UMBERTO ECO.

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LA BUSTINA DI MINERVA

Bamboccioni messi in croce
di Umberto Eco


Perché i trentenni italiani, diplomati o laureati, non possono "abbassarsi" ad occupazioni umili per rendersi indipendenti? Non avrà qualche ragione il ministro Padoa-Schioppa quando parla di bamboccioni?  Il ministro dell'Economia Padoa-SchioppaMi fa un poco specie, francamente, che in questa discussione nazionale sui bamboccioni, a nessuno sia venuto in mente di andare a consultare il venerabile e autorevolissimo Grande Dizionario della Lingua Italiana Utet (altrimenti noto come il Battaglia). Vi si sarebbe trovato che mentre per bamboccio s'intende "bambino con una sfumatura vezzeggiativa e scherzosa insieme, bambino grassottello un po' goffo e impacciato, privo ancora di parola, di ragione, quasi un oggetto, un giocattolo", per la variazione bamboccione (accrescitivo) si possa reperire una serie di usi classici per cui, secondo il Tommaseo-Rigutini "se dico bamboccione non penserò tanto alla mole, quanto alla forma badiale... difficile immaginare un bamboccione senza un bel visone lustro", e secondo Baldini "ora tutti si trovano a far la vita comoda, lei, Bertoldino, la nuora Meneghina, e quel caro bamboccione di Cacasenno".

Quanto a Cacasenno (nell'aggiunta del Banchieri al classico 'Bertoldo e Bertoldino' del Croce) si trova che "Cacasenno era grosso di cintura, aveva la fronte bassissima, gli occhi grossi, le ciglia irsute, il naso e la bocca aguzza, che certo assomigliavasi ad un gatto mammone, ovvero ad uno scimmiotto". Dovendo montare a cavallo, "Cacasenno, pigliando il vantaggio, pose il piè mancino nella staffa dritta, e salito che fu si trovò con la faccia volta verso le natiche del cavallo; quivi Erminio crepava dal ridere, e volendo ch'ei smontasse, mai fu possibile a persuaderlo".

Quando arriva dal re, "i Palafrenieri di Corte, alzando la portiera, fecero entrare Cacasenno, il quale sopra le spalle si trascinava un uscio di legno. Il Re e la Regina, a questa gustosa entratura ebbero a smascellarsi dalle risa, intendendo tal stravaganza; ma più stupita restò la Marcolfa di tal cosa; e quivi il Maggiordomo di Corte, che si trovò presente, appena potendosi contenere dalle risa, così disse alle Regie Corone: Sappiano le Regie Corone loro che nel salir le scale del Palazzo, mentre Marcolfa entrava in sala, questo bamboccio disse a un Palafreniere che si sentia volontà di orinare. Fu egli intanto condotto al luogo di necessità, con sopportazione parlando, ed uscitone fuori non serrò l'uscio della bussola, onde io trovandomi, così gli dissi: Fanciullo, tirati dietro l'uscio, per non sentire il fetore; ed egli, levando l'uscio della bussola dai gangheri, se lo trascina dietro, onde così l'abbiamo introdotto qui a Loro".


Chiede il re: "Dimmi Cacasenno, perché ti trascini dietro quell'uscio?". E lui risponde: "Che importa a voi di saperlo?". Reagisce il re: "M'importa perché sono il padrone di casa". Risponde Cacasenno: "Se siete il padron di casa, quest'uscio adunque è vostro; ditemi che ne ho da fare". Il re: "Lascialo andare". E Cacasenno: "Uscio vattene, che il padrone ti dà licenza; vattene, dico, tu pesi troppo, né ti posso più tenere in ispalla". Pertanto la Marcolfa "levatogli l'uscio di spalla, ordinò a Cacasenno che facesse un inchino al Re ed alla Regina, ed inchinatosi fino a terra, ad ambedue baciasse la mano; allora Cacasenno, quasi un nuovo Cabalao, con bella grazia si pose trabocconi per terra, così dicendo: Oh! messeri, eccomi qui chinato in terra, siccome m'ha detto mia Nonna; mettetemi la mano in bocca, ch'io ve la voglio baciare; venite, vi aspetto".

