariello).

3. Come si può ritenere che la riforma in discussione costituirebbe il "contrario", segnerebbe la fine, della democrazia parlamentare? La posizione in materia di revisione costituzionale che tu riconosci caratterizzarmi da molti anni, è in realtà quella propria di molte personalità politiche e istituzionali confluite nel centrosinistra. Voleva forse Leopoldo Elia "il contrario della democrazia parlamentare" quando propugnava "una nuova forma di governo parlamentare", vedendo nella "criticità dell'assetto costituzionale di vertice della Repubblica il punctum dolens più evidente"? O voleva forse il centrosinistra buttare a mare la democrazia parlamentare quando votò, nella Commissione bicamerale del 1997-1998, per il passaggio al "premierato", al governo cioè del primo ministro?

4. La questione essenziale è che non si lasci in piedi, attraverso l'elezione a scrutinio universale anche del Senato della Repubblica, la compresenza di due istituzioni rappresentative della generalità dei cittadini, sottraendo al Senato solo (e a quel punto insostenibilmente!) il potere di dare la fiducia al Governo. L'essenziale è dar vita a un nuovo Senato che arricchisca la democrazia repubblicana dando ad esso la natura di una istituzione finora assente che rappresenti le istituzioni territoriali. Altrimenti di fatto il superamento del bicameralismo paritario non ci sarebbe. Rimarrebbero intatti i fattori di fragilità e debole capacità deliberativa dell'esecutivo, si lascerebbe il paese in quell'assoluta incertezza e tortuosità dei percorsi di approvazione delle leggi, che ha offerto spinte e alibi al degenerativo precipitare del rapporto Governo-Parlamento nella spirale dei decreti legge, dei voti di fiducia, dei maxiemendamenti e articoli unici. È dunque in discussione non uno schema astratto di riforma o un qualche puntiglio politico, bensì una esigenza vitale per un valido funzionamento, specie nell'attuale fase storica, del sistema democratico italiano. Senza farsi dominare da quella "paura dei pericoli" (evocata in una guizzante definizione di Gramsci), che può solo far naufragare per l'ennesima volta nell'inconcludenza il necessario processo riformatore. Si tenga ragionevolmente conto di ciò, nella libertà di sollevare legittimamente, senza far polveroni, qualsiasi questione relativa a posizioni, questioni, modi di governare che riguardino il Presidente Renzi.

Per finire, ringraziando te e la Repubblica per l'ospitalità, lascia che ti tranquillizzi: sono certo che non mi troverò, per nessun aspetto, in una posizione imbarazzante rispetto a qualsiasi parere possa esprimere il Presidente Mattarella, in quanto in ogni caso mi rimetterò con pieno rispetto all'autonomo esercizio del suo insindacabile mandato. E magari lasciamo stare certe analogie, che non tu ma qualche altro evoca con strumentale e ridicola rozzezza, fra un altro Emerito di somma autorità spirituale e un ex Presidente della Repubblica che la nostra Carta ha voluto senatore di diritto e a vita, ovvero membro attivo di una istituzione parlamentare a cui possa dare in piena indipendenza il contributo della sua esperienza. Non un titolo onorifico o una sine cura, ma un compito e un dovere di operoso impegno.

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11 agosto 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/08/11/news/_perche_la_riforma_del_senato_non_minaccia_la_democrazia_-120775571/?ref=HRER2-1


Titolo: Giorgio NAPOLITANO: No a vecchio pacifismo, ma prima di intervenire pensarci
Inserito da: Arlecchino - Marzo 10, 2016, 05:56:55 pm
Libia, Giorgio Napolitano: "No a vecchio pacifismo, ma prima di intervenire pensarci mille volte"

L'Huffington Post  |  Di Redazione
Pubblicato: 09/03/2016 12:43 CET Aggiornato: 4 ore fa

"Non si può accettare l'idea che il ricorso alle armi, nei casi previsti dallo statuto delle nazioni unite, sia qualcosa di contrario ai valori e alla storia italiana". Lo ha detto il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, intervenendo in senato dopo l'informativa del ministro degli esteri Paolo Gentiloni.

L'ex capo dello stato ha avvertito: "generare l'illusione che non abbiamo mai nel nostro futuro la possibilità di interventi con le forze amate in un mondo che ribolle di conflitti e minacce sarebbe ingannare l'opinione pubblica e sollecitare un pacifismo di vecchissimo stampo che non ha ragione di essere nel mondo di oggi, nel mondo uscito dalla seconda guerra mondiale".

Napolitano ha invitato quindi governo e parlamento a "evitare ulteriori equivoci e prepararci a ciò che dobbiamo fare, in Libia e altrove, per contrastare l'avanzata del terrorismo islamico".

In ogni caso, ha spiegato "prima di agire dobbiamo pensarci non una ma mille volte".

