Giorgio NAPOLITANO.
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LA RUSSIA DI PUTIN
L’ex presidente Napolitano: «Non possiamo isolare la Russia»
Dopo l’intervista a Putin sul «Corriere della Sera», l’ex presidente parla dei rapporti con la Russia. E sull’Ucraina cita Kissinger: «Il suo ruolo è farsi ponte fra Europa e Mosca»
Di Paolo Valentino
ROMA «L’evoluzione delle dediche dei suoi libri segna quella dei nostri rapporti», spiega Giorgio Napolitano parlando di Henry Kissinger. Il senatore a vita tira fuori un volume dallo scaffale dietro la scrivania del suo ufficio a Palazzo Giustiniani. «Questo ( Crisis ) me lo mandò molti anni fa. E’ un’edizione speciale, fuori commercio. Come vede siamo ancora a «every good wish» (con i migliori auguri, ndr ). Qualche anno dopo, sull’edizione americana di On China, la dedica fu: «To President Giorgio Napolitano with admiration and a long friendship (con ammirazione e lunga amicizia, ndr )». L’ultima è di tre mesi fa, quando Napolitano ha ricevuto una copia di World Order, magistrale affresco dell’ex segretario di Stato sullo stato del mondo. «Ha scritto: “to Giorgio Napolitano, friend of a life time”, amico di una vita. Ho pensato che sarebbe stato più corretto dire amico di metà vita, dal momento che nella sua prima parte non ci conoscevamo neppure e potevano naturalmente esserci tra di noi reciproche diffidenze. Ma ormai ci unisce una vera amicizia».
L’occasione per dirglielo, Giorgio Napolitano l’avrà all’American Academy di Berlino mercoledì prossimo, quando riceverà proprio dalle mani di Kissinger il premio che porta il suo nome. L’ex presidente della Repubblica è la prima personalità non tedesca e non americana a ottenere il prestigioso riconoscimento, che onora i campioni dei rapporti transatlantici e che nell’albo d’oro vede anche George Bush padre, Helmut Schmidt, Helmut Kohl e Richard von Weizsaecker. Sarà l’approdo comune di due percorsi iniziati da posizioni contrapposte sulla faglia ideologica che divise il secolo breve, ma entrambi caratterizzati da continua evoluzione, dettata da una lettura attenta della realtà internazionale e dei rapporti sottostanti.
«Kissinger non smette di sviluppare la sua visione e il suo pensiero. Mi ha colpito come lui, considerato in modo banale assertore della legge del potere nei rapporti fra gli Stati, definisca nel suo ultimo libro le due condizioni dell’ordine: potere e legittimità. E come affermi nettamente che “calcoli di potere senza una dimensione morale trasformeranno ogni disaccordo in una prova di forza e che d’altra parte prescrizioni morali senza una preoccupazione per l’equilibrio tendono a portare o alle crociate o a una politica impotente”. Ecco, riguardo al premio, che per me è motivo di sincera gratificazione, penso che lui abbia voluto considerare l’arco della mia esperienza, fatta di riflessioni critiche, revisioni e nuovi sviluppi, scoprendo questa strana persona che era stato un dirigente comunista italiano, da anni personalmente interessato all’America».
La leggenda vuole che in occasione del viaggio negli Stati Uniti di un capo di Stato italiano, questi durante un pranzo spezzasse una lancia in favore del Pci, parlandone in modo non completamente negativo. E che fosse proprio Kissinger a gelarlo: «Comunisti? Sono tutti uguali». Qualche anno dopo, nel 1975, Giorgio Napolitano fu invitato ad Harvard, dal direttore dell’Istituto di Studi europei, Stanley Hoffman, che in quell’incarico era succeduto proprio a Kissinger. Occorsero però tre anni e l’arrivo dell’Amministrazione Carter perché il ministro degli Esteri di Botteghe Oscure potesse metter piede negli Usa.
