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Autore Discussione: LIANA MILELLA  (Letto 75161 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Luglio 03, 2010, 04:14:13 pm »

INTERCETTAZIONI

Berlusconi teme l'asse Quirinale-Camera "Qualcuno vuol far saltare il governo"

Il premier durissimo con il cofondatore e sospettoso con il capo dello Stato.

Vertice serale con Letta, Alfano e Ghedini. "Se vogliono la guerra, io sono pronto"

di LIANA MILELLA 


ROMA - In ordine di tempo, Fini parla dopo Napolitano. Ma non conosce il pensiero del presidente perché solo a fine dibattito, quando risale in macchina, il portavoce Alfano gli porta le agenzie. Eppure Berlusconi non ci crede. Troppa è la sintonia tra i due. In cui vede un asse potente consolidarsi progressivamente contro di lui. Ne teme le conseguenze. E già s'immagina detronizzato. È furioso con entrambi. Accusa Napolitano di aver ormai dato vita a una sorta di repubblica presidenziale e addebita a Fini "una slealtà di fondo". Ma ai suoi il Cavaliere detta un ordine perentorio: "Nessuno attacchi il Quirinale, non dobbiamo fornirgli altri spunti polemici". Eppure le parole del Colle lo fanno riflettere: "Il presidente ci sta dicendo che, se resta com'è, non firma la legge sulle intercettazioni. Ma il Quirinale e Fini a cosa puntano veramente? Solo a modificare questo ddl oppure a qualcos'altro? C'è forse qualcuno che vuol far saltare il governo? Con Napolitano ho sempre cercato il dialogo e quindi spero che le sue intenzioni restino positive. Ma non posso dire lo stesso di Fini. E allora se l'obiettivo è quello io sono pronto alla guerra".

Poi con Letta, Alfano e Ghedini comincia a riflettere su come uscire dal pasticcio delle intercettazioni. In meno di 24 ore la strategia cambia, dalla volontà di approvarle a tutti i costi e con il minor numero di modifiche, il Cavaliere ripiega su una linea di maggiore prudenza. La prova di forza alla Camera nella prima settimana di agosto lo alletta, sarebbe tentato di farla, ma i tre lo mettono in guardia. "Stai attento, gli dicono, così fai il gioco di Fini, i suoi hanno già annunciato che voteranno la fiducia ma non il provvedimento e quindi tu punti diritto alla crisi. Basta l'agguato parlamentare dei finiani e il governo cade".

Berlusconi riflette: "Tanto non riusciremmo a chiudere il testo anche al Senato, a questo punto forse è meglio non forzare alla Camera. La legge possiamo anche pensare di rinviarla a settembre, ma si fa solo se è efficace". Alfano e Ghedini ipotizzano le possibili modifiche. Che necessariamente ruotano intorno ai punti indicati tante volte in questi mesi dai finiani, poi ribaditi dai magistrati come Piero Grasso o da un processual penalista come Glauco Giostra. Sono i punti di Fini in cui si riconosce il Quirinale. Ma il Cavaliere li ferma per mettere un punto fermo e inderogabile, e prevenire un Fini che canta vittoria: "Dev'essere chiaro che qualsiasi cambiamento non deve rispondere alle sue richieste, ma solo a quelle di Napolitano".

Arriva a palazzo Grazioli che sono le 18 e l'accoglienza per il premier non potrebbe essere peggiore di così. A tenaglia, gli si stringono addosso l'altolà del capo dello Stato sulle intercettazioni, con la richiesta di "modifiche adeguate", e lo stop di Fini. Due fatti in particolare lo disturbano profondamente e lo mettono in allarme perché, per lui, sono la prova di un asse ormai stabile tra la prima e la terza carica dello Stato. Innanzitutto quel riferimento, nel discorso del presidente della Repubblica, "al dibattito in commissione Giustizia" a proposito delle modifiche. Il premier ci legge un esplicito riferimento alle critiche fatte dalla finiana Giulia Bongiorno. È la riprova di un'intesa, o quanto meno di un feeling, che passa tra Napolitano e Fini. Poi, quando gli raccontano di com'è andato il brusco faccia a faccia tra l'ex leader di An e Bondi, lui rivive l'exploit di Fini alla direzione del 22 aprile. Gli pare proprio di rivedere il film già visto di una coabitazione che ormai è diventata impossibile.
È tentato dall'affondo: "O se ne va lui o ce ne andiamo noi". Si ferma quando lo fanno riflettere sul fatto che la linea dura contro Fini, in questo momento, potrebbe comportare un ribaltamento della maggioranza. Che aprirebbe la via a un intervento di Napolitano. E magari a un governo tecnico che rimetta in gioco anche Casini.

E' lo spauracchio della giornata. Quello che amareggia il suo ritorno dall'estero. "Io lavoro per il mio Paese e in Italia non faccio altro che ricevere attacchi, soprattutto da chi dovrebbe fare il presidente della Camera e non il leader di un partito". Ma l'amarezza corre di nuovo verso Napolitano che gli sbarra la strada sulle intercettazioni e pretende di dettare pure l'agenda parlamentare. Il suo sfogo è radicale. E lo si può riassumere così: qui ormai il governo non ha più poteri reali, decide tutto il capo dello Stato, che può stoppare qualsiasi legge sulla base di un semplice cavillo. Ormai tutto va concordato passo passo con loro, come dimostra purtroppo la storia delle intercettazioni. Ma quando il Cavaliere lascia palazzo Grazioli ormai la decisione di fare le modifiche e rinviare tutto a settembre è già presa. Proprio come vogliono il Colle e Fini.

(02 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/02/news/retroscena_2_luglio-5321539/
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« Risposta #16 inserito:: Luglio 20, 2010, 10:21:20 am »

INTERCETTAZIONI

I berlusconiani tentano l'intesa nuovo emendamento "anti-bavaglio"

Il premier: "Ancora nessun accordo, ma ce la faremo".

Contatti tra il ministro Alfano e la finiana Bongiorno.

Il Cavaliere pronto a "stravolgere" il ddl.

Con l'ultima modifica allo studio, possibile pubblicare gli atti se "rilevanti"

di LIANA MILELLA


ROMA - È ufficiale. Berlusconi obbedisce a Napolitano e si appresta ad allargare le maglie del diritto di cronaca. Diceva ieri sera: "Siamo alla vigilia dell'approvazione della legge sulle intercettazioni, che è in Parlamento da due anni, ancora non siamo riusciti a trovare un accordo, ma penso che ce la faremo". La riforma degli "ascolti", se effettivamente oggi questo "accordo" sarà trovato, potrebbe avviarsi a perdere la sua restrizione più odiosa, il bavaglio ai giornalisti. Il "se" è ovviamente d'obbligo. E vedremo il perché. Tre i pilastri su cui ieri, per tutta la giornata, ha lavorato il ministro della Giustizia Angelino Alfano, in continuo contatto telefonico con la finiana Giulia Bongiorno. Possibilità di pubblicare gli atti dei processi oltre quel "riassunto" che proprio la Bongiorno aveva strappato alla Camera un anno fa; pubblicabili le intercettazioni quando, come ritiene il Quirinale, esse rappresentano "un atto rilevante" per l'inchiesta; assoluta riservatezza, invece, per quelle che toccano persone non indagate o sfiorate di striscio dalle investigazioni, i famosi "terzi". Riserbo pieno anche per tutto ciò che è gossip. Per selezionare le telefonate la famosa "udienza stralcio", in cui il pubblico ministero e gli avvocati si siedono assieme per decidere cos'è effettivamente rilevante ed entra a far parte del processo e quindi può essere desecretato e ciò che, all'opposto, non è indispensabile e deve restare segreto per sempre.
Questi i principi su cui si è esercitato ieri il Guardasigilli Alfano con il suo ufficio legislativo e su cui ha riflettuto Niccolò Ghedini, il consigliere giuridico di Berlusconi. L'ordine del Cavaliere è chiaro: bisogna chiudere la "lunga storia" della legge, ma purtroppo bisogna farlo obbedendo a Napolitano. Il quale ha chiesto esplicitamente che venga garantito il diritto di informare i cittadini su cosa accade nei palazzi di giustizia. Sulle inchieste, sugli atti, sulle intercettazioni, perché soprattutto in un momento come questo non può calare una coltre di silenzio. Ma il passo indietro è molto delicato, visto che per due anni gli uomini di Berlusconi hanno respinto ogni richiesta dei finiani di allargare le maglie del diritto di cronaca, fino ad arrivare allo scontro. Ma adesso la concreta minaccia di Napolitano di rispedire il testo alle Camere negando la firma potrebbe aver fatto il "miracolo".
"Potrebbe", se Berlusconi non si tira indietro all'ultimo momento, se non ritiene che il prezzo pagato a Fini non sia troppo alto. Un fatto è certo: la Bongiorno ha atteso tutta la giornata che Alfano fissasse l'appuntamento per discutere il nuovo emendamento, ma di ora in ora, secondo le indiscrezioni che circolano tra i finiani in ansia per il destino del ddl, via Arenula ha fatto sapere di non essere ancora pronta. Nel frattempo Fini, ai ragazzi che a Palermo, durante la cerimonia per Borsellino, gli chiedevano che cosa sarebbe accaduto, rispondeva: "Lo vedete cosa sto facendo...". E ancora: "Avete visto cosa ha detto il procuratore Grasso e i progressi fatti in Parlamento sugli emendamenti, dovete solo avere fiducia".
Certo è che la partita è ormai giunta ai tempi supplementari. Oggi, in commissione Giustizia, il governo dovrà dare il parere sugli emendamenti della Bongiorno, tra cui quello che cancella la responsabilità giuridica degli editori. L'orientamento che si poteva cogliere ieri era favorevole. Poi c'è la nuova modifica sul diritto di cronaca che, a questo punto stamattina, Alfano dovrà verificare con la presidente della commissione. Senza il lasciapassare dei finiani la legge si blocca, visto che gli uomini del presidente della Camera hanno già annunciato che, se resta una legge-bavaglio, essi voterebbero no alle pregiudiziali di costituzionalità. Qualora Berlusconi accetti in pieno la linea del Quirinale e di Fini rimane un ostacolo procedurale, cambiare una parte della legge che ha già avuto un "doppia lettura conforme" da Camera e Senato. I tecnici sono convinti che basti un'assunzione di responsabilità politica. Ma ancora ieri sera i finiani erano politicamente guardinghi, chiusi a qualsiasi pronostico senza prima aver letto il testo. Se quest'ultimo tentativo d'intesa dovesse saltare la legge finirebbe inevitabilmente su un "binario morto".

