UMBERTO ECO.

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Arlecchino:
L'articolo di Umberto Eco sull'Espresso su come prepararsi alla morte: "Convincendosi che tutti gli altri siano coglioni"

L'Espresso
Pubblicato: 20/02/2016 12:19 CET Aggiornato: 12 minuti fa ECO

Per l'Espresso, il 12 giugno 1997, lo scrittore Umberto Eco ha scritto un interessante articolo dal titolo "Come prepararsi alla morte. Sommesse istruzioni a un eventuale discepolo".
L'articolo è stato poi pubblicato nella raccolta "A passo di gambero". Eccone un estratto:

Recentemente un discepolo pensoso (tale Critone) mi ha chiesto: "Maestro, come si può bene appressarsi alla morte?". Ho risposto che l’unico modo di prepararsi alla morte è convincersi che tutti gli altri siano dei coglioni.
Allo stupore di Critone ho chiarito. "Vedi," gli ho detto, "come puoi appressarti alla morte, anche se sei credente, se pensi che mentre tu muori giovani desiderabilissimi di ambo i sessi danzano in discoteca divertendosi oltre misura, illuminati scienziati violano gli ultimi misteri del cosmo, politici incorruttibili stanno creando una società migliore, giornali e televisioni sono intesi solo a dare notizie rilevanti, imprenditori responsabili si preoccupano che i loro prodotti non degradino l’ambiente e si ingegnano a restaurare una natura fatta di ruscelli potabili, declivi boscosi, cieli tersi e sereni protetti da un provvido ozono, nuvole soffici che stillano di nuovo piogge dolcissime? Il pensiero che, mentre tutte queste cose meravigliose accadono, tu te ne vai, sarebbe insopportabile.

Ma cerca soltanto di pensare che, al momento in cui avverti che stai lasciando questa valle, tu abbia la certezza immarcescibile che il mondo (sei miliardi di esseri umani) sia pieno di coglioni, che coglioni siano quelli che stanno danzando in discoteca, coglioni gli scienziati che credono di aver risolto i misteri del cosmo, coglioni i politici che propongono la panacea per i nostri mali, coglioni coloro che riempiono pagine e pagine di insulsi pettegolezzi marginali, coglioni i produttori suicidi che distruggono il pianeta. Non saresti in quel momento felice, sollevato, soddisfatto di abbandonare questa valle di coglioni?"

Critone mi ha allora domandato: "Maestro, ma quando devo incominciare a pensare così?" Gli ho risposto che non lo si deve fare molto presto, perchè qualcuno che a venti o anche trent’anni pensa che tutti siano dei coglioni è un coglione e non raggiungerà mai la saggezza. Bisogna incominciare pensando che tutti gli altri siano migliori di noi, poi evolvere poco a poco, avere i primi dubbi verso i quaranta, iniziare la revisione tra i cinquanta e i sessanta, e raggiungere la certezza mentre si marcia verso i cento, ma pronti a chiudere in pari non appena giunga il telegramma di convocazione.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/02/20/umberto-eco-prepararsi-al_n_9280570.html?utm_hp_ref=italy&ir=Italy&ref=hfmvudbeh-1

Arlecchino:
La morte di Umberto Eco

È stato uno dei più importanti intellettuali italiani del Novecento, oltre che l'autore di "Il nome della Rosa"
Umberto Eco, morto a 84 anni
Lo scrittore e intellettuale Umberto Eco è morto venerdì notte a Milano.
La Stampa scrive che Gianni Coscia, avvocato e vecchio amico di Eco, ha detto, commentando la sua morte: «Sapevo che Umberto era malato da due anni di tumore, ma nessuno pensava che la sua fine sarebbe stata così imminente». Coscia scrive che «era uscito di casa per l’ultima volta a metà gennaio».
Sempre La Stampa scrive che “secondo voci vicine alla famiglia” Eco verrà commemorato martedì alle 15 a Milano, con rito civile.

Umberto Eco era nato il 5 gennaio 1932 ad Alessandria, dove suo padre lavorava in una ferramenta. Quando era già importantissimo e noto in Italia per il suo lavoro di studioso e linguista diventò famoso in tutto il mondo nel 1980 grazie al romanzo Il nome della Rosa, scritto dopo avere investito con l’editore Valentino Bompiani – della cui casa editrice fu condirettore dal 1959 al 1975 – sulla possibilità che anche nella società di massa si sarebbe potuto scrivere un best-seller senza venire meno alla qualità. Nel 1988 Umberto Eco pubblicò Il pendolo di Foucault, un altro best-seller mondiale. La sua attività di intellettuale e studioso era iniziata però molto prima, già negli anni Cinquanta: Eco si era laureato in filosofia con una tesi su Tommaso d’Aquino, poi entrò alla Rai e contribuì alla fondazione del cosiddetto “Gruppo ’63”. I suoi saggi e articoli sull’influenza dei mezzi di comunicazione di massa sulla cultura risalgono ai primi anni Sessanta.

