Giorgio NAPOLITANO.
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IL DISCORSO
Napolitano: "Ricorso a popolo non è balsamo per ogni febbre"
Il presidente della Repubblica a Salerno: "Basta con la penosa disputa contabile fra Nord e Sud".
"Contro di me polemiche allusive e non sempre garbate".
SALERNO - "Il ricorso al popolo non è il balsamo per ogni febbre". Parlando a Salerno in un incontro con gli amministratori locali il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano elogia Silvio Berlusconi e la sua decisione di continuare a governare. "La stabilità politica è un valore", chiosa il capo dello Stato che però coglie l'occasione per togliersi qualche sassolino.
Napolitano non ha dimenticato gli attacchi di agosto da parte di esponenti della maggioranza e lo dice. "Contro di me polemiche allusive e non sempre garbate". Poi avverte governo e maggioranza: "Un Paese democratico vive secondo le regole". Quanto al federalismo il presidente è chiaro: fermare quella che chiama "la penosa disputa contabile fra Nord e Sud", ha chiesto di tenere conto di tutti i dati disponibili "che danno un quadro di flussi tra regioni del Nord e del Sud ben più ampio di quelli dei soli trasferimenti pubblici e assai più favorevole al Centro-Nord". "Sul federalismo - ha continuato - bisogna smetterla di giocare con le parole. Si deve attuare il titolo quinto ma quando si parla di federalismo solidale, cooperativo, ogni volta che il parlamento deve varare i provvedimenti, il senso di queste parole deve essere mantenuto".
"Apprezzamento per impegno Berlusconi". "Il fatto che negli ultimi giorni ci sia una crescente fiducia sulla prosecuzione dell'attività governativa e parlamentare è un'evoluzione auspicabile e costruttiva", ha sottolineato Napolitano. Il presidente della Repubblica ha espresso pertanto "apprezzamento per le recenti dichiarazioni fatte da Silvio Berlusconi di voler andare fino alla prosecuzione della legislatura e per il rilancio dell'attività di governo".
"Polemica non garbata nei miei confronti". Però Napolitano ha rimproverato alla maggioranza il fatto che quest'estate si siano "succeduti per settimane, ogni giorno", interventi riconducibili a una "polemica allusiva e non sempre garbata nei miei confronti". "Mi si è così premurosamente spiegato - ha accusato il presidente - come il ricorso al popolo, ovvero alle urne, sia il sale della democrazia e il balsamo per tutte le sue febbri. Si è mostrato stupore per il fatto che il presidente della Repubblica non apparisse pronto, con la penna in mano, a firmare un decreto di scioglimento delle Camere. Il particolare che così veniva trascurato - ha proseguito - è che la vità di un paese democratico e delle sue istituzioni elettive, nelle quali si esprime la volontà popolare, deve essere ordinata secondo regole per potersi svolgere in modo fecondo, per produrre i risultati attesi".
"Sì al federalismo, ma senza giocare". Bisogna attuare il federalismo, andare avanti, "ma non bisogna giocare con le parole", ha detto ancora il presidente della Repubblica a Salerno. "Si tratta di stabilire come intendere il federalismo, non si tratta di tornare indietro o mettere i bastoni fra le ruote. Si deve attuare il titolo quinto ma - ha aggiunto - quando si parla di federalismo solidale, cooperativo, ogni volta che il parlamento deve varare i provvedimenti, il senso di queste parole deve essere mantenuto".
"Bloccare penose dispute contabili". Attuare il federalismo, tra l'altro, ha ricordato Napolitano, è anche un modo di porre fine "a penose dispute contabili e recriminazioni sul dare e l'avere tra Nord e Sud". Il Capo dello Stato ha chiesto di tenere conto di tutti i dati disponibili "che danno un quadro di flussi tra regioni del Nord e del Sud ben più ampio di quelli dei soli trasferimenti pubblici e assai più favorevole al Centro-Nord". E, sempre in riferimento al Mezzogiorno, Napolitano ha sottolineato come "nel Mezzogiorno ci sono troppi giovani che hanno concluso il loro ciclo formativo e si trovano senza lavoro e senza prospettive. E' nostro dovere storico dare loro risposte. Questa è la questione numero uno del nostro Paese".
(14 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/14/news/napolitano_popolo-7064096/?ref=HREA-1
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«Nilde Iotti, una grande politica ma sempre donna e libera»
di Giorgio Napolitano
Con sincera e convinta adesione alla vostra iniziativa desidero contribuire, sia pure in termini essenziali, al ricordo della personalità di Nilde Iotti e della sua opera: ricordo che intendete trasformare in fonte di conoscenza, riflessione e ispirazione soprattutto, credo di intendere, per le nuove generazioni, specialmente di donne, che si avvicinino al mondo della politica e delle istituzioni.