(20 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/20/news/intercettazioni_20_luglio-5688561/?ref=HREC1-1
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« Risposta #17 inserito:: Luglio 22, 2010, 10:07:05 am »

LEGGE BAVAGLIO

Il Cavaliere frena i suoi ultras "Brutto testo, ma giochi chiusi"

Berlusconi ai suoi: "Approviamo subito perché se salta quest'accordo si ridiscute tutto".

I tempi strettissimi del calendario imporranno il ricorso al voto di fiducia.

Così il premier spera nella tregua con Fini

di LIANA MILELLA


ROMA - Ai berlusconiani il ddl sulle intercettazioni, "per com'è ridotto adesso", fa un po' ribrezzo. Non si parla d'altro in Transatlantico. Mario Pepe, il "killer" di tante leggi, si lancia nell'azione distruttiva, un emendamento kamikaze in commissione Giustizia che sopprime la proposta Alfano per cancellare il bavaglio. E dice: "Io questo testo non lo voto. E so che tanti altri deputati faranno come me". Il vice capogruppo Osvaldo Napoli, che non parla mai a caso, scrive addirittura in una nota d'agenzia: "Desidero esprimere i miei dubbi sul voto da dare all'emendamento del governo". E Luigi Vitali, che fu battagliero sottosegretario alla Giustizia ai tempi della Cirielli: "Questa legge? È ridicola. Quella in vigore è più garantista". E Maurizio Paniz: "Non mi piace, abbiamo perso due anni, ma alla fine io faccio quello che dice Silvio".

E proprio questo è il punto, cosa decide Berlusconi, che peso ha questa legge nella sua strategia con Fini, come il premier vuole posizionare il termometro dei loro rapporti. Per capirlo, e per prevedere che succederà sul ddl intercettazioni, basta registrare quanto diceva ieri il Cavaliere ai suoi più stretti collaboratori: "Mi avete convinto tutti ad accettare un testo che non mi piace per niente, che trovo troppo morbido rispetto a quello che avevo promesso ai nostri elettori, che lascia la situazione com'è adesso. Ma ormai i giochi sono fatti. Ora questo provvedimento va approvato subito, perché se l'accordo salta, allora vedrete che si rimette tutto in discussione".

Gli arrivano le voci dall'universo dei finiani. Quella di Carmelo Briguglio ad esempio. Pronto a dire: "Non ha senso avere fretta. Meditiamo su questa legge. Vediamo se è coerente al suo interno. Riflettiamoci. Lavoriamoci ancora. C'è tempo per votarla a settembre". È l'annuncio di nuovi distinguo. Ma Berlusconi vuole mettere subito all'incasso la cambiale che, con questa legge, può permettersi di staccare con il Quirinale e soprattutto con Fini. Li ha accontentati, ha permesso che fossero accolti i "punti critici" dell'uno e dell'altro, adesso ha un credito da vantare. La sua strategia è abile, ha cominciato a metterla in atto non appena il Guardasigilli Alfano ha messo sul tavolo l'emendamento sul diritto di cronaca. Il Cavaliere lo ha criticato, facendo sua e precedendola perché non diventasse dirompente, la protesta corale che arrivava dai suoi uomini. Come da Osvaldo Napoli che ripeteva: "Ma non sarebbe stato meglio non perdere due anni e approvare il ddl Mastella?". Quello che adesso dicono in molti nel Pdl, perplessi sul risultato ottenuto.

Ma il premier vuole sfruttare proprio questo risultato. E vuole chiudere subito la partita, per far pesare al massimo il prezzo che ha pagato. Questo spiega ai suoi, questo dirà oggi nel pranzo con i coordinatori e i capigruppo, quando darà l'input di tentare il tutto per tutto per il voto entro agosto. Per certo con la fiducia, perché i tempi strettissimi del calendario parlamentare non consentono altro. A chi gli fa presente che c'è comunque maretta e malessere nel gruppo lui replica: "Dobbiamo approvare la legge. Perché comunque i magistrati saranno meno liberi di oggi nel mettere tanti cittadini sotto controllo". E poi perché è convinto, attraverso le intercettazioni, di poter riaprire la partita politica con Fini. Esclude che possa verificarsi una sorpresa durante il voto sulle pregiudiziali, che pure i suoi temono, ripete invece che "tutti faranno quello che io decido che si deve fare". Niente agguati, un voto compatto, una fiducia ribadita prima delle vacanze. Una strada per ritentare, con la cambiale delle intercettazioni, l'unità del Pdl.

(22 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/persone/2010/07/22/news/intercettazioni_berlusconi-5742817/?ref=HREC1-1
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« Risposta #18 inserito:: Luglio 23, 2010, 11:19:38 am »

DDL

Intercettazioni, l'ultimo blitz più difficile ascoltare i corrotti

Salta la legge Falcone che consentiva una corsia più rapida per le investigazioni sulle associazioni criminali.

Per un gruppo come quello sotto inchiesta in questi giorni i magistrati avranno bisogno di "gravi indizi" di reato per far scattare gli ascolti.

Frattini: l'ok prima delle ferie.

Pd all'attacco: proporrà il voto segreto

di LIANA MILELLA


ROMA - Intercettazioni più difficili per i gruppi criminali che, tra i loro obiettivi, possono inseguire corruzione, concussione, peculato, truffa, bancarotta, usura. Associazioni a delinquere, come la P3 tanto per fare un esempio, che perseguono un obiettivo delittuoso e deviato. Per loro, nel ddl sugli "ascolti", scatta una protezione. Una tutela. Per mettere sotto controllo i telefoni degli adepti al gruppo non basteranno i "sufficienti indizi di reato", come per la mafia e il terrorismo, ma ci vorranno i "gravi indizi" e tutti i numerosi paletti imposti dalla riforma. Per realizzare questo obiettivo, che il Pd critica aspramente, per confermare la norme salva-casta, è bastato solo respingere, in commissione Giustizia, l'emendamento dei Democratici che chiedevano di non eliminare l'articolo 13 della legge Falcone datata 1991. Norma strategica, difesa dal procuratore antimafia Piero Grasso, per cui ogni associazione criminale, sia essa mafiosa o non mafiosa, italiana o straniera, può essere investigata con una corsia straordinaria e senza lacciuoli. Ma la maggioranza non ha voluto ascoltare e ha soppresso l'articolo 13.

È l'ennesimo coup de théatre nella storia di una riforma che assomiglia sempre di più a un pozzo nero, in cui è possibile trovare nuovi e pericolosi veleni. L'ultimo è stato messo in luce in commissione Giustizia alla Camera dove è finito l'esame degli emendamenti. Passate tutte le proposte migliorative della presidente e relatrice Giulia Bongiorno, compresa quella sulla responsabilità giuridica degli editori, che è stata cancellata. Ma anche il ripristino della possibilità di intercettare gli ignoti e di mettere microspie. Approvate anche le migliorie della stessa maggioranza, come quelle del capogruppo Pdl Enrico Costa sulla durata (75 giorni prorogabili di 15 in 15). Grazie a una modifica Pd-Udc ci sarà un'udienza-filtro per escludere le intercettazioni "irrilevanti". L'Udc smonta un'ulteriore protezione per i parlamentari introdotta al Senato, l'obbligo di chiedere l'autorizzazione pure per un deputato o senatore intercettato sull'utenza di una terza persona. Su questo votano tutti a favore. Ma poi esplode la grana della norma Falcone, fuori della commissione la capogruppo Pd Donatella Ferranti si scontra con il sottosegretario Giacomo Caliendo. La prima contesta di aver smontato "una norma basilare nella lotta al crimine" voluta da Falcone; il secondo difende le scelte del governo, le "sue" scelte, e sostiene che i reati gravi, con il riferimento alla lista dell'articolo 407 del codice di procedura, sono comunque intercettabili. Lei replica: "Sai bene che non è vero perché li sono indicati solo quelli per cui c'è l'arresto in flagranza". Lui brontola, ma alla fine è costretto ad ammettere che da quella lista "qualcosa resta fuori". Ma che non ha rilievo.

Il Pd sfida il governo. Proporrà il voto segreto nella settimana di fuoco d'agosto in cui si voterà in aula. Un voto che ormai pare scontato. Insistono il Guardasigilli Alfano e il ministero della Difesa Frattini. "Si metta un punto definitivo" dice il primo. E il secondo: "Dobbiamo votare il ddl prima della pausa". Berlusconi già si attrezza per mettere una nuova fiducia, in linea con quella già messe alla Camera e al Senato. I troppi voti segreti preoccupano il Cavaliere. A partire da quello sulle pregiudiziali di costituzionalità su cui proprio i berluscones più scontenti potrebbero impallinare la legge.

Sulla quale, per ora, sono le opposizioni a fare schermaglie. Il Pd e l'Udc lavorano alla "riduzione del danno". E incassano risultati. Soddisfatta la Ferranti per l'udienza-filtro. Altrettanto il centrista Roberto Rao per aver abolito l'ulteriore tutela per i parlamentari ("È un colpo alla casta"). Che fa dire a Berlusconi: "È un disastro, alla fine è meglio la legge che già c'è". Ma Antonio Di Pietro spara a zero in quanto il ddl resta "una schifezza all'ennesima potenza", accelerata "perché i soliti noti ne hanno bisogno". La Ferranti replica con l'elenco delle migliorie, che però non sanano i punti neri (tribunale collegiale "irragionevole", comunque la stretta su ambientali e tabulati). E il colpo ai siti web con l'obbligo delle rettifiche in 48 ore. Per finire con una nuova sorpresa, l'obbligo di depositare le intercettazioni se, solo su queste, si basa un sequestro, un'ispezione, una perquisizione.

