Giorgio NAPOLITANO.

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Tutti i no del Quirinale
Vincenzo Vasile


C’è un tono fortemente allarmato, e vi sono contenuti di alto valore politico e istituzionale, nelle parole pronunciate ieri dal Presidente della Repubblica a bilancio di metà anno prima della pausa estiva. Nella continua fibrillazione di questi giorni colpisce come un uomo politico di lungo corso come Giorgio Napolitano, avvezzo a valorizzare i «sì» delle proposte rispetto ai «no» dei manifesti di propaganda, abbia dovuto elencare una lunga serie di dinieghi e contrarietà per rendere efficace e netta l’espressione dei suoi auspici.

Giorgio Napolitano ha incontrato ieri in tre distinte occasioni i giornalisti quirinalisti, i cronisti parlamentari e i componenti del Consiglio superiore della Magistratura. Per sollevare fondamentalmente tre questioni. Una, in primo piano per l’attualità scottante della vicenda, a proposito delle scorrerie del gip milanese Clementina Forleo, riguarda la necessità che negli atti processuali non abbiano ingresso valutazioni non pertinenti e documenti estranei. La seconda è relativa allo stato dei rapporti parlamentari e delle istituzioni: stato che allarma («inquietudine», è esattamente il termine usato), e che induce il presidente a confermare e a rendere ancor più affilato l’appello all’ascolto e al rispetto reciproco tra i poli che caratterizza fin dall’avvio il «programma» del settennato. La terza si riferisce al ruolo di garanzia e di equilibrio che spetta alla istituzione-Quirinale, e con particolare vigore e parole trancianti Napolitano ha ricordato che il Colle non è assolutamente «occupato» da un uomo di parte, come «inopinatamente», a folate ricorrenti, egli stesso viene definito dalla destra.

La parola chiave, il concetto cruciale, è: equilibrio. E Napolitano osserva esplicitamente come «l’equilibrio nel rapporto tra le istituzioni» sia un obiettivo da declinare ovunque e comunque. Nei rapporti politica-istituzioni-magistratura, per l’appunto. E nelle relazioni tra Governo e Parlamento. Qui non deve sfuggire la millimetrica calibratura di un doppio monito, che equivale a due sonori “no”, e - se vogliamo - a una speculare e parallela censura. Se da un lato «nessuna esigenza di governo può giustificare forzature e distorsioni», come per esempio i caotici maxiemendamenti alla Finanziaria (detto alla vigilia della redazione del documento di bilancio), dall’altro lato infatti «nessuna, più che legittima, ragione di opposizione può giustificare la perdita del senso del limite in un’aula parlamentare» (detto con un riferimento esplicito alla canea della destra contro i senatori a vita).

È indicativo che un analogo «senso del limite» sia stato invocato dal presidente qualche ora più tardi al palazzo dei Marescialli, in altro e confinante contesto, per i giudici e per il loro organismo di autogoverno. Anche in relazione alle cosiddette «pratiche di tutela» con cui i magistrati si difendono dagli attacchi politici. E per i «pareri» del Csm sulle leggi che possano interferire sul Parlamento. E per il mancato controllo dei capi degli uffici su certe inchieste «incomprensibili», segnati da troppi spifferi, da mancanza di «serenità» e di «riservatezza». Il presidente si «duole» del fatto di non essere stato sinora ascoltato. Ma avverte: «Non mi lascio dissuadere, e indurre alla rinuncia, dall’ancora inadeguato riscontro che i miei ricorrenti appelli hanno ottenuto». Che, a ben vedere, è un altro “no”, a considerare come un orpello di facciata i poteri costituzionali del Quirinale.