Ho avuto modo di ripercorrere ampiamente in alcune occasioni quel tratto lungo e altamente impegnativo della vita e dell’attività di Nilde Iotti, che fu costituito dalla sua partecipazione più che cinquantennale alle legislature del Parlamento repubblicano. E prima ancora ella partecipò alla esperienza unica e impareggiabile dell’Assemblea Costituente.
Ma oggi, nel momento in cui sta per prendere forma la Fondazione a lei intitolata, vorrei dedicare qualche parola più in particolare alla sua persona e al mio personale rapporto con lei. La incontrai per la prima volta nel 1949, ancora giovanissima, in occasione di una sua vacanza pasquale con l’uomo cui si era legata di intensa passione e autentico affetto, Palmiro Togliatti, allora leader indiscusso di un grande partito, prima di governo e poi di opposizione, e personalità tra le maggiori della nuova politica italiana, dopo la caduta del fascismo e il ristabilimento delle libertà democratiche. In quei giorni di privata vicinanza, e in quelli che più a lungo di nuovo trascorsi con lei e col suo compagno nell’autunno del 1950, ebbi modo di scoprire le sue qualità umane, l’autenticità del suo tratto e del suo modo di atteggiarsi, e, tra l’altro, la straordinaria intensità del calore materno che manifestava verso la piccola Marisa, divenuta appunto, nel 1950, sua figlia adottiva. Ricordo, e posso dire, che era una donna radiosa.
E luminosa restò la sua personalità anche dopo avere attraversato momenti difficili e dolorosi sul piano personale e avere conosciuto - quando aveva appena 44 anni - la perdita del compagno e il destino della solitudine. Naturalmente, l’intensificarsi e il crescere qualitativamente del suo impegno politico e istituzionale la resero più matura e più «grave», ma mai ella smarrì la carica umana che aveva da giovane, quale mi fu possibile cogliere nei primi tempi della nostra amicizia.
Si ricordi dunque, nella ricchezza e complessità delle tante espressioni del suo impegno pubblico la «madre della nostra Repubblica», come voi l’avete definita, la combattente della Resistenza di colpo proiettata nella grande stagione dell’Assemblea Costituente, la parlamentare sempre più qualificata, la deputata europea, la straordinaria Presidente della Camera dei Deputati - prima Presidente donna, e Presidente più longevo, nella storia del Parlamento italiano - ma si ricordi nello stesso tempo Nilde Iotti donna come le altre.
In fondo, per le ragazze che oggi sentano nascere nel proprio animo il senso della politica e la voglia di fare politica – e mi auguro che siano molte e sempre di più, perché l’Italia ne ha drammaticamente bisogno - è bene che l’immagine della politica, e della donna in politica, anche una volta assurta ai più alti livelli di responsabilità e di autorità, non appaia in alcun modo paludata né chiusa in quel ruolo, coprendo i suoi tratti umani più intimi e profondi. La politica, anche per chi vi si dedichi a pieno tempo, anche per chi possa farne - come un tempo si diceva e accadeva - una «scelta di vita»; non può mai diventare un’ossessione totalizzante né imprigionare la persona in una corazza.
Ecco, ho visto così nei decenni - al di là delle affinità politiche e delle comuni battaglie che ci hanno legato, e attraverso i rapporti affettuosi che poi abbracciarono anche mia moglie Clio e il mio più giovane figlio Giulio - Nilde Iotti, grande figura politica dell’Italia repubblicana, grande punto di riferimento per gli ideali e per le conquiste delle donne, sempre persona, sempre donna, umanamente libera e ricca.
06 ottobre 2010
http://www.unita.it/news/il_ricordo/104298/nilde_iotti_una_grande_politica_ma_sempre_donna_e_libera
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NAPOLI
Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo"
Il presidente auspica il confronto e sottolinea la necessità che venga affrontato il nodo della rappresentanza sindacale.
La Fiom alla Cgil: "Nessuna firma tecnica sull'accordo di MIrafiori". L'Idv aderisce allo sciopero del 28. Fiat spa corre in Borsa
NAPOLI - "C'è un rapporto difficile, un confronto che è diventato molto duro. Mi auguro che nelle relazioni industriali, oggetto di contenzioso alla Fiat, si trovi di nuovo un modulo più costruttivo di discussione". Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha risposto ai giornalisti sul fatto che il piano Marchionne sia stato ben accolto dai mercati ma sia molto discusso dai lavoratori. Secondo Napolitano "ci deve essere confronto", ma "tutte le parti in causa debbono riconoscere l'essenzialità di questo impegno ad aumentare la produttività del lavoro ai fini della competitività internazionale della nostra economia".