Nel 1961 Umberto Eco pubblicò Diario minimo che conteneva il saggio, poi famosissimo, “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, in cui Eco spiegava che il motivo del successo del conduttore – e della televisione in generale – era la sua capacità di corrispondere e interpretare la medietà umana: e la capacità di affrontare seriamente e scientificamente un tema così “pop” divenne un tratto ammiratissimo della sua opera. Nel 1964 uscì Apocalittici e integrati: il titolo della raccolta fu scelto dall’editore Bompiani, mentre in un primo tempo Eco aveva scelto Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee. Anche in questa raccolta di saggi, Eco analizzava il rapporto tra cultura di massa e cultura cosiddetta colta, riprendendo le teorie sulla cultura bassa, media e alta espresse da Dwight Mac Donald nel 1962 nel saggio Against the American Grain: Essays on the Effects of Mass Culture.

Nello stesso periodo Umberto Eco cominciò a interessarsi di semiotica – lo studio dei segni – materia che insegnò all’università di Bologna a partire dal 1965, anche da direttore dell’Istituto di Comunicazione e spettacolo del DAMS. All’insegnamento universitario e all’attività di studioso, Umberto Eco affiancò per molto tempo la collaborazione con i giornali, iniziata nel 1955 su L’Espresso, dove negli ultimi trent’anni ha tenuto la rubrica “La bustina di Minerva” sull’ultima pagina del giornale: la rubrica si occupava di politica, libri, cinema, fumetti con una libertà e una curiosità inizialmente insoliti per un intellettuale italiano.

Per Umberto Eco il lavoro intellettuale – ed è stato questo a renderlo unico rispetto agli altri studiosi della sua generazione – non poteva essere confinato in alcuna specializzazione. Eco voleva specializzarsi in tutte le discipline del sapere o almeno nel maggior numero possibile, non avendo paura di esprimersi sulla cultura in ogni sua forma, dalla televisione, al fumetto, dalla filosofia medievale alla letteratura contemporanea, dalle canzoni alla semiotica alla politica. Per esempio Eco firmò delle lettere aperte già sul caso Pinelli – l’anarchico morto precipitando da una finestra della questura di Milano nel 1969 – autodenunciandosi per solidarietà con il giornale Lotta Continua che accusò la polizia, mentre negli ultimi anni schierandosi su posizioni fortemente antiberlusconiane (fu tra i fondatori del movimento di intellettuali antiberlusconiani Libertà e Giustizia).

Nell’ottobre scorso Umberto Eco era stato tra i fondatori della Nave di Teseo, la casa editrice nata dall’uscita della direzione editoriale di Bompiani dopo l’acquisizione del gruppo RCS Libri da parte di Mondadori. Il nuovo libro di Umberto Eco dovrebbe essere tra i primi a uscire per la nuova casa editrice, che incomincerà a pubblicare in primavera.

Umberto Eco aveva una casa piena di libri ed era dotato di una memoria prodigiosa. Era un erudito e uno studioso, ma questo non gli ha impedito di essere divertente e curioso e di provare, sempre, a capire quello che gli succedeva intorno. Il presidente del consiglio Matteo Renzi ha scritto che Eco è stato un «Esempio straordinario di intellettuale europeo» e «univa una intelligenza unica del passato a una inesauribile capacità di anticipare il futuro». La notizia della morte sta avendo grande spazio sui principali siti d’informazione internazionali. Il Guardian ha definito Eco «uno dei più importanti nomi della letteratura internazionale» e il New York Times ne ha parlato come di «un esperto nell’arcano campo della semiotica». Daria Bignardi, la nuova direttrice di Rai 3, ha fatto sapere che questa sera ci sarà a Che tempo che fa “uno speciale ricordo” di Eco e che sarà trasmesso il film Il nome della rosa.