(23 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/23/news/salva_p3-5764896/?ref=HREA-1
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« Risposta #19 inserito:: Luglio 28, 2010, 10:55:51 am »

CSM

Saltano i veti incrociati tra i poli L'Udc Vietti verso la vice-presidenza

Domani l'elezione di otto membri laici dell'organo di autogoverno della magistratura.

E il premier ora aspetta da Casini un segnale sulle intercettazioni

di LIANA MILELLA


ROMA - È praticamente sotto gli occhi di tutti, nel Transatlantico di Montecitorio, che Michele Vietti si è avviato ieri a diventare il prossimo vice presidente del Csm. Per carità, sarà il plenum del Consiglio a votarlo, togati e laici assieme, ma com'è sempre avvenuto, quattro anni fa con Mancino, prim'ancora con Rognoni, la "benedizione" e il suggello bipartisan arrivano dalla politica. Poltrona ambitissima, strategica per chi voglia misurarsi in un dialogo, rivelatosi fino a oggi impossibile, tra il Parlamento e la giustizia. Che avesse il lasciapassare di Napolitano si sapeva, ma il gioco dei veti incrociati tra Pd e Pdl gli ha fatto vivere momenti di ansia. Caduti ieri, anche se lui per tutta la giornata ha continuato a negarsi e a schermirsi. Ma a chi lo ha seguito, durante la votazione sul Csm, non è sfuggito il duplice colloquio che ha avuto prima con Maurizio Gasparri e poi con Anna Finocchiaro.

Attimi determinanti. Quando Gasparri, protagonista per il Pdl della partita sul Csm, gli ha detto prima di ufficializzarlo alle agenzie: "Ho visto con piacere che sono caduti i veti e la conventio ad excludendum nei confronti del nostro candidato. Se è così, possiamo andare avanti sul tuo nome". Annibale Marini, l'ex presidente della Consulta che Gasparri ha sponsorizzato come possibile vice di Napolitano, entrerà lo stesso a palazzo dei Marescialli, ma solo per guidare la nutrita pattuglia del centrodestra, composta da ben cinque consiglieri su 26. Misurato il termometro delle 16 toghe che resteranno a piazza Indipendenza per quattro anni, Gasparri si è reso conto che Marini sarebbe andato incontro a una sconfitta. Ma la questione dei "veti incrociati" si è giocata qui, perché dai magistrati non è giunto un niet preventivo e pubblico su Marini.

Dal Pdl al Pd. Reduce da una riunione con il segretario Pierluigi Bersani, il responsabile Giustizia Andrea Orlando e gli uffici di presidenza di Camera e Senato, la Finocchiaro ha detto a Vietti: "Hai il nostro voto". Certo, una personalità più marcatamente di sinistra sarebbe stato l'optimum per i Democratici, ma la logica dei numeri ha prevalso, all'opposto, anche in questo caso. Come dice Orlando, tra scherzo e verità, "per noi Vietti non è un nemico del popolo". E poi: "Con i magistrati abbiamo fatto tutti i tentativi per vedere se c'erano gli spazi per un nome più a sinistra, ma abbiamo avuto dei no, per cui quello di Vietti diventa un nome unificante su cui la convergenza è possibile".

Se i pronostici non si riveleranno mendaci, Vietti sarà eletto nella rosa degli otto consiglieri laici del Csm domani pomeriggio. Subito dopo il voto sulla manovra e prima della discussione generale sulle intercettazioni. Questo pareva essere l'ultimo ostacolo, l'ennesimo dubbio nel Pdl, una pressione di Berlusconi su Casini, che ha parlato a lungo con Gasparri e Cicchitto, perché l'Udc attenui il suo atteggiamento sulla riforma degli ascolti. Ma la risposta di chi, come Roberto Rao, ha condotto in commissione Giustizia la battaglia sul ddl è stata: "Ci siamo sempre comportati in maniera responsabile, tant'è che i nostri ultimi emendamenti sono stati votati da tutti i gruppi". Insomma, una cosa è il Csm, un'altra le intercettazioni, anche se all'Udc non sfugge che il voto su Vietti fa parte di una strategia di avvicinamento a Casini per sostituire Fini. Ma resta l'invito dei centristi a rinviare il voto sul ddl a settembre. Una soluzione che Berlusconi sarebbe costretto ad adottare o nel caso di una plateale rottura con Fini o qualora il voto sulle pregiudiziali, che ci sarà domani, dovesse rivelare la massiccia presenza di franchi tiratori, o finiani, o berlusconiani critici sul testo o vogliosi di addebitare la colpa sui finiani in modo da accelerare la rottura.

Sistemato il vice presidente resta da ultimare la squadra. Su cui ormai la partita è quasi chiusa. Il Pd è alle prese con gli ultimi incastri tra personaggi provenienti dalla politica, dall'accademia, dalle professioni. I politici in ballo sono due, l'avvocato ed ex senatore Guido Caldi e l'ex deputato ed ex Margherita Pietro Carotti. E poi l'avvocato Luca Petrucci e il processual penalista Glauco Giostra. Il centrodestra ha chiuso sulla leghista Mariella Ventura Sarno (rentreé al Csm per il Carroccio) e sugli altri quattro candidati: oltre a Marini, è certo il deputato finiano e avvocato Nino Lo Presti. Entra il docente di diritto penale Vincenzo Scordamaglia, docente di diritto penale a Roma. E poi un'altra rentrée, quella di Antonio Marotta, avvocato di Salerno, ex Udc passato con Berlusconi quando Casini lo abbandonò, oggi al ministero della Giustizia come vice dell'organizzazione giudiziaria. L'unica sorpresa potrebbe riservarla Berlusconi se, all'ultimo momento, volesse inserire un nuovo nome, come quello di Lorenzo D'Avack, professore di filosofia del diritto a Roma. Ma comunque il partito di chi, tra i berluscones, voleva a tutti i costi lo scontro con Napolitano sui tempi e il rinvio a settembre è stato sconfitto.

(28 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/28/news/saltano_i_veti_incrociati_tra_i_poli_l_udc_vietti_verso_la_vice-presidenza-5881247/?ref=HREC1-3
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« Risposta #20 inserito:: Luglio 31, 2010, 05:09:06 pm »

LEGGE BAVAGLIO

Intercettazioni, il Pdl in aula chiede il ritiro

Il partito del premier: "Subito il processo breve"

di LIANA MILELLA


ROMA - In aula alla Camera fanno il funerale alle intercettazioni, ma vogliono far risorgere il processo breve. Con l'unico obiettivo di salvare Berlusconi dalle tre inchieste milanesi (Mills, Mediaset, Mediatrade) oggi congelate grazie al legittimo impedimento, che però in autunno potrebbe essere azzoppato, se non addirittura cancellato, dalla Consulta. Due mosse in contemporanea. La prima, in ordine di tempo, riguarda il processo breve, perché alle 8 e 45, in commissione Giustizia, il capogruppo Pdl Enrico Costa, un fedelissimo di Niccolò Ghedini, chiede che quel ddl votato al Senato il 21 gennaio e poi "dimenticato", torni in auge. Alla presidente, la finiana Giulia Bongiorno, chiede di fissare il termine per gli emendamenti. Protesta la pd Donatella Ferranti, ma la mossa di Costa, direttamente pilotata dal Cavaliere, significa molto. Nel nuovo clima politico, la speranza di approvare il lodo Alfano costituzionale si riduce al lumicino, e Berlusconi deve trovare una via sicura per fermare i suoi guai giudiziari. Gli step del processo breve, tre anni per il primo grado, due per il secondo, uno e mezzo per la Cassazione, sono perfetti, proprio come li aveva studiati Ghedini.

Le intercettazioni non servono più a niente. Solo per prendere tempo sui decreti e sulla mozione di sfiducia a Caliendo. Per questo s'avvia la discussione generale, ma i berlusconiani pigliano le distanze. Intanto fisicamente. Sparute le presenze, se ne va pure Costa che ha firmato le ultime modifiche scritte dal Guardasigilli Alfano. Chi resta chiede "il ritiro" della legge. Come fa Maurizio Bianconi perché le norme "non sono idonee a scongiurare le reiterate violazioni della privacy". Critiche dure da Francesco Paolo Sisto che parla di un testo "al di sotto delle aspettative della sua parte politica" e critica "le indebite ingerenze esercitate da determinate categorie".
C'è chi, nella frase, vede una critica al Quirinale.

E del Colle invece, in termini elogiativi, parla la Bongiorno, relatrice del ddl e fedelissima di Fini, che per un caso interviene in aula per la prima volta con il "sottopancia" sul nuovo gruppo Futuro e libertà per l'Italia, nato tre ore prima per bocca di Fini.
L'elogio a Napolitano si lega al cammino del ddl: "Il presidente ha definito il lungo iter come un percorso per approssimazioni successive.
Ha sottolineato che un tempo non breve e un percorso faticoso sono necessari quando si tratta di bilanciare tra loro valori e diritti, tutti egualmente riconosciuti dalla Costituzione, la sicurezza dei cittadini, il valore della libertà di stampa, il diritto dei cittadini a essere informati, quello al rispetto della riservatezza e della dignità delle persone".

Quello che per la Bongiorno è "un progressivo miglioramento", di cui elenca puntigliosamente i passaggi, per Berlusconi è un testo "massacrato", "il cavallo che esce ippopotamo". Se il Pd con la Ferranti ringrazia la Bongiorno per la mediazione e i risultati raggiunti, "anche grazie al nostro lavoro", nonostante i punti tuttora negativi (norma Falcone cancellata, stretta sui tabulati), per Berlusconi il risultato è da buttare. Per motivi opposti, è da cestinare anche per Antonio Di Pietro, che in aula definisce Berlusconi "la testa della piovra" e accusa Alfano, costretto a seguire in aula la discussione generale in assenza del suo sottosegretario Caliendo bloccato a piazzale Clodio per l'interrogatorio da indagato. Grida Di Pietro sul tetto massimo di spesa imposto alle procure sul "ascolti": "Porca miseria, stai intercettando Berlusconi? E io non ti do i soldi. Stai intercettando Dell'Utri? Non ti do i soldi".

Cos'è il ddl per l'ex pm di Milano? "Un atto di arroganza e di prepotenza che mi ricorda quel portavoce di Saddam Hussein che continuava a ripetere che andava tutto bene mentre tutto gli stava crollando intorno".