L'ex Capo dello Stato ha fatto riferimento alla cifra fornita qualche giorno fa in una intervista al Corriere della Sera dall'ambasciatore americano, che ha parlato di 5 mila uomini che l'Italia potrebbe inviare in Libia e ha sottolineato che il rappresentante Usa ha "improvvisato quella cifra, è una cifra venuta in mente improvvidamente all'ambasciatore pensando forse a quello che era stato il nostro impegno in Afghanistan, dove abbiamo mandato circa 5 mila uomini. Ho vissuto uno dei momenti più dolorosi della mia esperienza di presidente recandomi a Ciampino ad accogliere le salme dei nostri soldati caduti - ha ricordato Napolitano - sono esperienze che non auguro a nessuno di dover ripetere. Prima di agire dobbiamo pensarci non una ma mille volte", ha concluso Napolitano.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/03/09/libia-napolitano-guerra_n_9416238.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001


Titolo: Giorgio NAPOLITANO rafforza la spinta per il Sì: "Se vince il No è una paralisi
Inserito da: Arlecchino - Maggio 05, 2016, 12:39:22 pm
Riforme, Giorgio Napolitano rafforza la spinta per il Sì: "Se vince il No è una paralisi definitiva. È in gioco il Governo"

Il Corriere della Sera
Pubblicato: 03/05/2016 08:21 CEST Aggiornato: 54 minuti fa

È riconosciuto come padre ispiratore delle riforme costituzionali targate Matteo Renzi e Maria Elena Boschi e il ruolo non gli dispiace affatto. L'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, oggi senatore a vita molto attivo e presente nella scena politica, ribadisce la sua posizione per il Sì al referendum costituzionale in un'intervista al Corriere della Sera che vede l'Italia dinanzi a un bivio fondamentale.

    "Vedo tre diverse attitudini. Quella conservatrice: la Costituzione è intoccabile, non c’è urgenza né bisogno di rivederla. Quella politica e strumentale: si colpisce la riforma per colpire Renzi. E quella dottrinaria “perfezionista”. Dubito molto che tutti i 56 costituzionalisti e giuristi che hanno firmato il manifesto contro siano d’accordo su come si sarebbe dovuta fare la riforma. Ma questa è una posizione insostenibile: perché il No comporterebbe la paralisi definitiva, la sepoltura dell’idea di revisione della Costituzione".

Rispetto per chi ha obiezioni, ma per Giorgio Napolitano sulle riforme l'Italia non può permettersi cedimenti.

    "Non bisogna fare di ogni erba un fascio tra coloro che esprimono riserve, fanno valutazioni contrarie, fanno campagna per il No. Occorre rispetto per le riserve; per quanto se ne siano espresse in Parlamento con grande abbondanza. Non dimentichiamo quanto tempo è stata discussa dalle Camere la legge di riforma, quante consultazioni sono state fatte con l’esterno, quanti emendamenti sono stati avanzati, sia pure spesso per ostruzionismo. Occorre rispetto per chi obietta che ci sono elementi non ben risolti: del testo approvato si continuerà a discutere. Una volta confermata la legge, bisognerà mettersi al lavoro per costruire davvero questo nuovo Senato, e trarre dall’esperienza ogni possibile conseguenza".

L'ex capo di Stato riconosce "gravissime fragilità" all'attuale testo della Costituzione repubblicana, esclusivamente nella seconda parte della Carta.

    "La prima parte esprime in piena luce principi e valori fondamentali di convivenza civile e politica. La seconda parte, sull’ordinamento della Repubblica, ha presentato da subito gravissime fragilità. Nell’equilibrio dei poteri l’esecutivo è stato fin dall’inizio debole. I costituenti avevano previsto la necessità di dispositivi per evitare l’instabilità dei governi e le degenerazioni del parlamentarismo; ma questi dispositivi non sono mai arrivati. Presto apparve chiaro che il bicameralismo paritario era indifendibile. Siamo in ritardo gravissimo. I tentativi sono stati molti: la bicamerale presieduta da Bozzi, la commissione De Mita-Iotti, la commissione D’Alema, che vide collaborare tutte le forze politiche e fu silurata alla fine. Se si affossa anche questo sforzo di revisione costituzionale, allora è finita: l’Italia apparirà come una democrazia incapace di riformare il proprio ordinamento e mettersi al passo con i tempi. E questo lo devono capire tutti; anche quelli che vorrebbero usare il referendum per far cadere Renzi".

Proprio su quest'ultimo punto, Napolitano osserva l'errore commesso dal presidente del Consiglio.

    "Renzi non avrebbe dovuto dare questa accentuazione politica personale; ma solo un ipocrita può dire che, se ci fosse un rigetto su una questione così importante, su cui il governo si è tanto impegnato in Parlamento, non si porrebbe un problema per le sue sorti. Renzi ha sbagliato a metterci un tale carico politico: se vince il Sì vince la riforma, vince l’interesse generale del Paese; non è un trofeo che Renzi possa impugnare, non è un’incoronazione personale. Di recente Renzi nel discorso alla Camera prima del voto definitivo sulla legge ha corretto il tiro, ha evitato quella accentuazione, è entrato nel merito".

Napolitano respinge le accuse a suo carico di eccessivo interventismo.

    "Chi lo fa ignora l’articolo della Costituzione che sancisce che il presidente della Repubblica uscente diviene senatore a vita, mettendo la sua esperienza e il suo equilibrio al servizio dell’interesse nazionale. Lasciamo stare le stupidaggini di chi immagina che io abbia poteri che non ho più. Sono in grande sintonia con l’operato del presidente Mattarella, sono suo amico da anni, ho con lui rapporti limpidissimi. Il resto sono sciocchezze che trovo sia su giornali impegnati in una campagna contro di me fin da quando ero al Quirinale, sia in bocca a esponenti del centrodestra che vennero a chiedermi la disponibilità a essere rieletto, forzando la mia volontà". [...] nel 2013 "in Parlamento c’era la maggioranza in una Camera e non nell’altra. Tutti i partiti si impegnarono a fare una nuova legge elettorale e la riforma costituzionale. Ritenni di non potermi tirare indietro. E il mio ulteriore sforzo fu riconosciuto con tale ampiezza in Italia e fuori Italia, che posso abbandonare al loro destino quelli che applaudirono il mio polemico discorso alle Camere del 2013 e oggi conducono la loro campagna faziosa".