Il rapporto tra lavoratori e vertici della Fiat in questo momento, dice Napolitano, "è difficile, un confronto che è diventato molto duro. Credo", aggiunge il capo dello Stato, "che nessuno possa negare che esiste un problema di bassa produttività nel lavoro. Però non è una questione legata esclusivamente al rendimento lavorativo delle maestranze. La produttività dipende in larga misura anche dall'innovazione tecnologica, dalle scelte di organizzazione del lavoro, e quindi ci deve essere un confronto e si deve assumere questo obiettivo. Tutte le parti in causa debbono riconoscere l'essenzialità di questo impegno ad aumentare la produttività del lavoro ai fini di competitività internazionale della nostra economia. Poi, il modo di affrontare questo problema, soprattutto
il punto delle modifiche che ne possono derivare nelle relazioni industriali sono oggetto di contenzioso. Mi auguro che si trovi di nuovo un modulo più costruttivo di discussione".
Il presidente ha anche commentato le dichiarazioni rilasciate dal ministro Sacconi a Repubblica sull'accordo inteconfederale del 1993: "Il ministro del lavoro dice nell'accordo del '93 erano sanciti diritti che bisogna fare salvi. Mi pare che questo sia un aspetto importante - ha detto Napolitano - . Per quanto siano cambiate le cose e si possa vedere quanto dell'accordo del '93 rimanga valido, però vi sono dei punti importanti che riguardano senza dubbio il diritto di rappresentanza, tutta una materia che ormai va affrontata".
Fiom e Cgil divise - Intanto il caso Mirafiori resta una ferita aperta tra la Fiom e la Cgil. Maurizio Landini, segretario generale della federazione dei metalmeccanici, ha escluso nuovamente qualsiasi firma tecnica in caso di vittoria dei sì al referendum sull'accordo, come aveva ipotizzato dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, per salvare la rappresentanza Fiom nello stabilimento torinese: "Gli accordi si firmano o non si firmano - ha detto Landini in una conferenza stampa con Antonio Di Pietro - ; inoltre lo statuto della Cgil vieta di firmare accordi che sottraggono diritti ai lavoratori".
Landini ha spiegato poi che l'incontro in programma domenica con i vertici della Cgil non riguarderà soltanto la questione Fiat, ma servirà a "mettere a punto iniziative complessive perchè gli accordi di Mirafiori e Pomigliano mettono in discussione l'esistenza l'esistenza stessa del sindacato confederale".
Referendum il 13 e il 14 - Quanto al referendum sull'accordo sottoscritto da Fim e Uilm, con ogni probabilità si terrà giovedì 13 e venerdì 14 gennaio. Le date saranno ufficializzate stasera. Dal voto dei circa 5.800 lavoratori di Mirafiori sull'intesa, secondo le parole dell'ad Sergio Marchionne, dipenderà il rilancio dello stabilimento torinese in joint venture con Chrysler. Lunedì prossimo, le sigle firmatarie dell'intesa distribuiranno un volantino davanti ai cancelli della fabbrica per spiegare i contenuti dell'accordo.
L'Idv sciopera - Di Pietro ha annunciato la partecipazione dell'Italia dei valori allo sciopero del 28 gennaio, accanto alla Fiom. "Chiediamo un tavolo unico in cui il governo chieda alla Fiat di mantenere la produzione in Italia anche offrendo incentivi e sgravi - ha detto Di Pietro - , ma dall'altra parte chieda all'azienda un passo indietro sull'attacco ai diritti costituzionali e fondamentali dei lavoratori". Poco più tardi è arrivata la frenata dal presidente dei deputati Idv, Massimo Donadi: "L'Italia dei valori - ammonisce Donadi - non può sposare acriticamente le posizioni della Fiom. Il prossimo esecutivo sarà l'occasione giusta per aprire un confronto sulla nostra posizione riguardo alla vicenda" Fiat.
Fiat in Borsa - Intanto, in una giornata positiva per tutte le Borse europee, a Piazza Affari sono ancora protagonisti i titoli delo spin off del Lingotto, soprattutto Fiat spa che al giro di boa della giornata è arrivata a guadagnare oltre il 7%, mentre Fiat Industrial ed Exor segnano un leggero calo.