(31 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/31/news/pdl_aula-5971228/?ref=HREC1-5
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« Risposta #21 inserito:: Agosto 09, 2010, 10:15:48 am »

IL CASO

Fini, giorni di tensione in famiglia

E pressa il cognato: "Ora chiarisci"

La sorpresa del presidente della Camera per la vendita della casa a Montecarlo della quale lui era del tutto all'oscuro.

La collera verso Berlusconi. E l'ultimatum a Giancarlo Tulliani: "Adesso torni e mi spieghi che cosa hai combinato"

di LIANA MILELLA


LA TEMPESTA familiare. L'arrabbiatura con il cognato Giancarlo. Le telefonate drammatiche con lui e l'ultimatum: "Adesso torni e mi spieghi cos'hai combinato". La sorpresa per una vendita di cui lui, Fini, era del tutto all'oscuro. Ma assieme la collera verso Berlusconi 1, il "mandante di un vergognoso attacco sui giornali". Si trasforma in un incubo la domenica al mare del presidente della Camera. Che a un'uscita pubblica forte pensava da giorni. Per spezzare quella che, con i suoi, chiama "la montatura". Del Cavaliere, ovviamente. "Una campagna mediatica messa su ad arte, con la totale compiacenza dei suoi giornali, studiata a tavolino dopo avermi ingiustamente cacciato dal Pdl".

A frenarlo era stata la voglia "di non dargli soddisfazione", di non seguirlo sul piano "di un'evidente strumentalizzazione in cui si vuole gettare fumo negli occhi alla gente ed equiparare un episodio di corruzione e di uso spregiudicato e distorto dei soldi pubblici, con un affare come quello di Montecarlo che riguarda solo il patrimonio di un partito e quindi è del tutto privato". Scajola come Fini? "Non scherziamo" è la sua reazione indignata. Non solo. A far esitare Fini è stata anche la delicata situazione familiare. L'hanno sentito dire: "Per la seconda volta nella mia vita hanno usato la mia buona fede". E poi contro il cognato: "Mi ha preso in giro". Il neo leader di Futuro e libertà per l'Italia ha atteso qualche giorno ben sapendo che un suo intervento sarebbe stato letto come una presa di distanza da Tulliani.

Ma quando Fini, per l'ennesima mattina, legge altri titoli dei giornali sulla casa di Montecarlo, decide che è tempo di mettere in chiaro come stanno le cose. Avverte il portavoce Fabrizio Alfano che a breve avrà pronta una nota 2. Poi, come riferisce chi gli ha parlato, si chiude in conclave con Giulia Bongiorno, l'amica e consigliera dei momenti difficili, l'unica che, anche in passato come questa volta, gli è stata accanto nei passaggi più delicati della sua vita privata. E questo, per via del ruolo svolto dal cognato, è uno di quei frangenti, anche se lui ci tiene a tener fuori la compagna Elisabetta, perché "è tutta colpa del fratello".

Con cui, negli ultimi giorni, ci sono state telefonate drammatiche e burrascose. Con Fini che gridava: "Ma che operazione avete fatto? Che c'entra questa società off shore? E perché adesso sei tu l'affittuario?". Quesiti che tra 20 giorni, quando Tulliani tornerà in Italia, troveranno una risposta. Ma che, al momento, destabilizzano la pace familiare e le vacanze. Anche se il presidente ha una certezza: "Io sono fuori da tutto. E nessuno di quelli di An ha mai avuto da ridire". Anche perché, ribadisce, "questa è una vendita del tutto privata". Non c'è sperpero o malversazione del denaro pubblico, ma semmai una lite sul patrimonio di un partito, come ci fu nella Dc.
Quindi l'attacco mediatico resta tutto. Fini non ha dubbi sui "mandanti" politici. E sa che sta pagando la campagna sulla giustizia fatta negli ultimi due anni. "Berlusconi non mi perdona di essere andato controcorrente sulle leggi che avrebbe voluto imporre, questo è il mio "capo di imputazione"".

Intercettazioni, processo breve, blocca processi, provvedimenti stoppati o profondamente modificati grazie alle insistenze dei finiani. Gli torna in mente la frase circolata con insistenza in Transatlantico nell'ultima settimana durante i momenti caldi del caso Caliendo, chiaramente rivolta verso di lui, e che gli hanno riferito. Suonava così: "Chi di giustizia ferisce, di giustizia perisce". E poi un'altra frase inquietante contenuta nell'ultima intervista di Angelino Alfano, quando il Guardasigilli avverte: "Chi si autoproclama un puro corre il pericolo di trovare uno più puro di lui che lo epura". Una sorta di minaccia, e neppure tanto velata.

Qui matura la lunga nota. Che ai suoi spiega così: "Ho voluto chiudere subito un caso che non esiste, nel quale io non entro per nulla, che non cambia minimamente la mia prospettiva politica". Poteva tacere finché ad attaccarlo erano i giornali di casa Berlusconi, ma quando il caso si è allargato a tutta la stampa, allora l'esigenza di mettere un punto fermo è diventata inderogabile. Non solo per tutelare la sua onorabilità, ma anche il ruolo che ricopre. E dal quale Berlusconi cerca di sbalzarlo con ogni mezzo. È questo che, al contempo, lo stupisce e lo indigna. Ed è questo che, con il suo scritto, ha voluto contrastare. Il tentativo di costringerlo alle dimissioni è evidente, ma alle alchimie lui ha deciso di rispondere con i fatti che elenca uno dopo l'altro. E su cui per certo non ha alcuna intenzione di ostacolare i magistrati. Tutt'altro. Perché, come spiega per tutto il giorno, "io voglio continuare a fare le mie battaglie per la legalità e non saranno di certo le oscure manovre di Berlusconi a potermi fermare".

(09 agosto 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #22 inserito:: Agosto 23, 2010, 05:54:40 pm »

GIUSTIZIA

Per salvare il Lodo 5 milioni di cause a rischio

Così il Cavaliere vuol evitare il pagamento del risarcimento Mondadori.

Finiani e opposizione in allerta per sventare il colpo di spugna sui 750 milioni

di LIANA MILELLA



ROMA - Mandare al macero, o quantomeno compromettere pesantemente il corso, di 5 milioni di cause civili pendenti, pur di cambiare il destino dell'unica che gli interessa. La sua. Quella sul lodo Mondadori che, se venisse confermata la sentenza di primo grado del giudice Raimondo Mesiano, costerebbe alla Fininvest 750 milioni di euro da versare alla Cir di Carlo De Benedetti. Non si smentisce mai Silvio Berlusconi. Il metodo delle leggi ad personam e ad aziendam è sempre lo stesso. Storia lunghissima, Cirami, Cirielli, rogatorie, falso in bilancio, blocca processi, processo breve, lodo Schifani, lodo Alfano, già una norma per il caso fiscale della stessa Mondadori. Solo per citare le più note.

E le prime indiscrezioni sul suo progetto, annunciato venerdì a palazzo Grazioli durante la conferenza stampa post vertice, per "un piano straordinario per il rapido smaltimento delle cause civili pendenti", svela subito il suo interesse recondito. Poiché per i processi civili non c'è amnistia che tenga, allora la strategia del colpo di spugna deve camminare per altre vie e ammantarsi di una fittizia regolarità. Ma i finiani all'interno della maggioranza, e le opposizioni, sono già in allerta, pronti a sventare il nuovo tentativo.

Dice il Cavaliere che i processi civili "sono talmente lenti e inefficienti da rappresentare un ostacolo insormontabile per chi voglia investire in Italia". Che farne dunque? Toglierli di mezzo al più presto. Soprattutto se l'urgenza del caso specifico, la Mondadori in specie, va affrontata al più presto visto che il processo è già in secondo grado. Tant'è che il Guardasigilli Angelino Alfano ci aveva già provato a luglio, addirittura per decreto legge. Con il solito sistema di piazzare un emendamento del tutto estraneo per materia in un decreto già in dirittura d'arrivo e tale da dover essere convertito per assoluta necessità.

Niente di meglio che quello sulla manovra economica in cui, al Senato, il governo ha tentato di infilare una paginetta che riscriveva le regole per i processi civili pendenti. Due trucchi e il dibattimento si blocca: la sospensione di sei mesi e una nuova figura, quella dell'ausiliario del giudice, che a bocce ferme studia e propone una soluzione nel merito. Le parti possono accoglierla, l'ausiliario si becca un bel gruzzolo, la causa è finita. Oppure, se i contendenti non sono d'accordo, si va alla sentenza per le vie regolari, ma sul perdente pesa la minaccia di doversi accollare tutte le spese per aver rifiutato la "via breve".

Chi, in questi ultimi giorni, è stato in contratto con Alfano e con Berlusconi conferma che il progetto è rimasto lo stesso. Prima la sospensione, articolata in due fasi, due-tre mesi per prendere la decisione se seguire oppure no la strada alternativa a quella tradizionale, poi altri sei mesi per permettere all'ausiliario di costruire una soluzione processuale. Poi la decisione delle parti e l'opzione tra l'assenso alla mediazione o il rifiuto con quello che, in quelle condizioni, può comportare economicamente il rischio del dibattimento tradizionale. A luglio, a fermare il governo, fu la levata di scudi dell'opposizione, Pd e Idv, che gridò "alla giustizia svenduta e data in appalto a figure estranee come quella dell'ausiliario".

Non un magistrato di carriera dunque, ma avvocati, notai, avvocati dello Stato, docenti o ricercatori universitari, anche magistrati in pensione, che pigliano in carico un processo con l'obiettivo di chiuderlo. E sono ben pagati solo se azzeccano la soluzione, altrimenti incassano una sorta di risarcimento al lavoro fatto. Una figura "incostituzionale" dissero le due capogruppo del Pd al Senato Silvia Della Monica e alla Camera Donatella Ferranti. Aggiunse la della Monica: "Si creano i presupposti perché possa essere presentata un'istanza dalla Fininvest per ottenere un ulteriore rinvio del processo per un periodo di sei mesi per esperire una procedura di mediazione". E proprio la mediazione, ribadisce tuttora la Ferranti, "è procedura anomala perché rappresenta una prima fase del processo, e non può intervenire in una seconda, a partita già iniziata".