Se Cacasenno era un bamboccione, molti di coloro che Padoa-Schioppa ha designato come tali non lo sono. E se qualcuno a trent'anni vive ancora coi genitori e usa la loro macchina per andare in discoteca il sabato sera (e magari schiantarsi alle tre di notte sull'autostrada), probabilmente è più astuto di Cacasenno e comunque fa così perché nessuno gli provvede un lavoro e dunque la colpa è della società.  Sacrosanto. Tuttavia, essendo per mestiere in contatto con i giovani e conoscendone molti che per studiare si sono fatti in quattro per trovare una borsa di studio e/o un lavoro qualsiasi e vivere con altri amici fuori sede, magari quattro per camera, mi chiedo perché le nostre piccole imprese siano piene di extracomunitari, e tanti di essi facciano i pony express e distribuiscano pacchi, occupando indegnamente (come suggerirebbe la Lega) posti che potrebbero essere presi dai nostri trentenni che vivono in famiglia.

L'ovvia risposta è che questi trentenni sono magari diplomati o dottori (come bizzarramente si chiamano oggi gli italiani che hanno fatto tre anni d'università) e non possono umiliarsi a distribuire pacchetti. Eppure in tutte le biografie americane di grandi scrittori o uomini politici si legge che, anche dopo gli studi, pur di poter attendere il momento della gloria, costoro hanno lustrato scarpe, lavato piatti o venduto giornali. Perché gli americani sì e gli italiani no? Che qualche ragione non l'abbia pure Padoa-Schioppa e che i virtuosi politici di destra e di sinistra che hanno reagito indignati alle sue parole non debbano smetterla di cercar voti tra i bamboccioni (che probabilmente, essendo bamboccioni, neppure votano più)?

(11 ottobre 2007)
da espresso.repubblica.it

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LA BUSTINA DI MINERVA

Ma che capirà il cinese?

di Umberto Eco


Il fatto che il mio editore cinese voglia tradurre una mia raccolta di 'Bustine' del 2000, testimonia del fatto che c'è gente che vuol superare la divisione delle culture e capire quel che capiscono gli 'altri'  Per ragioni a prima vista inspiegabili il mio editore cinese ha deciso di far tradurre anche una raccolta di Bustine di Minerva che avevo riunito in volume nel 2000. Chi legge questa rubrica sa che è piena di riferimenti all'attualità italiana e comunque occidentale e che a leggere una Bustina anche di pochi anni fa già si rischia di non riconoscere nomi o situazioni. Immaginiamoci per un lettore cinese. Infatti ricevo un e-mail dalla traduttrice, che dalle domande che pone si rivela persona informata della cultura italiana, ma che rimane perplessa di fronte a strizzate d'occhio o citazioni lampo, e mi domanda: a quale distributore di benzina a piazzale Loreto si riferisce? Cosa vuol dire Tre Palle un Soldo? Chi era il dottor Chiesa? Chi sono gli editori Zozzogno e Tiscordi? Che cosa significa 'il Palazzo'? Chi sono i Cannibali? Perché il premio Campiello lo decidono gli operatori ecologici delle Tre Venezie? Che cosa è una risposta 'alla Catalano'?

Cinesi a parte, mi chiedo se un nostro ragazzo del liceo sappia oggi cos'era il distributore di benzina di piazzale Loreto, e se la sua mente e il suo cuore - a meno che sia un cinefilo - siano mai stati illuminati dalla visita di Totò agli editori Zozzogno e Tiscordi, dopo che era sceso dal fatidico vagone letto. Ragione di più per dubitare della reazione dei cinesi a questi miei scritti. Il che m'indurrebbe a riflettere su come, in questo universo globalizzato in cui pare che ormai tutti vedano gli stessi film e mangino lo stesso cibo, esistano ancora fratture abissali e incolmabili tra cultura e cultura. Come faranno mai a intendersi due popoli di cui uno ignora Totò?