Tema Europa. Si sta sfasciando tutto?

    "Viviamo una grave crisi dell’unità europea e del processo di integrazione. Ma abbiamo appena vissuto un intervento storico del presidente degli Stati Uniti, che non è stato sottolineato abbastanza. Obama si è rivolto ai popoli europei e alle leadership. Ha fatto capire che gli Usa non vogliono più trattare con i singoli Stati europei, ma con l’Europa nel suo insieme. Ha detto che la relazione speciale tra Washington e Londra non avrebbe più senso se Londra non restasse nell’Ue. E ha usato un’espressione che mi ha colpito per la sua durezza: “È nella nostra natura umana l’istinto, quando il futuro appaia incerto, di ritrarsi nel senso di sicurezza e di conforto della propria tribù, della propria setta, della propria nazionalità». Insomma, Obama ha messo gli impulsi neonazionalistici sullo stesso piano degli istinti tribali" [...] "Il problema è come i Paesi dell’Europa centro-orientale sono entrati nell’Unione. Quando si decise l’allargamento non si ebbe un chiarimento pieno su principi e valori fondamentali dell’integrazione: la cessione di sovranità, l’esercizio di una sovranità condivisa, l’interesse comune europeo. Anche da questi nodi non sciolti dipende il comportamento di Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, e purtroppo ora anche Polonia".

Capitolo Libia, l'Italia deve farsi trovare pronta a un intervento.

    "Per troppo tempo l’Europa ha poggiato sulle spalle degli Stati Uniti per difesa e sicurezza. Questo non è più possibile, nemmeno finanziariamente, per Washington. Sono maturi i tempi per una difesa comune europea: se ne discute dal 1952". [...] "Mi pare che dopo qualche confusione iniziale sia stata tracciata una linea abbastanza netta: l’Italia è pronta ad assumersi un ruolo per stabilizzare la Libia, costruire istituzioni e forze armate degne di questo nome. Occorrono un invito da parte del governo libico — purché non sia il governo di una parte ma della Libia intera —, e un passo da parte dell’Onu, che pare orientato a conferire il mandato all’Italia. E nella lotta all’Isis dobbiamo fare la nostra parte ovunque secondo una divisione di compiti all’interno della grande coalizione mondiale contro il terrorismo".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/05/03/giorgio-napolitano-riforme_n_9826004.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001


Titolo: Napolitano: i confini del premier non sono dilatati - di GIORGIO NAPOLITANO
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 05, 2016, 12:22:45 pm
Napolitano: i confini del premier non sono dilatati
Di GIORGIO NAPOLITANO

04 ottobre 2016

Caro Professore, la ringrazio naturalmente per i generosi riconoscimenti rivolti alla mia persona già all'inizio della lettera: riconoscimenti peraltro introduttivi a domande insinuanti e ad aspre quanto infondate considerazioni relative al mio atteggiamento sulla riforma costituzionale approvata dal Parlamento.

Premetto che escludo di poter rispondere giornalisticamente su questa materia a questioni o osservazioni di singole personalità. Lo faccio qui brevemente, ed eccezionalmente, per cortesia verso il Direttore de La Repubblica.

Ma in generale, rinvio chiunque a quanto in materia ho detto e mi riservo di dire pubblicamente, rivolgendomi alla generalità degli interessati al confronto referendario in atto.

Ribadisco qui solo che non ho mai "mutato radicalmente" la posizione che assunsi sulla "riforma Berlusconi- Bossi": della quale d'altronde non potetti nemmeno occuparmi ampiamente, o "vigorosamente", in quanto entrai in Senato, chiamatovi come Senatore a Vita dal Presidente Ciampi, appena in tempo per pronunciare un sintetico intervento alla fine della discussione e alla vigilia del voto finale, il 15 novembre 2005. Una lettura non unilaterale e strumentale di quel mio testo mostra chiaramente che considerai essenzialmente come "inaccettabile", di quella legge di riforma, il "voler dilatare in modo abnorme i poteri del primo ministro", con un evidente "indebolimento dell'istituto supremo di garanzia, la Presidenza della Repubblica". Del che non vi è traccia nella riforma attuale.

Diversi punti poi toccati dalla sua lettera, e sollevati da altri, hanno già ricevuto puntuali risposte da parlamentari autorevoli che sono stati gli effettivi protagonisti della definizione della legge, articolo per articolo, su cui il Parlamento si è espresso a larga maggioranza anche in Senato. Lei ne ha certamente preso nota, studiando e citando anche qualche fonte non italiana.

In quanto a me non sono, com'è ovvio, come Senatore di Diritto e a Vita, rappresentante elettivo della nazione, ma mi sentirò pienamente a mio agio anche nel nuovo Senato grazie a titoli di rappresentanza che mi sono stati conferiti con l'elezione a Presidente della Repubblica e con il successivo status attribuitomi dall'art. 59 della Costituzione.

Infine, per quanto mi riguarda, più in generale ho esposto organicamente le mie posizioni e i miei argomenti di carattere storico-istituzionale nell'ampio intervento in discussione generale alla I Commissione del Senato il 15 luglio 2015 (e nella dichiarazione di voto resa in Aula il 13 ottobre 2015). Sono certo che lei - nella lodevole grande attenzione che ha riservato a queste questioni, pur lontane dal campo di ricerca e di insegnamento in cui ha saputo eccellere - abbia letto attentamente il testo di entrambi quei miei interventi, peraltro facilmente a tutti accessibile. Per ausilio pratico, gliene invio comunque copia.