La Fininvest, a luglio, ha assicurato che, anche se fosse stata approvata, non avrebbe usufruito della riforma. Ma la fretta di allora resta sospetta e l'obiettivo di affidare a un esercito di ausiliari cinque milioni di processi civili altrettanto. In barba, come sostiene il Pd, "a qualsiasi risparmio e alla logica che vorrebbe veder semplicemente potenziato l'organico della magistratura ordinaria". Ma si sa, i giudici, come dice Berlusconi, "sono tutti comunisti". 

(23 agosto 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #23 inserito:: Settembre 08, 2010, 09:13:13 am »

L'INTERVISTA

"Grazie al Porcellum è oligarchia cancelliamo questa aberrazione"

L'ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky spiega  l'appello di LIbertà e Giustizia: serve un movimento trasversale. "Leggi simili esistono solo nelle dittature di partito. E infatti il presidente del Consiglio può promettere candidature in cambio della fedeltà al Pdl"

di LIANA MILELLA


ROMA - Il calderoliano Porcellum "rovescia la democrazia in oligarchia". Dunque va messo da parte prima di un nuovo voto. "Basta una leggina fatta di due frasi: "È abrogato il Porcellum ed è riportato in vigore il Mattarellum"". Perché, ragiona l'ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky, altrimenti l'attuale legge elettorale continuerà a "ferire la Costituzione" e ad espropriare i cittadini del loro diritto di scegliere da chi essere rappresentati. Per salvare "quella piccola cosa che è la democrazia" si mobilita 1 l'associazione Libertà e Giustizia.

Ironizza Ellekappa, nella vignetta che campeggia sul sito: "Siamo seri, non si può andare a votare con una legge elettorale che grugnisce". Ci spiega il perché dell'iniziativa?
"Non si è mai vista in democrazia una legge elettorale in cui gli elettori non possano scegliere i propri rappresentanti, ma siano semplicemente chiamati ad "abboccare" alle designazioni fatte dalle segreterie dei partiti. Leggi di questo genere esistono solo nelle dittature di partito. Se questa non è un'aberrazione, non so cos'altro potrebbe essere".

Una legge che delega alle segreterie dei partiti, a solo cinque uomini in Italia come dice Fini, la nomina di mille parlamentari, espropria i cittadini del diritto di indicare i propri rappresentanti?
"Certamente. Ma non solo. Rovescia la democrazia in oligarchia. Che cos'è l'oligarchia se non il regime in cui i pochi che stanno in alto chiamano a sé e cooptano i propri uomini di fiducia? La democrazia non richiederebbe che i rappresentanti in Parlamento siano invece uomini di fiducia dei cittadini?".

Ma quando la legge Calderoli fu votata si disse che serviva per evitare campagne elettorali costose e per bloccare le interferenze di lobby criminali sulla scelta di deputati e senatori. Questi argomenti le paiono validi?
"Sono funzionali a un sistema oligarchico, non democratico. Potrebbero essere presi sul serio se si potesse dimostrare che l'attuale illimitato potere delle segreterie dei partiti di scegliere i candidati sia stato usato per selezionare una classe dirigente di persone oneste e competenti, degne di ricoprire la funzione parlamentare. Non generalizziamo, ma possiamo dire che effettivamente sia accaduto così? Ovvio che i problemi esistono, ma devono essere risolti diversamente, per esempio stabilendo limiti rigorosi alle spese elettorali e regole di trasparenza sui finanziamenti. La penetrazione di interessi criminali nella politica, poi, può essere addirittura facilitata dalla gestione oligarchica delle candidature".

A questa legge si può imputare la "colpa" di aver acuito la distanza tra cittadini e politica e di aver favorito l'astensionismo?
"Sì. Una legge come quella attuale è la dimostrazione che la classe dirigente vuole proteggersi dall'ingresso sulla scena della politica della cosiddetta società civile. Chiariamoci il concetto. Società civile non sono i salotti, le lobby, i gruppi organizzati per interessi settoriali. La società civile è l'insieme dei gruppi, delle associazioni, di coloro che liberamente, come ad esempio nel grande mondo del volontariato, dedicano gratuitamente passione ed energie al bene comune. Costoro chiedono giustamente "rappresentanza", ma la legge attuale li allontana dalla presenza in politica".

In un meccanismo come quello inventato nel 2005 lei individua un vulnus costituzionale?
"Sì. Nel solo fatto che, come giustamente si dice, deputati e senatori siano designati dall'alto e non eletti dai cittadini, c'è una violazione della sovranità popolare (articolo 1 della Costituzione). In più, il sistema attuale fa dei parlamentari degli agenti dei capi di partito che li hanno messi in lista, e non i rappresentanti della nazione come dovrebbe essere, secondo l'articolo 67 della Costituzione. Infine, un Parlamento così fatto è totalmente privo di autonomia e di autorevolezza rispetto a coloro che ve li hanno messi. Ciò che è accaduto in questi giorni, quando il presidente del Consiglio promette candidature in cambio di adesioni al Pdl, non dimostra forse, nel modo più chiaro, che i posti in Parlamento sono considerati proprietà di chi comanda, il quale li può distribuire come vuole?".

Libertà e Giustizia si mobilita "per restituire ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento". Com'è nata l'idea?
"È nata per tutte le ragioni dette finora. È una mobilitazione per la democrazia. La speranza è creare un movimento trasversale e corale tra tutti coloro che hanno a cuore questa piccola cosa che è la democrazia. Non abbiamo nessuna idea, né ci preoccupa averla, su chi potrebbe avvantaggiarsi e chi invece sarebbe danneggiato dall'abrogazione della legge elettorale vigente. In gioco c'è ben altro che il successo di questo o quel partito. C'è la difesa della democrazia".

Ogni volta che si ragiona di riforma del sistema elettorale si apre una contesa tra sostenitori di diverse soluzioni, quella tedesca, francese, spagnola o inglese. Un guazzabuglio dal quale non si esce mai. Lei cosa suggerirebbe per arrivare almeno a un compromesso decente?
"La situazione attuale è di emergenza. Giustizia e Libertà ha lanciato tempo fa questo slogan: "Mai più al voto con questa legge elettorale". Ogni altra soluzione sarebbe migliore. Tuttavia, se ciascuna forza politica interessata alla riforma elettorale si muoverà per conto proprio secondo la sua strategia politica, il risultato sarà inevitabilmente l'impasse, e ci terremo la legge che si dice di voler cambiare".

E invece c'è una via d'uscita?
"Il suggerimento minimalista è di rivolgersi indietro alla legge precedente, il cosiddetto Mattarellum. Era una legge criticabile, ma certamente rappresenterebbe oggi il meno peggio. Sarebbe già qualcosa di importante. Si trattava di un compromesso tra logica maggioritaria e logica proporzionalistica che potrebbe soddisfare, almeno parzialmente, tutti quanti. Poi, se i tempi lo consentiranno, si potrà lavorare fuori dell'emergenza, per un nuovo sistema elettorale. Per raggiungere questo risultato, al quale le Camere prima dello scioglimento dovrebbero dedicarsi, basterebbe una leggina fatta di due frasi: "È abrogato il Porcellum ed è riportato in vigore il Mattarellum"".

(08 settembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #24 inserito:: Settembre 14, 2010, 05:40:32 pm »

LEGGE ELETTORALE

La tentazione del Cavaliere lo scambio fra lodo e Mattarellum

Berlusconi potrebbe tornare al Mattarellum solo se il Pd accetta di votare il lodo Alfano in veste costituzionale.

Otterrebbe i due terzi, eviterebbe il referendum e bloccherebbe al più presto tutti i suoi processi milanesi

di LIANA MILELLA


A MARE il Porcellum, pur di salvare se stesso. Il ritorno al Mattarellum, ma solo se il Pd accetta di votare il lodo Alfano in veste costituzionale, in modo da ottenere i due terzi, evitare il referendum e bloccare al più presto - aprile calcolano gli uomini di Berlusconi - tutti i suoi processi milanesi. Stavolta definitivamente. Senza più patemi. Tranquillo fino allo scadere della legislatura. È questa la tela segreta, il grande scambio tra scudo e legge elettorale, che in queste ore sta tessendo palazzo Chigi. Nella quale l'atteggiamento e la posizione di Fini rivestono, per il Cavaliere, un ruolo fondamentale. Un suo sì, "ma pieno, rotondo e senza scherzi", allo scudo rappresenta un primo passo essenziale. Perché, ragiona il premier con il Guardasigilli Angelino Alfano, "dell'intesa sul lodo dobbiamo essere sicuri al cento per cento, altrimenti è meglio che io faccia saltare tutto adesso per votare in primavera".

Il Porcellum, la legge "porcata" come la battezzò il leghista Calderoli, gli ha regalato il potere assoluto di mettere in lista chi gli pare e consegnarlo come un pacco regalo agli italiani, ma Berlusconi è deciso a buttarla via tentando uno scambio con il Pd. Che sfrutta un dato di fatto, la voglia profonda dei Democratici di tornare al sistema inventato dall'ex ministro Sergio Mattarella. Come dimostra la notizia che i pd Arturo Parisi e Stefano Ceccanti ieri si vantavano di aver già raccolto 187 firme, 80 senatori e 107 deputati, per sostenere quella "semplice legge" ipotizzata dall'ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky e una legislatura fa depositata dall'ex pm Felice Casson. Due righe, "è abrogato il Porcellum, si torna al Mattarellum". Sui mal di pancia del Pd punta Berlusconi, convinto, mentre ne ragiona con i suoi, che lo scambio tra lodo Alfano e abolizione del Porcellum non sia affatto un sogno impossibile.

A chi, delegato a svolgere il ruolo di ambasciatore, gli obietta che "mai e poi mai i Democratici voterebbero per una legge che considerano ad personam", lui fornisce l'argomento utile da spendere: "Ditegli che solo così potranno cambiarla, altrimenti si torna a votare con quella". Fa di conto, il Cavaliere. Dà per scontata l'adesione dell'Udc e comincia a convincersi che anche Fini sullo scudo stia facendo sul serio. Al presidente della Camera, che già quest'estate si interrogava su quale potesse essere la via d'uscita per risolvere i problemi giudiziari del premier e chiedeva consigli, in quel di Ansedonia, alla sua consigliera per la giustizia Giulia Bongiorno, lei aveva risposto che l'unica via, la più "pulita", era quella della sospensione dei processi per la durata del mandato, ma da perseguire con legge costituzionale. Fini dunque non gioca, e ieri Italo Bocchino lo ha confermato ad Angelino Alfano.