Kissinger e Napolitano si sarebbero conosciuti soltanto alla metà degli Anni Ottanta. «Quando ci presentarono mi disse: era molto tempo che dovevamo incontrarci. Io risposi: non è colpa mia. Lì scattò questa scintilla reciproca di simpatia. Da allora ci siamo visti numerose volte e non rivelo nulla di nuovo quando ricordo che il nostro rapporto fu mediato dall’avvocato Agnelli».
Proprio da una riflessione di Henry Kissinger, Giorgio Napolitano parte quando gli chiedo di ragionare sui rapporti tra l’Occidente e il Cremlino, intorbiditi dalla crisi ucraina. «Apparve nel marzo 2014 un suo articolo sul Washington Post , dove diceva chiaramente che se Occidente e Russia giocano a chi la tira dalla propria parte, non ci sarà avvenire per l’Ucraina, il cui ruolo può essere solo nel farsi ponte tra Russia ed Europa. Posizione illuminata, che però non è stata fatta propria da nessuna delle due parti. Di più, in quell’articolo Kissinger ricordava che sette anni prima lui si era pronunciato contro ogni velleità di portare l’Ucraina nella Nato».
Oggi, secondo Napolitano, «non ci può essere una pura strategia punitiva o di isolamento nei confronti della Russia, ammesso che questa si faccia isolare e non si giri da qualche altra parte». E si dice «sorpreso dalla frase di Barack Obama, del quale pure resto ammiratore e col quale ho un serio rapporto di amicizia, quando ha detto che Putin vuole ricostituire un impero. Dove sono le condizioni perché questo accada? Gli scambi di accuse tra Washington e Mosca sono scoraggianti: si polemizza da una parte su nuovi missili russi, dall’altra su sottomarini americani al largo della Norvegia pronti al lancio di testate nucleari. C’è tutta la retorica della Guerra Fredda, ma null’altro di simile al contesto di allora».
L’errore commesso verso Mosca dagli occidentali in questa fase, così l’ex presidente, consiste «nel sovrapporre alla necessità di una soluzione politica corretta del caso Ucraina, che può essere basata solo sulla piena applicazione degli accordi di Minsk, una specie di tabula rasa di tutta la strategia di cooperazione che avevamo costruito con la Russia e che ha dimostrato di essere valida e produttiva. D’altronde il segretario di Stato americano John Kerry, in visita a Sochi da Putin, ha detto che abbiamo cinque terreni sui quali cooperare, dalla lotta all’Isis al nucleare dell’Iran. E ho anche apprezzato la risposta data da Putin nell’intervista a lei e al direttore del Corriere Fontana: «Siamo alleati contro il terrorismo, le armi di distruzioni di massa e nella soluzione delle crisi regionali».
Dall’Ucraina all’Unione Europea, squassata dalla crisi, divisa dai suoi conflitti interni, contestata da pezzi crescenti delle sue opinioni pubbliche. «Oggi - dice Napolitano - dobbiamo evitare l’illusione deviante della non Europa, il miraggio che esistano soluzioni ai problemi dei nostri Paesi al di fuori di un’integrazione sempre più stretta, dell’obiettivo di una “unione sempre più vicina” rimasto nel Trattato di Lisbona. Chi prospetta altro e chi passa da una giusta critica delle insufficienze della Ue a una posizione distruttiva, propone solo il ritorno a follie nazionalistiche». Ma l’ex presidente è cauto sulla necessità di un Paese guida: «Le leadership si possono affermare, ma contribuendo alla linea comune. Non possiamo idoleggiare l’ipotesi di un Paese guida ovvero reagire invocando alternative alla Germania. Le istituzioni europee devono essere fortemente riviste, perché hanno un doppio problema di funzionalità e comprensibilità agli occhi dei cittadini, ma possono garantire una direzione collegiale. Poi, chi ha più filo tesserà. Certo oggi l’impulso che viene da Berlino è trascinante, tuttavia contrastato e per certi versi discutibile nelle indicazioni di politica comune che esprime».