(04 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/economia/2011/01/04/news/napolitano_sulla_fiat_dialogo_pi_costruttivo-10837432/?ref=HRER1-1
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22/8/2011
Napolitano al meeting Cl Ecco l'intervento integrale
GIORGIO NAPOLITANO
Colgo in questo incontro, nella sua continuità con l'ispirazione originaria e la peculiare tradizione del Meeting di Rimini, l'occasione per ridare respiro storico e ideale al dibattito nazionale. Perché è un fatto che ormai da settimane, da quando l'Italia e il suo debito pubblico sono stati investiti da una dura crisi di fiducia e da pesanti scosse e rischi sui mercati finanziari, siamo immersi in un angoscioso presente, nell'ansia del giorno dopo, in un'obbligata e concitata ricerca di risposte urgenti. A simili condizionamenti, e al dovere di decisioni immediate, non si può naturalmente sfuggire. Ma non troveremo vie d'uscita soddisfacenti e durevoli senza rivolgere la mente al passato e lo sguardo al futuro. Ringrazio perciò voi che ci sollecitate a farlo.
D'altronde, anche nel celebrare il Centocinquantenario dell'Unità, abbiamo teso a tracciare un filo che congiungesse il passato storico, complesso e ricco di insegnamenti, il problematico presente e il possibile futuro dell'Italia. Ci siamo provati a tessere quel filo muovendo da quale punto di partenza ? Dal sentimento che si doveva e poteva suscitare innanzitutto un moto di riappropriazione diffusa - da parte delle istituzioni e dei cittadini - delle vicende e del significato del processo unitario. Si doveva recuperare quel che da decenni si era venuto smarrendo - negli itinerari dell'educazione, della comunicazione, della discussione pubblica, della partecipazione politica - di memoria storica, di consapevolezza individuale e collettiva del nostro divenire come nazione, del nostro nascere come Stato unitario. E a dispetto di tanti scetticismi e sordità, abbiamo potuto, nel giro di un anno, vedere come ci fosse da far leva su uno straordinario patrimonio di sensibilità, interesse culturale e morale, disponibilità a esprimersi e impegnarsi, soprattutto tra i giovani. Abbiamo visto come fosse possibile suscitare quel "moto di riappropriazione" di cui parlavo : e non solo dall'alto, ma dal basso, attraverso il fiorire, nelle scuole, nelle comunità locali, nelle associazioni, di una miriade di iniziative per il Centocinquantenario. Lo sforzo è dunque riuscito, e rendo merito a tutti coloro che ci hanno creduto e vi hanno contribuito.
Ma "l'esame di coscienza collettivo" che avevamo auspicato in occasione di una così significativa ricorrenza, non poteva rimanere limitato al travaglio vissuto per conseguire l'unificazione, e alle modalità che caratterizzarono il configurarsi del nostro Stato nazionale. Esso doveva abbracciare - e ha in effetti abbracciato - il lungo percorso successivo, dal 1861 al 2011 : in quale chiave farlo, e per trarne quali impulsi, lo abbiamo detto, il 17 marzo scorso, con le parole che l'on. Lupi ha voluto ricordare.
Si, con le celebrazioni del Centocinquantenario ci si è impegnati a trarre, senza ricorrere ad alcuna forzatura o enfasi retorica, ragioni di orgoglio e di fiducia da un'esperienza di storico avanzamento e progresso della società italiana, anche se tra tanti alti e bassi, tragiche deviazioni pagate a carissimo prezzo, e dure, faticose riprese. Ma perché abbiamo insistito tanto sulle prove che l'Italia unita ha superato, sulla capacità che ha dimostrato di non perdersi, di non declinare, né dopo l'emorragia e le conseguenze traumatiche di una guerra pure vinta, né dopo la vergogna di una guerra d'aggressione e l'umiliazione di una sconfitta, e quindi di fronte all'eredità del fascismo e alla sfida del ricostruire il paese nella democrazia ? Perché abbiamo sottolineato come l'Italia abbia poi saputo attraversare le tensioni della guerra fredda restando salda nelle sue fondamenta unitarie e democratiche e infine reggere con successo ad attacchi mortali allo Stato e alla convivenza civile come quello del terrorismo?
Ebbene, abbiamo insistito tanto, e con pieno fondamento, su quel che l'Italia e gli italiani hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato, e sulle grandi riserve di risorse umane e morali, d'intelligenza e di lavoro di cui disponiamo, perché le sfide e le prove che abbiamo davanti sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto.