Eppure c'è un fatto, ed è che un editore cinese, contro ogni ragionevolezza, è disposto a investire denaro per tradurre le Bustine, il che significa che esisterà un mercato di nicchia anche per quelle - e d'altra parte basta visitare una libreria di Shanghai per trovare in traduzione tutti i libri occidentali, non solo i romanzi, ma persino Derrida o Heidegger, che già pongono problemi a chi li legge in lingua originale. Evidentemente il lettore cinese, anche se non sa chi erano Zozzogno o Tiscordi, prima o poi vuole saperlo, magari attraverso una nota a piè di pagina; forse non capirà bene chi era e cosa ha fatto il dottor Chiesa ma apprenderà che il cadavere di Mussolini è stato appeso per i piedi. Le culture sono ancora divise, ma popolate di gente che vuole superare queste divisioni e capire quel che capiscono 'gli altri'.


In questi giorni mi è capitato di sfogliare gli atti giudiziari del caso Vrain-Denis Lucas, un signore che verso la metà dell'Ottocento aveva prodotto circa 30 mila documenti autografi falsi e 27 mila ne aveva venduti a carissimo prezzo a un grande matematico di quei tempi, Chasles, membro dell'Accademia delle Scienze. Né Chasles (che certamente sarà stato acuto in matematica ma abbastanza ingenuo per tutto il resto) era stato il solo a crederci, perché anche molti dei suoi colleghi accademici ci avevano messo del tempo per decidere che si trattava di falsificazioni, e rozze per giunta.

Certamente Lucas aveva lavorato usando carta antica e riusciva persino a falsificare, sia pure rozzamente, la calligrafia delle varie epoche, ma aveva fatto scrivere su carta filigranata personaggi che non potevano che aver usato pergamene o papiri, come Carlo Magno, e addirittura aveva venduto lettere di Caligola, Cleopatra e Giulio Cesare scritte in francese. Naturalmente del francese di Cleopatra avevano subito dubitato tutti e il professor Chasles aveva indulgentemente avanzato l'ipotesi che si trattasse di copia e traduzione antica di un originale perduto, ma quando erano apparse lettere di Pascal a Galileo e a Newton da cui si deduceva che Pascal era stato il primo a scoprire la gravitazione universale, molti avevano esultato (per patriottismo) senza far caso al fatto che all'epoca gli studiosi di paesi diversi corrispondevano in latino.

Dunque nella civilissima Francia di poco più di centocinquant'anni fa alcuni accademici erano talmente nazionalisti e ignari di (o disinteressati ad) altre culture, da non riuscire a immaginare che nel mondo si parlasse qualcosa di diverso dal francese. E d'altra parte più o meno nella stessa epoca, in Texas, un deputato si era opposto all'introduzione dello studio delle lingue straniere nelle scuole, dicendo: "Se l'inglese era sufficiente per Nostro Signor Gesù Cristo, sarà sufficiente anche per noi". Anche se poi Lucas è stato ovviamente sbugiardato e condannato, l'episodio ci ricorda che per secoli le forze dell'etnocentrismo hanno posto filtri impenetrabili tra culture diverse.

Il fatto che oggi un editore cinese tenti traduzioni impossibili è segno di un atteggiamento diverso. D'altra parte anche noi traduciamo autori cinesi e chissà cosa capiamo veramente di quel che dicono. Ma non importa, sappiamo per intanto che stanno parlando anche loro.

(08 novembre 2007)

da espresso.repubblica.it

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Umberto Eco.

Specchio delle sue brame

Stefano Poggi pubblica da Cortina 'La vera storia della Regina di Biancaneve'.