Pubblicato il: 24.07.07
Modificato il: 24.07.07 alle ore 13.51  
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2008-04-26 09:50

NAPOLITANO: LA RESISTENZA FU ANCHE GUERRA CIVILE
 (di Marco Dell'Omo)


Il 25 aprile non riesce proprio a diventare un momento di unione tra le forze politiche. Il leader del Pdl Silvio Berlusconi l'aveva detto che non avrebbe partecipato a nessuna celebrazione ma sarebbe restato a Roma a "lavorare, lavorare, lavorare". Il problema è che, durante la giornata, Berlusconi ha incontrato il neosenatore Giuseppe Ciarrapico, ammiratore dichiarato del ventennio mussoliniano. Ciarrapico che varca il portone di Palazzo Grazioli, più o meno negli stessi istanti in cui, a poche decine di metri di distanza, Giorgio Napolitano deponeva una corona di fiori all'altare della Patria per celebrare la lotta di liberazione, ha infastidito non poco Walter Veltroni. E così il leader del Pd ha dati fuoco alle polveri della polemica contro il Cavaliere: l'episodio, ha detto , rappresenta "uno sfregio nei confronti dei democraticì. "E' un segnale politico che segna una distanza molto grave", ha aggiunto Veltroni. Immediata la replica degli azzurri Paolo Bonaiuti e Fabrizio Cicchitto, che hanno bollato le sue affermazioni come : "meschine e volgari".

Berlusconi, impegnato tutto il giorno a dipanare la matassa della formazione del nuovo governo, si è fatto vivo con una lunga dichiarazione in cui chiarisce il suo pensiero riguardo al 25 aprile: la festa della liberazione, ha detto, dovrebbe essere vissuta come "festa della libertà" da "tutto il popolo italiano". Secondo il premier in pectore è giunto il momento per una "definitiva pacificazione nazionale". La "strada giusta" è quella già indicata da alcuni esponenti della sinistra: capire anche "le ragioni dei ragazzi di Salò", e saldare i debiti con gli esuli istriani e gli infoibati. Questo non significa ridimensionare la Resistenza: "Non c'é revisionismo che possa cancellare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti che posero le basi della libertà .

Ma non c'é gratitudine che possa impedire la ricostruzione della storia di quegli anni". Il compito di trovare una sintesi se l'é assunto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: il presidente della Repubblica, a Genova, ha detto che la Resistenza e la sua celebrazione non devono essere appannaggio di una sola parte; ha fatto ricorso all'espressione "guerra civile" per definire lo scontro tra partigiani e nazi-fascisti, un termine tradizionalmente evitato dalla sinistra, e ha invitato a non occultare "le ombre" della guerra di liberazione. Napolitano, però, è stato molto fermo nel fissare un "limite invalicabile" alle analisi e alle interpretazioni: non ci possono essere, ha detto, "forme di denigrazione o svalutazione", e deve invece essere sempre ricordato che i partigiani combatterono per ridare la libertà all'Italia. Le celebrazioni per i 63 anni della liberazione hanno visto molti assenti. A parte Berlusconi, restato tutto il giorno a Palazzo Grazioli, non si sono presentati alle manifestazioni ufficiali né Gianfranco Fini, né Umberto Bossi né Pierferdinando Casini. E anche Fausto Bertinotti, ancora sotto choc per il disastroso risultato elettorale della sinistra, ha preferito disertare l'appuntamento.

Tra gli esponenti del centrodestra, si è distinto il candidato sindaco di Roma Gianni Alemanno, , presente alla cerimonia con Napolitano all'altare della patria e poi al monumento che ricorda il sacrificio di Salvo D'Acquisto alle Fosse Ardeatine. Dal Pd e dalla sinistra si è levato un coro di critiche a Berlusconi per il suo incontro con Ciarrapico: da Anna Finocchiaro (pd), secondo la quale si è trattato di un episodio "avvilente", a Gennaro Migliore (prc) , che ha accusato Berlusconi di non essere un antifascista, a Barbara Pollastrini, che ha definito "discutibile" l'incontro Berlusconi-Ciarrapico in molti si sono scagliati contro il prossimo presidente del consiglio. All'estremo opposto, Giuseppe Romagnoli, segretario del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, ha proposto di celebrare anche i caduti dell'esercito della Repubblica Sociale ricordando "il loro onore e il loro sacrificio". Ma fanno discutere anche i fischi ricevuti a Genova dal cardinale Bagnasco: per Pier Ferdinando Casini di tratta di "una macchia nera" della giornata.  