Questo ci dice la crisi che stiamo attraversando. Crisi mondiale, crisi europea, e dentro questo quadro l'Italia, con i suoi punti di forza e con le sue debolezze, con il suo carico di problemi antichi e recenti, di ordine istituzionale e politico, di ordine strutturale, sociale e civile. Nel messaggio di fine anno 2008, in presenza di una crisi finanziaria che dagli Stati Uniti si propagava all'Europa e minacciava l'intera economia mondiale, dissi - riecheggiando le famose parole del Presidente Roosevelt, appena eletto nel 1932 - "l'unica cosa di cui aver paura è la paura stessa". Ma dinanzi a fatti così inquietanti, dinanzi a crisi gravi, bisogna parlare - e voglio ripeterlo oggi qui, rivolgendomi ai giovani - il linguaggio della verità : perché esso "non induce al pessimismo, ma sollecita a reagire con coraggio e lungimiranza".
Abbiamo, noi qui, in Italia, parlato in questi tre anni il linguaggio della verità ? Lo abbiamo fatto abbastanza, tutti noi che abbiamo responsabilità nelle istituzioni, nella società, nelle famiglie, nei rapporti con le giovani generazioni ? Stiamo attenti, dare fiducia non significa alimentare illusioni ; non si da fiducia e non si suscitano le reazioni necessarie, minimizzando o sdrammatizzando i nodi critici della realtà, ma guardandovi in faccia con intelligenza e con coraggio. Il coraggio della speranza, della volontà e dell'impegno. Dell'impegno operoso e sapiente, fatto di spirito di sacrificio e di massimo slancio creativo e innovativo.
Impegno che non può venire o essere promosso solo dallo Stato, ma che sia espresso dalle persone, dalle comunità locali, dai corpi intermedi, secondo quella concezione e logica di sussidiarietà, che come ha sottolineato il Presidente Vittadini e come documenta la Mostra presentata a questo Meeting, ha fatto, di una straordinaria diffusione di attività imprenditoriali e sociali e di risposte ai bisogni comuni costruite dal basso, un motore decisivo per la ricostruzione e il cambiamento del nostro Paese.
Si può ben invocare oggi una simile mobilitazione, egualmente differenziata e condivisa, se si rende chiaro quale sia la posta in giuoco per l'Italia : in sostanza, ridare vigore e continuità allo sviluppo economico, sociale e civile, far ripartire la crescita in condizioni di stabilità finanziaria, non rischiando di perdere via via terreno in seno all'Europa e nella competizione globale, di vedere frustrate energie e potenzialità ben presenti e visibili nel Paese, di lasciare insoddisfatte esigenze e aspettative popolari e giovanili e di lasciar aggravare contraddizioni, squilibri, tensioni di fondo.
Le difficoltà sono serie, complesse, per molti aspetti non sono recenti, vengono dall'interno della nostra storia unitaria e anche, più specificamente, repubblicana. Ad esse ci riporta la crisi che stiamo vivendo in questa fase, nella quale si intrecciano questioni che a noi spettava affrontare da tempo e questioni legate a profondi mutamenti e sconvolgimenti del quadro mondiale. Ma se a tutto ciò dobbiamo guardare, anche nel momento in cui ci apprestiamo a discutere in Parlamento nuove misure d'urgenza, bisogna allora finalmente liberarsi da approcci angusti e strumentali.
Possibile che si sia esitato a riconoscere la criticità della nostra situazione e la gravità effettiva delle questioni, perché le forze di maggioranza e di governo sono state dominate dalla preoccupazione di sostenere la validità del proprio operato, anche attraverso semplificazioni propagandistiche e comparazioni consolatorie su scala europea ? Possibile che da parte delle forze di opposizione, ogni criticità della condizione attuale del paese sia stata ricondotta a omissioni e colpe del governo, della sua guida e della coalizione su cui si regge ? Lungo questa strada non si poteva andare e non si è andati molto lontano. Occorre più oggettività nelle analisi, più misura nei giudizi, più apertura e meno insofferenza verso le voci critiche e le opinioni altrui. Anche nell'importante esperienza recente delle parti sociali, giunte ad esprimere una voce comune su temi scottanti, ci sono limiti da superare nel senso di proiettarsi pienamente oltre approcci legati a pur legittimi interessi settoriali. Bisogna portarsi tutti all'altezza dei problemi da sciogliere e delle scelte da operare.