Un libretto extra-vagante, un'avventura nei territori dell'irrilevante ma molto piacevole


È vero. Tempo fa in un'intervista alla 'Süddeutsche Zeitung', dovendo dire quali delle donne della storia dell'arte suscitassero maggiormente la mia ammirazione (in effetti dicevo più prosaicamente con quale sarei andato volentieri a cena) menzionavo insieme alla Dama dall'Ermellino anche la regina Uta di Naumburg. E da allora devo dire che molti tedeschi mi hanno inviato foto e libretti su Uta, ed è bello in fondo idoleggiare una donna morta otto secoli fa e avere tante persone che ti mandano la sua fotografia.

La statua di Uta di Ballenstedt (vissuta nel Dodicesimo secolo e scolpita un secolo dopo) appare quasi in forma di colonna nel duomo di Naumburg ed è stata infinitamente riprodotta perché è diventata quasi un'icona della pangermanesimo neoromantico, a tal punto che apprendo solo ora (lo confesso, e dal libro di cui parlerò) che era stata sfruttata dalla propaganda nazista come prototipo di bellezza ariana ed esempio di arte classica da opporre all'arte degenerata delle avanguardie pluto-giudaico-massoniche. Mi spiace, io amavo Uta in quanto cultore di cose medievali, e continuerò ad amarla, perché il suo viso è davvero bellissimo. Del resto del corpo si sa poco, perché Uta non si presenta nuda come una Venere greca qualsiasi, mediterranea e un poco sudaticcia, ma si erge casta ed altera con "il volto bellissimo incorniciato da una benda che ne esalta l'ovale, le labbra tra il serrato e il dischiuso, il diadema con i gigli, l'ampio mantello con il bavero rialzato e nello stesso momento serrato al corpo con un gesto che appare forse più trepido che imperioso".

Non potendo pubblicare la foto di Uta in questa pagina ho citato la descrizione che ne dà Stefano Poggi il quale (ricordando peraltro anche quella mia dichiarazione d'amore, o invito a cena) pubblica presso l'editore Cortina 'La vera storia della Regina di Biancaneve', un libretto extra-vagante che inizia con il racconto di un pellegrinaggio per le terre che erano state di Nietzsche e poi quasi per caso approda a Naumburg dove, appena vista Uta, l'autore e altri con lui ritengono di aver trovato il ritratto preciso di Grimhilde, la regina cattiva di 'Biancaneve e i sette nani'.

La cosa mi ha disturbato. È pur vero che Grimhilde veste proprio come Uta, ma la sua bellezza è malvagia mentre di Uta si può dire al massimo che è algida, ma soave. Per questo già mi consolavo quando l'autore riporta una diceria per cui a ispirare Grimhilde fosse stata un'attrice degli anni Trenta, Helen Gahagan, che con vesti quasi uguali (ho controllato su Internet) aveva interpretato la mitica 'She', bellezza sublime e maledetta, ispirata al romanzo celeberrimo di Rider Haggard. E la cosa non mi dispiaceva perché lo stesso romanzo ha ispirato quel fumetto di Lyman Young (l'autore di Cino e Franco) che in Italia si era intitolato 'La misteriosa fiamma della Regina Loana' (e qualcuno dei miei venticinque lettori saprà che ha un posto nei miei ricordi infantili).

Ma no, la pista di 'She' non persuade Poggi, che inizia una serrata indagine per dimostrare come Walt Disney, che aveva raccolto molto materiale per il suo film, conoscesse la statua di Uta, come la conoscessero certamente i suoi collaboratori, e come a Uta si sia effettivamente ispirato - evidentemente facendo compiere una rotazione di almeno 180 gradi al personaggio, e trasformandolo da icona di regale venustà a immagine della perversità.