Incontro casuale, si dice. Due padri che portano a scuola, per l'inizio dell'anno, la figlia e il figlio. Guarda caso pure nella stessa classe. Poi una merenda, tra scorte e telecamere, al bar Ruschena, lungotevere all'angolo della Cassazione. Un'ora e più di colloquio. Su Repubblica la notizia che Fini dà mandato alla Bongiorno di dare il via libera all'accelerazione del lodo. Bocchino conferma che il suo capo fa sul serio. Quella "è una strada che rispetta le regole, non scassa il sistema, riguarda solo un processo e non ne manda a capofitto centinaia come il processo breve".

E allora non resta che far di conto. Verificare i tempi. Incrociare il progetto con la decisione della Consulta sul legittimo impedimento (il 14 dicembre). L'ipotesi di cambiare quella legge, su cui pure Alfano ha ragionato, non pare spendibile. Una versione che la attenuasse, ha spiegato l'avvocato del premier Niccolò Ghedini, danneggerebbe soltanto il suo assistito. La tattica decisa è un'altra. Che i berluscones spiegano così: "Metteremo la Corte di fronte al fatto compiuto che il Parlamento sta approvando a tappe forzate la legge costituzionale, per cui la legge ponte, il legittimo impedimento, è comunque destinata a scomparire". Per questo contano i tempi, cui è delegato a lavorare Carlo Vizzini, il presidente della commissione Affari costituzionali e relatore del lodo. Che ieri ha sottoposto al capogruppo pdl Maurizio Gasparri l'ipotesi di un incontro congiunto tra Camera e Senato per verificare la stesura di un testo definitivo.

Su questo si gioca la corsa a tappe forzate. Sì rapido al Senato, aula ad inizio ottobre, entro dicembre il secondo voto alla Camera. Tre mesi obbligatori di attesa. Poi la terza e quarta lettura. Legge pronta ad aprile. E qui, calcola Vizzini, "dovrebbero essere necessari 190, al massimo 200 giorni, per andare al referendum, qualora fosse necessario". Ma Berlusconi lavora per evitarlo mettendosi d'accordo col Pd. Se non ci riuscisse ecco il referendum in autunno, che lui considera già vinto visto che spenderà la sua faccia. A quel punto starà per scadere il legittimo impedimento. Ma a vederlo da fuori è un puzzle con molti, troppi incastri.

(14 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/14/news/berlusconi_porcellum-7049795/
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« Risposta #25 inserito:: Settembre 23, 2010, 05:08:01 pm »

IL RETROSCENA

L'ira di Fini: "Il mandante è Silvio sta falsificando di tutto"

In una riunione con Bocchino e la Bongiorno la scelta di interrompere le trattative sul Lodo.

Sui giornali del premier: documenti fasulli.

Il ministro Alfano ha chiesto ai finiani se fosse possibile continuare a discutere

di LIANA MILELLA


Di una cosa è convinto Gianfranco Fini. Ormai senza alcuna ombra di dubbio. E per questo, quasi a scandire la giornata, ha continuato a ripeterla. "Il mandante di quello che il Giornale pubblica è solo ed unicamente Berlusconi. È inutile che dica o faccia finta di non esserlo. Io so che è così". Una certezza che ha reso la sua collera profonda, la sua indignazione grande "per quel documento falso" sparato in prima pagina, la sua reazione politica inevitabile. "Io da tempo sono convinto che con questi qui non si può più trattare". Il Giornale aperto sulla scrivania, col titolo che troneggia "Fini non ha detto la verità". E lui scuote la testa e dice: "Quello che abbiamo sotto gli occhi è la prova che dobbiamo fermare tutto". La conseguenza è scontata. Sta tutta nelle parole gravi che il presidente della Camera pronuncia mentre è a colloquio con il capogruppo di Futuro e libertà Italo Bocchino e con la responsabile Giustizia e suo avvocato Giulia Bongiorno. Sono quasi le 14 e una nuova pagina del lungo e tormentato divorzio da Berlusconi si consuma: "Lui punta scientificamente a distruggermi. Lo pianifica. Ma io a questo punto blocco ogni trattativa. Sulla giustizia si deve fermare ogni passo. Il mio è un punto d'onore perché non mi faccio impallinare da lui così, su una ricostruzione del tutto falsa". La sua collera diventa pubblica, ma dal quartiere berlusconiano non giunge neppure un minimo tentativo di ricucitura, né una possibile spiegazione. Non chiama neppure l'abituale colomba Gianni Letta.

Era cominciato il giorno prima il tam tam dello nuovo scoop di Feltri. Era arrivata all'orecchio di Fini proprio con il racconto di un Berlusconi che se ne vantava parlandone con i suoi. "Lo fottiamo un'altra volta" andava dicendo il Cavaliere. Pronto a liquidare chi gli raccomandava prudenza in vista del voto su Cosentino: "Ma che c'importa dei loro voti, tanto abbiamo i nostri". Questo indigna il leader di Fli, la fredda premeditazione. La costruzione a tavolino di un documento che, nella migliore delle ipotesi, e secondo la lettura dei finiani, è falso nella firma, nella peggiore è un falso integrale. Per questo, con Bocchino e la Bongiorno, fa ulteriori verifiche sulla possibile origine. E parla con il cognato Gianfranco Tulliani, dal quale ottiene una nuova conferma che no, non è lui il titolare di quelle società. E dunque Fini può dire tranquillo: "Avete visto? Questa prova è come quella di qualche giorno fa sulle firme uguali di Tulliani sotto i contratti. Un altro falso, perché le firme invece sono differenti".
Si può trattare sulla giustizia, lavorare a uno scudo per mettere in sicurezza il premier, mentre nell'ombra, proprio quello stesso premier, manovra per far cadere il suo interlocutore? "No, non è possibile" decide Fini. Se Berlusconi crea un clima "da piano Solo" allora tutto si ferma. Salta l'appuntamento fissato per le 16 tra la Bongiorno e Niccolò Ghedini. L'avevano preso davanti alla buvette all'una. Fini ordina di cancellarlo un'ora dopo. La Bongiorno chiama Ghedini: "Mi dispiace, ma non ci vediamo più, la trattativa è chiusa".

Ghedini corre da Berlusconi dove lo raggiunge il Guardasigilli Angelino Alfano. Che tenta di mediare con Bocchino: "Che facciamo col lodo?" gli chiede al telefono. E Bocchino reagisce freddamente: "E a me lo chiedi? Devi chiederlo al tuo capo. Noi nel merito siamo d'accordo, ma voi state ponendo le condizioni per la definitiva rottura. A questo punto noi non scriviamo più il lodo con voi, fatelo da soli, presentatelo, e noi lo esamineremo in piena libertà. Ma, come per tutte le altre leggi costituzionali, anche per questa ti ricordo che ci vorranno sei o sette mesi solo per la prima lettura". Peggio non poteva sentire il ministro della Giustizia che invece, nei suoi colloqui con il premier, aveva disegnato una road map ben più celere, un anno fino alla definitiva pubblicazione.
Ma, come dirà lo stesso Bocchino alla pattuglia di Fli riunita per tutto il pomeriggio, "ormai la guerra con Berlusconi è totale, noi il 29 settembre voteremo solo il suo documento, ma poi su tutto il resto non ci saranno trattative, ognuno per la sua strada".

Come per la commissione Giustizia, dove Fini sventa un altro "falso", il tentativo di impallinare la Bongiorno. Un altro tassello della strategia della disinformazione, l'insistenza nel ripetere che lei non è più la persona che Fini ha delegato a occuparsi di giustizia, che ora ci sono altri, da Moffa a Consolo, cui far riferimento. Tale è il battage che la notizia esce sui giornali, condita dal dettaglio che anche sul piano legale, per l'affare di Montecarlo, accanto all'avvocato che fu di Andreotti ci sarà anche Giuseppe Consolo. Nella giornata delle smentite furiose una è a tutela della Bongiorno, che non solo resta l'unico avvocato di Fini ("Non ho in animo di affiancarle alcuno"), ma è anche "l'unica candidata di Fli per la presidenza della commissione Giustizia". Lei resta con lui per tutto il pomeriggio, legge e rilegge l'articolo del Giornale, quello che Flavia Perina sul Secolo di oggi definisce "una surreale bufala", l'ultimo pezzo "di un'escalation velenosa finalizzata a cancellare il principale competitor dell'attuale presidente del Consiglio".

(23 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/23/news/berlusconi_mandante-7336821/?ref=HREA-1
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« Risposta #26 inserito:: Ottobre 24, 2010, 03:34:10 pm »

LA LEGGE

Ecco la riforma della giustizia "Più poteri al guardasigilli"

Csm a guida politica, assoluzioni inappellabili, polizia autonoma .

Il pm perde il controllo delle indagini a vantaggio degli investigatori.

Una normativa per assicurare parità assoluta tra pubblica accusa e difesa

di LIANA MILELLA


ROMA - Eccola, la legge di Angelino Alfano. La riforma costituzionale per cui il Guardasigilli sta spendendo incontri con le massime cariche dello Stato. Per ora è raccolta in tre fogli, quelli che il ministro della Giustizia ha mostrato, anche con modifiche in progress, a Napolitano, a Fini e Schifani, a Vietti. Le massime cariche dunque, capo dello Stato, presidenti di Camera e Senato, vice presidente del Csm. Sotto la dicitura in grassetto "riforma costituzionale della giustizia" ci sono una dozzina di capitoli, con il reiterato e insistito riferimento alla Bicamerale di D'Alema, alla famosa bozza Boato, quasi a voler dire che anche la sinistra voleva questo ridimensionamento dei giudici che ora Berlusconi vuole realizzare. Una rivoluzione in negativo per la magistratura. Riassumibile in pochi concetti: le toghe divise, il pm privato della polizia e dell'obbligatorietà, perfino eletto dal popolo, il Csm depotenziato e messo nelle mani della politica, il Guardasigilli rafforzato e con ampi poteri. Scorriamo la bozza di Alfano per scoprire come vuole riscrivere il titolo quarto della Costituzione che non si chiamerà più "la magistratura", ma "la giustizia". Perché, dice il ministro, "le norme riguardano non solo l'ordine giudiziario, inteso come corporazione, ma un bene essenziale per la vita dei cittadini e per la nazione". Per il bene di entrambi cade la mannaia sulla magistratura.