Tornando a Kissinger e alla necessità di costruire un nuovo ordine mondiale, Giorgio Napolitano nota la «pretenziosità» del G7, ormai non più in grado di dettare l’agenda dello sviluppo mondiale. E indica nel G20, nonostante alcune carenze della sua composizione come la scarsa presenza dell’Africa, il «luogo privilegiato di una nuova governance mondiale multilaterale».
14 giugno 2015 | 11:35
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_giugno_14/ex-presidente-napolitano-non-possiamo-isolare-russia-e52870ee-1276-11e5-85f1-7dd30a4921d8.shtml
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Napolitano: "Perché la riforma del Senato non minaccia la democrazia"
L’ex presidente della Repubblica replica a Scalfari: “Superare il bicameralismo paritario è essenziale per il funzionamento delle nostre istituzioni”
Di GIORGIO NAPOLITANO
11 agosto 2015
Caro Eugenio,
l'ampio spazio che mi hai dedicato nel tuo editoriale di domenica ancora in uno sforzo di dialogo sulla materia che oggi ci vede divergere, è un nuovo segno della nostra amicizia. Amicizia antica, nutritasi di molte radici, esperienze e sentimenti comuni, che, pur nella diversità dei rispettivi percorsi personali, non rinuncia a ogni possibile chiarimento e avvicinamento che possa riuscire utile non solo a noi ma ben più in generale.
E vengo al dunque nello stesso tono, aperto a comprendere e rispettare le ragioni dell'altro, che ha caratterizzato il tuo editoriale. Scusandomi peraltro se dovrò ritornare brevemente su qualche argomento da me sviluppato nell'intervento del 15 luglio in sede di discussione generale della 1^ Commissione del Senato, e forse anche da te non abbastanza considerato.
1. Innanzitutto, non ho, nemmeno nella mia lettera al Corriere della Sera , sostenuto che il testo della riforma debba essere approvato così come è attualmente. Ho anzi messo in evidenza in quel mio articolo l'importanza del richiamo da parte della presidente Finocchiaro sia ai consensi espressi da molti senatori e molti studiosi "auditi" in Commissione, sia dei consigli da essi ricevuti per "modifiche e puntualizzazioni" del testo in discussione al Senato, purché non risultino "dirompenti" rispetto all'impianto già definito della riforma.
2. Tu hai scritto che a me "preme più che mai vedere la riforma portata a buon fine da Renzi": ma a me sarebbe egualmente premuto che una tale riforma venisse varata da qualsiasi precedente Presidente del Consiglio. Si sta finendo per parlare dell'approvazione di questa riforma essenzialmente in funzione di come si giudica, di che cosa ci si aspetta o si teme dall'attuale Presidente del Consiglio. Ma questi era anni luce lontano dall'entrare nel firmamento politico nazionale quando la necessità e l'idea di una revisione costituzionale, relativa in particolare al superamento del bicameralismo paritario venivano affermate da tutt'altre personalità politiche e di governo: a cominciare da subito dopo l'Assemblea Costituente, fino ai mesi del governo Letta (dalle conclusioni del gruppo di lavoro da me istituito nel marzo 2013 alla relazione della Commissione di cui fu presidente il ministro Quagliariello).
3. Come si può ritenere che la riforma in discussione costituirebbe il "contrario", segnerebbe la fine, della democrazia parlamentare? La posizione in materia di revisione costituzionale che tu riconosci caratterizzarmi da molti anni, è in realtà quella propria di molte personalità politiche e istituzionali confluite nel centrosinistra. Voleva forse Leopoldo Elia "il contrario della democrazia parlamentare" quando propugnava "una nuova forma di governo parlamentare", vedendo nella "criticità dell'assetto costituzionale di vertice della Repubblica il punctum dolens più evidente"? O voleva forse il centrosinistra buttare a mare la democrazia parlamentare quando votò, nella Commissione bicamerale del 1997-1998, per il passaggio al "premierato", al governo cioè del primo ministro?