Pare che della cosa si fossero accorti il dottor Goebbels e quelli del suo entourage e che questo sfregio all'estetica ariana abbia fatto sì che 'Biancaneve' non fosse stata acquistata dai circuiti cinematografici tedeschi. E di qui si potrebbe persino sospettare, come i nazisti avrebbero fatto, che lo sfregio fosse intenzionale, visto che Hollywood era notoriamente un covo di ebrei o comunque di comunisti e antifascisti.

Poggi è molto onesto: provvede una sostanziosa bibliografia sulla quale si è documentato, ma avverte: "Non tutte le vicende di cui si è narrato sono autentiche o, comunque, documentate. Alcune sono frutto di una sorta di ragionevole induzione fantastica, attuata partendo dall'utilizzo delle fonti di cui sopra". E pertanto questo, che inizia come il diario di un pellegrino sui cammini di San Giacomo di Compostella e continua come una ricostruzione storiografica, non è un libro che aspiri ad essere 'scientificamente' definitivo. E poiché il sapere se Uta abbia veramente ispirato Grimhilde o meno pare materia di poco momento, si presenta come un libro 'inutile'. Ma è piacevolissimamente inutile, perché racconta di una sorta di ossessione, di un arrabattamento mentale e archivistico per togliersi una soddisfazione che ad altri parrà del tutto bizzarra. Ed è certo che il lettore seguirà questa avventura nei territori dell'irrilevante con molto diletto, lo stesso (credo) che ha provato l'autore nel condurre la sua 'queste' di un Graal a rovescio. Col sospetto che in fondo lui, a cena, sarebbe uscito con Grimhilde - specchio delle sue brame.

(23 novembre 2007)

da espresso.repubblica.it

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POLITICA

L'INTERVISTA. L'allarme di Umberto Eco: dal futurismo e dal fascismo in poi l'Italia è sempre stata un laboratorio

"Populismo e controllo totale dei media rischio-Berlusconi anche in altri Paesi"

di DEBORAH SOLOMON

 
EBBENE la sua notorietà sia dovuta soprattuto al giallo letterario "Il nome della Rosa", lei è anche un prolifico commentatore in campo politico. Nei suoi saggi, recentemente raccolti sotto il titolo "A passo di gambero", ha lanciato l'allarme contro il pericolo di un "populismo mediatico". Come definirebbe questo termine?
"Il populismo mediatico consiste nel rivolgersi direttamente al popolo attraverso i media. Un politico che ha in mano i media può orientare il corso della politica al di fuori del Parlamento, e persino eliminare la mediazione parlamentare".

Il suo libro è in buona parte un attacco a Silvio Berlusconi, l'ex primo ministro italiano che ha usato il suo impero mediatico per i propri fini politici.
"Dal 1994 al 1995 e dal 2001 al 2006 Berlusconi è stato al tempo stesso l'uomo più ricco d'Italia, il presidente del Consiglio e il proprietario di tre reti televisive, avendo inoltre sotto il suo controllo le tre emittenti di Stato. È un fenomeno che potrebbe accadere, e forse è già in atto in altri Paesi, in base allo stesso meccanismo".

Ma qui in Usa abbiamo la Fcc (la Commissione Federale delle Comunicazioni , ndt) e altri organismi federali creati per impedire la formazione di monopoli che consentirebbero ai politici di controllare la stampa e i canali televisivi del Paese.
"E negli Stati Uniti esiste tuttora, almeno nei principi, una netta separazione tra i media e il potere politico".

Ma allora, perché pensa che non solo l'Italia, ma qualunque altro Paese corra il rischio di cadere sotto il dominio dei media da lei descritto?
"Se all'estero c'è tanto interesse per il caso italiano, è anche perché durante lo scorso secolo l'Italia è stata un laboratorio. A incominciare dai futuristi, che hanno lanciato il loro manifesto nel 1909, per passare al fascismo, sperimentato nel laboratorio italiano e migrato poi in Spagna, nei Balcani e in Germania"

Intende dire che l'idea della Germania nazista nasce dal fascismo italiano?
"Senza dubbio. Così dicono gli storici".