da ansa.it

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Veltroni attacca il cavaliere: «Grave ricevere ciarrapico in questa giornata»

Berlusconi: «Il 25 aprile sia il giorno della pacificazione nazionale»

Il leader del Pdl: «Grati a chi combatté per la libertà, ma bisogna capire anche le ragioni dei ragazzi di Salò»

 
ROMA - «Il 25 aprile indica simbolicamente il ritorno dell'Italia alla democrazia ed alla libertà». Lo afferma il leader del Pdl, e presidente del Consiglio in pectore, Silvio Berlusconi in un comunicato diffuso in occasione delle celebrazioni per la Festa della Liberazione. «In quel giorno di 63 anni fa - aggiunge - si videro le piazze festanti attorno alle truppe alleate e ai combattenti per la libertà. Purtroppo - sottolinea Berlusconi - seguì la guerra civile, l'occupazione da parte dei tedeschi, che creò un segno di sangue nella memoria italiana. Generò un odio tra vincitori e vinti che segnò la coscienza del Paese». «Ormai - rimarca il leader del Pdl - tutto questo è storia e adesso è tempo di dare al 25 aprile un senso italiano popolare e nazionale, un senso di libertà e di pace. Il giorno della Liberazione è un alto simbolo di libertà, e così deve essere vissuto da tutto il popolo italiano». «Credo fermamente che oggi - afferma il Cavaliere - ci siano le condizioni storiche e politiche perché questo 25 aprile possa rappresentare un salto di qualità verso la definitiva pacificazione nazionale. Quando, quasi dieci anni fa, autorevoli esponenti della sinistra invitavano a capire anche le ragioni dei 'ragazzi di Salò', e quando più recentemente hanno invitato a saldare il debito contratto con gli esuli Istriano-dalmati e con chi, più sfortunato, finì infoibato - scrive ancora Berlusconi -, hanno indicato la strada giusta. Togliere quei veli, capire quelle ragioni non può in qualche modo ledere l'orgoglio di chi combatté per la libertà contro la tirannia. Non c'è revisione storica che possa cambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti - sottolinea - che posero le basi per la libertà delle generazioni successive e per il ritorno dell'Italia nel consesso delle democrazie. Ma non c'è gratitudine che possa impedire la ricostruzione obiettiva di quegli anni. L'anniversario della Liberazione - conclude - è dunque principalmente l'occasione per riflettere sul passato, sul presente e sull'avvenire del Paese. Se oggi riusciremo a farlo insieme, avremo reso un grande servizio non a una parte politica o all'altra, ma al popolo italiano e, soprattutto, ai nostri figli che hanno il diritto di vivere in una democrazia finalmente pacificata».

POLEMICA SU CIARRAPICO - In precedenza, Berlusconi era stato attaccato dal leader del Pd, Walter Veltroni, per aver ricevuto in giornata a Palazzo Grazioli Giuseppe Ciarrapico, neo senatore del Popolo della libertà, che poche settimane fa ha dichiarato di non aver rinnegato il fascismo. «Siccome le cose hanno un valore simbolico - ha affermato Veltroni - il fatto che Berlusconi abbia voluto ricevere un uomo che non ha mai smesso di dichiarare la sua continuità politica con il fascismo è evidentemente un segnale politico che marca una distanza molto profonda e molto grave con tutti gli italiani che festeggiano il giorno in cui in Italia si è ritrovata la libertà». Secondo il leader del Pd quella di oggi «è una grande festa di libertà e Berlusconi ha voluto celebrarla ricevendo coloro i quali stavano dalla parte di chi la libertà l'ha proibita. Un atto di questo genere è un gesto anche di sfregio nei confronti dei democratici e di questa grande pagina che ha riguardato la storia italiana».