Le carriere. Saranno separate. Ma non solo. "La posizione costituzionale del giudice è differenziata da quella del pm: il primo è definito come un "potere" dello Stato; il secondo come un ufficio regolato dalle leggi dell'ordinamento giudiziario". E qui arrivano i dolori. Primo limite: "l'ufficio del pm resta titolare dell'azione penale, ma dovrà esercitarla secondo le priorità indicate dalla legge". Secondo limite: "Anche la disponibilità della polizia giudiziaria sarà rimessa alle modalità stabilite dalla legge". È la norma manifesto messa in Costituzione che sarà poi declinata da una ordinaria con cui si sgancia la polizia dal pm, la si mette in condizione di fare quello che vuole, senza più né direzione né obblighi né controlli. Alfano lo motiva così: "Ciò assicurerà di non disperdere le indagini, l'efficienza della politica criminale, il rispetto delle priorità nel trattare gli affari penali, rafforzerà il principio di responsabilità nell'uso dei poteri di indagine". È la fine del pm autonomo e indipendente.

I Csm. Saranno due, ma conteranno molto meno dell'uno di adesso. Ridotti a ruolo burocratico e amministrativo. Li presiederà il capo dello Stato. Componenti eletti per un terzo, o per metà, dalle toghe, per il resto dalle Camere. Addio agli equilibri di oggi a favore dei giudici. Che faranno? "Continueranno a occuparsi delle assunzioni, dei trasferimenti, delle promozioni". E "verrà affermata la natura amministrativa degli atti consiliari, il divieto di adottare atti di indirizzo politico e quello di esercitare attività diverse da quelle previste dalla Costituzione". Non basta. "Sarà regolamentata l'emanazione di pareri sui ddl, che i Consigli potranno esprimere solo quando ne venga fatta formale richiesta dal ministro della Giustizia". Il quale potrà pure prendere parte alle sedute e proporre questioni. Qual è la ragione del bavaglio al Csm? Per il Guardasigilli "si colma una lacuna obiettiva della Carta che, non indicando limiti, consente l'esercizio di ampie funzioni para normative e di indirizzo generale che assumono talvolta natura politica e determinano conflitti con gli altri poteri dello Stato". È l'accusa di essere una terza Camera. Il Csm perde anche la sezione disciplinare, che diventa un'Alta Corte per tutte le magistrature.

Il Guardasigilli. Alfano "si allarga". Il ministro "riferirà annualmente alle Camere sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale, sull'uso dei mezzi d'indagine". Al Csm "potrà presentare proposte e richieste". Verrà "costituzionalizzata la sua funzione ispettiva". "Concorrerà alla formazione dei giudici e dei pm". Un potere enorme, che ne farà il vero dominus e super controllore della magistratura. Sulla quale non solo incomberà la mannaia della responsabilità civile, ma anche il trasferimento obbligatorio.

"Leggine" nella Carta. Non possono che essere lette come anticipi di norme a favore del premier quella del ripristino della legge Pecorella, cassata dalla Consulta, per cui "in Costituzione sarà affermato il principio per cui contro le sentenze di condanna è sempre ammesso l'appello, mentre le sentenze di assoluzione possono essere appellate soltanto nei casi previsti dalla legge". E poi la regola della parità tra accusa e difesa nel processo, per cui "si sta studiando una legge per assicurare che l'ufficio del pm e del difensore siano messi in condizione di parità dinanzi al giudice in ogni fase del procedimento penale". È la base d'appoggio per un ddl, ribattezzato processo lungo, per garantire lo strapotere delle difese a discapito del giudice.

Pm eletti. Alla fine ecco pure "la partecipazione del popolo all'amministrazione della giustizia", per cui sarà prevista "la nomina elettiva di magistrati onorari per le funzioni di pm". È l'obolo pagato alla Lega. Ma tradisce la voglia di trasformare completamente la magistratura. 

(22 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/22/news/ecco_la_riforma_della_giustizia_pi_poteri_al_guardasigilli-8318377/
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« Risposta #27 inserito:: Gennaio 06, 2011, 05:38:49 pm »

L'INTERVISTA

Bongiorno: "Giustizia maltrattata, ora il ministro cambi passo"

A Berlusconi interessa creare un sistema in cui i pm aspettano i giudici dietro la porta con il cappello in mano.

Adesso basta parlare di complotti e giudici comunisti

di LIANA MILELLA


ROMA - Potrebbe dire "io ve l'avevo detto". O ancora "è tempo che con Fini chiediamo più risorse". O constatare con amarezza che "nei tanti tavoli sulle leggi ad personam non ci si occupa della giustizia per i cittadini". Ma Giulia Bongiorno, la responsabile Giustizia di Fli eletta con consenso bipartisan al vertice della commissione Giustizia della Camera, va oltre. E, in aperta polemica col premier, dice: "Lui parla di complotti e giudici comunisti, anziché d'efficienza della giustizia".

Per Alfano l'allarme informatico è chiuso. L'Anm pensava già allo sciopero: preoccupazione esagerata?
"Il ministro dichiara che il problema è superato. Vedremo se la soluzione è definitiva. È impensabile tornare alla preistoria, con annotazioni su registri cartacei; anche perché manca il personale. Una delle cause della dilatazione dei tempi dei processi è che spesso, alle 14, bisogna sospendere le udienze perché mancano i fondi per gli straordinari. Senza personale e fondi per l'informatica, il rischio di paralisi è effettivo".

Il Guardasigilli butta la colpa su Tremonti che stringe troppo i cordoni della borsa. Da 85 milioni di euro nel 2008 ai 27 del 2011. Taglio giustificabile?
"Non ci si può accanire contro la giustizia. E invece la politica continua a maltrattarla, da diverse legislature. Il pensiero che si legge in filigrana è che quei tagli siano
indolori. Ogni tanto sento dire: "Al massimo si lamentano i magistrati". Ed è sbagliato".

Perché?
"Dal punto di vista politico, la giustizia non ha appeal. Non ci si rende conto che giustizia, economia e sicurezza sono vasi comunicanti: moltissimi investimenti non vengono fatti in Italia proprio perché l'imprenditore non si sente tutelato in caso di inadempimenti contrattuali. E non si percepisce che la giustizia rappresenta l'altra faccia della sicurezza: se non si celebrano i processi, i delinquenti restano impuniti e le sanzioni non vengono applicate; la sanzione è un deterrente e la mancanza di sanzioni si trasforma fatalmente in incentivo a delinquere".

Fini ha spesso chiesto più risorse. Cosa rispondeva Alfano?
"Ha sempre garantito il suo impegno. È indubbio che l'attuale situazione economica non lo agevola. Altrettanto indubbio è che il problema si è manifestato da prima di questa legislatura. Tuttavia, a questo punto, mi aspetterei da lui un colpo d'ala".

Ma nei tavoli sulle leggi ad personam l'emergenza di oggi era prevista o denunciata da qualcuno?
"In quei tavoli non si parla mai della giustizia in favore dei cittadini, ma di tutt'altro".

Ora c'è solo la lotta per la successione a Berlusconi tra Alfano e Tremonti o la giustizia sta a cuore a qualcuno?
"Io ho rapporti con Alfano e non con Tremonti, non ho elementi per fare un confronto. Ma c'è un dato oggettivo: non mi sembra che fino a oggi l'efficienza della giustizia sia stata una priorità assoluta di questo governo".

Dicono all'Anm che così Berlusconi blocca comunque le toghe senza la separazione delle carriere. Sospetto lecito?
"No, perché in certi casi la giustizia riesce a essere  -  a prescindere dal sistema  -  molto efficiente. Piuttosto, il punto è che per il premier la priorità è, come spesso ripete, creare un sistema in cui i pm aspettano i giudici dietro la porta con il cappello in mano, come gli avvocati. Per me, invece, la priorità è un sistema efficiente capace di evitare le attese tout court. Se si vuole riformare la giustizia bisogna prima farla funzionare".

Dal 2008 quanto tempo si è speso dietro intercettazioni, blocca-processi, processo breve e quanto nell'efficienza?
"La vera nota dolente è questa. Sia in commissione che fuori, si è data precedenza assoluta a questi ddl: credo che un ideale cronometro avrebbe registrato ben poco tempo dedicato ai temi che interessano la collettività. E questo spiega anche perché respingo l'accusa che mi viene mossa di aver fatto da freno alle riforme. Finora ho letto decine di testi su lodi, intercettazioni e processi brevi. Se, e quando, ci sarà una vera riforma nell'interesse del cittadino, sarò la prima ad applaudire Alfano".

E il complotto giudici-comunisti paventato dal Cavaliere?
"È la dimostrazione di quanto sostenevo. Si mettono al centro del dibattito complotti e giudici comunisti, anziché l'efficienza della giustizia: con il risultato di sottrarre attenzione, tempo ed energia alle questioni concrete e pressanti che riguardano tutta la comunità".

(06 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/06/news/bongiorno_troppe_leggi_ad_personam_ora_il_ministro_cambi_passo-10896066/
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« Risposta #28 inserito:: Gennaio 10, 2011, 06:02:53 pm »

IL PALAZZO

Il legittimo impedimento rischia lo stop Alla Consulta domani udienza pubblica

Berlusconiani divisi tra chi parla di mezza vittoria e chi di un Cavaliere in balia dei giudici.
Gli avvocati del premier cercano la mediazione.