4. La questione essenziale è che non si lasci in piedi, attraverso l'elezione a scrutinio universale anche del Senato della Repubblica, la compresenza di due istituzioni rappresentative della generalità dei cittadini, sottraendo al Senato solo (e a quel punto insostenibilmente!) il potere di dare la fiducia al Governo. L'essenziale è dar vita a un nuovo Senato che arricchisca la democrazia repubblicana dando ad esso la natura di una istituzione finora assente che rappresenti le istituzioni territoriali. Altrimenti di fatto il superamento del bicameralismo paritario non ci sarebbe. Rimarrebbero intatti i fattori di fragilità e debole capacità deliberativa dell'esecutivo, si lascerebbe il paese in quell'assoluta incertezza e tortuosità dei percorsi di approvazione delle leggi, che ha offerto spinte e alibi al degenerativo precipitare del rapporto Governo-Parlamento nella spirale dei decreti legge, dei voti di fiducia, dei maxiemendamenti e articoli unici. È dunque in discussione non uno schema astratto di riforma o un qualche puntiglio politico, bensì una esigenza vitale per un valido funzionamento, specie nell'attuale fase storica, del sistema democratico italiano. Senza farsi dominare da quella "paura dei pericoli" (evocata in una guizzante definizione di Gramsci), che può solo far naufragare per l'ennesima volta nell'inconcludenza il necessario processo riformatore. Si tenga ragionevolmente conto di ciò, nella libertà di sollevare legittimamente, senza far polveroni, qualsiasi questione relativa a posizioni, questioni, modi di governare che riguardino il Presidente Renzi.
Per finire, ringraziando te e la Repubblica per l'ospitalità, lascia che ti tranquillizzi: sono certo che non mi troverò, per nessun aspetto, in una posizione imbarazzante rispetto a qualsiasi parere possa esprimere il Presidente Mattarella, in quanto in ogni caso mi rimetterò con pieno rispetto all'autonomo esercizio del suo insindacabile mandato. E magari lasciamo stare certe analogie, che non tu ma qualche altro evoca con strumentale e ridicola rozzezza, fra un altro Emerito di somma autorità spirituale e un ex Presidente della Repubblica che la nostra Carta ha voluto senatore di diritto e a vita, ovvero membro attivo di una istituzione parlamentare a cui possa dare in piena indipendenza il contributo della sua esperienza. Non un titolo onorifico o una sine cura, ma un compito e un dovere di operoso impegno.
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11 agosto 2015
Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/08/11/news/_perche_la_riforma_del_senato_non_minaccia_la_democrazia_-120775571/?ref=HRER2-1
Arlecchino:
Libia, Giorgio Napolitano: "No a vecchio pacifismo, ma prima di intervenire pensarci mille volte"
L'Huffington Post | Di Redazione
Pubblicato: 09/03/2016 12:43 CET Aggiornato: 4 ore fa
"Non si può accettare l'idea che il ricorso alle armi, nei casi previsti dallo statuto delle nazioni unite, sia qualcosa di contrario ai valori e alla storia italiana". Lo ha detto il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, intervenendo in senato dopo l'informativa del ministro degli esteri Paolo Gentiloni.
L'ex capo dello stato ha avvertito: "generare l'illusione che non abbiamo mai nel nostro futuro la possibilità di interventi con le forze amate in un mondo che ribolle di conflitti e minacce sarebbe ingannare l'opinione pubblica e sollecitare un pacifismo di vecchissimo stampo che non ha ragione di essere nel mondo di oggi, nel mondo uscito dalla seconda guerra mondiale".
Napolitano ha invitato quindi governo e parlamento a "evitare ulteriori equivoci e prepararci a ciò che dobbiamo fare, in Libia e altrove, per contrastare l'avanzata del terrorismo islamico".