Scelte non di breve termine e corto respiro, ma di medio e lungo periodo. E' da vent'anni che è, sempre di più, rallentata la crescita della nostra economia ; è da vent'anni che si è invertita la tendenza al miglioramento di alcuni fondamentali indicatori sociali ; è da vent'anni che al di là di temporanee riduzioni del rapporto tra deficit e prodotto lordo, non siamo riusciti ad avviare un deciso abbattimento del nostro debito pubblico. La crescita è rallentata fino a ristagnare, la competitività della nostra economia, in un mondo globalizzato e radicalmente trasformato nei suoi equilibri, ha particolarmente sofferto del calo o ristagno della produttività.
La recente pubblicazione di una lunga accurata ricerca sull'evoluzione del benessere degli italiani dall'Unità a oggi, ci consente di apprezzare pienamente il consuntivo - superiore a ogni immaginabile previsione iniziale - del prodigioso balzo in avanti compiuto dall'economia e dalla società nazionale dopo l'Unità e in special modo grazie all'accelerazione prodottasi nel trentennio seguito alla seconda guerra mondiale. Ma se i dati reali smentiscono i detrattori dell'unificazione, è innegabile che il divario tra Nord e Sud è rimasto una tara profonda, non è mai apparso avviato a un effettivo superamento ; e venendo a tempi più recenti è un fatto che da due decenni è in aumento la diseguaglianza nella distribuzione del reddito dopo una marcia secolare in senso opposto, e lo stesso può dirsi per il tasso di povertà.
Si impone perciò un'autentica svolta : per rilanciare una crescita di tutto il paese - Nord e Sud insieme ; una crescita meno diseguale, che garantisca una più giusta distribuzione del reddito ; una crescita ispirata a una nuova visione e misurazione del progresso, cui si sta lavorando ormai da anni, su cui si sta riflettendo in qualificate sedi internazionali. Al di là del PIL, come misura della produzione, e senza pretendere di sostituirlo con una problematica "misura della felicità", in quelle sedi si è richiamata l'attenzione su altri fattori : "è certamente vero che, nel determinare il benessere delle persone, gli aspetti quantitativi (a cominciare dal reddito e dalla speranza di vita) contano, ma insieme a essi contano anche gli stati soggettivi e gli aspetti qualitativi della condizione umana". E' a tutto ciò che bisogna pensare quando ci si chiede se le giovani generazioni, quelle già presenti sulla scena della vita e quelle future, potranno - in Italia e in Europa, in un mondo così trasformato - aspirare a progredire rispetto alle generazioni dei padri come è accaduto nel passato. La risposta è che esse possono aspirare e devono tendere a progredire nella loro complessiva condizione umana. Ecco qualcosa per cui avrebbe senso che si riaccendesse il motore del "desiderio".
Sia chiaro, la situazione attuale di carenza di possibilità di lavoro, di disoccupazione e di esclusione per quote così larghe della popolazione giovanile, impone che si parta dal concreto di politiche per il rilancio della crescita produttiva, di più forti investimenti e di più efficaci orientamenti per la formazione e la ricerca, di più valide misure per l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Ma si deve puntare a una visione più complessiva e avanzata degli orizzonti di lungo termine : e chi, se non voi, può farlo ?
Quell'autentica svolta che oggi s'impone passa, naturalmente, attraverso il sentiero stretto di un recupero di affidabilità dell'Italia, in primo luogo del suo debito pubblico. E qui non si tratta di obbedire al ricatto dei mercati finanziari, o alle invadenze e alle improprie pretese delle autorità europee, come dicono alcuni, forse troppi. Si tratta di fare i conti con noi stessi, finalmente e in modo sistematico e risolutivo ; ho detto e ripeto che lasciare quell'abnorme fardello del debito pubblico sulle spalle delle generazioni più giovani e di quelle future significherebbe macchiarci di una vera e propria colpa storica e morale. Faccia dunque ora il Parlamento le scelte migliori, attraverso un confronto davvero aperto e serio, e le faccia con la massima equità come condizione di accettabilità e realizzabilità.
Anche al di là della manovra oggi in discussione, e guardando alla riforma fiscale che si annuncia, occorre un impegno categorico ; basta con assuefazioni e debolezze nella lotta a quell'evasione di cui l'Italia ha ancora il triste primato, nonostante apprezzabili ma troppo graduali e parziali risultati. E' una stortura, dal punto di vista economico, legale e morale, divenuta intollerabile, da colpire senza esitare a ricorrere ad alcuno dei mezzi di accertamento e di intervento possibili.