Ma forse solo quelli italiani.
"Se non le sta bene, non lo scriva; per me è indifferente".

Lei pensa dunque che l'Italia sia all'origine di entrambe le tendenze, sia in campo artistico - con la moda del futurismo - che in quello politico, col fascismo?
"Infatti. Perché no?".

Come considera il successore di Berlusconi, Romano Prodi, eletto l'anno scorso, che ha spostato l'asse del governo a sinistra?
"Prodi è un amico. Io lo apprezzo, ma penso che sia stato sopraffatto dai contrasti sorti all'interno della sua stessa maggioranza dopo la sua elezione. Berlusconi ha il vantaggio di essere un grosso attore. Prodi non è un attore; e questo non è un delitto, ma una debolezza".

È un intellettuale, cioè tutt'altro che un uomo d'affari?
"Sì. Prodi è stato docente di economia, e all'inizio degli anni 90 ha anche insegnato nell'ambito di uno dei miei programmi. Poi, all'improvviso, ha deciso di dedicarsi alla politica".

Si riferisce alla facoltà di Scienza delle comunicazioni all'università di Bologna, dove è docente di semiotica?
"Sono andato in pensione proprio questo mese. Ho 75 anni".

E non ha mai pensato di entrare in politica?
"No, perché credo che ognuno debba fare il suo mestiere."

Si considera in primo luogo uno scrittore?
"Penso di essere uno studioso che scrive romanzi, ma solo con la mano sinistra".

Mi chiedo se lei abbia letto il "Codice Da Vinci" di Dan Brown, in cui molti critici hanno visto una versione pop del suo romanzo "Il nome della rosa".
"Sono stato costretto a leggerlo, perché tutti mi facevano domande in proposito. Le rispondo che Dan Brown è uno dei personaggi del mio romanzo "Il pendolo di Foucault", in cui si parla di gente che incomincia a credere nel ciarpame occultista".

Ma sembra che lei stesso sia interessato alla cabala, all'alchimia e ad altre pratiche occulte di cui parla nel suo libro.
"No, nel pendolo di Foucault ho rappresentato quel tipo di persone in maniera grottesca. Ecco perché Dan Brown è una delle mie creature."

Per lei è importante che i suoi romanzi continuino a essere letti di qui a cent'anni?
"Scrivere un libro senza preoccuparsi della sua sopravvivenza sarebbe da imbecilli".
da The New York Times Magazine
copyright 2007 Deborah Solomon
(distribuito da New York Times Syndicate)
Traduzione di Elisabetta Horvat


(25 novembre 2007)

da repubblica.it

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La cocaina dei popoli

Non sono sicuro che abbia ragione José Saramago quando scrive che se tutti fossimo atei vivremmo in una società più pacifica. Ma qualche riflessione
l'inducono sia il 'Gott mit uns' che il 'God bless America'  GLI ALTRI ARTICOLI

DI UMBERTO ECO


In un recente dibattito dedicato alla semiotica del sacro si era finiti a un certo punto di parlare di quella idea che va da Machiavelli a Rousseau, e oltre, di una 'religione civile' dei Romani, intesa come insieme di credenze e di obblighi capace di tenere insieme la società. È stato fatto notare che da questa concezione, in sé virtuosa, si arriva facilmente all'idea della religione come 'instrumentum regni', espediente che un potere politico (magari rappresentato da miscredenti) usa per tenere buoni i propri sudditi.