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04 ottobre 2016

Da -


Titolo: Giorgio NAPOLITANO. Per l’Europa la prova del coraggio
Inserito da: Arlecchino - Marzo 16, 2017, 05:10:00 pm
Per l’Europa la prova del coraggio

Pubblicato il 11/03/2017 - Ultima modifica il 11/03/2017 alle ore 07:26

Giorgio Napolitano

Le voci che si sono levate dai maggiori leader europei negli incontri di Malta e ancor più di Versailles, dovrebbero farci ritenere che all’interno dell’Unione europea si stia in qualche modo arrivando al dunque. 

Ma quando Capi di Stato e di governo come la Cancelliera tedesca e il Presidente francese gettano l’allarme per i rischi estremi che corre la costruzione europea, l’Unione, se continua a restar ferma, non si può poi sottoscrivere una solenne Dichiarazione comune di tono idilliaco. 

E’ un fatto anche comprensibile che alla scelta di rottura prevalsa in Inghilterra si sia voluto opporre un’immagine di unità di tutti gli altri Stati membri dell’Unione. Ma è egualmente un fatto che si sia accettato di non prendere decisioni urgenti e mature su temi essenziali per l’Europa, come quello delle migrazioni, o di vederle ignorate, violate, contraddette radicalmente da una parte dei governi dell’Unione. E’ proprio ciò quel che è accaduto, anche in termini di sfida e di negazione brutale di valori costitutivi del progetto europeo come la solidarietà.

Ma è giunto il momento che quanti ne sentano l’imperiosa necessità, dichiarino con coraggio la volontà di procedere ai necessari sviluppi del processo di integrazione, anche in assenza di un consenso unanime. Ciò significa seguire il metodo di una differenziazione che è stato già largamente operante nella storia della costruzione europea. Si può, anzi si deve discutere con grande ponderazione quali problemi susciti la formula di un’Europa a più velocità o a due velocità. Ma la sostanza è che non si può subire il condizionamento paralizzante di membri, per lo più di recente data, dell’Unione europea che probabilmente non hanno incorporato nella loro visione l’idea stessa di una sovranità europea condivisa il cui esercizio è affidato alle istituzioni dell’Unione. 

Stupisce che ci siano reazioni anche pesanti al proposito espresso in queste settimane da Paesi fondatori dell’Europa unita di realizzare impegni già elaborati in termini di obiettivi e tabella di marcia da parte dei Presidenti delle cinque istituzioni europee. Non si vuole discriminare o escludere nessuno, ma solo prendere atto delle indisponibilità di governi soprattutto dell’Europa centrale e orientale a condividere l’attuazione di quegli impegni. Governi o Paesi che hanno goduto dei benefici dell’ingresso nell’Unione europea e adesso resistono al chiarimento che noi ci auguriamo avvenga a Roma per il 60° anniversario dei Trattati in queste sofferte settimane di marzo.

Ora il Primo ministro polacco, a nome di un gruppo V4 che a quanto pare si esprime separatamente, pone condizioni e annuncia divisioni e ritorsioni in nome di quell’unità di facciata tra i 27 di cui si fa paladina e che ha tenuto bloccata per lunghi mesi l’Unione.

La Comunità europea non si lasciò intimidire dalla politica della «sedia vuota» del Generale De Gaulle, né dalle pretese della Signora Thatcher, proseguì tra alti e bassi nel cammino dell’integrazione fino a giungere all’adozione della moneta unica. All’Unione non resta che rinnovare quegli esempi di coerenza e di fermezza.

Intanto, dal Consiglio europeo di giovedì giungono le parole del paragrafo dedicato, nelle conclusioni, al tema «migrazione»: «Per quanto riguarda la dimensione interna, l’effettiva applicazione dei principi di responsabilità e di solidarietà resta un obiettivo condiviso». Si insiste dunque nella tendenza a dare una rappresentazione a dir poco ipocrita della cruda realtà che l’Unione sta vivendo a questo proposito. Sembra che nessuno abbia sentito e visto qualche giorno fa un nuovo discorso di ossessione xenofoba del Primo ministro ungherese e le immagini di una rassegna del corpo speciale di guardie in uniforme che è stato istituito in quel Paese, già solcato da barriere e da filo spinato, per dare la caccia agli immigrati. La verità è che, di fronte a un’ondata tumultuosa e massiccia di richiedenti asilo e di migranti economici, si sono manifestate tra i 27 le contrapposizioni più gravi. Anziché tendere responsabilmente a una sintesi unitaria per quanto difficile, tra esigenze e concezioni della sicurezza, valori europei, diritti universali, imperio della legge e sensibilità umana e morale verso i tanti (anche tanti bambini) trattati barbaramente e in troppi casi portati alla morte da trafficanti criminali, non pochi governi hanno rifiutato ogni corresponsabilità e hanno obbedito a impulsi e calcoli nazionalistici senza sbocco.