In ogni caso, ha spiegato "prima di agire dobbiamo pensarci non una ma mille volte".
L'ex Capo dello Stato ha fatto riferimento alla cifra fornita qualche giorno fa in una intervista al Corriere della Sera dall'ambasciatore americano, che ha parlato di 5 mila uomini che l'Italia potrebbe inviare in Libia e ha sottolineato che il rappresentante Usa ha "improvvisato quella cifra, è una cifra venuta in mente improvvidamente all'ambasciatore pensando forse a quello che era stato il nostro impegno in Afghanistan, dove abbiamo mandato circa 5 mila uomini. Ho vissuto uno dei momenti più dolorosi della mia esperienza di presidente recandomi a Ciampino ad accogliere le salme dei nostri soldati caduti - ha ricordato Napolitano - sono esperienze che non auguro a nessuno di dover ripetere. Prima di agire dobbiamo pensarci non una ma mille volte", ha concluso Napolitano.
Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/03/09/libia-napolitano-guerra_n_9416238.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001
Arlecchino:
Riforme, Giorgio Napolitano rafforza la spinta per il Sì: "Se vince il No è una paralisi definitiva. È in gioco il Governo"
Il Corriere della Sera
Pubblicato: 03/05/2016 08:21 CEST Aggiornato: 54 minuti fa
È riconosciuto come padre ispiratore delle riforme costituzionali targate Matteo Renzi e Maria Elena Boschi e il ruolo non gli dispiace affatto. L'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, oggi senatore a vita molto attivo e presente nella scena politica, ribadisce la sua posizione per il Sì al referendum costituzionale in un'intervista al Corriere della Sera che vede l'Italia dinanzi a un bivio fondamentale.
"Vedo tre diverse attitudini. Quella conservatrice: la Costituzione è intoccabile, non c’è urgenza né bisogno di rivederla. Quella politica e strumentale: si colpisce la riforma per colpire Renzi. E quella dottrinaria “perfezionista”. Dubito molto che tutti i 56 costituzionalisti e giuristi che hanno firmato il manifesto contro siano d’accordo su come si sarebbe dovuta fare la riforma. Ma questa è una posizione insostenibile: perché il No comporterebbe la paralisi definitiva, la sepoltura dell’idea di revisione della Costituzione".
Rispetto per chi ha obiezioni, ma per Giorgio Napolitano sulle riforme l'Italia non può permettersi cedimenti.
"Non bisogna fare di ogni erba un fascio tra coloro che esprimono riserve, fanno valutazioni contrarie, fanno campagna per il No. Occorre rispetto per le riserve; per quanto se ne siano espresse in Parlamento con grande abbondanza. Non dimentichiamo quanto tempo è stata discussa dalle Camere la legge di riforma, quante consultazioni sono state fatte con l’esterno, quanti emendamenti sono stati avanzati, sia pure spesso per ostruzionismo. Occorre rispetto per chi obietta che ci sono elementi non ben risolti: del testo approvato si continuerà a discutere. Una volta confermata la legge, bisognerà mettersi al lavoro per costruire davvero questo nuovo Senato, e trarre dall’esperienza ogni possibile conseguenza".
L'ex capo di Stato riconosce "gravissime fragilità" all'attuale testo della Costituzione repubblicana, esclusivamente nella seconda parte della Carta.
"La prima parte esprime in piena luce principi e valori fondamentali di convivenza civile e politica. La seconda parte, sull’ordinamento della Repubblica, ha presentato da subito gravissime fragilità. Nell’equilibrio dei poteri l’esecutivo è stato fin dall’inizio debole. I costituenti avevano previsto la necessità di dispositivi per evitare l’instabilità dei governi e le degenerazioni del parlamentarismo; ma questi dispositivi non sono mai arrivati. Presto apparve chiaro che il bicameralismo paritario era indifendibile. Siamo in ritardo gravissimo. I tentativi sono stati molti: la bicamerale presieduta da Bozzi, la commissione De Mita-Iotti, la commissione D’Alema, che vide collaborare tutte le forze politiche e fu silurata alla fine. Se si affossa anche questo sforzo di revisione costituzionale, allora è finita: l’Italia apparirà come una democrazia incapace di riformare il proprio ordinamento e mettersi al passo con i tempi. E questo lo devono capire tutti; anche quelli che vorrebbero usare il referendum per far cadere Renzi".