L'idea era già presente in autori che avevano esperienza della religione civile dei romani e per esempio Polibio ('Storie' VI) scriveva a proposito dei riti romani che "in una nazione formata da soli sapienti, sarebbe inutile ricorrere a mezzi come questi, ma poiché la moltitudine è per sua natura volubile e soggiace a passioni di ogni genere, a sfrenata avidità, ad ira violenta, non c'è che trattenerla con siffatti apparati e con misteriosi timori. Sono per questo del parere che gli antichi non abbiano introdotto senza ragione presso le moltitudini la fede religiosa e le superstizioni sull'Ade, ma che piuttosto siano stolti coloro che cercano di eliminarle ai nostri giorni. I Romani, pur maneggiando nelle pubbliche cariche e nelle ambascerie quantità di denaro di molti maggiori, si conservano onesti solo per rispetto al vincolo del giuramento; mentre presso gli altri popoli raramente si trova chi non tocchi il pubblico denaro, presso i Romani è raro trovare che qualcuno si macchi di tale colpa".

Se pure i romani si comportavano così virtuosamente in epoca repubblicana, certamente a un certo punto hanno smesso. E si può capire perché secoli dopo Spinoza desse un'altra lettura dello 'instrumentum regni', e delle sue cerimonie splendide e accattivanti: "Ordunque, se è vero che il segreto più grande e il massimo interesse del regime monarchico consistono nel mantenere gli uomini nell'inganno e nel nascondere sotto lo specioso nome di religione la paura con cui essi devono essere tenuti sottomessi, perché combattano per la loro schiavitù come se fosse la loro salvezza. è altrettanto vero che in una libera comunità non si potrebbe né pensare né tentare di realizzare nulla di più funesto" ('Trattato teologico politico').

Di qui non era difficile arrivare alla celebre definizione marxiana per cui la religione è l'oppio dei popoli. Ma è vero che le religioni hanno tutte e sempre questa 'virtus dormitiva'? Di opinione nettamente diversa è per esempio José Saramago che a più riprese si è scagliato contro le religioni come fomite di conflitto: "Le religioni, tutte, senza eccezione, non serviranno mai per avvicinare e riconciliare gli uomini e, al contrario, sono state e continuano a essere causa di sofferenze inenarrabili, di stragi, di mostruose violenze fisiche e spirituali che costituiscono uno dei più tenebrosi capitoli della misera storia umana" (da 'la Repubblica', 20 settembre 2001).

Saramago concludeva altrove che "se tutti fossimo atei vivremmo in una società più pacifica". Non sono sicuro che abbia ragione, ma certo sembra che indirettamente gli abbia risposto papa Ratzinger nella sua recente enciclica 'Spe salvi' dove ci dice che al contrario l'ateismo del XIX e del XX secolo, anche se si è presentato come protesta contro le ingiustizie del mondo e della storia universale, ha fatto sì che "da tale premessa siano conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia".

Mi viene il sospetto che Ratzinger pensasse a quei senzadio di Lenin e Stalin, ma dimenticava che sulle bandiere naziste stava scritto 'Gott mit uns' (che significa 'Dio è con noi'), che falangi di cappellani militari benedicevano i gagliardetti fascisti, che ispirato a principi religiosissimi e sostenuto da Guerriglieri di Cristo Re era il massacratore Francisco Franco (a parte i crimini degli avversari, è pur sempre lui che ha cominciato), che religiosissimi erano i vandeani contro i repubblicani che avevano pure inventato una Dea Ragione ('instrumentum regni'), che cattolici e protestanti si sono allegramente massacrati per anni e anni, che sia i crociati che i loro nemici erano spinti da motivazioni religiose, che per difendere la religione romana si facevano mangiare i cristiani dai leoni, che per ragioni religiose sono stati accesi molti roghi, che religiosissimi sono i fondamentalisti musulmani, gli attentatori delle Twin Towers, Osama e i talebani che bombardavano i Buddha, che per ragioni religiose si oppongono India e Pakistan, e che infine è invocando 'God bless America' che Bush ha invaso l'Iraq. Per cui mi veniva da riflettere che forse (se talora la religione è o è stata oppio dei popoli) più spesso ne è stata la cocaina. Forse l'uomo è animale psichedelico.

(07 dicembre 2007)

da espresso.repubblica.it

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