Conforta certo che proprio per iniziativa e con l’apporto dell’Italia l’Europa faccia passi avanti per quel che riguarda la «dimensione esterna» del fenomeno migrazione come fenomeno di lungo periodo e ci si muova per affrontarlo in una prospettiva di cooperazione euro-mediterranea, come la Germania ci propone di fare stabilendo un gruppo di contatto tra Europa ed Africa settentrionale. Ma alla questione nel suo insieme si potranno dare le giuste risposte solo se i più consapevoli membri dell’Unione rifiuteranno le finzioni e si risolveranno ad andare avanti comunque su questo come su tutti gli altri temi essenziali.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/11/cultura/opinioni/editoriali/per-leuropa-la-prova-del-coraggio-P4YMwNonnocsPmmByrxklK/pagina.html


Titolo: Giorgio NAPOLITANO. Come l’Italia deve stare in Europa
Inserito da: Arlecchino - Aprile 08, 2017, 05:16:40 pm
Come l’Italia deve stare in Europa

Pubblicato il 08/04/2017 - Ultima modifica il 08/04/2017 alle ore 01:30

GIORGIO NAPOLITANO
L’approvazione unanime della Dichiarazione di Roma del 25 marzo ha rappresentato un non trascurabile successo di immagine e politico, grazie a uno sforzo di prudenza conciliativa, che lascia tuttavia aperte serie incognite e difficoltà per lo sviluppo nel prossimo futuro di un’integrazione più stretta come valore e obiettivo-chiave del progetto europeo. 

Occorrerà dunque ancora molta capacità di meditata iniziativa da parte dei governi e delle forze politiche di più forte impegno europeistico e da parte delle istituzioni dell’Unione, in particolare di quelle che, per loro natura sovranazionale, costituiscono il perno di un’Europa comunitaria.
 
E all’Italia indubbiamente spetta in tale situazione esercitare un ruolo decisivo, insieme agli altri grandi Paesi fondatori. Per fare al meglio la nostra parte, è densa di insegnamenti la riflessione sull’esperienza vissuta in momenti cruciali del processo di integrazione. E qui vorrei collocare l’omaggio che desidero rinnovare alla figura di Nino Andreatta, artefice tra i maggiori dell’apporto di pensiero e di energia politica dell’Italia alla costruzione europea.
 
Lo farò richiamandomi al suo discorso del dicembre 1988 ripubblicato insieme a molti altri dall’Arel in occasione del decimo anniversario della sua scomparsa. Il discorso fu pronunciato in occasione del Convegno tenutosi per rievocare il confronto e la scelta che condussero nel 1978 l’Italia a sostenere la costituzione del Sistema Monetario Europeo e ad aderirvi fin dall’inizio. Andreatta rievocò quel confronto - parlando «di una settimana di passione» da lui allora vissuta e di «un confronto ideale sull’economia, e sulla politica del nostro Paese», i cui problemi furono «la posta di una seria battaglia».
 
Quel che Andreatta disse allora offre indicazioni di grande valore ancora oggi sui punti che così schematizzerei: come affermare le ragioni e il peso dell’Italia nel contesto istituzionale europeo. Come affrontare squilibri ricorrenti nella Comunità e nell’Unione. Quale prospettiva di integrazione perseguire.
 
Ma innanzitutto va detto che quello di Andreatta, eletto per la prima volta in Parlamento nel 1976 - al pari di Altiero Spinelli che si trovò ben presto accanto nella battaglia per l’adesione immediata dell’Italia allo Sme - fu uno dei discorsi più rappresentativi della sua personalità di uomo politico italiano e di europeista per ricchezza di visione storica e di ispirazione progettuale. Colpisce l’acutezza del suo spirito critico e insieme propositivo. E c’è da ribadire ancora oggi quale forza traggano una linea politica, delle scelte politiche, dalla conoscenza approfondita dei problemi e dalla padronanza della loro complessità tecnica. Con buona pace delle fatue rappresentazioni, ora di moda a casa nostra, quasi di un muro che separi politici e tecnici riservando alla politica, magari ai suoi calcoli di convenienza partitica ed elettorale, l’ultima parola sulle scelte di governo.
 
Le ragioni e il peso dell’Italia nel quadro europeo si affermano dando il più accurato e obiettivo contributo di analisi della realtà, ieri della Comunità, oggi dell’Unione. E prospettando soluzioni di carattere europeo per i problemi aperti. Nel 1978, ricordò Andreatta, il problema di «una politica monetaria e valutaria contraddittoria rispetto al problema essenziale del controllo dell’inflazione». E la realtà era quella «della rottura dell’Europa in due parti, quella a moneta debole e quella a moneta forte». Occorrevano regole nuove, pur non essendo ancora maturo l’obiettivo di una comune moneta europea: le regole dell’istituendo Sme. 
 
Andreatta non dissimulava le debolezze dell’Italia, che culminavano nelle frequenti svalutazioni della lira anche per l’assenza nel nostro Paese del consenso, fortissimo in Germania, per la stabilità del marco. Era evidente il rischio (l’espressione fu usata in quel Convegno da Giuliano Amato) di un’Europa «marco-centrica». E l’accordo, tra gli europei, per il complessivo equilibrio e sviluppo del processo di integrazione, doveva essere, nel comune interesse, quello del dar vita allo Sme.
 
Nello stesso tempo, Andreatta contribuiva a progettare il futuro, sia nel 1978 sia nel discorso del 1988, quando parlò di «una politica gestita da una riserva federale europea», di una banca centrale europea da rendere «politicamente possibile... anche dando garanzie ai Paesi che hanno una tradizione di stabilità monetaria» («in Germania si dice che non sarà possibile un’autorità monetaria europea che nel prossimo secolo»). Ma Andreatta confidava nel superamento delle riserve tedesche grazie ad una «diplomazia di ampio raggio politica ed economica». E in effetti, come sappiamo, alla soglia degli Anni 90 si riuscì politicamente a far nascere l’Euro e la Bce.
 