Da - http://www.ilpost.it/2016/02/20/umberto-eco-morto/

Arlecchino:
Gay Talese: “Povera Italia, senza Eco”
Lo scrittore americano: «Ha abbracciato la cultura popolare senza snobbarla, conquistando i lettori di tutto il mondo.
Per il vostro Paese la sua scomparsa è un disastro culturale»

22/02/2016
Paolo Mastrorilli
Inviato a New York

Gay Talese ha costruito la sua carriera sulle provocazioni, perciò gli viene naturale farlo anche in morte di Umberto Eco: «È stato il più alto esponente della cultura popolare in Italia, e fra i più alti al mondo. Lascia un vuoto incolmabile, soprattutto nel vostro Paese, perché dietro di lui non c’è nessuno in grado di continuare il suo lavoro fondamentale».

Talese, inventore con Tom Wolfe del «New Journalism» letterario, aveva incontrato di recente Eco: «Ho tenuto il discorso per la consegna dell’ultimo premio che aveva ricevuto a New York. Parlare con lui era sempre un’esperienza molto stimolante. È stato l’autore italiano più influente negli Stati Uniti, dai tempi di Alberto Moravia».

Non dimentica Italo Calvino? 
«No, assolutamente no. Calvino piaceva agli intellettuali raffinati e un po’ snob, alla New York Review of Books, all’Università di Harvard che lo ospitava per tenere conferenze di altissimo livello, ma non vendeva copie. Poco o niente. L’ultimo autore italiano che aveva avuto un vero grande successo di pubblico negli Stati Uniti era stato Moravia: dopo di lui, c’è stato solo Eco».

Vendere copie, successo di pubblico: non sono parametri che fanno inorridire i letterati? 
«Avere successo di pubblico significa avere successo, punto. Vuol dire essere stati capaci di comunicare e di interessare molte persone, che poi dovrebbe essere l’obiettivo di tutti gli scrittori. Se scrivi, lo fai perché pensi di avere qualcosa da dire, ed è importante che ci siano dei lettori interessati ad ascoltarti».

Perché Eco ha avuto questo successo in America? 
«Perché ha abbracciato la cultura popolare, alzandone il livello, invece di snobbarla. Questa è stata la sua vera grandezza. Intendiamoci: Eco era intelligente, colto, erudito, un intellettuale molto profondo e raffinato. Però non rifiutava la cultura popolare. Anzi, la faceva sua e la rendeva migliore. Gli altri intellettuali italiani amano scrivere cose complicate, incomprensibili, spesso illeggibili. Più sono difficili da capire, e meglio è. Così non vendono una copia. Lui invece faceva opere di grande qualità in termini di contenuto, ma anche molto belle da leggere». 

 Questo ha conquistato i lettori americani? 
«No, questo ha conquistato i lettori di tutto il mondo. C’è un aspetto fondamentale del lavoro di Eco, che bisogna sottolineare: amava raccontare, a differenza della maggior parte degli altri autori italiani, e anche europei. Questo fa una grossa differenza, quando sei uno scrittore».

Non è troppo severo? 
«No, è la verità. Eco apparteneva a una grande tradizione della cultura italiana, che includeva la letteratura e la poesia, ma anche l’arte e il cinema, da Fellini a tutti gli altri straordinari registi della stessa epoca. Erano artisti che potevano anche avere obiettivi e progetti diversi, ma possedevano tutti una grande capacità di raccontare, e quindi di comunicare quello che avevano in testa. Se il pubblico non ti segue, forse dovresti chiederti se sei tu che stai sbagliando qualcosa, invece di lamentarti delle fortune degli altri».

Però lo hanno ignorato per il Nobel. 
«Non è l’unico, purtroppo. Ma credo che il valore del suo lavoro si misuri meglio con le dimensioni innegabili del suo successo internazionale». 

Perché la sua morte lascia un vuoto incolmabile? 
«Il lavoro di Eco era fondamentale non solo per la sua qualità, ma anche per il messaggio che lanciava all’intera comunità intellettuale, sfidandola ad avere il coraggio di misurarsi con la cultura popolare, abbracciare generi diversi, cercare di comunicare con tutti. Il vuoto che lascia è incolmabile perché per svolgere un compito di questo genere servono qualità straordinarie, che non vedo in nessun altro autore dopo di lui. E questo vale soprattutto per l’Italia, dove la sua scomparsa rappresenta davvero una perdita enorme. Direi quasi un disastro culturale». 