L'Italia è chiamata a recuperare affidabilità non solo sul piano dei suoi conti pubblici, sul piano della cultura della stabilità finanziaria, ma anche e nello stesso tempo sul piano della sua capacità di tornare a crescere più intensamente. E questo è anche il contributo che come grande paese europeo siamo chiamati a dare dinanzi al rallentamento dello sviluppo mondiale, al rischio o al panico - fosse pure solo panico - di una possibile onda recessiva. In questo quadro, è importante che l'Italia riesca ad avere più voce, in termini propositivi e assertivi, nel concerto europeo. Che da un lato appare troppo condizionato da iniziative unilaterali, di singoli governi, fuori dalle sedi collegiali e dal metodo comunitario ; dall'altro troppo esitante sulla via di un'integrazione responsabile e solidale, lungo la quale concorrere anche alla ridefinizione di una governance globale, le cui regole valgano a temperare le reazioni dei mercati finanziari.
Una svolta capace di rilanciare la crescita e il ruolo dell'Italia implica riforme : dopo l'avvio, in senso federalista, della concreta attuazione del Titolo V della Carta, riforme del quadro istituzionale e dei processi decisionali, delle pubbliche amministrazioni, di assetti e di rapporti economici finora non liberalizzati, di assetti inadeguati anche del mercato del lavoro. Ma non starò certo a riproporre un elenco già noto : mi piace solo notare come in queste settimane, sospinto da alcuni impulsi generosi, si stia prospettando in una luce più positiva il tema della riforma - in funzione solo dell'interesse nazionale - e del concreto funzionamento della giustizia. Anche perché alla visione del diritto e della giustizia sancita in Costituzione repugna la condizione attuale delle carceri e dei detenuti.
Comunque, più che ripetere un elenco di impegni o di obbiettivi, vorrei rispondere alla domanda se sia possibile realizzare, com'è indubbiamente necessario, riforme di quella natura su basi largamente condivise. E', in sostanza, parte della stessa domanda postami in termini più generali da Eleonora Bonizzato e da Enrico Figini. Ai quali dico innanzitutto che ho molto apprezzato il metodo seminariale col quale, insieme con molti altri studenti, hanno esplorato i temi della Mostra dedicata al Centocinquantenario e in modo particolare l'esperienza della straordinaria stagione dell'Assemblea costituente, non abbastanza studiata nelle nostre scuole e Università.
E' possibile, mi si chiede, che si riproduca quella grande tensione, quello stesso impegno verso il bene comune ? La mia risposta è che può la forza delle cose, può la drammaticità delle sfide del nostro tempo, rappresentare la molla che spinga verso un grande sforzo collettivo come quello da cui scaturì la ricostruzione democratica, politica, morale e materiale del nostro Paese dopo la Liberazione dal nazifascismo. I contesti storici sono, certo, completamente diversi ; la storia, nel male e nel bene, non si ripete. Ma la storia che abbiamo vissuto in 150 anni di Unità, nei suoi momenti migliori, come quando sapemmo rialzarci da tremende cadute e poi evitare fatali vicoli ciechi, racchiude il DNA della nazione. E quello non si è disperso, e non può disperdersi. I valori che voi testimoniate ce lo dicono ; ce lo dicono le tante espressioni, che io accolgo in Quirinale, dell'Italia dell'impegno civile e della solidarietà, dell'associazionismo laico e cattolico, di molteplici forme di cooperazione disinteressata e generosa. E, perché si creino le condizioni di un rinnovato slancio che attraversi la società in uno spirito di operosa sussidiarietà, contiamo anche sulle risorse che scaturiscono dalla costante, fruttuosa ricerca di "giuste forme di collaborazione" - secondo le parole di Benedetto XVI - "fra la comunità civile e quella religiosa".
Ma potrà anche l'apporto insostituibile della politica e dello Stato manifestarsi in modo da rendere possibile il superamento delle criticità e delle sfide che oggi stringono l'Italia ? Ci sono momenti in cui - diciamolo pure - si può disperarne. Ma non credo a una impermeabilità della politica che possa durare ancora a lungo, sotto l'incalzare degli eventi, delle sollecitazioni che crescono all'interno e vengono dall'esterno del Paese. Il prezzo che si paga per il prevalere - nella sfera della politica - di calcoli di parte e di logiche di scontro sta diventando insostenibile. Una cosa è credere nella democrazia dell'alternanza ; altra cosa è lasciarla degenerare in modo sterile e dirompente dal punto di vista del comune interesse nazionale. Ci fa riflettere anche quel che accade nel grande paese che è stato, con le sue peculiarità istituzionali, il luogo storico di una democrazia dell'alternanza capace di far fronte alle responsabilità anche di un determinante ruolo mondiale. Negli Stati Uniti vediamo appunto come, nell'attuale critico momento, il radicalizzarsi dello spirito partigiano e della contrapposizione tra schieramenti orientati storicamente a competere ma anche a convergere, stia provocando danni assai gravi per l'America e per il mondo, in una congiuntura difficile pure per quella causa della pace, dei diritti umani, dell'amicizia tra i popoli - si pensi alla tragedia del Corno d'Africa - che è iscritta nella stessa ragion d'essere del vostro Meeting.