Ancor oggi, per il superamento degli attuali squilibri in seno all’Unione europea non si vede altra via che quella di un’integrazione più stretta, necessariamente differenziata. Siamo grati ad Andreatta, per ricordarcelo ancora col suo esempio e i suoi messaggi.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/04/08/cultura/opinioni/editoriali/come-litalia-deve-stare-in-europa-ktVci7gCiqC5L5fXUFShsJ/pagina.html


Titolo: Re: Giorgio NAPOLITANO.
Inserito da: Arlecchino - Giugno 08, 2017, 10:57:56 am
Legge elettorale, Napolitano: "Voto anticipato colpo a credibilità del Paese".
E Prodi approva

Il presidente emerito interviene pesantemente nel dibattito e sull'accordo sul sistema tedesco rivisto dice: "Intesa di 4 leader solo per convenienza".

In serata l'ex premier parla di un "vulnus" e di una legge elettorale "opposta a quel che volevamo".

E spera nella capacità di unire di Pisapia. E dal Colle, in caso di accordo politico sulla legge elettorale, trapela una preferenza sulle elezioni a fine settembre

06 giugno 2017

ROMA - E' il giorno in cui alcuni dei padri fondatori del Pd - e prima ancora dell'Ulivo - fanno sentire la loro voce, nel debutto alla Camera della legge elettorale frutto dell'accordo a 4 Pd-Fi-Lega-M5s. Ed è un voce che esprime critiche profonde. Inizia il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano. Toni inusualmente duri: "Il voto anticipato è paradossale, è un colpo alla credibilità del Paese". E ancora: "in tutte le democrazie si vota a scadenza naturale. Questa è una legge elettorale fatta da quattro leader per calcolo di convenienza". Una pesante entrata nel dibattito sul voto anticipato e sulla legge elettorale, che lo pone automaticamente (per storia e ruolo) a capofila del fronte contrario alle elezioni anticipate.

"Siamo di nuovo alle prese con il tema dell'instabilità di governo - dice il senatore a vita in un convegno al Senato - e ciò è aggravato, sul piano dell'immagine e dei rapporti politici, dal prospettare, senza neppure offrire motivazioni appena sostenibili, ipotesi di date per elezioni anticipate, e, in conseguenza, per scadenze di governo e parlamentari, come la presentazione del bilancio dello Stato per il 2018. In tutti i paesi democratici europei si vota alla scadenza naturale delle legislature: fare diversamente significa dare il massimo contributo negativo al consolidamento della credibilità politico-istituzionale del paese".

SCHEDA. Come funziona il 'tedesco all'italiana'

Ma è solo la prima bordata. In serata, arriva anche il commento di Romano Prodi. Rispondendo nella trasmissione 'Cartabianca' alle domande di Bianca Berlinguer, Prodi sintetizza senza esitazioni: “Ogni legislatura ha una data di scadenza precisa, che dà stabilità. Bisognerebbe andare a fondo di questo periodo. Lo vedo un po' un vulnus anticipare". Per passare a un giudizio ancora più negativo sulla legge elettorale: "Non è la legge che volevamo. Una legge elettorale non deve fotografare un Paese ma dare un governo stabile. Si è sempre detto che la sera delle elezioni si deve avere il governo: se c'è una legge che rende quasi impossibile questo è la legge che si sta approvando in cui ogni partito custodisce il proprio voto, ma il quadro che può governare il paese rimane del tutto indefinito, a meno che non ci sia un partito con la maggioranza assoluta".

Poi l'attacco a Grillo: "In questo momento attua una strategia molto intelligente dal punto di vista elettorale, cioè non fare scelte precise, ma concentrarsi sulla critica. E siccome l'economia fatica, la disoccupazione è tanta, la congiuntura è stata difficile, concentrarsi sulla critica vuol dire accogliere il favore di tutti e non fare niente vuol dire non scontentare nessuno. Però il governo è un'altra cosa, il governo purtroppo è scontentare e scegliere".

Poi quello che appare un primo, timido endorsement per Pisapia: "A Milano ha unito, non solo a sinistra, anche verso la borghesia milanese - dice Prodi - . Lo descrivete come un 'rifondarolo'... Pisapia è uno che ha unito la borghesia milanese con una forza di sinistra e questo è il compito di un partito di centrosinistra, come ho fatto con l'Ulivo".

Al Quirinale infine si prende atto che i principali partiti chiedono di andare al voto, subito dopo l'approvazione della legge. Il Colle per ora assiste al dibattito politico da spettatore attento. C'è un governo in carica e ci sono scadenze da rispettare a cominciare dalla legge di Stabilità. Se la maggioranza verrà meno non ci saranno altri tentativi. Ma, è il ragionamento, se si andrà al voto anticipato meglio a settembre che in autunno, in concomitanza con le elezioni tedesche.

© Riproduzione riservata 06 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/06/news/elezioni_anticipate_napolitano-167428632/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P2-S1.6-T1


Titolo: Giorgio NAPOLITANO: "Voto anticipato colpo a credibilità del Paese"
Inserito da: Arlecchino - Giugno 08, 2017, 11:20:00 am
Legge elettorale, Napolitano: "Voto anticipato colpo a credibilità del Paese"

Il presidente emerito interviene pesantemente nel dibattito e sull'accordo sul sistema tedesco rivisto dice: "Intesa di 4 leader solo per convenienza"

06 giugno 2017

ROMA - "Il voto anticipato è paradossale, è un colpo alla credibilità del Paese" e ancora "in tutte le democrazie si vota a scadenza naturale. Questa è una legge elettorale fatta da quattro leader per calcolo di convenienza". Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano entra pesantemente nel dibattito sul voto anticipato e sulla legge elettorale, diventando automaticamente, per storia e ruolo, il capofila del fronte contrario alle elezioni anticipate.