Perché? 
«Cosa rimane, ora? L’Italia è stato il Paese dove ha avuto origine buona parte della cultura occidentale, e fino a mezzo secolo fa aveva ancora delle eccellenze internazionali, di cui Eco faceva parte. Mi riferisco alla letteratura, all’arte, alla grande e varia tradizione del cinema, dal neorealismo a Fellini, passando per tutti gli altri grandi registi che hanno lasciato un segno nell’immaginario del mondo intero. Ora cosa rimane? Avete ancora la moda, e poco altro. Eco non era importante solo per il valore della sua produzione letteraria, ma anche perché rappresentava uno stimolo, una sfida lanciata alla cultura italiana, affinché avesse il coraggio di aprirsi, sperimentare, cercare l’innovazione in tutti i settori. Per questo è una perdita enorme per il vostro Paese. La sua morte rappresenta la fine di un’era, e dietro non c’è molto altro per continuare quella tradizione di successo. L’unica speranza è che la sua scomparsa rappresenti uno stimolo, un elemento di riflessione, per spingere l’Italia rilanciare una vita culturale più intensa e coraggiosa».
Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/02/22/cultura/gay-talese-povera-italia-senza-eco-MriQlX6EROp4TpbsDHzeuJ/pagina.html

Arlecchino:
Domenica, 21 Febbraio 2016    

 ilsole24ore.com

Sapeva bene di essere il più famoso, il più importante, il più conosciuto al mondo, intellettuale italiano. E anche su questo amava fare dell'autoironia. Come si legge nelle pagine che seguono, Umberto Eco, nonostante la sua impressionante notorietà, ha mantenuto le abitudini di sempre. In primis, certo, l'amore per i libri, per i saperi che essi veicolano, ma anche per il lavoro editoriale ben fatto. Uomo di grande erudizione, e prima di questo filosofo e cultore di un pensiero critico che invitava a esercitare su ogni cosa, nel suo agire intellettuale era animato da un sano edonismo. L'importante è divertirsi. Sempre e comunque, o quasi. Ma il divertimento deve essere della più alta qualità. E orientato alla massima serietà, ispirato da una vocazione morale che miri a far sì che a divertirsi, e a imparare divertendosi, siano anche gli altri. Filosofo, semiologo, medioevista, giovanissimo autore Rai, linguista, enciclopedista, scrittore, bibliofilo, professore universitario, direttore editoriale, brillantissimo saggista e conferenziere, animatore del Gruppo '63, del Dams, delle facoltà di Scienza della comunicazione e di Libertà e Giustizia. Tante, troppe definizioni che ci depistano dal suo atteggiamento di fondo. Che è quello di un buon professore, di un “buon maestro”, come ce ne sono pochi. Di quelli che - come ebbi modo di scrivere per il suo ottantesimo compleanno - sono in grado di salvarti la vita. Mettiamo tra parentesi per un momento il Trattato di semiotica generale, la Rosa e l'Ornitorinco, e pensiamo a un libro del 1977, momento di massimo spaesamento di un'università divenuta velocemente da super elitaria a ultra massificata, intitolato Come si fa una tesi di laurea. Era pieno di arguzia e di umorismo, di letteratura e di filosofia, ma soprattutto di istruzioni per l'uso. Ecco cosa ci mancherà, caro Umberto: la tua capacità di farci sentire la tua indubbia, un po' altezzosa, superiorità intellettuale (che molti ti hanno rimproverato) unita alla sensazione che, a prenderti sul serio insieme a tutti i tuoi deliziosi giochi, tutti possiamo godere con te dei piaceri della cultura.
   
Armando Massarenti - Responsabile il Sole24 Ore - Domenica

 

@massarenti24

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La nostra storia
Umberto Eco: "Che bell’errore!": ecco la sua prima storica Bustina di Minerva
Era il 31 marzo 1985.
Ripubblichiamo qui la prima delle celebri rubriche ospitate sull'ultima pagina de "l’Espresso". Dove si celebravano lo sbaglio e il caso come strumenti di scoperta

Di Umberto Eco 
26 febbraio 2016

Sto iniziando una rubrica. Mi è accaduto altre volte e ho sempre avuto la forza di smettere nel giro di un anno. L’appuntamento settimanale corrode. Questa volta forse smetterò prima, provo soltanto, per far piacere al Direttore, uomo potentissimo e vendicativo, e in vena di novità.