REAZIONE PDL - Immediata la replica del Pdl. «Dall'alto di quale pulpito Veltroni si permette di impartire lezioni di democrazia anche al presidente Berlusconi che ha ricevuto almeno 30 persone in una mattinata di lavoro intenso?» affermano Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente Berlusconi, e Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore nazionale di FI. «La polemica di Veltroni, rivolta nei confronti di un senatore democraticamente eletto, la stessa persona ricevuta con tutti gli onori dal coordinatore Goffredo Bettini alla prima assise del Partito democratico, è meschina e volgare. Appare chiaro che Veltroni è un uomo stordito dalla sconfitta, senza argomenti e senza qualità, che tenta soltanto di replicare una polemica elettorale di basso livello già fallita in precedenza».

«CAPIRE LE RAGIONI DEI RAGAZZI DI SALO'»- Poi arriva la nota del Cavaliere sul 25 aprile: «Capire le ragioni dei "ragazzi di Salò", si legge, come hanno sostenuto in passato anche diversi esponenti della sinistra, e saldare il debito contratto con gli esuli Istriano-dalmati» è la strada giusta che non può in qualche modo ledere l'orgoglio di chi combattè per la libertà contro la tirannia». «Non c'è revisione storica - aggiunge Berlusconi nella nota - che possa cambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti che posero le basi per la libertà delle generazioni».


25 aprile 2008

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In mattinata la cerimonia all'altare della patria

Napolitano e il 25 aprile: fu un riscatto, niente denigrazioni e false equiparazioni

Liberazione, il 63esimo anniversario.

Il Capo dello Stato a Genova: «Non è festa solo per una parte della nazione»

 
ROMA - La consegna delle medaglie d'oro al merito civile ad alcuni Comuni e alla memoria di diversi italiani, per i loro gesti valorosi compiuti negli anni della Resistenza e della Liberazione, è stato il primo atto delle cerimonie per il 25 aprile, organizzate in tutta Italia: con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, all'Altare della Patria di Roma c'erano le massime autorità dello Stato. Gli interventi sono stati affidati ai ministri della Difesa e dell'Interno. Arturo Parisi ha messo in guardia dal «rilassamento morale» che oggi può divenire, «un virus che ci fa ripiegare su noi stessi riducendo talvolta la politica ad una lotta di parte». Amato ha invece sottolineato come le medaglie concesse «testimoniano una volta di più come la Resistenza al fascismo e all'oppressione nazista abbiano fatto emergere i tratti che uniscono nel profondo gli italiani, che danno contenuto e forza alla Nazione italiana».

NAPOLITANO: PARTI DIVERSE - Sul significato della celebrazione, che ha avuto in varie città d'Italia momenti solenni, c'è stato anche quest'anno, forse in modo più latente, un confronto a distanza, sempre condizionato dalle tesi opposte di chi insite nel farne una festa che ricordi anche chi era dalla parte del fascismo e della Repubblica di Salò e chi invece intende mantenere il distinguo legato alla storia e alla Resistenza. In questo confronto, con Berlusconi che da una parte è intervenuto auspicando che diventi finalmente «una festa di tutti e un simbolo di pacificazione», il Capo dello Stato ha dovuto oggi di nuovo puntualizzare la sua posizione nell'intervento del pomeriggio a Palazzo Ducale, a Genova. « Dopo tanti anni di quegli eventi - ha detto - si può e si deve dare una «analisi ponderata che però non significhi in alcun modo confondere le due parti in lotta, appiattirle sotto un comune giudizio di condanna e di assoluzione». E questo, aggiunge, «vale anche per i fenomeni di violenza che caratterizzarono in tutto il suo corso la guerra antipartigiana e da cui non fu indenne la Resistenza, specie alla vigilia e all'indomani della Liberazione». È un dovere verso i paese, quello della chiarezza. Perchè questa fu «una straordinaria prova di riscatto civile e patriottico», e quindi «non può appartenere solo ad una parte della nazione». Al contrario, «deve porsi al centro di uno sforzo volto a ricomporre in spirito di verità la storia della nostra Repubblica». L’eredità spirituale e morale della Resistenza vive nella Costituzione - ha detto - e in quella Costituzione possono riconoscersi anche quanti vissero diversamente gli anni 1943-1945, quanti ne hanno una diversa memoria per esperienza personale o per giudizi acquisiti. E’ un patrimonio che appartiene a tutti e vincola tutti». E ancora: «Le ombre della Resistenza non vanno occultate, ma guai a indulgere a false equiparazioni e banali generalizzazioni; anche se a nessun caduto, e ai familiari che ne hanno subito la perdita, si può negare sul piano umano un rispetto maturato col tempo».