Proprio su quest'ultimo punto, Napolitano osserva l'errore commesso dal presidente del Consiglio.
"Renzi non avrebbe dovuto dare questa accentuazione politica personale; ma solo un ipocrita può dire che, se ci fosse un rigetto su una questione così importante, su cui il governo si è tanto impegnato in Parlamento, non si porrebbe un problema per le sue sorti. Renzi ha sbagliato a metterci un tale carico politico: se vince il Sì vince la riforma, vince l’interesse generale del Paese; non è un trofeo che Renzi possa impugnare, non è un’incoronazione personale. Di recente Renzi nel discorso alla Camera prima del voto definitivo sulla legge ha corretto il tiro, ha evitato quella accentuazione, è entrato nel merito".
Napolitano respinge le accuse a suo carico di eccessivo interventismo.
"Chi lo fa ignora l’articolo della Costituzione che sancisce che il presidente della Repubblica uscente diviene senatore a vita, mettendo la sua esperienza e il suo equilibrio al servizio dell’interesse nazionale. Lasciamo stare le stupidaggini di chi immagina che io abbia poteri che non ho più. Sono in grande sintonia con l’operato del presidente Mattarella, sono suo amico da anni, ho con lui rapporti limpidissimi. Il resto sono sciocchezze che trovo sia su giornali impegnati in una campagna contro di me fin da quando ero al Quirinale, sia in bocca a esponenti del centrodestra che vennero a chiedermi la disponibilità a essere rieletto, forzando la mia volontà". [...] nel 2013 "in Parlamento c’era la maggioranza in una Camera e non nell’altra. Tutti i partiti si impegnarono a fare una nuova legge elettorale e la riforma costituzionale. Ritenni di non potermi tirare indietro. E il mio ulteriore sforzo fu riconosciuto con tale ampiezza in Italia e fuori Italia, che posso abbandonare al loro destino quelli che applaudirono il mio polemico discorso alle Camere del 2013 e oggi conducono la loro campagna faziosa".
Tema Europa. Si sta sfasciando tutto?
"Viviamo una grave crisi dell’unità europea e del processo di integrazione. Ma abbiamo appena vissuto un intervento storico del presidente degli Stati Uniti, che non è stato sottolineato abbastanza. Obama si è rivolto ai popoli europei e alle leadership. Ha fatto capire che gli Usa non vogliono più trattare con i singoli Stati europei, ma con l’Europa nel suo insieme. Ha detto che la relazione speciale tra Washington e Londra non avrebbe più senso se Londra non restasse nell’Ue. E ha usato un’espressione che mi ha colpito per la sua durezza: “È nella nostra natura umana l’istinto, quando il futuro appaia incerto, di ritrarsi nel senso di sicurezza e di conforto della propria tribù, della propria setta, della propria nazionalità». Insomma, Obama ha messo gli impulsi neonazionalistici sullo stesso piano degli istinti tribali" [...] "Il problema è come i Paesi dell’Europa centro-orientale sono entrati nell’Unione. Quando si decise l’allargamento non si ebbe un chiarimento pieno su principi e valori fondamentali dell’integrazione: la cessione di sovranità, l’esercizio di una sovranità condivisa, l’interesse comune europeo. Anche da questi nodi non sciolti dipende il comportamento di Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, e purtroppo ora anche Polonia".
Capitolo Libia, l'Italia deve farsi trovare pronta a un intervento.