L’intitolo alla bustina di Minerva, senza riferimenti alla dea della sapienza, bensì ai fiammiferi. Quando capita che la bustina abbia il lembo interno vergine di pubblicità, gli uomini pensosi usano appuntarvi idee vaganti, numeri di telefono di donne che un giorno sarà opportuno amare, titoli di libri da comperare, o da evitare. Valentino Bompiani scriveva (e forse scrive ancora) le idee che gli passavano per la testa sul retro delle scatole di raffinatissime sigarette turche. Credo conservi migliaia di ritagli di scatole nei suoi archivi, e molte delle sue iniziative editoriali sono cominciate così. Dal numero delle schede accumulate felicemente, direi che il fumo non fa male.

Ritengo sia utile appuntare idee sulle bustine di Minerva, e anche Husserl faceva qualcosa del genere. A Lovanio non hanno ancora finito di decifrare tutto quello che ha scritto, e il rettore di quella università, che deve stanziare i fondi per la ricerca su quei crittogrammi, mi diceva tra il preoccupato e il faceto che un uomo che ha scritto tanti foglietti (credo siano centomila) non può sempre aver scritto delle cose sensate. Però le cose che ha pubblicate sono piene di senso. Questo significa che l’umanità pensante si divide tra chi si limita ai Minerva e chi poi coordina questi appunti in un discorso organico. Lì vengono i nodi al pettine.

Per intanto bustine: sull’ultimo libro non letto, sull’intuizione che ci ha attraversato la mente in autostrada mentre si frenava per non finire in coda a un Tir, sull’essere e il nulla, sui passi celebri di Fred Astaire. Poi si vedrà.

Primo pensiero. Sto seguendo il Colombo televisivo, né intendo rubare il mestiere al titolare della rubrica apposita. Semplicemente (e accade ogni qual volta si rilegge la storia di Colombo) stupisce quanto si possa andare lontano con una idea sbagliata. Anzi, con un pacchetto di idee tutte sbagliate: sbagliato il calcolo delle dimensioni della terra, sbagliato il credito dato a certi cartografi, sbagliato il progetto di redenzione dei selvaggi asiatici, sbagliato persino l’investimento economico. Povero Cristoforo finito poi così tristemente. Eppure, la sua scoperta ha rivoluzionato il nostro millennio.

Per questo genere di scoperte, fatte per sbaglio, gli inglesi hanno un termine che non esiste nel nostro lessico se non per ricalco: “serendipità”. È curioso che il termine si formi nel lessico inglese, a causa della storia dei tre principi di Serendip scritta nel Settecento da Horace Walpole. Perché di fatto la storia di questi tre principi, che trovano qualcosa cercando qualcosa d’altro, viene da una antica novella persiana, poi tradotta in italiano nel Rinascimento, poi passata alle altre culture europee, come anche ci ripeteva Carlo Ginzburg nel suo famoso saggio sul paradigma indiziario.

Il fatto è che tutte le grandi scoperte avvengono per una certa qual forma di serendipità. E non sto solo pensando a Madame Curie che lascia la pecblenda sul comodino per disattenzione, o allo sciagurato Bertoldo il Nero che cerca la polvere di proiezione e scopre la polvere da sparo. Ogni grande scoperta avviene perché lo scienziato (o il filologo, o il detective) invece di seguire le vie normali di ragionamento si diverte a pensare che cosa succederebbe se si ipotizzasse una legge del tutto inedita e puramente possibile, la quale però fosse capace di giustificare - se fosse vera - i fatti curiosi a cui con le leggi esistenti non si riesce a dare spiegazione. Ma questa legge inedita non viene fuori al primo colpo: si va per così dire per farfalle, si passeggia con la mente in territori altrui. In fondo il pensatore creativo è colui che decide di fare, ma scientemente, quello che Colombo ha fatto per sbaglio: «Visto che non trovo una risposta a questo problema, perché non cerco la risposta a un altro problema, magari del tutto extravagante?».

Allenarsi a rischiare errori, con la speranza che alcuni siano fecondi. In fondo anche scrivere sulle bustine di Minerva può avere la stessa funzione. Dipende naturalmente se ci scrive Kant o se ci scrivo io (a cui Luis Pancorbo ha attribuito una volta l’angoscioso pensiero: «I can’t be Kant»).

Certe volte temo che chi non scopre mai niente sia colui che parla solo quando è sicuro di aver ragione. È mica vero quel che ci raccomandavano i genitori: «Prima di parlare pensa!». Pensa, certo, ma pensa anche ad altro. Le idee migliori vengono per caso. Per questo, se sono buone, non sono mai del tutto tue.

© Riproduzione riservata
26 febbraio 2016

Da - http://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2016/02/25/news/umberto-eco-che-bell-errore-prima-bustina-minerva-1.251605?ref=HRBZ-1

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