da corriere.it

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Messaggio da Berlusconi alla sorella di Falcone: «Grata solidarietà da tutto governo»

Napolitano: «Capaci fu un terribile attacco alle istituzioni dello Stato»

Il 23 maggio del 1992 l'attentato della mafia.

Il ricordo di Palermo nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone

 
ROMA - Sedici anni fa, il «barbaro agguato di Capaci», in cui furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della sua scorta, segnò «un terribile attacco alle istituzioni dello Stato» da parte della mafia. Al quale però lo Stato «seppe reagire adeguatamente» nel segno dell'unità. «Le immagini della strage - ha scritto il Presidente della Repubblica in un messaggio inviato a Maria Falcone, presidente della Fondazione «Giovanni e Francesca Falcone nell'anniversario della strage - restano incancellabili nella memoria degli italiani e rinnovano l'angoscia e l'allarme di quel giorno, in cui la mafia colpì un magistrato di eccezionale talento e coraggio».
«L'impegno e la partecipazione di allora non possono subire flessioni», è il richiamo che rilancia Giorgio Napolitano. «Non è consentito ridurre il livello di attenzione rispetto» alla mafia, scrive Napolitano, «un fenomeno pervasivo, pronto ad attuare le strategie più sofisticate per insinuarsi nella società minandone la vita democratica, la coesione e il progresso».

MARIA FALCONE - «Gli ultimi successi della magistratura dimostrano che siamo a buon punto nella lotta a Cosa nostra». A dirlo è Maria Falcone, la sorella del giudice ucciso 16 anni fa dal tritolo di Cosa nostra nella strage di Capaci, insieme alla moglie e agli agenti della scorta. «Da più di sei anni provo sempre una grande emozione nel trovarmi qui a ricordare Giovanni e Paolo -aggiunge Maria Falcone- quest'aula rappresenta per tutti noi italiani la caduta del mito dell'invulnerabilità della mafia e dell'imponibilità dei mafiosi».

NAVE - «Vedervi qui, in tanti, è una grande gioia e dimostra che, contrariamente a quanto si ritiene, i giovani italiani hanno valori forti». Lo ha detto Maria Falcone salutando gli oltre 1200 ragazzi giunti a Palermo con la Nave della Legalità per ricordare il 16/o anniversario Il procuratore Grasso, giunto a Palermo in nave con i ragazzi, ha ringraziato gli studenti con i quali, durante il viaggio, ha parlato e dibattuto sui temi della lotta alla mafia.

GRASSO - «Nel ricordare Giovanni Falcone provo sempre la stessa emozione che si ripete ogni anno, il 23 maggio è un giorno particolare in cui rivivono quei momenti di rabbia e disperazione». Lo ha detto il procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso che partecipa nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo alla commemorazione del giudice Giovanni Falcone. E parlando dell'importanza della presenza dei giovani al bunker ha detto: «Dobbiamo tenere i giovani di oggi ancorati alla nostra terra, saranno loro la classe dirigente di domani».

BERLUSCONI - L’anniversario dela strage di Capaci «è un momento di memore riflessione» sul loro «sacrificio». Lo scrive il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in un messaggio inviato alla signora Maria Falcone, presidente della Fondazione Giovanni e Francesca Falcone.