Il Popolo viola alle 17,30 "illumina" con una fiaccolata sotto il palazzo la scelta dei giudici

di LIANA MILELLA


ROMA - Incostituzionale, o parzialmente incostituzionale, perché pone gli impegni del premier e dei ministri al di sopra di qualsiasi altro interesse garantito dalla Carta, compreso quello dei giudici a celebrare un processo. Incostituzionale, o parzialmente incostituzionale, perché lega le mani alle toghe e toglie loro il diritto di operare un bilanciamento tra le esigenze del processo e quelle della politica. Diritto che, proprio usando l'espressione "bilanciamento", la Corte aveva già individuato e delineato nel 2005 quando le capitò per le mani il caso di Cesare Previti, l'ex avvocato del premier entrato in rotta di collisione col gip milanese Alessandro Rossatto, per via delle presenze negate a un'infinita udienza preliminare adducendo i contemporanei "doveri" di Montecitorio.

Alla vigilia dell'udienza pubblica alla Consulta sul legittimo impedimento - domattina alle 9 e 30 al secondo piano del palazzo che fronteggia il Quirinale - queste sono le ultime indiscrezioni sul destino della legge. O bocciata del tutto. O bocciata in una sua parte fondamentale e sostanziale, quella che sta a cuore al Cavaliere, perché tiene congelati, dalla primavera del 2010, i processi Mills, Mediaset, Mediatrade. I 15 alti giudici rientrano oggi a Roma. E nel pomeriggio già si vedranno per una camera di consiglio ordinaria, nella quale leggeranno le sentenze scritte sui casi discussi prima di Natale. Non è prevista alcuna riunione ufficiale o incontro informale per parlare del legittimo impedimento.
Ma è questo, assieme ai referendum sull'acqua, sul nucleare e sulla stessa legge ponte al mai nato lodo Alfano costituzionale, l'argomento clou su cui riflettere. Se ne parlerà in conversari privati prima del dibattito pubblico con gli avvocati di domattina e prima, soprattutto, della decisione di giovedì. Ad accogliere i componenti della Corte ci sarà anche la sorpresa del Popolo viola che, dalle 17 e 30 di oggi, ha deciso di "illuminare" chi deve pronunciarsi sulla legge con un presidio a lume di candela. Gianfranco Mascia ha anche avviato sul suo blog una petizione di solidarietà.

Ma tra le alte toghe l'orientamento sembra ormai solidificarsi sempre più. La legge ideata dall'Udc, da Pier Ferdinando Casini e Michele Vietti (oggi vice presidente del Csm), per bloccare il ddl sul processo breve che, se approvato per fulminare quelli del premier, avrebbe comportato la moria di centinaia di processi, non ce la farà a ottenere il crisma di costituzionalità dalla Corte. Troppe, e troppo evidenti, le anomalie che determinano una manifesta sproporzione di trattamento tra il "cittadino" Berlusconi, pur in veste di premier, e tutti gli altri cittadini. Troppo smaccata l'impossibilità, di fatto, di celebrare i processi che si configura, a tutti gli effetti, come una vera e propria sospensione. Giusto quella "sospensione" che la medesima Consulta, vagliando e poi bocciando, il lodo Alfano nell'ottobre 2009, decise che si poteva fare sì, ma solo a patto di utilizzare una legge costituzionale. E il legittimo impedimento non lo è.

Appare fiacca, a detta dei giudici, l'argomentazione degli avvocati di Berlusconi, Niccolò Ghedini e Piero Longo, che insistono sul diritto del presidente del Consiglio, costituzionale anch'esso, di governare e quindi di non poter essere "angosciato" dalle udienze. Sarà pure, "ma è mai possibile che questo presidente non trovi neppure un minuto in un intero anno per fare il suo processo?". O non si è esagerato quando, nella stesura della legge, le Camere hanno previsto una copertura estesa, come un grande lenzuolo, su ogni possibile attività del premier, pure su quelle "preparatorie e consequenziali, e comunque coessenziali"?

Dalla Corte i boatos che paiono annunciare la bocciatura arrivano anche nel quartiere berlusconiano. Dove già ci si prepara a dividersi. Di più o di meno a seconda di quanto sarà pesante la stessa bocciatura. Se fosse totale, apparirebbe come una piena sconfitta dei due legali Ghedini e Longo che hanno dato il via libera al testo. Se lo stop fosse parziale - la legge resta in piedi, ma è ampliata la sindacabilità del giudice e ogni impedimento è valutato caso per caso - i due si appresterebbero a parlare di una mezza sconfitta. Che appare invece, ad altri piediellini, come un débacle totale in quanto il Cavaliere, essi dicono, tornerebbe ostaggio dei giudici. 

(10 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #29 inserito:: Marzo 02, 2011, 06:39:50 pm »

RETROSCENA

Il Cavaliere sfida Fini "Voglio vedere che fa"

"Se dice no dimostra il suo patto con le toghe".

Gelo del leader Fli: dovremo fare un'istruttoria molto attenta.

Futuro e Libertà pronto a dare battaglia: Pdl e Lega hanno prodotto un falso

di LIANA MILELLA


Il primo sgarbo a Fini lo hanno già fatto. Gli hanno fatto trovare sul tavolo la lettera per sollevare il conflitto senza un cenno d'avviso. Lo ha deciso il Cavaliere quando, dopo un lungo colloquio con Niccolò Ghedini, ha rotto gli indugi: "Voglio proprio vedere se avrà il coraggio di bloccarlo. Sarebbe la prova provata del suo legame con i magistrati. Sarebbe una follia". Poi, mettendo a tacere gli ultimi incerti: "Adesso andiamo avanti". "Questo atto non fermerà il processo, né la persecuzione giudiziaria contro di me. Ma almeno tutti sapranno che la maggioranza è ampiamente dalla mia parte e i giudici si renderanno conto che il dibattimento che cercano di concludere è completamente nullo sin dall'inizio".

È un Berlusconi disincantato, ma deciso alla decisiva resa dei conti con Fini quello che dà il via libera al conflitto. Ce l'aveva pronto sul tavolo da giorni e più d'uno aveva sentito Maurizio Paniz, il capogruppo Pdl nella giunta per le autorizzazioni, dire riservatamente ai suoi: "Io il mio "compito" l'ho scritto. Adesso la decisione è politica". Doppiamente politica. Come il premier ha analizzato ragionandone a lungo con i suoi collaboratori. Perché è il primo atto formale dello scontro con i giudici che a brevissimo esploderà con la riforma costituzionale della giustizia, le intercettazioni, il processo breve, la prescrizione accorciata. E perché, per la prassi che vige alla Camera, è soprattutto la prova di forza più dura con il presidente della Camera.

Che da giorni era in stato di allerta. Ma ieri, ancora un'ora prima che arrivasse la lettera dei capigruppo, non sapeva nulla ed era convinto di ricevere almeno un segno di cortese preallarme. Un cortese atto dovuto al primi inquilino di Montecitorio. Che invece è stato messo di fronte al fatto compiuto. La lettera. E pure la contemporanea dichiarazione del ministro degli Esteri Franco Frattini per "avvertirlo" che ha "il dovere istituzionale" di passare il conflitto all'aula.

Fini reagisce gelido. Da lui non trapela un fiato. Ma nel suo entourage, dove il caso del conflitto è stato studiato nei minimi dettagli, fanno subito notare che il quesito posto dai capigruppo, per come viene presentato, è di per sé anomalo. "Non ci sono precedenti specifici" e quindi "bisognerà condurre un'istruttoria molto attenta". Nulla di scontato quindi. I conflitto potrebbe "morire" ben prima di prendere la via della Consulta. Per certo "la decisione sarà presa alla luce dei regolamenti e sarà valutata e approfondita dall'ufficio di presidenza e dalla giunta per il regolamento". È il preannuncio di un conflitto per il conflitto. Un finiano come Nino Lo Presti, che fa parte della giunta per le autorizzazioni e ieri è stato visto salire e scendere più volte dallo studio di Fini, conferma la volontà di dare battaglia per una lettera che conterebbe anche "un vero e proprio falso" sulla telefonata del 27 maggio tra Berlusconi e il capo di gabinetto della questura di Milano, visto che "non di una mera richiesta di informazioni si trattava, ma d'insistenti pressioni per commettere un illecito".

Tutto questo Berlusconi lo ha messo nel conto. Ancora ieri ne ha parlato a lungo con Ghedini. I numeri, nell'ufficio di presidenza, non giocano a loro favore (oggi la maggioranza perde dieci a otto, senza contare Fini, undici a otto se dovesse entrare in tempo uno dei Responsabili). Fini potrebbe stoppare il conflitto come fosse un'anomalia e una forzatura nella prassi della Camera. Un ipotesi che ieri il Cavaliere ha giudicato "surreale" convinto com'è che "tutti i precedenti indicano il passaggio obbligato in aula". Qualora Fini dovesse opporsi, nel centrodestra già sostengono che l'aula potrebbe pretendere con un voto di esaminare lo stesso il conflitto. Un atto che, dice chi ha affrontato la questione con il premier, "è istituzionalmente corretto, fisiologico, indicato dalla stessa procura di Milano dopo il voto della camera sulla perquisizione a Spinelli, identico al conflitto per Abu Omar, per Matacena, per Matteoli". Un atto "normale" che, proprio per questo, "non può essere fermato, a patto che non ci sia un inaccettabile pregiudizio politico".

Lo scontro ci sarà, durissimo. Berlusconi lo ha messo nel conto. E vuole sfruttarlo per mettere in crisi il ruolo di Fini come presidente della Camera. Ma, nel merito del conflitto, come mossa per fermare i giudici, il premier è scettico. Innanzitutto, e lo ha detto ieri ai suoi, è convinto che la Consulta potrebbe anche respingerlo e dichiararlo inammissibile. Inoltre sa bene che il dibattimento si aprirà comunque il 6 aprile. Sa che Ghedini e Longo giocheranno anche lì la carta della competenza, ma sa che le udienze proseguiranno. Per questo, nel frattempo, vuole schiaffeggiare in magistrati e la Consulta con la riforma della giustizia che, "a tutti i costi", andrà in consiglio dei ministri la prossima settimana. Con le intercettazioni, per cui oggi la Consulta Pdl deciderà i prossimi passi e una discussione celere alla Camera. Con la prescrizione breve per gli incensurati che sarà presentata in tempi stretti al Senato.

(02 marzo 2011) © Riproduzione riservata
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