"Siamo di nuovo alle prese con il tema dell'instabilità di governo - dice il senatore a vita in un convegno al Senato - e ciò è aggravato, sul piano dell'immagine e dei rapporti politici, dal prospettare, senza neppure offrire motivazioni appena sostenibili, ipotesi di date per elezioni anticipate, e, in conseguenza, per scadenze di governo e parlamentari, come la presentazione del bilancio dello Stato per il 2018. In tutti i paesi democratici europei si vota alla scadenza naturale delle legislature: fare diversamente significa dare il massimo contributo negativo al consolidamento della credibilità politico-istituzionale del paese".

"L'elemento d'incertezza da rimuovere è l'instabilità di governo - ha continuato l'ex capo dello stato - lo spettro dell'instabilità è riaffiorato subito dopo l'insediamento e il positivo avvio del governo Gentiloni: è da febbraio che hanno cominciato a inseguirsi voci e pressioni per elezioni anticipate "al più presto" e il rischio di un'ingiustificata e irragionevole precipitazione è stato evitato dal consolidarsi del consenso attorno al governo Gentiloni e dal fermo richiamo di Mattarella all'interesse generale e a una corretta prassi costituzionale".
 
© Riproduzione riservata 06 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/06/news/elezioni_anticipate_napolitano-167428632/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1


Titolo: Giorgio NAPOLITANO. La rinascita dell’Europa protagonista
Inserito da: Arlecchino - Settembre 25, 2017, 11:26:44 am
La rinascita dell’Europa protagonista
Pubblicato il 22/09/2017

GIORGIO NAPOLITANO

Nel contesto di sconvolgenti mutamenti geopolitici e di inedito disordine mondiale che è emerso nel nostro tempo, e messa di fronte a sfide senza precedenti, l’Europa nata da uno storico progetto di integrazione e unità sta ritrovando e rinnovando le sue ragioni e la coscienza delle proprie responsabilità. Sono riapparsi particolarmente in piena luce il valore e il ruolo di una politica estera e di sicurezza comune europea: anche rispetto all’acuirsi o all’accendersi di molteplici tensioni nei rapporti bilaterali tra vecchie e nuove, medie e grandi potenze extra-europee. Ed egualmente sono tornati in primo piano il valore e il ruolo dell’unità europea, su tutti i piani, nel fronteggiare l’attacco concentrico all’Europa del terrorismo islamico, divenuto nemico primario di tutto il mondo civilizzato. 

In pari tempo, nello scontro con le offensive populiste e rispetto alle regressioni sul piano ideale e nel senso comune che esse hanno alimentato, l’Europa ha teso a sentirsi e farsi portatrice più che mai del suo patrimonio storico di ideali e di valori.
 
Eva sottolineato come essa abbia saputo raccogliere e far propria la grande tradizione di libertà, di identificazione con ogni sfera e causa di libertà, propria del mondo anglosassone e tempratasi nel fuoco della seconda guerra mondiale. 
 
E’ un vero e proprio ripresentarsi dell’Europa sulla scena quel che innegabilmente si è prodotto e manifestato a partire dalla primavera del 60° anniversario dei Trattati di Roma e, tra l’altro, attraverso assai significative vicende elettorali, culminate nelle presidenziali francesi e nella vittoria di Emmanuel Macron. 
 
Si è verificato l’apparente paradosso del rovesciamento dell’offensiva euro-scettica ed euro-distruttiva, e del rischio di un tendenziale fatale indebolimento dell’Europa costituito da diversi fatti e fenomeni. Tra questi, sul piano politico, la Brexit e l’elezione del presidente Trump negli Stati Uniti; e su un più ampio versante politico e sociale, la dilagante ondata di migranti e di profughi e la conseguente durissima crisi umanitaria. Anziché farsene travolgere, le più lungimiranti forze politiche e sociali europee hanno teso a rispondervi con una decisa riaffermazione di quel che nel presente e nel futuro rappresenta e può rappresentare per il mondo un’Europa sempre più unita e integrata. 
 
In questo senso si sono manifestate dichiarazioni di volontà politica e coraggiose indicazioni di prospettiva, forse come non mai, in chiave di coerente rilancio e sviluppo del processo di integrazione. Dalla Cancelliera tedesca abbiamo sentito, in risposta alla sfida di Trump su versanti tra i più critici, l’orgoglioso appello: «Noi europei dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani... i tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono in una certa misura finiti». Il nuovo Presidente francese, appena eletto, non ha perduto occasione per ribadire che l’Europa ha da far leva sulla «forza di una sovranità non più nazionale ma pienamente europea». E c’è chi ha detto, guardando ai grandi assi del patrimonio storico-ideale europeo, che l’Europa è rimasta nel mondo d’oggi il luogo della razionalità. 
 