"Per troppo tempo l’Europa ha poggiato sulle spalle degli Stati Uniti per difesa e sicurezza. Questo non è più possibile, nemmeno finanziariamente, per Washington. Sono maturi i tempi per una difesa comune europea: se ne discute dal 1952". [...] "Mi pare che dopo qualche confusione iniziale sia stata tracciata una linea abbastanza netta: l’Italia è pronta ad assumersi un ruolo per stabilizzare la Libia, costruire istituzioni e forze armate degne di questo nome. Occorrono un invito da parte del governo libico — purché non sia il governo di una parte ma della Libia intera —, e un passo da parte dell’Onu, che pare orientato a conferire il mandato all’Italia. E nella lotta all’Isis dobbiamo fare la nostra parte ovunque secondo una divisione di compiti all’interno della grande coalizione mondiale contro il terrorismo".
Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/05/03/giorgio-napolitano-riforme_n_9826004.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001
Arlecchino:
Napolitano: i confini del premier non sono dilatati
Di GIORGIO NAPOLITANO
04 ottobre 2016
Caro Professore, la ringrazio naturalmente per i generosi riconoscimenti rivolti alla mia persona già all'inizio della lettera: riconoscimenti peraltro introduttivi a domande insinuanti e ad aspre quanto infondate considerazioni relative al mio atteggiamento sulla riforma costituzionale approvata dal Parlamento.
Premetto che escludo di poter rispondere giornalisticamente su questa materia a questioni o osservazioni di singole personalità. Lo faccio qui brevemente, ed eccezionalmente, per cortesia verso il Direttore de La Repubblica.
Ma in generale, rinvio chiunque a quanto in materia ho detto e mi riservo di dire pubblicamente, rivolgendomi alla generalità degli interessati al confronto referendario in atto.
Ribadisco qui solo che non ho mai "mutato radicalmente" la posizione che assunsi sulla "riforma Berlusconi- Bossi": della quale d'altronde non potetti nemmeno occuparmi ampiamente, o "vigorosamente", in quanto entrai in Senato, chiamatovi come Senatore a Vita dal Presidente Ciampi, appena in tempo per pronunciare un sintetico intervento alla fine della discussione e alla vigilia del voto finale, il 15 novembre 2005. Una lettura non unilaterale e strumentale di quel mio testo mostra chiaramente che considerai essenzialmente come "inaccettabile", di quella legge di riforma, il "voler dilatare in modo abnorme i poteri del primo ministro", con un evidente "indebolimento dell'istituto supremo di garanzia, la Presidenza della Repubblica". Del che non vi è traccia nella riforma attuale.
Diversi punti poi toccati dalla sua lettera, e sollevati da altri, hanno già ricevuto puntuali risposte da parlamentari autorevoli che sono stati gli effettivi protagonisti della definizione della legge, articolo per articolo, su cui il Parlamento si è espresso a larga maggioranza anche in Senato. Lei ne ha certamente preso nota, studiando e citando anche qualche fonte non italiana.
In quanto a me non sono, com'è ovvio, come Senatore di Diritto e a Vita, rappresentante elettivo della nazione, ma mi sentirò pienamente a mio agio anche nel nuovo Senato grazie a titoli di rappresentanza che mi sono stati conferiti con l'elezione a Presidente della Repubblica e con il successivo status attribuitomi dall'art. 59 della Costituzione.
Infine, per quanto mi riguarda, più in generale ho esposto organicamente le mie posizioni e i miei argomenti di carattere storico-istituzionale nell'ampio intervento in discussione generale alla I Commissione del Senato il 15 luglio 2015 (e nella dichiarazione di voto resa in Aula il 13 ottobre 2015). Sono certo che lei - nella lodevole grande attenzione che ha riservato a queste questioni, pur lontane dal campo di ricerca e di insegnamento in cui ha saputo eccellere - abbia letto attentamente il testo di entrambi quei miei interventi, peraltro facilmente a tutti accessibile. Per ausilio pratico, gliene invio comunque copia.
© Riproduzione riservata
04 ottobre 2016
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