Qui in Italia, va perciò valorizzato ogni sforzo di disgelo e di dialogo, come quello espressosi nella nascita e nelle iniziative, cari amici Lupi e Letta, dell'Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. Ma bisogna andare molto oltre, e rapidamente. Spetta anche a voi, giovani, operare, premere in questo senso : e predisporvi a fare la vostra parte impegnandovi nell'attività politica. C'è bisogno di nuove leve e di nuovi apporti. Non fatevi condizionare da quel che si è sedimentato in meno di due decenni : chiusure, arroccamenti, faziosità, obbiettivi di potere, e anche personalismi dilaganti in seno ad ogni parte. Portate nell'impegno politico le vostre motivazioni spirituali, morali, sociali, il vostro senso del bene comune, il vostro attaccamento ai principi e valori della Costituzione e alle istituzioni repubblicane: apritevi così all'incontro con interlocutori rappresentativi di altre, diverse radici culturali. Portate, nel tempo dell'incertezza, il vostro anelito di certezza. E' per tutto questo che rappresentate, come ha detto nel modo più semplice la professoressa Guarnieri, "una risorsa umana per il nostro paese". Ebbene, fatela valere ancora di più : è il mio augurio e il mio incitamento.
da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9111
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Napolitano: non ho offerto nessuno scudo
di GIORGIO NAPOLITANO
Gentile Direttore,
nell'articolo "Un premio ai sediziosi", Massimo Giannini ha dato una versione arbitraria e falsa dell'incontro con una delegazione del Pdl da me tenuto in Quirinale martedì mattina. E' falso che mi siano stati chiesti "provvedimenti punitivi contro la magistratura": nessuna richiesta di impropri interventi nei confronti del potere giudiziario mi è stata rivolta, come era stato subito ben chiarito nel comunicato diramato alle ore 13.00 dalla Presidenza della Repubblica. Comunicato che Giannini ha ritenuto di poter di fatto scorrettamente smentire sulla base di non si sa quale ascolto o resoconto surrettizio. Né la delegazione del Pdl mi ha "annunciato" o prospettato alcun "Aventino della destra". L'incontro mi era stato richiesto dall'on. Alfano la domenica sera nell'annunciarmi l'annullamento della manifestazione al Palazzo di Giustizia di Milano (poi svoltasi la mattina seguente senza preavviso, da me valutata "senza precedenti" per la sua gravità).
L'incontro in Quirinale con i rappresentanti della coalizione cui è andato il favore del 29 per cento degli elettori, era stato confermato dopo mie vibrate reazioni - di cui, del resto, il suo giornale aveva ieri dato conto - espresse direttamente ai principali esponenti del Pdl per la loro presa di posizione.
Quel rammarico, ovvero deplorazione, è stato da me rinnovato, insieme con un richiamo severo a principi, regole e interessi generali del paese che, solo con tendenziosità tale da fare il giuoco di quanti egli intende colpire, Giannini ha potuto presentare come "riconoscimento al Cavaliere di un legittimo impedimento automatico, o di un 'lodo Alfanò provvisorio". Nell'incontro di ieri sera (martedì sera-ndr) con il Comitato di Presidenza del Csm - incontro da me promosso, in segno del mio costante rispetto verso la magistratura e il suo organo di autogoverno (e semplicemente omesso nell'articolo di Giannini) - è risultato ben chiaro che nessuno "scudo" è stato offerto a chi è imputato in procedimenti penali da cui non può sentirsi "esonerato in virtù dell'investitura popolare ricevuta".
Mi auguro che da parte di Giannini, anziché deplorare aggressivamente il Capo dello Stato per non avere manifestato lo "sdegno" e la "forza" che il bravo giornalista avrebbe potuto suggerirgli, ci siano in ogni occasione rigore e zelo nei confronti di tutti i sediziosi, dovunque collocati e comunque manifestatisi.
Cordialmente.
(14 marzo 2013) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/14/news/lettera_napolitano-54521583/?ref=HRER3-1
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