In questo clima, il presidente della Commissione Juncker ha pronunciato nei giorni scorsi un discorso ricco di aperture su questioni centrali e scottanti. Come quella della solidarietà europea nel concepire e rendere praticabili vie legali per l’immigrazione di cui i paesi europei hanno bisogno, in particolare per i provenienti dall’Africa. E ciò nel quadro di una seria grande politica per lo sviluppo del continente africano secondo la vocazione originaria del progetto europeo. Significativo è stato in proposito il riconoscimento giunto da Juncker per le prove date dall’Italia e per la figura del presidente Gentiloni.
 
Inutile dire che su tutti i punti indicati da Juncker resta l’interrogativo del passaggio a puntualizzazioni indispensabili, a decisioni ed azioni conseguenti. 
 
Naturalmente, quando il presidente della Commissione ha detto con felice espressione «Il vento è tornato a soffiare nelle vele d’Europa», si è riferito non secondariamente alla ripresa economica finalmente seguita alla lunga crisi scoppiata quasi dieci anni fa. Ripresa nemmeno pensabile senza l’apporto dell’euro e della Banca Centrale europea, capisaldi della nostra integrazione sovranazionale. 
 
Non sto suggerendo, sia chiaro, un’immagine idilliaca dello stato attuale e un sicuro destino dell’Unione europea. La stessa continuità e forza della ripresa economica in Europa resta sottoposta a incognite, come quelle indicate da Romano Prodi in un recente articolo, illuminante per diversi importanti aspetti, tra i quali l’attuale esplosione del tasso di cambio tra euro e dollaro. Non c’è dubbio che si richiedano scelte attente e nuove, se non vere e proprie svolte, nel campo della politica economica e finanziaria delle istituzioni europee e degli Stati membri. E di ciò tutte le leadership nazionali debbono farsi finalmente consapevoli. 
 
Ma quel che davvero segnerà il nostro destino comune è il superamento di persistenti, profonde ambiguità e incertezze sulla fisionomia dell’unità europea, che non può soltanto essere genericamente assunta come nostro dovere e obbiettivo dominante. 
 
Le procedure di infrazione finalmente scattate, col sostegno della Corte europea di giustizia, nei confronti di governi nazionali dell’Ungheria e della Polonia che hanno tradito valori fondanti del progetto europeo e rotto ogni disciplina nell’Unione ora a 27, ci dicono con chiarezza l’essenziale. E cioè che è ineludibilmente sul tappeto la questione di cerchi o raggruppamenti distinti di Stati europei, ovvero una rifondazione istituzionale, non certo il perseverare in una fuorviante cooperazione intergovernativa. Se non vi si lavora, anche prospettando una revisione dei Trattati vigenti, non solo ogni ipotesi tra quelle enunciate di ulteriore integrazione sovranazionale - ad esempio del governo politico dell’eurozona e finanche di un suo bilancio comune con le relative complesse implicazioni - ma la stessa prospettiva di consolidamento della costruzione europea non si possono presentare come attendibili e onestamente veritiere.
 
Piaccia o no, questo è il guado cui stiamo giungendo, pur nel recente accumularsi di fatti positivi, tra i quali l’atteggiarsi unitario dell’Europa nel G7 di Taormina presieduto dall’Italia. 
 
Anche ciascuno degli Stati membri dell’Unione, che più si caratterizzano per spirito europeista, ha da condurre un severo esame di quel che gli tocca chiarire e correggere a casa propria, spazzando via malintesi, egoismi e pretese nazionali, così come combattendo rigurgiti regressivi non ignorabili. Non assistiamo forse, e non solo in Italia, a un rigurgito di barbarica violenza contro le donne, quasi in odio allo storico processo di emancipazione di cui è stata teatro l’Europa? 
 
Nessuno può sottovalutare, ovviamente, la riflessione che alla Germania tocca fare su se stessa, in quanto paese più grande e società più forte dell’Europa unita. E il campo è aperto anche a franche discussioni a tal proposito tra i governi e in seno alle istituzioni comuni. Ciò appare indispensabile anche perché la Germania svolga un ruolo ancor più lineare e persuasivo nel processo di costruzione europea. Questa in sostanza è la posta delle elezioni tedesche che si svolgeranno domenica.
 
Al tempo stesso è oggi possibile, e più che mai decisivo, il puntare su intense consultazioni e intese tra eguali che facciano perno su protagonisti essenziali come la Germania, l’Italia, la Francia. Il nostro paese è a ciò preparato, e già concorre, in una continuità europeista di lungo periodo, di cui ora è garante il presidente Mattarella.
 
Ma oggi sentiamo di poter guardare a un’Europa che diventi fulcro di un universo straordinario di valori storici e di peculiari ideali così come di potenzialità trascinanti pur in un mondo così travagliato e mutevole.
 
Dobbiamo farlo, spingendo certo lo sguardo verso un imprevedibile domani mondiale, ma senza anticipare e dare per fatale addirittura l’emarginazione e subordinazione dell’intero «emisfero settentrionale». 
 
E questo possiamo farlo solo perché nei lontani Anni 50 se ne stava già compiendo la premessa principale. Essa consiste, non dimentichiamolo, nella nascita di un’autentica Germania europea attraverso una vera e propria mutazione generazionale e culturale di massa che l’ha condotta fuori dalle barbariche aberrazioni del nazismo, liberandola da ogni loro radice. Quel processo è stato portato fino alle estreme e sofferte conseguenze che la nuova leadership tedesca ha saputo trarne a Maastricht, rinunciando allo storico pilastro del marco e collocandosi, con senso del limite, in uno stringente contesto collettivo europeo e nell’obbiettivo di una vera e propria integrazione politica dell’Europa.

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