IL TESTO - «Gentile Signora, - scrive il presidente del Consiglio - la ricorrenza dell’eccidio di Capaci è un momento di memore riflessione sul sacrificio del giudice Giovanni Falcone, della signora Francesca e della scorta. L’importanza della lotta del giudice Falcone contro la mafia e la crimininalità organizzata, per la riaffermazione dei valori fondanti della Costituzione, è testimoniata dal progetto di educazione alla legalità che la Fondazione ha promosso nelle scuole per sensibilizzare i giovani su temi essenziali per la crescita della società civile italiana». «Esprimo, pertanto - conclude Berlusconi - anche a nome del governo, la grata solidarietà».

MINISTRO GELMINI - A Palermo anche il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini: «La scuola ha un ruolo fondamentale nell'insegnare la legalità. Penso che si debba dare più importanza e più spazio all'educazione civica. La partecipazione delle giovani generazioni a questo evento -aggiunge il ministro- significa che la mafia può e deve essere sconfitta. La scuola è un luogo in cui imparare ad essere cittadini migliori e vedere tutti questi volti entusiasti è un'emozione indescrivibile che mi riempie di gioia».

MINISTRO ALFANO - «Il pomeriggio del 23 maggio del 1992 mi trovavo nella mia stanza del collegio a Milano dove studiavo quando seppi della strage di Capaci. Ho vissuto sulla mia pelle, ed è la prima volta che lo dico, l'imbarazzo e la vergogna di essere siciliano». Queste le parole del ministro della Giustizia Angelino Alfano. E poi continua: «Il Consiglio dei ministri ha varato misure di grande impatto nella lotta alla mafia e che ci consentono di completare il disegno di Giovanni Falcone». Il guardasigilli ha spiegato che le misure di prevenzione, «fondamentali perché colpiscono i patrimoni mafiosi», rientreranno tra i poteri della Procura nazionale antimafia, «rendendo più efficace l'incidenza e il peso delle confische dei beni mafiosi perchè prima passava troppo tempo tra la confisca e l'effettivo uso del bene».

MINISTRO MARONI - ««La frontiera più importante nella lotta alla mafia è quella di togliere ai boss i patrimoni; è il modo più efficace per colpirli». Lo ha assicurato il ministro dell'Interno Roberto Maroni, subito dopo avere deposto una corona di fiori davanti alla stele che ricorda la strage di Capaci. Abbiamo approvato - ha concluso Maroni - un provvedimento che contiene norme proposte da Giovanni Falcone e mai entrate nell'ordinamento. È questo il modo più concreto e degno per onorarlo».

VICE MINISTRO GIUSTIZIA USA - «Falcone ha dato la sua vita per la sua terra, per me e per tutti i miei colleghi che si occupano di giustizia negli Stati Uniti è un eroe». Lo ha detto il viceministro della Giustizia americano Mark Filip. «I risultati raggiunti da Giovanni Falcone, ma anche da Paolo Borsellino -ha detto parlando agli oltre mille giovani presenti- sono noti in tutto il mondo. Falcone è stato un uomo brillante, straordinario, visionario, fu precursore dei tempi perché ebbe delle intuizioni investigative formidabili già in quei tempi. Un vero leader in questo. Era un lavoratore infaticabile, si chiudeva nella sua stanza anche per sedici ore al giorno». «Falcone -ha proseguito- amava la Sicilia, la sua terra e aveva un grande desiderio perchè la Sicilia venisse liberata dalla mafia». Ha poi ricordato che nel Vangelo c'è scritto «non c'è dono più grande di dare la propria vita per i propri amici e Falcone ha dato la sua vita per la sua Sicilia». Poi Mark Filip ha ricordato quando Falcone interrogò per la prima volta Tommaso Buscetta, il primo pentito di mafia: «Gli disse «non ti preoccupare, se io non capisco qualcosa ci possiamo rivolgere al dottore Borsellino». I due erano sempre fianco a fianco nella lotta a Cosa nostra, fin dall'infanzia che hanno trascorso a pochi passi uno dall'altro».

23 maggio 2008

da corriere.it

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